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Anno XXX
04.02.2009
Numero
536
periodico di attualità dei comuni di alano di piave, quero, vas, segusino
I.P.
1 cronaca
2 cronaca
3
4 attualità
cronaca
5 asterisco
attualità
6
7
8 cronaca
9 cronaca
10 cronaca
11 cronaca
attualità
cronaca
12 cronaca
13 attualità
14 asterisco
x Ore 12:30
x e poi… crostoli, frittelle e vin bon.
x E per concludere sottoscrizione per la solidarietà, sorprese e
ricchi premi.
Tutti i soci e gli amici simpatizzanti sono calorosamente invitati a partecipare. La quota di
partecipazione è di 10,00 € e la prenotazione obbligatoria entro il giorno 18 febbraio.
Il pulmino partirà da Alano, con soste a Campo e Fener alle ore 12:00; da Vas su richiesta.
Per informazioni e prenotazioni:
sede Auser Quero 0439/787861 lunedì mercoledì e venerdì dalle ore 15 alle 17
15 attualità
16 lettere al tornado
cronaca
Alimentari
PUTTON GABRIELE
i f i s s i
P r e z z o
l ’ a n n
t u t t o
Alcuni esempi:
cronaca
lettere al tornado
20 COME ERAVAMO
L’officina di Gasperin
Segnalazione di Marcello Meneghin - altri dati e foto su http://it.geocities.com/altratecnicabis/
L'officina fabbrile di Gasperin costituiva un concentrato di ingegno e di abilità
artigianale che, se conservato intatto, potrebbe benissimo figurare nel museo delle
arti e mestieri. Bisogna tener presente che allorché Gasperin ricevette l'officina da
suo padre Chechi, anch'egli fabbro, tutti i manufatti in ferro erano ricavati
completamente a mano da metallo grezzo portato al calor rosso nella forgia, il cui
ventilatore era anch'esso manovrato a braccia, e, girato e rigirato sull'incudine,
modellato con ripetuti e sonori colpi di martello. Il giovane e bravo artigiano,
diventato titolare dell'attività, pensò bene di modernizzare l'officina dotandola di
un'attrezzatura che oggi ha dell'incredibile ma che in quegli anni destava invece
una grande ammirazione. Il problema di base risultava concentrato nella necessità
di azionare ogni macchina utensile già presente in officina oppure da installarsi in
tempi successivi anche molto lontani, tramite un unico motore elettrico non essendo
nemmeno proponibile di dotare, come sarà normale alcuni anni dopo, ogni attrezzo
meccanico di un propulsore proprio. La risoluzione del problema venne trovata
tramite un collettore principale, in pratica un lungo asse rotante disposto, per tutta
l'estesa dell'officina, nella parte alta del muro di fondo allo scopo di ridurre al
minimo gli ingombri, fatto girare vorticosamente dal motore elettrico sito a
pavimento e da una coppia di pulegge con una lunga cinghia di trasmissione. Il
collettore era in grado, mediante altrettante coppie di pulegge e relativa cinghia di
trasmissione, di raggiungere ed azionare alternativamente, l'una o l'altra di
qualsivoglia macchina utensile comunque disposta nell'officina. La velocità di rota-
zione e la potenza impresse alla macchina venivano definite giocando sui diametri
delle due pulegge. Così la mola a smeriglio ed il ventilatore della forgia che,
richiedevano una velocità elevata ma poca potenza erano dotati di una grande puleggia al collettore e piccola in arrivo al-
la macchina, mentre per il maglio, che necessitava invece di molta potenza a scapito della velocità, si notava una dispo-
sizione invertita: piccola puleggia al collettore e grande all'arrivo.
La forgia e l'incudine.
Chiaramente anche la sola messa in moto di una macchina, che ai
nostri giorni avviene con la sola pressione di un pulsante, costituiva
allora un piccolo problema dato dalla necessità di allineare, a
motore fermo, la cinghia in cuoio sulle competenti pulegge tramite
l'uso di una scala a pioli e di verificarne, a mano, la funzionalità. Ad
un certo punto in officina fece bella mostra di sè una attrezzatura
che consentiva, cosa impensabile a quel tempo, di collegare tra di
loro in maniera indissolubile più elementi in ferro: la saldatura
autogena con cannello ad acetilene ed ossigeno in bombole. Vista
a posteriori tale modalità fa sorridere essendo stata totalmente
soppiantata dalla molto più agevole saldatura elettrica. E' vero che
unire dei ferri col cannello significava portarli al calor rosso e quindi
provocarvi delle dannose deformazioni cui doveva rimediare
l'artigiano con vera maestria, si trattò comunque di un notevole
passo avanti considerato che, prima, per saldare tra di loro gli elementi ferrosi
di una certa dimensione, come erano quelli in argomento, esisteva solo la
chiodatura che richiedeva la sovrapposizione dei due lembi da unire, la
formazione di una serie di fori ed infine l'inserimento e ri-
battitura di altrettanti chiodi a doppia testa di diametro
opportuno! L'interesse e la curiosità che destava l'officina
sui clienti e soprattutto su noi giovani che non
trascuravamo di visitarla frequentemente, era dovuto ad
un insieme di circostanze del tutto particolari date non
solo dalle spettacolari, complesse e del tutto nuove
apparecchiature appena descritte ma altresì dai
manufatti che uscivano dalle abili mani di Gasperin,
primo tra tutti il monumentale maglio che egli si era, nei
ritagli di tempo, autocostruito. Si trattava di un'attrezzatura in grado di sostituirsi alla mazza ed
incudine e facilitare quindi la modalità operativa maggiormente in uso nell'officina. Ovviamente, non
potendo disporre di alcun progetto della macchina né di elementi teorici di dimensionamento,
Gasperin, ben conscio del lavoro gravoso che essa avrebbe dovuto svolgere, si comportò
nell'unico modo consigliabile cioè nell'abbondare nella consistenza di tutte le strutture. Ne risultò un
monumentale meccanismo totalmente in ferro che alla sua ottima funzionalità aggiungeva una
spettacolarità molto apprezzata sopratutto da noi giovani che avevamo seguito la sua costruzione in tutte le varie fasi du-
rate un periodo lunghissimo. Nonostante i molti anni trascorsi è ancora viva nella mia mente l'immagine del maglio. Ri-
cordo, ad esempio, la molla che, in tutte le macchine del genere, deve essere interposta tra eccentrico di comando e
mazza battente e che, per l'occasione, era costituita da una comune balestra a fogli ricuperata da una vecchia vettura,
forse una Fiat Topolino, disposta trasversalmente e quindi chiaramente visibile sia a maglio fermo sia quando conferiva
alla mazza in rapida corsa la necessaria libertà di precipitare con tutto il suo peso sul ferro da modellare. La vista del ferro
rosso incandescente che, mosso velocemente dalle abili mani di Gasperin sotto la rapida e rumorosa successione di colpi
inferti dal maglio, prendeva velocemente forma era veramente affascinante. Del resto partecipare a tale spettacolo era
21 COME ERAVAMO
molto facile poichè l'officina prospettava direttamente sulla centralissima Via Roma tramite un largo portone sempre aper-
to e valicabile da chicchessia e grazie alla pazienza e cordialità del titolare che si compiaceva di dare a chiunque tutte le
spiegazioni chieste.
Un'altra opera che dominò per lungo tempo nell'officina è stata l'aquila semovente in ferro e rame
che avrebbe dovuto ornare uno dei monumenti che un personaggio singolare come il prof. Bressa
e di cui parlerò più avanti, intendeva costruire sul Monte Cornella. Al contrario un lavoro che, per il
fumo e l'acre odore di osso bruciato prodotti, doveva essere fatto in strada era la ferratura dei
cavalli. Si poteva allora vedere Gasperin uscire dall'officina portando con la tenaglia il ferro di
cavallo reso incandescente alla forgia e poi premerlo, ancora rovente, contro lo zoccolo tenuto in
alto dal proprietario dell'animale legato agli appositi ganci confitti nel muro esterno dell'officina, fino
a bruciacchiarlo per farvelo aderire perfettamente. Il cavallo, ben conscio del grande beneficio che
gli sarebbe derivato dalla nuova calzatura, se ne stava buono buono accettando volentieri che i
suoi zoccoli fossero incisi a caldo e trafitti dai lunghi chiodi esternamente ripiegati su sè stessi e
che erano necessari per fissarla in maniera stabile. Merita anche di essere ricordato un particolare
dei manufatti in ferro che uscivano da officine come quella di Gasperin e che riguardava il loro
modo di conservazione. Un tempo le inferriate, i parapetti ed anche i piccoli manufatti come i catenacci, i perni dei portoni
e più in genere tutti gli oggetti in ferro destinati a restare all'aperto e che, quindi, erano soggetti alle intemperie, pur non
essendo protetti da alcun rivestimento ma lasciati nello stessa identica condizione con cui uscivano dall'officina fabbrile,
si mantenevano per lunghissimo tempo senza arrugginire, al contrario assumevano, col passare degli anni, un bellissimo
ed inalterabile color ferro opaco. Nell'epoca attuale per proteggere gli stessi prodotti ferrosi non basta più nemmeno una
doppia mano di colore preceduto da una prima passata di antiruggine. Un trattamento del genere dura al massimo una
decina d'anni dopodiché comincia ad affiorare su tutta la superficie la ruggine. Ecco che per evitare l'inconveniente la co-
loritura deve essere preceduta da zincatura. Il fenomeno mi ha incuriosito per lungo tempo finchè un giorno sono venuto
a conoscerne la causa ponendo il quesito ad una persona molto anziana che
sapevo essere stato un fabbro all'altezza di Gasperin. Mi ha spiegato che la
ragione va attribuita, come era logico, alla diversa composizione del ferro, che nei
tempi andati era molto ricco di carbonio. Tale sua caratteristica facilitava la
lavorazione alla forgia e, al tempo stesso, garantiva la sua buona conservazione
anche se esposto alle intemperie. Tale tipo di metallo non viene più prodotto ed è
questa una ragione in più per apprezzare i vecchi manufatti in ferro forgiato a
mano di cui esistono ancora molti esempi anche a Quero. Per quanto riguarda la
vicenda Gasperin resta da raccontare la parte meno bella. Col passare degli anni
la sua arte artigianale è stata sacrificata sull'altare del progresso tecnologico e
specificatamente della materia che più di tutto lo rappresenta cioè della benzina
alla cui vendita, in seguito, si dedicò egli stesso. Nessuno portava più cavalli a
ferrare. Occorrendo un piccone, un martello, un catenaccio o uno qualunque dei
meravigliosi elementi da usarsi per inferriate, ringhiere, attrezzi di lavoro di
qualunque tipo, non lo si faceva più forgiare a mano da Gasperin ma lo si
comprava in negozio a modico prezzo perchè costruito in gran serie. Alla fine
l'officina fabbrile dovette chiudere i battenti.
Mi capitò spesso, facendo rifornimento per la mia auto nel distributore gestito da
Gasperin e vedendo il bravo artigiano impegnato, come sempre con grande
serietà, nella nuova banale attività, di riflettere sui molti guasti che il progresso
tecnologico, per molti versi fonte di grandi benefici per tutti, per altri versi ha
invece provocato. La società moderna si differenzia da quella di 50 anni fa proprio
in questo: le nuove generazioni riescono a seguire l'incalzare frenetico delle innovazioni tecnologiche molto meglio di
quelle precedenti perchè non possiedono nulla di tradizionale che varrebbe la pena di difendere, di conservare così co-
m'era, ad esempio, la vera e propria arte artigianale di Gasperin. Il loro patrimonio personale è invece estremamente vo-
latile destinato com'è ad essere in breve sostituito da quello nuovo ed incalzante con una progressione di tipo esponen-
ziale e quindi sempre più rapida. Si potrebbe dire che le nuove generazioni, quando imparano una cosa nuova, lo fanno
col beneficio dell'inventario in quanto, conoscendo perfettamente la sua provvisorietà, sanno che non val la pena di ap-
profondirla oltre un certo limite.
Il fenomeno é aggravato dall'eccessivo uso dei
telefonini personali che stà provocando una ulteriore
profonda trasformazione nelle abitudini della
moderna gioventù. Oggi non occorre programmare la
propria vita, relazionare, scrivere, organizzare
riunioni per discutere i vari problemi: tutto può essere
sistemato con una telefonata fatta all'ultimo minuto!
Una volta adottate, queste regole diventano una
comoda base da applicare comunque e dovunque,
anche se a sproposito e finiscono quindi per
provocare danni irreparabili. Ne è un chiaro esempio
il matrimonio tra giovani che, essendo considerato fin
dal suo inizio anch'esso una avventura momentanea,
transitoria, da prendere alla leggera, finisce troppo
spesso per naufragare.
Nelle foto, dall’alto: Chechi, padre di Gasperin,
fabbro a Quero in Via Roma, con la moglie Catina
per molti anni postina a Quero; Alcuni dei capolavori artigianali che uscivano dalle abili mani di Gasperin; Gasperin nel
1957 al lavoro per la costruzione della diga di Valsisenche a 1700 metri di quota in Val d'Aosta; Queresi nel cantiere di
costruzione della citata diga. L'ultimo in alto sulla destra è Gasperin.
22 lettere al tornado
cronaca
Presepe
a
Campo
di Placido Mondin
Anche la Parrocchia di Campo
quest’anno ha avuto il suo presepe
artistico.
L’auspicio è che questa iniziativa
prosegua anche negli anni a venire.
Un caloroso grazie a Don Tiziano
Piovan, Parroco di Campo, a Piero
Piccolotto, Ivan Gnesutta, Sergio
Benato, Valentino Tessaro e
Giuseppe Carelle.
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