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Utopia e comunit: resoconto di un percorso per riaprire il futuro Si sono conclusi gioved scorso gli incontri organizzati dallAssociazione

Odradek XXI intitolati Percorsi per riaprire il futuro, con una conferenza tenuta dal prof. Mauro Farnesi Camellone, dedicata al pensiero di Ernst Bloch. questa loccasione per tirare le somme, per riprendere ci che emerso nel corso delliniziativa, e per domandare in che modo il pensiero utopico di Benjamin, Adorno e Bloch possa incidere sul presente, possa invitare alla sua trasformazione. Il punto di partenza e il punto di approdo infatti, quando si affronta un percorso genealogico, sempre il presente, le possibilit che esso nasconde: guardare indietro per ripensare il presente e, appunto, riaprire il futuro. Una chiave di lettura per i quattro incontri si deve trovare allora a partire dallo strano paradosso che affligge il presente: pi si estendono e si intensificano gli strumenti di comunicazione, pi si restringono e si atrofizzano gli spazi concreti dincontro e di dialogo efficace, capace di incidere sul reale e di ripensare la societ. Lo scambio (di merci, di informazioni, di convenevoli) dappertutto, ma dappertutto astratto: si limita a riprodurre se stesso senza diventare motore della costruzione di una comunit. Comunit, appunto. Occorre precisare che la comunit non la societ: la societ il vincolo che unisce oggettivamente i soggetti, la comunit lessere-insieme che riflette sulla natura del vincolo, e dunque lo coglie come qualcosa che deve essere sempre nuovamente vivificato. La societ, il vincolo, sembra fondarsi oggi sullo scambio come condivisione dellinessenziale, del banale: proprio per questo, oggi, molti cercano di costruire o ricostruire comunit. La ricerca di comunit (lappello al bene comune, le battaglie locali, la difesa delle tradizioni e del territorio) sembrerebbe a prima vista, al di l delle valutazioni politiche, un dato umanamente positivo: gli uomini riscoprono e riattivano modalit pi autentiche dellessere-insieme. Eppure il pensiero utopico introduce proprio qui una distinzione importante: ci sono almeno due modi di costruire comunit, e uno non vale laltro. Il primo modo di fare comunit, quello che abbiamo appena citato, riflette il proprio vincolo allindietro, nella dimensione tradizionale contrapposta a quella moderna, nella dimensione locale contrapposta a quella globale, sottraendosi alla logica dello scambio pervasivo tramite lancoramento al territorio: procede dunque per chiusura e per esclusione. Laltro modo di fare comunit, invece, riflette il proprio vincolo non allindietro, ma verso lavanti. Sarebbe la comunit aperta. Il percorso per riaprire il futuro diventa allora unoccasione per dare forma a questa domanda: come si costruisce una comunit aperta, dove il vincolo tra soggetti si rifletta verso lavanti, in direzione non della trascorsa et delloro ma di un altro mondo ancora possibile? Proprio questa lutopia messa a giorno nelle quattro lezioni al Liceo Arnaldo, dedicate a tre pensatori che hanno segnato, in modo diverso il (trascorso?) secolo delle utopie. Seguiremo ciascun incontro come fosse un tassello per rispondere a quella domanda pressante. Il primo criterio per una comunit aperta un modo, una maniera, uno stile per pensare: il pensare per costellazioni di Walter Benjamin, spiegato dal prof. Giovanni Gurisatti. Il pensiero di Benjamin nasce da uno choc al quale siamo ancora tutti quanti sottoposti: lo choc della modernit come metropoli, dove lesperienza del singolo si frammenta, sottoposta a stimoli contraddittori e pervasivi. Cos il mondo del soggetto a frammentarsi e restano due alternative: o rinunciare a pensare, rinunciare a comprenderlo (giacch il pensiero avrebbe bisogno di una prospettiva unitaria), o mettersi allaltezza della frammentazione, della frantumazione in molteplici prospettive, imparando a costruire costellazioni. Si tratterebbe di un metodo, ma un metodo che non presuppone laccesso garantito alla verit. Si tratterebbe di unarte interpretativa, ma che non presupponga il senso. Si tratta invece di far apparire il senso come nesso tra punti luminosi: costellazione. La prima condizione per una comunit aperta sarebbe allora che i soggetti che vogliono fare comunit si mettano allaltezza della frammentariet del mondo, imparino che lassenza di una via garantita per accedere al vero non giustifica la rinuncia a trasformare il mondo stesso. E nemmeno la rinuncia alla verit. Il secondo criterio, che nasce e si sviluppa in relazione al primo, una teoria. Parola invero poco amata, e che sembra a tutta prima in contraddizione con quanto abbiamo affermato: la domanda di Adorno , secondo quanto esposto da Mario Farina nel secondo incontro, come si fa teoria di un mondo frammentario, cos colpito dalla famigerata perdita di senso? La teoria di Adorno una

teoria che si aggira intorno al proprio scacco: intorno allimpossibilit di cogliere il mondo come un tutto coerente, come un intero. Si tratta quindi di una teoria negativa, che non intende dettare la linea, ma solo mostrare quali conseguenze la frammentazione e la perdita abbiano sui soggetti, su di noi. Proprio in quanto il tutto che qui il tutto come insieme delle relazioni sociali ed economiche non pu essere colto e compreso come totalit, esso continua a determinare i nostri atti, le nostre scelte, e finanche i nostri pensieri, anche l dove crediamo di essere pi autentici, pi liberi, pi nostri. La teoria negativa consapevolezza: cos importante per costruire una comunit perch ci ricorda che ogni noi (come ogni io) anche laddove si intende pi autentico, anche laddove si crede pi libero, proprio perch essenzialmente sociale (e non potrebbe non esserlo) anche sempre vincolato ad una dimensione storica ed economica che lo precede e lo determina. La teoria negativa o teoria critica insegna allora, in vista delleventuale e mai progettabile costruzione di una comunit, che il margine che rimane per essere davvero liberi gi impercettibile, e si assottiglia sempre di pi. Ma non servirebbe a nulla se non dicesse anche, almeno sottovoce, che quel margine non deve smettere di essere inseguito. Il terzo criterio per costruire una comunit aperta unestetica. Lestetica non qui il belletto, la cosmesi o la degustazione, ma una sintesi dei due momenti precedenti. Se il mondo ridotto a frammenti e la frammentazione colpisce noi stessi, rendendoci in qualche misura sempre falsi, sempre condizionati nelle nostre azioni, occorre trovare in cosa consista quel margine di cui sopra: occorre delineare una prassi dellincontro con loggetto diversa da quella che lo afferra identificandolo (oggetto qui significa anche e innanzitutto laltro umano in quanto esso oggetto per me). Com-prendere (cum-prendo) significa infatti afferrare, capire significa catturare (da capio) latto con il quale conosciamo ci che ci sta intorno, insomma, sempre un atto di forza, volto ad assimilarlo a noi. Con questi presupposti chiaro che nessuna comunit potr essere aperta, perch dovrebbe ridurre sempre laltro che incontra alle sue categorie, alle sue forme, alle sue tradizioni. Ma c una sfera dellesperienza importante che si sottrae a questa dinamica dellafferramento, lesperienza estetica, lesperienza della bellezza. Larte, dice Adorno nella lezione tenuta da Giovanni Matteucci, ci d un exemplum di incontro con loggetto (culturale e non solo) che non sbocca in una cattura, in una presa che annulla lalterit. La bellezza, proprio perch sfugge alla presa del pensiero concettuale, insegna che non tutto pu essere identificato, che non tutto pu essere assimilato e ridotto alle nostre categorie: lesperienza estetica come un fuoco dartificio, una fulminea illuminazione il cui senso ci sfugge, ma che nondimeno ci colpisce, e, anche se solo per un istante e in modo enigmatico, esiste e ha valore. Diventa pi chiara la distinzione tra la comunit chiusa e la comunit aperta: la prima non agisce in fondo in modo diverso dalla forza omnipervasiva cui tenta di sottrarsi, conosce solo la falsa alternativa tra assimilazione ed esclusione; la seconda, la comunit rivolta verso lavanti, dovrebbe invece imparare a incontrare laltro lasciandolo valere nella sua differenza, facendo tesoro di ci che insegna lesperienza del bello. Lultimo criterio di natura differente rispetto ai primi tre. come il basso continuo che li attraversa e li unifica tutti, come il rimando segreto che li anima e li dirige. Un modo di volgersi eliotropico, come i girasoli si volgono al sole. Per esperienza, bene notarlo, molto pi facile costruire una comunit rivolta allindietro, poggiante su valori saldi e radici comuni (documentate o inventate di sana pianta fa poca differenza), su unidentit e su un territorio: ci risponde in fondo al desiderio di tornare bambini, quando lo stare insieme non richiedeva ancora di essere allaltezza del futuro. Soprattutto, sottrae allangoscia consistente nel fatto che del domani non c certezza. Per questa stessa ragione, la comunit aperta apparsa raramente nella storia, e sempre come un fuoco dartificio, che appare e scompare lasciando lanimo perplesso: difficile accettare il peso di una storia sentita come apertura, come possibilit. gravoso vivere sapendo che si potrebbe vivere meglio e diversamente, ma non si allaltezza del futuro che spetterebbe di diritto. Eppure senza speranza, dice Ernst Bloch, intesa non come illusione, come vuoto presagio, come superstizione, ma come pratica che ricerca innanzitutto le condizioni di possibilit del cambiamento a partire dal modo in cui il mondo stesso esperito e incontrato quotidianamente e come sentimento

di un orientamento, di una direzione fondamentale da far assumere alla storia, non c comunit che tenga, lessere-insieme a divenire impossibile. La differenza tra le due comunit, in conclusione, passa per un diverso modo di volgersi: costruire una comunit aperta significa innanzitutto trasformare se stessi, il modo di agire e il modo in cui si conosce e si fa esperienza del mondo, ricordando sempre che non pi possibile tornare nel circolo rassicurante della fine della storia. Tutto quello che avviene ha ormai una direzione, va verso qualcosa: la storia aperta e, volenti o nolenti, noi ne siamo parte. Si tratta di assumere la decisione di essere allaltezza del futuro. Matteo Settura

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