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Pratiche curatoriali: allegoria delle origini

Giovanni Iovane

La prima mostra darte contemporanea si tenne nella basilica di San Lorenzo, a Firenze, il 14 luglio del 15641. In quella data si celebrarono i solenni funerali del divino Michelangelo. Apparentemente si trattava di un one man show ma, in realt, si rappresent la prima mostra collettiva a tema; un tema il cui corpus principale era il corpo di un morto. La cura di quellevento divenne, subito dopo, un modello per le fastose e allegoriche celebrazioni funebri di grandi personaggi (e tra questi, oltre al clero e allaristocrazia cominciarono a rientrare anche i grandi artisti). La pratica e la progettazione di questo tipo di cerimonia funebre cominciarono, proprio a Firenze, ad avvalersi di resoconti scritti e stampati, di cataloghi a memoria dellevento ma soprattutto a descrizione e rappresentazione del processo e della procedura funebre.

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La basilica di San Lorenzo deve gran parte della sua struttura ai progetti di Brunelleschi e, genealogicamente, pu essere considerata il modello originario del White Cube moder2 nista . Brunelleschi, infatti, organizz gli spazi lungo lasse mediano della basilica (a croce latina e a tre navate) applicando e ripetendo un modulo regolare, con la base di circa 6 metri e mezzo. Tale modulo regolare sviluppava una serie di cubi immaginari sormontati da altrettante campate. In questo spazio razionale e geometricamente ordinato la celebrazione e la cerimonia funebre inaugurarono un modello di spazio espositivo per le opere darte. Un modello fondato sullallegoria della morte e, insieme, sulla paradossale consacrazione delleternit della figura dellartista e della visibilit della sua opera. Questo aspetto, o meglio questa nascita particolare della pratica espositiva occidentale, tra rituale funebre e aspirazione alla trascendenza, segna ancor oggi il senso e la necessit di una mostra darte e con essi la relazione tra opera darte e museo o galleria. Michelangelo muore nella sua casa romana alle cinque del pomeriggio del 18 febbraio 1564. Suo nipote Leonardo giunge a Roma tre giorni dopo, quando il corpo del non ancora divino artista era stato posto nella chiesa dei Santi Apostoli. Su istigazione di Giorgio Vasari, Leonardo trafuga il corpo, lo imballa con tessuti e lo spedisce a Firenze. Il cadavere giunge alla dogana di Firenze il 10 marzo e il 18 accolto in Santa Croce. Gli organizzatori principali del rapimento e delle successive celebrazioni funebri di Michelangelo a Firenze, furono il priore dellOspedale degli Innocenti, Vincenzo Borghini, e lartista, architetto e storico dellarte Giorgio Vasari. Vasari era stato, tra laltro, il fondatore nel 1563

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dellAccademia del Disegno, di cui Michelangelo era stato nominato nume tutelare. Sar proprio lAccademia del Disegno a progettare e realizzare le solenni, fastose e allegoriche esequie. E sono gli artisti dellAccademia i primi ad ammirare, a lume di torcia, il corpo incorrotto del divino artista in Santa Croce (un segno tangibile di tale divinit era dato proprio dal fatto che il cadavere di Michelangelo non si era trasfigurato nonostante il tempo trascorso dal giorno della sua morte e nemmeno a causa del gran caldo che le cronache dellepoca riportano). Dopo quellispezione notturna, Vasari scrive a Leonardo che le esequie si terranno a Pasqua e che, in accordo con il duca Cosimo de Medici, tali funerali saranno qualcosa che n papi, imperatori o re hanno mai avuto (ma n Cosimo n il figlio Francesco parteciperanno ai funerali). Gli artisti dellAccademia del Disegno non si mostrarono uniti nellideazione del progetto iconografico degli apparati funebri e, soprattutto, nellannosa disputa che vedeva opposti e conflittuali i partigiani della pittura contro quelli della scultura. Tali dissidi, rancori e gelosie riguardanti la preminenza spaziale e soprattutto visiva delle allegorie della pittura e della scultura (altro peccato originale che non sar completamente emendato nemmeno dalle moderne e contemporanee installazioni) allinterno della macchina espositiva funebre, rallentarono notevolmente la celebrazione delle esequie che si tennero, alla fine, il 14 luglio del 1564 in San Lorenzo. Ricapitolando gli elementi della vicenda fin qui accennati: Michelangelo, il pi grande artista dellepoca muore a Roma. Appena viene a conoscenza del decesso, Vasari avverte il duca Cosimo dellopportunit di seppellire, con solenne cerimonia, lartista a Firenze, suo luogo natale in modo da restituirlo cos al suo contesto naturale, culturale

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ed estetico. Cosimo dapprima restio (in fin dei conti, Michelangelo ha lasciato incompiuto il suo lavoro a San Lorenzo e soprattutto nelle adiacenti tombe medicee e alla Biblioteca Laurenziana) ma subito dopo, consapevole di restituire a Firenze il suo artista pi grande, d mandato a Vasari e Borghini di organizzare le esequie. Il nipote ed erede di Michelangelo, Leonardo, si presta immediatamente al trafugamento della salma e, dopo averla accuratamente imballata in pi o meno preziose pezze, la spedisce a dorso di mulo a Firenze. Il trasporto del cadavere dura relativamente poco, ma ancor di pi dura la preparazione del funerale da parte della neonata Accademia del Disegno (fondata nel 1563 come alter ego istituzionale dellaccademia di Lorenzo de Medici sorta nel giardino di San Marco circa un secolo prima e di cui aveva fatto parte il giovane Michelangelo). In tutto questo lasso di tempo, il corpo di Michelangelo non mostra segni di decomposizione, almeno sino alla prima ispezione a lume di candela in Santa Croce. San Lorenzo era il luogo di sepoltura della famiglia Medici e il fatto che desse ospitalit a Michelangelo stabiliva una equivalenza tra il principe e lartista (e difatti gli Accademici ambirono in seguito alla cerimonia funebre in San Lorenzo). Il motivo della adiacente cappella medicea, progettata da Michelangelo, era il tempo che consuma il tutto (cos come riportato da Ascanio Condivi). Il tema o il motivo delle grandi esequie di Michelangelo era leternit; uneternit di natura allegorica e ideologica, per cos dire. Nella sua orazione funebre, dal pulpito di Donatello in San Lorenzo, lumanista Benedetto Varchi afferm che leredit del divino Michelangelo non sarebbe andata perduta o consumata, giacch lAccademia del Disegno, sua naturale erede, ne avrebbe conservato e tramandato il magistero.

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Inoltre, sempre secondo Varchi (in un discorso di una lunghezza estenuante, stando ai testimoni presenti), non ci si doveva rammaricare della scomparsa dellartista poich essendo la morte privazione, poich il tempo produce e genera nulla, nulla si consuma o si corrompe. Laura delleternit, conosceva cos la sua prima applicazione processuale e retorica alla fine della parabola rinascimentale per trovare poi successiva applicazione, secoli dopo, nel White Cube modernista. Tuttavia, a Varchi, per inciso, il suo retorico sillogismo non port molta fortuna visto che, lanno dopo le esequie di Michelangelo, mor. Il 14 luglio, San Lorenzo presentava al suo interno uno spettacolare allestimento funebre. Le cappelle laterali erano state oscurate con grandi drappi neri. In ciascuno di questi 3 black box vi erano posti dipinti che celebravano la vita e la grandezza di Michelangelo. Il contrasto tra il biancore della pietra serena e le cappelle oscurate con i drappi memento mori , oltre a offrire un immediato effetto spettacolare, introduce un elemento patologico alla vista di uno spazio ordinato, regolare e soprattutto neutro. Lo spazio oscurato a lutto delle cappelle, con le loro historie di Michelangelo, sembrano curiosamente anticipare le oscurate sale dove da qualche decennio si proiettano video o film allinterno di pi o meno neutrali spazi espositivi. La volont di virare al nero una stanza allinterno di un cubo bianco, oltre che per motivi tecnici, si potrebbe ricondurre a una idea di morte o di malattia insita proprio nella simmetria e nellordine delleterno del White Cube, che come noto si presenta come uno spazio al di l del tempo e dello spazio sociale. La presentazione incontaminata e neutrale dellesperienza proprio delle opere possiede, sin dal suo incunabolo cinquecentesco, la sua forma contraria e patologica.

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Una patologia di cui fu vittima il direttore del MoMA, Alfred Barr, quando durante gli ultimi suoi anni di vita aveva gli occhi cos affaticati da non cercar pi conforto nel sereno White Cube del museo ma nella propria stanza da letto interamente dipinta di nero4. Il pezzo forte comunque delle esequie michelangiolesche era il grande catafalco (alto circa 16 metri e mezzo) con base quadrata su cui poggiava una piramide con alla som5 mit una Fama. Il grande catafalco posto dinanzi laltare maggiore era adornato da statue, dipinti e cartigli il cui programma iconografico era stato completato dallAccademia del Disegno non senza conflitti, diatribe e ricerche di sofisticate allegorie. Inizialmente si era pensato che fossero i maestri dellAccademia a realizzare queste opere ma poi si affid gran parte dei lavori ai giovani artisti (sembra certo invece lintervento del Vasari e di Alessandro Allori per le rappresentazioni dei morti o degli scheletri, a testimonianza di quanto la rappresentazione della morte richiedesse esperienza e magistero estetico). Le installazioni temporanee dei giovani artisti fiorentini (Il duca Cosimo aveva promesso che le sculture sarebbero state colate in bronzo ma ovviamente, passata la festa, non se ne fece nulla e tutte quelle fragili strutture di cartapesta andarono distrutte) celebravano una forma di eternit, quella dellartista, del principe e di Firenze, che invece di sottrarsi alla morte ne organizzava la rappresentazione e il decoro; anzi ne stabiliva una prassi espositiva. Qualche giorno dopo i funerali, anche le opere pittoriche furono stipate in una stanza di San Lorenzo in attesa di collezionisti che nonostante il grande successo di pubblico della cerimonia praticamente non vi furono. La temporanea esposizione dei funerali di Michelangelo, nonostante il suo carattere effimero e nonostante il falli-

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mento economico della tentata vendita delle opere, serv successivamente da modello, per lAccademia del Disegno che circa un secolo dopo cominci a organizzare esposizioni di arte contemporanea nella Cappella di San Luca, sintomaticamente adiacente al Chiostro dei Morti, nella chiesa della Santissima Annunziata sempre a Firenze6. Anche in questo caso, e negli anni successivi agli inizi del Settecento sotto Ferdinando de Medici, si trattava di esposizioni temporanee con opere di giovani artisti talora messe a confronto con opere di antichi maestri. La durata di queste esposizioni raggiunse nel Settecento la durata di sette giorni e prevedeva anche la stampa di un catalogoelenco delle opere in mostra. Francis Haskell riassume in tre parole il senso e lintenzione di questo tipo di esposizioni: celebrazione, sfoggio, 7 commercio . Il problema posto da questi primi modelli espositivi occidentali riguarda anche la natura e la funzione dello spettatore; dellocchio dello spettatore. Sia durante la ronda notturna, illuminata dalle torce in Santa Croce (durante la quale sia gli Accademici che un vasto pubblico attirato dal passaparola, osserva, ispeziona la salma di Michelangelo) che in misura ancora maggiore durante le esequie in San Lorenzo, gli spettatori sono in gran copia. Il regime estetico del tempo dei funerali di Michelangelo (prendendo a prestito la definizione da Jacques Rancire) prevedeva una organizzazione dellesperienze sensibile radicalmente differente da quella neoplatonica in voga nel giardino di San Marco di Lorenzo de Medici (1459). Vasari e Borghini, in accordo politico con Cosimo de Medici, volevano ri-presentare e ri-allestire temporaneamente quel particolare tipo di accademia ma

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ora, tuttavia, si passa dallordine simbolico a un ordine allegorico. Le immagini e gli apparati, racchiusi nel programma iconografico, sono svincolati da qualsivoglia genealogia cos come sono completamente sterilizzati da qualsiasi contatto con la realt, la vita. Da archetipi si mutano in tipi, disposti, nel catafalco ad esempio, secondo un ordine verticale base, piramide, Fama e uno orizzontale formato dalle basi quadrate adornate da statue, dipinti e cartigli poetici. Il contesto architettonico razionale di San Lorenzo (progettato pi di un secolo prima da Brunelleschi) viene trasformato in un grande dispositivo di esclusione dalla realt esterna in cui il tempo viene annullato, e la storia per immagini del grande artista ha lo stesso valore della statua che raffigura il fiume Arno o della Fama che in una mano stringe tre trombe e nellaltra tre corone. La grande sintesi o riduzione allegorica , essenzialmente, una questione di tempo. Quasi un secolo prima, sempre a Firenze sotto Lorenzo de Medici, Poliziano, con lOrfeo (o la Fabula di Orfeo), delimitava malinconicamente nel tempo, la legge inesorabile della morte (Ogni cosa nel fin a voi ritorna / ogni vita mortale a voi ricade). Le allegorie, introdotte da Vasari e dallAccademia del Disegno, in accordo politico e sociale con il duca Cosimo, spostano, riducono la morte in una artificiale e scenografica eternit. Una illusoria eternit di una reale configurazione storica allestita in uno spazio espositivo temporaneamente fuori del mondo, neutro e neutralizzato anche dalle immagini e dalle parole pronunciate delloratore ( esattamente il contrario di quanto lo stesso Poliziano scriveva quanto io veggio aperta la terra per inghiottire e corpi nostri [ ... ] io non ardisco pure daprir la bocca). In tutta questa vicenda che si racchiude tra la morte di

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Michelangelo e i suoi funerali solenni, una questione di morte e di corpi morti, il tempo gioca un ruolo determinante. La relativa velocit temporale per la quale il corpo di Michelangelo viene portato da Roma a Firenze si consuma nei rinvii, nei conflitti, nelle distrazioni, molto fiorentine e italiane, che sospendono questo corpo traslato per diversi mesi, sino al suo sfoggio, celebrazione e commercio allinterno della Chiesa della dinastia regnante8. Vasari, e con lui lAccademia del Disegno (oggi diremmo gli art producers), intendono educare locchio dello spettatore attraverso dispositivi estetici, cerimoniali e celebrativi, tutti di natura allegorica. Sulla relazione tra allegoria e modernit (e morte) ha scritto molto e bene Walter Benjamin. Un frammento dai suoi Passages, pu essere preso, ovviamente, a emblema dellallegoria applicata al dispositivo espositivo inaugurato a Firenze il 14 luglio del 1564. Si tratta di una citazione di Baudelaire a proposito del Salon del 1864 e dellinterpretazione allegorica della moda maschile moderna: Quant lhabit, la pelure du hros moderne [ ... ] nest-il pas lhabit ncessaire de notre poque, souffrante et portant jusque sur ses paules noires et maigres le symbole dun deuil perptuel ? Remarquez bien que lhabit noir et la redingote ont non-seulement leur beaut politique, qui est lexpression de lgalit universelle, mais encore leur beaut potique, qui est lexpression de lme publique ; - une immense dfilade de croque-morts, croquemorts politiques, croque-morts amoureux, croque-morts 9 bourgeois. Nous clbrons tous quelque enterrement . Benjamin assegna al grottesco questa recensione allegori10 ca di Baudelaire a margine del vernissage del Salon del 1864. Certamente si tratta di un esempio di quello che Erwin

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Panofsky ha chiamato pseudomorfosi, ma le concordanze allegoriche, persino grottesche, tra il senso della morte e delleternit nei funerali di Michelangelo e il deuil perptuel (il lutto perpetuo), limmense defilade di croques-morts politiques, croque-morts bourgeois (limmensa sfilata di becchini-politici, becchini-borghesi) descritta da Baudelaire, sino al suo lapidario noi celebriamo tutto quello che tumuliamo, fanno pensare al riproporsi di un medesimo meccanismo o modello; un modello che si espone. Una esposizione dello schema allegorico comporta, dunque, una spazializzazione del tempo e lintroduzione di una apparente autonomia (dellimmagine artistica) e la apparente eternit dellopera darte esposta (e della figura dellartista). Concretamente sar invece lAccademia (e poi il museo, lo spazio espositivo) il garante e il conservatore della storicizzazione, sub specie aeternitatis, dellopera e della sua esposizione. In realt, la natura illusoria dellallegoria, perseguita e programmata dalle Accademie, trasforma, o sarebbe meglio dire, sotterra loggetto darte (allestito, la prima volta, intorno a un corpo morto in San Lorenzo) celebrandolo come merce senza tempo. Il valore duso dellesposizione unisce quella che sempre Benjamin definirebbe fantasmagoria al controvalore del feticcio. E se allepoca della mostra funeraria michelangiolesca il progetto iconografico e lallestimento producevano una aspettativa estetica in cui larte aveva infinitamente pi tempo a disposizione dei procedimenti tecnici, durante il periodo dei Salon larte comincia a non tenere pi il passo della tecnica: diventa pensabile la possibilit che larte non trovi pi il tempo di inserirsi in qualche modo nel proces11 so tecnico .

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La recensione funeraria allegorica di Baudelaire al Salon del 1864 non riguarda la macchina espositiva ma il pubblico del vernissage; la marsina dellosservatore e il suo corpo assente. Ci sono voluti circa tre secoli affinch il modello allegorico funerario di Vasari si trasferisse dallo spazio espositivo al pubblico creando finalmente la sua sensibilit e la sua attitudine estetica. Il pubblico ora il brillante e cerimonioso becchino del corpo morto dellarte. Il progetto plurisecolare di questa particolare educazione estetica (cos come lestetica stessa alle sue origini) si forma e si presenta come discorso intorno a un corpo assente o tumulato. Nascosto dal grande catafalco o celato dalluniforme, dal frac, dallabito da cerimonia. Lo sguardo allegorico pu vedere o persino consumare soltanto immagini od 12 oggetti morti, immobilizzati . Daltra parte, un corpo assente leggendariamente allorigine della pittura (i contorni dellombra) e della scultura. La variante allegorica del corpo morto e, in seguito, dellabito da cerimonia, diviene persino oggetto allegorico (della figura dellartista), nelle opere feticcio di artisti come Marcel Duchamp e Joseph Beuys. Il gilet di Duchamp o labito di feltro di Beuys rimandano allegoricamente al corpo assente e inanimato dellartista. Nel punto morto (deadlock) del linguaggio agisce una inversione di senso del noto proverbio labito non fa il monaco. Nel punto morto dellopera, losservatore si espone a una fissazione estetica o meglio, parafrasando Freud, una fissazione al trauma delloggetto estetico, nella sua qualit di 13 feticcio (di oggetto inanimato) . Il peccato originale delle pratiche curatoriali occidentali risale a quella grande e allegorica celebrazione funebre

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tenutasi a Firenze in onore del divino artista con il quale, secondo Vasari e la storiografia artistica dellepoca, si seppelliva la grande storia dellarte cominciata con Giotto. Dopo Michelangelo non sarebbe stata possibile altro che una maniera sub specie aeternitatis. Quel modello espositivo, insieme al progetto iconografico di natura allegorica, si fondava essenzialmente sulla spazializzazione del tempo e sulla mercificazione dellopera darte. La presentazione e la disposizione del catafalco e dei quadri nelle oscurate cappelle laterali erano frutto di un meccanismo, di un dispositivo che mirava a proiettare, su uno sfondo eterno, le storie riguardanti lartista appena defunto; tuttavia non era questa costellazione di immagini a garantire leternit ma listituzione (lAccademia). In un certo senso (estetico), lesposizione di opere darte in occidente nasce come una forma oggettuale di parafilia. Una surrogazione delloggetto estetico oltre o al di l del corpo morto dellartista. Questa attitudine estetica trova il suo compimento e la sua ri-proposizione durante il Modernismo attraverso lideologia e la pratica del White Cube. In questo spazio neutro, bianco, razionale, senza finestre, sacro come una chiesa o addirittura come una tomba egizia si ripropone spettralmente loriginaria cerimonia funebre fiorentina e con essa lintenzionale azione surrogatoria della morte in illusoria eternit. Ovviamente il regime estetico, dalla Firenze della seconda met del Cinquecento alla prima met del Novecento radicalmente mutato. Nella sua accezione approssimativa e generalizzante (a cui non pu sfuggire questo breve testo allegorico) potremmo individuare nellallegorizzazione dello sguardo nel pubblico dei vernissages dei Salon il trasferimento di questo apparato visivo e ideologico dai producers alla figura attiva e partecipativa dello spettatore. Cos

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come, secondo Jaques Derrida, nelluniverso delle merci si aggirano degli spettri, allo stesso modo, nelle cerimonie espositive allinterno dei white cubes (ma anche nelle grandi e contemporanee manifestazioni biennali, triennali e quadriennali) si aggirano fantasmi talora suscitati intenzionalmente dagli artisti, come sintomaticamente accaduto per gli abiti di feltro di Beuys. La domanda, che sfugge costantemente alla sepoltura definitiva, riguarda, anche e soprattutto oggi, il perch e la necessit di una mostra e la sua spettrale connessione originaria con la morte. Nel suo ultimo libro, The Ephemeral Museum. Old Master Paintings and the Rise of the Art Exhibition (Yale University, 14 2000) , Francis Haskell dedica un intero capitolo alla apparente inutilit delle grandi mostre (e soprattutto sulla pericolosit dei viaggi dei capolavori da un museo allaltro in occasione di spettacolari e mai complete parades). Con sofisticata ironia, il grande storico dellarte cita proprio al termine del suo libro, la morte del romanziere Bergotte dopo la visita a un museo parigino per ammirare la celebre Veduta di Delft di Vermeer (prestata per loccasione dal 15 museo dellAja) . Haskell ricorda come il personaggio di Bergotte, e soprattutto la sua morte, sia stata per lautore della Recherche, Marcel Proust, una sorta di auto-allegoria. Nel 1921, Proust ormai gravemente malato (morir lanno seguente), alle 9.15 del mattino del 24 maggio esce eccezionalmente di casa per andare a visitare una mostra in cui era presente la celebre Veduta di Vermeer; unopera che aveva profondamente ammirato venti anni prima al Mauritshuis. Tornato a casa, debolissimo e ancora in preda alle vertigini, Proust completa lepisodio della morte del romanziere di successo Bergotte aggiungendovi la celebre immagine del piccolo

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lembo di muro giallo allinterno della Veduta di Delft. Bergotte muore rotolando in terra dal proprio divano e lautore della pi grande cattedrale dedicata al tempo, La Recherche, chiosa: Era morto. Morto per sempre? Chi pu dirlo?. Haskell adopera questa doppia vicenda per rimarcare il carattere illusorio delle esposizioni darte non permanenti, in altre parole sulla futilit delle mostre temporanee che esaltano la falsa irripetibilit di qualcosa che pu essere visto solo in occasioni eccezionali (il cosiddetto e ancora attuale evento). Tuttavia, quellesclamazione proustiana Mort jamais ? sembra proprio essere lo spettro sonoro di un antico funerale fiorentino.

Sui funerali di Michelangelo Cfr. The divine Michelangelo: the Florentine Academys homage on his death in 1564, a cura di Rudolf e Margot Wittkower, (Phaidon Press, London 1964) e Andrea Gareffi, La morte in scena: Le Essequie del divino Michelagnolo in La scrittura e la festa (Il Mulino, Bologna 1991), pp. 243-302. A questi due testi sono debitore di tutti i riferimenti e le descrizioni. 2 Cfr. Brian ODoherty, Inside the White Cube. The Ideology of the Gallery Space (University of California Press, 2000). 3 Lautore delle Esequie del divino Michelagnolo Buonarroti (Giunti,

Firenze, 1564) notava che queste rasce nere appiccate, non come si suole alle colonne del mezzo, ma alle cappelle, offrivano una veduta migliore, ribattendo in quel nero il sereno delle colonne. Cfr. la ristampa anastatica commentata da Margot e Rudolf Wittkower, op. cit., p. 106. 4 Cfr. Riccardo Venturi, Black Paintings. Eclissi sul modernismo (Milano, Electa, 2008). 5 Il progetto originario di questo catafalco riproduceva il modello della tomba medicea nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo. Alla reduplicazione dellarchitettura funeraria michelangiolesca fu poi preferita, per esigenze di

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tempo e forse concettuali, un dispositivo piramidale. 6 Cfr. Francis Haskell, The Ephemeral Museum. Old Master Paintings and the Rise of the Art Exhibition (Yale University, 2000); trad. it., La nascita delle mostre, (Skira, Milano, 2008) p. 27. 7 Francis Haskell, op. cit., p. 30. 8 La grande vendetta artistica di Michelangelo in vita, nei confronti dei Medici, stata quella di aver lasciato molto di incompiuto in San Lorenzo per mancanza di tempo. 9 Walter Benjamin, I Passages di Parigi, trad. it. (Einaudi, Torino) vol. I, p. 303. 10 I Salon parigini, sino al 1890, erano lesposizione ufficiale darte contemporanea organizzata dallAccademia di Belle Arti ed erano il pi grande evento artistico, annuale o biennale, dellarte occidentale. I loro vernissages notturni furono occasione per caricaturisti come Daumier o per le recensioni di Diderot e Baudelaire. 11 Walter Benjamin, op. cit., p. 179. 12 Cfr., per ci che riguarda, ad esempio, la fotografia e la pratica estetica della mortificazione, Slavoj i ek, The Plague of Fantasies, (Verso, London, 1997) p. 108: It is deeply significant that photography, the medium of immobilization, was first perceived as involving the mortification of the living body. Similarly, the X-rays was perceived as that

which renders the interior of the body (the skeleton) directly visible [ ... ] The idea was that X-rays allow us to see a person who is still alive as if he were already dead, reduced to a mere skeleton (with, of course, the underlying theological notion of vanitas: through the Roentgen apparatus, we see what we truly are, in the eyes of eternity). Lo scheletro, emblema principale delle vanitas pittoriche, ci che Vasari dipinge personalmente allinterno del progetto iconografico dei funerali; lelemento cardine, tecnicamente il medium, attorno a cui ruota tutta la parata allegorica in the eyes of eternity. Con un gioco di parole, il passaggio dallestetica e pratica curatoriale di Vasari allaspettativa estetica moderna, e in parte contemporanea, allegorizzato dalla trasformazione del corpo morto in punto morto (deadlock). 13 Nellopera darte modernista sembrano unirsi sia la nozione di feticismo delle merci che quella psicologica di fissazione in un oggetto inanimato o perversamente necrotizzato. 14 Traduzione italiana, Francis Haskell, La nascita delle mostre, Skira, Milano 2008, op. cit. pp. 191-212. 15 Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, La Prigioniera, Mondadori, Milano 1989, pp 586-587.

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