A partire dall'ormai celebre volume De la grammatologie (1967), il progetto decostruttivo di Jacques Derrida sorto, innanzitutto, come critica sia alla fenomenologia che allo strutturalismo ed venuto in seguito a svilupparsi in opposizione all'ermeneutica e alla semiotica in particolare. Lo scopo del nostro lavoro duplice: 1. chiarire alcune divergenze che separano la critica letteraria ad impianto semiotico dalla critica che si ispira alla descostruzione in genere; 2. tentare di dimostrare che taluni attacchi mossi dalla critica decostruttiva alla semiotica si fondano su una visione alquanto distorta di quest'ultima. A nostro avviso, il grado di distorsione tale che anche i seguaci pi prestigiosi o i divulgatori pi intelligenti si ritrovano spesso a proiettare l'immagine di un nemico che, in ultima analisi, si rivela una mostruosa creazione, pi mitica che reale. Iniziamo da un divulgatore, senza subbio, tra i pi attenti e perspicaci: Vincent Leitch. Nel suo volume Deconstructive Criticism effettivamente uno dei lavori pi significativi sulla decostruzione usciti in America negli anni '80 leggiamo la seguente conclusione: Ultimately, deconstruction effects revision of traditional thinking. Being (Sein) becomes the deconstructed self, the text becomes a field of differential traces, interpretation an activity of exploding meaning beyond truth toward dissemination, and critical discourse a deviating and differentiating process of supplemental troping. Stability gives way to vertigo; indentities to differences; unities to fragmentations; the center to infinite centers ( or no privileged centers); ontology to philosophy and language; epistemology to rhetoric; presence to absence; literature to textuality; aletheia to free play; correctness to erracy; hermeneutics and semi-
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otics as self-assured sciences, as useful arts of exegesis, or as deliberate textual cartographics appear to be approachable dreams disguising impossible wishes...Our disciplines, including semiotics and hermeneutics, seem last-ditch efforts to institute and protect order and meaning. It is no surprise that the Soviet Union continues as a leader in semiotic studies...
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Nell'accogliere un po' troppo acriticamente le premesse decostruttive, Leitch non ha difficolt alcuna nell'approvare la riduzione di ogni ricerca epistemologica alla sfera della retorica. Di conseguenza, da un lato si dissolve qualsiasi principio di verit riconducendo ogni discorso a puro espediente retorico, a maschera, inganno, artificio, e dall'altro si collocano i modelli proposti dalla scienza nell'ambito di una ideologia repressiva risultante direttamente dall'attivit svolta dalla ragione. La semiotica con la sua necessit di svelare e stabilire significati di ordine scientifico parteciperebbe, quindi, ad una forma di totalitarismo che si configura come polo opposto alla frammentazione e all'assenza liberatorie proposte dalla decostruzione. In una simile ottica, seguendo le indicazioni dell'attivit decostruttiva di Derrida secondo le quali non esiste metalinguaggio logico o scientifico capace di separarsi dalla figuralit o metaforicit del linguaggio e, di conseguenza, capace di esaminare obiettivamente il proprio oggetto di studio e possederne conoscenza, Paul de Man, rappresentante centrale della decostruzione nordamericana, in opposizione ad ogni disciplina strutturalismo e semiotica in testa che si propone di avvicinarsi alla letteratura in senso analitico, distrugge ogni linea di demarcazione tra creazione artistico-letteraria e discorso critico. Nel suo volume Blindness and Insight, infatti, in modo diretto e sintetico, egli cosi si esprime:
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The semantics of intepretation have no epistemological consistency and can therefore not be scientific. ..Since they are not scientific, critical texts have to be read with the same awareness of ambivalence that is brought to the study of non-critical literary texts, and since the rhetoric of their discourse depends on categorical statements, the discrepancy between meaning and assertion is a constitutive part of their logic. There is no room for Todorov's notions of accuracy and identity in the shifting world of interpretation.
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La decostruzione aborre ogni nozione di metodo, o se si vuole, di validit metodologica : non solo ritiene falsificabile ogni epistemologia che si fonda sulle definizioni o sulle verifiche assolutistiche, ma proclama l'inesorabile ricaduta dei segni su se medesimi, fatalmente
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privati di un proprio referente. Ne consegue pertanto che, come sostiene Derrida, l'essenza del segno costituita dalla sua stessa "cancellazione." Infatti, ci che in ultima analisi sembra svolgere un ruolo di coesione tra le varie pratiche decostruttive la concezione del linguaggio sollevato dalla sua funzione di medium: destituito di ogni propriet mimetica o extralinguistica, il segno non pu che aprirsi verso l'abisso della sua propria differenza. Se de Man rovescia ogni direzione extralinguistica del linguaggio verso una dimensione intralinguistica che annulla ogni contatto o rapporto tra cosa e segno, ponendo quindi quest'ultimo esclusivamente a colloquio con se stesso, Miller, altro esponente del gruppo di Yale, riconduce la parola alla sua essenza metaforica: "All words are metaphors, sostiene il critico that is, all are differentiated, differed, and deferred. Each leads to something of which it is the displacement in a movement without origin or end." Il linguaggio come metafora cancella ogni possibile residuo di significazione letterale e trasforma ogni atto verbale in una fiction, in una invenzione che come uno specchio ingannevole, fatto di infinite illusioni, cattura lo stesso discorso critico."Language is from the start fictive, illusory...," scrive, infatti, Miller. Nel labirinto dei tropi non esiste filo d'Arianna capace di farci da guida e salvarci: il mondo stesso, ci che ancora ci ostiniamo a denominare realt a s stante, separata dal linguaggio, diventa testo figurale di cui possiamo cogliere solo costanti rinvii, mai fissabili in significati ultimi e definitivi. Collocati in tale ottica, i reperti critici si rivelano costruzioni fittizie, illusioni mascherate da verit. Pi che rinvenire fatti in se stessi il discorso critico, quindi, rimane aggrovigliato inestricabilmente nei fili di una infinit di altri discorsi perdendosi cosi nei meandri dell'intertestualit. La nozione di testo, come insieme segnico organizzato ed intenzionato, infatti denunciata dalla teoria decostruttiva e sostituita da quella di intertesto (non esistono testi ma solo intertesti. L'intertesto costituito da un groviglio di frammenti incontrollabili i cui significanti scivolano, si disseminano in una molteplicit di direzioni inafferrabili. La disseminazione nella sua inarrestabilit non consente argini capaci di controllarla e quindi di cristallizzarla in una forma definitiva. L'intertestualit riducendo il testo ad una stratificazione senza fine, ad una sorta di palinsesto illegibile, costantemente ci rammenta dell'impossibilit di una trasparenza). L'assenza di una qualsiasi unit di significato non pu che generare, come indissolubile corollario, l'impossibilit di una lettura totalizzante, o l'impossibilit di una lettura tout court. Ogni lettura critica, infatti, insister Harold
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Bloom, non che la riduzione di un testo ad un altro testo, essa essenzialmente un "misreading," una misinterpretazione. Il testo come risultato del continuo incontro tra la pluralit dei testi che costituisce il mittente e quella che costituisce il destinatario, non solo rivela la sua natura citazionale e frammentaria, ma si inoltra nel territorio della significazione illimitata in cui ogni controllo della disseminazione, della ripetizione disseminante, risulter vano. Ma lasciamo la parola sulla disseminazione allo stesso Derrida:
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Germination, dissmination. Il n'y a pas de premire insmination. La semence est d'abord essaime. L'insmination "premire" est dissmination. Trace, greffe dont on perde la trace. Qu'il s'agisse de ce qu'on appelle "langage" (discours, texte, etc.) ou d'ensemencement "rel," chaque terme est bien un germe, chaque germe est bien un terme. Le terme, l'lment atomique, engendre en se divisant, en se greffant, en prolifrant. C'est una semence et non un terme absolu.
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Detto altrimenti, costituito dal gioco senza fine che la scrittura fa di s, il testo scivola incessantemente verso una zona che potremmo definire a-semica. Se come sostiene Derrida "l'absence de signifi transcendantal tend l'infini le champ et le jeu de la signification," allora il testo nell'impossibilit di fissare un suo centro di significazione non pu che trasformarsi in a-semia. Infatti, sar lo stesso Derrida ad informarci che tale assenza di significazione ci conduce nietzscheanamente in un "monde di signe sans faute, sans verit, sans origine." E in La dissmination, in modo aforistico egli afferma che la "littrature s'annule dans son illimitation." Ora, se il testo letterario generato dalla scrittura come differenza, lo stesso dovr dirsi del discorso critico: la lettura decostruttiva rifiutando una possibile univocit di significazione (i significati, tra l'altro, saranno sempre conflittuali e, pertanto, non pieghevoli in un tutto organico) e ponendo il testo in un divenire intertestuale, in ultima analisi, non pu che declamare l'impossibilit stessa di una lettura, o come sostiene de Man, l'impossibilit di una teoria. Alla domanda "Che cosa non la decostruzione?" Derrida risponde: "tutto!" e alla domanda, "Che cos' la decostruzione?" Derrida risponde: "nulla"! Nella sua rivolta contro il fonocentrismo (paradigma epistemologico della civilt occidentale in cui si colloca lo stesso strutturalismo e la semiologia saussuriana) Derrida, e con lui tutto il progetto decostruttivo, trasforma la scrittura intesa come "traccia," "spaziatura," "diffrance," da rappresentazione della parola in attivit generatrice del linguaggio e del pensiero stesso. Se, quindi, all'interno dell'epis14 15 16 17 18
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teme fonocentrico la scrittura mera rappresentazione esterna del linguaggio in quanto traduce delle unit di significato gi costituite (ovviamente dalla parola orale segno del segno quindi), nel contesto grammatologico e decostruttivo la scrittura non solo precede il linguaggio ma diventa il divenire assente del soggetto stesso. In altre parole, costituito dalla scrittura come "spaziatura," come articolazione differenziante e disseminante insomma come differenza che sempre ulteriorit , il soggetto immesso in un divenire che lo annulla. L'inarrestabile divenire della differenza proclama la morte del soggetto. Infatti, gi in De la grammatologie, Derrida in termini particolarmente limpidi scrive:
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Or l'espacement comme criture est le devenir-absent et le devenirinconscient du sujet...Comme rapport du sujet sa mort, ce devenir est la constitution mme de la subjectivit. A tous les niveaux d'organization de la vie, c'est--dire de l'conomie de la mort. Tout graphme est d'essence testamentaire. Et l'absence originale du sujet de l'criture est aussi celle de la chose ou du rfernt...La signification ne se forme ainsi qu'au creux de la diffrance: de la discontinuit et de la discrtion, du dtournement et de la rserve de ce qui n'apparat pas. Non certo questa l'occasione per approfondire la problematica del soggetto. Ci limitiamo a dire, comunque, che all'interno della decostruzione alla morte del soggetto corrisponde il crollo della testualit. Si potrebbe insistere che dal momento in cui non possibile fissare la disseminazione del testo una volta e per sempre (il critico, come abbiamo visto, non p u riattraversare il testo in una sua misinterpretazione disseminante e intertestualizzante), da un lato si proclama la morte della lettura del testo, e dall'altra si afferma il divenire continuo dei significati in quanto l'approccio intertestuale rimette costantemente in circolazione processi di significazione sempre nuovi. Tuttavia ed questo che ora ci preme di mettere maggiormente in evidenza , con il rifiuto di ogni teoria della letteratura come mimesis, come strumento capace di comunicare aspetti extralinguistici del reale, la decostruzione disancora il testo dal referente e dalla storia. La nota espressione derridiana "Il n'y a pas de hors-texte" in effetti non sottolinea semplicemente il rifiuto di concepire un referente separato dal segno, ma allude alla necessit di guardare la storia scritta nel testo, gi parte dell'intertestualit del testo. Ciononostante, si assegna un primato assoluto alla scrittura escludendo ogni possibile rapporto tra testo ed extratesto. In effetti, non sembra affatto inopportuno affermare che, sebbene la decostruzione si presenti come progetto post20 21
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strutturalista (Derrida decostruisce il modello di Saussure, Jackobson...), in ultima analisi essa condivide con lo strutturalismo una premessa fondamentale: l'autonomia del testo. In sostanza, chiudendosi ad ogni rapporto extratestuale, ad ogni interazione tra testo e storia, la decostruzione si situa negli spazi illimitati di un discorso labirintico in cui tutto possibile perch niente vero. Il testo sempre un simulacro. Se questa l'espressione di un soggettivismo portato alle estreme conseguenze, allora bisognerebbe guardare con maggiore sospetto sia il suo sostrato politico che le sue conseguenze ed implicazioni (sempre nell'ordine del politico). L'assenza di un confronto tra testo ed altri ambiti semiotici espone la lettura decostruttiva al rischio dell'aleatoriet, degli slanci vertiginosi, un p o ' dadaisti, che, per quanto allettanti possano sembrare, sono tuttavia privi di verifiche e controlli. Al contrario, la lettura semiotica, non solo sottopone il testo ad un'analisi delle sue strutture interne ma cerca di individuarne le correlazioni con i modelli epocali, con il genere, con i sistemi di segni extraletterari o, insomma, con la dinamica della cultura entro la quale venuto a generarsi. Jurij Lotman ha scritto che in quanto "le relazioni semiotiche richiedono non solo un testo ma anche una lingua, l'opera artistica, considerata a s, senza un dato contesto culturale, senza un definito sistema di codici culturali, simile ad una iscrizione tombale in una lingua sconosciuta." Il lettore chiamato a grammaticalizzare il testo, a stabilire interazioni orizzontali e verticali tra i vari elementi che lo costituiscono, non per portare alla luce un sistema chiuso di rapporti ma per concretizzare, tramite la propria lettura, una delle possibili potenzialit del testo. Una critica ad impianto semiotico, consapevole del fatto che i fili che compongono il textus sono intricati, stratificati, intersoggettivi, non pretende di fossilizzarlo nell'oggettivit di una lettura ultima e definitiva. Leggiamo quanto hanno da dirci due tra i pi autorevoli rappresentanti della semiotica italiana. Cesare Segre:
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Era e rester nient'altro che un miraggio quello di fondare una critica letteraria scientifica, se in scientifico vogliamo vedere le propriet conferite all'aggettivo dalle scienze naturali e dalla fisica: individuazioni di leggi, possibilit di verifica sperimentale. Ci dipende dal fatto che il capo del senso, a cui appartengono i fatti letterari, delimitato dall'incontro tra due o pi soggetti e muta col mutare dei soggetti stessi.
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Umberto Eco:
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...non credo occorra porsi dei problemi di scientificit quanto piuttosto di persuasivit retorica, di utilit ai fini della comprensione di un testo, di capacit di rendere il discorso su un dato testo intersoggettivamente controllabile.
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Nessun dogmatismo, quindi, nessuna soffocante ortodossia anima la semiotica letteraria almeno quella italiana. Lontano da ogni forma di teologizzazione manichea del discorso critico, guidato sempre dal soffio della ragione, l'approccio semiotico parte da una concezione dell'attivit critica che potremmo indubbiamente definire pluralistica. Maria Corti che come pochi altri ha contribuito in maniera determinante allo sviluppo dell'indirizzo semiotico in Italia, spiegando la propria concezione delle letture come "variante di un'invariante di base" cosi conclude: A differenza che nella lettura scientifica, dove un'ipotesi considerata valida se non contraddetta da ipotesi differenti, nell'universo delle arti si assiste al dato di fatto di interpretazioni fondamentalmente diverse che possono affiancarsi e coesistere...
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Luogo dell'ambiguit e dell'ulteriorit, il testo nella prospettiva semiotica dischiude una ipersemantizzazione che nasce costantemente dalla sua non circorscritta o circoscrivibile polisemia. Si pu dare avvio ad un'analisi testuale anche prendendo in esame le micro unit (lessemi, semi, sememi, classemi...) che costituiscono il testo ma solo in vista di una loro pertinentizzazione a livello delle isotopie. Come suggerisce infatti la Corti, oggetto specifico della critica semiotica sar la "macropolisemia" avvicinabile, a nostro parere, attraverso un processo dialettico tra la libert interpretativa e l'adesione alla struttura del materiale verbale. Il centro della concezione semiotica del testo estetico costituito quindi dalla polisemia. Per Umberto Eco, ad esempio, nel testo viene a stabilirsi un "ipersistema di omologie strutturali" che rivela una sua "super-funzione segnica." Maria Corti, in una simile direzione, definisce il testo un 'ipersegno" in quanto meccanismo ipersemantico in cui l'unit transfrastica dei significanti e dei significati produttrice di una ipersignificazione. Jurij Lotman, nel suo volume La struttura del testo poetico, parla di una "semantica a molti gradini," di una "super-informazione" del testo estetico, ed insiste che il "modello artistico sempre pi largo e pi vivo della sua interpretazione." Indubbiamente, sullo sfondo di tale percezione del testo possibile collocare sia il principio di semiosi illimitata presente nella semiotica peirciana che i concetti di ambiguit ed entropia relativi alla teoria
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dell'inf ormazione. Derrida, comunque, insister che se la rappresentazione p u solo castrare, la polisemia rimane ancorata ad una "dialettica teleologica e totalizzante." Solo la disseminazione inaugura una "molteplicit irriducibile e generativa" che si trasforma in atto liberatorio. Secondo Derrida, in effetti, la polisemia presuppone la possibilit di controllare la significazione mentre la disseminazione incontrollabile in quanto sottopone l'attivit testuale ad una continua dispersione semantica. Ecco come egli chiarisce la propria posizione in La dissmination:
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Le concept de polysmie relve donc de l'explication, au prsent, du dnombrement du sens. Il appartient au discours d'assistance. Son style est celui de la surface reprsentative. L'encadrement de son horizon y est oubli. La diffrence entre la polysmie du discours et la dissmination textuelle, c'est precisment la diffrence, 'une diffrence implacable...' Le smantique a pour condition la structure (le diffrential) mais il n'est pas lui-mme, en lui-mme, structural. Le sminal au contraire se dissmine sans avoir jamais t lui-mme et sans retour soi. Son engagement dans la divison, c'est--dire dans sa multiplication perte et mort le constitue comme tel, en prolifration vivante.
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Tuttavia, come si visto, la decostruzione spinge il principio di disseminazione (o, se si vuole, la stessa concezione saussuriana della significazione come differenzialit ) verso un a-semico azzeramento testuale che non pu che generare interpretazioni solipsistiche. Al contrario, la critica semiotica con i suoi procedimenti di destrutturazione-ristrutturazione rende possibile al lettore di compiere nei confronti del testo dei movimenti cooperativi, di attualizzare, anche se solo parzialmente, la volont del testo. La critica semiotica non pretende di esaurire la polisemia del testo, essa sa bene che quest'ultimo il luogo ove di continuo il senso del designato muta e si trasforma, come sa pure che la ricezione sar sempre un'approssimazione, un atto metonimico. Nondimeno, se il testo ristrutturabile ad infinitum, esso anche un organismo strutturato entro il quale gli elementi che lo costituiscono instaurano una rete di rapporti, di solidariet, che se sottoposti a scrupolosi controlli e verifiche non possono che guidare il discorso critico in certe direzioni e non in certe altre. La semiotica, a differenza di quanto vorrebbero farci credere i proseliti della decostruzione, ha sempre valorizzato l'intervento attivo del destinatario e la sua libert, tanto da considerarlo parte integrante del processo generativo del testo stesso. Quello che essa, tuttavia, rifiuta e deve rifiutare sono quei voli di Icaro che, per quanto seduttivi, sono
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compiuti con ali di cera: appena sottoposte al lume della ragione immancabilmente si sciolgono, causando quei tonfi che tutti conosciamo. JOHN PICCHIONE York University, North York, Ontario NOTE * questa una versione riveduta della relazione letta al Convegno della American Association for Italian Studies, svoltosi alla Brigham Young University, Provo, Utah, nell'aprile del 1988. V. B. Leitch, Deconstructive Criticism. An Advanced Introduction (New York: Columbia University Press, 1983), pp. 261-262, p. 263.
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Facendo convergere totalitarismo semiotico e sistema repressivo sovietico, Leitch dichiara apertamente i propri pregiudizi. Perch non si interroga, allo stesso tempo, sulle ragioni per cui la decostruzione sia riuscita a mettere radici cosi solide negli Stati Uniti? Sar forse perch la vertigine della domanda senza risposta, del segno senza referente, della pluralit senza centro e senza verit, sono necessitati dal neo-capitalismo per allontanare ogni pericolo di opposizione al sistema? Sar forse perch, come sosteneva giustamente Marcuse, la convivenza pacifica delle differenze e del pluralismo armonizzante rivelano la nuova forma del totalitarismo neocapitalista? (Di H. Marcuse si veda in particolare One-dimensional Man. Boston: Beacon Press, 1964, p. 61 e sgg.). Per una critica relativa alle implicazioni politiche della decostruzione, rimandiamo in particolare ai seguenti lavori: T. Eagleton, Walter Benjamin, or Towards a Revolutionary Criticism (London: NLB, 1981); G. Graff, Literature Against Itself: Literary Ideas in Modern Society (Chicago: University of Chicago Press, 1979); B. Foley, The Politics of Deconstruction, in Autori Vari, Rhetoric and Form: De construction at Yale, a cura di R. C. Davis e R. Schleiter (Norman: University of Oklahoma Press, 1985). P. de Man, Blindness and Insight. Essays in the Rhetoric of Contemporary Criticism (Minneapolis: University of Minnesota Press, 1983 ), p. 109, p. 110. Non a caso il discorso di de Man sulla scientificit delle interpretazioni critiche termina con l'esplicito riferimento a Todorov, mostrando apertamente un diretto attacco alle pratiche dello strutturalismo.
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In un recente dibattito sulla decostruzione, J. Hillis Miller cosi si espresso: "The real danger for deconstruction is that it would become a method, a kind of recipe..." Symposium, in Autori Vari,Rhetoric and Form: Deconstruction at Yale, cit., p. 82. Come vedremo pi avanti, lo stesso Derrida a rifiutare la nozione di metodo per quanto riguarda la decostruzione. "Affirmer, come nous venons de le faire scrive Derrida que dans le signe, la diffrence n'a pas lieu entre la ralit et la reprsentation etc., cela
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revient donc dire que le geste confirmant cette diffrence est l'effacement mme du signe." (La voix et le phnomne. Introduction au problme du signe dans la phnomnologie de Husserl, Paris: Presses Universitaires de France, 1967, p. 57; il corsivo dell'autore). Ricordiamo che il termine "diffrance" non solo implica ci che dissimile, ma fa leva sul proprio significato etimologico di disperdere, disseminare, portare da una parte all'altra (latino: differre). Questo significato di ordine spaziale va poi congiunto con il significato temporale del termine: "differre" nel senso di differire, rinviare, rimandare. Applicato alla concezione del segno, il termine ingloba numerose implicazioni filosofiche. Brevemente diciamo che all'interno della teoria derridiana, esso implica che il segno abitato all'origine dall'impossibilit della pienezza di s. Il significato non pu mai essere semplice presenza, ma sempre parte di un sistema di "tracce" che rinviano costantemente ad altro. Privato di un significato esaustivo il segno, quindi, immesso nel gioco delle differenze e dei rimandi continui, dissemina una significazione che mai pu raggiungere un punto fermo. In Allegories of Reading: Figurai Language in Rousseau, Nietzsche, Rilke, and Proust (New Haven: Yale University Press, 1979) de Man cosi si esprime:
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"The straightforward affirmation that the paradigmatic structure of language is rhetorical rather than representational or expressive of a referential, proper meaning...marks a full reversal of the established priorities which traditionally root the authority of the language in its adequation to an extralinguistic referent or meaning, rather than in the intralinguistic resources of figures." (p. 106) J. Hillis Miller, "The Linguistic Moment in the Wreck of the Deutschland," in New Criticism and After, a cura di T. D. Young (Charlottesville: University Press of Virginia, 1976), p. 58. Ovviamente chiara la lezione di Derrida nel concetto di metaforicit presente in Miller. In De la grammatologie Paris: Les ditions de Minuit, 1967) ad esempio si legge: "Il ne s'agirait donc pas d'inverser le sens propre et le sens figur mais de determiner le sens 'propre' de l'criture comme la metaphoricit elle-mme." (p. 27) Miller, "Tradition and Difference," Diacritics (Winter 1972), p. 11. Harold Bloom, A Map of Misreading (New York: Oxford University Press, 1975) facendo dell'intertestualit il centro della propria visione letteraria cosi si esprime:
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"There are no texts, but only relationships between texts. These relationships depend upon a critical act, a misreading or misprision, that one poet performs upon another, and that does not differ in kind from the necessary critical acts performed by every strong reader upon every text he encounters. The influencerelation governs reading as it governs writing, and reading is therefore a miswriting just as writing is a misread ing...poems, I am saying, are neither about "subjects" nor about "themselves." They are necessarily about other poems." (p. 3, p. 18, il corsivo
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dell'autore). Anche Bloom insiste non solo sull'intertestualit ma sulla non referenzialit del testo. Ecco ad esempio quanto ha da dirci nel suo The Breaking of the Vessels (Chicago: University of Chicago Press, 1982): "There are no texts, so that it makes little difference to affirm that there is nothing outside the text." (p. 34) Nello stesso volume, l'autore inoltre afferma che le figure non possono svolgere nessuna funzione centrifuga: "What can a trope provoke except a trope, would be the Yeatsian question, to which I would reply: only the troping of a prior trope, or of the concept of trope itself." (pp. 30-31) "L'paisseur du text scrive Derrida in La dissmination (Paris: ditions du Seuil, 1972) s'ouvre ainsi sur l'audel d'un tout, le rien ou l'absolu dehors. Par quoi sa profondeur est la fois nulle et infinie. Infinie parce que chaque couche en arbrite une autre. La lecture rassemble alor ces radiographies qui dcouvrent, sans l'piderme de la dernire peinture, un autre tableau cach: du mme peintre ou d'un autre peintre, peu importe, qui aurait luimme, faute de matriaux ou recherche d'un nouvel effet utilis la substance d'un ancienne toile ou conserv le fragment d'une premire esquisse. Et sous cette, autre, etc." (p. 397) Sar superfluo, ma lo specifichiamo a scanso di equivoci, che l'intertestualit, in effetti, nulla ha a che vedere con lo studio tradizionale delle fonti, delle reminiscenze o cose simili. Oltre ai testi di Bloom gi menzionati, per la nozione di "misreading" rimandiamo anche a The Anxiety of Influence (New York: Oxford University Press, 1973). Derrida, La dissmination, cit., pp. 337-338. Derrida, L'criture et la diffrence (Paris: ditions du Seuil, 1967), p. 411. Ibid., p. 427. Derrida, La dissmination, cit., p. 252. Cfr. Paul de Man, "The Resistance to Theory," Yale French Studies 63 (1962), 3-20. Derrida, "Lettre un ami japonais,' (inedito, tranne in giapponese) citato da M. Ferraris, La svolta testuale. Il decostruzionismo in Derrida, Lyotard, gli "Yale critics," (Milano: Edizioni Unicopli, 1986), p. 33. Nel contesto del fonocentrismo, Derrida sostiene che la scrittura "sera le dehors, la reprsentation extrieure du langage et de cette pense-son" in quanto "le mot est...dj une unit constitue." (De la grammatologie, p. 47) Ibid., pp. 100-101. Il corsivo dell'autore. Ibid., p. 227. J. M. Lotman, La struttura del testo poetico (Milano: Mursia, 1976), p. 335. A tale proposito, ad esempio, C. Segre ha scritto: "La realizzazione del testo ...in uno stato di continua potenzialit. Il testo resta materia scittoria attraversato da righe di scrittura, inerti sinch non vengono lette. Il testo prende a significare, e a comunicare, solo per l'intervento del lettore. Significazione differita. Intersoggettivit a distanza..." (Avviamento all'analisi del testo
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letterario. Torino: Einaudi, 1985), p. 364. Segre, "Punto di vista e plurivocit dell'analisi narratologica," in Autori Vari. Problemi del romanzo. Materiali filosofici 9 (1983), p. 11. Il corsivo dell'autore. U. Eco, Semiotica e filosofia del linguaggio (Torino: Einaudi, 1984), p. XII. M. Corti, Principi della comunicazione letteraria (Milano: Bompiani, 1976), pp. 62-63. Ibid., p. 108. Eco, Trattato di semiotica generale (Milano: Bompiani, 1975), p. 339. Il corsivo dell'autore. Rimandiamo in particolare a tutto il capitolo intitolato "Ipersegno," in Principi della comunicazione letterarira, cit., pp. 121-148. Lotman, La struttura del testo poetico, cit., p. 85, p. 88. Ecco la definizione di segno offerta da C. S. Pierce: "...anything which determines something else (its interpretant) to refer to an object to which itself (sic) refers (its object) in the same way, the interpretant becoming in turn a sign, and so on ad infinitum." (Collected Papers. Cambridge: Harvard University Press, 1931-1950), Vol. 2, p. 169. necessario chiarire, comunque, che la semiosi illimitata nella teoria pierciana riguarda il codice e non il messaggio. Per quanto riguarda la teoria dell'informazione, oltre al testo essenziale di C. E. Shannon e W. Weaver, The Mathematical Theory of Communication (Urbana: Illinois University Press, 1949), ricordiamo: Abraham A. Moles, Thorie de l'information et perception esthtique (Paris: Flammarion, 1958; Eco, Opera aperta (Milano: Bompiani, 1962) in particolare il capitolo "Apertura, informazione, comunicazione"); Autori Vari, Estetica e teoria dell'informazione, a cura di Eco (Milano: Bompiani, 1972). Cfr. Derrida, Positions (Paris: ditions de Minuit, 1972). Derrida, La dissmination, cit., p. 390. Cfr. F. de Saussure, Corso di linguistica generale (Bari: Laterza, 1967), pp. 132-133, pp. 143-147 in particolare. A tale riguardo Lotman scrive: "...l'interpretazione sempre possibile come approssimazione." (La struttura del testo poetico, cit., p. 88) M. Pagnini nel suo volume Pragmatica della letteratura (Palermo: Sellerio, 1980), non solo vede il testo come "somma delle sue letture," ma dichiara esplicitamente che esso "promette di dire e di fatto dir, sempre di pi di quanto l'ermeneuta di volta in volta gli consente." (p. 63, p. 76; il corsivo dell'autore.) Cfr. Eco, Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi (Milano: Bompiani, 1979).
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