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Prima Guerra Mondiale - storiografia

Il dibattito sulle origini

1. Sulla natura del conflitto e sulle sue cause emergono durante la guerra due interpretazioni contrapposte:

- secondo il punto di vista marxista si tratta di una guerra tra opposti imperialismi; le guerre, secondo la nota interpretazione di Lenin (Limperialismo fase suprema del capitalismo, 1916), sono insite nella natura del capitalismo. Il motivo dellinasprirsi delle relazioni internazionali negli anni che precedono il conflitto va cercato nella crisi economica del 1907-08, che ha provocato un irrigidimento dei protezionismi;

- secondo le potenze dellIntesa si sta combattendo una guerra per la democrazia e contro lautoritarismo (cfr. la risposta di Wilson alla Nota di pace di Benedetto XV contro linutile strage: Wilson afferma che lo scopo di questa guerra di liberare i popoli liberi del mondo dalla minaccia e dallattuale potere di una vasta organizzazione militare, dominata da un Governo irresponsabile, il quale, avendo concepito in segreto di dominare il mondo, procedette ad eseguire il suo piano []; cfr. anche i Quattordici punti); la responsabilit di questa guerra va attribuita interamente alla Germania, con la sua politica di potenza. I trattati di pace accoglieranno in pieno questa interpretazione.

2. Gi durante il conflitto e subito dopo la sua conclusione, i diversi Stati coinvolti pubblicano raccolte di documenti diplomatici, ognuno allo scopo di mostrare che la responsabilit del fronte opposto; pubblica documenti anche la Russia bolscevica, seguita dalla Germania e dallAustria. La conoscenza di tali fonti porta gli studiosi ad interessarsi alla storia diplomatica e a mettere in discussione la tesi delle responsabilit di Germania e Austria: si sottolinea il ruolo della politica estera di tutti i Paesi, compresi quelli dellIntesa (si pensi alla funzione destabilizzante della Serbia, appoggiata dalla Russia, al revanscismo della Francia, alle incertezze dellInghilterra). Nel corso degli anni Venti si torna a parlare della colpevolezza della Germania, ma il discorso esteso a tutta la storia tedesca, a partire dal 1870. Il dibattito, inoltre, viene reimpostato in termini pi equilibrati, di cause pi che di responsabilit.

Accanto alla diplomazia e allimperialismo si chiama in causa lideologia nazionalista, che come sottolinea Benedetto Croce nel 1932 stata irresponsabilmente abbracciata da molti intellettuali, per i quali il sangue e la guerra sono diventati desiderabili. Secondo Croce la diffusione della psicologia di guerra da ricollegare allatmosfera culturale che venuta affermandosi dopo il 1870, quando la crisi del positivismo e del razionalismo ha portato a seguire le vie insidiose del misticismo e dellirrazionalismo, a privilegiare gli studi scientifici e pratici rispetto a quelli speculativi e umanistici, il rigoglio e la destrezza corporale rispetto allintelligenza e al sentimento. Non sono pochi gli intellettuali non solo nazionalisti - che si entusiasmano per la guerra e addirittura partono volontari, e per i quali andare al fronte significa difendere la patria, ma anche uscire dalla prosaica normalit borghese, vivere unavventura da eroi, fuggendo lanonimato della societ di massa. Tali aspettative andranno deluse; molti cambieranno idea durante il conflitto, e si affiancheranno a quanti, fin da subito, avevano rifiutato la guerra.

3. Dopo la seconda guerra mondiale la riflessione degli storici si concentra nuovamente sulla storia della Germania, ma con uno spostamento di accenti: lo storico tedesco Fritz Fischer (Assalto al potere mondiale. La Germania nella guerra 1914-1918, 1961) sottolinea non tanto la responsabilit della Germania in senso morale, quanto le conseguenze di un determinato assetto sociale e politico e di una politica di potenza iniziata sin dai tempi di Bismarck. Daltra parte Fischer mette in discussione la tesi dellinevitabilit della guerra e sottolinea le responsabilit della classe dirigente tedesca. La Germania, secondo Fischer, entrata in guerra con fini egemonici, allo scopo di rovesciare a suo favore gli equilibri in Europa, e il nazismo e la seconda guerra mondiale sono stati la coerente prosecuzione di tale politica aggressiva Poich la maggior parte degli storici tedeschi sostiene, in questi anni, che la Germania era entrata in guerra senza un piano preordinato, ma spinta dalle circostanze e perch si sentiva accerchiata da potenze nemiche, le tesi di Fischer provocano un acceso dibattito, la cosiddetta Fischer-Kontroverse. Lidea di una continuit tra la storia tedesca precedente e il nazismo viene negata con forza da Gerhard Ritter, che ridimensiona il peso del militarismo aggressivo. Prima della seconda guerra mondiale, Ritter era anzi convinto di una diversit in senso positivo della storia tedesca rispetto a quelle degli altri Paesi europei; di tale storia aveva valorizzato alcune figure e momenti significativi (Lutero, Federico II, le riforme di von Stein in et napoleonica); dopo la guerra attenua il suo giudizio positivo, ma considera il nazismo una parentesi nella storia tedesca. In Italia le tesi di Fischer sono state condivise da M.L.Salvadori, quelle di Ritter da R.Romeo.

4. A partire dagli anni Sessanta passa in secondo piano lanalisi della politica estera, e gli storici sottolineano invece il primato della politica interna. La guerra fu, da questo punto di vista, una scelta operata dai governi per risolvere problemi legati alle dinamiche interne ai vari Paesi, e in particolare alla crescente mobilitazione delle masse. Si pensi ai lavori di Arno Mayer o a quelli di Hans Ulrich Wehler, nei quali si sottolinea lintento, da parte delle classi dirigenti, di mantenere il proprio potere nel quadro di un regime autoritario e per mezzo della mobilitazione bellica. Tali motivazioni sono evidenti per la Germania (con i progressi elettorali della socialdemocrazia), per la Russia (ove, dopo la rivoluzione del 1905, lo zarismo era sulla difensiva), per lAustria-Ungheria, per la quale era vitale tenere sotto controllo le tensioni nazionalistiche, e, infine, anche per lItalia.

5. Alcuni studi recenti sono tornati ad individuare nellevoluzione delle relazioni internazionali il fattore determinante. Lesame dei documenti diplomatici pu aiutare a capire sia se la guerra poteva essere evitata sia per quali ragioni il conflitto scoppi proprio nel 1914. Secondo il sociologo Gian Enrico Rusconi (Rischio 1914. Come si decide una guerra, 1987) il mese trascorso tra lattentato di Sarajevo e la dichiarazione di guerra alla Serbia fu decisivo: in quei giorni di trattative frenetiche i governi sembrarono preoccupati non di evitare la guerra, ma di dimostrare il carattere difensivo della loro partecipazione al conflitto. Rusconi individua una serie di fattori allorigine della guerra: a) il dilemma della sicurezza, dato dal fatto che ogni stato, aumentando i propri armamenti, provoca maggiore insicurezza negli altri stati, i quali sono portati a fare altrettanto per garantire la propria sicurezza, in un crescendo di tensione, soprattutto dopo lesaurirsi della corsa alle colonie e la polarizzazione dei Paesi europei in due blocchi; b) la disposizione strategico-militare offensiva, caratteristica di tutti i Paesi, e non solo della Germania, con il suo piano Schlieffen; tutti i governi contemplavano lipotesi di un conflitto per dirimere le controversie, nella convinzione che la conclusione sarebbe stata rapida; c) la strategia di rischio, messa in atto dai governi di entrambi gli schieramenti, disposti ad accettare il rischio di un conflitto pur di imporre la propria volont (fu cos per Austria e Germania nei confronti di Serbia e Russia; e per la Francia e la Russia nei confronti degli Imperi centrali; solo la Gran Bretagna tent, con incertezze, una mediazione);

d) la politica coercitiva, nel senso che venne scelta la via della prova di forza e non quella del negoziato.

Lo storico inglese James Joll (Le origini della prima guerra mondiale, 1984) ritiene che si debba adottare uno schema esplicativo multicausale, perch tutti i fattori indicati dalle diverse interpretazioni sembrano essere importanti; soprattutto, non ci si pu limitare a considerare responsabile solo la Germania, dal momento che lo scoppio della guerra fu salutato con entusiasmo in tutti i Paesi belligeranti. Se si vuole capire perch quella guerra particolare scoppi in quel momento particolare, si deve tenere presente un accumularsi di fattori intellettuali, sociali, economici e perfino psicologici, oltre che politici e diplomatici che contribuirono tutti insieme a produrre la situazione del 1914; si deve inoltre parlare, secondo Joll, di due piani diversi, quello della storia di lungo periodo, che da solo potrebbe far pensare alla guerra come ad uno sbocco ineluttabile di una serie di eventi e di condizioni precedenti; e quello delle decisioni dei singoli individui, che sono determinanti ma imprevedibili.

6. Che il problema non sia trovare laggressore, bens comprendere il progressivo deterioramento della situazione internazionale, stato sottolineato anche da Eric John Hobsbawm, storico britannico di formazione marxista, il quale torna a prendere in considerazione anche i fattori economici (Let degli imperi. 1875-1914, ed.it.1987). Secondo Hobsbawm, sarebbe unidea grossolanamente semplicistica sostenere che capitalismo e imperialismo abbiano provocato direttamente la guerra; uomini daffari, commercianti e industriali (con leccezione dei fabbricanti di armi) ritenevano per loro molto pi vantaggiosa una situazione di pace internazionale. Tuttavia, fu lo sviluppo del capitalismo a spostare la competizione su scala mondiale e ad intrecciare strettamente crescita economica e potenza politica. Tale identificazione tra potenza economica e politica militare fu destabilizzante, perch i tradizionali strumenti della diplomazia (compromessi tra potenze, limitazioni reciproche di sfere dinfluenza ecc.) non erano pi in grado di controllare laspirazione ad unespansione illimitata, che il tratto caratteristico dellaccumulazione capitalistica.

I caratteri del conflitto e le sue conseguenze

1. Un fatto su cui gli storici concordano limportanza della fase iniziale del conflitto, con il fallimento del piano Schlieffen, dovuto alla capacit di resistenza delle truppe franco-inglesi e alla velocit della mobilitazione russa; altrettanto importante fu il passaggio ad una guerra di posizione, dovuto anche al fatto che gli armamenti difensivi erano superiori a quelli offensivi. A proposito dei trattati di pace, gli storici sottolineano la scarsa capacit di valutare la realt da parte delle potenze vincitrici, che rimasero ancorate a visioni nazionalistiche delle relazioni internazionali. Una critica simile venne fatta dalleconomista inglese John Maynard Keynes (Le conseguenze economiche della pace, 1920), il quale denunci la scarsa attenzione per i problemi della ricostruzione economica.

2. Tra gli studi pi recenti, molti si concentrano sugli aspetti sociali e culturali della guerra, tentando di analizzarne le conseguenze sul piano della vita quotidiana e della mentalit o di approfondire la conoscenza dellesperienza vissuta e della memoria della guerra da parte dei combattenti. In questa direzione aveva gi lavorato Piero Melograni (Storia politica della Grande Guerra. 1914-1918, 1969), che si era occupato della logorante vita di trincea, del modo in cui i contadini e gli operai vissero il conflitto, delle conseguenze della guerra per la societ italiana.

Lo storico americano Paul Fussel (La Grande Guerra e la memoria moderna, 1975) usa la letteratura e la memorialistica (romanzi, poesie, diari, memorie) per sostenere il valore periodizzante della prima guerra mondiale, che divenne un mito fondante, un punto di riferimento obbligato per descrivere i conflitti successivi; la guerra fu anche uno spartiacque emotivo, comportamentale e psicologico, perch, con la sua assurdit, con la sproporzione tra mezzi e fini, capovolse lidea ottocentesca di progresso, introdusse il disprezzo per la vita e rese familiare la violenza. Il conflitto modific limmaginario collettivo e si assist alla diffusione di miti, superstizioni, false notizie che ricordavano un mondo premoderno.

Un altro storico americano, Eric J. Leed (Terra di nessuno. Esperienza bellica e identit personale nella prima guerra mondiale, 1979) utilizza categorie antropologiche per definire la guerra un rito di passaggio; i combattenti, sradicati dalla societ, vivevano in una comunit emarginata, in una situazione quella della trincea assurda ed estraniante; erano separati dalla trincea nemica dalla terra di nessuno, ove rimanevano per giorni i soldati morti durante i combattimenti. Secondo Leed attraverso la guerra i soldati fecero esperienza della modernit: come la societ industrializzata, anche questo conflitto era caratterizzato dal primato della tecnica, dallorganizzazione gerarchica e repressiva, dalla mobilitazione di masse anonime. Effetto della guerra industrializzata e del continuo contatto con la morte fu unalienazione simile a quella di cui parla Marx per gli operai; ne seguirono perdita del senso di responsabilit individuale, nevrosi, miti e riti, che non sono da considerare regressioni verso atteggiamenti primitivi, ma aspetti della modernizzazione e della fine di un mondo. La sensazione di essere diversi, unita alla disillusione sopravvenuta alla fine della guerra, rese difficile il reinserimento dei reduci nella societ, cos che, convinti di avere patito uningiustizia, essi divennero potenzialmente rivoluzionari o reazionari. In realt, la guerra aveva separato gli individui dalla societ, ma sottolinea Leed non aveva dato loro una nuova visione della comunit, unideologia che permettesse di collegare lesperienza della guerra con i problemi della societ postbellica. Per questo lex combattente fu soprattutto uomo di violenza.

A conclusioni analoghe giunto, per lItalia, Antonio Gibelli (LOfficina della guerra. La Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale, 1991). Lofficinadella guerra ha prodotto enormi cambiamenti e accelerazioni ed stata, in una societ arretrata come quella italiana, la prima grande esperienza di modernizzazione, soprattutto per i contadini; non un caso che il primo conflitto mondiale sia rimasto nella memoria popolare come grande. Attraverso di esso le classi subalterne sperimentarono per la prima volta, in modo totalizzante, la presenza dello stato: lo stato non era pi lontano, non era pi una minaccia percepibile solo saltuariamente (ad esempio in occasione della riscossione delle tasse); ora lo stato era vicino e invadente, non solo per via della coscrizione obbligatoria, ma anche per la mobilitazione e la propaganda, che rendeva difficile perfino sul piano psicologico la diserzione e la fuga. La corrispondenza dal fronte era controllata e censurata. La prima guerra mondiale fu grande, secondo Gibelli, anche perch fu la prima guerra tecnologica e industrializzata, non tanto per le armi ed i mezzi utilizzati, quanto per lorganizzazione della macchina bellica complessiva, per lorganizzazione del lavoro di guerra, alienante quanto quello di fabbrica. Di questo lavoro i soldati non comprendevano lo scopo, ma ne percepivano i risultati immediati, la produzione di morte. E anche la morte divenne un fenomeno nuovo, perch era morte di massa, standardizzata, prodotta in grande serie, organizzata. I soldati dovettero accettare tale morte, abituarsi ad essa; tutto ci ebbe risvolti psicologici, documentati dai numerosi studi di medici, psicologi e psichiatri che registrarono migliaia di casi di nevrosi e psicosi di guerra. Perci la Grande Guerra fu anche un grande fatto mentale, di percezioni e di immagini che, con il binomio tecnologia-distruzione, modific in modo irreversibile la vita delle classi subalterne.

3. Lattenzione per la memoria dellesperienza di guerra andata aumentando; gi nel 1934 lo storico di ispirazione idealista Adolfo Omodeo, che era stato a favore dellintervento dellItalia in guerra, raccolse e comment lettere e testimonianze di combattenti, con lintento di mostrare come la tradizione risorgimentale si potesse rintracciare ancora negli ideali dei giovani che avevano partecipato al conflitto. Omodeo era polemico con il fascismo, che presentava la guerra come un momento di rottura con lItalia liberale. La sua ricostruzione, tuttavia, era fondata soltanto sulle lettere scritte dagli ufficiali, dunque era relativa ad una piccola parte dei combattenti.

Mario Isnenghi (Il mito della grande guerra da Marinetti a Malaparte, 1970; Le guerre degli italiani. Parole, immagini, ricordi. 1848-1945, 1989; I luoghi della memoria) si soffermato nei suoi studi sul ricordo del conflitto e su come lo si tenuto vivo, per esempio mediante la costruzione di monumenti ai caduti non solo nelle grandi citt, ma anche nei pi piccoli centri di provincia.

Lo studio dello storico statunitense di origine tedesca George L.Mosse, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti (1990) dedicato sia allesperienza di guerra (e in particolare allincontro con la morte su larga scala e alla vita di trincea) sia alla memoria che di tale esperienza conservarono gli ex combattenti e lintera societ post-bellica; una memoria cos forte da dare vita ad un mito dellesperienza di guerra, ad una trasfigurazione del conflitto, visto come un evento suscitatore di valori positivi e celebrato attraverso i monumenti ai caduti e le tombe del milite ignoto.

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