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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA

Camera dei Deputati


Commissione Giustizia
17 settembre 2008
Intercettazioni Telefoniche

AUDIZIONE O.U.A

in materia di
“Intercettazioni telefoniche e ambientali e di pubblicità degli atti di indagine”

C. 406 Contento – C. 1415 Governo – C. 1510 Tenaglia


XVI Legislatura

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Appunti sui DDL in tema di intercettazioni e di pubblicità degli atti di indagine

1 - INTRODUZIONE
In linea generale non può non esprimersi condivisione e apprezzamento per la volontà della politica,
condivisa da ogni schieramento, di intervenire organicamente sul tema delle intercettazioni, con la
preoccupazione di contemperare i diversi interessi e diritti in gioco. L’apprezzamento si estende anche
alla dichiarata volontà di intervenire in modo concreto ed effettivo e con attenzione metodologica alle
risorse a disposizione e all’impatto delle modifiche sul sistema.
La ricchezza contenutistica delle relazioni ai singoli DDL, della documentazione allegata al DDL
governativo e del materiale predisposto dal Servizio studi della Camera (con apprezzabile attenzione
anche alla giurisprudenza della Corte EDU, alla legislazione di altri paesi europei e alla normativa
dell’Unione anche in fieri) esonerano dal dover affrontare analiticamente molti passaggi e snodi dei
problemi.
Il presidente della Commissione ha individuato, nella sua relazione del 24.07.2008, “tre … piani della
disciplina delle intercettazioni che richiedono interventi: la genesi, la conservazione e la divulgazione”. Quest’ultimo
aspetto richiama subito il delicato, ma non più eludibile, tema del processo mediatico in tutte le sue
implicazioni, compresa quella della libertà di stampa e della tutela della presunzione di innocenza.
Si seguirà pertanto lo schema individuato dalla Presidenza della Commissione, concentrando le
osservazioni su alcuni snodi fondamentali dei temi in discussione, con riserva di suggerire emendamenti
e osservazioni tecniche dopo che sarà predisposto e reso noto il testo base per l’iter legislativo.
La relazione del Presidente ha sottolineato la presenza di “due esigenze da contemperare: quella investigativa e
quella relativa alla tutela della riservatezza dei cittadini. Sarebbe un grave errore privilegiare una sola di esse. Compito
del legislatore è trovare un punto di equilibrio tra i due interessi”.
Il problema delle intercettazioni è risalente nel tempo (si pensi ad esempio alle intercettazioni delle
lettere della regina narrateci da Alexandre Dumas e al controllo, sempre esercitato dal potere, sulla
corrispondenza epistolare, che fino alle invenzioni del secolo scorso era “il” mezzo di comunicazione
interpersonale, e sui colloqui tra due o più persone, attività che ove non controllabile veniva sovente
vietata in toto) così come lo è, più in generale, quello dei mezzi per la ricerca della verità, la quale non
può essere inseguita a qualunque prezzo ma solo nei limiti imposti dal rispetto dei diritti fondamentali
della persona.
Così, se è vero che un ricorso a tappeto alle intercettazioni telefoniche permetterebbe in molti più casi
di conoscere e provare la verità (ma soprattutto di controllare l’intera collettività e i singoli), esse sono
ammissibili solo a condizioni molto rigorose, così da rimanere compatibili con il rispetto della vita
privata dei singoli, un diritto, questo, più ampio e pieno di quanto non sia la cd. privacy all’italiana
(spesso, sinora, un mero pretesto per imporre vessazioni “burocratiche”, divieti tanto proclamati
quanto inosservati perché inosservabili, nonché nuove forme di autorità e autorithies, di potere – e di
occupazione anche di sedicenti studiosi – piuttosto che un modo per risolvere i reali problemi di tutela
dei diritti delle persone). Sul punto non può non richiamarsi l’art. 8 della Convenzione EDU (nel cui
quadro giuridico sono state affrontate dalla Corte di Strasburgo le problematiche di legittimità delle
intercettazioni telefoniche nei vari paesi) e si comprenderà il reale ambito del diritto che occorre tutelare
in una società democratica, contemperando i diritti delle persone al rispetto della propria vita privata e
familiare, del domicilio e della corrispondenza” con le limitate e predeterminate ingerenze delle autorità
pubbliche, sia pure giudiziarie, ammissibili solo se e nei limiti in cui costituiscono una “misura che, in una
società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla
difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle
libertà altrui”.

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2 - GENESI
La premessa degli interventi sulla “genesi” delle intercettazioni proposti nei vari DDL è condivisa,
evidenziata, sia pure con distinguo, in tutte le relazioni accompagnatorie. ed è stata riassunta il
24.07.2008 nel “ricorso smodato a tale strumento di indagine. Le intercettazioni sono diventate, infatti, un mezzo
ordinario di ricerca della prova anche di reati per i quali il codice di rito non ne consente l'utilizzo, non rientrando la pena
edittale nei limiti previsti dall'articolo 266 né tra le tassative eccezioni ivi stabilite. Da qui il fenomeno delle cosiddette
intercettazioni a rete” e altri meccanismi via via adottati da taluni magistrati”. D’altronde quello attuale è la
prosecuzione del cammino iniziato nella scorsa legislatura. La Relazione 22.01.2008 del ministro al
Parlamento sullo stato della giustizia nel 2007 aveva così riassunto i termini del problema: “le
intercettazioni telefoniche sono uno strumento irrinunciabile nella lotta alla criminalità grave, tanto più nella lotta al
crimine organizzato, ai grandi traffici illegali, al terrorismo. Rinunciare a quest’arma, o comprimerne l’uso fino a ridurne
l’efficacia, sarebbe un gesto autolesionistico … La maggior parte di questi casi sono resi possibili da un regime giuridico
complessivo sostanzialmente disinteressato alla tutela degli estranei al procedimento penale, e che comunque sacrifica oltre
ogni ragione processuale la privacy delle stesse persone sottoposte ad indagine. … L’intercettazione delle conversazioni e
comunicazioni private è un atto tra i più invasivi, e non può essere usata che per l’accertamento dei reati. Ad essa devono
applicarsi i principi di proporzionalità e di sussidiarietà”.
La necessità di garantire un’efficace repressione degli illeciti penali (e il mezzo di indagine delle
intercettazioni è divenuto, anche per lo sviluppo tecnologico della società, sempre più importante per la
prevenzione e repressione dei reati di criminalità organizzata e di terrorismo) deve essere bilanciata dalla
protezione dei diritti individuali di libertà e di rispetto della privacy, quest’ultima da considerarsi con il
tema della libertà di informazione e di stampa.
Nell’ambito giuridico europeo il diritto alla tutela della vita privata e familiare, codificato nell’art. 8
Convenzione EDU, ha manifestato una forza espansiva.
Due sono i diversi profili della privacy secondo la Corte EDU:
- la “segretezza” (che si traduce nell’esigenza di assicurare che notizie relative a vicende personali non
siano conoscibili da terzi),
- la “riservatezza” (che comporta l’esigenza di non divulgazione delle medesime notizie anche da chi ne
sia venuto legittimamente a conoscenza, salvo che l’interessato presti il suo consenso).
Le interferenze dello Stato sono consentite dall’art. 8 Convenzione EDU se previste dalla legge e se
necessarie per proteggere altri beni.
Occorre tenere ben presente i due profili (segretezza e riservatezza) poiché i presupposti per
intercettare comunicazioni e violare la “segretezza” sono diversi da quelli per far venire meno la
“riservatezza” delle informazioni ottenute: in altre parole lo Stato a certe condizioni può procurarsi con
le intercettazioni informazioni “segrete” ma deve poi garantire la “riservatezza” delle stesse a meno che
anche il venir meno della “riservatezza” sia necessario per proteggere altri beni. Correttamente la
relazione 24.07.2008 alla Commissione giustizia del Presidente ha individuato per le intercettazioni un
momento (la genesi) che attiene alla “segretezza” e due altri successivi (la conservazione e la
divulgazione) che attengono al profilo della “riservatezza”.
La giurisprudenza della Corte EDU ha evidenziato, in generale, la necessità
- di previsione delle interferenze sulla privacy in forza di una “base legale” (da intendersi non
solo nel diritto positivo scritto ma anche nel c.d. diritto giurisprudenziale per i paesi di common law e
nelle interpretazioni giurisprudenziali nei sistemi di civil law), accessibile e conoscibile dalle persone1 e
sufficientemente chiara e precisa in ordine all’ampiezza ed ai limiti del potere dell’autorità nazionale che
attua l’ingerenza nella privacy2,

1 Corte EDU sent. 25 marzo 1983, Silver e altri c. Regno Unito, § 87.
2 Corte EDU sent. 25 marzo 1998, Kopp c. Svizzera, § 64; Corte EDU Grande Camera sent. 16 febbraio 2000,
Amann c. Svizzera, § 56; Corte EDU sent. 2 agosto 1984, Malone c. Regno Unito; Corte EDU sent. 24 aprile 1990, Huvig c.
Francia.
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- che l’interferenza nella privacy sia necessaria in una società democratica per perseguire un fine
legittimo ex art. 8 comma 2 Convenzione EDU,
- che tra l’ingerenza e il perseguimento del fine legittimo da parte dello Stato vi sia una
ragionevole proporzione3 (così la Corte EDU ha sottolineato che anche nella lotta al terrorismo occorre
evitare il pericolo di distruggere la democrazia con la giustificazione di volerla difendere4)
e, nello specifico delle intercettazioni (generalmente non auspicabili in una società democratica5),
- che esse siano disciplinate dalla legge con regole chiare e dettagliate, considerati anche i mezzi
tecnici sempre più perfezionati utilizzabili da chi effettua le intercettazioni6,
- che l’interessato – anche se solo titolare o mero fruitore della linea telefonica sottoposta a
sorveglianza - disponga di strumenti per ottenere sia un“controllo efficace” sull’esercizio del potere di
intercettazione da parte dell’autorità7 sia l’esercizio effettivo del “diritto a un ricorso effettivo davanti a
un’istanza nazionale” (art. 13 della Convenzione EDU) competente8.
Questi sono i fondamentali parametri giuridici europei9 da tenere presenti nell’analizzare le proposte
normative, senza distorsioni della fonte.

Individuazione delle attività a cui applicare le norme sulle “intercettazioni”


Tutti i DDL tendono a precisare meglio il campo di operatività delle norme sulle intercettazioni,
tenendo conto della giurisprudenza costituzionale e di legittimità sulle zone d’ombra, quali, ad esempio,
le videoregistrazioni ambientali inframurarie.
Lo scopo condiviso da tutte le parti è quello di chiarire che la normativa sulle intercettazioni è ampia e
omnicomprensiva e si applica a tutte le situazioni teleologicamente simili.
Il DDL governativo attua questo principio intervenendo solo sul 1° comma dell’art. 266 c.p.p.
chiarendo che le intercettazioni sono consentite non solo per le “conversazioni o comunicazioni
telefoniche e altre forme di telecomunicazione” ma anche, in generale e senza distinguo, per le
“immagini mediante riprese visive, e l’acquisizione della documentazione del traffico delle
conversazioni o comunicazioni”; viene proposta anche la modifica del 2° comma dell’art. 266 c.p.p. con
l’eliminazione del riferimento ai “luoghi di cui all’art. 614 c.p.”.
I DDL C-406 e C-1510 propongono invece di inserire
- di inserire una piccola modifica generalizzante nel 1° comma dell’art. 266 c.p.p. (da “altre forme di
telecomunicazione” ad “altre forme di comunicazione”),
- di aggiungere un ultimo comma all’art. 266-bis c.p.p. sulle intercettazioni del flusso comunicazioni
relativo a sistemi informatici e/o telematica che chiarisca opportunamente che i limiti di ammissibilità

3 Corte EDU sent. 25 marzo 1983, Silver e altri c. Regno Unito § 97.
4 Corte EDU sent. 6 settembre 1978, Klass e altri c. Germania § 49.
5 Corte EDU sent. 2 agosto 1984, Malone c. Regno Unito, § 84.
6 Corte EDU sent. 24 aprile 1990, Huvig c. Francia, § 32; Corte EDU sent. 24 aprile 1990, Kruslin c. Francia § 33.
Sono state queste sentenze di condanna per carenza di determinatezza sui presupposti dell’intercettazioni a condurre la
Francia a rendere più stringente (trascrizione delle comunicazioni utili all’accertamento della verità, riversamento nel
fascicolo, distruzione delle registrazioni allo scadere del termine di prescrizione dell’azione penale pubblica) la procedura per
le intercettazioni in allora vigente.
7 Corte EDU sent. 24 agosto 1998, Lambert c. Francia, § 38-40.
8 Corte EDU sent. 25 giugno 1997, Halford c. Regno Unito, § 65.
9 Occorre ricordare che la Corte Costituzionale con le recenti sentenze 22-24/11/2007 n. 348 e 349/2007,
rispettivamente sull’indennità di espropriazione e su quella di occupazione, in materia di norme della Convenzione EDU
(che contribuisce alla creazione di un vero e proprio ordine pubblico europeo in cui gli obblighi hanno natura oggettiva e i
diritti sono tutelati da una garanzia collettiva, con una protezione diretta) e delle decisioni della Corte EDU, ha affermato
che il giudice italiano deve interpretare le norme nazionali in modo conforme alla Convenzione EDU (come interpretata
dalla Corte EDU) nel limite del testo della norma nazionale; altrimenti deve investire del problema la corte costituzionale
che da un lato deve valutare la compatibilità della legge nazionale con la Convenzione EDU e dall’altro lato deve valutare se
le norme della Convenzione EDU interpretate dalla Corte EDU siano compatibili con la Costituzione italiana.
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sono gli stessi delle intercettazioni telefoniche di cui all’art. 266 c.p.p.,
- di prevedere, attraverso i nuovi artt. 266-ter e 266-quater c.p.p., l’applicabilità delle norme sulle
intercettazioni telefoniche anche
all’intercettazione di corrispondenza postale che non ne interrompe il corso della spedizione
(diversamente entrerebbero in gioco le norme in materia di sequestro),
alle riprese visive, con alcune differenze tra il C-406 e il C-1510 in ordine all’eseguibilità ad
iniziativa della polizia giudiziaria di riprese visive in luoghi pubblici, che secondo il C-406 possono
essere eseguite (nuovo art. 266-quater comma 3 c.p.p.) senza ulteriori formalità (ma allora che senso ha
prevederne - comma 2 - l’autorizzazione del PM con decreto motivato se poi l’eccezione – comma 3 - è
la “libertà di intercettare”: evidente che la polizia giudiziaria le farà senza chiederne prima
l’autorizzazione al PM) mentre secondo il C-1510 la polizia giudiziaria dopo averle eseguite di propria
iniziativa, magari perché la situazione presentatasi alla polizia non consentiva di attendere
l’autorizzazione del PM, nell’ambito delle attività di indagine dovrà procurarne la convalida con un
decreto motivato del PM nelle 48 ore successive.
Se l’obiettivo condiviso è quello di predisporre una normativa generale per tutte le intercettazioni di
conversazioni e di ogni altra forma di comunicazione, telefonica e non, allora la Commissione dovrà
unificare i testi al proprio esame aggiungendo alle soluzioni tecniche individuate dal DDL governativo
quelle di cui al DDL C-1510.

Il problema delle videoregistrazioni domiciliari


Al fine di consentire alla Commissione di valutare l’adeguatezza delle soluzioni proposte nei diversi
DDL sul tema delle riprese visive per l’adozione di una soluzione che risolva attuali incertezze
interpretative, pare opportuno ricordare brevemente le soluzioni date dalla Corte costituzionale e dalle
Sezioni unite della Cassazione alla prassi delle riprese visive.
La Corte costituzionale (sent. 24.04.2002 n. 135), di fronte alla richiesta di una pronuncia additiva che
allineasse la disciplina processuale di tutte le riprese visive in luoghi di privata dimora a quella delle
intercettazioni di comunicazioni fra presenti nei medesimi luoghi, aveva ritenuto
- che la ripresa visiva, se finalizzata alla captazione di “comportamenti a carattere comunicativo”, “ben
può configurarsi, in concreto, come una forma di intercettazione di comunicazioni tra presenti”, alla quale “è applicabile,
in via interpretativa, la disciplina legislativa della intercettazione ambientale in luoghi di privata dimora”,
- che se la videoripresa non concerne invece comportamenti di tipo comunicativo non è
possibile estendere alla captazione di immagini in luoghi tutelati dall’art. 14 Cost. la normativa dettata
dagli artt. 266 e ss. c.p.p., “data la sostanziale eterogeneità delle situazioni: la limitazione della libertà e segretezza
delle comunicazioni, da un lato; l’invasione della sfera della libertà domiciliare in quanto tale, dall’altro”.
Le Sezioni unite della Cassazione (sent. 28.03.2006 n. 26795, non richiamata nel pur completo dossier
del servizio studi della Camera), componendo una vexata quaestio sulla legittimità ed utilizzabilità
processuale delle videoriprese effettuate in ambito domiciliare, hanno infatti ritenuto, dopo la sentenza
della Corte delle leggi e disattendendo il prevalente indirizzo di legittimità, che, in virtù di una corretta
applicazione dell’art. 189 c.p.p. (sulle prove atipiche), le videoregistrazioni domiciliari di comportamenti
non comunicativi sono operate in violazione dell’art. 14 Cost. e come tali devono considerarsi
inammissibili e non già inutilizzabili.
Stante l’occasione di un intervento complessivo in materia di intercettazioni, pare questo il momento di
accogliere l’invito che, nel 2002, aveva formulato la Corte costituzionale, la quale aveva sottolineato,
“per l’importanza e la delicatezza degli interessi coinvolti, l’opportunità di un riesame complessivo della materia da parte
del legislatore stesso”, visto che “l’ipotesi della videoregistrazione che non abbia carattere di intercettazione di
comunicazioni potrebbe ... essere disciplinata soltanto dal legislatore, nel rispetto delle garanzie costituzionali dell’art. 14
Cost.”.
E’ in tale quadro che una riflessione supplementare della Commissione e dei proponenti i vari DDL in
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ordine alla miglior soluzione tecnica per disciplinare il vacuum evidenziato nel 2002 dalla Corte
costituzionale (se cioè il semplice espresso inserimento nel 1° comma dell’art. 266 c.p.p. del riferimento
alle intercettazioni di “immagini mediante riprese visive” sia sufficiente e adeguato ovvero se, come
parrebbe a una prima analisi, non sia invece preferibile, alla luce delle sentenze 135/2002 della Corte
costituzionale e 26795 delle Cassazione Sezioni unite, una disciplina più articolata, come proposto ad
esempio dai DDL C-406 e C-1510, modulata sulla distinzione delle operazioni di ripresa visiva tra
quelle captative di conversazioni e quelle a contenuto non captativo che si svolgono nei luoghi di cui
all’art. 614 c.p.).

Uno dei presupposti per le intercettazioni ambientali


La proposta di cui al DDL governativo di modifica del 2° comma dell’art. 266 c.p.p. riduce l’ambito di
discrezionalità del ricorso alle intercettazioni ambientali, ovviamente sempre nei casi di cui al 1°
comma, richiedendo la necessità del “fondato motivo” di ritenere che “si stia svolgendo l’attività
criminosa” per tutte le intercettazioni di comunicazioni tra presenti, non solo più solo nei luoghi di
abitazione o di privata dimora ma in ogni luogo (anche pubblico o aperto al pubblico). Trattasi di una
modifica “garantista” dei diritti di “segretezza” di cui all’art. 8 Convenzione EDU.

Definizione dei presupposti di ammissibilità delle intercettazioni


- la ridefinizione dell’elenco dei reati
Una delle novità di maggior impatto del DDL governativo è la ridefinizione dell’elenco dei reati per i
quali sono consentite le intercettazioni. Gli altri DDL preferiscono invece lasciare immutato tale elenco.
Sul punto si sono incentrati i primi passi del dibattito, con toni talora anche accesi.
Sotto il profilo tecnico il DDL governativo non pare creare problemi nell’individuare la “base legale”
delle intercettazioni (cioè il parametro di “chiarezza legislativa” di cui all’art. 8 Convenzione EDU):
- da un lato vi è un aumento (da 5 a 10 anni) del limite massimo di pena edittale dei reati per cui le
intercettazioni sono in via generale consentite,
- dall’altro lato varia parzialmente l’elenco dei delitti per i quali, nonostante abbiano un limite di pena
massima inferiore ai 10 anni, le intercettazioni sono comunque consentite (è la nuova lettera b del
comma 1 dell’art. 266 c.p.p. che rinvia ai delitti di cui agli artt. 51 commi 3-bis, 3-quater e 3-quinquies e
407 comma 2 lettera a c.p.p., norma quest’ultima che a sua volta rinvia ai delitti per cui è consentito
l’arresto obbligatorio in flagranza ex art. 380 c.p.p., norma questa ampliata da altra modifica), trattasi in
sintesi dei reati di mafia, terrorismo e di cd. “gravissimo allarme sociale”
- resta immodificata la possibilità delle intercettazioni per i delitti contro la pubblica amministrazione
per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni di reclusione (vi è solo
il cambio della lettera, da “b” a “c”, e quindi della posizione nell’elenco) e per i reati di ingiuria,
minaccia, usura, molestia o disturbo delle persone con il mezzo del telefono
- viene eliminata la intercettabilità nell’ambito di procedimenti per alcuni reati economici (abusiva
attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato),
- viene introdotta, nei procedimenti per delitti non colposi con pena superiore nel massimo a 5 anni, la
possibilità di intercettazione (telefonica e non) su richiesta della persona offesa limitatamente alle utenze
ed i luoghi nella disponibilità della stessa.
Complessivamente vi è quindi una ridefinizione dell’elenco dei reati per cui le intercettazioni sono
consentite, con una riduzione complessiva dei procedimenti per cui è consentito il ricorso a tale mezzo
di indagine: è una scelta politica (su cui diverse sono le opinioni delle forze politiche e dei singoli) ma
che pare rispettare i parametri individuati dalla Corte EDU.
Dall’esame del dossier di legislazione comparata predisposto dal servizio biblioteca della Camera è
possibile vedere che anche negli altri paesi l’intercettazione è consentita per un numero ridotto di reati,
sia pure con varianti da paese a paese e con limiti più ampi per le cd. intercettazioni di sicurezza (tema
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estraneo ai DDL in esame).


Dal dossier del servizio studi della Camera è dato di comprendere come il proposto nuovo elenco di
reato in relazioni ai quali le intercettazioni saranno consentite non dovrebbe porre problemi di
contrasto10 con la normativa dell’Unione europea anche in fieri (proposte di decisione quadro relative
alla creazione di un mandato europeo di ricerca delle prove diretto all'acquisizione di oggetti, documenti
e dati da utilizzare a fini probatori nei procedimenti penali [COM(2003)688] - su cui è atteso entro il 23
ottobre 2008 il nuovo parere del Parlamento europeo – nonché alla protezione dei dati personali nel
quadro della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale [COM(2005)475],
Dagli allegati al DDL governativo non è stato dato di capire quante siano state negli ultimi le
intercettazioni che, con la nuova normativa, non avrebbero potuto essere disposte (la relazione tecnica
indica nel 20% l’abbattimento del costo totale delle intercettazioni “derivante dalle limitazioni alle
autorizzazioni delle intercettazioni”, precisando però che trattasi di stima prudenziale): trattasi di dato
che, se acquisito dalla Commissione e reso noto, potrebbe contribuire a “svelenire” i primi passi del
dibattito parlamentare e politico e consentire ragionamenti scevri da preconcetti.

- i presupposti (e la relativa motivazione)


A fronte della prassi sviluppatasi in ordine alla motivazione per relazione dei decreti autorizzativi e al
fine di sottolineare l’aspetto sussidiario del mezzo di indagine delle intercettazioni viene proposta la
modifica dell’art. 267 sia inserendo la non modificabilità né sostituibilità del decreto autorizzativo
(comma 1° nonché dei successivi provvedimenti di convalida – comma 2°) sia la necessarie presenza
(ovviamente da esplicitare nel decreto autorizzativo con idonea motivazione) di “specifiche ed
inderogabili” esigenze relative ai fatti per i quali si procede fondate su elementi espressamente ed
analiticamente indicati nel provvedimento, non limitati ai soli contenuti di conversazioni telefoniche
intercettate nel medesimo procedimento”.
L’intervento richiama quelli già effettuati dal legislatore a partire dagli anni ’80 in ordine alle condizioni
di applicabilità delle misure cautelari personali e alla motivazione dei provvedimenti del Tribunale del
riesame al fine di imporre il superamento di talune prassi giurisprudenziali.
Opportunamente deroghe alla disciplina generale sono previste per le intercettazioni disposte nei
procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata, terrorismo o minaccia col mezzo del telefono.
In tali casi l’autorizzazione è data se vi sono sufficienti indizi e i termini di durata delle operazioni sono
più lunghi di quelli ordinari senza la previsione di alcun termine di durata massima.
Il diverso regime per questi reati particolarmente gravi pare giustificabile in base al principio di
proporzione e conforme alle previsioni dell’art. 8 Convenzione EDU.

- limiti temporali alla durata delle intercettazioni


Tutti i DDL puntano a limitare la durata complessiva massima del termine per le intercettazioni
prevedendo un limite finale di 3 mesi (ulteriormente allungabile secondo il DDL C-406). La
disposizione appare opportuna al fine di evitare il protrarsi “patologico” di intercettazioni, anche per
anni, attraverso il meccanismo delle proroghe successive.

Le intercettazioni a rete e altre disfunzioni (contenimento di una “slealtà” e di un


“autoallargamento giudiziario delle possibilità di intercettare”)

10 Si consideri altresì che per quanto concerne la definizione dei reati la proposta prevede che, per 32 categorie di
reato, lo Stato di esecuzione non possa addurre la doppia incriminabilità come motivo del rifiuto di eseguire un mandato
europeo di ricerca delle prove (anche nel caso in cui sia necessario effettuare una perquisizione o un sequestro), qualora il
reato in questione sia punibile nello Stato di emissione con una pena privativa della libertà della durata di almeno tre anni. Il
Consiglio ha sottolineato che tale impostazione è in linea con precedenti strumenti come il mandato di cattura europeo, le
decisioni di blocco o sequestro, le sanzioni pecuniarie.
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Una problematica comune a tutti gli ordinamenti è quella delle prove viziate nelle modalità per
ottenerle, con l’interrogativo sull’ammissibilità delle prove ottenute illecitamente o slealmente, tenuto
conto che molti sottolineano la necessità di punire i malfattori, soprattutto in relazione a reati assai
gravi. Quando una prova illegalmente ottenuta dimostra che l’accusato è colpevole di uno di tali delitti
suscita sconcerto il rinunciare a servirsene se il risultato è quello di lasciare che un delinquente sfugga
alla giustizia.
In Italia la Corte Costituzionale (sentenza n. 34/1973) aveva affermato in passato l’inutilizzabilità della
prova ottenuta in violazione in diritti garantiti dalla costituzione, con riferimento proprio ad una ipotesi
di intercettazione telefonica attuata al di fuori dei presupposti legali.
Più che giustificata quindi la preoccupazione condivisa di incidere sul fenomeno dell’abuso delle
intercettazioni, principalmente attraverso quelle cd. a rete, e riportare l’uso delle intercettazioni nel
corretto alveo di un mezzo di indagine sussidiario agli altri e proporzionato, nel quadro di un corretto
bilanciamento di diritti da tutte le parti evidenziato, anche attraverso la previsione:
- che gli elementi che consentono la richiesta di un’autorizzazione a disporre intercettazioni non siano
“limitati ai soli contenuti di conversazioni telefoniche intercettate nel medesimo procedimento” (art. 267 comma 1 c.p.p.
nel testo proposto dal DDL governativo),
- che i decreti autorizzativi o di convalida delle operazioni di intercettazione non siano modificabili né
sostituibili
- dell’ampliamento dei divieti di utilizzazione di intercettazioni che non hanno rispettato tutte le regole
(nuovo art. 271 c.p.p.) e la restrizione della possibilità di utilizzazione delle intercettazioni o in
procedimenti diversi da quelli nei quali sono state disposte (nuovo art. 270 comma 2 c.p.p.)

Il Giudice competente ad autorizzare le intercettazioni


Il progetto governativo propone di affidare la competenza in ordine all’autorizzazione delle
intercettazioni al tribunale in composizione collegiale del capoluogo della provincia nella quale ha sede
l’ufficio del PM che ha richiesto l’intercettazione.
La finalità, evidenziata nella relazione della Presidente 24.07.2008, di “porre fine alla distorsione
applicativa della disciplina vigente” in materia di redazione dei decreti di autorizzazione per relationem in
particolare alla richiesta del PM appare condivisibile, così come la sottolineatura
- dell’importanza di una maggior distanza “dalle esigenze investigative” del giudice chiamato a
decidere in ordine alla richiesta del PM di procedere ad intercettazioni, con conseguente “maggior
imparzialità”,
- del valore della collegialità del giudice (che “dovrebbe servire a garantire quel vaglio di
ammissibilità che il giudice monocratico, sia pure inconsapevolmente, finisce per delegare al magistrato
richiedente, che meglio conosce le indagini”).
Appare inoltre singolare l’attribuzione a un giudice collegiale del potere di disporre quelle limitazioni
della vita privata rappresentate dalle intercettazioni a fronte del permanere invece in capo a un giudice
monocratico del potere di disporre limitazioni della libertà personale (misure cautelari personali),
senz’altro più invasive, sia pure con il “temperamento” successivo del possibile intervento del di un
giudice collegiale. L’innovazione proposta, pur se condivisibile nelle finalità, finisce quindi per tradursi
in una incoerenza di sistema, su cui occorre una attenta riflessione.
Sotto il profilo degli effetti indotti dallo spostamento di competenza al tribunale collegiale provinciale
occorre considerare anche i riflessi in tema di successive incompatibilità. Decine di tribunali provinciali
hanno infatti organici inferiori alle 10 unità o poco superiori. Si immagini il caso di un procedimento
penale pendente avanti a uno di questi uffici in cui nella sola fase istruttoria siano stati chiamati a
occuparsene, a vario titolo, 1 GIP, 3 giudici dell’istituendo Tribunale per le intercettazioni, 3 giudici del
Tribunale per il riesame delle misure cautelari reali, 1 GUP. Essendo già stati “bruciati” prima del
dibattimento ben 8 giudici, quell’ufficio riuscirà a trovare i giudici necessari per costituire il collegio per
8
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il dibattimento? E che cosa succederebbe se, in ipotesi, si trattasse di un processo per reati fallimentari
con la possibilità concreta che del collegio giudicante non possano far parte quei giudici che si siano
occupati della dichiarazione di fallimento o della relativa opposizione ovvero di una azione di
responsabilità in sede civile basata anche sugli stessi fatti oggetto del processo penale?

L’esecuzione delle intercettazioni


Uno degli snodi su cui i DDL intervengono con previsioni analoghe è quello delle modalità di
esecuzione delle intercettazioni, dando attuazione alle previsioni di cui ai commi 82 e 83 dell’art. 2 della
legge finanziaria 2008.

Il nuovo sistema unico nazionale: esecuzione delle registrazioni, ascolto (con un nuovo ruolo
per gli agenti di PG) e riduzione dei costi
Il nuovo sistema unico nazionale già previsto nella finanziaria 2008 si articola sulla concentrazione
presso gli istituendi “centri di intercettazione telefonica” delle operazioni di registrazione e mentre le
operazioni di ascolto delle conversazioni saranno compiute mediante gli impianti installati presso le
procure della Repubblica ovvero, se autorizzato dal PM, presso i servizi di polizia giudiziaria delegati
per le indagini .
L’innovazione non può che essere guardata con favore poiché dovrebbe consentire
- sia un miglior livello di sicurezza nell’acquisizione e trattamento dei dati anche per la limitazione del
numero di soggetti che possono accedere alle registrazioni e ai dati,
- sia una semplificazione sotto l’aspetto “contabile” riducendo a 26 gli attuali 166 (o 192 se si
considerano anche le procure della repubblica presso i tribunali per i minorenni) centri di costo (di cui
alcuni parrebbero non aver mai reso alcun conto al ministero),
- sia un elevato risparmio di spesa che dovrebbe conseguirne e che la relazione tecnica allegata al DDL
1415 stima in circa 180 milioni di euro annui, importo che dovrebbe coprire la gran parte di tagli alle
“missioni di spesa” operati dal DL 112/2008.
Peraltro, ad esaminare la Relazione ministeriale al Parlamento sullo stato della giustizia nel 2007, si vede
che la cifra di 228 milioni indicata quale costo per le intercettazioni è ottenuta sulla base dei decreti di
pagamento emessi (e quindi con un criterio di cassa e non di competenza) e che essa è comprensiva
anche dei costi per tabulati che non paiono compresi tra gli oneri stimati nella relazione tecnica.
Ne deriva che i dati dei risparmi potrebbero essere da un lato più elevati e dall’altro lato inferiori al reale
poiché ai costi per l’impianto e l’esercizio delle nuove strutture distrettuali di intercettazione e
circondariali di ascolto occorre aggiungerne altri tecnicamente necessari.
Il DDL governativo “complica” la redazione del verbale di esecuzione delle intercettazioni (nuovo art.
268 comma 2) che dovrà contenere molti più dati rispetto a quanto oggi previsto.
Il DDL governativo prevede altresì (art. 267 comma 4 c.p.p.) la possibilità che nei casi di procedimenti
per delitti di criminalità organizzata, terrorismo o minaccia col mezzo del telefono (semplici) agenti di
polizia giudiziaria possano coadiuvare il PM o l’ufficiale di polizia giudiziaria, venendo così incontro ad
esigenze operative della polizia giudiziaria.
Sempre in materia di esecuzione tutti i DDL prevedono infine che nel registro riservato tenuto nelle
procure della repubblica vengano annotati anche data e ora di emissione e di deposito dei decreti
autorizzativi.
Il DDL C-1510 propone di annotarvi anche i nominativi del personale intervenuto. Evidente lo scopo
di prevenire comportamenti scorretti che parrebbero essersi verificati.

3 – CONSERVAZIONE DELLE INTERCETTAZIONI


Presupposto dell’intervento sulle modalità di conservazione del materiale intercettato è la
consapevolezza dell’inadeguatezza della situazione attuale (“manca una precisa organizzazione della gestione e
9
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custodia dei risultati dell'attività svolta”: così la relazione del Presidente della Commissione giustizia della
Camera 24.07.2008).
Per comprendere meglio le dimensioni del problema e la conseguente necessità di intervento per chi ha
la responsabilità politica di intervenire, appare utile il richiamo a un dato evidenziato nella Relazione
ministeriale al Parlamento sullo stato della giustizia per l'anno 2007, presentata agli Atti del Senato per
la seduta del 22.01.2008, ove il Ministero segnala “sono state anche oggetto di controllo le modalità di custodia
della documentazione relativa alle intercettazioni di comunicazioni. Con riferimento a tale dato è stato rilevato che 13
uffici di Tribunale hanno correttamente applicato la normativa a tutela della privacy, 6 uffici lo hanno fatto in maniera
inadeguata, 2 non avevano provveduto. Per gli uffici di Procura 14 hanno applicato correttamente la normativa, 6 lo
hanno fatto in maniera inadeguata, 2 non avevano provveduto”11. Se su un campione di 43 uffici ben 16 (cioè il
37%) non ha correttamente applicato (o non ha addirittura applicato) la normativa in materia di privacy,
allora le dimensioni della criticità portano a ritenere che si tratti purtroppo di una situazione fisiologica
e non meramente patologica.
L’inadeguatezza dell’attuale sistema di conservazione del materiale intercettato è indubbiamente una
delle concause della fuoriuscita del materiale intercettato (o del suo contenuto) verso i media per la
divulgazione all’esterno.
E’ anche necessario ricordare che la Corte EDU in una, già non più recente, pronuncia relativa all’Italia
[sent. Craxi c. Italia (n. 2) del 17 luglio 2003, sia pure con la dissentig opinion del Giudice italiano V.
Zagrelbesky] proprio in ordine alla pubblicazione sulla stampa di intercettazioni telefoniche relative a
conversazioni di natura privata, irrilevanti o poco rilevanti per le accuse oggetto del procedimento
penale (depositate nella segreteria del PM come materiale integrativo di indagine e quindi senza
problematiche di “segreto istruttorio”) con danno di immagine tanto più per i terzi estranei al processo
penale, aveva ritenuto, tra l’altro,
- che la loro diffusione non era proporzionata ai fini legittimamente perseguibili per giustificare una
violazione della privacy e conseguentemente doveva essere considerata “non necessaria in una società
democratica” secondo l’interpretazione dell’art. 8.2 Convenzione EDU (sent. cit. § 67),
- che la protezione dei diritti garantiti dall’art. 8 Convenzione EDU deve essere effettiva e
positivamente assicurata dallo Stato anche nella fase del dibattimento (sent. § 81-83), anche perché la
divulgazione delle conversazioni attraverso la stampa poteva essere stata il risultato di un
malfunzionamento della segreteria del PM.

Il nuovo archivio
Strumento fondamentale per la conservazione delle registrazioni, secondo tutti i DDL, è il nuovo
apposito “archivio riservato tenuto presso l’ufficio del pubblico ministero che ha disposto
l’intercettazione” (art. 269 c.p.p.), in cui sono destinati a confluire tutti i verbali ed i supporti contenenti
le registrazioni.
Innovativa anche la previsione del divieto esplicito di allegazione anche parziale delle intercettazioni al
fascicolo delle indagini, sempre al fine dichiarato di prevenire divulgazione verso l’esterno del materiale
intercettato o del suo contenuto (nuovo art. 269).

La responsabilizzazione individuale
Una delle linee di fondo comuni a tutti i DDL è la chiara individuazione del soggetto responsabile del
servizio di intercettazione, del registro riservato delle intercettazioni e dell’archivio riservato nel quale
sono custoditi i verbali ed i supporti (nuovo comma 2 bis dell’art.89 disp. att. c.p.p.), attraverso la
designazione di un funzionario responsabile da parte del procuratore della repubblica.

11 Pag. 115 (pag. 132 del documento “.pdf”).


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L’individuazione di una persona fisica responsabile dell’acquisizione, del trattamento e della


conservazione dei dati e delle registrazioni – unita alla previsione di un complessivo quadro
sanzionatorio – dovrebbe impedire che a fronte di eventuali divulgazioni di materiale e notizie destinati
a rimanere segreti o riservati non sia possibile individuare responsabilità di singoli e continuare a
rifugiarsi in una generica “responsabilità collettiva del sistema”.
L’effetto preventivo dissuasivo, conseguente anche ad una individuazione con maggior precisione o
facilità delle possibili fughe di notizie, dovrebbe auspicabilmente portare a una consistente diminuzione
di divulgazione verso l’esterno di informazioni concernenti indagati, imputati e terzi estranei, nell’ottica
di quella effettività delle garanzie personali la cui mancanza anche la Corte EDU ha censurato.
Il futuro art. 268 comma 3-ter c.p.p. (contesto identico in tutti i DDL) attribuisce rispettivamente ai
procuratori generali presso la corte di appello ed ai procuratori della repubblica, i poteri della gestione,
vigilanza, controllo ed ispezione dei centri d’intercettazione e dei punti di ascolto.
Anche tale attribuzione di poteri pare idonea al raggiungimento del fine di sicurezza nella raccolta, nel
trattamento e nella conservazione dei dati e del materiale intercettato delineando chiaramente il quadro
gerarchico di gestione e controllo.

La scrematura e la conoscibilità delle intercettazioni per le parti del processo


Il meccanismo per la “scrematura” delle intercettazioni è diverso nei diversi DDL.
Più semplice e diretto nel DDL governativo, più “complicato” nel DDL che ripropongono in sostanza
le soluzioni in discussione nella passata legislatura.
I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al PM e da questi depositati
(condivisibilmente senza previ stralci da parte del PM) in segreteria entro 5 giorni dal termine delle
operazioni (ovvero in ritardo ma entro il termine massimo di emissione dell’avviso di cui all’art. 415-bis
c.p.p. se il tribunale accoglie la relativa richiesta del PM volta a evitare grave pregiudizio per le indagini)
rimanendovi per il termine fissato dal PM, termine che può essere prorogato ove necessario. La
competenza per tutti i provvedimenti di proroga del termine o di autorizzazione al deposito tardivo
viene devoluta nel DDL governativo al Tribunale (provinciale collegiale), ormai vero dominus delle
intercettazioni e impegnato, presumibilmente “a tempo pieno”, nei suoi nuovi compiti. Quali saranno i
riflessi sulla capacità dei tribunali provinciali “minori” di svolgere la propria altra attività giudiziaria
potranno essere verificati sul campo, anche se le previsioni parrebbero non ottimistiche.
Effettuato il deposito, ne è data immediatamente comunicazione ai difensori che hanno facoltà di
esaminare gli atti e di ascoltare le registrazioni entro il termine stabilito dal PM (salva proroga del
giudice).
Al fine di evitare la fuoriuscita dai locali della Procura di copia dei verbali , dei supporti e dei decreti ne
è vietato il rilascio (nuovo art. 268 comma 6 ult. parte c.p.p.). Sotto il profilo teorico è comprensibile e
apprezzabile la volontà di assicurare la segretezza delle intercettazioni e la possibilità effettiva di
gestione e controllo, tanto più alla luce dell’introduzione del principio di responsabilità personale. Nel
quotidiano, tale opzione finirà però per ostacolare concretamente (in alcuni casi fino a eluderla in toto) la
possibilità di effettivo esercizio del diritto di difesa (gli orari di apertura dell’archivio durante i quali sarà
possibile procedere all’esame degli atti e all’ascolto delle intercettazioni finiranno per coincidere con
quelli in cui i difensori sono impegnati nelle attività giudiziali, lo studio degli atti e l’ascolto delle
registrazioni dovrà essere effettuato solo nei locali della procura ecc. mentre il luogo proprio per
l’esercizio di tali attività da parte del difensore è il suo studio. Se sorgeranno per il difensore esigenze di
riascolto “pomeridiano o serale” di una registrazione o di farla ascoltare ad un cliente detenuto per
chiedergliene spiegazioni come ciò potrà concretamente essere fatto? In caso contrario il diritto di
difesa come potrà dirsi assicurato?)
La fase della scrematura viene affidata al tribunale cui il PM, una volta scaduto il termine, trasmette
verbali, atti e registrazioni. Il tribunale dovrà selezionare, in un’apposita udienza, le conversazioni o i
11
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flussi “che non appaiono manifestamente irrilevanti” (condivisibile la formulazione) procedendo però,
“anche di ufficio” (sottolineatura opportuna del suo ruolo di “garanzia” e “terzietà”) allo stralcio del
materiale “di cui è vietata l’utilizzazione”.
La procedura è quella camerale di cui all’art. 127 c.p.p., snella ma tale da consentire l’esercizio del diritto
di difesa.
La trascrizione integrale delle registrazioni ovvero la stampa delle informazioni contenute nei flussi
diventa eventuale per il caso che il tribunale “lo ritenga necessario ai fini della decisione da assumere”.
Opportuna appare, alla luce dell’evoluzione tecnologica delle modalità di registrazione e di ascolto, la
espressa previsione della possibilità per i difensori di far eseguire la trasposizione delle registrazioni su
“supporto informatico” (anziché su nastro magnetico). Al riguardo occorrerà però chiarire l’importo da
corrispondere per diritti di copia, al fine di evitare differenze di interpretazione tra i diversi uffici.
Anche quanto alla scelta “garantista” del DDL governativo di attribuire la competenza per la
scrematura delle intercettazioni al Tribunale provinciale in composizione collegiale valgono le
osservazioni già svolte in precedenza sulla competenza per disporre le intercettazioni e sui possibili
riflessi negativi sul funzionamento di taluni uffici, magari su altri settori.

La distruzione delle registrazioni


La distruzione delle intercettazioni continua a essere disciplinata nel DDL governativo, anche quanto al
momento, secondo le attuali regole di cui all’art. 269 commi 2 e 3 c.p.p., salvo
- il sistematico subentro del tribunale al GIP per i provvedimenti di sua competenza e
- l’ampliamento delle intercettazioni da distruggere in forza delle modifiche conseguenti
all’ampliamento dell’area di inutilizzabilità delle intercettazioni (art. 271 commi 1 e 3 c.p.p.).

4 - DIVULGAZIONE VERSO L’ESTERNO DEI RISULTATI DEGLI ATTI DI INDAGINE


Un punto su cui la normativa in discussione intende intervenire è quella della conoscibilità e
divulgazione verso l’esterno del materiale intercettato.
Viene così costruita un sistema in cui a monte, come si è visto, diventano più difficili, almeno a livello
teorico, le fughe di notizie (visto il maggior controllo su tutte le fasi che concernono la esecuzione e
conservazione delle intercettazioni, possibili in misura minore e più controllabile di quanto non sia
oggi) e, a valle, si riducono le possibilità di conoscibilità esterna delle intercettazioni da parte di terzi che
non siano parte del processo introducendo in contemporanea un sistema sanzionatorio per le violazioni
del segreto e della riservatezza.
L’intervento si appalesa necessario, a tutela di numerosi diritti e interessi:
- riservatezza (privacy) delle parti e, soprattutto dei terzi (sovente si è assistito invece alla diffusione
mediatica di conversazioni irrilevanti per le indagini e persino relative a soggetti del tutto estranei alle
stesse, stante l’attuale “regime giuridico complessivo sostanzialmente disinteressato alla tutela degli estranei al
procedimento penale, e che comunque sacrifica oltre ogni ragione processuale la privacy delle stesse persone sottoposte ad
indagine” – Relazione ministeriale 22.01.2008 al Parlamento sull’andamento della giustizia nel 2007)
- efficienza delle indagini e del buon funzionamento della giustizia,
- presunzione di innocenza,
da contemperarsi e bilanciarsi con la libertà di stampa e di informazione, necessari in una società
democratica, anche se appare errato ritenere che la conversazione intercettata debba comunque
costituire tout court oggetto del diritto di cronaca, indipendentemente dalla sua rilevanza nel processo
penale e dal diritto di riservatezza soprattutto dei terzi estranei.
Correttamente la Presidente della Commissione ha evidenziato che “sulla base della normativa attualmente in
vigore il segreto riguarda soltanto gli atti d'indagine del pubblico ministero e della polizia giudiziaria, sino a quando non
ne possa avere conoscenza la difesa. Spesso, dunque, si parla impropriamente di illecita pubblicazione di atti di indagine.
Tuttavia, è frequente anche la divulgazione di intercettazioni ancora coperte da segreto. Nei confronti di tali violazioni è
12
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necessario maggiore rigore e non lasciare che le norme volte a presidiare i divieti restino inapplicate”.
Preliminarmente l’OUA richiama le osservazioni generali già contenute nel documento presentato a
questa Commissione in occasione dell’audizione del 11 giugno u.s.12
Giova ricordare che il problema del rapporto tra il processo penale ed il ruolo dei mezzi di
comunicazione è comune alla maggior parte dei paesi europei, dove all’insegna del principio di
pubblicità – e, più in generale, del diritto della collettività all’informazione – ci si trova di fronte a
violazioni del segreto istruttorio per seguire ogni giorno sulla stampa lo sviluppo di un’inchiesta, a casi
di particolare risonanza trasformati in feuilletons videotrasmessi, al proliferare di programmi televisivi
basati sulla cronaca nera, per giungere fino a veri e propri processi penali paralleli.
In taluni casi pare di essere di fronte alla tentazione del ritorno al “linciaggio collettivo” e
all’applicazione anticipata della sanzione della “gogna”, che non agevola né la ricerca della verità, né la
pace sociale.
Un principio cardine del sistema di giustizia penale di tutti gli ordinamenti europei, non solo dell’Italia,
è la presunzione di innocenza.

12 <<Preliminarmente alla trattazione di questo punto, occorre sottolineare la indifferibilità di interventi che tendano
a ricondurre nel corretto alveo il rapporto tra Giustizia e informazione, nell’ottica di ridimensionare fortemente il fenomeno
della c.d. “giustizia spettacolo”, che purtroppo si è via via ingigantito, a far data dagli anni di “mani pulite”.

La Carta Costituzionale pone certamente al massimo livello, tra i valori tutelati, la persona umana e la sua dignità, così come
tutti i diritti ad essa connessi.

E’ intollerabile, in un sistema autenticamente democratico, che l’affermazione della responsabilità penale degli individui
debba venire di fatto sottratta alle aule di giustizia ed al giudice naturale, nei tempi, nei luoghi e con le modalità del giusto
processo, per essere affidata ad una sorta di “foro alternativo” rappresentato dai media e dalla carta stampata, i quali
intervengono senza alcuna garanzia, neppure di contraddittorio, nella delicata fase istruttoria, quando ancora ci si muove
sulla base di semplici notizie di reato, che debbono trovare conforto nella successiva formulazione di imputazioni e nel
processo, culminando con una sentenza di colpevolezza. Un tale procedere, certamente facilitato e addirittura alimentato
dalla possibilità di pubblicazione delle risultanze, spesso del tutto estranee al presunto reo ed alla imputazione sulla quale
l’inquirente è al lavoro, delle intercettazioni telefoniche, è gravemente lesivo della persona, oltre che gravemente lesivo del
principio costituzionale di non colpevolezza (a tacer d’altri).

La sistematica fuga di notizie, che spesso purtroppo è apparsa coincidente con momenti “topici” della vita sociale e
politica del Paese, e la successiva pubblicazione e diffusione con ampia eco delle stesse – anche quando poi si riveleranno
come spesso è accaduto del tutto infondate o ultronee – consente la celebrazione di anomali processi di piazza, sulle
cui caratteristiche, che contrastano con i principi dello stato di diritto e appaiono del tutto difformi da quanto secoli di civiltà
giuridica hanno tradotto nei codici, e sopratutto nel codice di procedura, varrebbe la pena di potersi intrattenere ben più a
lungo.

Quanto sta accadendo da anni nel Paese, con la responsabilità di molti, e senza esclusione di quella della
magistratura, rappresenta - forse anche in modo paradossale – una vera e propria delegittimazione del sistema di
resa di giustizia e degli operatori, e quindi a ben vedere della stessa magistratura, alcuni esponenti o già esponenti della
quale, purtroppo, paiono invece rallegrarsene, laddove plaudono alla diffusione ampia ed anticipata delle notizie di reato – e
non solo di quelle – e agli esiti della “gogna mediatica”, alla quale, in aggiunta, non è estraneo anche un improprio giudizio di
valore etico.

Occorre pertanto, ed anche il monito del Capo dello Stato è significativo a riguardo, che finalmente si intervenga
per porre rimedio a storture gravi del sistema che non appaiono più tollerabili. Il tutto, ovviamente, senza alcun
pregiudizio per l’agire corretto e responsabile della magistratura inquirente e l’autonomia della stessa. Ciò nella riscoperta, e
nel potenziamento, della cultura e pratica dell’indagine, che non può essere limitata al solo e massiccio ricorso alle
intercettazioni telefoniche, talvolta, purtroppo, anche in assenza di principi di prova.
Il richiamo al senso di responsabilità ed alla deontologia delle singole categorie, seppur doveroso, non può certamente
sostituire il doveroso intervento del legislatore>>.
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Il processo mediatico, la diffusione di notizie (parte del più complesso fascicolo processuale) finiscono
per incidere pesantemente su tale presunzione
Anche se tradizionalmente il sistema accusatorio non è favorevole al segreto (“it keeps the judge himself
while trying under trail”) è difficile immaginare che un’inchiesta possa svilupparsi efficacemente fin
dall’origine sulla pubblica piazza e, dall’altro lato, la tutela della presunzione di innocenza esige che il
sospettato non sia prematuramente consegnato al pubblico.
In Inghilterra la pubblicazione di informazioni con l’intento di influire su eventuali indagini quale che
sia il momento della pubblicazione è punibile con il ricorso al contempt of court, che comprende anche il
“pubblicare informazioni di natura tale da influenzare una giuria nei confronti di un accusato”, formula vaga che
evidenzia però bene come oggetto della tutela sia soprattutto la fairness processuale, il buon
funzionamento della giustizia ex art. 6 CEDU, pervenendo persino ad annullare il verdetto se la stampa
ha “inquinato il processo”).
La sottolineatura della compromissione che la violazione del segreto apporta alla presunzione di
innocenza è visibile in Francia sol che si rifletta al titolo della riforma di cui alla legge 516 del
15.06.2000: Loi renforçant la présompion d’innocence et les droits des victimes.
Nell’intervento proposto dal DDL governativo si prevede
- che il divieto (art. 114 comma 2 c.p.p.) di pubblicazione di atti e immagini fino ala conclusione delle
indagini o al termine dell’udienza preliminare riguarda non solo gli atti ma anche il loro riassunto o il
relativo contenuto (ciò al fine di contrastare le attuali prassi)
- il nuovo divieto di pubblicazione, anche parziale e in qualunque forma, delle intercettazioni di cui sia
stata ordinata la distruzione (con il condivisile intento di evitare che l’ordine di distruzione non possa
poi raggiungere i suoi effetti),
- il divieto di riportare integralmente le intercettazioni nelle ordinanze che dispongono misure cautelari
(al fine di evitarne al conoscibilità ai terzi estranei al processo mentre le parti potranno averne accesso
in un apposito fascicolo allegato agli atti),
- la modifica del reato di illecita rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale (art. 369)
punibile secondo il DDL governativo con una sanzione molto più elevata (da 1 a 5 anni di reclusione
contro i limiti attuali da 15 giorni a 1 anno per l’ipotesi dolosa, con l’introduzione di una fattispecie
colposa) e l’introduzione di una sanzione per la violazione del segreto da parte di chi non osservi il
divieto impostogli dal PM ex art. 391-quinquies c.p.p.,
- la introduzione nell’ordinamento di un nuovo reato (art. 617-septies c.p.) di accesso abusivo (mediante
modalità o attività illecita) ad atti del procedimento penale, punito con la reclusione da 1 a 3 anni,
- l’aumento delle sanzioni per il reato di pubblicazione arbitraria degli atti di un procedimento penale
(art. 684 c.p.), con un differenziazione tra l’ipotesi “base” e quella “speciale” quando la pubblicazione
concerne le intercettazioni.

5 – ALCUNE ULTERIORI PREVISIONI CONTENUTE IN SINGOLI DDL


Nel disegno di legge governativo sono altresì previsti interventi sulla terzietà e imparzialità del giudice,
sulla correttezza del PM e su altri aspetti, complementari rispetto all’impianto generale del disegno di
legge, ma collegati e connessi al tema della pubblicità degli atti di indagine.

Astensione del giudice loquace


Il PDL governativo prevede all’art. 1 l’introduzione nel codice di rito (art. 36 c.p.p.) di un nuovo caso di
astensione (e quindi di ricusazione in caso di mancata astensione) del Giudice loquace, che abbia cioè
reso pubblicamente dichiarazioni relative al processo affidatogli. Non si può che condividere la
proposta, alla luce della necessità di tutelare la equità del processo, la imparzialità del Giudice (e la sua
apparenza). D’altronde, con uno sguardo a ciò che accade in altri paesi vicini al nostro, in Germania
(ove i contatti con i giornalisti passano attraverso il rispetto dell’autorità gerarchica e del ruolo del
14
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magistrato addetto alle comunicazioni, lo Justizpressesprecher) nel noto caso del processo all’ex leader della
DDR Erich Honecker l’intervista rilasciata da uno dei giudici ne aveva provato l’immediata ricusazione
(e nessuno aveva trovato a ridire sulla soluzione).

Sostituibilità del Pubblico ministero sospettato di non aver rispettato il segreto su un suo
procedimento
Il PDL governativo prevede, sempre all’art. 1, l’introduzione nel codice di rito (art. 53) di un’ipotesi di
sostituzione del PM loquace, cioè che sia iscritto nel registro delle notizie di reato per il reato di illecita
rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale di cui sia titolare.
Lo scopo dichiarato è quello di scoraggiare in via preventiva le fughe di notizie mettendo di fronte ad
un magistrato eventualmente desideroso di un’indagine mediatica a scapito sia della segretezza
dell’indagine (segretezza finalizzata anche al buon esito dell’attività istruttoria) dei diritti degli indagati e
delle altre parti private la certezza di “non poter fare più danni” attraverso la sua sostituzione nella
titolarità dell’indagine.
La “sanzione” immediata latu sensu prevista (sostituzione e perdita della titolarità del fascicolo) appare
adeguata.
Il DDL si pone anche giustamente il problema delle possibili denunce strumentali contro il PM, tese a
toglierli la titolarità dell’inchiesta, e prevede in tal caso l’obbligo per il capo dell’ufficio (ovvero del
procuratore generale nel caso che il magistrato indagato sia il procuratore stesso e non un sostituto) di
sentire il procuratore competente per l’indagine sulla rivelazione di segreti da parte del PM in ordine alla
serietà e gravità dei fatti.

Le informazioni agli organi disciplinari sull’iscrizione nel registro degli indagati


L’art. 2 del DDL governativo prevede anche l’obbligo per il procuratore della repubblica di informare
l’organo disciplinare competente in ordine a ogni iscrizione nel registro degli indagati di impiegati dello
stato o persone esercenti una professione per cui è necessaria una speciale autorizzazione. Nei trenta
giorni dal ricevimento dell’informativa l’organo disciplinare, dopo il contraddittorio con il presunto
autore del fatto, potrà disporne la sospensione cautelare.
La volontà di mettere in condizione l’organo disciplinare di poter intervenire cautelarmente in tempi
rapidi appare condivisibile, il riguardo all’effettività e immediatezza dei rimedi parimenti apprezzabile, il
diritto di difesa del presunto autore di reato pare garantito dall’obbligo per l’organo disciplinare di
sentirlo prima dell’adozione dell’eventuale provvedimento cautelare.
Difficoltà di fatto per una effettiva difesa nel procedimento cautelare disciplinare si potranno però
porre, poiché il presunto autore del fatto non potrà verosimilmente avere accesso a tutti gli atti e
documenti contenuti nel procedimento in cui è indagato visto lo sfasamento temporale tra un’indagine
penale verosimilmente ancora non conclusa e quindi “segreta” e non pienamente conoscibile da una
parte e un procedimento cautelare in corso basato su alcuni atti e informazioni “selezionati” dal PM e
dallo stesso forniti all’organo disciplinare.

Ampliamento dell’ambito di operatività della violazione di domicilio


Il DDL governativo propone una modifica dell’art. 614 c.p. tesa a equiparare all’abitazione ogni altro
luogo privato (e non solo di privata dimora), con ampliamento del luogo fisico “riservato”.

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