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LA TUTELA INTERNAZIONALE DEI LAVORATORI AFFETTI DA AIDS

INTRODUZIONE
Il Rapporto sullo Sviluppo Umano dell’UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo),
riportava, nel 2003, l’impegno prioritario contro l’HIV e la Tubercolosi.
Veniva indicato nel sesto punto e parlava della necessità di operare per favorire quella che
rappresenta la prima minaccia allo sviluppo mondiale.
In particolare ci si rivolgeva ad aree come Botswana, Lesotho, Swaizland, Zimbawe.
Si parlava dell’impatto terrificante sulle capacità lavorative: lo Zambia nel 2003 perse 1.300
insegnanti ovvero 1/3 del totale formato in un anno.
Seguivano tutta una serie di consigli per operare verso la inversione del fenomeno da ottenere entro
il 2015, e tra le tante voci compariva il termine “promuovere risposte multisettoriali all’epidemia”.
Nel 2004 le cose non sono affatto migliorate: l’Aids ha ucciso oltre tre milioni di persone, 500 mila
non avevano ancora compiuto 15 anni. Fra adulti e bambini sono in quaranta milioni a vivere con il
virus dell’immunodeficienza acquisita (Hiv): il 2004 ha visto quasi cinque milioni di nuove
infezioni e l' aumento delle donne contagiate, che sono quasi la metà dei 37 milioni di adulti
infettati.
Rispetto alle donne è necessario attuare azioni concrete per prevenire la violenza nei loro confronti
e assicurare loro l’accesso ai diritti di proprietà ed eredità, all’educazione di base e alle opportunità
di lavoro”. Di fatto, secondo il resoconto dell’Unaids e dell’Oms, sono ancora milioni le ragazze
che ogni giorno diventano sessualmente attive senza avere accesso ai servizi di prevenzione e,
soprattutto nell’Africa del Sud, molte donne utilizzano il sesso come merce di scambio per soldi,
necessità di base e così via. Nell’Africa sub sahariana i tre quarti dei sieropositivi fra i 15 e i 24 anni
sono ragazze.
Rispetto a due anni fa, il numero di persone che vivono con l’Hiv è aumentato in tutto il mondo, ma
soprattutto nelle zone dell’Est e del Centro dell’Asia e dell’Est Europa: nell’Asia orientale fra il
2002 e il 2004 è stato registrato un aumento del 50 per cento, attribuibile soprattutto alla Cina (ma
anche ad Indonesia e Vietnam), mentre nelle altre due zone geografiche l’aumento è stato del 40 per
cento (soprattutto Ucraina e Federazione Russa). Nonostante queste impennate, il primato della
malattia rimane all’Africa sub sahariana, dove vivono quasi i due terzi delle persone con il virus (i
tre quarti delle donne con Hiv di tutto il mondo).
Ad oggi, in breve la situazione è questa, così come fotografata dal Rapporto congiunto UNAIDS
(Joint United Nation Programme on HIV/AIDS) e WHO (World Health Organiation).
Le misure da prendere sono molte e in vari campi, proprio come diceva il rapporto UNDP 2003
l’attività deve essere multidisciplinare.
In realtà oggi appare essersi spento l’interesse nei confronti di uno degli ambiti di lotta più
importanti: quello sul fronte del lavoro.
Il lavoro rappresenta in ogni continente un aspetto importante della dignità e della vita sociale di
una persona, e l’esperienza insegna che ancora oggi uno dei rpimi effetti della acquisizione del virus
è proprio la perdita o il rischio di perdita dello status dato dal lavoro, così come appare evidente
anche nell’ultimo rapporto UNAIDS – WHO che i soggetti più colpiti sono quelli privi di
educazione, proprietà e lavoro ovvero donne e bambini.
Questo lavoro vuole richiamare l’attenzione sugli strumenti di tutela internazionale dei lavoratori
che contraggono o rischiano di contrarre tale malattia, sull’insufficienza delle normative e delle
politiche nazionali che anche laddove sono presenti (come in Italia) non danno ancora sufficienti
garanzie.
Tale lavoro inoltre indica come prioritaria la necessità di un a “riemersione” del tema-AIDS,
stranamente uscito dal dibattito internazionale, una riemersione che deve avvenire ad opera della
Società Civile Organizzata, per fare pressioni sulle scelte politiche a ogni livello.
CENNI SUL VIRUS

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LA STORIA IN BREVE
Si ritiene che l’infezione dell’uomo abbia avuto origine in Africa Centrale tra il 1955 ed il 1965, da
un adattamento del virus animale che colpisce gi scimpanzé; da qui, la trasmissione all’uomo
sarebbe avvenuta grazie alla caccia tribale.
L’infezione sarebbe a lungo rimasta confinata nella zona fina alla fine degli anni 70, quando si
diffuse nei Caraibi, in alcune città USA ed infine nel Nord-Europa; gli scambi commerciali ed il
passaggio di emoderivati avrebbe poi favorito il diffondersi della malattia.
Al di là delle possibili tesi sull’origine della malattia, si sa per certo che nel 1980, Michael Gottieb,
ricercatore dell’Università della California,svolgendo una ricerca sul sistema immunitario, si
imbatté nella cartella di un paziente affetto da un raro tipo di polmonite dovuto al microbo
“Pneumocystis crinii” che generalmente colpiva sistemi immunitari depressi; in seguito scoprì tre
casi analoghi in cui si potevano riscontrare bassi livelli di linfociti T; i pazienti avevano in comune
soprattutto l’essere omosessuali attivi. Negli USA i casi continuarono a svilupparsi sino a ricevere
la definitiva divulgazione universale grazie agli articoli del “New York Times”
In Italia il dibattito sulla questione sessuale e il tema delle Tossicodipendenze fu segnato da
profonde lacerazioni ideologiche e la questione emerse solo grazie ai movimenti degli anni settanta
e alle leggi che in forza di esse vennero emanate.
Nel 1971 venne emanata la legge che liberalizzava la propaganda sugli anticoncezionali, anche se la
sua applicazione (come vedremo) sarà contraddittoria
il 1978 vede la nascita a livello regionale delle strutture per la cura, prevenzione da
Tossicodipendenze e malattie psico-sociali evitando il più possibile (grazie allo svilupparsi della
teoria della Deospedalizzazione (il cui principale ispiratore fu Franco Basaglia) l’internamento in
strutture.
Intanto inizia l’opera di informazione grazie alle scuole e nascono all’interno del Servizio Sanitario
Nazionale gli sportelli per le Tossicodipendenze, finanziate dalla legge 297/1985.
A tutt’oggi il sistema italiano per la lotta alla Tossicodipendenza è una specie di “giungla
assistenziale” cioè un insieme di tanti servizi pubblici e privati (caratterizzati anche da presupposti
ideologici diversi) che operano in totale autonomia senza neppure obiettivi comuni; non va tuttavia
dimenticato che le grandi iniziative legislative sono state il frutto di una stagione importante in cui
la popolazione civile ha chiesto ed ottenuto di entrare nella gestione della salute pubblica
partecipando alle decisioni e, tramite Referendum ma soprattutto manifestazioni, sancire la libertà
dei comportamenti sessuali.
Nel 1982 lo studioso Bruce Voeller conia per la prima volta il termine AIDS.
Nel 1983, il Retrovirlogo francese Luc Montagnier, dell’Istituto Pasteur di Parigi, coltivando in
laboratorio le cellule di un paziente omosessuale con linfonodi infrossati (ma senza sintomi di
AIDS) riesce ad isolare un nuovo retrovirus che chiama LAV (Lynphoadenopathy-associated
Virus); nel promuovere la sua ricerca invia campioni ai vari scienziati tra cui lo studioso
statunitense Robert Gallo; quest’ultimo nel 1984 annuncia la scoperta di un retrovirus simile al
LAV .
Divampa la polemica aizzata dai giornali sulla somiglianza impressionante tra i due retrovirus,
avvallata da molti scienziati che sostengono che essi provengano da cellule di uno stesso malato;
sarà necessario un accordo politico tra i Presidenti Jacques Chiraq e Ronald Regan per definire
ufficialmente l’eguale merito dei due studiosi (ma la scienza acclamerà lo studioso francese, anche
perché palese appaiono le motivazioni commerciali dell’accordo); nello stesso anno si associa al
termine AIDS il termine più tecnicamente corretto di HIV (Human-Immunodeficiensy Virus).
In un anno di impiego, con il calo di casi conclamati, sembra essere stata trovata la giusta strada, ma
già nel 1998 si registrano fallimenti terapeutici: l’HIV mostra resistenza ai farmaci e l’adesione
diventa il punto debole della terapia (una persona in cura deve assumere trenta pastiglie al giorno ad
orari fissi.
Negli ultimi anni sono stati approvati nuovi farmaci che però hanno più che altro mostrato effetti
collaterali (specie sulle donne in gravidanza), mentre è stata confermata l’importanza del
preservativo contro la diffusione del virus per via sessuale.
E’ interessante notare il ruolo assunto negli ultimi anni dalle Campagne Informative in tutti i paesi
del mondo, tendenti ad individuare le situazioni rischiose, aumento delle conoscenze ed
cambiamento degli atteggiamenti e dei comportamenti; esse si sono rivolte a target ben specifici:
dai giovani, alle donne in età fertile, omosessuali, bisessuali, tossicodipendenti, militari di leva,
popolazione carceraria e volontari.
Il linguaggio usato è sempre stato incisivo ed accattivante, per attirare l’attenzione soprattutto dei
giovani, un linguaggio che usa semplicemente un linguaggio più accessibile e comprensibile da
chiunque di modo da renderlo partecipe, ma fornendo comunque notizie e dati.
Ma i problemi nelle campagne non furono solo a livello mediatico; sempre nel 1991 una simpatica
iniziativa di opuscoli informativi per e scuole, attuato con la collaborazione del vignettista Silver e
il suo celebre personaggio Lupo Alberto, naufragò a causa del blocco voluto dall’allora Ministro
dell’Istruzione Pubblica, nonostante l’opuscolo fosse stato preparato dal Ministero di Sanità.
Le politiche mediatiche sono state, specie fuori dall’Italia molto incisive, dirette: basta pensare a
un’altra iniziativa svizzera che inchiodava le banali motivazioni o pregiudizi che spingono i giovani
a non utilizzare il profilattico (l’uso della pillola come protezione, il sottoporsi regolarmente ai test,
un idea più libertina del sesso, l’essere eterosessuali e non omosessuali), oppure quelle attuate
sempre negli anni novanta in Svezia, particolarmente rivolte ad omosessuali, bisessuali, immigrati e
rifugiati (politiche così ardite nel 2004, in Italia, non sono ancora state portate avanti)
I risultati parvero da subito sorprendenti: in Svizzera il pacchetto di politiche mediatico-informative
porto la percentuale di consumatori di preservativi dall’8% del 1997, al 51% del 1991, nella fascia
d’età 17-20 il consumo era passato dal 19% al 73%
LA TUTELA INTENRAZIONALE DEI LAVORATORI AFFETTI DA HIV

LE POLITICHE E LE NORMATIVE REGIONALI: POTENZIALITA’ E LIMITI IN BREVE

1- Asia: Tra la presa di coscienza in Kenya e la minaccia in India

Questi due paesi sono paradigmatici della situazione contrastante presente nell’Asia.
La Thailandia ha, nel corso degli ultimi anni, portato avanti una coraggiosa campagna che ha visto
la cooperazione tra lo Stato e le ONG come “People Living with AIDS” , in favore della
sensibilizzazione all’uso del preservativo e nell’educazione alla consapevolezza nei comportamenti
privati.
A tutto ciò si è legata una politica di erogazione gratuita di farmaci antiretrovirali.
Importante anche la svolta avvenuta negli ultimi anni in Kenya, dove la legge del 2003 ha impedito
ai datori di lavoro di licenziare i dipendenti affetti da HIV e alle università ha imposto di accettare
gi studenti che presentano questa infezione; al tempo stesso alle assicurazioni è fatto divieto di
speculare su casi di aids.
Completamente diversa è la situazione in India, dove l’epidemia si è aggravata, a causa soprattutto
della mancanza di sensibilità rispetto al tema della prostituzione, e in generale a causa delle scarse
tutele nei confronti delle donne specie se puerpere; ciò minaccia anche il ricambio generazionale.
Le ONG paiono tra le poche forze a muoversi in questo ambito: il progetto HEROES cofinanziato
dall’ONU all’interno del pacchetto di progetti Global Media Iniziative
Sempre l’ONU tramite l’UNAIDS, il suo programma specifico in materia, ha firmato il 28 aprile un
accordo con il Ministero della difesa di New Delhi per una politica di formazione e prevenzione,
nonché di anti-discriminazione all’interno dell’apparato militare del paese.
L’accordo appare più che mai una risposta a livello di good International public policies , rispetto
alla sconvolgente notizia del marzo scorso, che ha visto il Parlamento indiano (la Camera Alta)
votare la legge che vieta la produzione di farmaci generici per rispetto degli accordi sulla Proprietà
Intellettuale in sede WTO, un autentica prevaricazione rispetto alle necessità umanitarie date dal
pericolo di infezione.
Queste politiche intergovernative coercitive del WTO sono un pericolo per il mondo del lavoro,
poiché tolgono speranze di difesa per i milioni di lavoratori affetti dal virus.

2-Il Flagello in Africa

L’Africa ha visto negli ultimi anni un peggioramento progressivo della situazione.


Tutto ciò è determinato dalla scarsa volontà politica e dalla conseguente deregualtion legislativa
che condanna le fasce deboli della società (la stragrande maggioranza della popolazione) a subire la
malattia.
I ministeri della Sanità pubblicizzano ancora i metodi e tecniche dell’usanza popolare, addirittura in
paesi da tempo al centro della scena mondiale nella lotta al virus: basti pensare al Sud Africa.
All’indomani delle lotte del Presidente Nelson Mandela sul campo del Diritto Internazionale in
materia di cure e commercio dei farmaci (la vittoria storica sulle multinazionali che non volevano
esportare a prezzi ragionevoli la tecnologia dei farmaci antiretrovirali come previsto dagli accordi
internazionali commerciali in caso di epidemia), ha fatto seguito la miopia di alcuni autorevoli
esponenti del governo Mbeki, il cui ministro della Sanità consigliava fino a due anni fa l’uso di
metodi preistorici e privi di ogni fondamento scientifico per la cura delle malattie.
In questo paese è stato fondamentale il ruolo dell’ONU più che altro con le raccomandazioni e le
spinte diplomatiche, la denuncia internazionale ripresa da organi di stampa in tutto il mondo, le
denuncie delle ONG) ossia la decisioni presa in sede UNAIDS di non destinare i denari del Fondo
Aids senza una più corretta politica della cura e leggi a garanzia delle fasce deboli.
Altro teatro problematico è il Botswana, il paese con il più alto tasso di sieropositivi.
Negli ultimi anni si sono sviluppate normative che accordano medicinali gratuiti e assistenza alle
donne incinte per evitare il passaggio del virus al feto: tuttavia la normativa non si occupa di
educazione alla prevenzione ne tutela i lavoratori delle aree rurali.
Ancora una volta, persino in questa zona così problematica, è la voce delle ONG a criticare le leggi
del Botswana.

2- L’Europa e l’Italia imperfette


L’Europa come area evoluta sia in campo economico che in quello dei diritti non presenta
particolari problematiche se non legate alle aree disagiate e allo sfruttamento dell’ignoranza dei
propri diritti specie nei confronti degli immigrati
L’Italia è un paese in cui le lotte sociali e la presenza di una cultura politica molto attenta ai
valori della convivenza sociale (dottrina sociale cattolica, socialismo) hanno favorito la nascita
di un sistema di tutela dei lavoratori dettagliato.
L’affezione da HIV è considerato nell’ambito lavorativo un Handicap, e da il diritto pertanto
alle agevolazioni, al sostegno finanziario e sociale previsto per gli Handicap, a cominciare
dall’inserimento di liste speciali nell’ambito del Collocamento con l’obbligo da parte delle
aziende di assumere una parte di componenti di tale lista.
Pertanto essendo l’ Italia come tutta Europa ormai sensibile al tema del diritto al lavoro sprazi di
preoccupazione restano in relazione alla progressiva precarizzazione del lavoro che privando i
lavoratori di un ambiente di lavoro stabile possono provocare perdite di legittimità delle loro
istanze. Resta però soprattutto il problema della tutela dei diritti del lavoratore immigrato.

Da questa breve panoramica appare evidente la presenza di limiti fortissimi nella capacità effettiva
dei governi e delle legislazioni internazionali nel portare avanti una politica coerente contro l’HIV.
Pertanto urge una maggiore affermazione del Diritto Internazionale dei Diritti Umani, specie nel
campo della tutela della salute del lavoratore.
Importante anche il ruolo di coordinamento dato dalle istituzioni che,. in quota ONU, si occupano
del fenomeno e la cui capacità di incisione sulle decisioni nazionali e regionali deve essere più
forte: UNAIDS e ILO.

GLI STRUMENTI DI TUTELA INTENRAZIONALE DEI LAVORATORI AFFETTI DA HIV

Principi fondamentali
Per affrontare il tema dei Principi dobbiamo partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo datata 10 dicembre 1948; all’art. 5 si impone il divieto della Tortura e di ogni
trattamento degradante, che può essere riferito al tema dello screening obbligatorio richiesto per
molti anni ai lavoratori “sospetti” che in moti paesi rischiano ancora (così come ovunque non vi sia
informazione sui diritti anche nelle società evolute); l’art.7 richiama alla tutela giurisdizionale
contro ogni forma di discriminazione, mentre l’art.12 tutela la privacy e alla preservazione della
dignità e reputazione; l’art.22 afferma i diritti economici sociali e culturali fruibili per tutti come
obbligo per ogni stato; l’art.23 richiama al diritto a soddisfacenti condizioni di lavoro
Il Patto Internazionale sui Diritti Economici Sociali e Culturali all’art.12 esprime al punto “c”
parla del diritto alla profilassi, cura e controllo delle malattie endemiche, epidemiche, professionali
e d’ogni altro genere, mentre il punto “d” parla del diritto si assistenza medica.
Naturalmente ulteriori indicazioni sui diritti di soggetti a rischio sono inseriti nella Dichiarazione
Universale dei diritti del Fanciullo e nella Dichiarazione contro la Discriminazione nei confronti
delle donne.
Fondamentale appare ricordare gli strumenti di Tutela e di promozione dei diritti umani legati
all’ambito ONU che ad oggi operano con diversi strumenti.
Anzitutto va ricordata l’opera della Corte Internazionale di Giustizia che ha attuato una
giurisprudenza tendente a stabilire i principi della carta del 48 come fonte consuetudinaria e
pertanto fonte primaria del diritto internazionale vincolante per gli stati membri.
Viene affermato la primazia di questi diritti anche rispetto allo Stato, i quali possono semplicemente
mettere in atto i precetti della carta e non certo disconoscerli.
La casistica sta favorendo questo processo.
Altro strumento importante di tutela è presente rispetto al Patto Internazionale sui Diritti Economici
Sociali e Culturali del 1966 attraverso il Comitato dei Diritti dell’Uomo che opera mediante le tre
procedure previste per la verifica da parte degli stati firmatari dell’adempimento della Carta:
anzitutto lo studio dei rapporti obbligatori che gli stati devono annualmente produrre indicando
tutte le iniziative politiche e legislative in applicazione della Carta, la cui analisi non ha effetti
giuridici ma che producono una pubblicità diplomatica che può avere ripercussioni sulla credibilità
del paese esaminato; inoltre l’esame dei rapporti di denuncia d uno stato nei confronti di un altro,
che comportano l’avvio di un rapporto a tre in cui interviene una Commissione di Conciliazione che
nell’arco di un anno dovrà operare per risolvere la controversia qualora non vi riesca il Comitato.
Infine sono gli stesi individui che possono direttamente adire al Comitato presentando una denuncia
per inadempimento da parte del proprio paese in quanto vittime (la nozione di vittima è
opportunamente larga indicando anche le potenziali conseguenze future) , avendo già esperito tutti i
gradi di giudizio nel proprio paese, rispetto ad un caso verificatosi dopo l’entrata in vigore della
Carta nell’ambito di un paese che abbia ratificato la Carta, è necessario che il soggetto sia sotto la
giurisdizione di quello Stato; egli naturalmente deve offrire delle prove che lo Stato chiamato in
causa potrà visualizzare per produrre una relazione che plausibilmente sarà di rigetto dell’iniziative
del proprio cittadino.

L’ILO
In ambito di lotta all’AIDS a livello ONU il Comitato è certamente l’istituzione competente.
L’istituzione che in ambito OUN si occupa delle tematiche relative al lavoro è l’ILO (Intenrational
Labour Organiuzation), ideata dalla Conferenza di Mosca del 1943 (l’URSS non ha mai fatto
mistero della sua preferenza per i diritti sociali); si chiedeva una collaborazione tra lavoratori datori
e governi e il sostegno della libertà sindacale: il 21 aprile 1944 a Philadelphia vide la luce lo Statuto
dell’ILO nonostante le problematiche di accordo politico tra gli USA che volevano un ILO
“flessibile”, l’URSS che la preferiva non caricata di eccessivi poteri e responsabilità e la Gran
Bretagna che mirava invece a una forte e centralizzata istituzione.
L’ILO ha predisposto a partire dal 1958 una serie ampia di strumenti per la tutela del lavoratore
discriminato; abbiamo potuto constatare come questi strumenti abbiano via via garantito sempre di
più i lavoratori, con particolare riferimento ad alcuni “aspetti sensibili”per il tema : libertà di cura,
condizioni di effettività del testo ,privacy,.
I primo documento redatto in tale funzione è la “Convenzione concernente la discriminazione e
l’impiego sul lavoro” n°111 del 1958 che da una definizione di discriminazione definendola come
“ogni distinzione, esclusione o preferenza fondata sulla razza, colore, sesso, religione, opinione
politica, nazionalità, ceto sociale, che annulli o comprometta l’uguaglianza delle possibilità o del
trattamento cell’impiego o nella professione”
Un primo riferimento alla tematica sull’HIV abbiamo detto riguarda la libertà di cura: l’art. 5
definisce “non discriminatorie” le misure speciali di protezione e assistenza previste dall’ILO;
sostanzialmente si lascia allo stato parte della convenzione giudicare l’atteggiamento delle aziende
del proprio paese sentite le parti sociali.
L’art. 12 spiega le modalità di verifica dell’applicazione della Convenzione e spiega che il
Consiglio di Amministrazione dell’ufficio internazionale del lavoro presenti alla Conferenza
Generale, un rapporto sull’applicazione della Convenzione della Convenzione, ma non si impegna
a farlo a meno che non lo ritenga opportuno e non prevede nessun procedimento a carico dello stato
inadempiente.
Nell’allegata raccomandazione si indica che la discriminazione dovrebbe essere combattuta dalle
parti sociali e affidata al monitoraggio di un autorità nazionale
Nessun riferimento al tema privacy; naturalmente va specificato che tale strumento va considerato
come fonte per la discriminazione in generale dato che ne l958 di HIV non si sapeva praticamente
nulla
Iraq e Israele sono a sorpresa tra le prime ad aver ratificato nel 1959 il Trattato assieme alla Tunisia
al Portogallo e alla Norvegia.
L’Italia lo ha fatto nel 1963
Il testo successivo per materia è la Convenzione 159/1983, “Convenzione sulla riabilitazione
delle persone disabili”, la quale si rifà alle nuove leggi sulla disabilità e si basa sulle discussioni
scaturite dalla proclamazione nel 1981 dell’anno delle disabilità dell’ONU.
Il testo contiene subito una novità rispetto al predecessore: maggiore incisività, dimostrata dalla
mancanza del condizionale rispetto agli obblighi assunti dagli stati contraenti; si riconosce infine
che la discriminazione non è semplicemente un meccanismo che blocca nella competizione, ma
rischia di causare la perdità del posto di lavoro, ecco perché qui la definizione di discriminazione è
incentrata a contrastare tale possibilità; va aggiunto che in quegli anni l’AIDS è ancora lontana
dall’essere conosciuta come oggi, e in quel periodo appare essere più che altro il risultato del
comportamento sregolato degli omosessuali, quasi come se fosse un “loro cancro”.
Il testo si dedica al reinserimento di persone disabili e alla parificazione di trattamento con altri
lavoratori e anche tra di loro.
Rispetto al testo del 1958, l’art. 5 del testo del 1983 fa riferimento esplicito non più solo alle parti
sociali, ma anche alle Organizzazioni a tutela dei disabili che devono essere interpellate durante la
contrattazione; infine l’art. 9 parla della necessità di impiegare personale qualificato.
Mancano ancora riferimenti specifici alla libertà di cura e alla privacy, ma del resto la ricerca in
materia di HIV è ancora indietro e molte tematiche non vengono ancora affrontate, tutto è ancora
sommerso.
Nel corso degli anni 80 e metà anni 90 sono seguiti documenti sempre più specifici nell’oggetto,
dalla Convenzione del 1981 sulla salute e sicurezza sul posto di lavoro, passando per la
Convenzione sui lavoratori part-time (la cui condizione di precariato garantisce scarse tutele dato la
scarsa quantità di contributi versati, condizione che peraltro non permette di effettuare una reale
azione legale o politica per vedersi riconosciuti i diritti; gli stessi sindacati a lungo tempo ed ancora
oggi hanno difficoltà a definire una strategia di tutela di queste forme di lavoro anche perché
impediti dai lavoratori fissi che temono un abbassamento della tensione sui loro interessi in favore
di quelli del precario) e infine la Convenzione sul lavoro minorile del 1994.
In tema di AIDS l’anno della svolta giuridica è il 1996 quando esce il documento “ILO code of
Practice” che verifica l’attuazione della legislazione anti-discriminazione attuata a partire dalla
Convenzione 111/1958.
Il sistema di controllo delle Convenzioni e delle Raccomandazioni dell’ILO vengono attuate anche
qui mediante analisi dei Rapporti e delle Comunicazioni.
L’esame dei Rapporti avviene ad opera di una commissione di esperti che valuta anche le istanze
portate dalle parti sociali del paese interessato; il rapporto passa una Commissione tripartita che da
vita ad un contraddittorio con lo Stato esaminato il quale può essere segnalato in una apposita lista
da presentare alla Conferenza.
Per quel che riguarda le comunicazioni esse possono essere portate all’attenzione dell’ILO da uno
Stato che ne denuncia un altro in base all’accettazione per entrambi gli Stati dell’art.26 della
Costituzione OIL; può essere la stessa OIL per mezzo del Consiglio di Amministrazione o di un
delegato a chiedere a un paese di poter effettuare un controllo sul posto con produzione di eventuali
raccomandazioni.
Infine vi sono i reclami presentati da una organizzazione di lavoratori o di datori il che prevede
prima l’intervento di un Comitato di tre membri e poi del Consiglio di Amministrazione.
Importante notare che questi organi sono indipendenti.
In questi ultimi anni l’impegno dell’ILO si è rafforzato in materia di AIDS, tramite il
“ code of practice on hiv/aids and the world of work”.

Nel 2003 l’ILO ha creato un codice programmatico per la creazione di politiche internazionali e di
un sistema internazionale di tutela dei lavoratori soggetti ad HIV.
Con esso si è voluto dare una svolta alle politiche in tema di prevenzione, riduzione del danno,
supporto ai soggetti colpiti, lotta alla discriminazione.
L’ILO parte dall’assunto per cui il luogo di lavoro sia un ambito nel quale si svolge la vita di
comunità e pertanto esso rappresenta un fondamentale banco di prova della capacità della società di
affrontare il tema dell’HIV.
La discriminazione viene definita come un crimine avverso alle norme a tutela dei diritti umani;
questo discorso viene portato avanti con particolare enfasi per quel che attiene al ruolo della donna.
Il codice fa riferimento esplicito al diritto alla privacy.
Esso stabilisce la necessità di un sistema coerente di concertazione in ogni paese, che veda
coinvolte le parti in causa e la società civile nonché le pubbliche istituzioni (multi sectoral
partecipation). Si richiama nuovamente a una più coerente e aggiornata azione legislativa da parte
di tutti gli stati membri. Inoltre viene esplicitamente favorita la collaborazione con le forze della
società civile e delle istituzioni internazionali per attuare codifiche valide (regional and international
collaboration), inoltre chiama a unire le forze tra paesi per sostenere un programma di assistenza
internazionale (international assistance).
I codice sprona i datori di lavoro a non disattendere la legislazione nazionale, ad operare per il pieno
riconoscimento dei diritti degli impiegati a cominciare dalla non discriminazione, alla libertà di
scelta rispetto allo screening, alla concertazione con le rappresentanze dei lavoratori, alla
educazione sul posto di lavoro, alla partecipazione alle iniziative e programmi internazionali.
Infine è consigliato ai datori di lavoro di favorire l’accesso ai lavoratori ai servizi di councelling.
I lavoratori sono chiamati a lavorare in advocacy con i datori di lavoro, sono chiamati a non
discriminare sul posto di lavoro, a informarsi sul tema dell’HIV e a favorire lo screening per i loro
colleghi i piena sicurezza e rispetto della privacy.
Una codifica a parte viene dedicata alla donna che deve accedere al le informazioni più e meglio di
quanto avvenga oggi, che deve raggiungere un livello di maggiore emancipazione sul luogo di
lavoro per poter meglio tutelarsi.
Anche ai bambini si guarda con particolare rilevanza, nella speranza che la lotta contro il loro
rischio di infezione si inserisca nella più ampia sfida al lavoro minorile e favorisca l’educazione e la
fine dello sfruttamento.
Punto molto ben definito è il divieto di obbligare il lavoratore a subire determinate procedure come
lo screening; esso non può essere usato come condizione per avviare o continuare il rapporto
lavorativo.
Con riferimento alla Raccomandazione 171/1985. viene espressamente richiesto a società
assicuratrici e aziende di rispettare la privacy e il diritto di scelta dell’assicurato e/o impiegato.
Viene richiamata l’importanza di politiche nazionali che sostengano l’intero nucleo familiare del
lavoratore soggetto ad HIV.
Il codice definisce in maniera acuta il profilo di un possibile soggetto e luogo di lavoro a rischio, il
che rappresenta un utile strumento anche ad uso delle istituzioni nazionali come parlamenti e Alte
Magistrature .
Viene raffigurato un lavoratore soggetto a continui spostamenti (come accade oggi nel mondo del
lavoro in cui la disponibilità a muoversi è una delle prime richieste del mercato), che lavora isolato,
in un posto di lavoro con una forte discriminazione nei confronti delle donne più o meno palese,
luoghi in cui si può operare a contatto con sangue.
Altra definizione puntuale riguarda la donna, che è soggetta al virus laddove è sottomessa sia in
casa che sul lavoro, a rischio di abuso sessuale specie se povera, inoltre rischia la discriminazione
essendo una rifugiata (donne e bambini rappresentano la massima parte della popolazione rifugiata),
infine priva di istruzione ed accesso alle informazioni e privata dell’assistenza sociale.
In conclusione il CODE prevede la creazione di un sistema di Monitoratine, rappresentato da un
HIV/AIDS committe che riunisca in se le parti sociali, i soggetti affetti dal virus e i servizi sociali.
Esso deve poter attuare un decision making e un attività di monitoraggio delle normative nazionali e
della loro applicazione rispetto alle imprese e l’impatto rispetto al problema.
Esso deve poter analizzare la disponibilità di fondi e pronunciarsi sul loro impiego, e inoltre creare
un piano d’azione da proporre alle parti interessate da pubblicizzare sotto forma di inserzioni
giornalistiche e seminari o altri eventi

Altre istituzioni impegnate


Un accenno meritorio deve essere infine fatto per il Programma ONU in materia di AIDS.
Lo UNAIDS è il Programma ONU per la lotta all’AIDS, attuata attraverso programmi ad hoc nelle
aree maggiormente colpite dal fenomeno.
Svolge politiche e campagne di sensibilizzazione ed educazione nonché di monitoraggio, sempre
coinvolgendo nei suoi progetti le OSC (Organizzazioni di Società civile) e le ONG.
Negli ultimi tempi sta operando in India per contrastare l’assenza di politiche formative e protettive
all’interno delle forze armate. Negli ultimi anni la sua attività si è riconcentrata in Africa.
In Mozambico sta portando avanti un progetto di accesso alle cure per le donne specie se incinte,
collaborando con una coalition internazionale di società civile per promuovere l’educazione al
preservativo e i diritti della donna: ! " " #
Oltre a ciò la Commissione dell'ONU per i diritti umani (CHR) ha inserito per la prima volta un
riferimento alle persone omosessuali come categoria protetta in una risoluzione sui diritti umani
delle persone sieropositive o affette da Aids.

La risoluzione della CHR considera le forme di discriminazione di cui soffrono le persone


sieropositive o affette da Aids, ed invita le agenzie e gli stati membri dell' Onu a combattere la
discriminazione e a garantire le piene libertà e i diritti umani delle persone sieropositive o affette da
Aids. La risoluzione dichiara che "le persone con uno status socio-economico o giuridico
svantaggiato" sono particolarmente "vulnerabili al rischio di infezione da Hiv ... e soffrono oltre
misura le conseguenze economiche e sociali dell' epidemia da HIV/Aids". La risoluzione cita due
volte "gli uomini che sono omosessuali" fra le persone più gravemente colpite dall' epidemia. La
risoluzione conferma inoltre "che l' espressione "other status" (altre condizione) nelle norme sulla
non discriminazione nei testi internazionali sui diritti umani, deve essere intesa come comprensiva
dello stato di salute, incluso .
LA TUTELA REGIONALE DEI LAVORATORI

La Carta Sociale Europea

Entrata in vigore il 26 febbraio 1965, e successivamente emendata fino all’ultima versione del 1996.

Essa afferma all’art.15 il diritto a un Lavoro per tutti i residenti in Europa con eque tutela anche per
immigrati; l’art.23 afferma la parità tra uomini e donne, l’art.28 afferma il diritto di attuare qualsiasi
forma di mobilitazione per la tutela dei propri diritti dalla concertazione allo sciopero, l’art.31
esplicitamente fa riferimento a condizioni di lavoro dignitose, sane e sicure, l’art.34 garantisce
l’assistenza sociale come strumento per la dignità umana.

Tutela specifica è prevista per i lavoratori minorenni all’art.32.

Tale documento rappresenta il maggior contributo regionale alla tutela della salute e della diginità
del lavoro

ALTRI SISTEMI REGIONALI

In ambito americano non è possibile affermare altrettanto, poiché il sistema americano di Diritti
Umani è legato alla cooperazione interstatale e interessata all’ambito dei soli diritti civili e politici.

Tra l’altro è sempre stato uno strumento fortemente politicizzato in funzione anti-europea. Pertanto
è stato compito dell’associazionismo intervenire in quei paesi maggiormente a rischio in America
Latina (Messico) e del Sud (Colombia, Argentina), vessati dalla povertà e dalla mancanza di
politiche sociali sufficientemente forti: Safe The children ,Nel 2003 ha creato un’agenzia composta
con Oxfam, Catholic Relief Services, World Vision, C&A Social Development Institute,
POMMAR e Plan International chiamata INTERAGE; l’ agenzia continua la sua partnership con le
agenzie locali, tenendo incontri mensili e promovendo la Responsabilità Sociale delle imprese.
Come risultato di questo e di precedenti lavori, ci sono, attualmente, 20 aziende regionali
“socialmente responsabili” che hanno acquisito consapevolezza sull’importanza del loro ruolo nel
miglioramento delle condizioni di vita dei ragazzi e delle ragazze.

In ambito africano bisogna riconoscere la svolta rappresentata dalla carta Africana dei diritti
dell’uomo e dei popoli, la quale è il risultato di una cultura la cui esperienza storica di
colonizzazione ha spinto verso l’autodeterminazione, ma anche verso la cooperazione
internazionale, il diritto allo sviluppo e la solidarietà che si esplica nella definizione di doveri a
carico di tutti i componenti della comunità.

L’art.15 della Carta Africana dei diritti umani afferma il diritto di ogni lavoratore ad operare in
condizioni soddisfacenti. Mentre l’art.16 riafferma il dovere dello Stato id operare per garantir la
salute della comunità

Infine, è di particolare preoccupazione la situazione in Asia, in cui un sistema politico e culturale


particolarmente chiuso, nonché la convivenza di un miliardo di persone e di innumerevoli paesi con
culture e tradizioni diverse, rende fino ad oggi impossibile la creazione di un sistema regionale dei
diritti umani: il concetto supremo di autorità e di dovere rispetto ai diritti individuali e sociali porta
a condizioni spaventose di sfruttamento in moti paesi; tra l’altro molti di questi paesi non hanno
ratificato i Patti del 66 e rifiutano l’universalità dei diritti umani in nome della “cultura asiatica”.
Interessante il tentativo di alcuni parlamentari in ambito ASEAN di codificare una Dichiarazione
asiatica dei diritti umani che prevedesse un sistema di garanzia sub-regionale (dichiarazione AIPO).

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