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QUALE FUTURO PER LUNIONE EUROPEA?

1A PARTE Quale sar il destino dellUnione Europea, se la Francia o la Gran Bretagna dovessero votare NO ai rispettivi referendum sulla Costituzione europea? Occorre dire che, per la verit, dal punto di vista meramente tecnico, la Carta Fondamentale predisposta dalla speciale Commissione presieduta da Giscard dEstaign qualcosa di incomprensibile, per le centinaia di pagine e di articoli che la compongono. Oltre a rinunciare alle sue radici cristiane, infatti, lEuropa del futuro difetta del dono della sinteticit (sarebbe bastato ispirarsi, per questo, alla Costituzione americana!), affinch i grandi principi che la sorreggono fossero immediatamente percepibili e fruibili da tutti i suoi cittadini. Malgrado i timori della vigilia, le istituzioni europee di Bruxelles hanno retto bene linvasione e lampliamento dello scorso anno ha avuto benefici effetti e ricadute positive per i neo-promossi e per la stessa UE. Grazie al loro ingresso nellUnione, le economie dei nuovi Paesi membri mostrano un tasso di crescita economica straordinario, pari a due-quattro volte quello degli Stati europei pi anziani, nonostante esistessero forti timori iniziali, per limpatto della regolazione sui sistemi industriali post-comunisti e per la tenuta del settore agricolo locale, una volta entrato nel mare aperto del libero mercato. Va detto che, al contrario, in Polonia accaduto esattamente lopposto: lindustria manifatturiera locale ha ottenuto significativi guadagni di competitivit, approfittando delle frontiere aperte e delle facilitazioni allesportazione dei suoi prodotti, mentre i produttori agricoli hanno tratto notevole giovamento dai sussidi e dallaumento della domanda. Il problema vero che, tuttavia, i popoli dellEuropa centrale si sentono cittadini di Serie-B dellUnione, anche a causa della loro esclusione, protratta ancora per due anni, dallarea Shengen (questo significa, in pratica, che chi ha un passaporto dellEst non pu attraversare liberamente le frontiere inter-comunitarie) e del congelamento, per ulteriori sei anni, della libera circolazione dei lavoratori, con la sola eccezione di Inghilterra, Svezia ed Irlanda, che hanno aperto fin da subito le porte ai Paesi dellEst Europa. I nuovi arrivati, poi, sono obbligati a sottoporsi ancora ad una lunga trafila di verifiche e controlli sui loro bilanci pubblici e sulle normative di settore, prima di poter entrare nella zona euro. Per di pi, i lavoratori agricoli dei nuovi Paesi comunitari ricevono appena un quarto dei contributi spettanti ai 15 vecchi membri, con la scusa che tale restrizione necessaria per favorire la ristrutturazione delle aziende agricole dellEst Europa. Vediamo, in particolare, che cosa potrebbe spingere i francesi a votare NO. Innanzitutto, va detto che la Francia, contrariamente alla sua tradizione di terra dasilo, ha tutto da temere dalla globalizzazione e dalla libera circolazione dei lavoratori, per limpatto che tali misure avrebbero sui suoi livelli di welfare e sul tasso di disoccupazione interna. Del resto, Parigi si sentiva molto sicura di poter svolgere un ruolo trainante in unEuropa a 15, ma lo molto di meno nellUnione a 25 membri, destinati a diventare 27, nel 2007. Lidea che, ad esempio, la Turchia possa un giorno far parte dellEuropa vissuta come unautentica minaccia, da parte delle opinioni pubbliche francese, tedesca ed austriaca. Sicuramente, a causa della concorrenza dei nuovi membri, che praticano una politica intensiva di sgravi fiscali, per i francesi lallargamento ad Est significa subire una politica di bassi salari, rinunciando al modello dello Stato-Provvidenza, fondato su alti livelli di tassazione dei contribuenti. Alcuni esempi, tanto per chiarire: in Lituania la pressione fiscale si attesta al 28,7% del PIL, risultando cos di ben 17 punti inferiore allequivalente francese! Quella slovacca, ferma addirittura al 19% in media, per quanto riguarda le principali voci della tassazione (persone fisiche, imprese ed IVA), rappresenta il sogno di tutti i Paesi della regione. Per i francesi, invece, simili livelli della fiscalit, ridotta allosso, rappresentano una sorta di dumping fiscale, praticato a loro danno dai nuovi Stati membri.

In tema di politica estera, inoltre, gli europei dellEst tendono ad essere decisamente pi atlantisti, rispetto ai loro concittadini occidentali. E si capisce bene il perch, visto che per non pochi decenni hanno dovuto subire le ingiurie e le angherie degli eserciti alleati del Patto di Varsavia! Recentemente, Polonia e Lituania hanno salvato la faccia e la coscienza al resto dellEuropa, assicurando il loro pieno sostegno alla Rivoluzione Arancione dellUcraina. In unaltra occasione, rivelatasi poi infruttuosa, Slovacchia ed Ungheria hanno fatto da sponda allAustria, per lavvio dei colloqui di adesione allUnione della Croazia, mentre dal lato opposto i Cechi hanno fatto un passo diplomatico verso Cuba. Ma, il vero nodo da sciogliere, un po per tutti, lingresso della Turchia. In merito, allinterno del Parlamento di Strasburgo e delle istituzioni comunitarie esistono due visioni contrapposte: la prima ritiene praticamente impossibile lassimilazione di uno Stato islamico, mentre la seconda sarebbe felicissima di dimostrare lesatto contrario al resto del mondo. Per ora, nellattesa di una decisione (che non verr a breve!), vale il detto napoletano facimme a muina, continuando a parlare di adesione, senza per mai arrivare fino in fondo. I pregiudizi, per, fanno male alleconomia dellUnione, visto che, in primo luogo, gli Stati dellEst Europa competono per laffidamento di gare internazionali di beni e servizi con rivali distanti mille miglia dal Vecchio Continente, come la Cina o il Brasile. Quindi, il loro successo non pu che portare sicuri benefici a tutto il resto della Comunit che, da parte sua, dovr pagare un prezzo iniziale allampliamento, tollerando un certo livello di delocalizzazione produttiva da ovest verso est ed una significativa penetrazione di lavoratori dellEuropa centrale nei mercati occidentali dei 15, alla disperata ricerca di manodopera a buon mercato, per poter competere con i colossi asiatici. In sintesi, un NO francese al referendum del 29 maggio creerebbe le premesse per unEuropa a due velocit. La prima, pi saldamente coesa ed omogenea, strutturata essenzialmente intorno ai Paesi fondatori (Francia, Germania, Italia, Benelux, Spagna, Olanda), mentre la seconda potrebbe essere organizzata su moduli flessibili di adesione (armonizzazione fiscale, piuttosto che politica estera comune; libert di movimento dei capitali, piuttosto che il mantenimento di barriere valutarie; etc.). In una unione debole i Paesi dellanello pi esterno potrebbero accettare di rimanere fuori da Shengen e/o di rinunciare alla libert di movimento per i propri lavoratori ed al diritto di voto sulle riforme costituzionali per un lungo periodo di transizione, ovvero in modo permanente. Comunque sia, leventuale NO francese destinato a produrre interessanti novit, anche dalle parti di Bruxelles.

Maurizio Bonanni

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