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Ai miei genitori, meravigliosi e a tutti e quattro i miei nonni. A Luigi Bilotta, con il mio amore pi profondo.

INDICE

INTRODUZIONE CAPITOLO PRIMO Adolescenti in cammino Possibili affascinanti convergenze Il cammino delladolescente Percorsi pi e meno complessi

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CAPITOLO SECONDO Cultura occidentale e suoi

trickters: cercando di comprendere il malessere


Un tempo di passioni tristi La verit come normalmente la pensiamo realmente la verit? Davvero il linguaggio uno strumento? Esiste un individuo origine immobile del pensiero? Dalla filosofia alla biologia: un fruttuoso gioco di rimandi Esiti differenti del processo evolutivo I pi mondani fra i mondani Il linguaggio delluomo: la biologia sulleco di Aristotele e Simondon Guardare alluomo con occhi nuovi Non un cammino tutto in discesa ma ne vale la pena Quellapprendere cos impegnativo 21 22 23 24 11 13 14 17 18 19 20

CAPITOLO TERZO Nei labirinti della depressione Alcune considerazioni introduttive Un differente piano interpretativo La verit del discorso melanconico Lacan, una nuova teoria del narcisismo e la depressione Lo scatenamento depressivo Depressione e pulsione di morte Il posizionamento del fenomeno depressivo sul piano delletica CAPITOLO QUARTO Depressione: leducatore si 27 29 30 31 32 35 37

interroga e cerca risposte proprie


Leducatore guarda alle colonne portanti del suo sapere
Il Problematicismo pedagogico La Pedagogia fenomenologica

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Partire dal corpo Col pensiero ad Erik Erikson Le neuroscienze sostengono Lowen Ora che il corpo pi forte ripensare a Bruno Bettelheim Cinema come le fiabe
LInnocente LOrfano LAngelo custode Il Viandante Il Guerriero Il Mago

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68 69 72 73 74 76

Ricucire miti per ritrovare il percorso


II

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Diario di un viaggio Il viaggio delleroina

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Quando ci sono poche parole per dire le emozioni Resilienza Quellimpresa cos impossibile SCRIVERE Limportanza di saper ascoltare ed esprimere la propria voce: incontro con la musica nera americana Una storia assolutamente speciale Patchwork Ancora un altro passo

82 86 97

98 101 105 108

CONCLUSIONE

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BIBLIOGRAFIA

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III

Introduzione
Una cappa di tristezza sembra essere calata progressivamente sulla nostra societ e avervi impiantato larghe e profonde radici. Leducatore si trova ad incontrare, sempre pi spesso, ragazzi tristi in un mondo sempre pi triste e questo incastro, tuttaltro che virtuoso, difficilmente gli pu apparire casuale. Se poi si viene ad intendere la tristezza nellaccezione spinoziana di impotenza e disperazione, come suggerito da Benasayag e Schmit (2003), sembrano delinearsi, nel modo pi pieno, gli elementi che, nonostante tanto illusorio luccichio, sembrano tingere in modo cupo la vita di tanti, ragazzi e adulti. E il percorso di riflessione trova proprio in questo quadro il principale pungolo. Esso prende le mosse da un rifiuto, istintivo e anche piuttosto violento, a lasciarsi ingabbiare, senza opporre resistenza, in questa prigione di impotenza, rifiuto che, dallessere inizialmente movimento istintivo, viene poi a trovare un solido riferimento di pensiero nellesortazione di Giovanni Maria Bertin a prendere le distanze proprio da quel tragico che impregna lesistenza col suo potenziale distruttivo, opponendo ad esso una coraggiosa progettazione esistenziale (che chiama in causa il protagonismo, pur limitato, delluomo nelle questioni che lo riguardano) e nel richiamo della Pedagogia fenomenologica alla responsabilit, a cui ciascuno chiamato, di ri-attribuire un significato personale anche ci che, della vita e del mondo, appare gi classificato e definito. Viene cos dato il via ad un percorso di ricerca, teso a portare pi compiutamente in luce le tematiche da affrontare, per cercare di far nascere da l unazione pi consapevole e adeguata. Il Capitolo I concentra lattenzione sul cammino degli adolescenti e sullesigenza di lavoro psichico che lo accompagna (Jeammet, 1992). Si rileva una differenza, che viene a delinearsi, tra percorsi che appaiono pi facili e altri
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che si presentano pi ardui e, proprio in relazione a questi ultimi, si sottolinea la validit della proposta avanzata da Jeammet (1992), di fornire ai ragazzi una pluralit di sostegni, che possano affievolire la sensazione di passivit e di divoramento che potrebbe nascere dal sentirsi legati ad una persona singola, vissuta come onnipotente. Accanto al sostegno fornito dal gruppo dei pari viene posta in tutta evidenza limportanza della risposta degli adulti, della loro capacit di porsi come riferimenti validi per il cammino dei ragazzi. Il Capitolo II, partendo dalla costatazione del fatto che tale risposta adulta, cos necessaria, si presenta spesso come inadeguata, si interroga sul perch delle difficolt riscontrate. Tenendo come riferimento il pensiero di una studiosa acuta e interessante come Stefania Consigliere (2004) e le riflessioni di grandissimi autori, da Aristotele a Foucault, vengono riconsiderati alcuni punti pi critici di un certo modo occidentale di pensare alluomo e, con riferimento anche allapporto delle discipline scientifiche, si tenta di delineare un quadro che metta in nuova evidenza caratteristiche e potenzialit umane, in unottica di superamento di immobilismo e solipsismo. Il III Capitolo entra nel vivo della problematica depressiva, di cui viene data uninterpretazione di impronta lacaniana. Viene indicata, nel tentativo del soggetto di porsi secondo quello che ritiene essere il desiderio dellAltro, una possibile risposta al mistero che lAltro rappresenta per lui, ma si pone, poi, in evidenza limpasse in cui viene a cadere il soggetto depresso, nel suo rifiuto ad abbandonare, ad un certo punto, questa posizione, in conformit col principio morale che spinge a ricercare il proprio senso altrove. Della lettura lacaniana particolarmente apprezzato lo sforzo di portare la problematica depressiva su un piano etico: il forte richiamo al dovere che appartiene a ciascuno, di andare a fondo alla propria questione, nonostante le difficolt. Richiamo che viene a chiamare in causa i ragazzi, ma prima e ancor pi intensamente gli adulti, specie quando vogliano assumersi responsabilit
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educative. Il Capitolo IV, infine, mantenendo sempre un riferimento profondo allo spirito delle linee guida delineate dal Problematicismo pedagogico e dalla Pedagogia fenomenologica per lazione educativa, avanza una serie di proposte (alcune tra le tante disegnabili, grazie alla maggiore consapevolezza acquisita) per un percorso di gruppo (la dolorosa condizione del ragazzo depresso viene intesa, infatti, come una modalit particolarmente drammatica del porsi di dubbi, esigenze e angosce che accompagnano tutti ragazzi) che si spera possa offrire ai ragazzi stessi una parte dellaiuto necessario per trovare il coraggio, la forza e alcune indicazioni importanti, per riuscire ad intraprendere il proprio cammino in direzione di ricchezza e di senso, anzich di tristezza e chiusura.

CAPITOLO PRIMO

Adolescenti in cammino
Possibili affascinanti convergenze
Se con il riconoscimento del fatto che i processi di maturazione e sviluppo coinvolgono lesistenza di ognuno per la totalit della sua estensione, cambiata la modalit della psicologia di guardare al ciclo di vita, non si pu negare che, in quella fase che viene ad essere compresa tra infanzia ed et adulta (fase che nella nostra societ occidentale assume confini sempre meno facili da definire), il cambiamento chiami in causa lindividuo in un modo particolarmente intenso, coinvolgendo una pluralit di ambiti: fisico, cognitivo, relazionale, identitario. E se, in una societ multietnica e multiculturale, si pu riconoscere lesistenza effettiva di contesti sociali in cui tale processo di cambiamento risulta pi normato e, almeno dal punto di vista formale, pi rapido e di altri in cui lo molto meno (o non lo affatto), altrettanto fondata mi sembra si possa considerare la riflessione di un autore come Philippe Jeammet (1992), che pone laccento sullesigenza di lavoro psichico chiamata in causa dal processo, esigenza che lui considera universale. Il tentativo di inoltrarsi in un percorso di comprensione della natura e dellentit di tale lavoro psichico non agevole, ma trovo che, per chi sia spinto dal desiderio di ricercare unazione educativa valida, a sostegno del cammino adolescenziale, si tratti di un confronto quanto mai necessario. Tra le tante possibili guide e chiavi interpretative ho scelto di appoggiarmi ad una lettura integrata di due autori: Peter Blos e Philippe Jeammet, la cui elaborazione teorica (che si situa in ambito psicoanalitico) ha il fascino dei lavori che si fondano su un ricco e prolungato contatto con la realt che vengono ad illustrare,
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ma da cui sono stata fortemente attratta per uno specifico aspetto, che dalla lettura (di Jeammet in particolare) emerge con netta evidenza: limportanza assegnata alla comprensione e valorizzazione di quel nesso dinamico assai peculiare che, in adolescenza, viene ad unire realt interna del soggetto e risposte fornite dal mondo esterno. Trovo, in questo, un punto di possibile, affascinante convergenza con un approccio di tipo educativo, convergenza che spero possa aprire ad esiti applicativi di valore.

Il cammino delladolescente
E dunque da questa particolare prospettiva che lo sguardo viene a volgersi verso il mondo adolescenziale, incontrando, per prima, una figura gi assai complessa, dai tratti in parte infantili e in parte nuovi. E quello che, fino a poco tempo prima, era stato il bambino e che aveva affrontato il percorso di maturazione facendo ampio affidamento sulle figure genitoriali (per il soddisfacimento dei propri bisogni, per la risoluzione dei problemi e per il mantenimento dellautostima) che ora, sotto la spinta dei movimenti puberali, si vede cambiare e si sente indotto a prendere le distanze dai suoi riferimenti abituali (non sfuggono, ovviamente, le differenze di modi e di tempi dei cambiamenti maschili e femminili, ma penso che possa valere la pena di metterli, in questa sede, in parentesi, in favore di una visione complessiva). Quello che lo spinge il profondo turbamento suscitato dal movimento di risessualizzazione dei legami, che il processo puberale porta con s, e dalla perdita di quella possibilit di idealizzazione delle figure genitoriali, che, nellinfanzia, lineludibile percezione della distanza fisica tra lui e loro, aveva potuto favorire.

La forza dei processi maturativi in atto lo conduce verso un confronto importante,


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con dei grandi temi: quei misteri che sono, per ognuno, la differenza delle generazioni e dei sessi, il loro rapporto, la filiazione, la bisessualit e lassunzione di una identit sessuale specifica: proprio quegli stessi nuclei caldi che emergono, non a caso costanti transculturali, da una affascinante analisi dei riti di iniziazione adolescenziale e dei miti delle societ tradizionali. Si tratta di un compito tuttaltro che semplice. Soprattutto per un soggetto che, allinizio del percorso, si trova particolarmente sguarnito: alle prese con un corpo che va incontro a trasformazioni violente e non scelte (che lo rendono pi oggetto fobico, che sostegno) e a confronto con una temibile sensazione di passivit, di fronte ad un rimontare pulsionale impetuoso. E tuttavia sar proprio questo rimontare pulsionale che, pur faticosamente e per aggiustamenti progressivi, dovr essere affrontato, nella sua peculiarit di riportare di nuovo a galla proprio quelle questioni, quei temi centrali prima indicati che, nellinfanzia, avevano potuto trovare solo un accomodamento provvisorio. Si tratta, secondo unimmagine apparentemente sconcertante, di ritornare indietro per andare avanti (Blos, biologo oltre che psicoanalista, conia a questo proposito unespressione efficace: regressione al servizio dello sviluppo [Blos, 1979]): un ritornare in contatto con passioni ed emozioni dellinfanzia, per riuscire a trovare risposte nuove, in un processo di revisione che dovr arrivare a toccare il rapporto con gli oggetti damore infantili (le figure genitoriali idealizzate e interiorizzate) accettando di affrontare una duplice difficolt: - il superamento di un paradosso: quello che vuole che, per poter acquisire lindipendenza da un oggetto di investimento, sia necessario avvicinarlo (al punto di poter prendere su di s una parte delle sue qualit e di quelle della relazione con esso istituita) - e il confronto con langoscia connessa a questo avvicinamento, che riporta dolorosamente ad antichi conflitti e lacerazioni, fino a chiamare in causa persino quello slancio vitale, quel tono, che si pu considerare il primo garante del
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senso di continuit personale e che reca in s anche un riflesso della qualit delle prime relazioni con loggetto materno. E dalla capacit di immergersi e riemergere da questi complessi incontri che dipender la possibilit di riuscire a giungere all acquisizione di una identit personale, come anche di riuscire a stabilire un rapporto diverso (reale o anche semplicemente pensabile) con figure genitoriali umane: apprezzate in virt di determinate caratteristiche, accettate in riferimento ad altre che possono essere ritenute meno valide, ma che non sono pi vissute come arbitrario rifiuto genitoriale ad essere tutto ci che sarebbe stato desiderabile per il figlio e quindi scisse, negate, fatte oggetto dei pi svariati e disperati meccanismi difensivi. Allo stesso modo, dallandamento di quegli stessi processi di revisione, dipender un altro aspetto fondamentale: la possibilit di acquisire un nuovo rapporto con il senso del dovere e gli ideali (istanza Superegoica e dellIdeale dellIo) entrambi i quali avevano mantenuto a lungo un forte legame con le figure parentali interiorizzate e che devono riuscire a trovare, pian piano, una possibilit di sganciamento da esse ed una maggiore capacit di adesione alla realt ed alle esigenze, capacit e aspirazioni proprie di quello specifico soggetto. Deve cio arrivare a compiersi un vero e proprio processo di riorganizzazione dellapparato psichico. Penso che nella figura di giovane adulto in grado di ritrovarsi in una identit propria, in grado di operare scelte pi autonome (perch basate su un senso del dovere meno intransigente e pi realistico e su ideali pi aderenti alle proprie capacit e aspirazioni), nonch in grado di aprirsi a relazioni nuove, dopo essere riuscito a stabilire un nuovo tipo di legame con i primi oggetti damore, si possano vedere assolti molti dei principali compiti di sviluppo propri di questa fase evolutiva, che gli autori classici delineavano.

Percorsi pi e meno complessi


Certamente questo traguardo non si pone alla portata di tutti i ragazzi allo stesso modo, e certo il percorso pu essere agevolato per chi ha la possibilit di ritrovare, nel proprio mondo interno, pur nella inevitabile confusione, nuclei di rappresentazioni stabili, sicure, investite in modo positivo, che possano essere sentite come solida base per tutti gli sviluppi successivi. Questo capitale di fiducia permetter anche di muoversi pi agevolmente nel mondo esterno, riuscendo a trovarvi con facilit relativamente maggiore: - oggetti di investimento molteplici, fondamentali riferimenti per il mantenimento di una immagine positiva di s, fino a quando questa capacit non sar divenuta pi prettamente autodeterminata; - figure che, nei momenti di maggiore difficolt, possano fungere da sostegno al funzionamento dellapparato psichico; - figure che siano in grado di accogliere su di s le proiezioni del mondo interno del soggetto, aiutandolo a portare maggiore chiarezza tra le rappresentazioni confuse e favorendo, con la realt delle loro risposte, un processo di rielaborazione. E quando la confusione e la conflittualit tendono ad occupare completamente il mondo interno, che tutto si fa pi complicato e la risposta dellambiente pu assumere un peso realmente determinante. E tuttavia occorre considerare il fatto che, proprio quegli adolescenti per i quali il bisogno relazionale maggiore, sono anche quelli che vedono in esso una angosciante fonte di pericolo. Pericolo di essere sopraffatti e soffocati nellambito dei nuovi rapporti, proprio come lo sono nel loro mondo interno, nel quale le rappresentazioni tendono a confondersi in ununica immagine minacciosa.
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Viene cos a porsi, proprio come indicato da Jeammet, una prima ineludibile necessit: quella di sforzarsi di rendere tollerabile (per questi ragazzi)1 ci di cui hanno bisogno (Jeammet, 1992). Si tratta di un aspetto di fondamentale importanza e una strada degna di considerazione, in tale direzione, penso possa essere vista nell impegno a rendere disponibili, nellambiente circostante, una molteplicit di investimenti possibili, legati tra loro da un intento comune, ma sufficientemente distinti da permettere ai ragazzi di vedersi proiettati su una pluralit di fronti (sostegno allimmagine e occasione di confronti indispensabili al processo di definizione del S), dando il minor spazio possibile allangosciosa sensazione di divoramento. Il gruppo dei pari viene riconosciuto in tutta la sua importanza (come fondamentale luogo di prove di ruolo, di sperimentazione di nuove possibilit di interazione, di condivisione e mitigazione dei sensi di colpa che accompagnano lemancipazione), ma non si pu non vedere la necessit che, accanto ad esso, si possa porre una risposta molteplice (educatori, terapeuti, genitori opportunamente supportati e, ampliando lo sguardo: societ nel suo complesso) e adeguata del mondo adulto, perch senza di essa anche il gruppo si trasforma in sterile rifugio e perch, proprio come emerge con chiarezza dai riti di iniziazione delle societ tradizionali, il confronto generazionale elemento imprescindibile del processo di crescita. Resta allora da chiedersi come mai gli adulti di oggi siano cos poco in grado di fornire oggetti buoni al mondo interno dei propri bambini e riferimenti orientativi credibili al percorso che gli adolescenti devono affrontare.

Corsivo mio.

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CAPITOLO SECONDO

Cultura occidentale e suoi tricksters: cercando di comprendere il malessere


Un tempo di passioni tristi
La domanda appena formulata: cosa impedisce agli adulti di essere oggi riferimenti validi per il percorso di crescita degli adolescenti, posta con urgenza anche da due studiosi di prestigio: Miguel Benasayag, filosofo e psicoanalista e Gerard Schmit, psicoanalista e terapeuta (Benasayag-Schmit 2003), in un testo Lepoca delle passioni tristi che, gi dal titolo, ci conduce al cuore dolente del malessere della societ attuale. Non infatti secondo laccezione comune che si viene a parlare di tristezza, bens nel termine risuona un solido richiamo ad un grande filosofo: Baruch Spinoza, che, con tale denominazione, indicava, quasi profeticamente, gli elementi che paiono dominare la nostra societ: lIMPOTENZA e la DISPERAZIONE. Si verificato un grande crollo, quello della credenza su cui si era fondata unintera cultura: il sogno di un futuro carico di promesse messianiche, garantite dalla scienza. Il sogno svanito ampiamente, lasciando coloro che in esso avevano creduto nellangoscia e con pochi riferimenti solidi e aperture di speranza nel rivolgersi ai giovani (che del carico di minacce incombenti sui giorni presenti e sul loro futuro sentono tutto il peso). Il futuro ha improvvisamente (anche se in realt il cambiamento ha avuto una sua evoluzione nel tempo, ma non ce ne siamo ben accorti) cambiato di segno e da luminoso diventato minaccioso. Per cercare di riflettere su una situazione che appare tanto desolata importante
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cercare dei punti di riferimento validi, che possano aprire ad un percorso anche audace, ma che possa prospettarsi in qualche modo produttivo. Per me stato possibile trovare tali vitali riferimenti in Stefania Consigliere, studiosa interessante e acutissima, nelle opere di autori straordinari, da Aristotele a Foucault e nelle considerazioni delle discipline di ambito scientifico (le scienze biologiche in particolare), nonch nel mio sapere di educatrice. Trovo che lunione di tali voci possa contribuire a delineare un quadro molto particolare e affascinante, speranza di sostegno per uscire dalla crisi, realizzando quella confluenza di saperi in cui si pu veramente sentire la magia liberata delle potenzialit del pensiero umano, nel loro pieno dispiegarsi. E cos che penso che il miglior punto di partenza per la riflessione, possano essere alcune affermazioni piuttosto perentorie di Stefania Consigliere (2004) la quale, sulle tracce di piacere e dolore nei discorsi della nostra cultura, vede, nei vuoti incontrati, una motivazione per mettere in campo un discorso impegnativo e molto profondo. Ma procedendo con ordine: la Consigliere vede piacere e dolore sguizzare via dai discorsi disciplinari e da quelli della filosofia in primis e laffermazione che ne esita radicale: la filosofia non assume piacere e dolore come temi indipendenti, non per inadeguatezza stilistica o per povert sistematica, ma perch non riesce a risolverli sul piano ontologico (Consigliere, 2004). Altrettanto radicale lidea avanzata e cio che piacere e dolore, proprio nella loro intrattabilit, possano rivelarsi indicatori sorprendenti, in grado di mettere in luce le debolezze di una determinata modalit di pensiero, cio alcuni punti, discutibili, di un certo modo occidentale di pensare, da Cartesio in poi. Occorre, forti della possibilit di fare riferimento alle considerazioni della Consigliere (2004) e di altri autori di grande valore, provare a rimettere in discussione alcuni assunti di base della filosofia moderna, infiltratisi ampiamente anche in buona parte della cultura contemporanea, senza rivedere i quali risulta difficile delineare un quadro nuovo e aprire nuovi orizzonti di speranza. Certo
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immergersi in questo percorso pu rischiare di apparire una follia, ma follia non affatto, un riflettere per capire un dovere.

La verit come normalmente la pensiamo, realmente la verit?


Se quasi luogo comune, per tutti noi, pensare ad un filosofo che pensa la verit, non detto che tutto questo veleggiare nellastrattezza, questo porsi in agguato per accalappiare unalgida verit immutabile, debba essere per forza lunico modo di intendere il pensare, lunico modo secondo cui si pu pensare. Il modo, quello sempre adatto. E possibile delineare anche altre strade e una figura di assoluta autorevolezza pu venire a riportare dinanzi ai nostri occhi, un mondo ed una modalit di pensiero diversi, importanti, a lungo perduti, dispersi tra le pagine del tempo. Michel Foucault, intitola uno dei suoi magnifici corsi, tenuto al Collge de France nellanno accademico 1981/82 Lermeneutica del soggetto e ci prospetta, gi con queste poche parole, lidea di un percorso di scoperte piene di fascino. Un fascino che promana gi dal mondo su cui egli indaga, quello della filosofia antica, nonch dal suo portare lattenzione su un tema ad essa proprio: lepimeleia heautou, la cura di s, cos profondamente importante nel mondo classico, e che, nelle cronache dei secoli seguenti, pare essersi dissolta. Il punto proprio questo: alle origini della filosofia il pensiero aveva un contesto, che era la cura di s. Cera un orizzonte dei fini, in vista dei quali si esercitava la razionalit filosofica, non si pensava assolutamente in astratto. La verifica razionale della conoscenza era solo uno strumento, proprio di una pratica pi articolata, che aveva come scopo la trasformazione e lo arricchimento del soggetto, in vista di un fine preciso: il buon governo della citt (considerato espressione pi alta dellessere umano, punto che dovrebbe far riflettere e non poco, noi contemporanei).
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E, nel pensiero antico, la dimensione temporale della cura e della trasformazione erano elementi ineliminabili, essenziali, nella relazione tra il soggetto e la verit, e la verit stessa era sottoposta ad un movimento di continua revisione e trasformazione, in costante riferimento allevolversi degli accadimenti personali e collettivi (certamente, quindi, non qualcosa che si potesse determinare solo logicamente). Poi, in un momento che Foucault definisce, in modo molto diretto, momento cartesiano, lattenzione per la cura si spenta e la verit diventata qualcosa di trascendente (e da questo nuovo paradigma, nata la scienza moderna, con il suo carico di promesse ed i suoi esiti non sempre confortanti). Non certo una velleit nostalgica ad improntare di s il lavoro di Foucault, ma piuttosto il desiderio di mostrare la parzialit di una certa modalit di pensare la verit che risulta un po troppo arbitraria, se posta come unica. Esister, cio ( questa la domanda da farsi) in assoluto, questa verit astratta? E sar poi proprio questa quella che dobbiamo ricercare, per trovare le nostre risposte? Pu davvero risultare utile ritrovare vecchie radici per incamminarsi, pi sicuri, su sentieri nuovi.

Davvero il linguaggio uno strumento?


Un altro assunto molto forte del pensiero filosofico moderno quello che vede il soggetto, alle prese con lintricato problema di afferrare quella verit astratta, brandire orgogliosamente uno strumento tutto speciale, di sua esclusiva appartenenza: il linguaggio. Per addentrarsi in una riflessione relativa a questo punto possibile farsi accompagnare, seguendo il consiglio di Stefania Consigliere (2004), da un grande filologo, Franco Lo Piparo (2003), che ha la capacit di riportare in luce il pensiero di Aristotele nella sua pienezza, grazie ad una traduzione nuova del De
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Interpretazione (di assoluta attendibilit, perch sostenuta solidamente da un ricco riferimento allintero corpus aristotelico), dalla quale emerge in tutta chiarezza, una fondamentale idea aristotelica: quella della linguisticit sostanziale dellessere umano, tale da impregnare di s ogni aspetto della vita e da non poter essere scissa da nessuna delle altre funzioni, per un motivo specifico, illustrato con chiarezza sempre da Aristotele, questa volta nella Politica: E chiaro il motivo per cui luomo animale cittadino pi di ogni ape o di un qualsiasi animale che fa vita di gruppo. Perch la natura non fa niente senza scopo e luomo lunico animale a possedere il linguaggio. La voce inarticolata segno di dolore e di piacere e questo il motivo per cui si riscontra negli altri animali (la loro natura infatti giunge fino a questo punto: avere la sensazione del dolore e del piacere e segnalarsela reciprocamente). Il linguaggio invece ha come fine lesprimere ci che utile e ci che nocivo e di conseguenza ci che giusto e ci che ingiusto. Ci accade perch, rispetto agli altri animali, caratteristica specifica delluomo avere, egli solo, la capacit di sentire il bene e il male, il giusto e lingiusto e altre qualit ancora: la comunanza-comunicazione reciproca di queste qualit forma la famiglia e le citt []. Chi non capace di entrare in comunanza-comunicazione o chi a causa della sua autosufficienza, non ha bisogno di nulla, costui non parte della citt e perci o animale non umano o dio. In tutti gli uomini si trova la tendenza naturale a questo tipo di comunanza-comunicazione. Anche il riferimento a Wittgenstein pu confortare su questo punto, egli, nelle "Ricerche filosofiche (Wittgenstein, 1953) riesce ad illustrare, in modo deciso, la natura comune del linguaggio, il suo statuto gi sempre condiviso e quindi limpossibilit che esso si possa intendere, in modo cos aggressivo e irrealistico,
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come arma privata, strumento puramente logico e asetticamente acquisito da qualcuno, da utilizzare in una privata battaglia per la conquista di unaltrettanto asettica verit

Ma cosa accadrebbe se gli uomini non esternassero i loro dolori (non gemessero, non torcessero il volto ecc.)? Allora non sarebbe possibile insegnare a un bambino luso delle parole mal di denti. Ebbene, supponiamo che il bambino sia un genio e inventi da s un nome per questa sensazione! Ma, naturalmente, con questa parola non riuscirebbe a farsi capire. - Dunque comprende quel nome ma non in grado di spiegarne il significato a nessuno ? Ma, allora, che cosa vuol dire che ha dato un nome al suo dolore? Come ha fatto a dare un nome al dolore?! E, qualunque cosa abbia fatto, quale era il suo scopo? Quando si dice ha dato un nome a una sensazione, si dimentica che molte cose devono essere gi pronte nel linguaggio perch il puro denominatore abbia un senso. E quando diciamo che una persona d un nome a un dolore, la grammatica della parola dolore gi precostituita; ci indica il posto in cui si colloca la nuova parola. Se le cose possono essere chiamate per nome, anche dal nostro logicissimo filosofo, impegnato nel suo astratto compito, non perch le parole siano qualcosa di sua invenzione, come pure potrebbe sembrargli (e come, ingannevolmente, potrebbe continuare a sembrare anche a tanti di noi), ma perch un nome, per esse, esiste gi nella lingua, nella comunit. Il linguaggio pu essere considerato la massima espressione dellessere umano proprio nella sua capacit di legare e dare voce allampia comunit degli uomini. Dalla non giusta interpretazione di un punto come questo possono nascere tanti errori, e in realt sono gi nati se il solipsismo domina, come domina, cos
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prepotentemente nelle nostre menti e nelle nostre vite.

Esiste un individuo origine immobile del pensiero?


Laver riportato in luce lo statuto comune del linguaggio (e laver cominciato, pi ampiamente, a scuotersi dalla pesantezza di alcune idee molto ingombranti e in grado di limitare le capacit del pensiero, anzich favorirle) conduce alla necessit di rivisitare anche un ultimo punto, uno dei pi sostanziali (e curiosi) presupposti della metafisica occidentale: la concezione di un individuo la cui realt fa riferimento a qualcosa di precedente e determinato, una essenza, da cui lindividuo stesso deriverebbe direttamente, indipendentemente dal processo che lha prodotto e da quei principi che sono entrati nella sua produzione. Solipsismo e determinismo dunque. Per confutarli (operazione indispensabile per poter guadare alluomo in una prospettiva diversa da quella visuale sempre pi angusta e soffocante, cui un certo modo di pensare ha condotto) si pu guardare al dispiegarsi, in tutta la sua grande forza, del pensiero di una figura straordinaria, Gilbert Simondon (1989), il quale, nel suo argomentare, si muove con competenza sbalorditiva dalla filosofia presocratica alla fisica del 900. Egli, secondo la sua impostazione di filosofo, parte dai fondamenti e guarda allessere pre-individuale, lorigine, paragonandolo all apeiron di

Anassimandro: non sostanza, ma stato metastabile, potere di individuazione. Simondon traccia magistralmente pennellate che mostrano come, dal quantistico illimitato alla materia, individuata in elementi, dalla materia libera ai cristalli, dallinorganico allorganico (e chi abbia qualche competenza in tema di fisica, chimica e biologia non pu che percorrere tutto dun fiato, pieno di entusiasmo, questo dispiegarsi luminoso), ciascuna fase (che costituisce un momento di individuazione, di conservazione dellessere attraverso il divenire) dipenda dallo stato metastabile della precedente e venga a risolversi in una nuova fase,
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producendo singolarit. Il punto cos indicato con la massima chiarezza: questa possibilit di divenire (di individuarsi dellessere, filosoficamente parlando), attraverso fasi successive, d luogo agli individui, che, di conseguenza, non sono pi considerabili, in alcun modo, come esito di un insieme di regole applicato una volta per tutte, ma, piuttosto, come configurazioni transitorie di un processo: improntate da ci che le precede e passibili di condurlo verso ulteriori evoluzioni. La staticit superata, il determinismo dissolto: luomo vive, pu evolversi, pu affrontare le instabilit caratteristiche di quella fase che egli rappresenta, nel movimento di divenire dellessere e pu proiettarsi, proprio in virt delle instabilit non superabili singolarmente, verso un nuovo movimento di individuazione, una nuova configurazione, collettiva: la comunit degli uomini. Che massima espressione di potenzialit: la possibilit di risoluzione di problemi che, a livello della fase precedente, non risultavano pi risolvibili. E anche il solipsismo viene a ricevere un altro duro colpo.

Dalla filosofia alla biologia: un fruttuoso gioco di rimandi


Se quello illustrato il percorso di rivisitazione filosofica di alcune argomentazioni, di cui viene a rivelarsi l inadeguatezza , lapporto del sapere biologico pu fornire al discorso un vigore ancora maggiore e un nuovo quadro pu venire a delinearsi sempre pi chiaramente. Il percorso di riflessione di Simondon e le sue acutissime considerazioni sul fatto che lindividuazione procede per fasi successive, si sposano, infatti, pienamente con la concezione biologica attuale. In essa dato ampio spazio alla considerazione di come, lungo la filogenesi, il dispositivo ontogenetico sia stato continuamente rimaneggiato e in questo rimaneggiamento (proprio conformemente a quanto affermato da Simondon), ad ogni transizione, anzich trovarsi di fronte ad un prodotto pi definito (pi
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dotato di dispositivi specifici per ladattamento allambiente) ci si venga a incontrare con uno definito meno, ma assai pi individuato: meno dotato di dispositivi deterministicamente stabiliti e pi ricco di potenzialit, di cui valersi secondo logiche personali.

Esiti differenti del processo evolutivo


Senza addentrarsi in un discorso complesso sufficiente poter considerare che il processo evolutivo, nel suo dipanarsi, ha finito per dare luogo ad esseri viventi nettamente differenziabili per caratteristiche e complessit e che si possono definire come: viventi ambientali e viventi mondani. I viventi ambientali sono dotati di reazioni fisiologiche fisse, geneticamente determinate, che permettono loro di inserirsi adeguatamente in un ambiente per le cui caratteristiche sono perfettamente attrezzati (e che, per la garanzia del loro benessere, non deve andare incontro a fluttuazioni troppo drastiche dei parametri che lo caratterizzano. Si pu pensare, per capire meglio, alle piante e alle specie animali pi semplici). La loro esperienza quella di un inserimento a incastro perfetto (per usare unespressione che, nel confronto con la realt, risulta senzaltro esagerata, ma che pu servire a rendere lidea), in un ambiente in cui possono iniziare da subito a funzionare, perch dotati di tutte le attrezzature necessarie. Esseri assai diversi da questi sono invece i viventi mondani, che si possono vedere proprio come frutto di quel progressivo processo di individuazione di cui parlava Simondon: essi, anzich situarsi con un corredo pronto, in un ambiente predisposto, si trovano a sperimentare, al loro ingresso nella vita, una vera e propria immersione entro un fiume percettivo inizialmente senza sponde, un caotico sentire il mondo, che non pu non riportare alla mente limmagine del neonato descritta da Freud ne Il disagio della civilt (Freud, 1929). Con lo sviluppo progressivo degli strumenti a loro disposizione, per, (non
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reazioni fisiologiche predeterminate, ma facolt, caratterizzate dal rendere possibile un ampio ventaglio di manovre e scelte), essi potranno arrivare a mettere a fuoco determinate percezioni a scapito di altre, trovando la propria dimensione, il proprio equilibrio e il proprio benessere, senza peraltro esautorare definitivamente leccedenza percettiva e lasciandola, invece, sempre presente ai margini del campo dellattenzione, disponibile per nuove possibili scoperte e per rendere possibile lintraprendere nuove strade, nel caso in cui lequilibrio trovato venga, per qualche motivo, messo in crisi Dolore e fatica iniziali, dunque per gli animali mondani, ma anche una meravigliosa possibilit, completamente preclusa agli ambientali: quella di poter organizzare le cose secondo linee sempre diverse. Grande la concordanza col discorso di Simondon: la creativit ha ampio spazio nel mondo!

I pi mondani fra i mondani


Animali mondani per eccellenza sono i mammiferi che, grazie allomeotermia, al notevole sviluppo sensoriale e del grado di encefalizzazione, al lungo legame tra genitori e prole (che permette un adattamento per apprendimento) e allalto livello di organizzazione sociale, sono ampiamente svincolati da molte costrizioni ambientali. Estremi tra i mammiferi sono certo i primati e luomo il pi estremo tra essi, il pi mondano tra gli animali mondani. Questo significa che si trova sfornito di adattamenti specifici e istinti (se escludiamo la naturale ricerca del capezzolo da parte del neonato) e la sua dotazione biologica, su cui tanto si insistito e cercato, consiste principalmente in una elevatissima disponibilit ad apprendere (a partire dalla dinamicit dellapparato senso motorio, che costituisce ci su cui il resto si edifica).
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Luomo impara progressivamente a far fronte al suo ambiente valendosi di facolt di cui pian piano si appropria e che lo rendono sempre pi competente. Ma il termine appropriarsi non il pi adatto a rendere conto di quello che avviene: pi che appropriarsi di facolt, luomo si istituisce come umano proprio nell apprendere, e questo vale, prima di tutto, parlando di linguaggio.

Il linguaggio delluomo: la biologia sulleco di Aristotele e Simondon


Anche su questo fronte la biologia e la paleontologia vengono a porre la loro piena conferma alle considerazioni filosofiche sul linguaggio, aiutando a muoversi verso lobiettivo, che sembra farsi pi vicino, di offrire le basi per un modo diverso di guardare allessere umano e alle sue potenzialit, un modo che possa dare la speranza di riuscire a trarci fuori dallo stretto cunicolo di tristezza in cui sembrava di dover restare, fatalmente, imprigionati. Come ricorda anche la Consigliere (2004), si pu fare riferimento, attualmente, a due principali teorie sullevoluzione del linguaggio: la prima, gradualista, ipotizza che dalle prime specie di Australopitecus ad Homo sapiens, ci sia stato un procedere parallelo nello sviluppo dellencefalo, in quello cognitivo e in quello linguistico. Una seconda, detta del salto linguistico pi radicale e sostiene che laumento della capacit del cranio, lungo levoluzione ominide, sia correlato prima di tutto ad un pi generale miglioramento delle capacit cognitive. Solo pi tardi, al raggiungimento di una certa soglia nellevoluzione encefalica, si sarebbe avuto lemergere, improvviso, e in un tempo relativamente breve, di una capacit nuova di gestione delle informazioni: una gestione a livello pienamente simbolico. Dopo aver avuto modo di considerare il discorso di Simondon, non stupisce affatto che i dati che provengono, in modo interessante, dalla paleontologia, primatologia, come anche dalla psicologia evolutiva e dalla sociolinguistica,
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convergano tutti verso la seconda teoria: il linguaggio arriva per ultimo, quando gi il livello di organizzazione raggiunto molto evoluto e la forma principale di adattamento di tipo cognitivo ( basata su facolt apprese), arriva, cio, quando lindividuazione psichica gi cos avanzata da aver prodotto instabilit, e viene a configurarsi come ulteriore livello di individuazione, questa volta collettivo. La concordanza con Aristotele, Wittgenstein e Simondon veramente considerevole e a questo punto appare ancora pi inadeguato pensare a quel soggetto isolato tratteggiato inizialmente non potr venire da l una risposta credibile ai nostri problemi cos urgenti!

Guardare alluomo con occhi nuovi


Deposte finalmente tante concezioni ormai strette (o perlomeno mostratesi inadatte ad affrontare il quadro di crisi con cui dobbiamo fare i conti), si pu aprire lo spazio per la domanda pi importante: come pu l animale umano, cos come appare dal quadro delineato, muoversi bene, con piacere ed efficacia, nel suo mondo? Stefania Consigliere (2004) porta un riferimento allAristotele dell Etica Nicomachea. Aristotele parla di piacere come attivit non impedita di una disposizione che secondo natura e, con semplicit, sembra proprio riassumere lintero ragionamento: ripensando, infatti, a tutto quanto stato affermato rispetto alle peculiarit degli animali mondani e delluomo in particolare, diventa quasi immediato, a questo punto, poter dire che muoversi bene e con piacere nel mondo non altro che poter acquisire e dispiegare, sempre pi pienamente, le proprie facolt.

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Non un cammino tutto in discesa ma ne vale la pena


Nellentusiasmo di questa affermazione, non si pu, per, dimenticare quanto gi stato accennato e cio che che la situazione percettiva primaria degli animali mondani, e quindi anche delluomo, sempre dolorosa, perch, inizialmente, le facolt sono in latenza, e cio, per dirla in modo pi semplice, devono essere apprese. In questo non si pu non vedere implicato inevitabilmente, indiscutibilmente, un carico di fatica da affrontare e tuttavia, insieme ad esso, anche una conclusione che definire decisamente incoraggiante forse poco: se il piacere legato al dispiegamento delle facolt e se questo movimento pu essere appreso non siamo obbligati a restare chiusi nella tristezza! SI PUO IMPARARE A VIVERE BENE, come direbbero gli antichi filosofi a cui faceva riferimento Foucault. Possiamo esprimerci in tutta la nostra umanit, cercando di delineare, grazie allo uso pieno delle nostre facolt, la nostra vita e il nostro mondo nei modi migliori che riusciamo a trovare, o possiamo restare immobili, bloccati, passivi e, inevitabilmente, soffrire, perch questa immobilit quanto di pi contrario si possa immaginare alla nostra natura. Questo quanto sostiene anche lautorevole voce di Georges Canguilhem, nel suo testo Il normale e il patologico (Canguilhem, 1966). Egli d una definizione di salute che va contro quelle usuali, dal sapore grigio di tavolo anatomico (una per tutte: La salute il silenzio degli organi), affermando con forza che :

essere sano significa essere normativo e ci che caratterizza la salute la possibilit di istituire norme nuove in situazioni nuove e sottolinea poi, con lo stesso vigore, come la coincidenza della illness (la
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malattia), col dolore, stia ad indicare che allindividuo malato venuta meno, in modo parziale o totale, proprio quella capacit, vitale, di essere normativo rispetto all ambiente. Dal momento che limpedimento proprio della malattia blocca il dispiegamento di tutte le altre facolt, il dolore derivante da questa condizione risulta essere, e in effetti , particolarmente atroce.

Quellapprendere cos impegnativo


Nel quadro che si sta delineando, quel riferimento, accennato, alla fatica che il diventare competenti, capaci di essere normativi rispetto al proprio mondo, comporta, necessita di essere approfondito. Sicuramente le facolt istituiscono il soggetto, ne fanno un essere pienamente umano e il loro dispiegamento fonte di piacere. Ma perch il soggetto possa essere istituito dalle facolt e anche aperto a questo piacere, occorre un percorso, anzi, meglio, un lavoro, un labor, uno sforzo: una fatica, specifica dellapprendimento, che tanto opera del soggetto su se stesso, quanto della collettivit (Consigliere, 2004). E quindi lidea, assolutamente condivisibile, che leducazione debba essere unapertura al piacere, unapertura di possibilit (idea strettamente deducibile dalle considerazioni portate), non pu far dimenticare che, il piacere dellindividuazione, comporta comunque una grande fatica, perch non , e non pu essere (proprio per le caratteristiche specifiche della natura dellessere umano, cos come sono venute a delinearsi), un oggetto da ricevere passivamente, ma richiesto al soggetto, fin dal suo primo ingresso nel mondo, un movimento di partecipazione attiva. Esiste, cio, un dolore inevitabile per accedere al piacere, retrocedendo di fronte al quale si rinuncia al piacere tout court. Tra tutti i concetti che un educatore in obbligo di trasmettere ai ragazzi, penso
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che questo sia, indiscutibilmente, uno dei pi importanti. E penso anche che, in questa trasmissione, le parole, per quanto importanti, non bastino: penso che il labor e la gioia del movimento, in tutta la loro pienezza, vadano condivisi con loro, fino a che non saranno in grado di dirigere con sempre maggiore autonomia il proprio percorso. Ma c un aspetto ulteriore, nel labor che lega fatica e piacere, che interessa proprio gli adulti in modo particolare: infatti fin troppo facile dimenticare, cammin facendo, che, se lapprendimento delle facolt produce i soggetti, il loro uso libero e sempre rinnovato che continua in ogni momento ad istituirli. Non ci si pu e non ci si deve fermare. E un discorso che diventa di pungente attualit quando il gioco si fa duro, perch in questi frangenti che la difficolt di dover impiegare le proprie capacit in modo sempre nuovo e attivo tenderebbe a indurre al ritiro in azioni conosciute, anche se sterili, fino al punto di accettare, di fronte ai gravi problemi personali e sociali, di smettere di cercare e di subire passivamente il peso delle passioni tristi. Ma questo sarebbe proprio non riconoscere tutte quelle peculiarit della nostra natura umana che possono riemergere da una ricerca adeguata, e autocondannarsi al dolore. E nel ricorso ostinato allutilizzo pi pieno possibile di tutte le nostre facolt che racchiusa la possibilit di trovare soluzioni nuove. E non superfluo ribadire che, proprio per il carattere intrinsecamente sociale della natura umana, questo sforzo non pu limitarsi ad essere solo solipsistico. Si tratterebbe di un brusco arresto di movimento e potenzialit, fonte di inevitabile dolore. E logico e corretto considerare che la potenza pi piena delle facolt non possa dispiegarsi che nel contesto pi umano possibile: un contesto comune. Un contesto che, secondo questa specifica prospettiva, viene ad avere a che fare, inevitabilmente e profondamente, con la politica nel senso pi alto secondo cui
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il termine stato inteso dal mondo greco: condivisione e confronto, il diventare umani continuamente rinnovato e reinventato. Si tratta di qualcosa da cui non si pu sfuggire: la ripresa del confronto tra gli uomini secondo una modalit che sappia vedere, nella caduta dei grandi sogni, il punto di partenza per un nuovo e comune labor, ponte verso nuovi orizzonti, il compito che aspetta di essere affrontato, in uno sforzo comune, perch possano ancora succedere meraviglie. Rubando a Kant, un termine bellissimo: sublime dinamico, si pu prospettare una situazione in cui la complessit del compito non risulti pi spaventosa, perch unita alla consapevolezza della potenza delle facolt. Una situazione, in cui non sia pi necessario barricarsi tra le mura, sempre pi strette, di un proprio piccolo mondo che si vuole, illusoriamente, vedere come sicuro", ma in cui sia possibile sentirsi sicuri ovunque, dal momento che questo senso di sicurezza trae origine dalle proprie facolt, dallaverne assaporato il fremito di piacere nell uso fatto insieme con gli altri, per il benessere (piacere) di tutti. Credo che sia possibile, alla luce del sublime dinamico, spazzare via un po di tristezza dai nostri cieli e ritornare credibili agli occhi dei nostri ragazzi.

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CAPITOLO TERZO

Nei labirinti della depressione


Alcune considerazioni introduttive
In linea con il tentativo, portato avanti nel precedente capitolo, di sforzarsi di CAPIRE, per sgombrare almeno un po di cielo da tristezza e paura, si pone anche una particolare modalit di lettura del fenomeno depressivo. Lettura che tiene una certa distanza dalle interpretazioni oggi pi comuni, ma che non pu non colpire profondamente chi, con la depressione, abbia avuto modo di essere in contatto. Prima di ogni altra cosa, occorre, per, per questioni di ordine, presentare una serie di dati e definizioni da cui non si pu prescindere, nel nostro contesto culturale, per introdurre questo tema. Secondo la definizione dellOMS (Organizzazione Mondiale della Sanit) con depressione si intende un disordine mentale caratterizzato da: tristezza, mancanza di interesse nelle attivit ed energie diminuite. La depressione si differenzia dai normali mutamenti dumore per la gravit, i sintomi e la durata del disordine (Who/OMS 2001). Oltre a questi appena riportati, altri sintomi depressivi includono: carenza di fiducia e di autostima, sensi di colpa, pensieri di morte e di suicidio, capacit di concentrazione diminuite, disturbi del sonno e dellappetito. Il problema pu essere ricorrente o cronico e causare sostanziali limitazioni alla capacit dellindividuo di far fronte alle responsabilit quotidiane. In base alle statistiche dellOMS si stima che attualmente, nel mondo, soffrano di depressione pi di 120 milioni di persone e che la depressione in et giovanile sia in netto aumento.
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L impatto personale, sociale ed economico che ne risulta veramente alto. Secondo lindice noto come Daly (Disability-Adjusted Life Years), infatti, che computa, a livello di popolazione mondiale, il numero di anni di salute perduti a seguito di mortalit prematura e di invalidit (temporanea o permanente), la depressione si pone al quarto posto fra le cause di disabilit e al primo fra le cause di anni perduti in seguito alla disabilit stessa. Le stime prevedono che entro il 2020 la depressione sar la seconda causa di disabilit a livello mondiale, dopo le malattie ischemiche, e la prima nelle regioni sviluppate. Se questi sono i fatti generali, riguardo alla patologia che va sotto il nome generico di depressione, dal punto di vista della diagnosi psichiatrica vengono, tuttavia, fatti molti distinguo: ci che raggruppato dallOMS sotto ununica etichetta scomposto dal DSM-IV (il manuale diagnostico che fa riferimento allAPA American Psychiatric Association) in oltre una decina di sindromi diverse, suddivise in differenti classi di disturbo: la classe Disturbi dellUmore ricomprende, infatti, la sottoclasse dei Disturbi depressivi (col disturbo depressivo maggiore, il disturbo distimico, e il disturbo depressivo non altrimenti specificato), la sottoclasse dei Disturbi bipolari (col disturbo bipolare I, il disturbo bipolare II, il disturbo ciclotimico, il disturbo bipolare non altrimenti specificato), e la sottoclasse degli Altri disturbi dellumore. Forme depressive sincontrano, poi, anche nelle classi dei Disturbi del sonno, dei Disturbi deladattamento e dei Disturbi della personalit. In relazione a quanto riportato si pu aggiungere che, se da un lato, alcune voci hanno criticato lo status della depressione come malattia specifica o come insieme di malattie correlate, vedendo un rischio nel far convergere fenomeni diversi, le cui cause sono verosimilmente differenti e necessitano, pertanto, di mezzi di cura specifici, dallaltro lato, il nominalismo del DSM-IV parso ad alcuni un modo elegante per uscire dai problemi della definizione vera, e cio eziologica, un escamotage per tempi di incertezza, che lascia del tutto irrisolte le
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questioni diagnostiche e terapeutiche, che insorgono nella pratica. Di fatto il dominio depressione si presenta oggi come articolato campo di opposizione tra: - la psichiatria moderna, da cui proposto un modello di comprensione secondo il quale la questione eziopatogenetica ricondotta essenzialmente ad una disfunzione metabolica (un problema organico, relativo al funzionamento di neurotrasmettitori e mediatori chimici) e da cui viene proposta una terapia a base farmacologica. [Stefania Consigliere (2004) riporta, a questo proposito, i dati trasmessi dallIncb (International Narcotics Control Board, il Consiglio Internazionale per il controllo dei narcotici, organismo collegato allOMS), che indicano come la seconda met del 900 sia stata caratterizzata, in Occidente, da un aumento, esponenziale, nella vendita di farmaci che non servono a curare malattie fisiche specifiche, ma a sopportare le pressioni della vita quotidiana. LAutrice, senza sottovalutare limportanza delle scoperte in ambito

farmacologico, sottolinea con acutezza come dovrebbe destare sospetto ed essere fonte di molti pi interrogativi, latteggiamento assunto dagli occidentali: lessersi letteralmente gettati sullassunzione di farmaci come unica possibile soluzione al (o via di fuga dal) disagio]. - e la psicologia (e le psicoterapie da essa derivate), che considerano la depressione come lesito di un impedimento nella relazione tra il soggetto e il suo mondo, nel senso che sarebbe ci che avviene nella realt, nel mondo dei simili ad essere in grado di scatenare ripercussioni emotive di ordine depressivo.

Un differente piano interpretativo


Altro , invece, il piano di lettura secondo cui si pone la linea interpretativa psicoanalitica e quella che fa riferimento alla psicoanalisi lacaniana in particolare. Secondo essa la depressione non uno stato emotivo, invece un affetto.
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Quello che si presuppone, cio, limpossibilit del soggetto di rapportarsi direttamente con il mondo (ipotesi psicologica), ponendo la necessit, per il soggetto stesso, di passare, per relazionarsi in qualche modo con il mondo, attraverso la mediazione del significante. E quindi linterpretazione che il soggetto fa, in questo caso la sua interpretazione del desiderio dellAltro (del posto che egli occupa in esso), ad essere il perno intorno a cui prende forma, secondo questa linea interpretativa, la dinamica depressiva. Un altro punto di fondamentale importanza, sempre secondo questo tipo di approccio, la necessit di porre una distinzione, nonostante le analogie dal punto di vista fenomenologico, tra due forme patologiche, la cui confusione offusca la possibilit di capire e quindi anche di agire: una forma depressiva, di tipo nevrotico, ed una forma melanconica, che rientra pi propriamente nel campo della psicosi.

La verit del discorso melanconico


Celebre unaffermazione di Freud (1917): secondo lui il soggetto melanconico un soggetto capace di cogliere il vero con maggiore acutezza. Agamben (1977) non pu non vedere un collegamento tra questa affermazione ed uno dei pi stravaganti problemata aristotelici: perch molti degli uomini che si sono distinti nella filosofia, nella vita pubblica e nelle arti sono dei melanconici? Che relazione lega il pi sciagurato degli umori (Freud, 1917) con la verit? Una catastrofe originaria, secondo Marie-Claude Lambotte (1997), legata al suicidio delloggetto (oggetto materno nello specifico). Legata cio alla scomparsa del suo sguardo desiderante sul soggetto, cui viene ad essere sostituito un modello caratterizzato da estraneit o onnipotenza, e che si lega alla costituzione di un ideale dellIo inavvicinabile, con cui il soggetto non pu identificarsi.
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In seguito a tale difettosa strutturazione dellideale dellIo, risulterebbe limitata la funzione protettiva dellimmaginario rispetto al reale e, in assenza di uno schermo protettivo, il reale stesso verrebbe ad apparire non solo privo di capacit attrattiva, ma caratterizzato anzi da un aspetto angosciante e orrifico (non si pu non pensare alla condizione dellanimale mondano, bruscamente investito, al suo ingresso nella vita, da un dilagante fiume percettivo in cui urgente che lo si aiuti a porre un primo ordine). E in questo senso che si pu intendere la riflessione di Freud sulla lucidit melanconica: il soggetto melanconico colui che incontra, in modo devastante, proprio perch non in grado di appoggiarsi ad alcun sembiante, che ne copra lapparizione smisurata, quella che gli appare come verit radicale: il non senso della vita e della morte, Si tratta di qualcosa di diverso da quanto pu caratterizzare linsorgenza della patologia depressiva.

Lacan, la depressione e una nuova teoria del narcisimo


Una riflessione adeguata sulla depressione resa possibile da un punto di particolare interesse del percorso evolutivo del pensiero di Jacques Lacan: un mutamento nella sua concezione circa il registro dellimmaginario. In un primo periodo della sua elaborazione, Lacan aveva, infatti, considerato limmaginario come fondato sul visibile, cio sulla percezione dellimmagine dellAltro, mentre in una fase successiva, che si pu collocare a cavallo del Seminario IV (1956/57), egli viene a riflettere sullimmaginario nel suo potere di introdurre al simbolico, potere che gli deriva dallessere incentrato su unassenza fondamentale, sulla sottrazione di un elemento alla percezione, sottrazione suscettibile di produrre la nascita del simbolo. E seguendo questa linea di pensiero, che egli si trova, coerentemente, nella possibilit di introdurre, nellambito della relazione tra lIo e il suo Altro
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primordiale (limago materna), un terzo elemento: il fallo (Lacan, 1958). Introducendo, in questo modo, una nuova teoria del narcisismo, che viene ad assumere un peso fondamentale per una comprensione delle dinamiche in gioco nellinsorgenza della patologia depressiva. Il fallo assunto a simbolo di ci che pu colmare la mancanza dellAltro e il soggetto, il soggetto nevrotico, come diventa utile precisare, chiede di essere lui il significante di tale mancanza. Vuole a tutti i costi diventare la ragione del desiderio dellAltro, perch lassunzione di tale valore fallico la sola risposta che sa trovare di fronte all enigma dellAltro. Si tratta di unoperazione faticosa, quella della ricerca dellindispensabilit, ma che assicura, tuttavia, una soddisfazione, un guadagno narcisistico rilevante. Lidentificazione al fallo permette, infatti, al bambino di rappresentarsi nel mondo come vivente, anche se, contemporaneamente, sottoposta allintervento castrante da parte della funzione paterna (intervento assolutamente indispensabile, perch il bambino possa diventare lui stesso desiderante). Si realizza, cio, una aporia, una impasse imprigionante. La necessit di assumere un valore fallico (fondamentale, perch ripara dalla voragine del non senso, o, almeno, da quella che percepita come tale dal soggetto) che entra, per, in conflitto con quella di sottomettersi allinterdetto paterno, il quale intima la rinuncia. Di solito, quello a cui si perviene un equilibrio precario, un equilibrio soggetto a fluttuazioni e oscillazioni, tra le quali possibile annoverare quella che riguarda la dinamica depressiva (che pu essere considerata, secondo questa linea interpretativa scelta, una patologia del valore fallico del soggetto).

Lo scatenamento depressivo
Il soggetto, infatti, ad un certo punto del proprio percorso esistenziale, pu venire a trovarsi a confronto con un evento, nel quale le insegne ideali (narcisistiche)
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vengono momentaneamente a cadere, trascinandolo nel dubbio angosciante di non essere pi niente. Il pensiero lacaniano, pone una distinzione, a questo proposito, tra due tipi di fallicismo, uno che chiama in causa il registro dellavere ed uno che chiama in causa quello dellessere. Il fallo cio, secondo Lacan, un significante, che funziona da operatore logico: pone una questione fondamentale allessere umano biologicamente maschio o femmina il quale, in relazione alla risposta che dar, sul piano dellavere o su quello dellessere, definir la sua posizione di essere sessuato. Generalmente il maschio risponde allinterrogazione che il fallo pone, sul piano dellavere. Lavere fallico si dirige verso una pluralit di oggetti: una donna, ma anche una riuscita professionale, una buona posizione sociale conta ci che loggetto riesce a restituire al soggetto in termini di potenza fallica. La depressione allora legata ad una caduta della prestanza, o a una minaccia di perdita, che supera le possibilit di difesa del soggetto. Sul versante dellessere, invece, (generalmente pi frequente sul fronte femminile) non in gioco la perdita di un oggetto nel suo ruolo di conferma della prestanza, quanto piuttosto in quello di conferma della desiderabilit del soggetto stesso. In ogni caso, la perdita di un pezzo di mondo libidicamente investito, viene a turbare profondamente uneconomia di godimento fallico gi in equilibrio di per s precario e la perdita risulta chiaramente configurarsi come un attacco al narcisismo del soggetto (che perde quella rappresentazione di s che lAltro gli assicurava). Ma un altro, forse, laspetto pi deleterio ed legato al fatto che, la caduta dellideale libera il Super-io in unazione non normativa, ma sadica. Non viene promosso un nuovo legame tra la Legge e il desiderio, ma si libera una spinta ad una rinuncia generalizzata, ad una castrazione incondizionata. Una mortificazione dellessere del soggetto che viene per, nel contempo, a
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trasformarsi, mostruosamente direi, in una nuova forma di godimento. E, cio, una regressione ad un godimento fuori legge, in virt di unambiguit, di una duplicit propria del Super-io che, come dice bene Silvestre (1986) Se Legge che fonda il desiderio su una mancanza di godimento (la castrazione), resta per, intrinsecamente, leco di un godimento, un godimento fuori legge. Si pu pensare, per maggiore chiarezza, al condensarsi nel Super-io, di una duplice spinta: una regolatrice e normativa ed una di intimazione al godimento, retaggio della prossimit mitica della Legge con la sua trasgressione. Nella mortificazione imposta, si ha una parvenza di messa in scena di un lutto. Ma soltanto di una parvenza che si tratta: questo lutto, infatti, si mostra tanto pi forte nella realt, quanto pi non ha potuto prodursi a livello simbolico. Perch nel lutto reale, infatti, il principio di realt intima al soggetto di abbandonare la posizione libidica precedente, mentre in questo caso tale discorso rimane assolutamente inascoltato. Nel lavoro del lutto, un vero lavoro (ritorna, non a caso, la parola labor, che le riflessioni del capitolo precedente avevano permesso di vedere come condizione indispensabile per permettere il dispiegamento delle facolt e quindi del piacere) il principio di realt, che esorta il soggetto a rinunciare al precedente godimento, rinnova lincidenza della castrazione nella vita di ogni essere umano. Per il soggetto si pone la necessit di fare a meno di un pezzo di godimento e di accettare questa sottrazione, che, solo se accolta, potr dare luogo ad un nuovo investimento libidico. La depressione nellinterpretazione lacaniana, si pone come il contrario di tutto ci, si configura proprio come rifiuto di affrontare questa sottrazione e di svolgere questo lavoro. Indica linsistenza del soggetto a non lasciar cadere una parte di s. Loggetto perduto non pu essere sostituito e il soggetto sembra non poter recuperare il proprio valore fallico altrove: si trova inchiodato, impaludato, in una insuperabile impasse, fissato al momento della perdita.
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Venendo la depressione, cos, chiaramente, a configurarsi anche come una sospensione del senso, perch, per il soggetto, laldil del fallo laldil del senso (La Sagna, 1999) (anche se, ovviamente, questo vale per il soggetto, per quel soggetto, perch, ripensando al discorso del capitolo precedente, al di l del fallo si apre una nuova serie di dispiegamenti possibili delle facolt, quindi nuovo piacere, per chi pu cercarlo).

Depressione e pulsione di morte


Linsorgere di questo vuoto, che si presenta nellesistenza del soggetto e rivendica un ostinato voler persistere, al di l di ogni ragionevole motivazione, non pu che riportare ad un ulteriore concetto, decisivo per il processo di comprensione: quello di pulsione. Ed proprio rispetto alla pulsione che la teoria lacaniana pone come centrale il concetto di vuoto causativo: un vuoto attorno al quale si orienta tutto il cammino del soggetto (Lacan, 1959), perch proprio come scoperto da Freud in Al di l del principio di piacere (Freud, 1920) questo cammino orientato verso la causa stessa della pulsione. Si tratta, cio, di un percorso circolare, giocato intorno ad un vuoto, causa e meta della pulsione, che rende possibile individuare in essa una spinta regressiva, che Freud aveva definito pulsione di morte e che apre unaltra logica nelleconomia libidica, che porta definitivamente alla comprensione: la soddisfazione pulsionale non risiede unicamente nel raggiungimento delloggetto, ma pu anche situarsi nellincontro con il vuoto causativo della pulsione stessa. Risulta allora chiaro come, non elaborata sul piano simbolico del lutto, la perdita si possa trasformare nel vuoto, vuoto causativo dellazione involutiva della pulsione di morte, che al vuoto tende a indirizzarsi come meta libidica [La pulsione, cio, spinge verso quel luogo mitico del godimento non ancora
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intaccato dal significante. Un luogo che, per, proprio per questo, coincide con la non vita del soggetto (nel suo essere, come ampiamente illustrato nel capitolo precedente, animale mondano e umano e quindi istituito dal linguaggio), e coincide invece con lindifferenziato del vivente, si potrebbe dire del vivente ambientale]. La pulsione di morte opera sotto il comando superegoico, in quella sua ambiguit illustrata e, in questo complesso gioco, esce come risultante la difficolt di liberarsi da questo incantamento per iniziare il lavoro del lutto, doloroso, ma unica strada verso una nuova libert e un vero piacere. Non c liberazione e non c lutto: domina il rifiuto. E la chiusura alla parola (o comunque il rapporto distorto con la parola), da parte del soggetto depresso, si pu intendere proprio come effetto di quellofferta pulsionale che promette, illusoriamente, la possibilit di ritirarsi in uno stato larvale, pieno di un godimento non metaforizzato, che non subisca lazione del significante. E cos viene ad emergere anche la colpa del depresso, riferibile proprio alla modalit di godimento che egli, sotto lazione incalzante dellintimazione superegoica, viene ad instaurare: trasformare la perdita in (nefasta) soddisfazione, entrando cos in contrasto con laltro aspetto del Super-io, al quale nulla pu essere nascosto. Come bene espresso da Recalcati (2002): la depressione connessa alla castrazione. Essa esprime il rifiuto di scendere a patti con la perdita, convertendola, viceversa, in un pi di soddisfazione e questo implica, strutturalmente, la comparsa del senso di colpa. E una colpa tutta legata alla negazione della propria responsabilit, alla vigliaccheria nei confronti del significante: come dice Miller (1988) Il significante viene abbandonato, si mollano gli ormeggi e si scappa via.

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Il posizionamento del fenomeno depressivo sul piano delletica


Lacan svolge un lavoro molto importante e molto bello per riuscire a ri-situare la problematica depressiva entro un adeguato contesto di riflessione. Un contesto teologico-filosofico, che affonda le proprie radici nelle elaborazioni della Patristica, nellopera di S. Tommaso dAquino e in quella di Dante e di Spinoza e che apre alla possibilit di vedere la tristezza come espressione dellaccidia, nel suo significato greco di a-kedos, e cio mancanza di sollecitudine: un indietreggiare del soggetto di fronte ad un sapere che, per quanto necessiti di un passaggio attraverso il dolore, in grado di portare quel piacere insito nella libert della ricerca. E in questo senso la tristezza viene a porsi su un piano etico e si pu definire come peccato: il peccato insito nel rifiuto di andare al fondo della propria questione, compito al quale ogni umano (ogni credente, per la Patristica) chiamato. Per noi, anche peccato nel senso di disubbidienza allistanza morale del Super-io o ancora, con Serge Cottet (1991), peccato come tradimento: un tradimento del soggetto verso se stesso. Motivo per il quale Lacan mette in risalto non il versante dei diritti del soggetto depresso, ma quello del dovere, in una forma che assume le sembianze di un ammonimento teso a non giustificare, a non scagionare. Allo stesso tempo, per, e direi, meravigliosamente, egli apre una strada ariosa verso la comprensione, anche attraverso la parola luminosa di un grande filosofo: Spinoza. Spinoza, nella sua acutezza di analisi, aveva presentato, nella sua teoria, laffectus come attraversato da una duplicit strutturale: una differenziazione tra oggetti desiderati e causa immanente del desiderare stesso, e aveva affermato, con grande chiarezza che, tanto pi laffetto si dirige verso loggetto appetito, tanto pi si allontana dallidea adeguata della propria causa e, cio, la ricerca
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passionale delloggetto, porta, secondo lui, il soggetto ad allontanarsi cos tanto dalidea adeguata della causa immanente, da provocare unimmaginaria e falsa collocazione delloggetto perduto come causa del desiderare stesso. Se il soggetto cede alla passione della ricerca delloggetto perduto, si sottrae al compito etico del sapere, compito la cui realizzazione conduce, invece, alla gioia. La chiarezza del discorso abbagliante. Ecco perch, riprendendo la propria parola, Lacan oppone laffetto depressivo a quello che egli definisce gaio sapere (Lacan, 1970) e in questo non possibile non cogliere lassonanza con quellespressione affascinante di Nietzsche: la gaia scienza. Il riferimento, ovviamente, non casuale: infatti proprio per Nietzsche che la caduta degli ideali, il crepuscolo degli idoli, fonte di un nuovo sapere, tutto intriso di libert e di piacere, per chi abbia saputo aspettare, con pazienza, di superare loppressione dello smarrimento. Vicinanza di pensiero cos grande che si pu arrivare ad azzardare listituzione di un parallelo tra la gaia scienza nicciana e il concetto psicoanalitico del lavoro del lutto, mentre la questione sollevata proprio da Nietzsche del ressentiment del debole (Nietzsche, 1887), con parole dure, ma efficaci: ..e limpotenza che non si prende la rivalsa, deve essere falsata in bont; la timorosa abiezione in umilt; la sottomissione dinanzi a coloro che odiamo in obbedienza [] Linnoffensivit del debole, la stessa codardia di cui costui ricco, il suo stare alla finestra, il suo inevitabile dover aspettare, acquista ora un buon nome, in quanto pazienza e viene altres a significare la virt stessa; il non potersi vendicare detto non volersi vendicare, forse addirittura perdonare []. Si parla anche dellamore verso i propri nemici e intanto si suda.

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sembra in effetti costituire proprio un precursore del concetto lacaniano di vilt morale. Dice ancora Nietzsche (1887): Gli infermicci sono il grande pericolo delluomo, non i malvagi, non gli animali da preda. Gli sventurati sin dallorigine, i reietti, i fatti a pezzi costoro, che sono i pi deboli, sono quelli che pi di chiunque altro minano la vita tra gli uomini, quelli che intossicano e mettono in questione, nel modo pi pericoloso, la nostra fiducia nella vita, nelluomo, in noi stessi. Dove ci si potrebbe mai sottrarre a quello sguardo volto a ritroso, sguardo nel quale si tradisce il dialogo di un tale uomo con se stesso quello sguardo che un sospiro! Potessi essere un altro qualsiasi! - cos sospirano questi occhi: Ma non c speranza. Sono quello che sono: come potrei liberarmi da me stesso? Eppure sono sazio di me! [] Su questo terreno di autodisprezzo, un vero e proprio pantano, cresce ogni malerba, ogni pianta velenosa e tutto cos piccolo, cos nascosto, cos disonesto, cos dolciastro. Qui brulicano i sentimenti di vendetta e di rancore: qui laria fetida di cose segrete e inconfessabili; qui si va continuamente tessendo la rete della pi maligna congiura la congiura dei sofferenti contro i ben riusciti e i vittoriosi, qui laspetto stesso del vittorioso viene odiato.

Pur nella radicalit di queste parole, chi abbia avuto modo di relazionarsi in modo continuativo con un soggetto depresso, non pu non riconoscervi echi assolutamente familiari.

Vorrei, in conclusione di questa parte, aggiungere una considerazione che sento cruciale.
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Tutti i rischiosi passaggi descritti, nel dolore che comportano, sfiorano pericolosamente il bambino, fin dal primo sguardo che lo lega alla madre e poi nel suo incontro con la castrazione e la Legge, e toccano ladolescente nel percorso che gli compete, situandosi tra le insidie pi gravi che lo attanagliano. Ma queste questioni, cos come presentate da Lacan, sono anche, anzi prima, di noi adulti. Soprattutto se ambiamo ad assumere responsabilit educative. Non possiamo esimerci dal prendere in mano le nostre questioni (quelle nostre private e, su un piano collettivo, la passione triste legata alla caduta delle grandi narrazioni), se vogliamo che sia possibile ritrovare, nel nostro sguardo che i ragazzi incontrano e che per loro guida, la giusta luce, e se vogliamo tentare di farci testimoni della bellezza, pur nella durezza, di quel labor che porta al dispiegamento delle facolt e ad una libera e piena immersione nel mondo. Direi: se vogliamo tentare di essere testimoni della peculiare bellezza che sta nel coraggio richiesto dal lavoro del lutto. La problematica depressiva portata, e io credo giustamente, da Lacan su un piano etico, ed perci su questo piano che interrogher i nostri ragazzi. Ma interrogher prima noi, e lo far, sono convinta, su un piano che non sar semplicemente etico, lo sar, per forza di cose, doppiamente.

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CAPITOLO QUARTO

Depressione: leducatore si interroga e cerca risposte proprie


L educatore guarda alle colonne portanti del suo sapere
Il forte riferimento lacaniano al piano etico della responsabilit personale, presenta profonde consonanze con le linee di pensiero del Problematicismo pedagogico e della Pedagogia fenomenologica e cio coi principali pilastri di riferimento che definiscono lorizzonte teorico a cui lazione delleducatore, specie se formatosi in ambito bolognese, si ispira.

Il Problematicismo pedagogico (e le categorie che contribuiscono ad arricchirne la connotazione)

La corrente di pensiero che attinge a tutta la ricchezza del lungo percorso riflessivo portato avanti da G.M. Bertin, gi dal suo porre in un rilievo assolutamente particolare la categoria del possibile (assunta nella sua valenza pi piena di possibilit che s/possibilit che no), ne fa elemento che chiama in causa, con forza e decisione, proprio la responsabilit: sia delleducatore che delleducando. Secondo le linee tracciate da questa prospettiva, infatti, si fa strada una definizione della personalit che lascia pieno spazio alla libert della scelta: la personalit vista (Bertin, 1968) come qualcosa che non dato al soggetto, ma che si costruisce, in un continuo riferimento alla presenza sia di esigenze soggettive che oggettive (e gi in riferimento a questa definizione pu iniziare a
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prospettarsi la speranza di poter arrivare ad articolare pi adeguatamente proprio quegli ambiti che non sono opportunamente compenetrati nel percorso esistenziale del soggetto depresso). Viene riscontrato che le urgenze, emergenti da ciascuno dei due fronti, eserciteranno, inevitabilmente, uninfluenza sulle direzioni che la personalit potr seguire nel suo costituirsi, ma il soggetto non risulter mai, secondo questa prospettiva, diretto deterministicamente, si trover sempre nella condizione di potere e dovere prendere decisioni proprie. Dice Bertin (1968):

La personalit, in quanto rapporto tra soggettivit e mondo, possibilit di tale rapporto in direzioni di vita differenti, nessuna delle quali iscritta nella vita del singolo, nessuna necessaria.

Ed proprio il rifiuto di ogni determinismo, biopsicologico o socioculturale che sia (rifiuto che emerge anche dalla messa in evidenza del fatto che la decisione presa non mai totalmente irrevocabile), a porre su un piano centrale la scelta delleducando e non solo questa: anche il ruolo e la posizione delleducatore vengono diversamente e opportunamente illuminati, proprio nel momento in cui la categoria del possibile viene a spazzare via lillusione di presupposti metafisici, da cui far derivare le direttive per l azione. Il Problematicismo fa emergere con un evidenza nuova e assolutamente proficua la necessit di una continua messa in discussione delle modalit secondo cui lazione educativa pu porsi, cos come dimostra la necessit dellaccettazione del fatto che limpegno educativo possa naufragare nel fallimento: la realizzazione di ogni progresso possibile non pu fare a meno delladesione e dellimpegno congiunti di entrambi i protagonisti.

Sempre seguendo tale prospettiva di responsabilit e libert (pur limitata), viene


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riconosciuto senza indugi lelemento che sembra determinare fortemente tante situazioni esistenziali (e direi quella del soggetto depresso in particolare): il tragico, il potenziale distruttivo che soffoca e spezza tante preziose possibilit, per lesistenza di singoli e gruppi. Ed in opposizione ad esso che viene avanzata la coraggiosa proposta di una progettazione esistenziale, vista come opportunit per rivendicare con forza il protagonismo delluomo (pur nella piena consapevolezza dei limiti) nelle scelte che lo coinvolgono nel suo essere - con - gli - altri - nel mondo. Questo progettare prospettato, pone come suo elemento fondamentale la presa di coscienza, da parte di ogni soggetto, dei condizionamenti che lo implicano, ma riconosce tali condizionamenti come aspetti ineliminabili di ogni avventura umana, aspetti che possono e devono quindi essere visti come basi di partenza, per un percorso esistenziale che la determinazione e limpegno possono dotare di senso. E, per il percorso che si spalanca, viene indicata una preziosa fonte di forza: il demonismo, definito da Bertin (1949) come: Energia biopsichica di cui luomo fornito in misura diversa in rapporto ad eredit, ambiente, condizioni etero ed auto-educative, orientata ad affrontare, rifiutare o trasvalutare lattuale in funzione del possibile, opponendo allidentit statica e inerte [] la differenza del creativo.

Una forza che pu risultare fortemente mutilata (come nel caso del soggetto depresso), mai adeguatamente sviluppata, ma che, anche alla luce di questa definizione stessa, appare pienamente implementabile e questo anche grazie ad unazione educativa fortemente consapevole, determinata a porre ogni impegno nello sforzo di ridare al soggetto lopportunit di ritrovare una possibilit di espressione propria (la propria differenza), sia sul piano dellesistenza
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individuale, sia nel rapporto con gli altri. Anche lesperienza viene ad essere considerata secondo una luce particolare, viene vista come rapporto di integrazione , tra io e mondo, rapporto che si svolge secondo un processo infinito, un susseguirsi di transazioni dinamico e che non arriva mai a bloccarsi in una forma finale definitiva (nel senso di compiuta, e perci stesso chiusa ad un ulteriore sviluppo delle facolt, senza il quale lanimale mondano, come illustrato, entra irrimediabilmente in sofferenza). Nellaffrontare questo movimento il Problematicismo indica un riferimento fondamentale: listanza razionale intesa in senso assolutamente non dogmatico, ma piuttosto come (Bertin 1968):

Istanza rivolta a risolvere forme unilaterali, indeterminate, incongrue (e in di tal senso problematiche) determinatezza, in direzione congruenza,

rispettivamente

pluralit,

acquisendo o chiarendo i criteri opportuni per ciascuna di tali operazioni. Sar, come evidenziato, responsabilit delleducatore e delleducando muoversi perch il percorso esistenziale possa assumere tale direzione.

Pedagogia fenomenologica

Con uguale nettezza, il valore fondamentale della responsabilit del soggetto educativo e delleducatore, viene delineato anche dalla Pedagogia

fenomenologica. Secondo le parole di Piero Bertolini (1993):

Da un punto di vista fenomenologico ogni individuo ha


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nellintenzionalit della coscienza, nella sua capacit di investire di senso il mondo naturale e sociale, la sua caratteristica essenziale. E in questo c responsabilit. E infatti lanalisi portata avanti secondo la prospettiva fenomenologica porta al riconoscimento del fatto che, quello che il mondo offre allo sguardo di ogni soggetto, , in realt, una serie di pre-testi, sulle cui suggestioni il soggetto stesso costruisce i suoi testi, delle rappresentazioni sensate del mondo. Anche per la Pedagogia fenomenologica non pu esserci altro punto di partenza, per questo processo di costruzione testuale, che lassunzione di

consapevolezza della propria implicazione in un insieme di vincoli. Questi, che sono elementi intrinseci della condizione umana, possono restare unici punti di riferimento (e fonte quindi di immobilismo improduttivo) o divenire base di partenza per sempre ulteriori esplorazioni e significazioni. Vincolo primo: il corpo, nella sua duplice valenza di condizione della percezione del mondo naturale, ma anche di costruzione simbolica (il corpo pu essere inteso come sollecitazione su cui ogni cultura elabora un sapere). In base ad esso il soggetto sar portato a percepire il mondo da un particolarissimo punto di vista: il proprio corpo, iscritto nella rappresentazione che la sua cultura condivide del corpo. Vincolo altro: le particolari visioni del mondo proprie dellAltro e in particolare dellAltro significativo per il soggetto, che hanno un forte peso nel determinare la sua iniziale prospettiva sul mondo (il soggetto non pu non essere influenzato dalle regole implicite di interpretazione della realt, proposte dalla famiglia e dallambiente sociale e culturale). Su questo insieme di influenze di partenza si innesta appunto, o pu innestarsi, il versante attivo della costruzione, si pu cio precisare una scelta personale di ci che, del mondo, anche di quello stesso mondo gi classificato, risulta realmente pertinente per il soggetto stesso.
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E dunque messo in piena evidenza il fatto che lattivit intenzionale autentica richiede ad ognuno di sospendere (coraggiosamente) quellatteggiamento che porta a percepire la rappresentazione del mondo ricevuta come fosse la rappresentazione del mondo reale, e Bertolini (1993) ribadisce molto opportunamente:

Quasi paradossalmente la condizione di possibilit di questa presa di distanza la consapevolezza della propria ineliminabile implicazione nel mondo e nella propria storia.

Si tratta di un delicato processo, in relazione al quale il rapporto educativo pu assumere un ruolo di assoluto valore . Esso infatti, nel suo essere relazione intersoggettiva, uno scambio di punti di vista sul mondo (Bertolini, 1993), pu venire a costituire proprio quel nuovo vincolo grazie al quale una rivisitazione critica del passato e lassunzione di una nuova direzione possono divenire realizzabili. Ed proprio in relazione a questo che viene indicata come fondamentale la consapevolezza educativa del fatto che, la possibilit di una nuova apertura, non pu comportare un avventata demistificazione del dato (Bertolini, 1993), che non porterebbe che confusione e destabilizzazione, ma deve implicare piuttosto la graduale introduzione di possibilit di allontanamento dagli schemi predefiniti, nella prospettiva di accompagnare il soggetto alla progressiva conquista del riconoscimento della propria capacit di intenzionare attivamente il mondo. E, quindi, della propria responsabilit e anche della capacit di vivere bene, fornendo un contributo attivo alla direzione della propria vita e del mondo stesso. Penso che lazione educativa possa sentirsi pienamente illuminata da questi
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riferimenti e lintervento che qui viene pensato, per offrire un sostegno al ragazzo depresso (intervento che, secondo le altrettanto preziose riflessioni offerte da Jeammet e presentate nel Capitolo I, dovrebbe affiancarsi, in una convergenza di intenti e di principi guida, allintervento terapeutico e allassunzione di un ruolo pi attivo e consapevole da parte della famiglia del ragazzo, adeguatamente supportata), viene concepito cercando di mantenere sempre un profondo legame proprio con lo spirito di tali considerazioni. Il contesto nel cui ambito esso si pensa disegnato un contesto gruppale, in grado di offrire quelle potenzialit fondamentali illustrate nel I Capitolo, in termini di possibilit di investimento, identificazione e proiezione. Il percorso prende le mosse da un tentativo di riflessione profonda circa le esigenze poste dalla condizione delicata del ragazzo depresso, ma non vuole mai, in alcun modo, allontanarsi dalle necessit e dalle domande del gruppo nel suo complesso. Al contrario, vedendo nella situazione di impasse in cui viene a trovarsi intrappolato il ragazzo, un rischio sempre molto vivo, che accompagna i passi di ogni cammino adolescenziale, riscontra nelle esigenze messe in luce da questa dolorosa condizione, unespressione pi forte e pi drammatica, di dilemmi e necessit che sono propri dei ragazzi di tutto il gruppo. Gruppo che si spera di veder camminare insieme lungo una strada che non eluda le difficolt, ma lungo la quale sia data la possibilit di trovare alcune indicazioni, per affrontarle in modo meno drammatico. Il percorso pensato dispiegarsi nellarco di almeno un anno di attivit (anche di pi, possibilmente) con una forte consapevolezza dellimportanza da parte delleducatore (o ancor meglio degli educatori), di saper tenere i tempi battuti dai ragazzi e di riuscire ad adattare o addirittura a riscrivere le proprie proposte, grazie alla volont precisa di restare sempre in attento ascolto delle richieste e potenzialit emergenti dalla situazione reale (nel suo evolversi passo dopo passo) e al desiderio di combinare pi voci, di delineare percorsi insieme,
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educatori e ragazzi, perch la crescita , senza retorica, un processo che riguarda, sempre, tutti.

Partire dal corpo


Come riuscire ad aiutare i ragazzi a trovare il coraggio e le capacit per riuscire, sul filo dei discorsi fatti, a prendere responsabilmente in mano le proprie questioni ? Mi sono ritrovata a pormi pi volte, proprio come nel film Momenti di gloria (del regista Hug Hudson, 1981), la celebre domanda: Da dove viene la forza per arrivare alla fine della corsa?. La risposta, proprio come nel film, stata che la forza pu venire da una pluralit di fonti, per nel film si correva. Limmagine di un corpo vigoroso che corre qualcosa di vivo e bello nella mia mente e insieme molto lontana dallimmagine, per me altrettanto viva, seppur sotto una luce completamente diversa, di un ragazzo depresso, abbandonato su un divano. E seguendo queste immagini che ho incontrato Alexander Lowen. Psicoanalista, allievo di Wilhelem Reich, mi ha colpito con il titolo di una sua opera: La depressione e il corpo (Lowen, 1972) e con due delle frasi iniziali di quel lavoro stesso, mi ha definitivamente convinta dellopportunit della lettura. Dice Lowen (1972):

Paragoniamo una persona ad un violino. Quando le corde sono accordate nel modo giusto, vibrano ed emettono un suono. Allora uno pu suonarci una musica lieta o triste []. Se le corde sono male accordate il risultato sar una cacofonia. Se sono flosce e senza tono non si avr alcun suono.
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Lo strumento sar morto, incapace di rispondere. Tale la condizione della persona depressa: essa incapace di rispondere.

Questo corrispondeva pienamente alla mia immagine del ragazzo sul divano. E ancora Lowen (1972):

Ci che vi in comune in tutte le reazioni depressive la irrealt che pervade latteggiamento e il comportamento della persona.

Questo mi riportava invece direttamente alle immagini disegnate dal discorso di Lacan: il soggetto depresso disperatamente impegnato nel tentativo impossibile di darsi un valore, cercando di essere/divenire ci che gli sembra possa colmare la mancanza di un Altro per lui significativo. Penso che lanalisi condotta da Lowen, sulle origini di questo disperato sforzo, possa venire a completare adeguatamente e proficuamente le riflessioni lacaniane.

E infatti Lowen, come del resto Lacan, rimanda ad un primo incontro con lAltro non coronato da adeguata comprensione e compenetrazione di significati ed indica come, questo incontro non riuscito, si riveli foriero di una catena di conseguenze profondamente negative. Prima, fra tutte, limpossibilit, per il bambino, di raggiungere la pienezza di funzionamento del proprio corpo: cos come, infatti, il contatto amorevolmente vissuto tra il corpo del bambino e quello di chi si prende cura di lui, eccita il corpo, stimola la respirazione e carica la pelle (e gli altri organi periferici) di sensibilit, la mancanza di tale amorevole vissuto viene, al contrario, a spegnere e a mortificare tutte queste potenzialit.
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La naturale risposta del bambino a questa percezione negativa di rabbia e protesta violenta, ma, a questo punto, viene da Lowen messo in evidenza il verificarsi frequente di un secondo evento negativo: in molti casi la protesta non adeguatamente accolta, essendo spesso il distacco (o lapparente distacco) del caregiver motivato da forti pressioni sul caregiver stesso (lavoro, problemi personali) che lo mettono in condizione di non riuscire a porre rimedio alla situazione. E cos che il bambino si trova a dover fronteggiare un altra situazione durissima: il timore di una ritorsione (per lui insostenibile) delloggetto amato e odiato di fronte alla sua protesta, che quindi si sforzer di mettere a tacere. Ritrovandosi per, in seguito a questo, invaso da un odio inespresso e dilagante.

Resta da aggiungere un punto importante: la perdita, pur cos devastante, non mai sentita dal bambino come assoluta, ma come reversibile, in seguito ad un cambiamento del proprio atteggiamento il collegamento con Lacan fatto e da qui possibile continuare col riferimento a tutte le sue successive riflessioni illustrate. Laspetto che pi mi ha affascinato, nel confrontarmi con le considerazioni di Lowen, la sua forte insistenza sul fatto, che anche a me pare importantissimo evidenziare, che tutti quei dolorosi accadimenti e aggiustamenti vengono ad essere profondamente inscritti nel corpo. Alla iniziale deprivazione di vitalit, legata allincontro non riuscito, si va ad aggiungere tutta una serie di altri blocchi: ricordi e pensieri inadeguati vengono rimossi, mentre impulsi e sensazioni vengono repressi (si tratta, in entrambi i casi, di processi non coscienti). Nella repressione degli impulsi, Lowen (1972) sottolinea, ci che viene messo in atto il trattenimento prolungato di unespressione, che continua a protrarsi fino
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a diventare un modo abituale di essere e un atteggiamento inconscio del corpo. E quella zona del corpo stesso, che sarebbe coinvolta nellespressione dellimpulso, viene, in seguito a ci, ad essere resa anche relativamente insensibile, proprio in relazione alla tensione muscolare cronica che si forma, nonch efficacemente separata dalla coscienza, in seguito alla perdita della normale capacit di sentire. Il bambino, secondo Lowen, reprime gli impulsi che potrebbero evocare una minaccia (in primo luogo quelli aggressivi), quelli che risultano per lui troppo dolorosi, in seguito ad una continua frustrazione e infine quelli che riterr inadeguati per essere quello che gli sembrer poter compiacere lAltro. Leffetto finale di queste manovre non potr che essere quel senso di irrealt riscontrato come tipico della situazione depressiva: viene persa (e se non interverranno eventi in grado di modificare le cose questa situazione rimarr permanente) la capacit di sentire, di fidarsi delle proprie sensazioni e sorger la necessit di aggrapparsi, per sostenersi, ad una serie di immagini illusorie ed al parere degli altri . Giustamente Lowen rileva come la depressione possa essere intesa proprio come una perdita della capacit di sentire in prima persona, unosservazione pienamente conforme alle affermazioni di tante persone depresse, che lamentano proprio una perdita di colore e sapore del mondo, nonch della propria vitalit. Egli sottolinea, inoltre, come, sempre in seguito a questa potente serie di blocchi fisici e mentali, venga a mancare unulteriore capacit, vitale (come abbiamo visto) per lessere umano: quella di protendersi verso il piacere, di ricercarlo, anche quando si presenti secondo una modalit perfettamente alla portata del soggetto. Non pi contemplata la capacit di allungarsi e prenderlo, n, tantomeno, di sentire quello che si vuole veramente e lottare per esso. La mancanza di piacere si trova ad essere fondata in unincapacit strutturale, venutasi a creare, di provarlo.
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Si pu aggiungere che, se per la persona che si creata un equilibrio fondato su unimmagine non in contatto con le proprie esigenze profonde, il crollo dellimmagine ed il sopravvenire della reazione depressiva possono verificarsi in qualunque momento della vita, certamente ladolescenza rappresenta un passaggio fortemente critico, richiamando in causa molti di quegli eventi delinfanzia, che avevano portato alla necessit di rifugiarsi in soluzioni cos poco adattive e produttive di benessere. E quando il tentativo irrealistico fallisce, lascia il campo alla desolazione e allangoscia del non sapere pi cercare soluzioni alternative, alla pesantezza di un corpo deprivato del proprio respiro, allodio e allaccusa Hai deluso le mie aspettative rivolti a s e agli altri. Resta anche un profondo vuoto interiore, un buco (apparentemente) incolmabile. Cos che, in molti casi si torner a cercare, con sempre maggiore amarezza lappoggio o la direzione di altre persone o si far ricorso a metodi ancora pi drastici che permettano di tentare di tirarsi su sganciandosi totalmente da quel poco che resta del sentire del corpo: alcool, droghe (sono situazioni molto ben presenti nella mente di chi abbia lavorato in contatto con gli adolescenti) Si tratta, tuttavia, di manovre senza speranza, perch la constatazione di Lowen che i bisogni orali insoddisfatti nellinfanzia non possono trovare soddisfazione in fasi ulteriori della vita, resta inconfutabile. E questo, in apparenza, lascia in una totale situazione di impotenza. Ma si tratta di un impotenza solo apparente. E vero: nessun esterno pu accorrere ad accudire il ragazzo o ladulto sofferenti per questo tipo di vuoto ogni attenzione ed ogni gesto affettuoso finiranno, infatti, irrimediabilmente per perdersi, risucchiati proprio da quel buco insaziabile, a cui nulla sembra sufficiente. Esiste, tuttavia, qualcuno che, se aiutato, pu fare davvero molte cose, seguendo una strada ricchissima, ed il soggetto stesso.
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Nessuno potr ridargli le carezze che ha perso o che ritiene di aver perso, ma c in lui la facolt di rimettersi alla ricerca, con un aiuto opportuno, prima di tutto del proprio corpo perduto. Resta sempre viva, infatti, la possibilit di riattivare e coltivare tutto quel potenziale sensoriale, non sviluppato o soffocato che, quando ritrovato, porter a sentirsi radicati a terra con i propri piedi, appoggiati su un terreno solido (spesso le persone depresse riferiscono di unangosciosa sensazione di cadere), centrati, in profondo equilibrio con se stessi e con il mondo (dotati di hara, come dicono i Giapponesi). In una parolapi FORTI E Lowen (1972) indica con decisione, come preziosa origine di questa forza, lappagamento legato alla ritrovata capacit di odorare, gustare e toccare le cose, alla vitalit del proprio respiro, al fatto di potersi sentire riempiti di buono anzich di vuoto, perch non pi spaventati dal fluire delle sensazioni nel proprio corpo, fiduciosi nella capacit di digerirle del proprio ventre. (Queste affermazioni di Lowen possono sembrare forse un po troppo pittoresche, ma hanno trovato in realt, come sar illustrato pi avanti, un forte riscontro scientifico).

Lowen (1972) introduce tutta una serie di esercizi fisici da lui utilizzati nel lavoro terapeutico con i propri pazienti. Si tratta di un ambito del tutto particolare, in cui sarebbe incauto avventurarsi senza le dovute competenze (io sono fortemente convinta del valore delle affermazioni di Jeammet relative allimportanza di una serie di interventi congiunti, ma distinti, per agevolare il percorso dei ragazzi e ritengo importante che il percorso educativo e quello terapeutico, pur nella profonda consonanza, mantengano ciascuno la propria specifica identit). E tuttavia possibile riscontrare come, a partire dalle teorizzazioni di Lowen, siano state sviluppate diverse e, alcune, decisamente valide, proposte di esercizi
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fisici semplici (Tronconi, 2009), da eseguire in gruppo, educatori e ragazzi insieme (cosa che rientrerebbe perfettamente nella usuale organizzazione dei pomeriggi vissuti in gruppo, che normalmente comprendono uno spazio per le attivit fisiche libere e/o organizzate) e volti proprio a recuperare un rapporto di confidenza col proprio corpo, e ad una riscoperta delle proprie potenzialit e di una propria insospettata forza. Sono convinta che la scoperta di poter fare affidamento su una forza veramente propria, vissuta e sentita nella globalit della propria persona, possa costituire un saldo trampolino da cui poter osare il tuffo in un nuovo possibile cammino da seguire. E anche molto bello, a mio avviso, poter pensare che proprio il corpo, fonte di tante angosce in adolescenza, possa trasformarsi, per un po di tempo durante il giorno in un luogo di serenit e che quel po di tempo possa allungarsi, gradualmente, pazientemente, fino a raggiungere una stabilit in cui, quello che prima era oggetto fobico non pi un oggetto e non pi fobico ma una persona, nella sua globalit, che vive la vita dispiegando in essa una gamma sempre pi ampia di facolt. Credo che, data comunque la non neutralit iniziale delloggetto, la spinosit dellargomento, laffrontarlo in gruppo possa essere importante. Per chi ha portato addosso unimmagine come unarmatura e si trova tutto irrigidito nei blocchi a lungo coltivati, il lasciarsi andare, il riscoprire il piacere di sentire e respirare, pu apparire unazione quasi sacrilega, indiscutibilmente pericolosa, decisamente colpevole. Poter vedere tutto questo inserito nel percorso di un gruppo, oggetto di investimento narcisistico, fonte di rassicurazione, luogo per eccellenza di sperimentazioni, penso possa aiutare a trovare laudacia per i primi passi, il desiderio di provare e di continuare, fino a trasformare, si spera, il senso di colpa per il tradimento dellimmagine (e di tutte le significative immagini
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conglobate in essa) nella rassicurante scoperta di un prezioso valore, ritrovato grazie alla propria perseveranza e al proprio impegno.

Col pensiero ad Erik Erikson


Mi sembra possa essere importante, a questo punto, affrontare un rapidissimo viaggio nelle teorizzazioni di Erik Erikson. Sono infatti convinta che esse possano costituire un prezioso bagaglio a cui leducatore pu attingere fruttuosamente, quando si trova impegnato a delineare la propria azione. Erikson viene a concettualizzare il ciclo di vita delluomo come una serie di periodi critici, caratterizzati ognuno da un conflitto, che deve essere risolto, perch si possa procedere in avanti. Per ogni stadio, la risoluzione del confronto tra le due opposte polarit, che ne caratterizzano il conflitto, non implica una drastica soluzione del tipo tutto/niente, ma piuttosto lo stabilirsi di un equilibrio tra i due poli che, quando adattivo, si trova ad essere spostato verso quello positivo, dato, questo, che pu essere considerato lindice migliore di un avvenuto reperimento, da parte del soggetto, di un proprio modo efficace di adattamento alla situazione. Questi gli stadi definiti da Erikson: 1o stadio: Fiducia vs. Sfiducia Speranza Si tratta della crisi di sviluppo che caratterizza la prima infanzia. In questo periodo la regolazione reciproca fra il neonato e chi si prende cura di lui d luogo alla possibilit che possano generarsi un senso di continuit interiore e un sentimento rudimentale di identit e di fiducia in s e nel partner. Risulta estremamente importante il fatto che possa essere raggiunto un equilibrio adattivo tra i due estremi, non rivelandosi positive, per la crescita, n la completa fiducia, n la totale sfiducia. E questo equilibrio adattivo, spostato
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verso il polo positivo, conduce alla speranza, elemento fondamentale per tutte quante le fasi della vita. 2o stadio: Autonomia vs. Vergogna Volont In corrispondenza con lo stadio anale di Freud, Erikson descrive il senso di autonomia come la fase in cui il bambino accresce la consapevolezza del proprio s, attraverso il controllo delle funzioni corporee e lespressione di competenze motorie e linguistiche. La risposta sociale ai suoi comportamenti pu incrementare in lui la fiducia nelle proprie capacit o un senso durevole di vergogna e di dubbio. 3o stadio: Iniziativa vs. Senso di colpa Intenzione Questo stadio viene a coincidere allincirca con la fase fallica di Freud. Secondo Erikson, in questo stadio, la capacit del soggetto di giocare assumendo ruoli diversi, dimostra che egli possiede la capacit di immaginare. Capacit che porta con s i germi delliniziativa nel tradurre i pensieri in azioni. Dalliniziativa si sviluppano sia il sentimento di intenzionalit, sia labilit ad elaborare fantasie e a sperimentare ruoli sociali e sessuali, elementi di importanza cruciale per ladolescenza e la vita successiva. 4o stadio: Industriosit vs. Inferiorit Competenza E noto che, secondo Freud, gli anni della scuola primaria corrispondono ad una canalizzazione dellattenzione verso lesterno. Erikson, a proposito di questo stadio, sottolinea la pratica ripetitiva delle competenze via via acquisite e la risoluzione di compiti che anticipano quanto sar richiesto dallassunzione dei ruoli adulti. I sentimenti di competenza e riuscita sono indicati come i risultati ottimali di tale fase.

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5o stadio: Identit vs. Confusione dei ruoli Fedelt e Impegno Erikson considera il processo di formazione dellidentit come il fenomeno pi significativo dellesistenza. La formazione dellidentit vista come un processo adolescenziale ben diverso dai processi di introiezione e identificazione infantili, perch solo quando il soggetto risulta in grado di selezionare, tra le sue identificazioni infantili, quelle che sono in accordo con i propri interessi, capacit e valori, che pu giungere a formarsi unidentit propria. 6o stadio: Intimit vs. Isolamento Grazie alla fedelt acquisita nella fase precedente, il soggetto a questo punto in grado, secondo Erikson, di impegnarsi in un rapporto intimo con unaltra persona, senza il timore di perdere qualcosa. 7o stadio: Generativit vs. Stagnazione Prendersi carico A questo punto del suo percorso il soggetto ha la possibilit di riuscire a situarsi nella societ nel senso pi pieno, prendendosi cura dei propri figli e preoccupandosi del contributo da offrire alla societ stessa e alle generazioni future. 8o stadio: Integrit dellIo vs. Disperazione Saggezza Secondo Erikson, lintegrit pu essere intesa come la capacit di accettazione piena del proprio ciclo di vita. Accettazione in base alla quale anche la morte perde la sua minacciosit. La vecchiaia contrassegnata dallintegrit porta con s la saggezza.

Come affermato, sono profondamente convinta del fatto che avere ben chiari i conflitti e le conquiste propri dei vari stadi possa costituire, per leducatore, un riferimento di grande utilit e valore dal momento che, secondo le indicazioni dello stesso Erikson, risulta della massima importanza non rinunciare mai ad un
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lavoro che cerchi di ridare un terreno pi solido a quelle competenze che non sono state ben consolidate durante il percorso, in modo da permettere allo sviluppo di andare incontro ad una ripresa e alla vita del soggetto di prendere un corso pi soddisfacente. Lavorando con gli adolescenti penso che possa risultare prezioso per tutti cercare di consolidare le conquiste degli stadi precedenti, che tendono ad essere messe in discussione dalle dinamiche proprie di questa fase di sviluppo. Per i ragazzi pi fragili il lavoro viene ad essere analogo, ma pi profondo, perch anzich consolidare si tratter quasi di fondare, alcune importanti conquiste. E cos penso che, per il ragazzo depresso, lincontro col gruppo possa costituire una importantissima occasione per poter arrivare, faticosamente, a sperimentare un rapporto di fiducia, un sostegno molto diverso dalla possibilit di un abbandono totale alla direzione da parte di altri da lui inizialmente cercato. Si tratter, in molti casi, di un processo niente affatto lineare, caratterizzato da avvicinamenti importanti, ma anche da momenti di allontanamento profondo, ritrosia e distacco tali da mettere a repentaglio la speranza di tutti anzich consolidarla. E anche per questo che il richiamo alla responsabilit, cos fortemente sottolineato da tutti gli autori incontrati, risulta cos fondamentale. Penso che se tutti, ciascuno secondo il proprio ruolo, sapranno assumersi la propria responsabilit e persistere, allora ci sar realmente una possibilit, per il cambiamento, di verificarsi. Allo stesso modo penso che il lavoro in gruppo sul corpo possa muoversi anchesso in direzione di speranza e volont e che il proseguimento del percorso di gruppo possa arrivare a toccare altre tappe importanti.

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Le neuroscienze sostengono Lowen

Vorrei aggiungere ancora alcune considerazioni. Il pensiero di Alexander Lowen stato accolto, per un certo tempo, con diffidenza. Le sue affermazioni relative agli effetti fisici delle esperienze negative e alle possibilit di recupero, legate proprio ad una rivalutazione del corpo, nonch i suoi discorsi sullimportanza della centratura, del trovare un punto di equilibrio nel proprio ventre, sono parse a lungo bizzarrie esotiche. Nella realt, per, gli sviluppi dei percorsi seguiti delle neuroscienze sembra vengano a dare ragione proprio a Lowen, a partire da tutta quellimportanza attribuita alla pancia. Un riferimento di grande rilevanza viene dato, ad esempio, dal neurobiologo Michael Gershon che intitola un suo importante testo Il secondo cervello (Gershon, 1998) e al primo impatto, pochi potrebbero pensare che si stia riferendo allintestino! Da lui vengono parole decisamente significative, dice infatti (Gershon, 1998):

Sappiamo che, per quanto il concetto possa apparire inadeguato, il sistema gastroenterico dotato di cervello. Lo sgradevole intestino pi intellettuale del cuore e potrebbe avere una capacit emozionale superiore.

Ci sono, sottolinea sempre Gershon, pi neuroni nel sistema intestinale che in tutto il resto del sistema nervoso periferico ed altrettanto importante ricordare che, nel sistema nervoso enterico, rappresentata ciascuna classe dei neurotrasmettitori che si trovano nel cervello, cos come stato riscontrato che il 95% della serotonina del corpo si produce nellintestino. Sono dati che non possono non far riflettere. Forse vale proprio la pena di sforzarsi di avere hara!
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Unaltra neuroscienziata, Candace Pert, contribuisce a delineare un quadro decisamente coerente con le affermazioni di Lowen. Candace Pert la ricercatrice che ha scoperto il recettore degli oppiodi e che, a partire da tale scoperta ha intrapreso una serie di importanti studi sui neuropeptidi e sulle modalit di comunicazione emozionale che possono avere luogo grazie a tali molecole e ai loro recettori, sparsi in tutto il corpo. La sua conclusione a dir poco interessante: In fatto di emozioni lassunto neurocentrico errato (Pert, 1997). E cio i suoi studi la portano ad affermare che, per quanto riguarda la trasmissione emozionale, pi importante del sistema sinaptico, tradizionalmente considerato come via principale di comunicazione, risulta essere quello pi antico e pi duttile legato ai neuropeptidi, che lei definisce Entit che si potrebbero chiamare le molecole dellemozione (Pert, 1997). La Pert ha riscontrato che il sistema limbico, il sistema che comprende le aree cerebrali classicamente deputate al controllo delle emozioni contiene l85% dei vari recettori per i neuropeptidi, che sabbero quindi fortemente implicati, assai pi della mediazione elettrica, nella trasmissione delle informazioni. E proprio grazie al lavoro di ricerca svolto sui neuropeptidi che la Pert pu dare una risposta decisa alla celebre disputa James-Cannon: le emozioni hanno origine nel corpo e poi vengono recepite dalla testa o il contrario? Lei sostiene (Pert, 1997) che si tratti, in realt, di un processo a doppio senso. Dato che viene ad essere confermato pienamente dagli studi sul biofeedback: ogni cambiamento nello stato fisiologico accompagnato da un cambiamento correlato nello stato mentale emotivo e viceversa ogni cambiamento nello stato mentale emotivo comporta un cambiamento fisiologico. E tale comunicazione a doppio senso , per la Pert, resa possibile proprio dai neuropeptidi, che viaggiano nei fluidi corporei andando a raggiungere i propri recettori specifici.
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In questo senso diventa possibile spiegare come, in seguito alla presenza di recettori per i neuropeptidi negli organi periferici, tanti traumi repressi a cui legata una sovrapproduzione di molecole di emozione possano restare immagazzinati in una parte del corpo, influenzandone la capacit percettiva e la possibilit di movimento, proprio come diceva Lowen. Penso che valga la pena di citare anche unaltra importante rilevazione della Pert (1997) e cio il fatto che moltissimi recettori di neuropeptidi si trovano nella radice dorsale del midollo spinale e in quasi tutte le sedi in cui entrano nel sistema nervoso informazioni provenienti da uno dei cinque sensi. Le informazioni sensoriali subiscono un processo di filtraggio, prima di raggiungere le zone riservate ai processi superiori di elaborazione e tale filtraggio determinato dalla quantit e dalla qualit dei recettori presenti, qualit e quantit che sono influenzate da molti fattori, fra i quali risultano di grande importanza le esperienze vissute in passato.

Ora che il corpo pi forte ripensare a Bruno Bettelheim


Limmagine di una corsa libera e gioiosa ha indirizzato la ricerca che ha condotto al prezioso incontro con Lowen. Penso che tale immagine possa avere ancora qualcosa da suggerire. Per arrivare alla fine della corsa quali ulteriori supporti possono essere di aiuto? Magari qualche suggerimento sul percorso, un po di tifo, e una cosa soprattutto: la possibilit di sentire che vale la pena di correre. Tutto questo mi ha fatto pensare a Bruno Bettelheim. Scrive infatti Bettelheim (1976):

Oggi come in passato il compito pi importante ed anche il pi difficile che si pone a chi alleva un bambino quello di aiutarlo a
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trovare un significato alla vita. Per arrivare a questo sono necessarie molte esperienze di crescita. Il bambino, man mano che cresce, deve arrivare gradualmente a capirsi meglio; in questo modo diventa maggiormente capace di comprendere le altre persone e alla fine pu entrare in rapporto con loro in modi che sono per entrambe le parti soddisfacenti e significativi. Per trovare il significato pi profondo bisogna diventare capaci di trascendere gli angusti confini di unesistenza egocentrica e credere di poter dare un importante contributo alla vita, se non subito almeno in un futuro pi o meno lontano. Questa sensazione necessaria perch una persona possa essere soddisfatta di s e di quanto sta facendo. Per non essere alla merc dei capricci della vita, bisogna sviluppare le proprie risorse interiori, in modo che le proprie emozioni, la propria immaginazione e il proprio intelletto si sostengano e si arricchiscano scambievolmente. I nostri sentimenti ci danno la forza di sviluppare la nostra razionalit.

Nel testo da cui queste parole sono tratte Bettelheim parla di bambini e di fiabe e certo pu suscitare un sorriso lidea di un educatore che legge sistematicamente le fiabe a un gruppo di adolescenti (anche se qualche piccola incursione nel mondo incantato sarebbe poi cos male?) tuttavia penso che nelle riflessioni di Bettelheim si possa trovare un riferimento molto solido, da cui muoversi poi alla ricerca di qualcosa che, mantenendosi in quello stesso spirito, possa risultare pi adatto ai ragazzi. Due ulteriori motivazioni mi hanno convinto del fatto che possa valere la pena di fermarsi a ragionare di fiabe, pur sapendo di doversi rapportare con degli adolescenti: la vicinanza delladolescente al bambino pi piccolo, riportata dal
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rimontare pulsionale e la considerazione che, per certi ragazzi pi fragili un certo tipo di sostegno, proprio sul taglio di quello fornito dalle fiabe possa assumere una valenza decisamente essenziale (pi potente di ogni logico discorso). Dato che la vita spesso sconcertante per lui, il bambino [] deve essere aiutato a trovare un senso coerente nel tumulto dei suoi sentimenti dice Bettelheim (1976). Non penso che si possa trovare frase pi adatta anche alla condizione adolescenziale. Come si visto anche nel II Capitolo, la nostra cultura presenta una forte reticenza ad affrontare tematiche intime, quei temi conflittuali profondi che segnano la vita di ognuno e a riflettere su certe peculiarit, anche negative, della nostra natura, di cui dobbiamo farci carico. Questi temi sono malamente o affatto affrontati dagli adulti e molti credono che sarebbe giusto presentare a bambini e ragazzi solo la realt conscia, con immagini piacevoli. Vengono per, in questo modo, ad essere sminuite, quasi che fossero problemi legati ad una incapacit individuale, proprio quelle violente lotte interiori che appartengono, invece, ad ogni processo di crescita, non a qualche persona disturbata e si lasciano bambini e ragazzi in balia di forze incomprensibili, deprivati di indicazioni e di senso.

Bettelheim (1976) ritiene che una opportunit di riuscire a sopperire a questa carenza possa essere offerta proprio dalle fiabe. Fiabe che sanno porci, con molta onest e con una modalit che sa risultare comprensibile a pi livelli, sia dalla mente del bambino che da quella delladulto, di fronte ai principali problemi umani. Se i profondi conflitti interiori, che traggono origine dai nostri impulsi primitivi e dalle nostre violente emozioni sono, come dalla maggior parte dei discorsi
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seri misconosciuti e negati, lindividuo si trova a sperimentare ansia, solitudine, odio senza che gli sia data la possibilit di raffigurarli e tantomeno di esprimerli a parole e rischia perci di restare prigioniero di misteriose paure o sintomi fisici (nella vita degli adolescenti si tratta di un rischio molto reale e presente). Le fiabe prendono invece molto sul serio le ansie e dilemmi esistenziali e comunicano, nel loro linguaggio fantastico, un messaggio realistico e sano: che uno scontro con le difficolt inevitabile, parte intrinseca dellesistenza umana e che a questo esiste una sola soluzione che consiste nellaffrontare la fatica, il rischio e la paura per superare gli ostacoli ed trovare la propria strada e la propria felicit. Le fiabe guardano al futuro e hanno la capacit di prendere per mano il soggetto, aiutandolo ad affrontare il percorso verso lindipendenza, senza privarlo, per, di una sensazione importante: quella di aver affrontato da solo, dopo aver pi volte ascoltato la storia e meditato su essa, una difficile situazione. Si tratta di un aiuto molto specifico: dice infatti Bettelheim (1976) In una fiaba i processi interiori sono esteriorizzati e diventano pi comprensibili. E unopportunit preziosissima che viene offerta ed proprio questo il motivo per cui, nella medicina ind tradizionale, veniva assegnata ad ogni individuo psichicamente disorientato una fiaba, che interpretava il suo particolare problema. Egli doveva farne loggetto della propria meditazione, perch si riteneva che questo potesse aiutarlo a visualizzare sia la natura delle sue difficolt, sia la possibilit di superarle. Si vedeva nella fiaba uno strumento grazie al quale il soggetto poteva riuscire non solo a liberarsi della propria angoscia, ma anche trovare se stesso, proprio come aveva fatto leroe della storia e proprio con quella sottolineatura importante di cui si parlava: il soggetto in difficolt non veniva ad essere diretto
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in base a soluzioni precostituite, consigli sul da farsi, ma poteva e doveva trovare le sue proprie soluzioni, meditando su quanto la storia sembrava implicare nei suoi riguardi in quel momento della sua vita. Nella sua straordinaria capacit di non essere prescrittiva, la fiaba riusciva e riesce a donarsi allascoltatore offrendogli tutta una ricchezza di materiale fantastico da cui poter percepire, in forma simbolica, in cosa consista la battaglia per lautorealizzazione. Da l, poi, la possibilit, per ognuno, della scelta di modalit di azione specifiche, col supporto di un altro potente sostegno: il lieto fine, che incoraggia e protegge rendendo possibile limpossibile, grazie alla speranza aperta. Perch infatti in virt di essa che le difficili lotte psicologiche, che non potrebbero essere affrontate senza una considerevole sicurezza interiore, sono accettate e vi si pu far fronte. Di fronte ad un rimontare dellinconscio mosso da certe problematiche critiche, lIo di ogni soggetto, in particolare di un soggetto giovane, rischia di restare travolto da quel contenuto caotico e deve riuscire a prenderne un minimo di distanza per riuscire a fare chiarezza. Molti giochi dei bambini assumono proprio questa funzione, di esternare per rendere visibile, ma ci sono tensioni interne cui n il bambino n ladolescente, da soli, riescono a dare una forma: allora fondamentale che siano offerte loro le immagini necessarie, a cui potersi appoggiare. Penso che si possa aggiungere unultima considerazione importante e cio che, quando fosse possibile riscontrare, nellambiente tutto, un atteggiamento di rispetto e riconoscimento nei confronti di queste immagini speciali, questo starebbe ad indicare un riconoscimento generale (che ancora purtroppo non c) dellimportanza delle esperienze interiori. Credo che ognuno, ad ogni et, potrebbe trovare, in questo, un elemento prezioso per la rivalutazione di s.
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Cinema come le fiabe


Trovo che moltissime delle considerazioni di Bettelheim, relative alle fiabe, possano essere trasposte ai film ed cos che la stanza delle proiezioni pu trasformarsi in un preziosissimo luogo di rielaborazione. E vale la pena di sottolineare il fatto che trovandosi a entrare nella stanza un gruppo, viene ad offrirsi proprio quella opportunit di valutazione comune e di confronto, che, come si diceva, pu risultare cos importante per approdare ad un pieno riconoscimento della ricchezza e complessit del mondo interiore, nonch della necessit, imprescindibile, di acquisire la capacit di porsi in autentico e costruttivo contatto con esso. Credo poi che, con gli adolescenti, sia possibile, ed anche molto bello, riuscire ad intraprendere un viaggio ulteriore, in grado di donare uno sguardo ancora pi profondo e consapevole su se stessi e sugli altri. Il confronto in gruppo, dopo la visione di un film, pu, infatti, condurre il gruppo stesso ad una constatazione allinizio piuttosto stupefacente (si tratta di una delle considerazioni pienamente valide anche per le fiabe e che, in questo contesto, si pu tentare di evidenziare pi esplicitamente, perch aspetto di grande importanza): ognuno ha visto un film un po (o molto) diverso. A partire dalle sorprendenti differenze, relative a ci che ciascuno ha colto e ricorda del film pu emergere unimmagine, come aiuto a comprendere: quella di un regista interiore che compie una selezione tra le rappresentazioni che giungono a ognuno e le monta secondo una propria logica. Una logica molto legata alle esperienze di vita di ciascuno (sono le stesse considerazioni della Pert, tradotte in forma di immagine), ma non si pu non rilevare che: tra i registi di certe persone esistono analogie. Ci sono modi di vedere le cose comuni a pi persone, modi che le accomunano e le rendono simili, pur nelle loro diversit. E tutto questo pu essere interpretato secondo un significato specifico: pu
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essere visto come un indicatore del fatto che esistono alcune modalit comuni secondo le quali la psiche pu dispiegare il proprio percorso. Vale cio a dire che il nostro inconscio, che raccoglie i segni della nostra storia specifica, viene ad incanalarli, per, secondo alcune modalit di visione determinate, che si sarebbero venute a delineare nel corso della storia dellumanit. Sono quelle che Jung definisce archetipi (Jung, 1935-54). Dice la psicologa Gioia Gabellieri Bargagli (2008):

Come il linguista Noam Chomsky suggerisce la presenza di un codice linguistico trasmesso geneticamente, che funziona come una matrice in grado di organizzare la lingua, perch non ritenere che linconscio collettivo, con i suoi archetipi, costituisca una matrice che organizza il comportamento emotivo di tutti gli esseri umani?

Lo trovo un paragone stimolante. Questo starebbe, anzi sta a significare che possibile sforzarsi di svelare lidentit del regista che dentro di noi (larchetipo che in un dato momento ci guida) e capire, dunque, quali sono gli occhiali attraverso cui guardiamo il mondo (e fare lo stesso con gli altri). Detto cos sembra piuttosto complicato, ma la Gabellieri Bargagli (2008) trova un modo molto diretto per aiutare a comprendere, un modo che penso possa coinvolgere profondamente anche in ragazzi. Individuati sei archetipi che possono caratterizzare la nostra vita (lInnocente, lOrfano, lAngelo custode, il Viandante, il Guerriero e il Mago), la studiosa li mette in relazione con i personaggi de Il Signore degli Anelli [che i ragazzi conoscono molto pi facilmente a partire dalla trilogia filmica (che pu essere molto bello riguardare insieme), piuttosto che dai racconti di Tolkien, rivelando ancora una volta limportanza di poter fare riferimento allo strumento filmico come valido ausilio] e d il via ad un affascinante viaggio di scoperta sulle
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orme dei personaggi. Essi, nella saga, compiono un unico viaggio, con la stessa meta, eppure il viaggio di ciascuno reso assolutamente particolare modalit di guardare il mondo. Lo stesso vale per la vita di ognuno. Pu essere molto emozionante avvicinarsi a questa comprensione: possiamo capirci meglio e, volendo, possiamo anche provare a cambiare sguardo. LInnocente Ne Il Signore degli Anelli lo Hobbit Pipino incarna perfettamente larchetipo dellInnocente. Egli vive in una sorta di Paradiso, la Contea, che lo protegge, provvede ai suoi bisogni e lo circonda di affetto e benevolenza, chiudendo un occhio sulle sue birichinate. Larchetipo delInnocente si pu vedere corrispondere ad uno stadio caratterizzato da grande ingenuit e dallassenza di responsabilit, tanto che lo stato di grazia che lo caratterizza risulta particolarmente difficile da abbandonare. Il regista interiore che agisce sotto linflusso dellInnocente, tende a prediligere una versione edulcorata della realt, per molti aspetti un po superficiale. LInnocente dipende in tutto e per tutto dalle cure che gli altri gli prestano e, in questo senso, non libero. Egli ha bisogno costante di aggregarsi a un gruppo o ad una persona che lo accudisca. LInnocente teme di abbandonare il suo Paradiso, il suo senso di sicurezza e protezione e la cosa pi importante che egli deve arrivare a comprendere e che chi gli sta accanto pu aiutarlo a capire, che lallontanamento un passaggio necessario, senza il quale non pu avere inizio la conoscenza di s e con essa la
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dalla sua specifica

libert. E importante comprendere, riflettendo insieme, che lInnocente non deve pensare allallontanamento dal Paradiso come a una perdita irreparabile: la consapevolezza di esso continuer a dargli forza anche quando sar lontano e fino allo speciale momento in cui potr ritornare a quella armonia, dotato per di una nuova consapevolezza di s. Pipino attraversa tutte le avventure della saga e, a poco a poco, cresce, fino a scoprirsi addirittura coraggioso e partecipe di quella missione, in cui si era trovato a capitare per caso. Le terribili vicende attraversate dalla Compagnia, lo maturano, ma non riescono (e questo un aspetto assolutamente fondamentale) a togliergli la sua freschezza e spontaneit. Nella scena del film in cui tutti i membri della Compagnia si inchinano ai quattro Hobbit, tutti dimostrano di comprendere appieno limportanza di riuscire a preservare proprio la purezza che gli Hobbit rappresentano, simbolo per tutti della salvezza. LOrfano Per chi conosca la saga de Il Signore degli Anelli, appare chiaro che larchetipo dellOrfano non pu essere impersonato che da Gollum, che manifesta pienamente tutta la collera, che la prima caratteristica di tale archetipo. Gollum non conserva quasi pi alcuna somiglianza con ci che era prima di quella caduta che lha repentinamente sottratto alla sua iniziale condizione di Innocente quando era uno Hobbit, Smeagol e giocava felice col suo migliore amico, in una condizione di perfetta beatitudine. E stato lincontro con lAnello a toccare in lui corde oscure e sconosciute (che, si pu sottolineare, lInnocente, nella sua spensieratezza, non aveva mai avuto
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modo di prendere in considerazione), spingendolo fino ad uccidere lamico per possedere lui solo il Tesoro e a trasformarsi in un essere dallaspetto orribile e in preda ad orribili emozioni. La violentissima e inattesa caduta ha sprofondato quello che era un Innocente in un Orfano, furioso e disperato, in preda ad una paura senza limiti. Tutto intorno a lui appare pericoloso e angosciante, il suo regista interiore seleziona solo immagini a tinte fosche e non sembra esserci pi posto per la bellezza n per la salvezza. Dopo lira furibonda lOrfano resta in preda ad uno sconfortante senso di impotenza: il mondo gli appare senza speranza ed egli sente di vivere solo per morire. LOrfano non riesce a porsi nessun obiettivo: un idealista deluso, un Innocente tradito (o, almeno, lui si vede cos). Sa di aver perso ogni sostegno e di essere alla deriva e sperimenta uno sgomento paralizzante. Tuttavia la paura pu non rivelarsi totalmente sterile: per vincerla lOrfano potr, alla fine, tentare di muoversi alla ricerca di un aiuto e questa sua richiesta assumer il significato di un primo segnale positivo, mostrando che riuscito a rinunciare, almeno in parte, alla vana protesta e si rassegnato alla necessit di guardare avanti a s e non solo alle spalle. E Frodo a rappresentare, per Gollum, questo aiuto, quando Gollum si affida a Frodo inizia a cambiare Smeagol, il suo antico s, riaffiora e discute animatamente con Gollum, tentando di convincerlo a non fare del male a Frodo e a fidarsi di lui. Limportanza di questo sostegno racchiusa nella possibilit di infondere in Gollum un seme di speranza, senza per che qualcuno si faccia carico completamente delle sue richieste. LOrfano dovr infatti imparare a non delegare sempre le responsabilit agli altri.
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Egli avr bisogno di essere ascoltato, perch lesternazione delle proprie sofferenze lo aiuta a prendere la distanza necessaria per osservarle in modo pi critico, ma nessuno dovr compiere lerrore di dirgli come comportarsi: la soluzione pu giungere soltanto da lui stesso. Chi lo aiuta avr il compito sostenere lOrfano nel cammino necessario per ritrovare quel frammento di Innocente che continua a vivere in lui e questo impegno potr procuragli, a volte, lodio dellOrfano stesso che, nei momenti in cui il mondo gli riesce intollerabile, vede nella luce degli occhi del suo sostegno (la Gabellieri Bargagli lo definisce Salvatore), qualcosa che gli sembra una menzogna inaccettabile e che, di conseguenza, va distrutta. Penso che sia possibile (e penso che lo sia anche per i ragazzi stessi) pecepire le molte analogie tra la situazione dell Orfano e la condizione adolescenziale (e quella del ragazzo depresso in particolare) e penso che la visione del film ed il commentarlo insieme possano offrire proprio quelle immagini di supporto, di cui parlava Bettelheim, necessarie per potersi confrontare col proprio mondo interiore. E anche importante vedere come a volte lOrfano possa camuffarsi. In alcuni casi, infatti, le sue azioni possono essere scambiate per sacrifici compiuti disinteressatamente da un Angelo, ma in realt, si tratta di modi usati dallOrfano per far sentire gli altri suoi debitori. Cos lOrfano pu anche fingere di essere un Guerriero, ma in realt prevale in lui il distruttore, o pu anche apparire un Viandante, ma in realt egli non in cerca di s, mosso piuttosto dalla sua perenne inquietudine. La figura dellOrfano costituisce una figura-ombra, con cui necessario che tutti gli altri personaggi della saga si confrontino. Per Sam, il servitore di Frodo, perfetto archetipo di Angelo custode, Gollum rappresenta il male assoluto, da battere a tutti i costi. Frodo invece, da Viandante qual , vede in Gollum, come suo zio Bilbo tanto
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tempo prima, una parte di s, quella pronta a mentire e tradire pur di avere lAnello. E Gandalf, il Mago a svelare limportanza della figura di Gollum: Gandalf spiega come fu proprio latto di clemenza di Bilbo, che non volle uccidere Gollum a permettere che, alla fine, potesse essere proprio Gollum stesso la figura guida in grado di dirigere Frodo e Sam attraverso territori impervi e desolati, da lui ben conosciuti, fino alla bocca del vulcano, dove poter distruggere lAnello. La piet di Bilbo rappresent e rappresenta, anche questo un dato essenziale su cui riflettere, la possibilit di accettare il lato oscuro del carattere umano. LAngelo custode

Sam, giardiniere di casa Baggins e poi fedele scudiero di Frodo rappresenta perfettamente larchetipo dellAngelo custode. Sam allinizio della saga ha in realt piuttosto le sembianze di Innocente, tutto dedito a godere della bellezza della vita nella Contea, e questa vicinanza tra i due archetipi non casuale: Innocente ed Angelo condividono infatti un profondo amore per lUniverso, che li accudisce e li protegge. Se per nellInnocente questo amore non prevede alcuna responsabilit, lAngelo sente invece profondamente lesigenza di ricambiare lamore ricevuto. Il suo regista interiore interpreta la vita come una missione in cui il bene deve trionfare sul male e gli fa capire che, perch ci avvenga, necessario tutto il suo impegno. Sam lotta dunque per portare a termine quella missione, che per lui significa la salvezza delle Terre di Mezzo e dellamata Contea, ma non si aspetta nulla in cambio, cos come non si aspetta nulla in cambio dei servizi resi a Frodo e si tiene sempre qualche passo dietro a lui, lasciandolo protagonista. Se lOrfano cerca un salvatore che si prenda cura del bambino spaventato che
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in lui, lAngelo vede il proprio bambino come un essere che deve imparare a non dipendere dagli altri per soddisfare i propri bisogni. Il grande dono dellarchetipo dellAngelo custode , infatti, proprio lindipendenza. LAngelo insegna al bambino a nutrirsi, a curarsi quando malato, a sottrarsi a situazioni poco chiare, a non sottostare acriticamente al volere di altri e a non vivere i sensi di colpa che qualcuno vuole ingenerare in lui. Per questo lAngelo custode cos bravo a prendersi cura degli altri: perch sa occuparsi di se stesso nel migliore dei modi. Il suo un amore sano: un rispetto assoluto per la vita in s ed in coloro di cui si prende cura.

Il Viandante E Frodo che rispecchia nel modo pi pieno larchetipo del Viandante. Il suo cammino rappresenta una progressiva spoliazione dal peso di quanto gli impedisce di entrare in contatto con la sua parte pi intima; un viaggio di ricerca di s che non lo porta a rinnegare ci che o da dove viene, ma a viverlo in modo pi consapevole. Il suo regista interiore interpreta il mondo in modo pi complesso rispetto allAngelo, che taglia drasticamente tra bene e male, il Viandante mette tutto continuamente in discussione. Egli ha compreso che non esiste un ununica interpretazione possibile dei fatti e cos monta e rimonta le immagini, arricchendole ogni volta dellesperienza maturata. Per trovare se stesso egli deve imparare a guardare il mondo con occhi nuovi e questo implica momenti di intensa e profondissima solitudine, a volte pesante da portare, come un macigno, a volte risonante di gioia, quando il Viandante scopre di stare bene in propria compagnia, di riuscire a trarre conforto e forza dal
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proprio interno. Il Viandante rappresenta larchetipo che consente di togliersi finalmente la maschera e si pu comprendere che, se non si riesce nel proprio percorso di Viandanti, non si potr mai raggiungere una adeguata conoscenza di s. E per questo che occorre osare ricercare anche se lOrfano che in ognuno tende a vedere il peregrinare del Viandante come un rischio spaventoso, lAngelo custode lo guarda come un atto di egoismo, dal momento che non contempla la presenza degli altri, e il Guerriero lo vede come una fuga ma si tratta di distorsioni: il cammino del Viandante davvero indispensabile.

Il Guerriero Aragorn, lerede di Isildur, destinato al trono di Re degli uomini, rappresenta larchetipo del Guerriero e ne mostra i livelli di evoluzione verso un progressivo aumento di consapevolezza. Inizialmente si ha infatti una situazione di semplice opposizione: da un lato c il Guerriero, il bene e dallaltra il nemico: il male. Il Guerriero si batte con furia per tutelare i propri diritti e affermare la propria personalit. Poi il raggio dazione si amplia e il Guerriero impara a battersi non pi solo per s, ma anche e soprattutto, in difesa dei diritti e desideri di coloro che ama, fino ad arrivare a farsi carico delle esigenze della comunit pi ampia. Accade proprio questo ad Aragorn che, gradualmente, prende coscienza della propria missione e se allinizio appare confuso, tanto che persino gli Hobbit dubitano di lui, man mano che la saga si dipana acquisisce una dedizione assoluta alla causa. Limportanza dellarchetipo del Guerriero risiede proprio nella capacit di proteggere (mentre lAngelo custode ha pi la funzione di prendersi cura). E un archetipo estremamente necessario per la comunit e si pu notare come tutti possiamo impersonarlo, quando ci battiamo coraggiosamente per un ideale
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(non necessariamente con la spada in mano!). Una considerazione bella e importante su cui vale la pena soffermarsi coi ragazzi il fatto che, sebbene in ogni dato momento, della vita ma anche di una singola giornata, un archetipo possa risultare dominante, pi archetipi possono in realt convivere contemporaneamente nello stesso soggetto. E per questo che si pu prendere in considerazione il dialogo del Guerriero con le altre figure: se infatti lInnocente che vive dentro il Guerriero sano egli ha chiaro cosa deve difendere. LInnocente in grado di trasmettere un forte senso di positivit e speranza e di motivare il Guerriero, che vede in lui la purezza danimo che va difesa sopra ogni cosa. LOrfano insegna invece al Guerriero a non abusare della propria forza e a non essere troppo duro nei confronti degli altri: Aragorn comprende infatti il ruolo di Gollum e non lo uccide. Quando poi il Guerriero opera al meglio, cio in maniera disinteressata, larchetipo dellAngelo custode che dirige il suo coraggio e che, allo stesso tempo, non gli permetter di combattere inutilmente, n di rischiare la morte senza una valida ragione. Anche il Viandante importante per il Guerriero: senza essere stato Viandante il Guerriero non conoscer infatti se stesso e non sapr essere un valido stratega. Non sapr capire limportanza del riuscire a trovare lumilt di ritirarsi, quando necessario, in attesa di un momento pi propizio, n del sapersi muovere in segretezza, anzich sempre tra grande scalpore. Quando alla fine il Guerriero raggiunge il livello pi elevato della consapevolezza, pi che battersi sceglie la compassione. Per diventare Mago gli rester da superare un ultimo ostacolo, la propria maggiore debolezza: il desiderio di essere sempre meglio degli altri, il pi forte, il pi coraggioso. Quando il Guerriero si rende conto di non dover dimostrare niente a nessuno, solo allora riesce a riconciliarsi pienamente col mondo.
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Il Mago Larmonia che caratterizza larchetipo del Mago, il suo essere in perfetto equilibrio con tutte le cose del creato, la sua grande saggezza, lo fanno immaginare come fortemente centrato nel proprio ventre (ritornano le riflessioni di Lowen), come se avesse potuto pienamente digerire e metabolizzare le complesse vicissitudini affrontate nella vita, approdando, grazie a questo, ad un altissimo grado di consapevolezza. E Gandalf, il grande vecchio de Il Signore degli Anelli a rappresentare larchetipo del Mago, cio di colui che non pi Guerriero perch ha deposto le armi e non pi preso nella contrapposizione tra bene e male, sapendo ricondurre ogni cosa allo scorrere della vita: il Mago, a differenza del Guerriero, non deve pi sconfiggere il proprio drago interiore, lo accetta come parte integrante di s. Nella sua visione del mondo ogni cosa necessaria e come tale va accettata e compresa. Lempatia che lo caratterizza gli permette di comprendere le emozioni e il dolore degli altri, nonch di aiutare la trasformazione anche delle loro sofferenze in qualcosa di positivo. Spesso il Mago ha affrontato prove durissime, come quando Gandalf viene trascinato negli inferi dal mostro che vive nelle viscere della montagna: i suoi compagni lo credono morto e piangono, ma Gandalf riesce a vincere la terribile creatura e a tornare ancora pi forte. La prova che ha affrontato rende la sua magia ancora pi potente, al punto che muta anche il suo nome: Gandalf il Grigio diventa Gandalf il Bianco. Il suo regista interiore gli fa sentire tutta limportanza del proprio compito e gli mette a disposizione ogni risorsa spirituale, per raggiungere quellarmonia che il fine di ogni esistenza.
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Ricucire miti per ritrovare il percorso


Penso che anche un avventura nel mondo del mito, cos come l incontro con gli archetipi, possa suscitare profonde risonanze e aiutare ciascuno a fare chiarezza sulla propria strada. Affascina il discorso di uno studioso di mitologia comparata, Joseph Campbell, che, a seguito di uno studio approfondito su centinaia di miti tribali e leggende di tutto il mondo, avanza linteressante idea (Campbell, 1988) dellesistenza di una sorta di trama-archetipo, un monomito comune a tutte le storie e le culture: quello del viaggio delleroe. Un viaggio alla scoperta di s che vale dunque per tutti gli uomini (e donne) del mondo e di cui risulta difficile, a questo punto, negare limportanza. Un viaggio per tappe, che risultano variabili, per tempi e modi, a seconda dei vari individui, ma che sono comunque tipiche e indicative. Perch non intraprendere anche questo viaggio insieme con i ragazzi e tentare di mettere un po a fuoco queste tappe attraverso letture e film?

Diario di un viaggio Cos possiamo tuffarci anche in questavventura e scoprire il nostro eroe, che vive nel mondo ordinario e che viene, ad un certo punto, chiamato: riceve un appello (ladolescenza non forse un appello?). La risposta a tale chiamata, vedremo, non risulter scontata: leroe pu decidere di ascoltarla, ma pu anche sottrarsi ad essa, non seguire la spinta al cambiamento implicita nella chiamata stessa. La paura dellignoto e del rischio sono infatti forti per tutti e leroe un uomo. Tuttavia non mancano esempi del fatto che ridurre i propri orizzonti non mai
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positivo, si tratta di una condanna allinfelicit per codardia e leroe per essere un uomo-eroe, dovr trovare il coraggio di rispondere, esercitando, proprio in questo atto, la sua prima mossa verso la libert. Ed cos che, se la risposta allappello sar positiva, vedremo leroe imboccare una nuova strada, lungo la quale dovr subito confrontarsi con un primo ostacolo, rappresentato simbolicamente dai guardiani della soglia (che altro non sono che le difficolt che bloccano, quando si decide di affrontare nuove esperienze di vita: problemi oggettivi legati al nuovo corso, parere contrario di amici e parenti, i propri pregiudizi e paure). E possibile raffigurarsi i guardiani della soglia come simili alle statue che si trovano allingresso dei templi giapponesi e che tengono una mano alzata, come a dissuadere il visitatore dallentrare, mentre con laltra invitano, al contrario a procedere, venendo a rappresentare concretamente un monito: solo chi si presenti dotato di forte determinazione riuscir a risolvere i dubbi e le contraddizioni e ce la far ad entrare. I guardiani sono in realt solo il primo di una lunga serie di ostacoli; dopo aver imboccato la strada verso il mondo straordinario, vedremo leroe affrontare una prova ancora pi difficile: cambiare profondamente. Egli dovr riuscire a guardare le cose senza preconcetti e a conservare in s i cambiamenti che la nuova visione produce. Si tratter di un passo assai duro, perch i vecchi schemi tendono a riprendere il proprio posto, cancellando presto le nuove acquisizioni. Ed per questo che sar necessario alleroe entrare nel ventre della balena, secondo unimmagine che Campbell (1988) rileva presente nei racconti mitologici di tutto il mondo. Vedremo che, secondo varie simbologie, leroe verr inghiottito e ritenuto morto. In questa fase egli si trover in contatto con le sue paure pi profonde ... il suo percorso sar verso linterno (della balena e di se stesso), per rinascere. Se i suo viaggio era iniziato con la domanda Chi sono? nel ventre della balena
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leroe apprender prima di tutto chi non , come avviene al Viandante nel corso del suo viaggio: nel percorso dovr infatti uccidere molti dei suoi stereotipi, per evitare di ripetere gli stessi errori allinfinito. Una tappa importante, sulla strada delle prove, sar poi lincontro con la Grande Madre, il cui archetipo raffigurato dagli albori della storia del mondo: dalle statuette dellera paleolitica alle dee della mitologia greca e romana, alle raffigurazioni delle divinit africane, orientali e precolombiane. Gli attributi della figura della Grande Madre possono essere sia positivi che negativi : la donna pu essere colei che d la vita, nutre, protegge e promuove la saggezza, ma anche colei che uccide e divora. Nel corso del viaggio, ogni eroe ed ogni eroina dovranno affrontare questo incontro e lo faranno con modalit diverse, in base al sesso. Per leroe i riti di iniziazione simboleggiano il passaggio dal seno femminile, una dimensione di nutrimento e cura, al fallo maschile che simboleggia let adulta e lautodeterminazione. Senza il distacco dalla madre non ci potr essere conquista dellindividualit, si tratta di una fase cruciale. Ma altrettanto cruciale sar la riconciliazione delleroe con la figura del padre, che spesso viene a rappresentare tutto ci che leroe rifiuta di s e proietta su quella figura. La riconciliazione corrisponder dunque ad unaccettazione del proprio lato in ombra, con cui leroe (e ciascuno, in realt) dovr imparare a convivere. Se il percorso, gli scontri, avranno permesso alleroe di trovare la sua verit e la saggezza, egli desiderer, poi, condividere la propria condizione con gli altri, rendendosi conto che solo questo potr dare alle sue scoperte un senso pi profondo. Ci sar, per, in lui anche la consapevolezza del fatto che difficilmente le sue parole saranno capite dagli altri, per cui anche il ritorno non sar facile. Si vedr
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che leroe sar comunque agevolato in questo da quella stessa societ che, pur senza capire bene, non sopporta chi resta ai margini e interverr per ricondurlo al suo interno. Nel muoversi verso il rientro leroe varcher unulteriore soglia di consapevolezza: si render conto, infatti, che non esiste, come credeva, una dicotomia tra quotidiano e straordinario, perch ora i suoi occhi sapranno vedere chiaramente che i due mondi sono in realt uno solo. Il viaggio delleroina Il viaggio delleroina permette di presentare ai ragazzi (ovviamente cercando forme per loro comprensibili) due concetti molto importanti: quelli di animus ed anima e cio quel tema della bisessualit, cos fortemente presente nei riti di iniziazione tribali. Lanima pu essere considerata la personificazione di tutte le tendenze femminili della psiche umana nelle loro valenze sia positive che negative: lincertezza e il dubbio cos come lapertura allaltro e la capacit di donare. Lanimus, al contrario, simboleggia le componenti maschili: la freddezza e la razionalit esasperata, ma anche la capacit di decisione e di riflessione. Anche il viaggio delleroina inizia con unInnocente, che deve rispondere ad un appello. Anche leroina, per essere tale, dovr lasciare la casa dei genitori e in questo distacco entrer in gioco la forza del legame con la madre. Leroina dovr rivisitare questo vincolo superando una serie di insidiosi ostacoli. Se non riuscir, infatti, a superare il complesso materno, finir per vedere il suo ruolo limitato soltanto alle funzioni di cura, e si precluder quelle opportunit che le permetterebbero di coltivare tutte le altre componenti presenti in lei, facendone un essere completo e solo in questo modo pienamente credibile ai
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propri occhi e a quelli di tutti gli altri. Anche unopposizione troppo netta al complesso materno non sar fonte di buoni frutti: si realizzer infatti soltanto un eros selvaggio semplice sintomo di ribellione (questo mi rimanda alle considerazioni di Peter Blos (1979) relative a tanti agiti adolescenziali femminili). La donna che non sapr superare le proprie dipendenze infantili, inoltre, non potr essere indipendente nemmeno nei legami successivi, finendo spesso per delegare al proprio compagno il ruolo di salvatore e cavaliere senza paura. Occorrer perci, per leroina, impegnarsi per superare, con azione coraggiosa, tre falsi miti: quello della propria dipendenza (ella potr con impegno e determinazione riuscire a dispiegare le proprie facolt e a reggersi sulle proprie gambe), quello della propria inferiorit (se sapr cercare scoprir di riuscire a stare bene con se stessa e ad apprezzare la vita) e quello dellamore romantico (in realt leroina non ha bisogno di essere salvata, un altro il suo ruolo in relazione al proprio compagno). Se riuscir nellimpresa del superamento dei falsi miti leroina potr sentirsi pi forte e arriver ad incontrare il proprio animus. Anche questo incontro, per, non scevro da rischi, ella potr infatti, inebriata dalla nuova forza, spingersi troppo avanti, arrivando a deprivarsi di una parte fondamentale di se stessa: quella costituita dalla tolleranza, dallintuito, dalla saggezza e dalla dolcezza e questo potrebbe finire per svuotarla. Sar cos che la Guerriera dovr abbassare le armi e, come Angelo custode, prendersi cura prima di tutto di s. Solo al termine di questo percorso leroina sar pronta per il matrimonio sacro: lunione tra due esseri che avranno ritrovato ciascuno la propria armonia. Penso che unappassionante ricerca condotta insieme, sulle sorti di eroi ed eroine possa aiutare ciascuno a ritrovare qualcosa di importante.
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Come affermato in precedenza, anche appoggiandosi alle riflessioni di Bettelheim, quasi tutto, nella nostra cultura, sembra apparire pi serio della vita interiore (salvo poi ritrovarsi sommersi da programmi spazzatura che certo non offrono una tematizzazione adeguata, ma che vengono ad essere gli unici in cui questa componente comunque ineludibile della soggettivit umana, pu trovare una modalit di espressione) e lunico modo efficace per superare il pregiudizio mi sembrata la possibilit di unimmersione viva e diretta nei conflitti del mondo ineriore. Inevitabilmente infatti, anzi naturalmente, solo il contatto diretto con le cose che ci permette di apprezzarne veramente il peso e il valore ed proprio il valore di questa parte di s che spero che i ragazzi possano ritrovare dialogando con i personaggi: penso che possa nascere, allora, il desiderio di navigare personalmente in questo mondo non pi alieno e, a questo punto, leducatore deve confrontarsi con una rilevazione importante: i ragazzi hanno poche parole per le emozioni.

Quando ci sono poche parole per dire le emozioni


Parlando di parole per le emozioni il riferimento corre al termine alessitimia [dal greco a-lexis-thymos e cio mancanza-(di)parole-(per l)emozione], coniato dallo psicologo Sifneos nel 1973, in seguito al lavoro da lui svolto con soggetti affetti da malattie psicosomatiche, nei quali risultavano riscontrabili una netta difficolt a mentalizzare i propri stati interni e la conseguente necessit di regolare le proprie emozioni attraverso atti impulsivi o comportamenti compulsivi (quali ad esempio labbuffarsi di cibo o labuso di sostanze), unite ad una scarsa capacit di provare emozioni positive, quali lamore e la gioia. Il riferimento all alessitimia viene ad essere, naturalmente, un riferimento piuttosto estremo, tuttavia ci sono delle innegabili vicinanze tra la situazione
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descritta da Sifneos e quanto ci si trova ad affrontare lavorando a fianco degli adolescenti vicinanze che stimolano ad intraprendere un percorso per cercare di capire di pi

Nella riflessione sullo sviluppo della capacit di regolazione emotiva, pu cos risultare utile il riferimento al pensiero di alcuni autori [come suggerito dal manuale di Caretti e La Barbera (Caretti-La Barbera 2005), che pu offrirsi come sostegno al tentativo di comprensione delleducatore il quale, nella piena consapevolezza della propria identit e del proprio ruolo, differenti da quello dello psicologo, cerchi comunque strumenti adeguati per avvicinarsi ai problemi]. Il primo rimando utile pu essere quello alle riflessioni di Krystal, autore che sottolinea come il bambino, di fronte alla consapevolezza di essere in relazione con un oggetto esterno in grado di migliorare affetti intollerabili, riesca a sviluppare la capacit di rivolgersi intenzionalmente ad esso, per ottenerne un aiuto, fino al momento in cui linterazione potr essere interiorizzata, culminando nella capacit di regolare i propri affetti. Il riferimento al pensiero di Bion, poi, permette di mettere ulteriormente in evidenza come lo sviluppo della mente del neonato sia profondamente legato alle interazioni con la mente della madre, o di chi si prende cura di lui. La mente della madre svolge per Bion la funzione di contenitore degli elementi intollerabili, che il bambino portato ad espellere, perch quegli stimoli spiacevoli (che sono per ladulto riconducibili ad un sistema di significati, che ne rende possibile uninterpretazione) necessitano per lui di unattribuzione di significato, fondamentale, ma che egli non pu effettuare da s. Sono lo sguardo, il sorriso e il tono della voce di chi si prende cura di lui che possono comunicare al bambino che chi lo accudisce sa cosa sta accadendo e ne tiene sotto controllo gli effetti, in modo che, quanto prima era stato espulso,
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possa acquisire letichetta di non pericoloso e risulti possibile una riassunzione in s dellesperienza, divenuta ormai tollerabile. Con la reiterazione prolungata di questi passaggi diventa, secondo Bion, possibile lintroiezione della capacit di contenimento stessa e lacquisizione di un proprio apparato per pensare i pensieri. Il riferimento a Winnicott arricchisce di ulteriori considerazioni preziose: egli sottolinea come la madre (o chi si prende cura del bambino) possa percepire empaticamente le esigenze del neonato e con la propria modalit di accudimento possa favorire lo sviluppo di un S psichico e somatico (un senso di esistenza nel proprio corpo), nonch condurre gradualmente il bambino ad una capacit di gestione autonoma, permettendogli di transitare attraverso una dipendenza emotiva da un oggetto speciale (pupazzo, pezzo di stoffa), utilizzato come supporto per la regolazione interna e nato proprio in quell area intermedia fondamentale, che fa da ponte tra lillusione di unicit con la madre e la consapevolezza della separazione da lei. Kohut, infine, introduce un concetto importante, sul filo di queste riflessioni, quello di oggetto-S, un oggetto del mondo esterno, percepito come parte del s e utilizzabile per la regolazione di funzioni psicologiche vitali come lautostima e il controllo emotivo. I primi oggetti-S sono, secondo lui, i genitori. Trovo possibile introdurre qui un riferimento a Lacan il quale, nel presentare la situazione del soggetto depresso, disperatamente impegnato nel tentativo impossibile di riuscire ad essere ci che colma le esigenze dellAltro per lui importante, sottolinea il valore aperto dalla possibilit di far scattare un passaggio intermedio verso il cambiamento: passaggio costituito proprio dalla possibilit di trovare un punto di riferimento diverso e pi in grado di sospingere il soggetto verso soluzioni pi adattive. Viene da pensare al ruolo di Frodo per Gollum, si potrebbe forse definire il Frodo del soggetto depresso come un nuovo oggetto-S.
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Penso che la possibilit di prendere in considerazione le modalit del dispiegarsi di un percorso evolutivo armonico, possa permettere di comprendere meglio inceppi e impasse delle situazioni caratterizzate da maggiore problematicit. Non per proporre soluzioni riparatorie impossibili e fuori tempo, ma semplicemente per pensare alla possibilit di offrire esperienze che possano fornire una base a cui lo sviluppo possa appoggiarsi, per riprendere un corso pi adattivo. Penso che, dopo le esperienze di riscoperta del corpo e di incontro ravvicinato , ma protetto col mondo interno, possa essere nato uno spazio in cui venire a collocare il desiderio di acquisire parole per esprimere quelle emozioni dalla ritrovata importanza, riuscendo a svincolarsi da generici Sto male, Sto bene . Penso che due elementi possano risultare importanti per il fiorire di questo desiderio: in primo luogo proprio quella ritrovata consapevolezza del valore del mondo interno (unita allo stimolo, che pu nascere dallincontro con film e racconti, a tentare esplorazioni pi approfondite e personali di quel mondo stesso), in secondo luogo la consapevolezza di non essere soli. Questa possibilit di reverie, cos fondamentale, emersa in tutta la sua importanza riflettendo sulla alessitimia, pu infatti essere offerta dal gruppo, che viene qui ad assumere il suo pi pieno valore. Il gruppo pu accogliere le espressioni di ognuno e accompagnarlo proprio in quel difficile percorso di rielaborazione rispetto a cui, fino ad ora, era stato abbandonato a s. E possibile fare riferimento a moltissimi giochi per imparare a dare un nome alle emozioni e a riconoscerne le espressioni facciali e corporee (Di Pietro 1997; Lo Presti, 2007). Ricordando anche che le parole sono soltanto una delle tante possibili forme espressive (anche se di enorme importanza, come si vedr pi avanti) e che
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ognuno deve essere libero di esprimersi nella forma che ritiene pi adeguata a s, in quel particolare momento della sua esistenza. E in questo senso che lespressione artistica in gruppo viene ad essere assunta nella sua valenza pi piena, non solo nellaccezione catartica pi immediata, ma in un pi sottile significato di presa di contatto e di dono, a s e agli altri, di un frammento di interno che, proprio perch adeguatamente accolto, pu dar luogo a molteplici elaborazioni fonte di forza per tutti.

Resilienza
Boris Cyrulnik, psichiatra e psicoanalista francese, ma soprattutto ex bambino orfano riuscito a superare brillantemente uninfanzia traumatica, inizia il suo libro intitolato Il coraggio di crescere (Cyrulnik, 2003) con alcune splendide pagine:

Nessuno avrebbe mai immaginato di avere davanti un fantasma. Era troppo bella, dolce e radiosa. E uno spettro non ha calore, come un telo, un lenzuolo freddo, unombra inquietante. Lei invece emanava una luce dorata. Avremmo dovuto insospettirci. Quale magico potere le permetteva di affascinare, ammaliare e infondere tanta felicit? Eravamo tutti vittime del suo incantesimo, non potevamo sospettare che fosse defunta da tempo. In realt, Marilyn Monroe non era proprio morta, lo era soltanto a tratti, talvolta un poco di pi. Il suo fascino, foriero di mirabili sensazioni, impediva di capire che non necessario morire per cessare di vivere. Marilyn Monroe aveva smesso di esistere sin dalla nascita. La madre, terribilmente infelice, esiliata dalla societ per aver messo al mondo un figlio illegittimo, era frastornata dal suo stesso dolore. Prima ancora di venire alla luce, la piccola Norma Jean Baker era gi fuori legge, condannata come tutti i neonati a vivere secondo le leggi inventate dagli uomini. E la madre non ebbe la forza di
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rassicurarla, tanto il suo mondo era intriso di melanconia. La futura Marilyn crebbe dunque in gelidi brefotrofi e in una sequela di famiglie affidatarie dove era difficile imparare ad amare. I bambini senza famiglia non valgono come gli altri. Abusarne sessualmente o socialmente non costituisce un reato grave, in quanto questi piccoli esseri abbandonati non sono veri bambini. O, almeno, alcuni lo pensano. Per riuscire a sopravvivere nonostante le aggressioni, la piccola Marilyn dovette mettersi a fantasticare, a nutrirsi del suo stesso dolore, prima di essere inghiottita dalla melanconia e dalla follia della madre. Affermava di essere la figlia di Clark Gable e di appartenere ad una famiglia reale. Per forza ... la piccola cercava di costruirsi una vaga identit, senza i suoi sogni folli sarebbe stata condannata a vivere in un mondo a tinte fosche. Quando la realt spenta, il delirio accende una scintilla di felicit. Norma Jean spos un campione di football americano per il quale cucinava ogni sera piatti di carote e piselli di cui amava tanto i colori. Frequent alcuni corsi di teatro a Manhattan e divenne lallieva prediletta di Lee Strasberg, incantato dalla sua grazia straordinaria. Aveva gi sfiorato spesso la morte ed erano necessari continui stimoli per strapparla alla non vita cui soleva abbandonarsi. Tendeva a lasciarsi prendere dal torpore, a non uscire pi dal letto e a trascurare la propria igiene. Un bacio di Arthur Miller, per il quale era diventata ebrea, di John Kennedy o Yves Montand sembrava rianimarla, restituirle calore e radiosit, ma era la luce di un fantasma. Eppure, lo diceva quando cantava Im Through With Love, sfavillante come una stella, ma ormai sul viale del suo intimo tramonto, sapeva che le restavano soltanto tre anni da vivere prima di offrirsi un ultimo dono: la morte. Marilyn non mai stata completamente viva per nessuno lo poteva sospettare tanto era ammaliante il suo meraviglioso fantasma. Lultima biografia di Hans Christian Andersen inizia con questa frase: La mia vita una bellissima fiaba ricca e felice. Bisogna sempre credere a quanto
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dicono gli autori. E lincipit di un libro sempre significativo. Il piccolo Hans Christian nacque nel 1805 in Danimarca. La madre veniva costretta a prostituirsi dalla propria madre, che la picchiava e le portava i clienti. La figlia era scappata, incinta di Hans Christian, e aveva sposato il signor Andersen. Era disposta a tutto pur di risparmiare al figlio un futuro di miseria. Trov un lavoro come lavandaia e il marito si arruol nellesercito napoleonico. La donna, alcolista e analfabeta, mor poi durante una crisi di delirium tremens, mentre il padre si diede la morte consumato da una grave forma di demenza .Il ragazzino fu dunque costretto a guadagnarsi da vivere, lavorando dapprima in una fabbrica di tessuti, e poi in un tabacchifici, dove le relazioni umane erano spesso violente. Eppure Hans Christian, nato in un mondo segnato da prostituzione, violenza, miseria e dalla follia e dalla morte dei genitori non risent mai di carenze affettive. Brutto e dolce e gentile come una bambina, crebbe nel desiderio della madre che voleva renderlo felice, poi nel nido della nonna paterna dove venne teneramente allevato anche grazie alle premure di una vicina che gli insegn a leggere. Inoltre, la comunit di cinquemila anime di Odense, sullisola verdeggiante di Fionia, aveva una forte tradizione narrativa. La poesia animava le occasioni di ritrovo in cui veniva recitata la saga islandese e venivano praticati i giochi degli Inuit groenlandesi. Lartigianato, le feste, le processioni rallegravano la vita di una comunit calorosa alla quale era bello appartenere. E facile immaginare che il piccolo Hans abbia inizialmente percepito il mondo come una sorta di ossimoro, dove due termini antitetici e dunque contrapposti finiscono per associarsi, come le volte di una cupola riescono a sostenerne la struttura in quanto costruite in contrapposizione. Uninsolita combinazione di parole che permette di associare senza contraddizioni concetti come oscura chiarezza o dolore meraviglioso. Il mondo del piccolo Andersen costretto a organizzarsi intorno a queste due forze, a liberarsi dalle sue fosche origini per vivere la chiarezza dellaffettivit e la strana bellezza dei racconti della sua
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cultura. Due mondi contrapposti uniti dallarte capace di tramutare la melma in poesia, la sofferenza in estasi, il brutto anatroccolo in cigno. Lossimoro domina il suo mondo di bambino e imprime una traccia profonda nella sua memoria interiore. La madre, che lo scaldava con la sua tenerezza, muore devastata dallalcool fra i rigurgiti del delirium. La nonna materna incarna il ruolo della strega, che non ha scrupolo a far prostituire la figlia. La nonna paterna invece impersona la fata buona che dona vita e felicit. Il piccolo Hans entra in contatto molto precocemente con la rappresentazione di un mondo femminile scisso, che lo render un uomo molto attratto e al contempo terrorizzato dalle donne. La sua infanzia contrassegnata da incessanti umiliazioni e sofferenze unite in uno stesso slancio ai piaceri quotidiani suscitati da incontri affettuosi e momenti culturali di grande meraviglia. Nonostante tutto, Hans riesce a sopportare le sue terribili origini e forse sono proprio le terrificanti esperienze infantili a mettere in luce la tenerezza per le donne e la bellezza dei racconti. Lossimoro che regge il suo mondo sar dunque destinato a caratterizzare la sua vita e le sue relazioni adulte. Nel cammino di una vita non esiste mai un unico problema da risolvere che dia senso allesistenza e imponga uno stile alle nostre relazioni. La disperazione del brutto anatroccolo era accompagnata da unimmensa ammirazione per i grandi cigni bianchi e animata dalla speranza di poter nuotare un giorno con loro e proteggere altri piccoli anatroccoli umani. Questo binomio di forze contrapposte spiega inoltre i suoi amori sfortunati. Hans, uccellino ferito per essere caduto troppo prematuramente dal nido, finisce per innamorarsi sempre di infide sciacquette. Il bambino ferito salvato dal fango dallattaccamento femminile attratto da qualsiasi donna. Ma la sacralizzazione del legame , la divinizzazione della figura femminile che tanto galvanizza le sue fantasticherie ne inibisce la sessualit. Hans osa amare soltanto da lontano. La trasformazione in cigno non stata gratuita e il prezzo della sua resilienza lo condanna a una solitudine che lui sa riempire con le sue
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creazioni letterarie. Hans Christian Andersen nato in un mondo segnato da esperienze molto penose. Come non preferire la morte a una vita simile? Tuttavia due scintille di resilienza riescono a ravvivare la sua anima: il legame con qualche donna che rafforza la sua autostima di bambino traumatizzato e un contesto culturale di strani racconti, dove la lingua delle paludi trae dalla nebbia gnomi, folletti, fate e streghe, elfi, guerrieri, sirene , fiammiferaie e brutti anatroccoli dedicati alla madre morta. Marilyn non ebbe la possibilit di conoscere il legame e il senso, due elementi imprescindibili per la resilienza. Senza legami e senza storia, com possibile diventare se stessi? Quando la piccola Norma venne messa in orfanatrofio nessuno avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe diventata la Marilyn mozzafiato che conosciamo. La carenza affettiva laveva trasformata in un pulcino spelacchiato, tremante, accartocciato su se stesso incapace di aprirsi al mondo e alle persone. I continui trasferimenti da una famiglia allaltra non avevano permesso di organizzare attorno alla bambina una permanenza affettiva che le avrebbe consentito di sentirsi amabile infatti, giunta alla pubert, si sarebbe lasciata prendere da chiunque la volesse []. E persino gli uomini che lhanno amata veramente non sono stati capaci di penetrare nel suo mondo psichico e aiutarla a compiere quel lavoro di storicizzazione che avrebbe dato un senso alla sua infanzia tormentata []. Nel corso della sua terribile infanzia il piccolo Hans stato pi fortunato e ha incontrato i due principali tutori di resilienza: donne che lhanno amato e uomini che hanno organizzato intorno a lui un ambiente culturale dove i racconti permettevano di trasformare i ranocchi in principi, il fango in oro, la sofferenza in opera darte []. La commovente Marilyn non tornata a vivere. Non riuscita a intessere la sua resilienza in quanto lambiente non le ha mai offerto stabilit affettiva e non lha aiutata a dare un senso alla sua lacerazione.
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Cyrulnik, anche in seguito alle esperienze dolorose della propria infanzia, si occupato a lungo di resilienza, termine che fa pensare ad un oggetto ed alla sua capacit di reagire ad un urto, ma che viene utilizzato, in psicologia, per riferirsi ad un trauma seguito da una certa ripresa evolutiva. Lanalisi di Cyrulnik (2003) parte dalla pi tenera infanzia (quando una carenza affettiva si trova a suscitare una mancanza, ma senza poter ancora richiamare un senso di perdita) per delineare quei fattori, particolarmente importanti, che possono contribuire a determinare un processo resiliente. Egli nota cos che quando il bambino subisce in qualche modo una deprivazione affettiva, in una et in cui non in grado di accedere alla rappresentazione, il suo mondo sensoriale che viene a trasformarsi, la realt divenendo evanescente come quella di Marilyn (e mi viene da fare un paragone con quella di tanti adolescenti in situazione di forte disagio). E proprio per questo che importante che lambiente si riorganizzi per fornire una prima indispensabile forma di sostegno: solide routines e vicinanza affettiva, le prime cose importanti da offrire, per poter creare una bolla sensoriale ben strutturata (Cyrulnik, 2003). E penso che, anche se con pi difficolt e molto pi tardi, sia per proprio questa la prima forma di sostegno che il gruppo educativo pu offrire al ragazzo, come del resto mette in luce anche Cyrulnik stesso, quando afferma che facilmente i soggetti resilienti sono coloro che hanno conosciuto la speranza, il sentimento di essere gi stati soccorsi in caso di difficolt e che tale sentimento pu nascere anche pi avanti, nel corso dello sviluppo, anche se con modalit inevitabilmente pi complesse. I primi tutori di resilienza indicati, definiti affettivi, dovranno poi essere adeguatamente affiancati, nel corso della crescita da tutori culturali e verbali, in modo che possa offrirsi lopportunit di riorganizzare nel modo pi ampio lespressione dellemozionalit, grazie allacquisizione di molteplici abilit: la
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possibilit di unazione coordinata, di unespressione comportamentale (esempio la danza) immaginativa, verbale. Cyrulnik mette in piena evidenza come, nellistaurarsi di un processo resiliente, risulti particolarmente importante la presenza di qualcuno profondamente interessato a condividere e capire, che sappia dare valore alle immagini positive rinvenibili nel mondo interno. (Per sottolineare limportanza delle immagini interne positive, Cyrulnik (2003) cita lesperienza di Thomas Platter. Piccolo orfano svizzero del 1500, Thomas viene affidato prima ad una zia, poi si ritrova a mendicare sulla strada. Conosce la fame, il freddo, la paura a diciotto anni non sa ancora leggere correttamente, ma un giorno la vista su un ponte di un gruppo di scolari in casacca bianca gli dona unondata di profonda felicit. Con frenesia da autodidatta si getta nellapprendimento, trova qualche aiuto, studia appassionatamente fino a diventare un erudito rettore della scuola della cattedrale di Bale. Uno dei suoi figli sar medico alla corte di Enrico IV, amico di Montaigne e celebre scrittore. Evidentemente lincontro sul ponte aveva riacceso un Thomas la luce di qualche immagine preziosa racchiusa nel suo intimo). Nellincontro con un adulto profondamente disposto a condividere, il racconto assume la coloritura di quellaccettazione, che agisce come unguento benefico. Il soggetto ferito sperimenta il desiderio di non esprimere solo un dolore selvaggio, che sprofonderebbe s e laltro nel baratro, ma di ricercare immagini e parole per un racconto che possa esprimere la sofferenza profonda in modo condivisibile e tollerabile: un racconto che proprio per questo si carica di un valore inestimabile, la possibilit di essere un dono, fatto allaltro, che rende pi forte il soggetto e laltro.
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Lesperienza di Thomas Platter dimostra che, spesso, i soggetti feriti vanno incontro a depressioni silenziose, in cui per vengono messi in atto anche meccanismi che possono rivelarsi preziosi: fantasticherie, intellettualizzazioni, sublimazioni e risulta nei fatti che, se tali soggetti hanno lopportunit di venire aiutati a utilizzare produttivamente ci che la loro sofferenza ha messo in atto, possono diventare resilienti. Questo aspetto risulta cos importante da portare Cyrulnik (2003) ad unaffermazione molto chiara: La maturit psichica il risultato di uno sviluppo tutorizzato. Lo trovo pienamente condivisibile: nessun soggetto pu fare tutto da solo. Vorrei citare a questo proposito il testo di due splendide canzoni interpretate dalla cantante Withney Houston:

The Greatest Love Of All I believe that children are our future Teach them well and let them lead the way Show them all the beauty they possess inside Give them a sense of pride to make it easier Let the children's laughter Remind us how we used to be Everybody's searching for a hero People need someone to look up to I never found anyone who fulfilled my needs A lonely place to be And so I learned to depend on me I decided long ago Never to walk in anyone's shadow If I fail if I succeed at least I'll live as I believe No matter what they take from me They can't take away my dignity Because the greatest love of all
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is happening to me I've found the greatest love of all inside of me The greatest love of all is easy to achieve Learning to love yourself It is the greatest love of all I believe that children are our future Teach them well and let them lead the way Show them all the beauty they possess inside Give them a sense of pride to make it easier Let the children's laughter Remind us how we used to be I decided long ago Never to walk in anyone's shadow If I fail if I succeed at least I'll live as I believe No matter what they take from me They can't take away my dignity Because the greatest love of all is happening to me I've found the greatest love of all inside of me The greatest love of all is easy to achieve Learning to love yourself It is the greatest love of all And if by chance that special place That you've been dreaming of Leads you to a lonely place Find your strength in love Find your strength in love

One Moment In Time Each day I live I want to be A day to give the best of me I'm only one but not alone My finest day is yet unknown
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I broke my heart for every gain To taste the sweet I faced the pain I rise and fall yet through it all This much remains I want One moment in time When I'm more than I thought I could be When all my dreams are a heartbeat away And the answers are all up to me Give me one moment in time When I'm racing with destiny Then in that one moment in time I will feel, I will feel eternity I've lived to be The very best I want it all No time for mess I've laid the plans Now lay the chance Here in my hands Give me One moment in time When I'm more than I thought I could be When all my dreams are a heartbeat away And the answers are all up to me Give me one moment in time When I'm racing with destiny Then in that one moment in time I will feel, I will feel eternity Oh you're a winner for a lifetime If you seize that one moment in time Make it shine Give me One moment in time When I'm more than I thought I could be When all my dreams are a heartbeat away And the answers are all up to me Give me one moment in time When I'm racing with destiny Then in that one moment in time I will be, I will be I will be free oh I will be, I will be free I will be, I will be free
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Trovo riscontrabili nella prima il dolore e il risentimento per un protendersi, una richiesta di aiuto non recepita che porta ad una soluzione orgogliosa ma non adattiva e nella seconda lespressione di quella ricerca di senso cos vitale che per nessuno pu ritrovare completamente da solo. Emerge dunque ancora pi forte limportanza della condivisione a proposito della quale Cyrurnik (2003) rimarca: Chi osasse descrivere le oscenit della realt senza trasformarle, sarebbe un autore indecente, un aggressore supplementare. Ma chi capace di trasfigurare una realt insopportabile dandole una forma comprensibile e condivisibile contribuisce a gestire la tragedia e cio il dolore proprio e altrui. Oltre al valore pienamente riconosciuto a tutte le espressioni artistiche, egli sottolinea con forza quello di una particolare forma espressiva: la scrittura. Essa infatti si presenta diversa dal dire perch permette unimmersione pi profonda nel proprio mondo interiore, dando il tempo di cercare le parole pi adeguate per dare forma ad un racconto a cui proprio la ricerca e lo sforzo conferiscono la preziosa caratteristica della condivisibilit che, come si detto, apre al dono. E alla risalita. Cyrulnik ha unincredibile capacit di portare esempi affascinanti, mi piace citarne ancora uno molto speciale. Dice infatti Cyrulnik (2003):

Nessuna finzione inventata dal nulla. Sono sempre frammenti di realt ad alimentare limmaginazione. Quando Joanne Rowling scrisse Harry Potter scelse di chiamare il suo migliore amico Weasley, nome che ha una vaga assonanza con la parola measly, che in inglese significa lamentoso come un bambino con il morbillo con una sola evocazione sonora, popola il mondo di Harry Potter di bambini poveri. Lautrice stessa ha fatto parte di un mondo in cui la realt era miserevole e dalla quale tentava di salvarsi immaginando rospi
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maestri di difesa contro le forze del male. A sei anni scrive la sua prima storia intitolata Coniglio per proteggere la sorellina dalle prove della vita. E, un volta cresciuta, quando la realt la aggredisce ancora decide di seguire il consiglio del suo maestro di difesa personale e scrive un libro di fantasia, Harry Potter. Ogni qualvolta Joanne ha dovuto affrontare un nuovo trauma la scrittura di Harry Potter cambiava direzione. Insomma lautrice scriveva una finzione finta tuttaltro che finta, che le permetteva di esprimere la metamorfosi del suo dolore attraverso un racconto magico, socialmente gradevole. Perch non parlarne con i ragazzi?

Quellimpresa cos impossibile SCRIVERE


Nella piena consapevolezza del valore cos fondamentale della scrittura, resta per un ostacolo non da poco che occorre considerare: i ragazzi sembrano separati dalla scrittura da una barriera insormontabile. Come affrontarla? Credo che sia una fortuna poter riandare, col pensiero, allesperienza di Elisabeth Bing. La Bing, scrittrice francese, si trova negli anni 70 a vivere unalquanto particolare esperienza di insegnamento in un istituto per ragazzi caratteriali e si trova a restare disarmata di fronte al loro silenzio, alla loro disperata impotenza di fronte alla pagina bianca su cui non riuscivano a scrivere. Mesi di tormento di fronte ai testi liberi, ai componimenti da svolgere.. mani che si contorcono, corpi contratti di fronte al vuoto della pagina, le storie scritte sui volti che non riescono a passare nella scrittura. Ad un certo punto, per, si fa strada in lei il ricordo di un certo odore di bucato (Bing, 1976) olezzante da un suo tema di bambina e violentemente censurato dalla sua insegnante perch non conforme ai canoni ufficiali della scrittura.
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La Bing comprende che la prima cosa da fare rassicurare i ragazzi del fatto che, senza curarsi di ortografia e grammatica, le parole scritte devono prima di tutto e soprattutto, essere da loro rivendicate come proprie: scrivere diventa (o ritorna finalmente) un problema di riappropriazione della fantasia e dei gesti. Lo scrivere non una cosa che passa direttamente dal cervello al foglio, invece una danza che si vive nel corpo, sotto limpulso dei sensi (Bing, 1976). Allo stesso tempo la Bing capisce che il suo primo ruolo quello di fornire un ascolto che dia la possibilit alle parole di germogliare (la vicinanza con Cyrulnik grandissima), per lottare poi insieme con i ragazzi per identificare le loro parole pi vere al di l di stereotipi banali e paralizzanti. Ricordo perfettamente tutto il piacere da me provato in qualit di partecipante ad un Laboratorio di tecniche di scrittura ispirato allesperienza della Bing. La deliziosa sorpresa dellincontro con me stessa grazie alla risposta a semplici consegne (scrivere ci che mi piace/non mi piace), lemozione di ascoltare in gruppo la lettura di brani bellissimi in grado di destare risonanze profonde da esprimere con passione sulla pagina. Perch non offrire ai ragazzi questi doni preziosi? E pensando a loro mi viene da immaginare anche la possibilit di un ascolto comune dei loro brani musicali preferiti dai quali partire alla ricerca delle proprie parole ed emozioni fino ad arrivare a vedere, nella pagina bianca uno spazio prezioso in cui dare voce alle vibrazioni profonde di ognuno per poterle ascoltare meglio.

Limportanza di saper ascoltare ed esprimere la propria voce: incontro con la musica nera americana
Ragazzi come alieni in una societ non pensata per loro ragazzi senza parole, ragazzi innamorati della musica nera americana. Perch non raccontare una storia vera?
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Quando i neri vennero in questo paese [gli Stati Uniti] erano africani, un popolo straniero. Le loro abitudini, i loro atteggiamenti, i loro desideri si riferivano ad un luogo differente, a un sistema di vita radicalmente diverso. Che funesto, incredibile e crudele destino per coloro che per primi furono portati qui! Non tanto per il mero fatto di essere venduti in schiavit - pratica in se stessa comune fra le trib dellAfrica occidentale - e neppure per il diverso sistema economico in cui questi schiavi avrebbero avuto una parte cos integrale []

Scriveva Melville Herskovits, nel 1941, e continuava dicendo: Laspetto pi crudele di questa particolare forma di schiavit fu un altro: fu lessere condotti in un paese con un tipo di cultura e societ in completa, assoluta antitesi con la propria concezione di vita sulla terra.

Gli africani portati come schiavi nel resto delle Americhe (Haiti, Cuba, Brasile) poterono mantenere molte antiche tradizioni intatte, ma negli Stati Uniti questo non fu possibile: se infatti in altri luoghi era comune che singole famiglie possedessero immensi latifondi in cui lavoravano decine, a volte centinaia di schiavi, continuando a tenere vivo, insieme, un pezzetto di Africa, negli Stati Uniti era assai pi usuale la presenza di piccoli coltivatori, che potevano permettersi soltanto un piccolissimo numero di schiavi. E nello stretto contatto quotidiano coi loro padroni, tali schiavi furono costretti ad abbandonare la maggior parte delle proprie tradizioni. Non si lasciarono sottrarre mai, per, il legame con la propria anima profonda che lasciarono sempre risuonare dAfrica. Abituati anche nelle terre dorigine a cantare lavorando, furono costretti a
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strappare via dai canti i riferimenti alle proprie divinit e religioni, ritenute barbare dai padroni e pericolose, perch capaci di suscitare nostalgie e fantasie di ribellione. E tuttavia lAfrica continu a restare presente nei ritmi del nuovi canti, in quellattenzione tipicamente africana al ritmo che traeva origine dallabitudine alluso dei tamburi per comunicare. Sui tamburi non veniva battuta una sorta di alfabeto Morse, ma si riproducevano foneticamente le parole e i tamburi continuarono a far sentire il loro suono nei ritmi e, quando il loro uso fu bandito, furono reinventati in forma di bacinelle capovolte su altre bacinelle piene dacqua e il loro suono rimase guida. Quando la cultura africana, intensamente religiosa, fu derubata delle sue divinit, non perse tuttavia la propria spiritualit e seppe trovare nuovi modi per esprimerla: le antiche divinit africane divennero The Holy Ghos e si guard con sicurezza alle forme di culto dei Cristiani battisti, profondamente intrise di emotivit e curiosamente legate alla sacralit dellacqua, simbolo di conversione e del battesimo di Ges nel Giordano, acqua profondamente sacra anche per gli africani per i quali gli spiriti dei fiumi erano tra tutte le divinit i pi potenti. Il cristianesimo si color di toni speciali e ritrov, per i neri, la sua pi antica tradizione biblica, si cantarono le lotte di un popolo oppresso e la sua sospirata Terra promessa: Palestina e Africa insieme. Si cant perch la tradizione africana diceva esattamente Lo spirito non discender senza canti e tutte le caratteristiche della musica nera furono portate nellincontro con linno bianco cristiano, che ne usc profondamente trasformato: lo spiritual fu la prima forma di musica indigena americana e produsse elementi poi utilizzati anche nella musica laica. Con la fine della schiavit la vita dei neri mut ancora profondamente: abituati da tempo a lavorare per un padrone, essi si trovarono liberi e senza lavoro. E furono costretti a spostarsi, di fattoria in fattoria, di citt in citt, di regione in regione le limitate alternative emotive e sociali del canto di lavoro non
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furono pi sufficienti ad esprimere la nuova complessit di vita e di emozioni. Cos i neri iniziarono a cantare nuovi canti, narrando di s con voce roca, delle proprie vicissitudini, amori e dolori, traendo da ci sostegno e coraggio e col tempo anche lavoro. Cantarono sempre di pi. Seppero far cantare anche le corde delle chitarre che divennero capaci di esprimersi quasi con voce umana, riproducendo persino le sue cacofonie, lontano da ogni tradizione classica. E persino quando si cominciarono a suonare gli ottoni per un blues e un jazz strumentali i musicisti continuarono a restare fedeli alla propria voce e la gridarono negli strumenti. Quegli schiavi neri dAmerica hanno saputo percorrere un lungo, lunghissimo cammino grazie anche al loro canto. Sono riusciti a dire molte cose in musica e parole al mondo intero. Hanno saputo ascoltare la propria voce profonda e lesito speciale di questo legame, che non si mai spezzato, stato cos meraviglioso da contagiare tutti.

Una storia assolutamente speciale


Penso che molto di quanto finora delineato si possa ritrovare, anche se secondo modalit talmente speciali da superare ogni teorizzazione, in una storia davvero straordinaria su cui mi sono soffermata spesso a meditare, con profonda ammirazione. Una storia talmente fantastica da sembrare una fiaba, ma assolutamente vera: quella di Miloud Oukili e dei ragazzi di Bucarest, presentata da Liana Mussoni (2003) in un libro prezioso, che ci porta al centro di una straordinaria avventura. Dice la Mussoni (2003):

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Miloud Oukili nasce a Parigi nel 1972, originario di Villiers sur Marne, sua madre bretone e suo padre algerino, ha una sorella gemella e un fratello. Debutta sulle passerelle come modello, grazie a un fisico prestante e a unaltezza da giocatore di pallacanestro. Ma i riflettori delle sfilate non lo conquistano e ben presto abbandona il mondo della moda per seguire la vocazione di clown. Si diploma alla scuola di arti circensi di Annie Fratellini e decide di esibirsi nei quattro angoli del mondo, mostrando per una predilezione per le zone da cui larte spesso sfugge: i sobborghi di Parigi, le bidonville messicane, gli angoli pi oscuri del Guatemala. Nel 1992 decide di andare a lavorare in Romania per lAssociazione Handicap International, come animatore in orfanatrofi, ospedali e centri per disabili. A Bucarest doveva fermarsi un mese, ma non pi ripartito. Nel 1996 costituisce la Fondazione Parada. Per il suo impegno a fianco dei ragazzi di Bucarest Miloud ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali tra cui in premio Unicef Dalla parte dei bambini nel 1999.

Quando Miloud arriva a Bucarest, nel 1992, ha 20 anni. Nella Romania che incontra, quella del dopo caduta di Ceausescu, la miseria dilaga e sono migliaia i bambini di strada, fuggiti dagli orfanatrofi, da famiglie violente o semplicemente abbandonati. Per loro aperta la strada della droga, della prostituzione, del traffico di organi. Miloud li conosce dopo i suoi spettacoli, li vede avvicinarsi incuriositi dai suoi arnesi e fa loro una proposta: insegner loro larte circense in cambio di lezioni di rumeno. Ma i bambini pongono una condizione ferma: perch possa esserci scambio Miloud deve essere uno di loro, vivere con loro. Ed cos che il clown Miloud si trova a scoprire il mondo delle fogne, le
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gallerie sotterranee della citt, ove corrono i tubi del riscaldamento grazie ai quali i ragazzi trovano un po di calore oltre a quello virtuale che traggono drogandosi con la polvere i colla, che li aiuta a vincere il freddo e la fame causando per, nel contempo, danni gravissimi al cuore, al cervello e di polmoni. Nelle condotte i ragazzi conducono una vita di branco, seguendo regole primitive. Miloud ascolta le loro storie e insieme vive sulla sua pelle lostilit della gente e lindifferenza delle istituzioni, che non ammettono neppure il fenomeno. Alla fine decide di restare a portare il suo aiuto insegnando la sua arte.

Se gli si domanda (Mussoni, 2003) che cosa ha fatto per i ragazzi di Bucarest lui risponde semplicemente che li ha ascoltati e ha dato loro fiducia attraverso il gioco del circo. E questo, in effetti vero. Ma forse si pu dire di pi rispetto alle sue modeste parole. Miloud stato in grado di aiutare i ragazzi a vivere il gruppo non pi come un branco, ma come una famiglia, basando fin dallinizio il rapporto sul rispetto reciproco (e, cosa di grande importanza, anche sul rispetto dei materiali utilizzati) e cercando di creare un ambiente aperto, con legami sani, sinceri e forti tra le persone, in una grande considerazione (che la sua stessa origine gli ha trasmesso) per il valore delle differenze. Dice infatti significativamente, nellintervista concessa alla Mussoni (2003):

Il contesto di vita di ogni uomo fondamentale nel determinarne la personalit. Se lambiente in cui vivi in grado di offrirti lopportunit di incontrare la diversit, questo fa crescere la tua sensibilit allargandoti la mente e dunque rendendoti pi libero, capace di metterti in discussione e di mettere in discussione la verit ufficiale.

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Egli inoltre stato in grado di indicare una strada per ritrovare dignit, attraverso lo sforzo e la fatica, fatica fisica del corpo, che lavora su di s, per riprendere fiducia nelle proprie capacit e per poter ricominciare a vivere. Ha detto chiaramente a ognuno di amare se stesso prendendosi cura del proprio corpo, fonte del nutrimento del pensiero e dellanima. E, dice la Mussoni (2003):

La cosa che pi mi ha colpito parlando con lui, il suo linguaggio cos affascinante, perch ricco di immagini concrete, vissute intensamente. [] Il pensiero stesso di Miloud un pensiero-corpo intriso di fisicit che sa carpire il significato profondo delle esperienze.

Con la vita di gruppo, il lavoro sul corpo e la possibilit di donare qualcosa di s agli altri grazie alla realizzazione degli spettacoli, Miloud ha dato ai ragazzi di Bucarest uno sguardo particolare sul mondo. Nellintervista (Mussoni, 2003) lui sa dirlo in modo semplice e straordinario:

Io sono partito dicendo: guarda io ti propongo una cosa che non conosci con tre palline diventi meraviglioso. Se con tre palline sei meraviglioso, lo sei anche senza palline. La pallina un oggetto materiale, ti serve inizialmente per acquisire labilit e la fiducia nelle tue possibilit, ma poi, se la lasci, ti accorgi di essere bello anche senza di lei [] Cos per il naso da clown, il naso unarma contro la paura che paralizza la volont di agire. Col tempo non si ha pi bisogno di un naso per sentirsi bene.

Io penso che per gli orfani di Bucarest Miloud non sia stato soltanto un
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salvatore, ma un Mago capace di trasformare il dolore con la forza della sua profonda armonia.

Patchwork
Si pu ancora aggiungere qualcosa di importante che inizialmente mi pareva un po arduo ma che forse, alla fine del percorso, si pu pensare di introdurre in un modo relativamente semplice e anche divertente. Un riferimento di matrice cognitivista. La psicoterapia di matrice cognitivista focalizza lattenzione sui pensieri e le convinzioni che sono legati ai nostri stati danimo, comportamenti, esperienze fisiche ed eventi della vita. Idea centrale che la nostra percezione di un evento possa influenzare enormemente le nostre fisiologiche) ad esso. Si vede cio un pensiero in relazione ad ogni stato danimo e comportamento. Due autori, Greenberger e Padesky (1995) portano un esempio carino: risposte emotive (nonch comportamentali e

Mi trovo ad una festa e mi presentano Alex. Mentre io gli parlo lui non mi guarda mai in faccia. Io posso pensare: Alex un maleducato e sentirmi irritato. Alex non mi trova interessante e sentirmi triste. Alex molto timido e sentirmi pieno di premura nei suoi confronti. E sottolineato da questo approccio come tutti noi, nel corso delle nostre giornate, tendiamo a comportarci, secondo abitudini sedimentate, cos come ci lasciamo dirigere da pensieri automatici e da nostre convinzioni profonde relative a noi stessi, alle altre persone e alla vita, convinzioni che abbiamo maturato nel corso della nostra personale storia.
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Non sempre, tuttavia, la nostra automatica (perch acquisita e consolidata nel tempo) modalit di pensiero ci porta ad affrontare le cose in un modo adeguato e, nella piena consapevolezza del fatto che non facile imporsi pensieri postivi, specie quando si in preda a forti emozioni negative, nonch del fatto che un pensiero positivo portato avanti ad oltranza pu anchesso condurre ad una non adeguata valutazione della situazione, sono da questo approccio messi in evidenza il valore e lutilit del poter arrivare a considerare i problemi secondo una pluralit di angolazioni (considerazioni peraltro conformi alle riflessioni dei molti autori citati nell ambito del percorso delineato) Ipersemplificando si pu dire che, un lavoro svolto secondo tipo di approccio mira a mettere il soggetto in grado di compiere una serie di valutazioni in relazione alle situazioni per lui critiche: - identificare la situazione (Con chi mi trovavo? Cosa stavo facendo? Dove?) - identificare il proprio stato danimo e darne una valutazione quantitativa - individuare i propri pensieri automatici scattati nella situazione specifica, sottolineando quello dominante - trovare elementi a conferma del proprio pensiero - trovare elementi in grado di disconfermarlo - considerare questi elementi in modo congiunto, per tentare di elaborare un pensiero pi equilibrato, tenendo presente anche il fatto che qualche informazione in pi, a volte pu servire a ribaltare di 180o una situazione. Questa modalit di lavoro viene proposta in direzione della messa in discussione sia dei pensieri automatici, che delle inferenze abituali e arbitrarie (i se allora di cui non cerchiamo conferma) che, a un livello ancor pi profondo, delle convinzioni pi radicate (le affermazioni di tipo assoluto su noi stessi, sugli altri, sulla vita), nel tentativo di muoversi verso una modalit pi realistica e adattiva di vedere le cose e condurre la propria vita.

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Nellapprezzare la validit, in particolare di certi passaggi (identificazione delle situazioni critiche, definizione precisa dei propri stati danimo) nel cammino verso una sempre maggiore consapevolezza di s ed ordine interno, mi sono per trovata a vedere il percorso proposto come un po troppo astratto e di difficile applicazione con i ragazzi . Penso che sia tuttavia possibile pensare ad una modalit per costruire ponti tra il percorso tracciato e alcuni di questi stimoli particolarmente interessanti. Ponti su cui far passare le acquisizioni raggiunte e i personaggi incontrati. Se sembra improbabile il proporre, nei momenti di maggiore tensione, una sosta per compilare quello che Greenberger e Padesky definiscono Registro del Pensiero (e cio uno schema comprensivo dei punti sopra indicati) tuttavia pensabile che il lavoro di introspezione e rafforzamento affrontato nel percorso possa rendere possibile, nei momenti meno caldi lanciarsi in Giochi di investigazione su noi stessi.

- Ciascuno con un proprio foglio - provare a pensare ad un episodio della settimana in cui ci si sentiti particolarmente male - dare un nome alle emozioni (come si imparato a fare giocando in gruppo) - provare a ritrovare i pensieri che turbinavano nella testa in quell occasione - e poi provare a pensare si tratta di pensieri da Innocente, Orfano, Angelo? - e indossare i panni del Viandante per mettere le cose in discussione, come solo lui sa fare, raccogliendo prove pro e contro certe valutazioni che sembravano cos incontestabili, trovando motivazioni per confutare alcune deduzioni forse un po troppo arbitrarie. Arrivando addirittura a vedere come alcune delle convinzioni assolute, di cui siamo stati, da sempre, profondamente certi possano essere giuste qualche volta, giuste non tante volte e persino un po sbagliate.
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Per arrivare a trovare una strada nostra, da veri Viandanti, sperando di riuscire a fare un altro passo in pi verso la possibilit di diventare Maghi.

Ancora un passo importante


Viene un momento in cui la dimensione gruppale sperimentata, che stata a lungo un riferimento di grande importanza, diventa (e deve diventare) stretta: i ragazzi devono potersi aprire ad una dimensione sociale pi ampia. Penso che sia importante che questo ingresso pi ufficiale e consapevole in societ possa avvenire secondo una modalit attiva e vivace, in grado di portare riconoscimenti al ragazzo anzich paura e passivit. Trovo che un esempio particolare e interessante in questa direzione possa essere offerto dallesperienza di Gancio originale, il gruppo di volontariato giovanile dellAUSL di Reggio Emilia (la mia citt). In questo ambito i ragazzi delle ultime classi degli istituti superiori, cresciuti in et e maturit, possono, con adesione volontaria, scegliere di dedicare alcune ore la settimana a fornire il proprio sostegno al percorso di ragazzi di pochi anni pi giovani, in situazione di disagio o di handicap. I ragazzi sono adeguatamente preparati potendo frequentare lezioni offerte secondo una logica di volontariato dai maggiori esperti della cura presenti in citt, sui temi pi caldi che si troveranno ad affrontare e potendo cimentarsi anche in un lavoro pratico in atelier per apprendere tecniche didattiche e modalit espressive spendibili poi con i bambini e ragazzi con cui si troveranno in contatto. E data lopportunit di sperimentare un ruolo diverso da quello di studenti, nellambito del quale poter realizzare cose apprezzate da tutti: dai ragazzi pi piccoli, dai coetanei e dagli adulti. Ritornando al gioco degli archetipi, si potrebbe dire che data lopportunit, dopo essere stati a lungo Viandanti (ruolo che peraltro non si dismette mai nella vita) di sperimentarsi anche come Angeli custodi e come Guerrieri, con gran
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beneficio per la comunit e anche per i volontari stessi, dal momento che lAngelo, nel prendersi cura degli altri, ha modo di imparare a prendersi ancor meglio cura anche di se stesso e il Guerriero di acquisire una sempre maggiore consapevolezza e forza interiore. Vorrei concludere con alcune parole che echeggiano spesso nella mia mente cantate da una delle pi strepitose voci del mondo, quella di Louis Armstrong:

I hear babies crying, I watch them grow They'll learn much more than I'll never know And I think to myself what a wonderful world Yes I think to myself what a wonderful world.

Io ci credo con tutte le mie forze.

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Conclusione
Il percorso di riflessione si mosso alla ricerca, in forte riferimento al pensiero di autori profondi e autorevoli, di unimmagine di uomo pi ariosa. Limmagine di un uomo dalla ritrovata capacit di movimento e di respiro, per il quale si possano aprire nuovi spazi di pensiero e di azione. Anche la lettura del fenomeno depressivo secondo linterpretazione forte e non certo conciliante di stampo lacaniano si pone secondo questa prospettiva: dare consapevolezza dei limiti in vista di spazi di libert. E a questa immagine decisamente pi aperta alla speranza, ma comunque non facile, con il carico di responsabilit che comporta, si pensa in relazione al cammino dei ragazzi che, come gli eroi del mito, rispondono alla loro prima grande chiamata, ma anche in relazione a quello degli adulti che si trovano a dover rispondere ad una propria specifica chiamata. Sono loro, infatti, i primi a cui spetta il compito, non facile, di reagire alla tristezza e che devono riuscire a comprendere il valore fondamentale che la propria risposta viene ad assumere per le generazioni pi giovani. Una risposta che per tutti, ma in modo particolare per chi intenda assumere in prima persona responsabilit educative non pu esimersi da un profondo impegno teso alla comprensione, perch non possibile ritrarsi dal ricercare, di fronte a situazioni complesse, una modalit di approccio altrettanto complessa e cio difficile e impegnativa, ma soprattutto multisfaccettata, poliedrica, ricca di una molteplicit di vie daccesso ai problemi. Un capire che richiama altro capire (proprio come il piacere nicciano chiama sempre altro piacere) nuovo movimento. Un movimento armonico, quasi di danza, in cui lo sforzo si veste di bellezza e riesce a condurre avanti, sempre pi avanti, in un luogo da cui poter guardare anche alla tristezza senza esserne risucchiati.
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