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Causa

ed evoluzione della crisi nanziaria Bisogna tornare al 2001 per trovare le cause della crisi che dal 2007 sta sconvolgendo leconomia mondiale. La poli;ca espansiva, monetaria ed economica, a=uata rispe>vamente dalla FED (riduzione del tasso di riferimento dal 6,5% all1,75%) e dal Congresso americano per contrastare il rischio di recessione legato alla tragedia dell11 se=embre risultarono allora molto ecaci, tanto che gi nel 2003 il prodo=o cresceva del 2,5%. S;molarono purtroppo anche gli appe;; della speculazione nanziaria, non contrastata a sucienza da una regolamentazione a maglie troppo larghe. La riduzione delle imposte per 70 miliardi di dollari nel 2001 e di altri 40 mld nel 2002, oltre ai provvedimen; a sostegno della difesa e della ricostruzione per circa 200 miliardi di dollari distribui; nel triennio 2001-2003 (in totale circa il 3% del PIL del 2001), inie=arono una massa considerevole di liquidit nel sistema, rilanciando consumi e produzione. I bassi tassi di interesse incen;varono gli inves;men; in abitazioni: alla ne del 2002 lo stock di mutui raggiungeva i 7.000 mld di dollari 67% del PIL) dei quali il 50% iscri> nel portafoglio delle agenzie federali specializzate nella cartolarizzazione di mutui ipotecari. Primario il ruolo nel se=ore della Fannie Mae e della Freddie Mac, societ a capitale privato quotate in borsa che per godevano di agevolazioni scali e non erano sogge=e al vincolo del coeciente patrimoniale minimo dell8% rispe=o alla>vo a rischio (a dierenza delle banche commerciali). La loro mission era quella di sviluppare e mantenere uido il mercato secondario dei mutui ipotecari. In ee> no ai primi anni 90 FMae e FMac si erano ee>vamente limitate a comprare stock di mutui ipotecari dagli intermediari al de=aglio per poi incorporarli in obbligazioni (MBS: Mortgage-backed Securi;es) assis;te dalla garanzia del rimborso (a sua volta fondata sulla garanzia ipotecaria), che cedevano sui principali merca; nanziari mondiali. Purtroppo dalla ne degli anni 90, cambiando completamente strategia - perch a=ra=e dai guadagni potenziali derivan; dalla con;nua crescita dei prezzi delle abitazioni e dalla probabilit sempre pi elevata di impossessarsi di immobili di valore ormai ne=amente superiore al costo sostenuto per lacquisto del nanziamento (molte famiglie avevano azzardato lacquisto di case per impor; superiori alla propria capacit di rimborso fenomeno dei c.d. subprime) -, avevano tra=enuto in portafoglio quote notevoli dei mutui acquista;, tanto che a ne 2001 lesposizione in bilancio e fuori bilancio(per le garanzie fornite sui mutui cartolarizza;) delle due agenzie federali ammontava a quasi 2.700 miliardi di dollari, mentre il loro patrimonio era pari appena all1,7% dellesposizione complessiva. Inoltre per coprirsi dal rischio di tasso insito nello sbilancio delle scadenze della>vo (mutui a lungo termine) rispe=o alle scadenze del passivo (obbligazioni e raccolta a breve termine), s;pulavano contra> deriva; (IRS) con operatori specializza;, in par;colare lAIG, per quasi 1.600 mld di dollari. Agli inizi del 2007 la bolla immobiliare scoppia. Il valore delle case, che dal 1997 era cresciuto annualmente a ritmi eleva; (+12% nel 2005), crolla (-10 % a ne anno, ma con;nuando la corsa ver;ginosa verso il basso). Mol; mutuatari marginali preferiscono abbandonare il bene che ha ormai un valore di mercato molto inferiore al debito residuo; le insolvenze si scaricano prima sulle due societ di cartolarizzazione e poi su tu=e le banche loro creditrici o partecipan; al loro capitale (Lehman Broters, Merrill Lynch, For;s HBOS, RBS, Hypo Real Estate, Dexia ecc. Si aggiunge lo stato di insolvenza dellAIG. Il contagio si dionde rapidamente a tu=e le piazze nanziarie, in par;colare colpisce i sistemi bancari e nanziari pi espos; verso gli Sta; Uni;, come la Gran Bretagna, la Germania, la Francia, lOlanda, il Giappone. LItalia uno dei paesi meno colpi; in questa prima fase della crisi e nessuna banca viene posta so=o controllo pubblico: il sostegno nanziario del governo alle banche, nel 2009, dell1,3% del PIL contro il 52% nel Regno Unito, il 32,2% in Spagna il 20,6% in, il 18,4% in Francia. La ragione va ricercata proprio nella bassa esposizione del sistema bancario italiano verso i paesi pi colpi; dalla turbolenza nanziaria e

nella pi rigorosa norma;va di vigilanza e di bilancio. Naturalmente, nessuno poteva sperare di uscire del tu=o indenne da un simile sconvolgimento dei merca;. Con il tasso di ducia tra gli operatori prossimo allo zero il sistema dei pagamen; si paralizza e con esso il sistema degli scambi commerciali. La crisi si trasferisce alleconomia reale. Nella seconda fase della crisi leconomia italiana risultata fra quelle pi colpite: il PIL diminuito nel 2009 del 5%, contro il 4,9 in Gran Bretagna, il 4,7 in Germania, il 2,5 in Francia,e il 3,7 in Spagna. Nel biennio 2008-2009 in Italia il prodo=o sceso del 6,5%, quasi la met di tu=a la crescita dei dieci anni preceden;. A dierenza degli altri paesi, lItalia non ha potuto ado=are misure di s;molo alleconomia a causa dellelevato debito pubblico. Ha solo potuto contenere limpa=o sulloccupazione (il tasso di disoccupazione rimasto so=o il 9%). Le imprese manifa=uriere, sopra=u=o quelle piccole e medie, sono rimaste schiacciate tra il crollo della domanda e linevitabile credit crunch seguto alle turbolenze nanziarie. Quello che preoccupa che mentre le misure an;recessive poste in campo hanno consen;to anche ai paesi pi colpi; dalla crisi nanziaria di far registrare una forte ripresa gi nel 2010, lItalia ha con;nuato a crescere ad un ritmo lento, troppo lento rispe=o agli altri compe2tors, col rischio sempre pi concreto di doversi rassegnare ad una progressiva marginalit (nel 1980 lItalia contribuiva con il 5% al prodo=o mondiale, nel 2010 la quota di partecipazione scesa al 2,4%). Nel 2010 abbiamo assis;to ad una nuova evoluzione della crisi, con lemergere della grave situazione della nanza pubblica della Grecia e il rapido contagio a gran parte del mercato del debito sovrano europeo alimentato da speculazioni nanziarie e verbali. Lo spread tra il tasso dei bond decennali tedeschi (oer; in qualche momento a circa il 2%) e quello registrato per la Grecia, ma anche per il Portogallo e lIrlanda, ha raggiunto livelli inusita;. Tensioni si sono registrate pure per Spagna e Italia, poi rientrate a seguito dellintervento tempes;vo della BCE e dellUnione, ciascuna per le proprie competenze . Va osservato che proprio in questa fase il debito italiano ha ricevuto una buona valutazione dal mercato, migliore rispe=o a quello spagnolo, e cos il tasso sui ;toli decennali rimasto nella fascia compresa tra il 4 e il 5%, usuale n dallingresso nellunione monetaria. Hanno inuito sulla valutazione del mercato: il basso livello del debito privato; la solidit del sistema bancario; lalto livello della ricchezza reale e nanziaria delle famiglie (8.600 mld di euro nel 2009; 8,2 volte il reddito lordo disponibile) (3 ); lampiezza e lar;colazione della sua industria manifa=uriera; il programma di stabilizzazione nanziaria approvato dal governo che prevede il rientro del decit ad un livello inferiore al 3% del PIL entro il 2012. Il punto che nora non si riesci; a o>mizzare ques; fa=ori di forza del sistema Italia a causa di carenze stru=urali denunciate da tempo e purtroppo ancora tu=e da risolvere. Nel 2006, e poi ancora nel 2009 e nel 2010, il Governatore della Banca dItalia, nelle sue Considerazioni Finali, ricordava che In Italia dalla met degli anni novanta il prodo9o o9enibile da unora di lavoro cresciuto assai meno che altrove: un punto percentuale in meno ogni anno, in media, rispe9o ai paesi dellOCSE. A causa del ritardo nelladeguamento della capacit teconologico-organizza2va delle imprese e del sistema, la produEvit totale dei fa9ori si rido9a, caso unico fra i paesi industrializza2...rimuovere gli ostacoli alla crescita delle imprese condizione necessaria per cogliere le occasioni oerte dalla globalizzazione dei merca2. Ma ha Individuato poi tu=a una serie gap stru=urali, sulla cui soluzione vi una sostanziale concordanza di tu=e le forze poli;che e sociali. In de=aglio: 1) la dicolt di fare impresa: in Italia la regolamentazione delle a>vit produ>ve eccessiva e di ca>va qualit. Dallindagine Doing Business con la quale la Banca Mondiale quan;ca gli oneri burocra;ci che le is;tuzioni nazionali impongono alle imprese risulta che lItalia si colloca al 70 posto della graduatoria mondiale (penul;ma della graduatoria OCSE). La situazione aggravata dalla lunghezza dei tempi della gius;zia. Quanto? Si consideri che se in Italia per la denizione d i un procedimento civile di primo grado nel 2006 occorrevano 480 giorni (360 nel Nord Est), ne bastavano 250 in Francia e Spagna e appena 157 in Germania; 2) la rido=a dimensione delle imprese, che non agevola gli inves;men; in ricerca e tecnologie e consente limitate economie di scala: nel 2007 soltanto 19% degli occupa; nel se=ore manifa=uriero operava in aziende con 250 o pi dipenden;, in Germania il 39,5%, in

Francia il 38,3%, in Polonia il 31%. Il 92,9% delle imprese impiega meno di 20 persone; tra i paesi OCSE una maggiore granularit del tessuto produ>vo la troviamo soltanto in Turchia, Rep. Ceca, Australia e Grecia. Complice la concentrazione della propriet e il controllo prevalentemente familiare; 3) il costo del lavoro, nega;vamente inuenzato dagli oneri scali e previdenziali e dalle rigidit norma;ve che ostacolano la diusione di schemi retribu;vi lega; alla produ>vit aziendale; 4) la rigidit nelle modalit di ingresso, nellu;lizzo delle risorse in azienda e nelle modalit di uscita, condizionate dai cos; e tempi di eventuali controversie giudiziarie. Sui contra> a;pici, valuta; posi;vamente, incombe per il rischio che possano diventare un surrogato dellordinaria essibilit dellimpiego, impedendo a mol2 giovani di pianicare il futuro essi riducono gli incen2vi dellimpresa a inves2re nella loro formazione, frenano la produEvit del sistema; 5) il livello eccessivo del cuneo scale: nel 2007 il prelievo stato del 45,4% del costo di un lavoratore dellindustria contro una media del 37,3% dei paesi OCSE; interven; sulla chiarezza della norma;va scale e delle sue modalit di applicazione, inoltre, ridurrebbero il contenzioso e garan;rebbero alle imprese un quadro pi certo entro cui operare. 6) linnovazione e gli inves;men; in ricerca e tecnologia, per cambiare il modo di operare delle imprese: nel 2008 lItalia ha inves;to in R&S l1,18% delPIL, Israele il 4,86, la Svezia il 3,49, il Giappone il 3,44, gli USA il 2,77, la Francia il 2,02, la Germania il 2,53; la media OCSE stata del 2,28%); 7) la carenza di capitale umano: tra i 20 e i 30 anni il tasso di occupazione italiano inferiore di 10 pun; rispe=o alla media dellUE; uno spreco del segmento pi vitale della popolazione. Inoltre, dalla periodica indagine dellOCSE emerge che in Italia, nel 2007, soltanto il 38,7% della popolazione nella fascia di et tra 25 e 64 anni in possesso di un diploma di istruzione secondaria e il 13,8% laureato. Le corrisponden; medie OCSE sono pari al 43,2% e al 27,4%. De=e quote sono del 60,1% e del 24,3% in Germania, del 59,6 e 22,2% in Slovenia, del 67,6 e 18,7% in Polonia. Purtroppo anche so=o il prolo qualita;vo dellistruzione perdiamo nel confronto con i paesi europei pi sviluppa;, e non solo. Lindagine PISA dellOCSE, nelle tre edizioni del 2000, 2003 e 2006, ha evidenziato che soltanto una piccola percentuale del campione di studen; italiani coinvol; nei test raggiunge il livello top performing. Pi precisamente, nellul;ma rilevazione, il 4.6% nella science scale; il 5,2% nella reading scale; il 6,2% nella mathema;cs scale; l1,3% nellinsieme combinato delle prove: le medie OCSE sono: 9,0 8,6 13,4 e 4,1% ; per la Slovenia: 12,9 9,0 11,1 e 4,9%. Insomma, le sde che questul;ma crisi ci propone, e gli sconvolgimen; recen; del Nord Africa e del Giappone rendono pi pressan;, sono tante e impegna;ve. A ben guardare ognuno pu trovare unarea di elezione nella quale impegnarsi per rimuovere (o provare a indirizzare le scelte di chi ha la potest di rimuovere) gli ostacoli che impediscono al nostro paese di tornare a crescere in misura adeguata e a sostenere le legi>me aspe=a;ve sopra=u=o delle nuove generazioni. In fondo i grandi cambiamen; avvengono con il contributo di tu>, con un cambiamento culturale,si suole dire, e non per lazione isolata di pochi che temporaneamente detengono il potere. Quando agire? Parafrasando la giovane economista Dambisa Moyo il momento migliore per agire ventanni fa. Il secondo momento migliore adesso. _________________________

nel 2007 i credi- consolida- delle nostre banche verso quelle statunitensi erano pari al 3% del PIL contro il 61%
dellOlanda, il 44% della G.B., il 37% del Belgio, il 31% dellIrlanda, il 26% della Germania (fonte:B.I.S.)

oltre agli interven- immedia- in favore della Grecia e dellIrlanda, sono sta- cos-tui- vari organismi di ges-one delle
crisi, tra i quali lEuropean Financial Stabiliza-on Mechanism con una dotazione iniziale di 500 mld di euro.

alla ne del 2009 la ricchezza lorda delle famiglie italiane s-mabile in circa 9.448 miliardi di euro, quella neXa a 8.600
miliardi, corrisponden- a circa 350 mila euro in media per famiglia. Le aYvit reali rappresentavano il 62,3 per cento della ricchezza lorda, le aYvit nanziarie il 37,7 per cento. Le passivit nanziarie, pari a 860 miliardi di euro, rappresentavano il 9,1 per cento delle aYvit complessive. La ricchezza neXa stata pari a 8,2 volte il reddito disponibile lordo, valore, in aumento rispeXo agli anni pi recen- (era 6 nel 1995, 7 nel 1999, 8 nel 2007 e 7,8 nel 2008;

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