E. PAOLO LAMANNA
PIETRO PIOVANI
IV
NORBERTO BOBBIO
Da Hobbes
a Marx
Saggi di storia dela flosofa
MORANO EDITORE
PAG.
Prefazione 5
I. Legge naturale e legge civile nella flosofa poli tica
di Hobbe s . . . 11
II. Hobbe s e il giusna turali smo . 51
,liii. Studi l okiani
IV. Leibniz e Pufendorf
V. Kant e l e due libert .
VI. Studi hegeliani . . .
VII. La dialettica in Mar x .
Nota
Indice dei nomi
75
129
147
165
239
266
267
l
.
PROPRIET LETTERARIA RISERVATA
COPYRIGHT 1965 M
Casa edi trice A. Morano
Piazza S. Domenico Maggiore 9, Napoli
|
l
r1
Prefazione
Devo a Paolo E. Lamanna e a Pietro Piovani l'idea di questa
raccolta di saggi di storia della flosofa, scritti in diversi tempi
e sparsi in diverse riviste, e, di rincalzo - le idee, anche pi
ardite, non si muovono da sole -, l'oferta di ospitar/i nella
promettente giovane collana di un vecchio editore.
Ho spesso vagheggiato raccolte di miei saggi, raggruppati
secondo la materia. Ma non avevo mai pensato di mettere in
sieme un gruppo di saggi di storia della flosofa perch la mia atti
vit di storica stata discontinua e poco sistematica. Ho afrontato
spesso temi di flosofa contemporanea, da Croce a Gramsci, da
Heidegger a Sartre, da Pareto a Kelsen, ma non con l'animo dello
storico, s, con quello del sostenitore di un certo indirizzo di
pensiero e del divulgatore di una certa politica culturale. Non
ho mai compiuto di proposito studi di storia della flosofa se
non per i corsi universitari, avendo ormai da tempo eletto la
regola di alternare, ogni anno, un corso storico a un corso teo
rico. I pochi saggi di argomento storico, pubblicati in questi
anni, sono talora l'imbastitura, talora un ritaglio delle mie lezioni.
I due studi hobbesiani con cui ha inizio la presente raccolta
ebbero origine da due corsi, tenuti rispettivamente all'Universit
di Padova nel 1947 e in quella di Torino nel 1962. La rassegna
di studi lockiani, che segue come terzo saggio, rappresenta, per
cos dire, i lavori preparatori di un corso su Locke, svolto nel
5
1963-64 a Torino. Il tema leibniziano, cui dedicato il quarto
saggio, nacque da un corso sul giusnaturalismo nel secolo deci
mottavo, col quale terminai i miei anni di insegnamento pado
vano (1947-1948), e da riflessioni anche pi antiche sull'opera
del Punfendorf, di cui avevo curato, qualche anno prima, un
testo per la scuola. Dalla revisione, da me condotta insieme con
Luigi Firpo, degli scritti politici di Kant, tradotti da Gioele
Solari e pubblicati nel 1956, mi venne l'idea di un corso sulla
flosofa politica di Kant, che svolsi nel 1957: il quinto saggio
ne una specie di residuo o di appendice. Non ho mai svolto
un corso su Hegel: mi son sempre mancate le forze e l'ardimento
per un simile compito. Ma la rassegna di studi hegeliani, che
segue come sesto saggio, era stata concepita come una rac
colta di materiale per un corso sulla flosofa del diritto di Hegel,
che avrebbe dovuto seguire cronologicamente e logicamente i
due corsi sul giusnaturalismo del secolo XVII e del secolo XVIII,
gi ricordati. Abbandonato quell'anno il progetto che le prime
letture, di cui rimasta testimonianza nella rassegna qui pubbli
cata, mi fecero apparire immaturo, l'occasione non si pi pre
sentata, anche perch nel 1950, scendendo dalle vette perenne
mente avvolte dalle nubi in pi praticabile e, almeno per me
pi abitabile, altipiano, e convinto sempre pi che la filosofia
non fosse occupazione da giorni feriali (le pagine finali della
rassegna hegeliana recano le tracce di questa convinzione), ho
cominciato a coltivare prevalentemente studi di teoria generale
del diritto. L'unico contributo che esce fuori dal quadro quello
sulla dialettica in Marx: in realt esso si ricollega piuttosto agli
scritti di flosofa contemporanea, in particolare a un saggio sulla
dialettica in Gramsci, di cui stato, nello stesso tempo, spunto
e conferma. L'ho inserito qui perch serve a chiudere il ciclo
degli studi storici e ad aprire quello sugli studi sulla flosofa
contemporanea, di cui seguir forse un giorno o l'altro analoga
raccolta.
In scritti nati da varie occasioni e sollecitazioni intellettuali
come questi vano sforzarsi di rintracciare un flone di ricerche,
e tanto meno di presentare artifciosamente una veduta d'insieme.
Pu essere utile, se mai, un avvertimento perch il lettore non
cerchi nella raccolta quel che non c': nello studio degli autori
. del passato non sono mai stato particolarmente attratto dal
6
k
\
miraggio del cosiddetto inquadramento storico, che inalza le
fonti a precedenti, le occasioni a condizioni, si difonde talora
nei particolari sino a perdere di vista il tutto: mi sono dedicato,
invece, con particolare interesse alla enucleazione di temi fon
damentali, al chiarimento dei concetti, all'analisi degli argomenti,
alla ricostruzione del sistema. Se manca un flone, campeggiano
per, in questo saggio, due temi: il giusnaturalismo e lo stori
cismo dialettico, le due grandi concezioni mondane della storia,
che si sono succedute e contrapposte nella flosofa degli ultimi
secoli e hanno esercitato nelle loro posizioni pi conseguenti
- Locke, Marx - la funzione di ideologie-guide dei due eventi
decisivi della moderna storia europea, la rivoluzione francese e
la rivoluzione russa.
Prescindendo da questa funzione ideologica mi interessano
entrambe, teoreticamente, soprattutto come flosofe della storia,
cio come tentativi di fissare le leggi o la legge dello svolgimento
della storia, del sorgere e del procedere delle istituzioni, del
passaggio dall'uno all'altro stato dell'umano incivilimento. I n
quanto flosofe della storia, se pur l'una inconsapevole, l'altra
tutta spiegata, non sono cos lontane l'una dall'altra come l'uni
laterale insistenza sull'aspetto ideologico e sull'esito politico ha
sempre indotto a ritenere.
In primo luogo il giusnaturalismo - parlo s'intende sem
pre del giusnaturalismo moderno che nasce con Hobbes -
cerca di spiegare il sorgere della vita sociale attraverso l'antitesi
stato di natura - stato civile, antitesi che gi, se pur in forma
rozza, l'intuizione originaria ai una concezione dialettica della
storia, che risolve il processo storico, e quindi trova la salvezza
dell'uomo, al di fuori di ogni intervento divino, nella fonda
zione dello stato, in un'innovazione o rinnovamento nella sfera
tutta umana delle leggi che governano la vita sociale. Solo che in
Hobbes il ritmo dell'afermazione e della negazione diadico
e come tale non consente progresso, essendo la storia concepita
come una serie infinita e monotona di ascese e di ricadute. Il
ritmo triadico gi si intravvede in Locke, ove lo stato civile non
la soppressione pura e semplice dello stato di natura, ma un
felice, se pure instabile, compromesso tra stato di natura ideale
e stato di natura reale. Si aferma in Rousseau che scandisce il
ritmo della vicenda della salvezza dell'uomo nei tre momenti
7
della natura incorrotta, della civilt corruttrice e dello stato che
restituisce all'uomo, paradossalmente, la libert perduta attra
verso l'obbedienza pi assoluta al corpo civile. Diventa la gloria
di Hegel e la fortuna di Marx. Mentre lo studio del giusnatu
ralismo, specie di Hobbes e di Locke, consente di vedere nella
contrapposizione tra leggi naturali e leggi positive la prefgurazione
della concezione dialettica della storia, lo studio della concezione
dialettica della storia induce a cogliere nella contrapposizione tra
societ civile e stato i segni della dissoluzione e trasformazione
della tradizione giusnaturalistica.
In secondo luogo, tanto per i giusnaturalisti come per Hegel
il momento positivo del progresso storico lo stato: la storia
umana procede verso il meglio passando dalla societ naturale
alla societ civile; l'umano incivilimento termina nello stato. In
queste concezioni mondane della storia, ove la storia creazione
dell'uomo, l'uomo o si salva nello stato o non si salva afatto;
lo stato la sede, l'unica sede, dell'umana redenzione. Come
mezzo di liberazione e di riscatto, la politica destinata a sosti
tuire la religione. Lo stato libera l'uomo dal terrore primitivo
della crudele e incessante lotta per l'esistenza (Hobbes); compie
una radicale trasmutazione dell'uomo sostituendo nella sua con
dotta la giustizia all'istinto, e attribuendo alle sue azioni la mora
lit che loro prima mancava (Rousseau); esso soltanto d all'in
dividuo singolo oggettivit, verit ed eticit (Hegel). Non
solo per Hobbes, ma per tutta la grande tradizione giusnaturali
stica sino a Hegel, valgono le celebri parole del De Cive: Fuori
dello stato il dominio delle passioni... Nello stato il do
minio della ragione . . . (X, l). Dopo H e gel, a cominciare da
Marx, l'idea del progresso attraverso lo stato decade. Le cor
renti vive del pensiero politico ottocentesco - dal socia
lismo utopistico a quello scientifco, dall'anarchismo al libera
lismo spenceriano, dal darwinismo sociale al vitalismo nietzschia
no - considerano lo stato come la continuazione sott'altra forma,
e talora la sublimazione, della lotta ferina rivelata dallo stato di
natura: nello stato la violenza non soppressa ma soltanto trasfor
mata nella perpetua soprafazione dei forti sui deboli, dei vinci
tori sui vinti, dei goveranti sui governati. Lo stato un regime
di violenza e di terrore non meno dello stato di natura. Se l'uomo
vorr salvarsi, dovr riformare, dis!rtggere lo stato. Da momento
8
`t
positivo del ptogresso storico lo stato diventa momento negativo;
e lo stato di natura ideale, che era apparso un punto di partenza,
diventa il punto di arrivo.
, A mettere in crisi il mito dello stato contribuiscono le illu
sioni suscitate dall'estensione del metodo delle scie me naturali e
sperimentali allo studio dei fenomeni sociali, lo straordinario
sviluppo e l'incontrastato successo delle scienze economiche e so
ciali, in concomitanza con la nascita e la crescita della societ in
dustriale. La dissoluzione del mito dello stato coincide con la f11e
della flosofa della storia , cio con quella serie di tentativi di
interpretazione globale e di giustifcazione razionale della storia
che vanno da Hobbes a Marx.
I. Legge naturale e legge civile
nella flosofa politica di Hobhes
l. Thomas Hobbes appartiene, di fatto, alla storia del
diritto naturale: non vi trattazione intorno alla storia del
pensiero giuridico e politico che non menzioni ed esamini la
sua flosofa, come una delle espressioni tipiche della corrente
giusnaturalistica. D'altra parte, Hobbes appartiene, di diritto,
alla storia del positivismo giuridico: la sua concezione della
legge e dello stato un'anticipazione, davvero sorprendente,
delle teorie positivistiche del secolo scorso, nelle quali cul
mina la tendenza antigiusnaturalistica iniziata dallo storicismo
romantico. Quando si parla, ad esempio, di Austin, si soliti
ricordare che ha avuto un precursore ( isolato ) in Hobbes .
Giusnaturalismo e positivismo sono due correnti antitetiche,
perennemente in polemica: l'una rappresenta la negazione del
l 'altra. Com' possibile che Hobbes appartenga, contempo
raneamente, a tutte e due? Se hanno ragione gli storici del
diritto naturale nell'annoverare l'autore del Leviathan, in
sieme con Grazio, Spinoza, Pufendorf, tra i quattro grandi
' Le citazioni delle opere di Hobbes si riferiscono alle seguenti
edizioni : per il De Cive (cit. come C.) all'edizione italiana, a cura di
NoRBERTO BoBBIO, nella collana ^ Classici politici diretta da L. FIR
PO: THOMAS HoBBES, Opere politiche, l, Torino, U.T.E.T. _ 1959;
per gli Elements of Law Natura! and Politic (cit. come El.) all'edizione
curata da FERDINAND TNNIES, Cambridge University Press, 1928; per
il Leviathan (cit. come Lev.) all'edizione a cura di MrcHAEL 0AKE
SHOTT, Oxford, Blackwell, 1951.
1 1
giusnaturalisti del Seicento, come pu la teoria politica hobbe
siana essere assunta a modello storico per quegli accaniti
avversari del diritto naturale che sono stati i fondatori del
positivismo giuridico, la cui fortuna dura ininterrottamente
ormai da quasi un secolo, tra i giuristi? E se, invece, hann
ragione i positivisti, non venuta l'ora di rivedere lo schema
tradizionale delle storie del diritto naturale ed espungere il
nome di Thomas Hobbes?
Che la storia del pensiero giusnaturalistica moderno abbia
bisogno di una profonda revisione, cosa ormai nota: basta
pensare al lavoro esegetico che si venuto compiendo in
questi anni su Grazio, da un lato, e sul diritto naturale della
riforma cattolica, dall'altro, al fne di mettere in rilievo i
legami con la tradizione del primo e l'infusso sulle scuole
posteriori del secondo, s che si viene scolorendo l'immagine
di un Grazio innovatore c precursore, qual era stata fssata
dai suoi stessi seguaci Pufendorf e Thomasius, e poi per lunga
serie di meccaniche ripetizioni fedelmente e ostinatamente
riprodotta. Ma il problema esegetico hobbesiano non sol
tanto o forse non afatto un problema di critica storica.
Hobbes appartiene realmente al movimento giusnaturalistica
ed realmente iniziatore del positivismo giuridico. Il para
dosso hobbesiano - se permesso usare ancora questa pa
rola ormai un po' consumata dagli storici ad efetto
genuino. Si tratta, per comprenderlo, di entrare paziente
mente con analisi minuziose nel vasto e apparentemente soli
dissimo sistema, osservarne attentamente le pi delicate giun
tue, saggiarne i punti di sostegno, metterne a nudo le esi
genze che hanno contribuito a formarlo in quella guisa. Ora
tra i problemi fondamentali che permettono, a mio giudizio,
d
.
i tocca
to, bensl
che cosa si debba intendere per furto, e cosi per tutto tl resto .
29
dal momento che, oltretutto, vi implicita una critica, forse
non del tutto cosciente, dell'inutile genericit delle presunte
leggi naturali. In un primo tempo sembrava che si fosse limi
tato a dire: le leggi naturali ci sono, ma non sono obbligatorie.
Ora la sua svalutazione si spinge assai pi in l: le leggi
naturali ci sono, ma sono tanto indeterminate da essere inap
plicabili. Con la prima afermazione le leggi naturali erano
soltanto inefcaci, con la seconda son diventate anche per
fettamente inutili. Dire, infatti, che la legge civile che deve
determinare ci che furto, omicidio, adulterio, signifca dire
che la legge civile determina da s stessa - e non trae dalla
legge naturale - il proprio contenuto. E non vi esempio
pi calzante che quello addotto dallo stesso Hobbes : Gli
Spartani, un tempo, permettendo ai ragazzi per legge di
impadronirsi dei beni altrui, avevano determinato che questi
beni non erano pi altrui, ma propriet dei ragazzi che riu
scivano a prenderseli, perci queste sottrazioni non erano
furti ( p. 273 ) . Che cosa dimostra questo esempio se non
che soltanto il potere civile determina - senza dipendere
da nessuna legge superiore - ci che lecito e ci che
illecito? una posizione cotesta che potrebbe essere piena
mente sottoscritta dal teorico pi rigoroso del positivismo
giuridico contemporaneo, Hans Kelsen, per il quale non vi
una materia precostituita alla legge positiva, ma qualunque
comportamento pu esser proibito o autorizzato purch ci
avvenga nelle forme stabilite.
8. S'intende che se da un lato bisogna andar cauti nel
l'ammettere nel sistema hobbesiano una breccia aperta verso
le leggi naturali, dall'altro sembra che ci si debba guardare
dal ridurre il suo sistema troppo semplicisticamente e con
un anticipo di qualche secolo a sistema rigorosamente positi
vistico. Mette conto di fare su questo punto ancora alcune
considerazioni. La tesi che abbiamo riportata nel paragrafo
precedente si trova soltanto nel De Cive; nell'opera mag
giore, non solo tale tesi espunta, ma alla legge naturale
30
indubbiamente concesso maggior posto e, anche se non
si pu parlare di mutamento di rotta, si deve riconoscere
una maggiore condiscendenza verso le tesi giusnaturalistiche
tradizionali. Vi una questione, infatti, che nel Leviathan
acquista particolare rilievo e in cui il problema dei rapporti
tra legge naturale e legge positiva si presenta in tutta la sua
gravit: la questione delle lacune dell'ordinamento giuridico.
Un positivista schietto ha su questo problema, com'
noto, la sua soluzione gi pronta: la lacuna dell'ordinamento
giuridico deve venir colmata senza che si esca dal sistema
giuridico positivo, onde i metodi da seguire sono quelli ben
noti dell'analogia e del ricorso ai principi generali del diritto
vigente ( metodo cosiddetto dell'autointegrazione ) . Tale solu
zione non si afaccia minimamente allo Hobbes, n poteva
afacciarglisi proprio perch egli, pur essendo positivista per
l'esito cui mirava, era stato giusnaturalista per il fondamento
su cui aveva poggiato il suo sistema, proprio perch, preci
siamo, la diferenza fondamentale tra lui e un positivista del
secolo scorso sta nel fatto che per un positivista del secolo
scorso il sistema giuridico positivo autosufciente, per Hob
bes il sistema giuridico positivo trova la ragione della propria
legittimit in un ordine naturale ( o di ragione) preesistente.
Questo ordine naturale ( o di ragione ) preesistente, che stato
sinora, come abbiamo visto, compresso, riemerge necessaria
mente nel caso in > cui l'ordine positivo venga meno. Ci
accade appunto nel caso delle lacune. indubitabile per
Hobbes che nelle materie non previste dall'ordinamento posi
tivo, il giudice debba ricorrere per la soluzione del caso alla
legge naturale20 Da questa afermazione si ricava un'ulteriore
conseguenza, chiaramente espressa soltanto nel Leviathan:
l leggi naturali sono obbligatorie ovunque tacciono le leggi
positive.
Questo secondo. punto importante perch serve, a mio
2
Si veda El., p. 1 51 ; C., p. 276; Lev., p. 183.
31
giudizio, a mettere in rilievo con la massima chiarezza la
diferenza tra una teoria giuridica rigorosamente positivistica
e la teoria hobbesiana che rappresenta il massimo sforzo di
ridurre i diritto a diritto positivo, compiuto in un ambiente
culturale in cui l'esistenza e la validit della legge naturale non
erano mai state contestate. Per un positivista, l dove non
giunge la legge positiva ( o quel prolungamento di essa che si
pu ottenere mediante i processi di autointegrazione), vi il
cosiddetto spazio giuridico vuoto, vale a dire una sfera pi
o meno ampia di libert di fatto. Per Hobbes, invece, l
dove non giunge la legge positiva, vigono le leggi naturali,
ovvero vi uno spazio giuridicamente riempito da norme di
ordine diverso da quelle positive. A questa conseguenza
Hobbes giunge coerentemente attraverso l'operazione, gi
commentata, di recezione delle leggi naturali da parte dell'or
dinamento positivo. Si visto infatti che funzione dell'ordi
namento positivo di rendere valide le leggi naturali. Ora
comprendiamo meglio che cosa ci signifchi. Signifca che
le leggi naturali obbligano, di obbligo esterno e non soltanto
interno, esclusivamente nell'ambito di un ordinamento posi
tivo costituito, ossia obbligano soltanto coloro che in seguito
al patto sono diventati membri di uno stato. In altre parole:
le leggi naturali non obbligano nello stato di natura, perch
non possono essere seguite senza riceverne un danno; obbli
gano, invece, nello stato civile, perch il sovrano tenuto
nel caso di violazione a farle eseguire.
Che questo sia il pensiero di Hobbes, si pu ricavare da
alcuni passi del Leviathan che non hanno riscontro nelle
opere precedenti, e che rappresentano, a mio avviso, non
tanto una resipiscenza, quanto piuttosto una piena presa di
coscienza dei fondamenti stessi del sistema. A proposito del
principio che la legge deve essere fatta conoscere per essere
obbligatoria, Hobbes precisa che vi sono leggi che non hanno
bisogno di nessuna pubblicazione o proclamazione e ciono
nostante obbligano tutti i sudditi senza ecezione e queste
32
+
sono le leggi naturali E ancora: L'ignoranza della legge
di natura non scusa l'uomo, poich si suppone c
h
e ogni uomo
che abbia raggiunto l'uso della ragione, sappia che non deve
fare agli altri ci che non vorrebbe che fosse fatto a s
( p. 1 91 ). Sembra dunque che oltre alle leggi positive che
sono il prodotto della volont espressa ( leggi propriamente
dette) o tacita ( consuetudine) del sovrano, nascano per il sud
dito obblighi giuridici direttamente dalle leggi naturali, la
cui violazione potrebbe venir punita alla stessa stregua della
violazione di una legge positiva. Stando a questo passo, le
leggi naturali sarebbero entrate dentro alla cittadella del di
ritto positivo, tanto da riceverne protezione e da diventare
vere e proprie leggi obbligatorie. Il che potrebbe essere con
fermato da un altro passo i cui si dice che se una legge
non scritta sar osservata generalmente in tutte le province
di un dominio, e non apparir nessuna iniquit dalla sua
applicazione, tale legge non pu essere che una legge natu
rale, che obliga egualmente tutta la comunit
Dal quale
passo risulta indirettamente che queste leggi non scritte, de
sono le leggi naturali, obbligano alla pari delle leggi scritte,
ed accanto ad esse.
S'intende dunque che se le leggi naturali vigono alla pari
delle leggi positive ed accanto ad esse, e vigono, si badi,
soltanto dentro un determinato sistema giuridico positivo,
esse debbano fornire la soluzione giuridica dei casi non espres
samente previsti dalla legge positiva. N vi bisogno di un
rinvio esplicito. la logica stessa del sistema che conduce a
tale soluzione. Le leggi naturali, costituito che sia lo stato,
diventano leggi alla stessa stregua delle leggi dello stato, per
ch lo stato ha il compito appunto di rendere possibile,
creando un ordinamento pacifco, la libera esecuzione dei
dettami della retta ragione. Pertanto l dove lo stato non ha
legiferato, ciascuno tenuto a uniformare la propria condotta
Lev., XXVI (pp. 176-177).
Lev., XVI (p. 175) .
3. N. BoBBIO Da Hobbes a Marx.
33
alle leggi naturali. Da ci segue che perfettamente legit
timo da parte del giudice valutare il comportamento del sud
dito - l dove la legge positiva non soccorre - in base al
dettato della legge naturale. Facciamo un esempio ( libera
mente scelto) : una delle leggi naturali, fssate da Hobbes,
prescrive di non ingiuriare il mio prossimo; indipendente
mente dal fatto che nell'ordinamento positivo vi sia una
legge che proibisce l'ingiuria, io sono tenuto a non proferire
ingiurie, perch la legge naturale pienamente vigente. Se
io infatti non mi conformo, il giudice potr punirmi.
Ma siamo proprio sicuri che questo principio rappresenti
un atto di omaggio alla legge naturale e insieme una restri
zione della legge positiva? Se cos fosse, dovremmo attenuare
la nostra tesi iniziale relativa al positivismo giuridico di
Hobbes. Ma abbiamo qualche ragione di credere che anche
in questo punto l'omaggio sia apparente e celi
-
una reale
svalutazione.
La legge naturale, che diamo per vigente accanto alla
legge positiva, non pu essere applicata al caso concreto non
previsto (perch solo nei casi non previsti valida) senza
essere interpretata. Ora a chi spetta l'interpretazione della
legge naturale? Non c' dubbio che per Hobbes essa spetta
all'autorit dello stato, impersonata dal giudice. Egli spiega
che l'interpretazione delle leggi di natura non dipende dai
libri di flosofa morale, i quali esprimono semplicemente
delle opinioni personali dei flosof, sovente contradditorie,
ma dalla sentenza del giudice nominato dall'autorit so
vrana per ascoltare e deliberare nelle controversie
"
Ma
se cos, dipende esclusivamente dal giudice, cio dal so
vrano, stabilire se quel caso concreto non previsto da una
legge positiva sia regolato o no da una legge di natura,
nel caso afermativo che cosa disponga la legge d natura
che si ritiene di dover applicare. dunque interamente nel
l'arbitrio del giudice la rilevazione e la determinazione della
Lev., XXVI (pp. 180-181).
34
legge di natura: ci signifca che chi fa diventare vigente
una legge di natura e vi attribuisce questo piuttosto che quel
contenuto pur sempre il . sovrano attraverso la duplice
oper'zione di rilevazione e di determinazione del cntenuto
specifco della legge. Insomma: quella stessa opera di mani
polazione della legge naturale che_ abbiamo messa in evi
denza parlando del potere del sovrano di determinare il con
tenuto delle leggi naturali, la constatiamo qui a proposito del
potere del giudice in caso di lacuna. Si potrebbe dire che il
sovrano, sotto specie di legislatore, priva di ogni signifcato
le leggi naturali nel momento stesso in cui crea le leggi po
s
i
tive, e che lo stesso sovrano, sotto specie di giudice, le priva
di ogni signifcato l dove non arrivato il potere legi
slativo
9. Tutto quello che abbiamo detto sin qui vale per quel
che riguarda i rapporti tra la legge naturale e il comporta
mento dei singoli cittadini. Ma la dottrina politica di Hobbes
conosce principalmente due soggetti ( o persone) : i cittadini
e il sovrano. Si tratta ora di sapere quale sia il rapporto tra
legge naturale e comportamento del sovrano. Anche in questa
sfera Hobbes pone il problema nei termini della pi ortodossa
dottrina giusnaturalistica, sostenendo la tesi che il sovrano sia
tenuto a rispettare le leggi naturali. un'afermazione questa
che rimette in piedi le leggi naturali che ci sembrava di
veder ormai per ripetuti colpi abbattute.
Infatti, se nei rapporti tra individui e sovrano le leggi
naturali vengono a cessare, non detto che esse siano del
"
1
Lo stesso discorso si pu fare per l'afermazione secondo cui
anche le consuetudini per essere ^ vere e proprie leggi D non devono
essere contrarie alla legge di natura (Lev., p. 186). Ma a chi spetta il
giudizio di conformit? Evidentemente al sovrano, come si pu rica
vare da quest'altro passo: ^ I giuristi non considerano la consuetudine
come legge, se non sono ragionevoli, mentre le cattive consuetudini
debbono essere abolite. Ma il giudizio su ci che ragionevole e ci
che deve essere abolito, appartiene a colui che fa la legge, e cio
all'assemblea sovrana o al monarca (Lev., p. 174 ).
35
tutto eliminate dai rapporti umani. Nello stato civile, tra le
leggi naturali originarie e gli atti singoli dei cittadini si
interposto - attraverso il noto patto di rinunzia e di trasfe
rimento dei diritti naturali -il sovrano, il quale diventato,
a cominciare dal momento in cui il contratto entrato i
vigore, l'unico titolare del potere di dettare norme giuridiche.
Ma, se i cittadini sono sottoposti soltanto alle leggi civili,
sottoposto alle medesime leggi anche il sovrano? La risposta
di Hobbes su questo punto nettissima: il sovrano non
tenuto all'osservanza delle leggi civili, , secondo l'antica
formula, legibus solutus 2 . Ci signifca forse che i potere
del sovrano sciolto da vincoli di qualsiasi natura, cio
arbitrario? Anche a questa seconda domanda la risposta di
Hobbes assai netta: il sovrano tenuto all'osservanza delle
leggi naturali. Dunque le leggi naturali tacci
o
no per i citta
dini, ma continuano a valere per il sovrano. Un giusnatura
lista ortodosso non avrebbe avuto difcolt ad accompagnare
Hobbes nel progressivo esautoramento delle leggi natural
dentro l 'ambito dello stato, purch alla fne si fosse dato ad
esse un posto d'onore tra i doveri dei principi. Di conseguenza
sembra che Hobbes faccia alla fne gran conto di quelle leggi
che ha fnora strapazzate, proprio conservandole in quella
funzione per cui la dottrina giusnaturalistica le ha principal
mente poste e sostenute, nella loro funzione fondamentale e
insostituibile di !imitatrici e correttrici del potere assoluto.
Hobbes, insomma, dopo aver roso con la sua dialettica la
dottrina giusnaturalistica sino a farcela apparire come un
guscio vuoto, nome senza sostanza, o con altra sostanza, ora,
giunto al momento decisivo di darle il colpo di grazia, si
rimetterebbe nella stessa scia dei suoi predecessori ? Anche
per Hobbes le leggi naturali sono il codice dei principi ? Co
\\ dice morale, se si vuole, pi che giuridico, ma, cionondimeno,
2 C., VI, 14 (pp. 166- 167) . L'opinione che il sovrano sia sotto
poto alle leggi civili annoverata tra le teorie sediziose: El., p. 136;
C. , pp. 237; Lev., pp. 212-213.
36
vincolante, se pur i coscienza e di fronte a Dio, e non da
vanti ai tribunali degli uomini? Ma allora quella lunga enu
merazione di leggi naturali fatta al principio della sua trat
tazione politica non sarebbe stata un'esibizione superfua:
quei dettami della retta ragione varrebbero almeno per i
sovrani .
Guardiamo le cose pi da presso. Anzitutto l'aferma
zione secondo cui i sovrani sono tenuti a rispettare le leggi
naturali fatta pi volte, ma di sfuggita, come cosa ovvia,
si, ma di secondaria importanza. Nel De Cive, in una nota,
a proposito della questione se il sovrano possa commettere
atti illeciti, si dice: In primo luogo, anche se ne ha il di
ritto, cio se lo pu fare senza commettere un torto, non
detto che lo possa fare giustamente, cio senza violare le
leggi naturali e senza recar torto a Dio (pp. 1 63- 164) .
Nel Leviathan: [ Il sovrano] non manca mai del diritto su
di una cosa, se non in quanto egli stesso suddito di Dio,
e legato perci ad osservare le leggi di natura ( p. 1 39) ;
e altrove: vero che i sovrani sono tutti soggetti alle
leggi di natura, perch tali leggi sono divine e da nessun
uomo o da nessun governo possono essere abrogate; ma a
quelle leggi, che il sovrano stesso, cio lo stato, fa, egli non
soggetto ( p. 212) . Una vera e propri
trattazione non
rtl
colarmente gravi in un paragrafo in cui si stabilisce una comparazwn
:
dei diversi delitti rispetto ai loro efetti (XXVII, p. 20),
t
a non s1
mette in rilievo la loro caratteristica di essere una vwlazwne della
legge naturale, forse perch ci verrebbe a contrastare con quanto
stato afermato nello stesso capitolo: delitto potersi chiamare soltanto
la trasgressione della legge civile, mentre la violazione della legge
46
alla conseguena che il reo di lesa maest non dovr essere
punito secondo il diritto civile, ma secondo quello naturale,
cio non come cattivo cittadino, ma come nemico dello stato.
1 3. Possiamo ora tornare con maggior consapevolezza
a quello che si detto al 4: dalla tesi che la norma o le
norme fondamentali del sistema siano leggi naturali, non
deriva alcun argomento decisivo contro il positivismo giuri
dico hobbesiano, anzi, se mai, tale positivismo viene raforzato.
Ci siamo domandati in primo luogo: come si concilia
la concezione formale della giustizia con l'afermazione che
le leggi naturali valgono per il loro contenuto di giustizia?
Siamo ora in grado di rispondere che la conciliazione non
presenta alcuna difcolt, dal momento che le leggi naturali
che sopravvivono sono leggi che non prescrivono un deter
minato contenuto, ma prescrivono semplicemente che si deve
costituire un ordinamento positivo il quale avr, esso sol
tanto e con la for:m che gli sar propria, un determinato
contenuto. Ci siamo domandati in secondo luogo: come si
concilia la teoria dello stato assoluto con l' ammissione di leggi
naturali precedenti allo stato? Anche qui possiamo rispon
dere che la conciliazione possibile, perch la legge naturale,
a furia di essere neutralizzata
ssenzali
.
si
!
it
.
rovino in tre diversi sistemi flosofco-giuridici,
l quah st dtstmguono tra loro in base al diverso modo di
concepire il rapporto di superiorit tra diritto naturale e
diritto positivo, e che pertanto sia necessario, per evitare
,
"
,
Ha ragione il Cattaneo quando aferma: Il pensiero di Hobbes
C cost complsso, e contiene alcune contraddizioni di fondo - quale
soprattut
o
;
t1 confitto tra il diritto naturale all'autoconservazione
la sovramta, entramb
t
Se
nonch, una volta ammesso il principio, Hobbes cerca di !imi
tarne quanto pi gli possibile gli efetti, defnendo esatta
mente i casi in cui lecita la disobbedienza in modo da non
!asciarla alla discrezione del singolo, e riconoscendo i diritto
di resistenza solo in situazioni estreme.
Com' noto, e com' stato pi volte illustrato, dalla mas
sima morale fondamentale secondo cui la vita deve essere
conservata, Hobbes trae la conclusione che il diritto naturale
alla vita . inalienabile. Ma non sempre ci si ricorda del fatto
che Hobbes non intende proteggere solo il diritto alla vita
terrena, ma anche quello alla vita eterna. Il sovrano pu co
mandare ogni cosa tranne ci che mette a repentaglio la vita
terrena e quella eterna: di fronte a un comando di tal na
tura, sorge il diritto di resistenza o, testualmente, la libert
di disobbedire 29 I casi relativi al diritto alla vita sono
stati esaminati con cura anche recentemente dal Cattaneo 30
Ma si badi : a voler trarre tutte l e conseguenze dalle premesse
hobbesiane, si dovrebbe riconoscere che i sovrano ha anche
in questo caso, per cos dire, il coltello dal manico: si visto
che per H(bbes spetta al sovrano definire ci che
.
furto,
omicidio, adulterio. Ebbene, come spetta al sovrano decidere
che l'uccisione per legittima difesa o l'uccisione di un nemico
in guerra non un omicidio, non si vede perch lo stesso
sovrano non abbia il potere di stabilire che non un omi
cidio l'uccisione di un suddito in altre circostanze, per esem
pio nel caso della pena capitale.
Per quel che riguarda il diritto alla vita etera, le con-
=8
De Cive, XIV, 3 (p. 267) .
29 Lev., XXI (p. 142).
CATTANEO, Il positivismo giuridico inglese, cit. , pp. 88 C ss. ,
103 C ss.
71
cessioni fatte da Hobbes alla libert di disobbedire sono
estremamente esigue. Le leggi divine sono o le leggi naturali
( delle quali interprete soltanto lo stato) oppure le leggi
relative al culto. Per queste ultime Hobbes esamina quali
sono i doveri degli uomini nel regno di Dio attraverso la
natura, attraverso l 'Antico Testamento, attraverso il Nuovo
Testamento. Nel regno di Dio attraverso la natura, le leggi
relative al culto o riguardano i modi convenzionali di ono
rare Iddio, e allora spetta allo stato determinarli, o riguar
dano i modi naturali di culto, e allora lo stato deve egual
mente intervenire sia per uniformare l'uso pubblico, sia per
darne un'interpretazione univoca e valida per tutti i sudditi.
Conclusione: L' interpretazione delle leggi naturali, tanto
sacre che secolari, quando Dio regna attraverso la natura, di
pende dall 'autorit dello Stato [ . . . ] . onde Dio comanda tutto
quello che vuole attraverso la voce dei sovrani, e viceversa,
quel che costoro comandano circa il culto di Dio e in materia
secolare, si deve intendere come comandato da Dio 31
Due sole eccezioni al dovere di obbedienza vengono am
messe: l ) quando il sovrano imponga di ofendere Dio;
2) quando imponga di onorare se stesso co
e se fosse Dio
Nel regno di Dio attraverso l'Antico Testamento, la rapida
analisi compiuta da Hobbes nel cap. XVI del De Cive tende
a dimostrare che gli Ebrei erano tenuti ad obbedire ai loro
capi in tutto tranne nel caso in cui il comando del superiore
implicasse la negazione della provvidenza divina o imponesse
l'idolatria. Conclusione: In tutte le altre cose dovevano
obbedire, e se il re o il sacerdote che aveva il potere supremo
avesse emanato un ordine contrario alle leggi, ci costituiva
peccato per chi aveva l'autorit suprema, non per il suddito,
i quale ha il dovere non gi di discutere, ma di eseguire
gli ordini dei superiori Infne per quel che riguarda il
72
De Cive, XV, 17 (p. 304). Cfr. Lev., XXXI (p. 240).
Ma anche questa eccezione eliminata in Lev. , XLV (p. 427).
De Cive, XVI, 18 (p. 328). Cfr. Let., XL.
regno di Dio attraverso il Nuovo Testamento, Hobbes d
con una mano, quando enuncia il principio che V i cittadini
devono ubbidire in tutto ai loro sovrani, salvo in quello che
contro i comandamenti di Dio , ma toglie subito con
l' altra: I comandamenti di Dio in uno Stato cristiano sono,
nei riguardi delle cose temporali [ . . . ] , le leggi e le sentenze
dello Stato [ . . . ] ; nei riguardi delle cose spirituali [ . . . ] , le
leggi e le sentenze dello Stato, cio della Chiesa, poich Stato
cristiano e Chiesa [ . . . ] sono la stessa cosa Conclusione:
V [ . . . ] in uno Stato cristiano, si deve obbedire ai governanti in
tutto, tanto nelle materie spiritual che in quelle materiali ".
Come s i vede, se Hobbes era disposto a lasciare un certo
margine alla disobbedienza civile per garantire la sicurezza
della vita terrena, era assai meno liberale quando era in gioco
la sicurezza della vita eterna : alla mia vita ci penso io, ch
alla vita eterna ci pensa lo Stato. Ancora una volta la nor
ma-chiave per ribadire il principio dell'obbedienza la legge
naturale che prescrive di ubbidi re alle leggi civili: la quale
poi anche, come tutte le leggi naurali, un comandamento
divino, e quindi un comando, la cui obbedienza necessaria
anche alla salvezza eterna. Come si pu ammettere che i
cittadino disubbidisca allo Stato per assicurarsi la vita eterna
quando una delle condizioni per assicurarsela di ubbidire
alla legge divina-naturale che prescrive di ubbidere allo Stato?
Cos, ubbidendo allo Stato, il cittadino prende due piccioni
con una fva: guadagna la pace in terra e la guadagna anche
in cielo. Il sistma hobbesiano si chiude con una nuova prova
di predilezione per il giusnaturalismo del terzo tipo, in cui
tra tutte le leggi naturali prende alla fne il sopravvento quella
che prescrive l' obbedienza alle leggi civili, e che per sua
essenza, una volta riconosciuta e rispettata come condizione
di sicurezza terrena e di salvezza ultraterrena, tende a ren
dere invalide tutte le altre leggi naturali nel momento stesso
34 .De Cive, XVIII, 13 (p. 387). Cfr. Lev., XLIII.
De Cive, eodem.
73
in cui fonda la validit di tutte le leggi civili : Ma allora
chiaro che la legge di Cristo nei riguardi dell'omicidio, e
per estensione anche di ogni altra lesione e delle pene che
si possono stabilire, comanda di obbedire soltanto allo
Stato .
Il punto di partenza di questo saggio stato la consta
tazione che, attraverso vie diverse, il giusnaturalismo mo
derno comincia da Hobbes. Il punto di arrivo il riconosci
mento che il giusnaturalismo hobbesiano di tal sorta che
apre la strada al positivismo giuridico pi di quel che perfe
zioni l' edifcio del giusnaturalismo tradizionale. Errerebbe
peraltro chi credesse di poter concludere che il giusnatura
lismo moderno va a cadere nelle braccia del positivismo giu
ridico. Tutt'altro! La verit che Hobbes inventa, elabora,
perfeziona i pi rafnati ingredienti giusnaturalistici - lo
stato di natura, le leggi naturali, i diritti individuali, il con
tratto sociale -, ma li adopera ingegnosamente per costruire
una gigantesca macchina dell'obbedienza. Bisogner arrivare a '
Locke per trovare, insieme congiunti e procedenti di con
serva, il metodo giusnaturalistica, cosl ben maneggiato da
Hobbes, e l'ideologia tipicamente giusnaturalistica dei limiti
del potere statale, da Hobbes confutata e respinta. Il giusna
turalismo moderno passa, vero, per Hobbes, ma si aferma
soltanto con Locke.
'" De Cive, XII, 10 (p. 342) .
74
III. Studi lockiani
l . Del rinnovamento degli studi lockiani. Dura ormai
da pi di dieci anni -e non accenna a sforire -la lunga e
forida stagione di studi, ch hanno in parte corretto in parte
eliminato alcune idee tramandate sull'opera e sulla perso
nalit di John Locke. Mentre stavo per fnire di scrivere
questa rassegna, apparsa un'ampia, minuziosa, e
auriente
monografa, con molti passi inediti e alcune splendide foto
grafe, su Locke cultore di scienza medica e medico egl stesso,
cio su uno degli aspetti meno noti e meno studiat della
sua personalit 1 Questo fervore di ricerche ha avuto inizio,
com' noto, sin da quando, nel 1 948, la ricchissima Lovelace
Collection, contenente lettere, manoscritti, diari, taccuini del
flosofo, fu aperta agli studiosi presso la Bodleian Library
di Oxford.
Nel 1 953, un giovane studioso italiano, Ernesto De Mar
chi aveva per-os dire preannunciato il nuovo corso di studi,
daddo particolareggiata notizia dei due trattatelli giovanili
inediti sul magistrato civile che sarebbero stati pubblicati
solo qualche anno pi tardi : sofermandosi sulle infuenze
ricevute da Locke negli anni di Oxford, specie attraverso
il Tew Circle, luogo d'incontro dell'anglicanesimo moderato
e del latitudinarismo, aveva cercato nei primi incompiuti e
non sempre coerenti saggi letterari del giovane tutor di Ox-
K. DEWHURST, fohn Locke Physicia
n
and Phil
?
sop
k
er. A Me
dicai Biography with an Edition of the Medtcal Notes Hts Journals,
London, The Wellcome Historical Medicai Library, 1963, pp. XII-331.
75
ford i segni della futura grandezza Nello stesso anno usciva
una prima raccolta di inediti : l'edizione di ampie parti dei
diari del viaggio di Locke in Francia ( 1 675- 1 679) a cura di
J. Lough Ma solo l'anno seguente la nuova fase di studi
veniva inaugurata in un modo che non poteva essere pi
promettente, con la pubblicazione, a cura del benemerito W oH
gang von Leyden, degli otto saggi giovanili inediti sul diritto
naturale, che avrebbero posto le basi per una fertile discus
sione, che dura tuttora, su uno dei temi prediletti dall'autore
di una delle pi celebri teorie politiche ispirate al diritto
naturale Seguivano nel 1 9 55 il libro di Gabriel Banno sui
rapporti di Locke con la Francia e la seconda edizione della
monografa di Richard I . Aaron 6, dello stesso studioso che
` E. DE MARCHI, Le origini dell'idea della tolleranza religiosa
nel Locke e gli scritti inediti della Lovelace Collection, in Occi
dente , IX, 1953, pp. 460-492. Il De Marchi aveva pubblicato qualche
anno prima Considerazioni intoro alla divisione dei poteri nel Locke,
in Occidente , IV, 1948, n. 9-10, pp. 25-38, in cui metteva in
particolar modo l'accento sulla naturalit dei poteri, nascenti nello
stato di natura, e sulla conseguente distinzione tra poteri e organi.
Dello stesso De Marchi cfr. Locke's Atlantis, in Politica! Studies ,
III, 1 955, pp. 164-165.
J. LouLH, Locke's Travels in France 1 675-1 679, Cambridge,
At the University Press, 1 953, pp. LXVI-309.
}OHN LocKE, Essays on the Law of Natute [ . . . . . . ], edited by W.
von Leyden, Oxford, At the Clarendon Ptess, 1954. L'eccellente intro
duzione di von Leyden (pp. 1-92), ricca di notizie biografche e storiche
sulla formazione del pensiero di Locke, sull'ambiente culturale in
cui visse, sulle fonti cui s'ispir, pu essere considerata come la
prima ormai matura espressione del recente rinnovamento degli studi
lockiani. L'autore aveva anticipato alcune notizie sugli inediti di
Locke in un articolo apparso su una rivista italiana : fohn Locke's
Unpublished Papers, in Sophia , XVII, 1949, pp. 73-80. Cfr. anche
Notes concerning Papers of fohn Locke in the Lovelace Collection, in
Philosophical Quarterly , Jan. 1952.
G. BONNO, Les relations intellectuelles de Locke avec la France,
Berkeley and Los Angeles, University of California Press, 1 955,
pp. 263. Lo stesso autore aveva pubblicato qualche anno prima sei
lettere del'Abb Du Bos a Locke sulla Revue de littrature com
pare ^ 1950, pp. 481-520.
" RICHARD I. AARON, fohn Locke, Second Edition, Oxford, At
the Clarendon Press, 1955, pp. XI-323 (la prima edizione del
1937) .
76
aveva pubblicato, insieme con J. Gibb, il Primo Abbozzo
(Draft A) dellEssay of Human Understanding Nel 1 957
vedeva la luce la fondamentale biografa di Maurice Cran
ston g dopo la quale sono da considerarsi in gran parte supe
rate le due biografe precedenti, quella, del resto infelice,
di Lord King ( 1 830), e quella buona ma ormai invecchiata
di H. R. Fax Bourne ( 1 876) . Nel 1 959 il gi ricordato Bonno
pubblicava un manipolo di lettere di Jean Le Clerc a Locke,
anch'esse tratte dalla Lovelace Collection 9 Maturava infne
nel 1 960 l'an nus mirabilis dei nuovi studi lockiani, perch
apparvero in un solo anno quattro opere destinate, se pur
con diverso impeto, a smuovere le acque: la prima edizione
critica dei Two Treatises of Government, a cura di Peter
Laslett, con un'ampia e importante introduzione 10 ; una inter
pretazione flosofica, accompagnata da una documentata rico
struzione storica, del pensiero di Locke nei suoi vari aspetti,
pazientemente e intelligentemente composta da uno studioso
italiano, Carlo Augusto Viano 1 1 ; un'analisi minuta e precisa,
testo per testo, della flosofa morale e politica strettamente
' R. I. AARON and J. GmB, An Early Draft of Locke's Essay,
Oxford, At the Cl arendon Press, 1936.
M. CRANSTON, fohn Locke: a Biography, London, Longmans,
Green and Co. , 1957, pp. XVI-496.
Lettres indits de Le Clerc Locke, edited, with an Introdu
ction and Notes, by Gabriel Banno, Berkeley and Los Angeles,
University of California Press, 1959, pp. 135. Si tratta di 65 lettere
di Le Clerc (le corrispondenti di Locke sono andate perdute, tranne
due), in gran parte scritte dopo la partenza del Locke dall'Olanda
( 1689) : l'ultima reca la data del 24 giugno 1704, quattro mesi
prima della morte di Locke. Nell'Introduzione (pp. 1-25) il Banno
d notizie sull'attivit letteraria di Le Clerc e sui suoi rapporti con
Locke: da ricordare i buoni ufci, interposti dal Le Clerc, per far tra
durre in latino l'Essay, ma senza sucesso, e le cure dedicate alla buona
riuscita della traduzione francese di Pierre Coste, che egli stesso
aveva fatto conoscere al Locke.
10 Locke's Two Treatises of Government. A Critica! Edition with
I ntroduction and Notes by Peter Laslett, Cambridge a t the University
Press, 1960, pp. XIII-521 .
J 1
C. A. VIANO, fohn Locke. Dal razionalismo all'illuminismo,
Torin, Einaudi, 1 960, pp. 618.
77
congiunte, ad opera d Raymond Polin, gi noto per un pre
cedente libro sulla flosofa politica di Hobbes
1
2;
uno studio
esegetico sullo stato di natura e sul diritto tra gli stati con
particolare riguardo al problema dei rapporti tra Locke e
Hobbes, di Richard H. Cox 1 3 Ma anche dopo i 1 960 la
corrente di studi lockiani non stata interrotta. Soltanto in
Italia nel 1 961 il v o l umetto d Loris Ricci Garotti, che con
tiene, tra l' altro, un'appendice sulla fortuna di Locke i
Italia 14 ; nello stesso anno, l'edizione critica di scritti giova-
12
R. PoLIN, La politique morale de fohn Locke, Paris, Presses
Universitaires de France, 1960, pp. 320.
13 R. H. Cox, Locke o n W ar and P e ace, Oxford, A t the Claren
don Press, 1960, pp. IX-220. A dire il vero nel 1960 apparso in
Italia anche un altro libro sul Locke: R. CRIPPA, Studi sulla co
scienza etica e religiosa del Seicento. Esperienza e libert in f. Locke,
Milano, Marzorati, 1960, pp. 163, il quale, peraltro, rispetto ai temi
qui di seguito discussi, pi espositivo che problematico.
L. RICCI GAROTTI, Locke e i suoi problemi, in Pubblica
zioni dell'Universit di Urbino. Serie di Lettere e Filosofa , vol.
XIII, Urbino, S.T.E.U., 1961 , pp. 255. L'appendice su menzionata
(pp. 191-250) parte da una noterella di Abbagnano che attribuisce
la fne della fortuna del Locke in Italia all'interpretazione del Gal
luppi; parla di Cattaneo e di Ferrari; riproduce le invettive antilo
ckiane di Rosmini e Gioberti. Anche i positivisti non ricorrono pi
a Locke e non lo capiscono. Per trovare un Locke ancora vivo
bisogna andarlo a cercare, cosi sembra al nostro autore, tra i flosof
del diritto di quel tempo (Laviosa, Mondolfo e soprattutto Solari) .
Eppure vien fatto di osservare che anche per Solari Locke rappre
sentava pur sempre una fase primitiva del liberalismo (il liberalismo
empirico), che sarebbe stato superato dal liberalismo etico di Rousseau
C da quello giuridico di Kant, e che Solari stesso non era n un
empirista n un liberale, anzi aveva criticato per tutta la vita l'indi
vidualismo giusnaturalistica in nome di un superamento dell'individuo
nella societ. Per questa sua concezione s'ispirava, negli ultimi anni,
alla teoria dello spirito oggettivo di Hegel, proponendo il nome di
idealismo sociale . Indi, il Ricci Garotti si soferma in modo parti
colare sul noto libro del Carlini ( 1 920-21 ) e sui suoi critici; fa
alcune giuste annotazioni su Gentile. Poi Saitta e l'esaltazione di
Locke ( 1941 ) . Giunge con gli ultimi studi sino al libro di Viano, d
cui riconosce la solidit della ricostruzione e la validit dell'interpre
tazione. - Oltre a quest'appendice, il libro del Ricci Garotti comprende
quattro saggi, rispettivamente sul pensiero politico (pp. 1 1-81 ), sulla
flosofa morale (pp. 85- 113 ), sulla antropologia o concezione dell'uomo
78
l
.
__
Sui rapporti tra Locke e Pufendorf, che meriterebbero di es
sere approfonditi, richiama l'attenzione pure il von Leyden, op. cit.,
pp. 38-39.
86
Mentre Hobbes mira al sistema chiuso, Locke lascia
sempre aperto il proprio sistema: sarebbe anzi, secondo
Laslett, il meno coerente di tutti i grandi flosof. Questa
constatazione permetterebbe di sfatare la terza leggenda,
secondo cui l' opera politica di Locke sarebbe una deriva
zione o un'applicazione di quella flosofca. Mentre l'opera
politica fondata sull'accettazione della legge di natura,
l 'Essay on Human Understanding, l dove distingue vari tipi
di leggi ( II, 28, 7), non la menziona neppure: anzi, se dal
l'Essay si pu trarre qualche conseguenza pratica, questa in
una direzione contraria al tradizionale atteggiamento giusna
turalistico. Si pu giungere persino ad afermare che dal-
. l 'opera maggiore di Locke nasce, almeno idealente, la dis
soluzione del giusnaturalismo. Chi volesse trarre una teoria
politica dalle opere flosofche di Locke, si tioverebbe ad
aver costruito un'opera ben diversa dai Two Treatises. Opera
politica e opera filosofica non hanno nulla in comune, n il
proposito, n il contenuto, e neppure il metod
: Quando
leggiamo la sua opera sul governo dovremmo avere in mente
pi il Locke medico che il Locke epistemologo. Chiamarla
' flosofa politica ', pensare a Locke come ad un ' flosofo
politico ' improprio. Egli fu piuttosto l' autore di un'opera
di intuizione, di_ penetrazione, di immaginazione, se non di
profonda origin
a
lit, e fu insieme un teorico della cono
scenza
_
6
La tesi di Laslett sul Filmer antagonista di Locke anche
nel secondo dei Two Treatises importante e deve consi
derarsi un risultato defnitivo; ma nella perseveranza con cui
tende ad allontanare l 'ombra del grande Hobbes dall'opera
lokiana va forse oltre il segno 27 La chiave di volta del
26
Op. cit., p. 85.
` La stessa tesi era stata enunciata in forma pi moderata nella
Introduzione al Patriarcha, ove, dopo aver afermato che Locke ri
sponde a Filmer e non ad Hobbes anche nel secondo trattato, aggiun
geva: ^ The frequent veiled references and coincidences in vocabulary
show that he had the arguments of Leviathan in mind as well as
of Pariarcha (ediz. cit., p. 40).
87
secondo trattato , a mio giudizio, i breve, ma chiaro e denso,
capitolo quindicesimo che probabilmente fu aggiunto, secon
do una congettura dello stesso Laslett, nel 1 689 al momento
della pubblicazione. In questo capitolo Locke distingue, so
prattutto in base al fondamento o al titolo d' acquisto, le tre
tradizionali forme di potere di un uomo sugli altri uomini:
il potere paterno, il potere civile e il potere dispotico. Ri
prende, se pur con qualche variazione pi terminologica che
sostanziale, la teoria tradizionale, che era stata accolta da
Grozio _ secondo cui il potere sulle persone pu derivare o
dalla generazione o dal consenso o dal delitto ( cio come san
zione di un fatto illecito) . Mentre era indiscutibile che il pote
re paterno nasce ex generatione ( ad immagine e somiglianza di
quello di Dio sugli uomini, che deriva ex creatione) e il po
tere dispotico ex delicto (la sottomissione dello schiavo veniva
giustifcata, anche da Locke, ad esempio nel caso del prigio
niero del vincitore di una guerra giusta, come la punizione
per l 'atto criminoso), sempre incerto era stato il fondamento
del potere civile, che al di fuori delle teorie contrattualisti
che, che ne avevano individuato il fondamento caratteristico
nel consenso, era stato di volta in volta identifcato col potere
paterno o col potere dispotico, secondoh se ne vedesse i
fondamento nella generazione, o nella conquista. Il secondo
trattato si pu considerare come un tentativo di dimostrare
che il potere civile si distingue e dal potere paterno e dal
potere dispotico, perch ha un suo fondamento caratteristico:
sin dalle prime battute Locke rivela la propria intenzione
di mostrare la diferenza che corre fra il governante di una
societ politica, il padre d'una famiglia e il capitano d'una
galera ( II , 2 ), in poche parole, tra l'uomo di governo,
il padre e il padrone. Pi particolarmente, nel capitolo quin
dicesimo, Locke aferma che, mentre il potere paterno deriva
dalla natura e quello dispotico dal rischio cui si espone l'in
giusto aggressore ( formulazione diversa di una teoria sostan-
" Huco GROTIUS , De iure belli ac pacis, Lib. II, cap. V, l .
88
zialmente identica a quella che fa derivare il potere dispotico
ex delicto ), il potere civile deriva esclusivamente dal con-
senso. Le prime righe di questo capitolo enunciano chiara
mente il proposito fondamentale: V Sebbene io abbia sopra
avuto occasione di parlare di questi tre poteri separatamente,
tuttavia, poich i recenti grandi errori sul governo sono, a
mio credere, derivati dal confondere tra loro questi poteri
distinti, non sar forse male considerarli qui insieme ( II,
169) . Se, dunque, secondo Locke, i V grandi errori com
messi dagli scrittori politici recenti ( e avrebbe potuto aggiun
gere di tutti i tempi ) consistono nella confusione dei tre po
teri, che sono distinti, ne segue che lo scopo di una nuova
teoria del governo quella di stabilire con precisione i cri
teri in base ai quali debbono essere distinti . E infatti il
nerbo della teoria lockiana sta nella dimostrazione che i tre
poteri hanno ciascuno u diverso fondamento e che il potere
civile l'unico ad avere per fondamento il consenso.
Mentre chiaro che l'errore di confondere il potere
civile col potere patero era stato commesso da Filmer, l'er
rore di non distinguere il potere dispotico dal potere civile
era stato commesso soprattutto da Hobbes . Certamente l'er
rore che Locke combatte direttamente, tanto da dedicarvi
un capitolo apposito ( il capitolo sesto sul potere dei genitori )
. e da ritornarvi spesso in altre occasioni, il primo; ma non
mancano precisi attacchi, anche contro il secondo, soprattutto
l dove egli aferma che il potere dispotico, essendo giusta
mente fondato soltanto quando deriva ex delicto, non pu es
sere fondato ex contractu Chi aveva sostenuto che anche
il potere del padrone sullo schiavo fondato sul contratto
era proprio Hobbes, il quale aveva scritto chiarissimamente
nel De Cive che non c' era alcuna diferenza tra potere civile
e potere padronale, perch entrambi sono derivati da una
promessa, l di individui che si pongono sotto il dominio di
un sovrano per amor della pace, qua di vinti che promettono
"'' Cfr. soprattutto Lib. II, cap. IV, 23 C 24; cap. XV, 172.
89
di servire il vincitore pur di aver salva la vita 30 ; e aveva
ripetuto in Leviathan che non la vittoria d diritto di do
minio sopra il vinto, ma il patto di lui; n questi obbligato
perch stato vinto [ . . ] ma perch si rimette e si sotto
mette al vincitore 31 Non ci pu esser dubbio che questa
teoria di Hobbes era una confusione fra potere civile e po
tere dispotico, se pure in senso inverso alla confusione fra
potere civile e potere paterno compiuta da Filmer, e in genere
dai sostenitori della teoria paternalistica del potere: Filmer
aveva compiuto la riduzione classica del potere civile a potere
paterno, che comportava la identifcazione del re col padre,
negando il fondamento proprio del potere civile, il con
senso, e facendo derivare anche il potere civile dalla genera
zione; Hobbes, invece, aveva compiuto non gi l'analoga
riduzione del potere civile a potere dispotico, bens, inver
samente, la riduzione del potere dispotico a potere civile,
facendo derivare anche il potere dispotico dal consenso, e
quindi cancellando la ragione principale ( almeno secondo
Loke) della loro diferenza.
Tenendo presenti queste considerazioni, si pu afermare,
credo, che la polemica di Locke diretta continuamente non
contro un fronte solo: o Hobbes, secondo un'opinione acriti
camente tramandata, o Filmer, secondo l' opinione di Laslett ;
ma contro due fronti : da un lato, contro la teoria paterna
Ustica, dall'altro, contro il cattivo uso della teoria contrattua
listica, adoperata per dare un fondamento anche al potere
dispotico, e quindi a cancellare, per altro verso, il carattere
proprio del potere civile. I grandi errori, che egli si era
proposto di combattere, erano non uno ma due: il primo
consisteva nel disconoscere il consenso come corattere proprio
:\
del potere civile; il secondo consisteva nell'attribuire il fon
damento del consenso anche al potere di spotico, cio ad un
30 De Cive, VIII, 1 .
Leviathan, II, 80, 5 , ediz. Oakeshott, p . 132 (ed. Laterza,
I, p. 166) .
90
potere diverso, o almeno che Locke riteneva dovesse essere
considerato diverso, dal potere civile. Questo secondo era
l 'errore hobbesiano. vero che Hobbes e Locke intendono
in modo diverso l'estensione del potere dispotico: per Bob
bes questo potere si estende alla propriet del sottomesso
ma non alla vita, mentre per Locke si estende certamente
alla vita, e forse anche alla propriet Ma, comunque fosse
inteso, il potere dispotico era pur sempre il potere maggiore
che un uomo avesse su altri uomini : ci che Locke negava
contro Hobbes era la tesi che questo potere massimo del
l 'uomo sull'uomo potesse essere fondato sul consenso, cio su
quello stesso titolo di acquisto del potere, con cui egli giusti
fcava un potere minore, certo non assoluto, circoscritto entro
limiti ben precisi, quale era il potere civile. Si pu aggiungere
che alcuni passi, in lui Locke critica la monarchia assoluta ne
gando che possa considerarsi una forma d potere civile ( II,
90 e ss. ) , presuppongono come interlocutore diretto, stando
alla lettera del testo, piuttosto Filmer che Hobbes . ma uno
degli argomenti principali addotti in questi passi per afermare
che la monarchia assoluta, cio un governo non sottoposto
alle leggi da esso stesso promulgate ( legibus solutus) , non
sopprime interamente lo stato di natura, perch questo stato
rimane nei rapporti tra sovrano e sudditi, consiste nel mo
strare che l dove vi un monarca assoluto non vi , non
vi pu essere, separazione del potere legislativo dal potere
esecutivo ( II, 9 1 ) . Ora, avesse o non sottocchio i libri di
Hobbes, Locke non poteva aver dimenticato che la critica
della separazione dei poteri era uno dei grandi temi della
Circa la natura del potere dispotico sulla propriet, la posi
zione di Locke nel secondo trattato ambigua: nei 91 e 92
sembra che il potere dispotico si estenda anche alla propriet; vice
versa nel 180, a proposito dei limiti del potere che il conquistatore
consegue sui vinti in una guer
a giu
ta, Lo
.
ce dice
.
espicitamente
che questi ha il potere sulla vita del suddlt! conqmstatt , ma non
sui loro beni.
33 Cfr. ediz. Laslett, Commento al 92, linea 7, p. 345; al
93, linee 7- 1 5, p. 346.
91
teoria politica di Hobbes, mentre non era un tipico tema
flmeriano. Se dunque dietro le spalle di Filmer compare
questa volta anche Hobbes non dobbiamo meravigliarcene,
o far fnta di non vederlo. Filmer , certo, l'interlocutore
diretto, ma Hobbes era stato un personaggio troppo grande
per scomparire dalla scena senza che gli si rivolgesse nep
pure una parola.
3 . L'unit contestata dell'etica lockiana. - Il ritratto che
di Locke ci presenta Raymond Polin non molto diverso
da quello presentatoi dall'opera italiana, apparsa nello stesso
anno, del Viano, l dove fn dalle prime pagine la flosofa
lockiana viene defnita come la flosofa della souplesse,
della conciliazione, della sintesi, e per cos dire, del compro
messo, dell'accordo fondato in tutte le cose su consensi liberi
e ragionevoli Anche Viano ritorna spesso, come vedre
mo, sul tema del consenso , quale fondamento della societ
civile: ed un tema che anche noi dovremo riprendere. Ma
l'ambito in cui si muove Polin pi ristretto, sia perch
oggetto della ricerca principalmente il Locke moralista e
politico, sia perch l'esplorazione diretta esclusivamente
alle opere lockiane non all'ambiente e alla cultura del tempo.
Questa delimitaione, del resto, giustifcata dal fatto che,
pi o meno esplicitamente, la ricerca di Polin sembra mossa
prevalentemente da due intenti : scoprire una sostanziale coe
renza e continuit entro il pensiero etico-politico lockiano
dai primi agli ultimi scritti, e mostrare il valore flosofco,
e quindi al di sopra delle contingenze storiche, della sua
teoria politica. Entrambi i propositi sono rivolti polemica
mente contro opinioni ormai abitualmente condivise, ma dei
due il primo, sul quale soprattutto intendo sofermarmi, il
pi audace.
Per quel che riguarda la pretesa unit del pensiero etico
lockiano, occorre subito avvertire che esso minacciato da
` La politique morale de fohn Locke, ci t. , p. 5.
92
due gravi fratture, la prima tra gli scritti etici e l'Essay, la se
conda, nell'ambito degli stessi scritti etici, tra gli scritti
giovanili, come gli Essays on the Law of Nature, e i Two
Treatises. La prima frattura riguarda i fondamenti : nell'Essay
Locke espone una teoria edonistica dell'etica di cui non vi
alcuna traccia negli scritti etici e politici . La seconda frattura
riguarda invece soprattutto le soluzioni : negli scritti giovanili
Locke , alla maniera hobbesiana, un teorico dell'obbedienza
e nulla lascia sospettare in quegli scritti il futuro fautore del
diritto di resistenza. Di queste due fratture, Polin non sembra
disposto a riconoscere n l'una n l'altra. Anzitutto non mostra
di essere conquistato dall'idea che l'incoerenza, o pi esatta
mente la mancanza di una qualsiasi unit sistematica tra i
diversi frammenti che compongono nei diversi periodi l'etica
incompiuta di Locke, dipendano da un contrasto profondo,
non mai risolto, perch irrisolvibile, tra il fne che i Locke si
proponeva, che era quello di comporre un'etica dimostrativa,
che avrebbe dovuto sbaragliare gli scettici senza piegarsi alle
pretese dei dommatici, e i mezzi di cui da empirista, impegnato
sin dagli scritti giovanili sul diritto naturale nella battaglia
contro gli innatisti, poteva disporre. Egli infatti interpreta
i famosi passi dell'Essay in cui Locke considera la morale V tra
le scienze suscettibili di dimostrazione '" unicamente come
miranti a mostrare la possibilit e le condizioni di un discorso
morale coerente, e pertanto perfettamente compatibile con la
pluralit dei discorsi morali . Ma l'intento di Locke era ben
pi ambizioso, come si pu vedere dal passo in cui dice con la
massima chiarezza: Non ho alcun dubbio che in essa [ cio
nella morale] , da proposizioni evidenti di per se stesse, me
diante conseguenze necessarie, non meno incontestabili di
quelle della matematica, si potrebbero trarre le misure del
giusto L dell' i ngi usto, se alcuno volesse applicari a questa
scienza con l a medesima indi ferenza e attenzione che pone
"' Saggio sulla intelligmza ll///U, trad. i tal. , Bari, Laterza, 1 95 1 ,
p. 755. Cfr. anche pp. 734 e 776.
nell'altra Tanto ambizioso che lo annunci spesso ma
dovette sempre rinunciare ad attuarlo.
Senonch, se si considerano i mezzi di cui Locke poteva
disporre per costruire un'etica suscettibile V quanto le mate
matiche, di reale certezza la concezione edonistica del
bene e del male cui era giunto nell'Essay non era certo la
pi adatta allo scopo: chi voglia costruire un'estetica dimo
strativa si metterebbe su una cattiva strada, se partisse dal
l'idea che bello ci che piace. Cos la speranza di un'etica
dimostrativa non sembra molto ben riposta quando ci si afda
a sentimenti cangianti del piacere e del dolore. Se bene
ci che procura piacere, e male ci che procura dolore, buona
l'azione conforme ad una legge che d un premio a colui che
l 'ubbidisce, cattiva l' azione conforme alla legge che stabilisce
un castigo per i trasgressori: bene e male in questo caso di
pendono da ci che stabilisce la legge, e ci sono tanti beni
e tanti mali quanti sono i diversi tipi di leggi. Locke stesso,
com' noto, ne riconosce, nell'Essay, tre tipi: la legge divina,
la legge civile, la legge dell'opinione, e ammette francamente
che essendo il bene e il male morale la conformit o di
scordanza delle nostre azioni volontarie rispetto a qualche
legge, in seguito a che ci procuriamo un bene o un male, a
causa della volont e del potere del legislatore 38, ci che
bene per una legge pu essere male per l' altra, come ad es. il
duello che peccato rispetto alla legge di Dio, virt in certi
paesi per la legge del costume, delitto per la legge civile d
certi altri paesi. Polio, vero, cerca di nobilitare l'edonismo
di Locke lustrandone la sua patina teologica per cui piaceri
e dolori sono segni della saggezza divina, che debbono
essere interpretati ragionevolmente. Ma resta il fatto che
piacere e dolore sono idee semplici non ulteriormente riduci
bili, che non possono venir n descritte n defnite, conoscibili
94
Saggio, ediz. cit., p. 755.
37 Saggio, ediz. cit., p. 776.
Saggio, ediz. cit., pp. 480-481 . Cfr. anche pp. 486-487.
solo con l'esperienza V come accade per le idee semplici dei
sensi ; e che V le cose sono buone o cattive solo in rapporto
al piacere e al dolore L'edonismo l'etica di un empiri
stica coerente e integrale.
Ma occorre forse ripetere che l'etica edonistica dell'Essay
rimase un programma, non divent mai un sistema? l fon
damenti flosofci delle opere pi propriamente dedicate al
problema etico e politico non hanno niente a che vedere con
l' edonismo dell'Essay. Lo stesso Polio non pu fare a meno
d osservare, a proposito degli Essays giovanili sul diritto
naturale, che la dimostrazione della legge naturale si trova
nella struttura teleologica del mondo, sino a concludere che
il fondo del pensiero di Locke non l'empirismo ma V l'esi
stenza di un ordine di cose pieno di senso, bench sfugga di
fatto in parte alla curiosit degli uomini 40 ; di conseguenza
non pu evitare di mettere in rilievo la sostanziale identit tra
il giusnaturalismo degli anni giovanili e quello del secondo
trattato sul governo civile dove i problemi di fondo del giusna
turalismo - l'esistenza, la conoscenza e il fondamento della
legge naturale -, sono dati ormai come una volta per tutti
risolti e quindi non bisognosi di particolare esame. Con questa
osservazione Polio coglie, a mio parere, perfettamente nel
segno. Ma proprio sulla base di questa osservazione, pu
essere sicuramente confermata la diferenza profonda, rispetto
ai fondamenti, tra l' Essay, che abbozza le linee di un'etica
edonistica senza svilupparla, e l'opera politica principale, che
sviluppa una compiuta teoria della societ e dello stato senza
troppo preoccuparsi dei fondamenti. E infatti l'edonismo
dell'Essay, e il conseguente relativismo, restano, rispetto al
l'elaborazione efettiva di un sistema morale e politico, com
piuta da Locke soprattutto nel secondo trattato, enunciazioni
di principio, senza conseguenze. Il secondo trattato un
tentativo di ricostruzione razionale della societ civile, ispirato
39 Saggio, ediz. cit. , p. 306.
.
La politique morale, cit. , p. 1 18.
95
v
al principio, meglio si direbbe al postulato, di una legge na
turale che governa gli uomini, e che compito della nostra
ragione scoprire e della nostra volont rendere efcace; rientra
nel solco del giusnaturalismo moderno in ci che ha di pi ca
ratteristico, cio nel razionalismo etico, e lo riprende e lo uti
lizza proprio in quegli elementi fondamentali in cui il giusnatu
ralismo moderno riproduce quello classico (lo stesso Polio nota
le somiglianze tra un testo di Locke e uno di Cicerone). Ag
giungo che su questo punto sarei incline a vedere Locke an
che meno modero di quel che l' abbia considerato il Viano:
le frequenti dichiarazioni sulla legge naturale che si trovano
nel secondo trattato sono di un'acrisia e di un'ingenuit stu
pefacenti: vi si dice che la legge naturale V scritta nel cuore
di tutti gli uomini , oppure reperibile V nella mente degli
uomini , oppure V evidente ed intellegibile ad ogni creatura
ragionevole ecc. Quando poi si vada a vedere in che cosa
consiste questa V natura che ritorna quasi ad ogni pagina,
ci si ritrova di nuovo di fronte alla vecchia teoria delle in
clinationes, che corre lungo tutto l'arco del giusnaturalismo;
di queste inclinationes Locke nomina espressamente il deside
rio ( desire) di conservazione e quello di procreazione ( I, 88) .
Con questa contrapposizione tra l'etica dell'Essay e l' etica
degli scritti giuridici e politici non si vuoi dire che questi
ultimi compongano una linea coerente di sviluppo e non esista
tra gli scritti della giovinezza e quelli della maturit alcuna
diferenza. Una diferenza esiste, anche se Polio, tutto preso
dalla sua ricostruzione unitaria, non ha creduto di doverla
sottolineare. Anzitutto vi una diferenza rispetto ai fonda
menti . Nel primo degli Essays Locke d della leg
g
e naturale
una definizione volontaristica: V Ordinatio voluntatis divinae
lumine naturae -ognoscibilis 42 ; nel secondo trattato, pro-
, babilmente sotto l'infusso di Richard Hooker, identifca sic
et simpliciter la legge naturale con la ragione: And Reason,
96
l 1
Il. 1 1 , 136, 1 24.
" Ediz. VLI Leyden, p. 1 10.
which is that Law ( II, 6) . Locke aveva subito nei primi anni,
come ora stato rivelato dallo studio e dalle pubblicazioni dei
due scritti sul magistrato civile, l'ifusso di Hobbes, tanto
da essersi messo dalla parte di coloro che negavano una sfera
riservata alla libert dell'individuo nelle cose indiferenti e ap
poggiavano le tesi autoritarie dei sostenitori del potere asso
luto e arbitrario del sovrano. Il volontarismo del giovane
Locke riecheggiava il volontarismo del vecchio Hobbes, che
proprio negli stessi anni in cui Locke iniziava la sua carriera
di scrittore, componeva la sua ultima opera giuridica, il Dia
logue between a Philosopher and a Student of the Common
Laws of England, in cui ribadiva energicamente, sin dalle
prime pagine, la sua convinzione col detto: It is not wisdom,
but authority that makes a law. Ma per cancellare ogni dif
ferenza tra i saggi giovanili e il secondo trattato Polio co
stretto ad attenuare l'hobbesianesimo iniziale di Locke: a
tal fne cita alcuni passi sulla libert della Prefazione al
lettore del primo trattato sul magistrato civile nei quali non
riesco a trovare che un elogio di maniera e un riconoscimento
a denti stretti della libert civile, inserito in un contesto di
cos zelante ossequio all'autorit e di cos evidente intonazione
autoritaria da far comprendere benissimo l'oblio in cui lo
stesso Locke volle tenere quelle sue prime esercitazioni di
scrittore politico. La tesi centrale del primo trattatello, di
sapore tipicamente hobbesiano (certamente pi del secondo),
che il supremo magistrato qualunque sia il modo in cui
creato, deve necessariamente avere un potere assoluto e arbi
trario su tutte le azioni indiferenti del suo popolo Circa
il problema del diritto del sovrano di intervenire nelle cose
indiferenti relative al culto c'erano due tesi in contrasto: la
tesi, che oggi diremmo liberale, che lo negava; la tesi antili
berale che lo afermava. Locke scrive i due trattatelli per
sostenere la seconda tesi, cio per sostenere una tesi che dia
metralmente opposta a quella che difender negli scritti
-43 Scritti editi e inediti sulla tolleranza, ediz. cit., p. 156.
97
7. N. BoBBIO Da Hobbes a Marx.
successivi, a cominciare dall'Essay concerning toleration, del
1667, che hanno fatto di lui il flosofo della tolleranza e del
liberalismo. La spaccatura tra il primo e l'ultimo Locke
nettissima, e riguarda non soltanto i fondamenti, ma, quel che
pi, le soluzioni : il Locke del secondo trattato l'antitesi
del Locke dei due trattatelli giovanili, e il passaggio dall'una
all'altra fase segnato da un rapido e risoluto distacco dal pri
mitivo, convinto hobbesianesimo. Hobbes era stato i pi
ardito e conseguente teorico del dovere d'obbedienza: nel De
cive aveva chiamato quest'obbedienza semplice per fare
intendere che l'obbedienza del suddito deve essere tanto estesa
quanto basti per consentire al sovrano l'esercizio del suo di
ritto, e non se ne pu dare una maggiore . Locke, nel secondo
trattato, difender con abilit e con argomenti che qualsiasi
scrittore autoritario non esiterebbe a considerare demagogici,
il diritto di resistenza. Al contrario, nei due trattatelli giovanili
il diritto di resistenza non riconosciuto, neppure nei casi pi
odiosi di abuso del potere da parte del sovrano. Locke am
mette, sl, nel secondo trattatello, molto pi interessante dal
punto di vista della teoria generale della politica e del diritto,
e anche meno hobbesiano del primo, l'obbedienza passiva, che
Hobbes aveva respinta; ma l'obbedienza passiva era un omag
gio all'ipocrisia assai pi che un riconoscimento della libert
dei sudditi; e l'ammette comunque soltanto nel caso estremo
di prevaricazione, quando i sovrano viola la legge naturale.
- In altri due casi di potere distorto, quello del sovrano che
regola comportamenti riservati al suo potere (le cose indife
renti ) ma con intenzione cattiva, e quello del sovrano che
regola comportamenti indiferenti vincolando anche la co
scienza, Locke pretende addirittura l'obbedienza attiva .
Quanto al sovrano prevaricatore, Loke ripete la formula tra
dizionale di ogni teoria assolutistica, afermando che questi
De Cive, VI, 13.
Ho sviluppato maggiormente questo tema nel mio corso Locke
e il diritto naturale, Torino, Giappichelli, 1963, 15.
98
non viola alcun diritto dei sudditi, ma semplicemente com
mette peccato: il che dal punto di vista giuridico comporta
due conseguenze: a) il sovrano obbligato solo di fronte a
:io e quindi risponde dei propri misfatti politici solo di
fronte a Dio e non ai sudditi; b) i sudditi non hanno alcun
diritto a che il sovrano non eserciti oppressivamente il potere
(solo Dio ha questo diritto), e pertanto non hanno quel diritto
di opposizione all'abuso, in cui consiste appunto il diritto di
resistenza. Di fronte ad uno dei problemi centrali della flosofa
politica di tutti i tempi, quali siano la natura e i limiti dell'ob
bligazione politica, difcile immaginare due posizioni pi
contrastanti come quelle del primo e del secondo Locke.
Rispetto all'altro tradizionale problema di ogni inter
pretazione lockiana, quale sia i rapporto tra la flosofa di
Locke e il suo pensiero politico, tra i Loke dell'Essay e il
Locke dei Two Treatises, Polin prende una posizione altret
tanto netta: mentre Laslett, come abbiamo visto, esclude
qualsiasi rapporto tra l'una e l'altra opera, Polin sostiene
con forza la tesi dell'unit del pensiero lockiano e quindi
dell'indissolubilit delle due opere, testualmente di una so
lidarit incomparable , onde non si pu comprendere l'una
senza l'altra Per provare il suo assunto, non segue per la
via pi battuta: tra i vari argomenti, sceglie quello piuttosto
insolito del potere . Efettivamente, come si visto, il
tema centrale della teoria politica lockiana il tema del potere:
tutto il secondo trattato si pu considerare come un tentativo
di caratterizzare i potere civile come tipo di potere distinto
tanto dal potere familiare quanto dal potere dispotico. Al con
cetto di potere dedicato uno dei capitoli pi discussi del
l'Essay, il capitolo ventunesimo che contiene la celebre
trattazione della libert. Ma quale sia poi il rapporto tra i
concetto di potere illustrato dall'Essay e quello di cui si vale
nel secondo trattato, il Polin non si soferma a spiegare. La
verit che non esiste alcun rapporto. Quando Locke parla
"
La politique morale, cit., p. 164.
99
dell'idea del potere nell' Essay si riferisce ai poteri naturali
( il potere del fuoco di fondere l'oro) ; i poteri del secondo
trattato sono poteri umani o morali, istituiti dall'uomo.
singolare che nella prima opera non vi sia alcun riferimento ai
poteri istituiti, nella seconda non vi sia alcun riferimento ai
poteri della natura: nelle due opere Locke parla di due con
cetti che appartengono per lo meno alla stessa famiglia, ma
non mostra di accorgersene, e non accenna neppure con la
pi tenue allusione al possibile passaggio dall'uno all'altro.
Chi volesse cercare di gettar qualche luce sulla teoria del
potere politico studiando l' analisi del concetto di potere
nell'Essay, tornerebbe a mani vuote. Quanto al problema
della libert, la lunga trattazione dell'Essay si riferisce alla
libert del volere, il secondo trattato si riferisce alla libert
civile, intesa nel duplice senso di potere di agire non impe
dito dal potere altrui e di dovere di non sottomettersi ad
altro potere che a quello stabilito per comune consenso
( II, 22) : la prima trattazione non di alcuna utilit al
chiarimento della seconda, dal momento che l'una esamina
il problema della libert di scelta, connesso alla questione
del determinismo e dell'indeterminismo, l' altra esamina il
problema della libert politica, connessa alla questione del
l' assolutismo e del liberalismo. E di fatto Locke non mostra
mai di avere alcun interesse di passare dall'una all'altra.
4. Locke, un hobbesiano mascherato? Il libro di R
chard H. Cox solleva un altro dei problemi pi dibattuti
della critica lockiana: il problema dei rapporti tra Hobbes
e Locke. Cox rovescia l 'opinione tradizionale che considera
Locke l'antitesi di Hobbes, e sostiene sulla base di una minu
ziosa indagine testuale, soprattutto sul concetto lockiano di
stato di natura, che l 'infusso di Hobbes su Locke fu deter
minante rispetto alla posizione assunta da Locke di fronte
ai
e crede
r
glio < etro f
limiti della legge di natura . Ma la mtgltore defmz
one d1 ltberta
in questo senso si legge all'inzio del 22
;
^ La libert naturale
dell'uomo consiste nell'esser libero da ogm potere supenore sulla
terra e nel non sottostare alla volont o all'autorit legislativa d
alcuno, e nel non avere per propria norma che la legge di natura .
51 De Cive, I, 3.
(105
di un individuo su un altro ( 4 ) , si riferisce cio ad una
eguaglianza non fsica ma giuridica. Dal diverso modo di
intendere la libert e l'eguaglianza, deriva il diverso modo
di spiegare l'origine e la ragione della trasformazione dello
stato di natura in istato di guerra: in Hobbes la guerra di
tutti contro tutti una conseguenza e della libert illimi
tata che mette necessariamente ogni uomo contro il suo
simile e dell'eguaglianza fsica che rende possibile material
mente l 'ofesa ( se gli uomini fossero per natura diseguali,
non vi sarebbe guerra ma sottomissione del pi debole al
pi forte ) ; secondo Locke, perch nasca dallo stato di natura
uno stato di guerra, devono verifcarsi due condizioni : a )
che un individuo abusi della sua libert ( solo di una libert
limitata, come quella di Locke, si pu abusare ) , violando
le leggi naturali; b ) che la persona dell'ofeso, facendosi
giustizia da s per efetto dell'eguaglianza reciproca, e quindi
della mancanza di un superiore cui possa appellarsi per rin
tuzzare l 'ofesa e punire il colpevole, ecceda nella difesa e
ofenda a sua volta l 'ofensore. Lo stato di natura hobbe
siano , immediatamente, uno stato di guerra: non pu essere,
dati i presupposti, che uno stato di guerra. Al contrario,
perch lo stato di natura lockiano diventi uno stato di guerra
occorre in un primo tempo la violazione di una qualsiasi
legge naturale che prescrive una determinata condotta, cio,
secondo la terminologia moderna, della norma primaria, in
un secondo tempo, la violazione della legge naturale che
autorizza l'ofeso a chiedere una giusta riparazione del danno
o una giusta punizione del colpevole, cio della norma secon
daria. Come si vede, gl'inconvenienti che Hobbes scopre nello
stato di natura sono molto pi gravi di quelli che vi scopre
Locke: per Hobbes manca nello stato di natura addirittura
la legge, perch la legge positiva non esiste ancora e quella
naturale esiste ma inefcace, per Loke manca soltanto il
giudice imparziale, cio colui che s'imponga ai litiganti per
fare rispettare la legge naturale. Sinteticamente: nello stato
di natura lockiano mancano, nel senso che non esistono,
106
soltanto le norme secondarie; in quello hobbesiano man
cano, nel senso che non sono efcaci, anche le norme pri
marie. Proprio perch lo stato di natura hobbesiano uno
stato senza leggi, in cui ogni individuo, cosl come il sovrano
una volta costituito il potere civile, legibus solutus} uno
stato di totale anarchia, quello lockiano, essendo privo di
giudici imparziali, corre continuamente il pericolo di dege
nerare in uno stato di anarchia: uno stato di guerra non
totale e permanente, ma parziale e intermittente, non esi
stente ab initio} ma destinato probabilmente a continuare,
per ripetere ancora una volta il testo pi espressivo del
secondo trattato, once begun.
Poich il rimedio agli inconvenienti dello stato di natura
lo stato civile, la diversa gravit degli inconvenienti giu
stifca la diversa natura del rimedio. Hobbes e Locke, par
tendo da presupposti diversi, giungono a conclusioni diverse;
se si vuole, le conclusioni diverse cui giungono, e su cui
nessuno pu sollevare dubbi fondati, sono alla loro volta
una riprova della diversit dei presupposti, che un'analisi
come quella di Cox fnisce per far dimenticare. Hobbes,
partendo dal presupposto dell'inesistenza delle leggi nello
stato di natura, attribuisce al potere civile il compito pri
mario di fare le leggi, e non concepisce altre leggi vincolanti
che quelle poste dal potere civile; Locke, prendendo le
mosse dall'inesistenza del giudice imparziale, attribuisce al
potere costituito il principale compito di dirimere le con
troversie che possono sorgere tra gli individui nella appli
cazione delle leggi naturali. Hobbes : a male radicale, rime
dio radicale. Locke: a male parziale, rimedio parziale. Lo
stato di Hobbes nasce con il compito di cancellare anche
l'ultima traccia dello stato di natura, una restauratio ab
imis fundamentis; lo stato di Locke nasce con il compito
pi limitato di correggere lo stato di natura e di farlo rie
mergere, con tutti i suoi vantaggi, quanto pi possibile,
nello stato civiie.
107
5. Locke, teorico del capitalismo. Anche Macpherson,
come Cox, riconduce Locke ad Hobbes. Ma il procedimento
dei dui autori diverso: Cox isola un tema, quello dei rap
porti internazionali, e mostra che rispetto a questo tema i
testi di Hobbes e quelli di Locke sono identici ; Macpherson
elabora una categoria storiografca generalissima, quella che
d il titolo al volume, la categoria dell 'individualismo pos
sessivo, e vi comprende tanto Hobbes che Locke ( oltre i
livellatori e Harrington ) . Se il primo metodo, come abbiamo
visto, pecca per la parzialit della prospettiva, il secondo
conduce a vedere le somiglianze generiche, che nessuno ha
mai potuto negare, e a perdere di vista le diferenze spe
cifche, quelle che contano. Locke rappresenterebbe, dunque,
secondo il Macpherson, il punto culminante della teoria
individualistica della societ, di cui Hobbes rappresenta il
principio. I carattere peculiare che contraddistingue l'indi
vidualismo che va da Hobbes a Loke di essere posses
sivo , ossia di considerare l 'individualismo come essen
zialmente proprietario della sua propria persona o capacit,
e quindi come in nulla debitore verso la societ di ci che
possiede L'individualismo possessivo la teoria che
rifette la nascita della societ borghese e del capitalismo
moderno, e si ispira al modello di una societ contraddi
stinta dall'economia di mercato e dalla riduzione del lavoro
a merce ( il lavoro alienato), che il Macpherson chiama, ana
logamente, societ di mercato possessiva . Basta richia
mare per un momento alla mente la teoria lockiana della
propriet, magari proprio l'inizio del 27 del secondo trat
tato, dove Locke deriva il diritto di propriet sulle cose
dalla propriet che ogni uomo ha sulla propria persona e
quindi anche sul lavoro del suo corpo e sull' opera
delle sue mani , per rendersi conto che Locke inconfu
tabilmente un individualista possessivo.
La parte migliore dell'analisi del Macpherson quella
'" The Politica! Tbeory of Possessiue Individualism, cit., p. 3.
1 08
i cui l'autore sfata la leggenda, di tanto in tanto riaio
rante, di un Locke precorritore di idee socialiste 53 Nella
dottrina di Locke, condotta alle sue estreme conseguenze,
si trovano, invece, tutte le premesse per giustifcare il d
ritto alla accumulazione illimitata della ricchezza, propria
della societ capitalistica in espansione. Alcune pagine di
Macpherson illustrano abilmente il contrasto, nella teoria
lockiana della propriet, tra i limiti della propriet inerenti
ad un diritto che trova il proprio fondamento nel lavoro,
e il superamento di questi limiti che d fatto avviene nella
societ reale descritta da Locke: per limiti della pro
priet intendendosi non gi, nel senso in cui ne parlerebbe
un giurista, i limiti all'esercizio del diritto di propriet, ma
i limiti rispetto alla possibilit di accumulare ricchezza, cio
rispetto alla quantit d beni di cui un individuo pu di
sporre. Secondo l' analisi di Macpherson questo diritto all'ac
cumulazione non ha, per Locke, alcun limite, non tanto per
quel che egli dice espressamente, ch anzi egli aferma i
contrario, ma secondo quel che si pu ricavare dall'interpre
tazione della sua dottrina. Macpherson illustra tre limiti
i nerenti al concetto stesso di propriet fondata sul lavoro
e i tre rispettivi superamenti : l) ognuno impossessandosi
col proprio lavoro di una parte del mondo esterno ne deve
lasciare quanto basti perch anche gli altri possano soprav
vivere A parte la considerazione che questo limite nasce
da un obbligo morale derivato dalla legge naturale, che
impone ad ognuno di esercitare i propri diritti in modo da
Non ha perduto nulla del suo interesse la critica mossa al
Locke per la sua concezione della propriet da R. MONOLFO da un
punto di vista socialista: il fonda
J
e
to della propriet, cs
ogitat
d
Locke conveniente per i bem dt consumo non per mezz1 dt
produione (Dalla dichiarazione dei diritti al Manifesto dei Comunisti,
in Critica sociale , XVI, 1906, pp. 329-332) .
Poich questo lavoro propriet incontestabile del lavora
tore nessun altro che lui pu avere diritto a ci ch' stato aggiunto
medante esso, almeno quando siano lasciate in comune
P
er gfi at
:
ri
cose sufcienti e ultrettanto buone (II, 27). Il cors1vo e ll.
109
non rendere impossibile l'esercizio dei diritti altrui, ed
obbliga solo in coscienza, esso superato di fatto dalla con
statazione, da Locke spesso ribadita, che di terra ce n' in
abbondanza per tutti, e non c' quindi da temere che l'ap
propriazione di uno, per quanto estesa, possa impedire l'a
_
ccu
mulazione degli altri 55; 2) poich il fne dell'istituto della
propriet il sostentamento proprio e della propria fami
glia, ciascuno ha diritto soltanto sulle cose che servono a
questo fne, e pertanto non pu accumulare beni che, non
usati, fnirebbero per deteriorarsi, e sarebbero quindi sot
tratti agli altri senza proprio vantaggio . Ma questo limite
non ha un valore assoluto: vale soltanto in una soiet pri
mitiva in cui non sia ancora comparsa la moneta: la carat
teristica della moneta di essere un bene indeperibile, e
quindi accumulabile indefnitamente senza danneggiare altri.
Chi accumula pi grano di quel che possa consumare, de
frauda tutti gli altri della parte che lascia marcire; chi accu
mula monete, che non si deteriorano, non sottrae nulla a
nessuno. Loke riconosce apertamente che con l'introdu
zione della moneta gli uomini hanno consentito a un pos
sesso della terra sproporzionato e ineguale ( II, 50) ; 3 )
se il lavoro il fondamento del diritto di propriet, natu
rale che la capacit di lavoro di ciascuno ne costituisca anche
il limite. Si potrebbe formulare il principio: Ciascuno ha
un diritto su tutto ci che frutto del suo lavoro . L'ener-
V Quel che ardisco afermare che la stessa norma della pro
priet, cio a dire che ognuno possegga quel tanto di cui pu far
uso, pu sempre valere nel mondo senza pregiudicare nessuno, poich
vi terra sufciente nel mondo da bastare al doppio di abitanti P
( Il, 36). Il corsivo mio.
56 V La stessa legge di natura che ci conferisce [ . . . ] la propriet
ce la limita anche. " Dio ci ha dato abbondantemente ogni cosa " (l Tim.
VI, 17) : questa la voce della ragione confermata dalla rivelazione.
Ma con quale limitazione Dio ce l'ha data? " A godere ". Di quanto
si pu prima che vada perduto far uso a vantaggio della propria vita,
di tanto si pu col proprio lavoro istituire la propriet: tutto ci che
oltrepassa questo limite, eccede la parte di ciascuno e spetta ad altri
( Il, 3 1 ). Il corsivo mio.
1 10
gia lavorativa di ciascuno ha dei limiti; quindi il diritto di
propriet naturalmente limitato quanto alla sua pos
sibile espansione. Ma il lavoro di cui parla Locke il lavoro
mio o anche il lavoro degli altri che lavorano per me? La
risposta lockiana non dubbia: il lavoro cosa che appar
tiene all'uomo, il quale pu alienarlo come pu alienare tutte
le cose di cui in possesso. Ammessa l'alienabilit del
lavoro, colui che acquista il lavoro altrui ha diritto sulle
cose prodotte dal lavoro acquistato, quindi ha tanto mag
giore propriet quanto ha pi gente che lavora per lui. Cos
viene trasceso il limite al diritto di propriet nascente dalla
disponibilit naturalmente limitata delle propri energie
Quest'analisi dei limiti della propriet, posti e superati,
pu essere utilmente integrata dalla menzione di un quarto
limite trasceso , di cui Macpherson non fa menzione: si
tratta del limite derivante naturalmente dalla constatazione
che la stessa vita umana limitata. Se il diritto di pro
priet legato all'energia spesa dall'uomo per trasformare
le cose materiali e farne oggetti utili, il diritto dovrebbe
cessare quando l'energia vien meno, cio con la morte. Che
cosa avviene alla morte del proprietario dei beni che gli
appartengono? Il problema del diritto successo rio viene
discusso incidentalmente da Locke nel primo dei Two Trea
tises ( I, 86 e ss. ), e per questo di solito trascurato dagli
studiosi, ma non per questo meno rilevante al fne che
i Macpherson si proposto Secondo la logica del sistema,
poich la propriet nasce dallo sforzo personale con cui
` Un passo molto signifcativo per provare che Locke ammetteva
il lavoro alienato il seguente: ^ E il prendere questa o quella parte
non dipende dal consenso esplicito di tutti i membri della comunit:
cosi l
'
erba che i mio cavallo ha mangiato, le zolle che il mio servo
ha tagliato, il minerale che io ho scavato in un luogo in cui io vi
ho diritto in comune con altri, diventano mia propriet senza l'asse
gnazione o il consenso di alcuno (Il, 28). Il corsivo mio.
Ma si veda l'esauriente saggio di G. SoLARI, I fondamento
naturale del diritto successorio in Giovanni Locke, in ^ Atti R. Ace.
Scienze di Torino , LIX, 1924, pp. 745-774.
1 1 1
ognuno prende e trasforma le corse ongmariamente in co
mune, queste cose dovrebbero torare alla morte del pro
prietario alla comunit. Ma Locke esclude di proposito
questa limitazione, e la esclude introducendo, accanto allo
istinto di conservazione, l'istinto di propagazione, da cui
nasce nei fgli il titolo a partecipare alla propriet dei geni
tori e il diritto di ereditare i loro possessi ( I, 88) . Come
non c' bisogno di lavorare in proprio perch sufciente
che lavorino per me altri di cui ho acquistato l' energia lavo
rativa; cos non c' bisogno di lavorare in proprio anche
per un'altra ragione: basta essere discendenti legittimi di
chi ha lavorato per noi .
Se sono accettabili le osservazioni di Macpherson sulla
teoria della propriet in Locke, non sono altrettanto accet
tabili, anzi sono francamente incredibili, le conclusioni che
ne trae, qual! le due seguenti : a) Locke uno scrittore col
lettivista e non individualista, inteso il collettivismo come
quella dottrina che aferma la supremazia dello stato sull'in
dividuo; b) il potere supremo di Locke assoluto come
quello di Hobbes, e pertanto non c' alcuna diferenza tra
il secondo trattato e gli scritti giovanili. Su quest'ultimo
punto Macpherson si ricongiunge alla tesi di Polin, ma per
una ragione diametralmente opposta: Polin vede una con
tinuit tra l'uno e l' altro Locke perch considera anche il
primo Locke come un liberale; Macpherson vede una con
tinuit tra i due estremi, perch considera anche il secondo
Locke come un assolutista. Per sostenere queste sue tesi
paradossali Macpherson porta innanzi soprattutto due argo
menti : aa) la societ di Loke una societ di classe fondata
sulla disuguaglianza non solo economica ma anche spirituale
degli uomini ( i poveri non sono neppure essere ragionevoli) ;
bb) l o stato non ha altro scopo che l a difesa della propriet.
Entrambi gli argomenti sono, a mio giudizio, irrilevanti:
altro la struttura economica e sociale di una societ, altro
l
sua str
?
ttura giuridica che sola in questione quando si
discute dt assolutismo e di liberalismo. Macpherson con-
1 1 2
fonde la considerazione sulla sostanza con la considerazione
sulla forma, e trasporta il proprio giudizio politico sul ter-
. reno della teoria giuridica dello stato, di cui non riesce a
cogliere i caratteri originali . Non si vede quale sia il nesso
logico tra l'afermazione che lo stato appartiene solo ai pro
prietari e l'afermazione che lo stato superiore agli indi- .
vidui. Il Macpherson si limita ad afermare che se lo stato
deve essere in gtado di proteggere le propriet l'autorit
politica deve essere suprema sopra gli individui, altrimenti
non ci pu essere alcuna sicurezza che le istituzioni della
propriet essenziali a questo genere d'individualismo pos
sano avere sanzioni adeguate Ma che l' autorit dello
stato debba essere suprema un'afermazione cos ovvia
che non si sa quale conseguenza se ne possa trarre: i pro
blemi di fondo di una teoria dello stato vengono dopo, cio
quando si comincia a discutere se quest'autorit suprema
abbia limiti e di quale natura ed estensione. Ora su questo
punto l' analisi di Macpherson stranamente lacunosa: si
richiama esclusivamente ai passi del capitolo nono in cui
Locke, descrivendo il passaggio dallo stato di natura allo
stato civile, dice che questo passaggio avviene con la rinun
cia da parte degli individui ai due poteri fondamentali che
l'uomo possiede nello stato di natura, quello di provvedere
alla propria conservazione e quello di punire coloro che vio
lano la legge naturale, e con il trasferimento di questi diritti
al corpo politico. Ma sorvola sulle ragioni per cui avviene
questo passaggio, che consistono essenzialmente, com' noto,
e come Locke non si stanca dal ripetere ad ogni occasione,
nella conservazione della propriet. A parte il fatto che il
nostro autore sembra ignorare i passi, ben noti, in c Locke
aferma di intendere propriet in senso largo s da inclu
dervi altri diritti naturali come la vita e la libert
60, la
Op. cit., p. 256.
^ L'uomo [ . . . ] ha per natura il potere non soltanto di con
servare la sua propriet e cio la propria vita, libert e fortuna
1 1 3
8. N. BoBBIO Da Hobbcs a Marx.
difesa della propriet, comunque intesa, costituisce dello
stato non soltanto lo scopo, ma anche il limite: Hobbes,
che mirava a eliminare il pi possibile le limitazioni al po
tere dello stato, aveva concepito la propriet non come un
diritto naturale ma come un diritto positivo; Locke, in
vece, gi nello stesso passo dianzi citato, che Macpherson
adduce per sostenere la propria tesi : e . e gli uomini, quando
entrano in societ, rimettono l'eguaglianza, la libert e il
potere esecutivo, che essi hanno nello stato di natura, nelle
mani della societ , aggiunge poco dopo che i potere
della societ, o il legislativo da essi costituito, non si pu
mai supporre che trascuri il bene comune, ma obbligato
a garantire la propriet di ciascuno ( II, 1 3 1 ) . Questo
passo deve essere collegato coi due passi stranamente pas
sati sotto silenzio dal Macpherson, i cui Locke esamina i
casi di dissoluzione del governo per abuso di potere da
parte del legislativo o dell'esecutivo, e di conseguente legit
timazione del diritto di resistenza. Il primo passo molto
chiaro: Il legislativo agisce contro la fducia riposta in lui,
quando tenta di violare la propriet dei sudditi e d rendere
s o una parte della comunit padrone o signore arbitrario
delle vite, libert ed averi del popolo ( II, 221 ). Il
secondo passo ancora pi chiaro: Il legislativo [ e q . ]
ogni qual volta [ e . e ] tenta di porre in possesso proprio o
in mani altrui il potere assoluto sulle vite, libert e averi
del popolo, con questa infrazione della fducia perde il
potere che il popolo ha posto nelle sue mani per fni del
tutto opposti, e questo potere ritorna al popolo, che ha il
diritto di riprendere la sua libert originaria ( II, 222) .
Si noti quel padrone o signore arbitrario del primo pass
e quel potere assoluto sulle vite, libert e averi del
( II, 87) ; ^ o o . non senza ragione che l'uomo cerca e desidera
unirsi in societ con altri che gi sono riuniti, o hanno intenzione
di riunirsi, per la mutua conservazione della loro vita, libert e averi,
cose ch'io denomino, con termine generico, propriet >> ( II, 123 )
Il corsivo mio.
1 14
secondo: il Locke degli scritti giovanili non aveva avuto
alcun ritegno ad usare questi due aggettivi, quando aveva
afermato che il sovrano, in qualunque modo sia creato,
deve necessariamente avere un potere assoluto e arbitrario
su tutte le azioni indiferenti del suo popolo
6
le e
il governo, tanto da farne quasi il nodo di una nuova inter
pretazione. A parte il fatto che Locke usa V societ civile
come sinonimo di V societ politica l molto pi spesso
ques
t
a seconda espressione, per V societ civile o politica
egli intende, secondo la terminologia del tem o, n pi n
=
\O' s ro.
c\ ;(
o
125
meno che lo stato, cio quella particolare forma di asso
ciazione che si distingue da tutte le altre possibili associa
zioni dallo scopo per cui istituita, scopo che consiste nel
mettere in comune non questo o quel bene, ma la forza:
Vi societ politica soltanto l ove ciascuno dei membri
ha rinunciato al proprio potere naturale, e lo ha rimesso
nelle mani della comunit ( II, 87) . Non chiaro donde
Viano abbia tratto la sua interpretazione delle societ civili
come V concrezioni d'interessi sulla cui base sorger lo stato
vero e proprio 75, e a qual titolo possa parlare di una
realt della societ civile e della spontanea organizzazione
sociale prima e fuori dello stato 76, con un'accezione di
societ civile che riecheggia magari senza volerlo la bur
gerliche Gesellschaft di Hegel, tradotta abitualmente e mala
mente in societ civile . Ci che Viano chiama societ
civile i realt la societ naturale, di cui la societ civile
dovrebb'essere, in una costituzione secondo natura, il rifesso
quanto pi possibile fedele. Questo scambio tra societ
civile e societ naturale, oltre ad attribuire a Locke l 'idea
di un momento intermedio tra stato di natura e stato, che
non gli appartiene, fnisce per oscurare uno dei motivi pi
importanti della teoria politica lockiana: l 'allargamento dello
stato di natura ad una vera e propria societ naturale, in
cui gli uomini seguendo le leggi naturali istituiscono la
famiglia e la propriet, e perseguendo i loro interessi instau
rano quei rapporti di disuguaglianza di fatto, che sono giu
sti proprio perch naturali, e in quanto giusti e naturali,
lo stato fondato sul rispetto della legge naturale dovr rico
noscere e legittimare.
Il giusnaturalismo di Locke, che poi tutt'uno col suo
liberalismo e con la sua teoria dello stato limitato e con
trollato, si esprime principalmente nell' afermare l'esi
stenza e la bont d' una societ naturale distinta dalla
126
75 Op. cit., pp. 214-215.
` Op. cit., p. 266.
societ politica. Poich la societ naturale di fatto preva
lentemente la rete dei rapporti economici, questo giusnatu
ralismo lockiano contiene una teoria del primato dell'econo
mico sul politico, mentre l' antigiusnaturalismo di Hobbes
si risolve nella teoria opposta del primato del politico sul
l'economico. Il perno del sistema lokiano la teoria della
propriet: orbene, la propriet l'istituto fondamentale della
vita economica. La scoperta di Locke, almeno di fronte ai
suoi immediati predecessori, che la propriet un istituto
naturale, non civile; il suo assunto quello di far retroce
dere l 'origine della propriet allo stato di natura. Di fronte
ad Hobbes, che aveva fatto della propriet un istituto di
diritto positivo, Pufendorf aveva iniziato, ma non condotto
sino in fondo, la retrocessione, facendone un istituto di
diritto naturale convenzionale. Solo Locke riesce, con la
sua teoria del lavoro come titolo d'acquisto della propriet,
riportarla al fondo, cio all'energia dell'individuo, unico
signore del proprio corpo. Attraverso l' acquisto e lo scam
bio dei beni i destini dell'uomo si consumano nella societ
naturale: quando sorge la societ civile il gioco gi fatto.
Non per nulla la ragione principale per cui sorge la societ
civile, cio quella societ che ha per iscopo la convivenza
pacifca, la conservazione della propriet. Del resto la sot
tile ed ampia analisi che Viano fa delle ragioni politiche
e ideologiche della tesi lockiana, maturata in un certo a
biente economico interessato alla libera espansione della
ricchezza, conferma questo giudizio, e d una risposta non
evasiva alla domanda in che senso Locke possa dirsi giusna
turalista. Il giusnaturalismo di Locke la fducia nello svi
luppo naturale, cio secondo leggi naturali, e non civili,
delle condizioni basilari della vita economica : questa fducia
lo induce a sottrarre quanto pi materia possibile alla
regolamentazione della legge civile. Per aferrare la chiave
del sistema, uno dei passi decisivi quello in cui Locke
scriv che V le obbligazioni della legge di natura non ces
sano nella
_
societ, ma in molti casi diventano pi coattive
1 27
( II, 135) . La societ civile assume e riassume la societ
naturale, e vi aggiunge la coazione, dal momento che il fne
esclusivo per cui la societ civile sorge la comunione e
l 'unione della forza. Il giusnaturalismo, col qual nome s'in
tende la teoria che fa posto al diritto naturale nel sistema
del diritto vigente e lo considera gerarchicamente superiore
al diritto civile, ha assunto storicamente tre forme secon-
'
doch la legge naturale venisse considerata o come principio
di derivazione del diritto positivo, o come fondamento del
l'intero sistema del diritto positivo, o come l'insieme delle
norme primarie rispetto alle quali il diritto positivo costi- ,
tuisce l' insieme delle norme secondarie 77 Delle tre forme
quella che fa maggiori concessioni al diritto naturale o
in altre parole, estende maggiormente l' ambito del di;itt
naturale rispetto a quello del diritto positivo, la terza.
Il sistema lockiano pu essere considerato come un'espres
sione tipica di questa terza concezione. In questo senso Locke
un classico del giusnaturalismo moderno.
` Sulla diferenza tra le tre forme di giusnaturalismo mi sono
s
fer
ato p
.
a lungo nell
'
articolo Giusnaturalismo e positivismo giuri
drco, RlVlsta di diritto civile , VIII, 1962, pp. 503-515.
128
IV. Leibniz e Pufendorf
l . nota la grande infuenza che ebbe sulla valutazione
dell'opera del giusnaturalista seicentesco, Samuel von Pufen
dorf, il giudizio severamente negativo che ebbe ad esprimere
su di lui il Leibniz, oltre che in molte delle sue lettere, nel
breve scritto conosciuto col titolo di Monita quaedam ad
Samuelis Pufendorfii principia. Meno nota, forse, l'im
portanza dire_ta e indiretta, che questo scritto ebbe nella
storia del giusnaturalismo settecentesco, in cui si trov a
rappresentare, per cos dire, il punto di rottura con la scuola
giusnaturalistica del Seicento iniziata con Grazio, e ad assu
mere la posizione di capostipite della scuola di diritto natu
rale culminata con Wolf. Perci si ritenuto opportuno
di richiamare l'attenzione sulle vicende della sua compo
sizione e della sua fortuna.
L'occasione alla stesura di questo breve scritto sul Pu
fendorf fu oferta al Leibniz da Just Christoph Boehmer, pro
fessore di politica ed eloquenza alla Universit di Helm
stadt _ il quale, secondo la testimonianza dello stesso Leibniz,
volendo tenere lezione sul notissimo libro istituzionale
del Pufendorf, De ofci
o
hominis et civis _ o, secondo
un'altra non dissimile testimonianza, volendo spiegare ai
Da non confondere col pi celebre giurista contemporaneo Just
Herrning Boehmer ( 1674-1749), professore alla Universit d Halle.
Remarques de M. de Leibniz sur le premier tome des Nouvelles
littraires de la Haye (Dutens, V, p. 610) .
129
9. N. BoBBIO " Da Hobbes d Marx.
suoi uditori in lezioni private questo libretto 3, pens di
rivolgersi al celebre flosofo di Hannover per averne un
autorevole giudizio. Il Boehmer, che molto probabilmente
non conosceva personalmente i Leibniz, non gli si rivolse
direttamente, ma gli fece chiedere il parere da uno zio
materno a cui doveva essere strettamente legato 4, il celebre
Gerhard Molanus, abate di Loccum, matematico e teologo,
direttore del Concistoro della Chiesa luterana di Hannover,
legato a sua volta da vecchia amicizia al Leibniz per i ten
tativi, da entrambi insieme compiuti, di unifcare la
Chiesa cattolica con quella protestante, e per i rapporti,
insieme intrattenuti in quella circostanza, col Bossuet. Per
tanto, come ricorda lo stesso Leibniz in un'aggiunta al ms.
riprodotta dal Ravier, i giudizio fu steso nell'aprile del
1 706 in forma di lettera al Molanus .
Contrariamente alla maggior parte degli scr1tt1 occasio
nali leibniziani, che dovettero attendere molti anni, o anche
pi d'un secolo, per vedere la luce, se pur la videro, il giu
dizio sul Pufendorf fu pubblicato tre anni dopo la sua com
posizione, ad Helmstadt nel 1 709, a cura dello stesso richie
dente, il quale, quasi certamente con l 'autorizzazione del
l' autore _ lo aggiunse come appendice a certo suo pro-
3 Ep. XXVII ad Seb. Kortholtum, 2 luglio 1715 (Dutens V
p. 328).
' 7
4 Ci che si pu dedurre dal fatto che il Molanus negli ultimi
anni della vita ebbe a designare come suo eventuale successore C
C
<
adiutore al pos
1
:
Il Ba
.
rbe
:
rac, in una nota informatissima del su scrito anti
le1bmzlano, d
.
1 cm parle
.
remo in seguito, precisa che il ms. fu consegnato
al Molan
'
s Il 2 aprile (Jugement d'un Anonyme, in PUFENDORF,
Les devozrs de l homme et du citoyen, traduits du latin par Jean
Barb
.
eyrac, V! ed., Londres, 1 741, II, p. 195, n. 1 ).
l! Rav
tonzz
ancat
?
consenso, i l Boehmer stesso ebbe a protestare per
una allusiOne questo senso del Barbeyrac (da cui trasse probabil
mente l'informazione il Ravier) con una lettera inviata allo stesso
Barbeyrac (nov. 1719) , in cui asseriva di aver pubblicato l'opuscolo
leibniziano col consenso dell'autore (Jugement d'un Anonyme, cit.,
p. 195, n. 1 ).
` JusTI CHRISTOPI IORI BLE1WR Polit. et Eloqu. Prof. Programma
diputationibus XII pufendorfanis ab ]o.
Christoph. Leonhard Ge
ra-Varisco respondente in iis perpetuo publice instituendis praemissum.
Accedit Epistola Viri Excellentissimi ad Amicum qua Monita quaedam
ad principia pufendorfani operis de 0/cio hominis et civis continentur
Helmstadii, ex ofcina Hammiana, 1709.
'
8
E p. XIX ad Se b. Kortholtum, 8 settembre 1 71 1 : V Epistola
mea [ . . . . . ] inserta est nuper uni ex menstruis libellis litterariis qui
Lipsiae germanico sermone prodeunt titulo: Biichersaal D (Dutens V
p. 318) : Cfr. anche Remarques, cit.
7 7
Jugement d'un Anonyme, cit., p. 195, n. 2.
i quando Jea
ar
beyrac, che sin dal 1707 aveva pubblicato la fortunat1ss1ma
traduzione - volgarizzazione francese dell'operetta pufendor
fana ( seguita ad un anno di distanza alla traduzione del
l'opera maggiore, il De iure naturae et gentium), ne itrapren
deva la traduzione in francese, accompagnandola con una
severa ed acuta confutazione e pubblicava l'una e l'altra
insieme in appendice alla quarta edizione dei Devoirs de
l'homme et du citoyen (Amsterdam, P. de Coup, 1 718), col
titolo di Jugement d'un Anonyme sur l'origina! de l'Abreg
de Pufendorf avec des Rfexions du Traducteur. Questa
confutazione, che i pi recente studioso del Barbeyrac con
sidera nella sua brevit mordente uno dei saggi migliori
del giurista francese 1
2
, rappresentava, insieme con una di
fesa del Pufendorf compiuta da uno dei pi noti seguaci
della nuova scuola giusnaturalistica, una riconferma dei punti
fondamentali di distacco tra la scuola giusnaturalistica che ri
conosceva in Grazio il suo capo, e la posizione leibniziana che
ritornava sotto certi aspetti ad una posizione tradizionale. Pro
prio per la nettezza di questo contrasto, la traduzione-confu
tazione del Barbeyrac era destinata a richiamare, assai pi di
quel che fosse avvenuto sino allora> l' attenzione sullo scritto
leibniziano, il quale frattanto, nella chiara traduzione francese
seguita dalle annotazioni del professore di Losanna, parte
cipava della straordinaria fortuna dell'edizione francese del
l 'operetta pufendorfana 13 , si che ci vien fatto di ritrovarlo,
dell'opuscolo antipufendorfano aveva
_
le sue
.
buone ragi
?
ni per nascon
dersi, aggiunge che fu questo forse ti motivo che lo musse a pub
;
blicare le sue meditazioni in un programma accademico V perche
gli scritti di questo genere non son soliti avere u l
rga
_
difusione
(op. cit., p. 194). Del resto il Kortholt non era mt nusctto a leggere
l'opuscolo leibniziano sino a che era stato pubbhcato solo nel Pro
gramma del Boehmer (Ep. XIX ad Seb. Kortholtum, cit., p. 318).
12 P. MEYLAN, Jean Barbeyrac, Lausann, 1937, p. 1 10.
Il Meylan (op. ci t., p. 61, n. l ) ncorda dopo l a quarta,
citata, la quinta di Amsterdam ( 1734-35), la sesta di Londra ( 1741) ,
e sei edizioni postume.
l 32
riprodotto nel testo originale latino, in appendice alla popo
lare e nota edizione del De ofcio, riproducente quella del
Barbeyrac ( ex instituto et curo notis Barbeyracii ), a cura
di Sebastiano Masson, di cui la prima edizione usci a Gies
sen nel 1729, seguita a breve distanza da parecchie altre '\
e ancora, tradotta in italiano dal testo francese, nell'edizione
veneziana a cura di Michele Grandi
Quando uscl la traduzione e confutazione del Barbeyrac,
il Leibniz era morto da pochissimo tempo. Egli non pot
rispondere, ma non mancarono i suoi difensori. Tra questi,
un giovan giurista olandese, Balthasar Branchu, il quale, in
un'opera stampata a Leida ( 1721 ), Observationes ad ius
romanum, aggiunse una risposta alle argomentazioni antilei
bniziane detBarbeyrac Ma questi, sdegnando di entrare in
una pubblica polemica col suo contraddittore, si limit a
riferire, brevemente, quindici anni dopo, nella successiva
edizione della sua traduzione, ci che aveva risposto al Bran
chu quando questi gli aveva fatto pervenire il primo volume
14 La seconda, a Giessen, del 17 31 ; la terza, a Francoforte e
Lipsia, con prefazione di Fr. Ayrmann, informatissmo sulle vicende
delle edizioni pufendorfane, esce nel 17 41, segm ta da altre. Tra
l'altro, lo Ayrmann ci fa sapere che tra le migliori edizioni dell'operetta
del Pufendorf da annoverare quella di Gerschomus Carmichael,
apparsa ad Edimburgo nel 1724 e poi riprodotta a Ba
ilea nel 17 39
;
in cui l'editore, professore di flosofa a Glasgow, ^ st preoccup dt
soddisfare alcune richieste espresse da Leibniz nel suo opuscolo pu
fendorfano (p. 9). Efettivamente il Carmichael, pur essendo fervido
ammiratore del Pufendorf, cerc in certi suoi Supplementa et obser
vationes al De ufcio di attenuare il distacco tra teologia morale e
giurisprudenza, seguendo un suggerimento d'origine leibniziana.
I doveri dell'uomo e del cittadino tali che a lui dalla legge
naturale sono prescritti, Venezia, 1761 . Poco dopo l'operetta leibniziana
sar ristampata, sola, nel 1768 a Ginevra nella raccolta del Dutens
( IV, 3, pp. 275-283) col titolo di Munita quaedam ad Samuelis Pu
fendorfi principia Gerh. Wolth. Mola
o directa. E a lo
a on
.
v
_
err
_
pi riprodotta in nessuna delle successtve raccolte dt scnttl letbmztam.
16
Viri illustris God. Guil. Leibnitii Judicium de Pufendorfi
Otcio hominis et civis a clarissimo viro Joanne Barbeyraccio nuper
impugnatum mmc a BALTH. BRANCHU jcto vindicatum, I, pp. 1 17-143.
1 33
delle sue Observationes Al di fuori della polemica diretta
e personale, non bisogna dimenticare infne che la confuta
zione di Leibniz ad opera del Barbeyrac, assunta quasi come
il manifesto della scuola giusnaturalistica che faceva capo a
Grazio, fu il punto di partenza da cui un giovane flosofo
leibniziano e giurista, che doveva lasciare buon nome fra
i dottrinari del diritto internazionale, Emmerich de Vattel,
prese le mosse per riconfermare la sua adesione ai princpi
giuridici leibniziani, allora ormai solidifcati in sistema dal
Wolf, e per esprimere i punti di dissenso dalla scuola pufen
dorfana, in uno scritto che testimonianza non ultima della
fortuna non soltanto polemica ma costruttiva dell'operetta
leibniziana: Essai sur le fondement du droit nature! et sur
le premier principe de l'obligation o se trouvent tous les
hommes d'en observer les loix
18
3 . L'atteggiamento di Leibniz nei confronti del Pufen
dorf, per quel che si pu conoscere dal suo epistolario, non
fu generalmente, dalle prime lettere sino alle ultime, bene
volo, sia che le sue critiche colpissero la persona, sia che
fossero rivolte allo studioso. Leibniz conobbe Pufendorf
personalmente
1
9 ; e per quanto sia difcile dire di quale in
tensit fosse questa relazione, pure certo che oltrepass
i limiti di una occasionale e convenzionale contatto fra dotti '
era fondata non soltanto sulla conoscenza delle opere, di
cui pure il Leibniz dimostr di essere accuratamente infor-
Les devoirs de l'homme et du citoyen, V ed., Amsterdam, 1735,
p. V e seguenti.
18
_
Pubblicat
?
n
_
ella
cora vtvo (MEYLAN, op. cit., p. 188, n. 1). Giova ricordare altres
ce 1 . Vattel aveva gi preso posizione tra i seguaci della scuola
letb
?
tztana
.
co
?
-
.
uno scritto stampato a Lei da nel 17 41: Dfense du
systeme letbmtten contre !es objections et !es imputations de M.de
Crousaz.
19 Un corrispondente di Leibniz, suo conterraneo, Philipp, in
una lettera del 22 nov. 1679, allude ad un incontro che avrebbe avuto
con Leibniz in casa di Pufendorf (Gerhardt, IV, p. 281) .
134
mato, da quello straordinario lettore che era e anche per
l'interesse che egli nutriva per i due campi dell'attivit
scientifca del Pufendorf, la giurisprudenza e la storia, ma
sulla comunit dell'ambiente sociale e culturale in cui en
trambi, che tra l' altro, non si dimentichi, erano nati nella
stessa terra a breve distanza di anni (essendo il Pufendorf
nato in un villaggio della Sassonia meridionale il 1 632 e
il Leibniz a Lipsia il 1 646), si trovarono a vivere in alcuni
momenti della loro vita. Il Leibniz fece una parte dei suoi
studi universitari a Jena, dove sei anni prima aveva studiato
pure il Pufendorf; ed ebbe ivi per maestro il matematico
Erhard Weigel che un'infuenza decisiva esercit sulla sua
form
o 1l
.
metod della rcerca scientifca traendo ispirazione e
pnncp1 per l elaboraz10ne della sua prima opera di diritto
naturale, gli Elementa iurisprudentiae universalis libri duo
pubblicati all'Aia nel 1 660. Anzi, proprio nell'ambiente di
Jena,
.
e
?
robabilmente nella cerchia degli allievi del Weigel,
d Le1bmz ebbe a raccogliere e a divulgare una malignit a
proposito di quest'opera del Pufendorf, con un atteggiamento
che dimostra sin dall'inizio ( questa infatti la prima testi
O
nianza rimastaci dei rapporti tra i due flosof) una dispo
SlZlOne poco favorevole nei riguardi del suo conterraneo
3D
2 Scrive il Leibniz a Giacomo Tomasio, in una lettera datata da
Jena Il
.
2 settembre 1 663: ^ Unus mihi Dominus Pufendorfus notus
est, qm tamen sua elementa iurisprudentiae ex Weigelii nostri Ethica
Euclidea manuscripta dicitur fere tota eformasse D (Dutens IV 1
p. 20). Ora, che la prima opera pufendorfana fosse ispirata
'
all'ise
gnamento del We!gel
.
a
el. Ma
.
che
.
la de
rvazton
sta an?ata I. dt l di una pura
e
.
ema
_
uc
.
o rappresenta
.
sepbc
Quale
che fosse la natura dell'afare, l'episodio una riprova che
i rapporti tra i due flosof non erano soltanto di natura
libresca.
4. Certamente il Leibniz fu anche un buon lettore delle
opere pufendorfane. Come abbiamo visto, cita gli Elementa
nella Nova Methodus _ cosl come parla con conoscenza del
De statu imperii germanici ( 1667) in alcune lettere, forse
senza riconoscere l' autore nascosto sotto lo pseudonimo d
Severino da Monzambano. Conobbe anche le opere storiche
e stim la storia svedese ( Commentariorum de rebus sue ci cis
libri XXVII) superiore a quella brandenburghese (De rebus
gestis Friderici Wilhelmi Magni e De rebus gestis Fride
rici III). Ma il giudizio che diede dello storico non fu pi
lusinghiero di quel che aveva dato del flosofo e del giurista:
gli rinfaccia infatti mediore erudizione, non sempre felice
scelta del materiale documentario, povert di metodo, e gli
riconosce soltanto il merito di una copiosa raccolta di mate
riale
tque
.
e
os
lor,
ed vel-
lem moderati sibi nonnihil, minusque acnter mveht m drsscnttentes
(Dutens, VI, p. 44).
28
Ep. II ad Bierling, cit. (Dutens, V, p. 358; Gerhardt, VII,
p. 488).
29 Essais de thodice, 182. Cfr. pure Lettera a Th. Burnet,
Hannover, febbraio 1 700 (Dutens, VI, p. 269; Gerhardt, III, p. 271 ).
138
ha anche poco importanza. Naturalmente si parlato pure
in questo caso d'invidia; ma il Bono, che per primo vi
accenna 3
0
, probabile avesse sottocchio la maliziosa allu
sione del Earbeyrac che, fngendo di non sapere chi fosse
l 'anonimo autore dei Monita pubblicati nel Programma del
Boehmer, mentre lo sapeva benissimo perch il Leibniz in
persona, punto sul vivo da certe critiche apparse nella se
conda edizione del Droit de la nature et des gens ( 1 71 2) ,
gli aveva fatto pervenire attraverso i l Turrettini un esem
plare dei Monita 3\ avanz l' ipotesi che l' autore si fosse
coperto sotto l' anonimo tra l' altro per evitare che si cre
desse essere stato egli indotto a denigrare un'opera tanto
celebre per desiderio di mettersi in mostra o per invidia.
Certamente il Barbeyrac non nutriva alcuna simpatia per il
grande flosofo e sappiamo che si era espresso in modo
molto aspro sul suo carattere 32 Ma non bisogna dimenticare
che il Barbeyrac, ammiratore e difensore del Pufendorf,
all'ombra del quale era cresciuta la sua fama, e legatissimo
per amicizia e per gratitudine al collega losannese de Crousaz,
che era noto come un fervente avversario di Leibniz, da lui
accusato di spinozismo, non era nella condizione migliore
per esprimere un giudizio spassionato 33
3
0
Nella prefazione alle opere giur!diche lebniziane nela rac
olta
del Dutens Giovanni Battista Bono scnve: V Scro non defmsse qmb
s
Lei
o
nitii iudicium de Pufendorfi scriptis parum probatum futt,
eousque ut eum accusaverint invidia actum tanti viri famam obscurare
voluisse (Dutens, IV, 3, p. 44 ).
31 La notizia data dal Meylan (op. cit., p. 110) che
.
la trae
dall'epistolario del Barbeyrac; ma pu essere efcace
ent
:
mtegrat
con quel che dice Leibniz in due lettere a Bourguet, m cm parla de1
suoi -rapporti col Barbeyrac (Gerhardt, III, pp. 590 e 593 ). . .
32 Racconta il Meylan che il Barbeyrac, avendo conoscmto d
Leibniz a Berlino disse di essere stato pi volte testimone della
gelosia che egli utriva cont
o
_
tutti coloro ce si dist!nguevano nela
repubblica delle lettere , e gh rtmproverava d1 V esercitare una specie
di dominio (op. cit., p. 109).
. . .
33 ci che del resto gli nmprovera Loms Bourguet, amico
insieme di Leibniz e di Barbeyrac, in una interessante lettera inedita al
marchese D Lignon ( 18 gennaio 1721 ), riportata in parte dal Meylan:
139
Peraltro non si pu escludere che una certa prevenzione,
di cui difcilmente si possono indicare motivi plausibili 34 ,
ma forse risalente sino al periodo degli studi di Jena, fosse
pure nell'atteggiamento di Leibniz, che non sdegn di dar
corso a voci calunniose, o per lo meno maligne, sul conto
del Pufendorf, come nel caso gi ricordato dei rapporti col
Weigel, e a riferire episodi che sono da considerarsi, volendo
interpretarli nel modo pi benevolo, come tipici prodotti
del pettegolezzo accademico. Un giorno raccont che il Pu
fendorf nella sua prima opera, quella stessa che in altra
occasione disse ricalcata sul Weigel, aveva lodato Hobbes
e attinto da lui per ingraziarsi l'elettore palatino, Carlo Ludo
vico, ammiratore del flosofo inglese, e che solo per questo
aveva ottenuto la cattedra di Heidelberg 3 . Era un giudizio
avventato: risulta evidente dalla lettura dell'opera che l'in
fluenza dello Hobbes sul pensiero del Pufendorf fu efettiva
e non soltanto dichiarata in forma esornativa nel proemio;
inoltre l'ammirazione per l'autore del De Cive non venne
mai meno neppure nella grande opera scritta in !svezia,
quando evidentemente i Pufendorf poteva fare a meno della
protezione dell'elettore palatino.
6. La critica che il Leibniz muove al Pufendorf nei Mo
nita imperniata schematicamente su questi tre punti : i
fne, l'oggetto e la causa efciente del diritto naturale. Quanto
al primo punto, il dissenso di questa natura: Pufendorf
sostiene che il fne della scienza del diritto naturale si esau
risca nell'ambito di questa vita; Leibniz sostiene, al contra-
^ Permettetemi di rifutare nel caso in questione le idee del nostro
dotto amico di Olanda [ il Barbeyrac era allora professore a Groningen] .
Potrei dimostrarvi che c' della prevenzione, qualora esaminassi in
vostra presenza le rifessioni che si trovano nell'ultima edizione del
piccolo Pufendorf D (op. cit., p. 130).
34 Vi allude il Barbeyrac nellAvis posterieur alla IV ed. dei
Dev
<
irs, ove parla di V prove particolari D che egli avrebbe sull'ani
mosit segreta di Leibniz verso Pufendorf.
Dutens, VI, p. 3 1 1 .
1 40
rio, che sifatta scienza debba aver riferimento anche alla
vita futura. ul secondo punto i dissenso non meno netto:
il primo aferma che la scienza del diritto naturale si occupa
delle azioni estere dell'uomo, essendo le azioni interne og
getto della teologia morale; il secondo ritiene che siano
oggetto del diritto naturale non soltanto le azioni esterne
ma anche le interne. Infne, sul terzo punto si apre la con
troversia principale, che tocca il fondamento metafsica
dell'una e dell'altra dottrina: il Pufendorf, almeno secondo
il Leibniz, sarebbe un volontarista, che giustifca l'obbliga
toriet del diritto fondandola esclusivamente sulla volont
di Dio; a questa tesi Leibniz risponde che la giustizia
fondata sulle eterne verit che sono oggetto dell'intelletto
divino.
Ai fni del presente saggio interessa, proprio in ragione
dell'importanza che il giudizio del Leibniz ha assunto nella
valutazione del pensiero del Pufendorf, rilevare i limiti entro
cui pu essere ritenuto valido, e quindi sottrarre in parte il
Pufendorf al grave peso della condanna leibniziana. A tale
scopo ci soccorrono due osservazioni.
Prima di tutto, le critiche del Leibniz, provenendo da
_una concezione flosofca compiuta, non discutono il nucleo
generatore del sistema avversario e quindi non entrano nel
suo interno, limitandosi a contrapporre ad un sistema un
altro sistema, giustifcato prevalentemente da intendimenti
moralstici e pedagogici, come si rileva dal tono abbastanza
visibilmente edifcante dello scritto, dove, forse anche per
la preoccupazione di non dire, parlando ad un teologo, cose
spiacevoli ai teologi, si contrappone alla dottrina giuridica
proposta dal Pufendorf una scienza sublimior , fondata
su principi che eccitino V ad veram virtutem , e si aferma
che la fondazione di principi migliori gioverebbe alla
giovent e allo Stato . In una contrapposizione sifatta dei
due sistemi si spiegano e in un certo senso si svuotano la
prima e la seconda critica, di cui si fatto cenno, cio
quelle relative al fne e all'oggetto, tanto pi poi se si pon
1 41
mente al fatto che lo sviluppo del pensiero flosofco-giuri
dico non ha seguito la direzione di Leibniz, ma quella dei
giusnaturalisti nuovi, di fronte ai quali, moventisi nel clima
d'opinione dell'illuminismo, la posizione leibniziana appare
come un ritorno puro e semplice alla tradizione 36 E in vero
l'esigenza fondamentale, cui i giusnaturalisti nuovi, come
Pufendorf, Barbeyrac e Thomasius, ubbidivano, era la
_
sea
razione tra la giurisprudenza e la teologia, che aveva d1 mua
la fondazione di una vera e propria giurisprudenza naturale
in antitesi ad una giurisprudenza cristiana, nella stessa dire
zione in cui flosof e moralisti andavano elaborando una
religione naturale e una morale naturale. Incisivamente, il
Pufendorf si espresse in un suo scritto polemico cos:
Cum nobis ius naturae et gentium hoc fne tractetur ut
sit regula actionum et negotiorum inter omnes homines non
qua Christiani sed qua homines sunt [ .. . ] igitur absurdum
est Christianis dare peculiare principium eius iuris, quod
ipsis commune cum aliis etiam non Christianis esse debet 3 7
Leibniz, i n ci veramente flosofo cristiano e non illuminista,
segu la strada opposta: se un signifcato univoco si pu dare
alla sua flosofa giuridica, questo non pu essere trovato che
nel costante sforzo da lui compiuto, in un atteggiamento che
non poteva essere pi chiaramente polemico nei confronti
dei novatori, di fondare un diritto naturale e delle genti se
cundum disciplinam Christian o rum 38 Ne parla pure nello
36 Monita, 3. E a guisa di commento si leg
a
9
uesto bran
?
di
lettera: ^ Opinio quae ius naturae ad externa restrtnglt nec vetenbus
philosophis, nec iurisconsultis olim gravioribus placuit donec Pufend
?
r
fus vir parum iurisconsultus et minime philosophus quosdam seduxlt
(E p. ad Henricum Kestnerum, 21 agosto 1709, Dutens, IV, 3, p. 261 ).
S pecimen controversiarum circa ius naturale i p si nuper mota
rum, in Eris Scandica, in appendice all'edizione del De iure naturae
et gentium, Francofurti et Lipsiae, 1744, tomo II, p. 203.
38 Si vedano le T abulae duae disciplinae iuris naturae et gentium
secundum disciplinam Christianorum, nella raccolta del Mol!at Rechts
philosophisches aus Leibnizens ungedruckten Schnften, Letpztg 1885,
pp. 7-12.
142
scritto antipufendorfano 39, opponendo alla separazione tra
giurisprudenza e teologia una giurisprudenza universale che
concordi
ne ce ^ P
fendor
fus in quibusdam hobbesianorum op11
or
:
tro il Pufendorf una dissertazione, V era et genuina fundamenta
zum naturae contra Pufendorfum, Jena 1674; e replic in Introductio
a Hugonis Grotii librum de iure belli ac pacis, Jena 1676. Per la
:
1spos
Se si chiama stato democratico quello i n cui i l principio
della autonomia attuata attraverso certe istituzioni carat
teristiche, quale, ad esempio, un parlamento elettivo, lo
stato ideale di Kant, in cui il consenso soltanto un criterio
ideale di distinzione tra buone leggi e cattive leggi, non
necessariamente uno stato democratico. E del resto egli
chiama la forma buona, cio quella ispirata all'idea del con
tratto originario o del consenso, non democrazia, m. repub-_
blica, e quella cattiva, dispotismo. Inoltre, dal momento che
il consenso non un fatto istituzionale, ma soltanto una
fnzione ideale ( si ricordi il V come se della frase dianzi
citata), non necessario per Kant che lo stato repubblicano
sia di fatto una repubblica. Anche una monarchia pu essere
uno stato repubblicano (cio non dispotico), quando lo
stato fosse amministrato sotto l'unit del monarca in base a
quelle stesse leggi che il popolo darebbe a se stesso secondo
princpi di diritto universale 1 Poco dopo Kant procla
ma che dovere dei monarchi, anche se autocratici , di
governare in forma repubblicana, e precisa che la forma re
pubblicana non deve confondersi con la forma democratica,
come del resto aveva spiegato a sufcienza in un passo della
Pace perpetua. 15 E che cosa vuoi dire V governare in forma
` Scritti, p. 145.
` Questo passo si legge nello scritto Se il genere umano sia
I costante progresso verso il meglio ( 1798), in Scritti, p. 222.
1
Vedilo in Scritti, p. 294.
155
repubblicana ? Vuoi dire, appunto, trattare i popolo se
condo princpi conformi allo spirito delle leggi di libert ( cio
quali un popolo di matura ragione prescriverebbe egli stesso ) ,
anche se, stando alla lettera, a questo popolo non vien richie
sto il suo consenso
1
Vuoi dire, insomma, conservare il pi
rigido rispetto al principio (ideale) della libert come auto
nomia, anche se questo rispetto non poi destinato ad esser
confermato dall'efettiva approvazione dei cittadini, attra
verso un'elezione popolare. Del resto, Kant per quel che
riguarda l'estensione del sufragio, non and mai al di l
della comune dottrina liberale moderata del suo tem
po: considerando come requisito per l'attribuzione dei di
ritti politici l'indipendenza economica, escludeva dal diritto
di voto e quindi dal novero dei cittadini gli operarii, ovvero
i salariati, i lavoratori subordinati, cio coloro che svolge
vano un'attivit regolata da un contratto di locatio opera
rum
1
7
5. Se, come abbiamo visto, l a defnizione esplicita che
Kant d della libert giuridica si riferisce alla libert rous
seauiana o democratica, o degli antichi ( secondo Constant),
altra la defnizione implicita che si ricava dall'insieme del
suo sistema. Cercher di provare quea asserzione attraverso
l'esame della defnizione del diritto (a), del fne dello stato
( b) e della concezione del progresso storico (c).
( a) Che il diritto sia, secondo la celebre defnizione, l'in
sieme delle condizioni, per mezzo delle quali l'arbitrio del
l'uno pu accordarsi con l' arbitrio di un altro secondo una
legge universale di libert g signifca che lo scopo della
legislazione giuridica o esterna, distinta dalla legislazione mo
rale o interna, di garantire ricorrendo, se necessario,
1
6
Scritti, pp. 225-226.
Kant tratta della questione in due punti nella Pace perpetua
e nella Metafsica det costumi, rispettivamente Scritti, pp. 260 e 5l.
` Scritti, p. 406.
1 56
anche alla forza, una sfera di libert in cui ogni membro
della comunit possa agire non impedito dagli altri. Sembra
abbastanza chiaro che ci che qui Kant ha di mira non
pi la libert come autonomia collettiva, cio quella defnita
'nei passi dianzi citati, ma la libert nel senso tradizionale
della dottrina liberale, cio la libert individuale o libert
cofe non-impedimento. E infatti, spiegando subito dopo la
defnizione, Kant aggiunge: Se [ . . . ] la mia azione o, in ge
nerale, il mio stato, pu sussistere colla libert di ogni altro
secondo una legge universale, agir ingiustamente verso di
me colui che me lo impedisce; perch questo impedimento
(questa resistenza) non pu sussistere colla libert secondo
leggi universali . Il concetto d libert giuridica che si
ricava dalla denizione del diritto non gi quello del potere
di partecipare alla creazione della libert collettiva, bensl
della facolt di agire senza essere ostacolati dagli altri.
Se ne pu trarre conferma sia dalla teoria della coazione
sia da quella del mio e tuo esterni (o del possesso) . Nel
passo che Kant dedica al problema della coazione, la parola
'
t
$\
'
l'idea che il progresso della specie umana, come del resto di
ogni altra specie animale, consista nel pieno sviluppo delle
facolt naturali degli individui che la compongono; e che
il mezzo di cui la natura si serve per attuare questo sviluppo
sia il loro antagonismo nella societ. Non c' bisogno di sot
tolineare quanto questa teoria dell'antagonismo come con
dizione del progresso si inserisca in tutto i moto liberale
che elever la lotta, la contesa, la rivolta, la concorrenza, la
discussione, il dibattito, a proprio ideale di vita, e contrap
porr societ statiche o stazionarie a civilt dinamiche e pro
gressive secondo che in esse i confitti siano sofocati o sol
lecitati. Siano [ . . ] rese grazie alla natura - si legge nello
scritto Idee di una storia universale dal punto di vista cosmo
politico ( 1 7 84) - per la intrattabilit che genera, per la
invidiosa emulazione della vanit, per la cupidigia mai soddi
sfatta di averi o anche di dominio! Senza di esse tutte le
eccellenti disposizioni natural insite nella umanit rimarreb-
. bero eternamente assopite senza svilupparsi. L'uomo vuole
a o
of
contemplativa e non costruttiva, una delle test prmctp
del libro che ha pure un'intenzione polemica diretta nel
confronti della rafgurazione di Hegel scopritore d
l metoo
dialettico. Non una tesi nuova ed stata ora r1messa m
circolazione, con vigore e accento di novit, dal Kojve. a
gi in quest'opera dello Jljin espressa
on la
.
massi
a chia
rezza. Esaminando attentamente l'atto d pensiero dt Hegel
Iljin osserva che il pensiero speculativo di Hegel, cio l'atto
pensiero proprio della flosofa che ha gi messo da pa
te Il
mondo empirico concreto come irriducibile al concetto e s1 vale
dell'astrazione formale propria dell'intelletto, ma senza esau
rirsi in esa, un pensiero intuitivo, uno schaue
des Denken,
un pensiero che unito con l'intuizione e m
:
erto qual
modo identico con essa (p. 51 ). Dunque Hegel e letteral
mente un flosofo intuizionista. Che l'atto di pensare proprio
del pensiero speculativo sia un pe
.
nsie
in
:
tivo signifca
:
nel
senso proprio di ogni flosofa mtulZiorstlca,
.
che nell atto
conoscitivo della flosofa, che solo permette di accedere alla
essenza oggettiva del tutto e a cui si rivela una nuova
.
g
gettivit interna ( assai pi oggettiva della realt sensibile
estera) , la vera oggettivit, vi unit immediata di s
g
getto e oggetto al posto della duplicazione e della med
t
zione propria del pensiero formale astratto. In questa uruta
immediata del pensiero con l'oggetto, il pensiero si risolve
nell'oggetto da cui come assorbito: la coscienza deve obliar
si nell'oggetto tanto da obliare se stessa. Non man
ao nu
merose frasi hegeliane per documentare questa test, il che
permette allo Iljin di afermare: Questa immediata usione
del pensiero intuitivo con l'oggetto fu per la flosofa dt Hegel
decisiva e ricca di conseguenze: divent la fonte di tutto il
suo sistema che sta o cade con questo atto di pensiero
( pp. 51-52 ) . La sfera ideale dell'oggettivit pensata,
.
:
he
infatti la pi vera realt, rappresenta l' accesso alla realt
assoluta. L'essere per Hegel l'essere assoluto. egli non
180
pensa neppur lontanamente che la flosofa possa ocuparsi
dell 'essere empirico. Questa realt assoluta il concetto spe
culativo, il concetto semplicemente, il quale ha queste
tre caratteristiche: da esso ogni cosa riceve la forma della
universalit, si muove in ritmo dialettico, si leva allo stato
di concretezza.
a proposito della seconda caratteristica del concetto
speculativo, la dialettica, che si vede l'intenzione polemica
della interpretazione intuizionistica. Si creduto e si crede,
osserva l'autore, che la dialettica sia la pi importante sco
perta di Hegel: Bisogna ben stabilire al contrario che la
dialettica non costituisce n il contenuto principale, n il
vertice pi alto della flosofa hegeliana; e che il ritrovamento
e il culto delle contraddizioni logiche non dovr mai diven
tare l'ocupazione di un hegeliano intelligente ( p. 123 ) .
La dialettica non un metodo ma una caratteristica del
l' oggetto. Hegel non ha fatto altro che cogliere intuitiva
mente questo ritmo immanente nell'oggetto stesso. Quindi
per il suo metodo flosofco Hegel non un dialettico ma
un intuizionista che ha colto il ritmo dialettico dell'essere
assoluto. E la dialettica non deve intendersi come un me
todo del soggetto umano, ma come un modo oggettivo di
vivere dell'oggetto speculativo. L'uomo pensa dialettica
mente perch l'oggetto ( il concetto speclativo) viv esso
stesso dialetticamente. Del resto, il ritmo dialettico non
esaurisce l'essenza del concetto, perch termina in una sin
tesi concreta che l'ultima e pi alta parola della vita del
concetto. Questa idea della concretezza speculativa del con
cetto ( ''etamente l'idea centrale della flosofa di Hegel. La
concretezza la forza motrice dell'intero proesso e lo scopo
supremo di ogni essere e di ogni divenire. La concretezza spe
culativa determina il punto di partenza e di arrivo, il principio
e la conclusione del proesso divino. Ogni cosa respira e vive
per realizzarla, per diventare il suo inno vivente ( p. 148 ) .
Qui nella cnrwretezza. l' anima della flosofa hegeliana.
Pu dirsi hegeliallo soltanto colui che abbia accolto questa
f
181
tesi : L'essenza di ogni essere e di ogni perfezione consiste
nella realizzazione dialettica della concretezza speculatva
nell'ambito del pensiero reale ( p. 1 49 ) .
Ora questo concetto speculativo, universale, dialettico e
concreto, che si rivela al pensiero intuitivo della flosofa,
la divinit stessa. Questa realt assoluta, questa realt
unica che costituisce i concetto speculativo, Dio.
Tale idea sta alla base di tutta la sua flosofa, della sua
fede e della sua conoscenza; costituisce l'ultimo e pi pro
fondo senso di tutte le sue afermazioni e di tutti i suoi
insegnamenti ( p. 1 81 ) . Il concetto l' essere, la sostanza;
oggetto; lo spirito. Il concetto divino perch costitui
sce nella sua essenza la realt assoluta che assoluta perfe
zione; in s e per s infnito e assoluto Tutta la flosofa
di Hegel tesa verso questa verit: che fuori di Dio nulla
esiste . Dunque la flosofa vera, per Hegel, si rivela come
panteismo. Ma c' un panteismo che parte dal mondo, iden
tifcato senz'altro con Dio; non quello di Hegel. Il pan
teismo di Hegel, al contrario, parte da Dio come unica realt1
e la realt del mondo riconosciuta soltanto in quanto Dio
presente nel mondo. Ci implica il non essere del mondo
come esistenza particolare e autonoma. Il panteismo di Hegel
al tempo stesso acosmismo. E ancora: siccome la realt
divina il concetto, panteismo per Hegel signifca pure
panepistemismo. La scienza non soltanto la rivelazione di
Dio, la presenza di Dio: Dio la scienza. Ogni categoria
della scienza un modus essendi di Dio; e l' intero sistem
della flosofa scientifca o della scienza speculativa sviluppa
la storia vivente della lotta, della passione e della risurre
zione di Dio. Dio il Logos vivente, e la scienza il sistema
di questo Logos vivente. Al di fuori della filosofa non c'
nessuna realt, perch Dio, la realt assoluta, la stessa
flosofa: ecco qual' la formula esatta, secondo lo Iljin, del
supremo ardimento metafsica di Hegel .
Ma f l'ardimento metafsica dei primi anni: una gran
diosa concezione flosofca creata al di fuori di ogni contatto
182
con le scienze empiriche e col mondo. Ma Hegel avrebbe
potuto restarvi fedele? Come per ogni sistema di teologia
speculativa, il problema fondamentale di Hegel fu quello del
passaggio dall'assoluto al relativo, da Dio al mondo. Vi sono
due soluzioni estreme: o il mondo empirico rimane fuori
questione, o viene accettato in tutta la sua caotica malva
git, come antidivino. anche possibile una soluzione in
termedia di compromesso. Hegel nel corso della sua vita flo
sofca le tocc volta a volta tutte e tre, ma la sua conce
zione fondamentale ( panteismo acosmistico ) fu la prima:
il sogno, proprio del visionario intuizionista, della divinit
totale del mondo. Per dare forma e sistema a questa visione
metafsica, egli non accetta il mondo irrazionale dell'empiria,
rifuta di prendere in considerazione il veleno della relati
vit e del male; senonch, questo mondo del relativo, non
accettato n superato ma messo da parte, fnisce per ven
dicarsi e condurre a fallimento l 'intero sistema.
Per uscire dalla difcolt Hegel tenta in un secondo
tempo una soluzione di compromesso: la conciliazione tra lo
speculativo e l'empirico avviene col concetto di Wirklichkeit
(da distinguersi da Realitat), che l'unit di essenza e di esi
stenza. La tesi della razionalit della Wirklichkeit e della Wir
klichkeit del razionale fu formulata da Hegel quando aveva
ormai riconosciuto il veleno della relativit, e fu una tesi
tipicamente conciliante che riposava sulla possibilit di una
simbiosi speculativa tra il concetto e l'elemento empirico
concreto. L'idea viene depotenziata in modo da adattarla
al mondo del peccato; e il mondo emprico viene potenziato
per elevarlo all'idea. Il razionale viene scoperto e afermato
anche nell'irrazionale. O, in altre parole, la dottrina della
Wirklichkeit) come conciliazione tra l 'idea e il mondo em
pirico, include l' elemento irrazionale nella trama vivente di
Dio. Ma sino ad un certo punto ed entro certi limiti: il
potenziamento dell'empirico avviene pur sempre nel mondo
e non 'nella scienza, nel senso che le singole fgure ( Weltge
stalten ) della descrizione empirico-speculativa del mondo,
183
come l'organismo naturale, l'uomo, lo stato, l'arte, la reli
gione, ecc. rimangono fuori dalla scienza speculativa, co
struite, come sono, schematicamente ma non inserite nel
paradiso della flosofa. Ci non signifca che tali fgure siano
escluse dalla trama divina; ma il cammino d Dio si scinde
in due: nella scienza e nel mondo. Sono due strade divine,
quella della scienza e quella del mondo, che non coincidono,
anzi si escludono. La prima via presenta una serie sistema
tico-scientifca di categorie e rimane sempre nell'ambito del
concetto speculativo ( la logica) ; la seconda una corrente
di eventi cosmici e storici ( la flosofa della natura e dello spi
rito) in cui non pi rintracciabile nessuna serie speculativa.
Hegel cerc, dunque, in un secondo momento, di acco
gliere il mondo nella sua concezione originariamente aco
smistica. Ma questo mondo irriducibile alla scienza; per
quanti sforzi egli abbia fatto di razionalizzarlo ( e il falli
mento di questi sforzi palese soprattutto nella flosofa
del diritto e della storia, sulle quali lo Iljin si sofferma in
modo particolare) , il mondo sfugge alla scienza e la scienza
non abbraccia il mondo. Ma d signifca che la concezione
originaria e fondamentale del panepistemismo costretta a
naufragare defnitivamente. Perch il programma iniziale del
panteismo panlogistico fosse realizzato, si sarebbe dovuto o
negare il mondo empirico ( ma era poi una pura e semplice
soluzione di rinvio) o trasformarlo in un sistema di in
dividualit speculative: programma, questo, che Hegel sol
tanto sogn romanticamente ma non realizz, perch gli
mancarono l'evidenza religiosa e la fducia flosofca che ogni
essere e ogni esistenza sono veramente e completamente un
dono di Dio. Cos Hegel diede al mondo empirico una giu
stifcazione soltanto parziale. La sua teoicea perdette il
carattere monistico e panlogistico, ed oscill tra le due so
luzioni intermedie del panteismo parziale e del dualismo
mascherato. In generale si pu dire che, invece del panteismo
iniziale ( tutto concetto) , Hegel svilupp a contatto con
le scienze del mondo una forma di panteleologismo ( tutto
1 84
l
organicamente conforme allo scopo) . La sua parola ini
ziale concetto; ma la sua parola ultima organismo. Il suo
Logos si trasforma in un Telos organico. Ed egli invece d
essere un panlogista si presenta alla fne come un visionario
romantico.
Ma quel che pi grave, se l'uomo ha dei limiti, nello
stato e nella storia, dal momento che la storia il cammino
di Dio nel mondo, i limiti dell'uomo sono i limiti stessi di
Dio. Il cammino di Dio nel mondo la storia della sua
passione. Cos, quelo che doveva essere il poema eroico della
lotta divina per la vittoria, diventa l'infnita tragedia della
passione divina. A questo punto si rivela, conclude lo Iljin,
la crisi della teodicea: un assoluto che sofre non un asso
luto. Il Dio di Hegel non un Dio, ma un creatore di se
cond'ordine, un demiurgo. Eppure Hegel aveva ben preso
le mosse negli scritti giovanili da una ispirazione cristiana.
La dottrina cristiana gli aveva dischuiso la conoscenza reli
giosa, e gli aveva oferto quel concetto di amore che fu cer
tamente la prima componente del suo pensiero intuitivo. Ma
ormai, giunto al compimento della sua vita speculativa, il
cristianesimo lasciato alle spalle. Egli impar dal cristia
nesimo; ma insegn qualche cosa che non era pi cristiano.
Cos senz'accorgersi lo Iljin, partito con baldanza contro
gli interpreti di sinistra, fnisce per giustifcare pi la loro
posizione che non quella dei fedeli della destra. Che dife
renza c' tra questo panteismo irrazionalistico e l'ateismo?
Che diferenza, ancora, tra il demiurgo in cui si risolverebbe
il Dio di Hegel, e l'umanit di Feuerbach e degli altri Giovani
hegeliani? Come si pu parlare di dottrina religiosa, di f
losofa teologica, se l'ultima parola di questa cosiddetta teo
logia speculativa la crisi della teodicea, cio il riconosci
mento dell'impossibilit di giustifcare Dio attraverso il
mondo dell'esperienza e della storia? Come si pu conci
liare la premessa iniziale che la flosofa d Hegel una dot
trina contemplativa di Dio con la conclusione fnale che il
Dio di Hegel non un Dio, che la contemplazione di Dio
185
e m realt una contemplazione della tragedia senza uscita
della storia? Al di l della polemica fra destra e sinistra, la
posizione dello Iljin gi di per se stessa una testimonianza
abbastanza eloquente delle difcolt e dei pericoli a cui va
incontro una interpretazione teologico-mistica che non voglia
far concessioni agli avversari. Sono le difcolt e i pericoli
che hanno posto in crisi nei pi recenti studi ( che vedremo
tra poco) questa prospettiva, la cui validit ci appare gi
pregiudicata dallo sviluppo stesso dell'opera dello Iljin, che
proclama la flosofa di Hegel dottrina contemplativa di
Dio , e giunge alla fne, dopo una esplorazione obbiettiva
e spregiudicata, a presentarcela come V un poema tragico
della passione nel mondo di un eroico non-Dio ( p. 12 ) .
Ma questo non-Dio non forse il punto nodale della inter
pretazione ateistica ?
5. Verso un'interpretazione umanistica. - Pi che di una
interpretazione totale dello hegelismo ( queste interpreta
zioni, come abbiamo visto, se non si arrestano alla fne sulla
ambiguit e bipolarit hegeliana, costituiscono dei tentativi
unilaterali di reductio ad unum) , Jean Hyppolite sembra
preoccupato di comprendere con scrupolosa esattezza i testi
hegeliani, soprattutto quelli giovanili, e di far conoscere in
Francia i risultati della critica pi recente che ha contri
buito, lavorando appunto sulle opere giovanili, a sfatare al
cuni miti hegeliani . Nel 1 935 egli esordiva con un saggio
pubblicato a due puntate sulla V Revue de metaphysique et
morale : Travaux de Jeunesse de Hegel d'aprs !es ouvrages
recents (pp. 399-426; 549-577 ), in cui, partendo dalla dis
soluzione del mito del panlogismo hegeliano (Kroner, Hart
mann, Wahl), esaminava, sulla scorta del primo volume dello
Haering, le opere hegeliane dei periodi di Tubinga, Berna
e Francoforte, e accettando quasi sempre le correzioni dello
Haering all'interpretazione del Dilthey, insisteva sull'origi
nalit e sull'autonomia del pensiero di Hegel durante gli
anni della sua formazione, e soprattutto sulla sua indipen-
186
denza rispetto allo Schelling. Ma la notoriet di Hyppolite
nel campo degli studi hegeliani fu dovuta alla traduzione
francese della Fenomenologia ( 1 939-4 1 ) \ che usc qualche
anno dopo quella italiana del De Negri. Evidentemente, il
nuovo volume, citato in testa a questa rassegna, il frutto
del continuo, vigile, intelligente contatto del traduttore con
un'opera, come la Fenomenologia, che si apre solo a chi non
ha fretta di entrarvi. La lunga consuetudine del traduttore
col testo fa scoprire certi legami meno evidenti, che sfuggono
al lettore comune, e anche allo studioso; soprattutto mette in
mano al traduttore alcuni segreti della terminologia. Chiun
que abbia fatto in piccolo o in grande questa esperienza, sa
che il miglior modo di intendere Hegel ( e in genere i flosof
che parlano una lingua chiusa) di tradurlo.
Il massiccio volume di cui stiamo per occuparci, una
minutissima esposizione, che sta fra la parafrasi e il com
mento, della Fenomenologia, seguita libro per libro, capi
tolo per capitolo, paragrafo per paragrafo, con una parti
colare attenzione rivolta al libro VI ( Lo Spirito) , la cui
analisi occupa da sola 200 pagine. Pi volte i commenta
tori di Hegel e gli storici della flosofa si sono avventurati
nella tremenda impresa di esporre la Fenomenologia. Ma si
nora nessuno aveva condotto a termine simile fatica con
tanta larghezza di mezzi e con cosi ferma volont di non
tralasciare nessuno dei passi importanti. Se mai un rim
provero si pu muovere a Hyppolite di aver peccato per
eccesso. Il libro non facile n attraente. L'autore ha espo
sto il pensiero di Hegel cercandone i nessi interni che sono,
com' noto, moltissimi e non chiari, richiamando l'atten
zione sulle opere giovanili che servono da precedente ri
schiaratore, spiegando il signifcato delle parole, interpre-
4 Scrisse pure nel fratten:po alt
i d
rticoli: Vie e
prise de
conscience de la vie dans la phzlosophte hegelzenne de Jena,
< Re
"
ue
de mtaphysique et de morale , XLV, 193, pp. 5-61 ;
_
e La szgmfcatz
n
de la Rvolution franaise dans la Phenomenologze de Hegel,
^ Revue philosophique , CXXVIII ( 1939), pp. 321-352.
187
tanto i riferimenti storici, di cui tutta l'opera intessuta.
Ma non ha compiuto una disarticolazione dell'opera, come
invece ha fatto con successo (e lo vedremo prossimamente)
i Kojve, i quale ha smontato pezzo per pezzo la Fenome
nologia, ha numerato i singoli pezzi e poi li ha rimontati
dopo averli ordinati. Hyppolite, per i desiderio di essere
completo, il pi completo dei commentatori della Fenome
nologia, si messo troppo vicino alla sua opera, tanto da
non riuscire ad emergere di sotto all'impalcatura sistema
tica, entro la quale si muove s con perizia e con sicurezza,
ma di cui non vede (o per lo meno non riesce a far vedere
al lettore anch'esso rinchiuso nel sistema) il movimento in
terno e segreto. La dif erenza tra Kojve e Hyppolite rispetto
all'atteggiamento assunto di fronte alla Fenomenologia (non
parlo qui dell'interpretazione) si pu riassumere in questi
termini : il primo ha preso francamente e decisamente la
Fenomenologia come un libro esoterico, e ne ha cercato
una chiave: buona o cattiva che sia, pur sempre una chiave
che d l'impressione al lettore di aver in mano uno stru
mento che gli permette fnalmente di aprire qualche cosa
t
cultura, tanto spirito di penetrazione e tanto vigore di me
todo quasi frustato o per lo meno messo in sospetto, sin
dall'inizio, da quella velenosit che schizza fuori ad ogni riga
sin dall'introduzione, da quel furor da teologp che trasforma
continuamente l'errore storico i colpa morale o peggio po
litica, per gettare sull'avversario il disprezzo che si conviene
non al mediocre storico della flosofa, ma all'uomo malva
gio o al politico infame. S'intende che questo modo di cri
tica non si ripete nei marxisti a caso: ha una sua ragione
teorica, a cui il marxista mal si sottrae dato che quel modo
di critica altro non che una manifestazione di quella con
vinzione generale che l'ha condotto ad accettare il marxismo
piuttosto che un'altra flosofa. Partendo dalla convinzione
che la flosofa sia una sovrastruttura ideologica, in quanto
la concezione del mondo che corrisponde in ogni tempo
ad una determinata situazione ed azi'one di classe, si deduce
che essa non una forma autonoma di sapere che abbia le
proprie leggi di formazione e di sviluppo, ma nasce e si
svolge in relazione al costituirsi di determinati rapporti di
classe e in funzione di essi. Durante il dominio della classe
borghese, il flosofo borghese, come lo statista, come il prete,
ciascuno -nella propria sfera, uno strumento del dominio
della classe dominante. Perci partecipa e collabora per la
sua parte -che quella di fornire ai dominatori una conce
zione del mondo che permetta di giustifcare il loro domi
nio - alla politica della classe borghese, e ne divide le re
sponsabilit. San cos poste le premesse per la trasformazione
dell'avversario flosofco in avversario politico, con tutte le
conseguenze pratiche che si sanno, e che il Lukacs, certa
mente, non ignora. Ma non pare al Lukacs che in questo
modo siano poste pure le premesse per una facile ritorsione
dei suoi argomenti polemici ed anche delle sue contumelie?
Se ogni flosofa una sovrastruttura ideologica - e quindi
ogni flosofa l'espressione di una determinata politica -
non si vede perch non debba essere una sovrastruttura
ideologica anche la flosofa che il Lukacs accetta, e quindi
195
'
l
\
non si vede perch anche la sua flosofa non debba essere
espressione di una determinata politica ( rimarrebbe poi sem
pre a vedere se sia ideologica anche la tesi che ogni @oso
fa ideologia, ma questo il Lukacs evidentemente rifuta ) .
Pi precisamente: se si accetta che l'interpretazione irrazio
nalistica di Hegel sia un'interpretazione fascista, non si vede
perch non si debba chiamare l'interpretazione storicistica,
sostenuta dal Lukacs, con qualche nome tratto da ideologie
politiche, per esempio col nome di interpretazione comuni
stica. Ma allora non ritiene il Lukacs che chi non accetta
l'ideologia .comunistica ( e perch tutti, posto che si tratta
di un'ideologia, dovrebbero accettarla? ) avrebbe ugual di
ritto di ricambiarlo con lo stesso sdegno e con lo stesso d
sprezzo di cui egli cos largamento prodigo nei confronti
dei suoi avversari? Ma allora il campo della critica storica
non sarebbe ridotto ad un campo di battaglia in cui non lot
terebbe pi se non furore contro furore? Non sarebbe con
ci stesso rotta ogni possibilit di dialogo tra uomini di
cultura e il pensiero non verrebbe rinchiuso in tanti intermi
nabili e orgogliosi e inconcludenti soliloqui? Non sarebbe,
ancora una volta, questa riduzione dell'avversario flosofco
ad avversario politico, il trionfo dell'intolleranza, il segno cio
che si ripercorso ancora una volta a ritroso il cammino che
aveva condotto faticosamente - grazie al principio di tol
leranza - a considerare anche l' avversario politico come un
avversario flosofco?
L'analisi del Lukacs divide lo sviluppo mentale del gio
vane Hegel in tre periodi che corrispondono agli anni di
Tubinga e Berna ( sino al 1796 ) , di Francoforte ( 1797-
1 800 ) , e di Jena ( 1 801- 1807 ) . Le opere principali del
primo periodo sono Volksreligion und Christentum, Leben .
]esu e Positivitat der christlichen Religion; del secondo, Geist
des Christentums ttnd sein Schicksal, i frammenti di due opu
scoli sulle discussioni alla dieta del Wiirttemberg e sulla costi
tuzione tedesca, e il cosiddetto System-fragment; del terzo,
il saggio sulla Diferenz des fchteschen und schellingschen
196
'
Si dir che Marx giunge alla sua visione della storia attra
verso lo studio concreto dell'economia. vero: ma l'eco
nomia ofre il contenuto della visione, non trasforma lo
schema entro cui questo contenuto viene elaborato e por
tato ad avere un senso: anzi ne viene essa stessa trasformata.
L'economia rende reale la dialettica idealistica o mistifcata
di Hegel; ma nello stesso tempo il quadro dialettico di estra
niazione ed appropriazione, in cui la realt economica viene
assunta, teologizza l 'economia. L'economia del primo Marx
uneconomia mistifcata, cio un'economia i cui risultati
vengono eretti a spiegazione e a giustifcazione della storia
universale. Tanto poco, dunque, Marx libera Hegel dalla
mistifcazione, che anzi quella scienza economica, che do
veva produrre tale miracolo, viene essa stessa avviluppata e
corrotta dalla mistifcazione. Tanto poco Marx, economista,
steologizza la flosofa in Hegel, ch anzi Hegel, flosofo, teo
logizza l'economia in Marx. Tanto poco insomma la visione
teologica del mondo e della storia scomparsa in Hegel, ch
anzi lo stesso discepolo di Hegel non riuscito a liberarsene,
proprio colui che era partito col proposito di svelare e di
struggere la mistifcazione di Hegel. In realt, ci che Marx
combatte in Hegel l 'intellettualismo, in base al quale la
storia dell'uomo si risolve nella storia dell'uomo teoretico,
e contro Hegel scopre che l'uomo teoretico un rifesso del
l' uomo pratico, e il movimento originario della storia il
movimento dell'attivit produttiva dell'uomo, dell'uomo pro
duttore e lavoratore, cio dell'uomo che fatto oggetto d
ricerca appunto dalla scienza economica. Ma non combatte
a fondo, e quindi non riesce ad eliminare, ci che veramente
si pu chiamare il misticismo di Hegel, cio la visione
escatologica della storia, per cui la storia, avendo un destino
ultimo, ha anche un senso, e il compito della sapienza del
l 'uomo di rivelarlo. Il proposito di Marx in questi scritti
giovanili indubbiamente quello d scoprire la legge uni
versale di sviluppo e il destino ultimo della storia dell'uomo:
che egli trovi questa legge col sussidio della scienza econo-
21 3
mica e quindi risolva il fne ultimo della storia nel verifcarsi
di un fatto economico, cio nell'abolizione della propriet
privata, che viene pertanto ad assumere un valore di riscatto
palingenetico dell'umanit (eliminazione dell'estraniazione,
dato che l'estraniazione dell'uomo deriva dall'estraniazione
del lavoro; e liberazione dell'uomo totale), non toglie che
l'intento del Marx in questi scritti sia quello di dare un
senso e d prescrivere un destino ultimo alla storia.
S'intende che Marx non tutto in queste opere giova
nili flosofche: ma pur san queste opere che, essendo pi
vicine allo Hegel, rivelano quale fosse l'ambiente flosofco
in Germania subito dopo Hegel, e soprattutto quale fosse
la natura e il signifcato della sua enorme infuenza e la
direzione che la sua presenza quasi ossessiva imprimeva alle
ricerche flosofche, come se il compito della flosofa fosse
- nella proclamata maturit dei tempi per i grandi rivolgi
menti - quello di essere illuminatrice e direttrice della
imminente catastrofe. Molti anni pi tardi Marx in un altro
celebre passo dir di aver civettato nella teoria del valore
contenuta nel Capitale con le espressioni di Hegel, lasciando
intendere che egli si considerava ormai come uno scienziato
nel senso proprio della parola ( secondo la concezione della
scienza del tempo suo), per il quale l'uso di un linguaggio
flosofco non rigorosamente richiesto dalla ricerca poteva
sembrare una civetteria . Ma nei Manoscritti le cose stan
no ben altrimenti : Marx un flosofo ( nel senso hegeliano
della flosofa) che civetta con l'economia politica. Il rapporto
tra il ricercare secondo il metodo scientifco e il civet
tare invertito. Nel Capitale la flosofa hegeliana una
civetteria per l'economista, cosl come nei Manoscritti l'eco
nomia una civetteria per il flosofo hegeliano. Chi non
valuta in tutta la sua importanza questa inversione di ter
mini, non si rende conto che la storia dello sviluppo intel
lettuale di Marx in gran parte la storia della sua libera
zione da Hegel. In un primo tempo, quasi d'impeto, si
svincola dall'intellettualismo di Hegel ( critica della dialet-
214
tica idealistica) ; solo assai pi tardi e non mai del tutto si
liberer dal misticismo, ovvero dalla visione escatologica
della storia. Ma rispetto allo Hegel, che qui soltanto ci inte
ressa, ci dimostra che l 'infusso di Hegel su Marx si fece
sentire non tanto per quel che vi era di economico
quanto per quello che vi era di persistentemente teolo
gico nella flosofa di Hegel. Il che in defnitiva per noi
una riprova dell'ineliminabile teologismo di Hegel e del
fondo di verit che permane nelle interpretazioni tradizionali .
Ritornando al Lukacs, ci sembra d poter concludere che
il capovolgimento da lui tentato del rapporto, comunemente
stabilito, tra Hegel e Marx, per lo meno unilaterale. Egli
fa di Hegel un precursore di Marx; e cosi trascura comple
tamente gli aspetti in base ai quali ancor valida la tesi
tradizionale secondo cui Marx un successore di Hegel. In
altre parole: egli steologizza Hegel per dimostrarne la vici
nanza al realismo marxista; noi abbiamo visto al contrario
che una delle ragioni per cui Marx dipende da Hegel il
residuo teologico che permane nella concezione marxistica
della storia. Insomma, Lukacs sbaraglia tutti gli interpreti
teologi
at
ra -
.
- come
i gi detto
all'inizio di queste pagme - di nnasClta hegehana, e t
nto
meno di neo-hegelismo. Perch mai ? Questa constataziOne
richiede qualche spiegazione, che tratteggeremo brevemente
a guisa d conclusione della presente rassegna.
. .
Anzitutto, una considerazione generale: ogm sistema f
losofco presenta un aspetto e quindi un
_
interesse metoolo
gico e un aspetto e quindi un interesse m largo senso zdeo
logico. Per quanto vi siano sistemi in eu
?
rev
le l'int
_
eresse
metodologico su quello ideologico, e altn m cm vale
.
i rap
porto inverso, si pu, in linea di principio, dire che m ogm
flosofa, in quanto tale, i due aspetti s'intrecciano, ed com
pito dell'interprete di scinderli e metterli in evidenza. Una
grande flosofa insieme un nuovo modo di conoscere ( e
con ci apre la strada ad una nuova ricerca), e una nuova
concezione del mondo ( in quanto tale costituisce un sistema
tipico di valori che determina un'etica, un indirizo pratico,
ecc. ) . Non c', forse, flosofa in cui questo duplice aspetto
sia evidente pi della flosofa di Hegel. Dal punto
.
di vsta
metodologico essa rappresenta la scoperta della dialettica;
dal punto di vista ideologico essa , a second
_
a d
lle due
interpretazioni antitetiche, o l'ultima grande smtesi teolo
gico-cristiana, o la prima grande presentazione di
na co
to al
sistema hegeliano come ideologia, sta propno nel diverso
accento posto sull'una o sull'altra delle due facce di questo
pensiero. La corrente neo-hegeliana aveva rivolto la propria
attenzione al metodo dialettico dichiarandosi continuatrice
e riformatrice della dialettica hegeliana; oggi si guarda con
maggior interesse alla sintesi ideologica rappresentata dal
sistema dell'autore della Fenomenologia, e si cerca di rein-
228
terpretare le principali ideologie contemporanee alla luce
della concezione hegeliana del mondo, reinterpretata a sua
volta in funzione delle ideologie contemporanee.
Si prenda, come esempio caratteristico del primo atteg
giamento, la posizione assunta costantemente e continua
mente dal Croe verso la flosofa hegeliana, con la quale
non ha cessato, dopo i celebre saggio del 1 906, di mettersi
a rafronto (e ancora, recentemente, in un colloquio imma
ginario col grande flosofo, pubblicato sui Quaderni della
Critica _ del marzo 1 949: Un a pagina sconosciuta degli ul
timi mesi della vita di Hegel) . Per il Croce sin dal primo
saggio, lo sforzo maggiore di Hegel consistito nella elabo
razione di una logica della flosofa ( logica nel senso di meto
do) . Questo stato il grande problema di Hegel, il problema
centrale della Fenomenologia e delle nuove forme in cui que
sto primo libro si present nella Logica e nella Enciclopedia.
Nella sua dottrina logica - egli scrive - e nel suo efet
tivo pensare in conformit di essa, , dunque, il vigore indo
mabile, la perpetua giovinezza della flosofa hegeliana
I 0
E come la logica il problema di Hegel, cos nella logica
bisogna cercare la fonte del suo errore, che sarebbe in tal
caso un errore di teoria logica, ovvero lo scambio, com'
ben noto, tra teoria dei distinti e teoria degli opposti. Per
il Croce, continuare Hegel signifca riprendere la logica di
Hegel, purifcandola dai gravi errori (logici ) che la viziano,
in modo che non sia pi possibile l'equivoco delle due inter
pretazioni antitetiche: quella teistica e quella materialistica,
che si fondavano, entrambe, su dottrine hegeliane ed erano a
loro modo entrambe fedeli allo spirito unilateralmente inteso,
dello Hegel . Si vede cos come l'interesse per il problema
metodologico scacci l'interesse per quello ideologico: non
solo al Croce non interesse lo Hegel teista o materialista,
ma anzi egli cerca di interpretare Hegel in sifatta guisa che
non sia pi possibile l'equivoco di un'interpretazione cosl
I0
Saggio sullo Hegel, } ediz. , 1 927, p. 48.
229
marcatamente ideologica. Egli tiene visibilmente a far notare
che la sua interpretazione metodologica non coincide n con
la destra n con la sinistra ( e neppure in un certo senso col
centro, cio con l 'ortodossia dei ripetitori ) . Anzi, si man
tiene accuratamente equidistante dalle interpretazioni aper
tamente ideologiche, e si mette su una linea che senza essere
una pedissequa ripetizione non vuole neppure essere una
deviazione. la linea della revisione critica della dialettica
hegeliana, da cui ci si ripromette la soluzione dei principali
problemi rimasti insoluti in quel sistema. Non gi che la
interpretazione crociana non contenga a sua volta degli ele
menti ideologici. E come sarebbe possibile se ogni flosofa
implica e non pu non implicare ( la stessa logica dello
storicismo, professato dal Croce, che ce lo insegna ) una
presa di posizione ideologica? Lo Hegel di Croce non
teista n materialista, ma bens idealista, colui che con
duce il pensiero moderno non solo all'assoluto immanen
tismo, ma pi propriamente allo storicismo assoluto; e poi
ch staticit dialettica e spiritualit, allo spiritualismo asso
luto ` Ma la posizione ideologica di Hegel vista dal Croce
in funzione della dottrina metodologica, coerentemente del re
sto allo stesso concetto che il Croce ha della flosofa come
metodologia della storia. Hegel fu pur sempre, per il Croce,
il genio flosofco che indovin il segreto bisogno del mondo
moderno e gli forn il mezzo logico che chiedeva 12, cio il
nuovo concetto del concetto, come unit dell'universale e
dell'individuale, ecc.
"
Tanto vivo interesse per l 'aspetto
formale della fosofa di Hegel va di pari passo con la scarsa
attenzione che il Croce e in genere la corrente idealistica
italiana hanno prestato al contenuto della flosofa hegeliana,
"` Il carattere della flosofa moderna, 1 941, p. 45.
12 Op. cit., p. 42.
` Segue questo indirizz interpretativo, che implica la discendenza
di Hegel da Kant, Fichte e Schelling, un crociano di stretta osservanza
come M. CIARDO, in un libro recente: Le quattro epoche dello sto
ricismo, Bari, Laterza, 1947.
230
,
f
cio ai concetti particolari svolti dallo Hegel in questo o in
quella parte della sua flosofa, e che rivelano la sua conce
zione del mondo o meglio gli aspetti ambigui di questa con
cezione. Basta per un momento richiamare alla mente i due
temi del lavoro e della morte, illustrati rispettivamente dal
Luk:ks e dal Kojve, per far toccare con mano la diferenza
tra il neo-hegelismo metodologico e formale dei primi de
cenni e l 'hegelismo ideologico e contenutistico dei giorni
nostri. E se non s'intende questa diferenza essenziale di
atteggiamento, si rischia di cadere in gravi equivoci e di
sovrapporre l'una sull'altra le diverse fasi della fortuna di
Hegel che vanno tenute accuratamente distinte, perch cor
rispondono a diverse epoche culturali, come sono, da un
lato, quella dell'idealismo ottimistico e, dall'altro, quella
della odierna flosofa della crisi.
L'idealismo ottimistico ha cercato in Hegel l'inizio e il
fondamento della propria orgogliosa sicurezza: la flosofa
di Hegel, debellata defnitivamente la metafsica della tra
scendenza, ofre al pensiero umano, attraverso il nuovo stru
mento dela logica dialettica, le basi per una concezione nuova
della storia e del mondo, che permette all'uomo di conqui
stare, insieme col dominio del proprio mondo umano ( il
mondo della storia ) , una pi piena consapevolezza di s. La
flosofa dello Hegel un cominciamento. La flosofa della
crisi cerca, invece, in Hegel, l'origine e la spiegazione della
crisi stessa: la flosofa di Hegel l 'ultimo e pi grandioso
tentativo di conciliare speculativamente le grandi antitesi
della storia moderna, di trovare i termini della perfetta ade
guazione tra reale e razionale, e come tale anche l 'ultimo
e pi conseguente rampollo del razionallismo greco-cristiano.
La flosofa di Hegel non un cominciamento, ma u termine.
Non il primo anello di una tradizione in feri, ma l 'ultimo
anello di una traduzione esaurita. Dopo di essa, infatti, co
mincia lo smarrimento, la dissoluzione, la crisi. la crisi del
razionalismo, che signifca il fallimento di ogni tentativo di
adeguazione totale tra la ragione del soggetto umano e la ra-
231
gione oggettiva delle cose mediante il comune riferimento della
ragione soggettiva e oggettiva alla Ragione universale. Ed
anche la crisi della flosofa nel senso tradizionale della
parola, cio come sapere totale. Dopo di che non sembrano
pi possibili al pensiero umano che due alternative: o la @o
sofa, diciamo cos, della inadeguazione o i1razionalismo ( li
nea Kierkegaard, Nietzsche, esistenzialismo ) ; oppure la ne
gazione della flosofa o positivismo ( linea che giunge visibil
mente sino alle odierne correnti neo-positivistiche ) .
Chi voglia farsi un'idea concreta di questo secondo tipo
di interpretazione della flosofa hegeliana, secondo cui questa
flosofa non un cominciamento ma un episodio fnale, e si
voglia cos render conto del signifcato dell'antitesi, sin qui
rilevata, tra l'interpretazione metodologica dell'idealismo e
quella ideologica della flosofa della crisi, legga la ricca e
densa opera del LOwith, Von Hegel bis Nietzsche. Zirich,
Europa Verlag, 1 941 ( tradotta recentemente in italiano,
Torino, Einaudi, 1 949 ) , la quale rappresenta in maniera
esemplare il contraltare della interpretazione neo-idealistica.
Per il LOwith l' opera di Hegel costituisce, proprio come
Hegel stesso la intendeva, l'ultimo grande e disperato ten
tativo di conciliare la flosofia con la realt tanto sul terreno
politico quanto su quello religioso. In questo senso anche
l'ultima grande e ambiziosa manifestazione dello spirito bor
ghese-cristiano. Di conseguenza, la rottura del sistema, ope
rata sia dai Giovani hegeliani nella direzione soprattutto della
flosofa politica ( ma anche, per un aspetto tutt'altro che
trascurabile, nella direzione della flosofa religiosa ) , sia dal
Kierkegaard nell'ambito del cristianesimo, rappresenta, da
un lato, una irrimediabile scissione tra flosofa e cristianesimo
e quindi l'inizio di quella scristianizzazione e disumanizzazio
ne della flosofa che conduce attraverso i Giovani hegeliani
a Nietzsche, dall'altro, ;la dissoluzione di quel mondo bor
ghese-cristiano, in cui si rispecchiava la tradizione politica
e religiosa di una cultura ormai millenaria, e che dopo la
disintegrazione del pensiero del grande mediatore sfocia
232
i
l
I l
. l
storia: e in ci hanno ragione Lukacs e Kojve. Ma le
categorie con cui questa storia viene compresa sono categorie
teologiche ed teologico lo spirito con cui il corso di questa
storia viene compreso e determinato: e in ci hanno ragione
Niel e Iljin L'idea, propria di una concezione teologica,
di una storia compiuta che ha un principio ed una fne,
l' idea motrice della visione di Hegel. Solo che questo prin
cipio e questo fne non sono al di fuori del mondo, ma nel
mondo stesso, si compiono in questo mondo. La storia ha
un senso ed uno sviluppo, non per una forza che viene di
l dalla storia, ma per forza propria. La storia , per Begel,
come per una concezione teologica e trascendente, il dramma
dell'uomo alienato. Ma, a diferenza dalle concezioni teolo
giche, l 'appropriazione, che restituisce l'uomo a se stesso e
segna la fne del dramma storico, di questo mondo. E
colui che chiamato a realizzare questa appropriazione e a
chiudere la storia Hegel in persona.
Ecco perch non possibile scindere gli elementi teolo
gici da quelli storicistici nella interpretazione complessiva d
Hegel : la flosofa di Hegel insieme una teologia e una
storia, una storia teologica o una teologia della storia.
Ecco perch la strada di Hegel una strada che non si po
teva continuare, ed era piuttosto una chiusura del passato
che un'apertura verso l 'avvenire: il concetto di un compi
mento della storia, di un'appropriazione in questo mondo,
contraddittorio (ed la stessa contraddizione in cui si di
batte il marxismo, e che il revisionismo aveva cercato per
pi vie di evitare) . Proprio per sciogliere questa contraddi
zione, si percorrono, oggi, due diverse, anzi opposte, strae:
`
.
Nella Prefazione ad una antologia di scritti giovanili hegeliani
tradotti, I principi di Hegel, cit. , il De Negri presenta alcune interes
sa
ti an?otazoni linguis
tegoria
.
dell'alienazione il contributo che Marx accoglie da Hegel.
St veda t1 saggio Lo storicismo mistifcato della fenomenologia hege
liana, in Societ , XIII, 1957, pp. 639-685; 841-894. Dello stesso
autore Rovesciamento e nucleo umano nella dialettica hegeliana se
condo Marx, in Opinione , n. 4-6, ott. 1956-marzo 1957, pp. 1 7-42.
254
fcato univoco di dialettica, e se quando si parla di dialettica
in Marx, si intenda parlare, in diversi periodi della sua atti
vit e in diverse opere, sempre della stessa cosa. Nasce il
sospetto, tra l'altro, che alcune delle discussioni sulla mag
giore o minore dialetticit del pensiero marxiano nei diversi
periodi siano unicamente il frutto di diversi modi di intendere
la dialettica, e quindi di mettere l'accento su questo o quel
signifcato considerato come esclusivo. Non contribui certo a
dissipare i dubbi lo Engels quando credette di poter riassu
mere il signifcato del metodo dialettico in tre leggi, che
costituivano una estrapolazione di tre momenti o caratteri
della logica hegeliana, e che sembra non abbiano altra ragione
comune che quella di costituire insieme le leggi dello sviluppo
della natura e della societ: la legge della conversione della
quantit in qualit e viceversa; la legge della compenetrazione
degli opposti ( azione reciproca ) ; la legge della negazione della
negazione. 30
Il punto comune di riferimento del termine dialettica )
nelle sue diverse accezioni pur sempre dato da una situa
zione di opposizione, di contraddizione, di antitesi, di anti
nomia, di contrasto, che deve essere risolta. Per quel che
riguarda la prima delle tre leggi, essa non si riferisce ad un'op
posizione da mediare o risolvere, non indica il metodo per la
risoluzione di un' opposizione, e pertanto il farla rientrare
in una teoria generale della dialettica semplicemente fuor
viante. Quanto alle altre due, si riferiscono, sl, a una situa
zione di opposizione, ma concepiscono l'opposizione e il modo
di risolverla in maniera diversa, tanto che l'applicazione del
l'una o dell'altra allo stesso problema conduce a soluzioni
diverse. Oggi diremo che esse formulano due tecniche di
ricerca diverse, e che in una logica della ricerca, qual' quella
che intende elaborare Engels nella Dialettica della natura,
dovrebbero esser meglio distinte per non ingenerare confu
sioni. Di fronte a due enti in contrasto, il metodo della com-
30 Dialettica della natura, trad. ital., ed. Rinascita, 1959, p. 32.
255
penetrazione degli opposti, o meglio dell'azione reciproca,
conduce a mantenere entrambi i termini del contrasto e a
considerarli come condizionantisi a vicenda; al contrario, il
metodo della negazione della negazione conduce a conside
rare il primo eliminato in un primo tempo dal secondo, e i
secondo eliminato in un secondo momento da un terzo ter
mine. Il primo metodo viene applicato a eventi simultanei, i
secondo, a eventi che si dispiegano nel tempo: perci quest'ul
timo un metodo per la comprensione della storia ( vuoi della
storia della natura, vuoi della storia dell'uomo) . La diversit
dei due metodi risulta ancor pi chiaramente se consideriamo
la loro intenzionalit polemica: il metodo della compenetra
zione degli opposti si contrappone ad una concezione mecca
nidstica della natura nella quale tutto l'universo spiegato
attraverso una serie a catena di cause ed efetti in una sola
direzione ( cominciando dalla causa prima ) ; il metodo della
negazione della negazione, invece, si contrappone ad una conce
zione razionalistica ed astratta della storia, secondo cui o il
male non esiste o esiste soltanto come male da eliminare
una volta per sempre. Per fssare il contrasto, nulla val meglio
che un esempio, tratto dal campo stesso di esperienza carat
teristico della flosofa hegeliano-marxistica: societ naturale
e stato rappresentano nella storia delle idee ( si pensi al gius
naturalismo) una tipica situazione di contrasto. Applicando
alla soluzione di questo contrasto il metodo dell'azione
reciproca, si aferma non gi che la societ naturale condi
ziona lo stato, e neppure che lo stato condiziona la societ
naturale, ma che societ naturale e stato si condizionano a
vicenda; applicandovi invece il metodo della negazione della
negazione, si costruisce una bella linea del processo storico
in cui ad un certo punto lo stato nega la societ naturale, per
essere alla fne da questa nuovamente superato e risolto
( l'estinzione dello stato) .
Ho gi avuto occasione di dire altrove che il primo signi
fcato di dialettica viene in questione quando l'aggettivo dia
lettico unito a rapporto , relazione , nesso ; il
256
secondo quando unito a svolgimento , movimento ,
processo - Altro dunque parlare di nesso dialettico di
societ e stato, altro di movimento dialettico tra societ e
stato. Un esempio caratteristico di problema posto nella
dottrina marxistica in termini di nesso dialettico quello
del rapporto tra struttura e soprastruttura; un problema
tipico posto in termini di movimento dialettico quello
del passaggio tra la propriet collettiva originaria alla pro
priet individuale e al comunismo fnale. La soprastruttura
non la negazione della struttura, mentre la propriet indi
viduale la negazione della propriet comune originaria.
Viceversa, la soprastruttura un termine che ritorna sul
suo opposto; la propriet individuale non ritorna sul suo
opposto, ma da questo, a sua volta, negata ( la negazione
della negazione ) . Infne, la dialettica della reciprocit
una relazione fra due termini che non generano un terzo
termine; la dialettica del movimento una relazione triadica,
cio una relazione tra due termini che ne generano un
terzo dai primi due. Se si vuoi rendere con un'immagine la
diferenza, il primo moto pu essere rafgurato in un pen
dolo, il secondo in una spirale.
7. Mi son sofermato su questa ambiguit del concetto
di dialettica, qual' stato tramandato in seno al marxismo
teorico da Engels, perch il problema della dialettica in
Marx non tanto se Marx sia stato un pensatore dialettico,
ma in qual senso lo sia stato, se in uno o pi sensi. Ora io
credo che nelle opere di Marx siano presenti, anzi abbiano
una parte importante, entrambi i modi di intendere la dia
lettica sopra illustrati, e ci forse non ultima ragione delle
difcolt di interpretazione.
La dialettica di cui Marx si appassion e intorno a cui
si travagli negli anni della maturit, via via che s'inoltrava
Nota sulla dialettica in Gramsci, in ^ Societ D XIV, 1958,
pp. 24-25.
25 7
1 7. N. BoBBI Da Hobb.s a Marx.
nele ricerche di economia politica, sino a parlare di una
nuova scienza economica elaborata con metodo dialettico,
non la stessa che egli scopri negli anni giovanili, quando
design le grandi linee di una flosofa della storia non pi
dal punto di vista dell'uomo teoretico ma dell'uomo pratico
( una specie di fenomenologia con la testa in su, o se si
vuole, non una fenomenologia dello Spirito, ma dell'uomo
storico) . La prima un metodo di ricerca scientifco (o che
egli ritiene tale), un canone o una serie di canoni per
una pi adeguata comprensione delle categorie dell'econo
mia, che sono categorie storiche e non naturalistiche o me
tafsiche; la seconda un metodo d'interpretazione della
storia nella totalit del suo processo. Marx fu, tra l'altro, un
flosofo della storia e uno studioso di economia politica. Per
quanto i vari aspetti della sua personalit non siano disgiun
gibili, ed egli in ognuna delle concezioni o teorie o ricerche
che elabor, sia partito sempre da una visione drammatica
della vita, cio dall'opposizione, dall'antagonismo, dalla lotta,
dalla contraddizione ( di qui l'importanza che egli diede alla
dialettica hegeliana ) , pure le opposizioni di fronte a cui si
trov come flosofo della storia, ossia le opposizioni tra
i grandi movimenti storici, non erano dello stesso tipo di
quelle tra concetti della scienza economica tradizionale, di
fronte a cui si trov come economista.
Come flosofo della storia, fu colpito, nel pensiero di
Hegel, dalla dialettica della negativit come principio mo
tore e generatore , ci che nella Miseria della flosofa
espresse dicendo che il lato cattivo a produrre il movi
mento che fa la storia, determinando la lotta . Questo
principio della forza del negativo il nucleo originario di
una concezione dialettica della storia: il negativo non vien
considerato come un'aberrazione n come un male, ma come
un momento necessario dello sviluppo storico. Ogni movi
mento storico deve giungere alla sua degenerazione perch
si sviluppino le forze destinate ad eliminarlo e a crearne
uno nuovo. A principio della forza della negativit son
258
connesse due diverse formulazioni della necessit delle op
posizioni : l ) ogni momento storico genera nel suo seno
delle contraddizioni, le quali sono la molla dello svolgimento
storico: a un certo punto, quasi fatalmente, una situazione
storica entra in contraddizione con un'altra situazione sto
rica, e il divenire il risultato dell'aprirsi della contraddi
zione; 2) le contraddizioni storiche danno origine ad anta
gonismi, cio alla lotta tra i rappresentanti della classe dal
cui seno queste contraddizioni si sprigionano e coloro che
di queste contraddizioni sono le vittime e insieme i prede
stinati superatori, e a questa lotta afdata la creazione della
nuova societ. Sin qui la concezione marxistica della storia
si contrappone a ogni forma di utopismo o di intellettualismo
astratto che vorrebbe eliminare il male della storia ( e con ci
le contraddizioni e la lotta ) e sostiturgli una volta per sem
pre ci che reputa bene, ma ci facendo si pone l'assurdo
problema d eliminare la storia .
La dialettica come concezione globale della storia non
si arrestava al principio della forza del negativo, cio al
momento della negazione, ma proprio in quanto concezione
della storia come perpetuo divenire, procedeva al momento
ulteriore della negazione della negazione. Ora la dialettica
di Marx, flosofo della storia, orientata, come quella hege
liana, verso una teoria della storia come continuo divenire,
il cui carattere di svolgersi per successive negazioni. Se la
negazione, come abbiamo detto, la molla del progresso,
la negazione della negazione, in quanto risoluzione della con
traddizione, costituisce il progresso medesimo. Qui diventa
chiara la contrapposizione alla tradizionale concezione sto
rica del giusnaturalismo, per il quale il corso storico si
muove tra una negazione iniziale (lo stato di natura) e
un'afermazione successiva e defnitiva ( la societ civile) ,
cio attraverso lo sviluppo diadico che in quanto tale ferma
e fssa il corso storico; e parimenti alle varie concezioni evo
luzionistiche che, a diferenza del giusnaturalismo, non fs
sano il corso storico, ma, pur concependolo come uno svi-
259
luppo, lo concepiscono come uno sviluppo a gradi e non
a salti, di successive afermazioni, non di successive nega
zioni. Che poi il movimento dialettico avesse per molla le
forze spirituali o le condizioni materiali, la religione o i bi
sogni economici, le ideologie o le forme di produzione, que
sto un discorso che non tocca propriamente la dialettica,
ma riguarda, se mai, l' altro aspetto della flosofa di Marx,
il materialismo storico, che qui non viene in considerazione.
Altro problema estraneo all'interpretazione della dialettica
quello, che pur fece versare fumi d'inchiostro, relativo alla
maggiore o minore fatalit del corso storico e all'efcacia
dell'intervento attivo degli uomini, o delle masse e delle
loro avanguardie. Anche questo problema non riguarda la
formulazione della legge, ma il modo della sua realizzazione.
8. Ci che invece tocca la teoria stessa della dialettica
come struttura formale della realt, il metodo della ri
cerca scientifca che Marx discusse ed applic quando si
pose innanzi il compito di elaborare una teoria economica
diversa da quella degli economisti borghesi, e in gene
rale quando pass dalla considerazione storica del corso del
l'umanit al tentativo di costruire una scienza dell'uomo in
societ. Come flosofo della storia, egli si era trovato di
fronte a categorie storiche, denotanti tipi di civilt o di so
ciet, come feudalesimo, borghesia, classi, lotta di classe;
come scienziato della societ, le categorie a cui si trov
dinanzi denotavano tipi di azione o di comportamento, come
produzione, distribuzione, consumo, capitale, proftto, la
voro intellettuale e lavoro manuale, che si potevano studiare,
seppure in diverse forme e in diverse relazioni tra loro, in
ogni tipo di societ. Il meglio, che egli aveva ereditato da
Hegel, era il rifuto di ogni considerazione intellettualistica
che astrae dal reale i concetti e poi li separa e non riesce pi
a costruire l'unit, e la tendenza, di fronte alla moltepli
cit e complessit del reale, a ricercare una unit con
creta. Lo strumento di questa comprensione unitaria era la
260
^
dialettica come rilevazione delle opposizioni e loro risolu
zione. Solo che l a unit concreta nello studio dello svolgi
mento storico gli era apparsa come il risultato della sintesi
degli opposti ( negazione della negazione), donde la catego
ria del coro storico dell'umanit il divenire; nello studio
scientifco della realt, l'unit concreta gli apparve come il
risultato di una interrelazione degli enti che l'intelletto
astratto ha erroneamente isolati gli uni dagli altri ( azione
reciproca ) , donde la categoria unitaria della totalit organica.
Come il divenire composto di diversi momenti in oppo
sizione, cos la totalit organica composta di diversi enti
in opposizione. La dialettica, come metodo di risoluzione
delle opposizioni, si presenta l come sintesi degli opposti,
qua come azione reciproca. Il divenire, in altre parole, il
risultato di successive negazioni, o se si vuole di un continuo
superamento ( il terzo termine ) ; la totalit organica il
risultato di un intrecciarsi delle reciproche relazioni degli
enti, o, se si vuole, di una integrazione ( che non risolve i
due termini in un terzo ) .
Sin dalla Ideologia tedesca Marx ebbe a porsi i termini
della dialettica della totalit organica, che si fonda sul prin
cipio dell'azione reciproca. Spiegando i punti fondamentali
della concezione materialistica della storia, concludeva che
essa permetteva di rappresentare la cosa [ il processo reale
della produzione] nella sua totalit e quindi anche la reci
proca infuenza di questi lati diversi [ la societ civile, lo
stato, le forme della coscienza] l'uno sull'altro Ma
l 'esposizione pi completa del principio dell'azione reciproca
quello che accompagna la rifessione sui problemi economici,
e si trova infatti nella gi ricordata Introduzione alla critica
dell'economia politica. Si tratta qui per Marx di prendere
posizione contro la scienza economica borghese, che, da un
lato, idealizza categorie storiche trasformandole in categorie
assolute, e dall'altro, procedendo alla formulazione di con-
3
2 Ideologia tedesca, trad. ital., ed. Rinascita
,
1958, p. 34.
261
cetti astratti, che procedimento legittimo, li immobilizza
nella loro astrattezza, gioca con essi come se fossero enti
senza relazione oppure a relazione univoca, e non riesce pi
atornare al concreto. Il risultato al quale perveniamo
- spiega Marx - non che produzione, distribuzione,
scambio, consumo siano identici, ma che essi rappresentano
tutti dei membri di una totalit, diferenze nell'ambito di
una unit . Che cosa signifca essere membri di una tota
lit ? Signifca che ciascuno di essi determina tutti gli altri,
ed a sua volta determinato da tutti gli altri. Certamente la
produzione il momento iniziale; ma sarebbe un errore con
siderare tutti gli altri momenti dipendenti da esso. Una
prouzione determinata determina quindi un consumo, una
distribuzione, uno scambio determinati, nonch i determinati
rapporti tra questi diversi momenti. Indubbiamente, anche
la produzione, nella sua forma unilaterale, da parte sua
determinata dagli altri momenti . La conclusione espressa
con queste parole: Tra i diversi momenti si esercita una
azione reciproca. E questo avviene in ogni insieme organi
co 33 Per quanto in questo contesto non usi la parola
dialettica , Marx parla poco pi oltre di dialettica dei
concetti di forza produttiva ( mezzi di produzione) e di rap
porti di produzione ) 34, e non c' dubbio che qui dialet
tica signifchi azione reciproca . Quando egli dir di
voler applicare il metodo dialettico all'economia, all'intro
duzione del '57 che bisogna guardare come alla principale
chiave di spiegazione: i concetti della scienza economica sono
concetti della realt storica ed essi stessi storicamente deter
minati, e formano non un sistema meccanico, ma un tutto
articolato e organico, una totalit concreta. Lo stesso En
gels, recensendo l'opera di Marx, dopo aver afermato che
l'uso del metodo dialettico era U aspetto del pensiero di
In appendice a Per la critica dell'economia politica, cit. ,
pp. 186- 1 87. Il corsivo mio.
" ' Op. cit., p. 196.
262
Marx quasi altrettanto importante del materialismo, spiega
il metodo marxiano, cio il metodo dialettico, in questo
modo: Seguendo questo metodo prendiamo come punto
di partenza il primo e pi semplice rapporto che ci si pre
senta storicamente, di fatto, cio, in questo caso, il primo
rapporto economico che troviamo davanti a noi . Questo
rapporto lo scomponiamo. Per il fatto che un rapporto,
ne deriva gi che esso ha due lati che sono in relazione l'uno
con l'altro. Ognuno di questi lati viene esaminato a s; da
questo esame risulta il modo del loro reciproco rapporto, la
loro azione e reazione reciproca 35
9. Mi son posto all'inizio due domande: l ) se Marx sia
un pensatore dialettico; 2) in qual senso lo sia. Alla prima
domanda ho risposto afermativamente senza limitazioni. Alla
seconda ho risposto esaminando due signifcati diversi di
dialettica e mostrando il loro diverso uso in diversi do
mni di ricerca. Qui mi preme aggiungere che l' aver distinto
due accezioni principali, non vuoi dire che siano soltanto
due. Mi son limitato a riscontrare, per cos dire, le due
'
prin
cipali accezioni gi accolte e teorizzate da Engels.
Due ulteriori problemi, se mai, potrebbero essere i se
guenti . La risposta alla prima domanda rinvia al problema
se l'importanza di Marx nella storia del pensiero stia nel
l'essere stato un pensatore dialettico. Risponderei che, a
mio avviso, ci che conta del marxismo nella storia del pen
siero piuttosto la teoria materialistica della storia, nella
sua accezione generale di teoria sul rapporto tra struttura
economica e sovrastruttura, e nella sua accezione pi speci
fca di teoria realistica della storia, secondo cui per compren
dere la storia umana bisogna partire dai rapporti reali e non
dalle idee che di questi rapporti si san fatti gli uomini. La
risposta alla seconda domanda rinvia al problema quale dei
In appendice a Per la critica dell'economia politica, cit. , p. 206.
Il corsivo anche mio.
263
due signifcati di dialettica sia storicamente pi rilevante,
vale a dire quale dei due possa caratterizzare meglio un
indirizzo di pensiero. Non esito a rispondere che il signi
fcato storicamente pi rilevante quello che abbiamo esa
minato per primo, cio il metodo della negazione della
negazione. Il principio dell'azione reciproca comune a vari
tipi di ricerche scientifche e non in grado da solo di carat
terizzare una metodologia e tanto meno una concezione ge
nerale della realt. Oltre tutto, la forma storicamente pi
genuina della dialettica, voglio dire quella che stata tra
mandata come dialettica hegeliana , pur sempre la prima
e non la seconda: la sintesi degli opposti e non la compe
netrazione degli opposti. La negazione della negazione
per Hegel la categoria generale di comprensione di tutto il
movimento storico, mentre la teoria dell'azione reciproca
non che un capitolo della logica. L'assolutizzazione, com
piuta da Engels, di un capitolo della logica ( qui logica
intesa nel senso d teoria dell'indagine), getta un'ombra
oscura sul materialismo dialettico, che pu essere dissipata
solo distinguendo i lato forte dal lato debole della dialet
tica.
264
N O T A
Legge naturale e legge civile nella filosofia politica di Hobbes
stato inserito nella miscellanea intitolata Studi in memoria di Gioele
Solari, ^ Pubblicazioni dell'Istituto di Scienze politiche dell'Universit
di Torino (Torino, 1954, pp. 61-101) .
Hobbes e il giusnaturalismo apparso i n ^ Rivista critica di storia
della flosofa , XVII, 1962, pp. 471-486.
Studi lockiani stato pubblicato in ^ Rivista storica italiana D
LXXVII, 1965, pp. 96-130.
Leibniz e Pufendorf stato pubblicato in ^ Rivista di flosofa ,
XXXVIII, 1947, pp. 1 1 8-129.
Kant e le due libert, originariamente col titolo Due concetti di
libert nel pensiero politico di Kant, comparso negli Studi in onore
di Emilio Crosa (Milano, 1960), vol. I
,
pp. 221-235.
Studi hegeliani stato pubblicato in ^ Belfagor , V, 1950,
pp. 67-80; 201-222.
L dialettica in Marx, apparso in ^ Rivista di flosofa , XLIX,
1958, pp. 334-354.
265
INDICE DEI NOMI
Aaron R. L, 76, 77.
Ambrosetti G., 51 .
Antoni C. , 167.
Aristotele, 54.
Austin J. , 1 1 , 57.
Ayrmann Fr. , 133.
Barbeyrac J. , 51, 130, 131, 132,
133, 134, 139, 140, 141.
Battagla F., 80.
Bauer B. , 233.
Beccaria C. , 40.
Bentham J., 57.
Beonio Brocchieri V. , 1 16.
Berkeley G. , 81.
Berlin 1. , 147.
Bianca G. , 23.
Bierling F. W., 137.
Bismarck (von) 0. , 204.
Bohme J., 189.
Boehmer J. Cb. , 129, 130, 132.
Boehmer J. H. , 129.
Boineburg (von) J. Chr. , 136.
Bonno G. , 76, 77.
Bono G. B. , 139.
Bossuet }.-B., 130.
Bourne H. R. F. , 77, 79.
Bourguet L. , 139.
Bowers F., 83.
Boyle R. , 120.
Branchu B. , 133.
Buret Th., 138.
Calogero G. , 168.
Calvez J. Y. , 240.
Carlini A. , 78, 80, 1 17, 1 18.
Carlo Ludovico (elettore palati-
no), 140.
Carmichael G., 133.
Cartesio R. , 1 18, 120, 123.
Cattaneo C. , 78.
Cattaneo M. , 57, 58, 60, 64,
68, 71 .
Cherubini G. , 239.
Ciardo M. , 167, 230.
Cicerone M. T., 96.
Codignola E., 168.
Conring H. , 136.
Constant B. , 151, 156, 160, 161.
Cordi G. , 151.
Coste P. , 77, 1 16.
Couturat L. , 137.
Cox R. H. , 78, 81, 100-107,
108.
267
Cranston M., 77.
Cresson A. , 167.
Crippa R., 78.
Croe B. , 5, 170, 208, 229,
230, 238.
Crousaz (de) J.-P. , 1 34, 139.
De Gandillac M., 166.
Del l a Volpe G. , 168, 240.
De Marchi E., 75, 76, 79, 80,
1 17.
De Negri E. , 166, 1 68, 187,
236.
De Rugiero G. , 165, 169- 173.
Dewhurst K. , 75.
Dilthey W. , 186, 193, 194.
Du Bos (abb), 76.
Diihring K. E. , 242, 245.
D Lignon, 139.
Dulkeit G. , 167.
Engels Fr. , 240, 241 , 243, 245,
246, 247, 248, 255, 257, 262,
264.
Erasmo, 1 18.
Pass G., 55.
Fatta C. , 168.
Ferrari F. A. , 1 16.
Ferrari G., 78.
Feuerbach L. , 167, 185, 189,
207, 233, 241, 243, 253.
Fichte J. G. , 193, 194, 202,
203, 230.
Figgis ]. N., 24.
Filmer R. , 21, 81, 83, 84, 85,
86, 87, 89, 90, 91, 92, 101,
1 1 7, 121.
Firpo L. , 6, 1 1 , 1 17.
Flechtheim O. K., 166.
Forest A. , 166.
Formigari L. , 80.
268
Fornaca R. , 1 18.
Freiligrath F., 248.
Galluppi P. , 78.
Gentile G., 78, 208.
Gera-Varisco J. Ch. L. , 131. .
Gerritsen J., 83.
Giacomo I, 85.
Giacomo II, 85.
Gibb J. , 77.
Gibelin, 168.
Gioberti V. , 78.
Glockner G. , 1 68, 191.
Goethe W. , 200.
Gough J. W., 84.
Gramsci A. , 5, 6, 257.
Grandi M. , 133.
Grgoire F. , 166, 167, 235, 236.
Grotius H. , 11, 12, 51, 52,
53, 54, 55, 56, 88, 129, 132,
144.
Haering Th. , 168, 186.
Harrington J. , 108.
Hartmann N., 168, 186.
Hegel G. W. F., 6, 8, 78, 125,
126, 165-238, 239, 240, 241 ,
242, 243, 244, 245, 246, 247,
248, 250, 251, 252, 253, 254,
258, 259, 264.
Heidegger M. , 5, 218, 219, 221 ,
226, 227.
Heiss R., 166.
Hobbes Th. , 7, 8, 9, 1 1-49,
51-74, 78, 81 , 82, 83, 86, 87,
89, 90, 91, 92, 97, 98, 100,
101, 103, 105, 106, 108, 1 12,
1 14, 1 15, 1 16, 125, 127, 140,
143.
Hofmeister ]. , 167, 1 68.
Holderlin Fr., 173.
Hooker R. , 85, 96.
Hume D. , 81.
I)
Hyppolite J. , 165, 166, 167,
1 68, 1 86-1 92, 235, 239.
Jacobi F. H. , 201 , 203.
Janklvitch W. , 1 68.
Jaspers K. , 227.
Jljin J. , 165, 178- 186, 235, 236.
Kaan A. , 168.
Kant I. , 6, 78, 79, 1 18, 147-
163, 193, 194, 202, 230.
Kelsen H. , 5, 30, 4 1 , 45.
Kestner H. , 142.
Kierkegaard S. , 227, 232, 233.
King (Lord) P. , 77.
Klibansky R., 80.
Klossowski P. , 1 67.
Kojve A. , 165, 166, 167, 178,
180, 187
'
188, 216, 21 8-227'
231, 235, 236, 239.
Kortholt S., 130, 1 31 , 1 32.
Knox T. M. , 169.
Kroner R., 186.
Laslett P. , 77, 81 , 83-92, 99,
123.
Laviosa A. , 78.
Lamanna E. P., 5.
Lasson G. , 167.
Le Clerc ]., 77.
Lefbvre H. , 248, 250, 251 .
Leibniz G. W., 129-145.
Lenin N., 1 97, 240.
Leyden (von) W., 76, 79, 86.
Locke J., 5, 7, 8, 74, 75- 128,
148.
Lough ]. , 76.
Lowith K., 207, 232, 233.
Lukacs G., 165, 178, 1 92, 1 93-
218, 220, 231 , 235, 236, 239,
240, 245.
Luporini C., 166.
Mably (de) G. B. , 1 51.
Macpherson C. B. , 80, 81, 1 08-
1 16.
Marcoux C. , 167.
Marx K. , 6, 7, 8, 9, 167, 179,
1 92, 204, 205, 206, 207, 210,
21 1
'
212, 213, 214, 215, 216,
217' 21 8, 219, 226, 227
'
239-
264.
Masson S. , 133.
Massolo A. , 166.
,1cndelssohn M. , 245.
Merkcr N., 239.
Merleau-Ponty M., 166.
Meylan P. , 1 32, 1 34, 1 39.
Molanus G. , 1 30, 133.
Mollat G. , 142.
Mondolfo R. , 78, 1 09.
Montesquieu (de) Ch.-1. , 1 50.
Mougin H. , 1 66.
Napoleone, 225, 226.
Newton I. , 1 1 8, 120.
Niel H. , 165, 1 66, 1 73-178, 209,
235, 236.
No hl H. , 167, 1 93.
Oakeshott M. , 1 1 , 62, 90.
Pala A. , 1 17.
Pagenstecherus A. , 1 31 .
Pareto V. , 5.
Pareyson L. , 83, 1 16, 148.
Passerin d'Entrves A. , 56.
Pellizzi C., 1 17.
Petty W., 1 17.
Pietranera G. , 1 17.
Piovani P. , 5, 58.
Placcius V. P. , 138.
Polin R. , 16, 23, 78, 81, 92-1 00,
1 12.
Prasch ]. L. , 1 43.
269
Proudhon P.-}., 248, 249, 250.
Pufendorf (von) S. , 1 1 , 12, 51,
86; 102, 1 27, 129-145.
Queneau R. , 165.
Ranke (von) L. , 204.
Ravier E., 130, 1 31 .
Ricci Garotti L. , 78.
Rommen H. , 52.
Rosea D. D. , 168.
Rosenkranz K., 192.
Rosmini A. , 78.
Rossi M. , 254.
Rousseau J. J. , 7, 8, 40, 150,
151, 153, 154, 160, 240.
Ruge A. , 233.
Sainati V., 1 17.
Saitta G. , 78.
Sanna G., 168.
Sartre J.-P., 5, 225, 226, 227.
Schelling F. W. J. , 193, 194,
202, 203, 230.
Scherzer J. A. , 144.
Schiller J. Chr. Fr. , 200.
Schweitzer (von) J. B. , 249.
Serini P., 165.
Shaftesbury (First Earl), 83, 85,
1 18, 1 19.
Smith A . , 202.
270
Solari G. , 6, 60, 78, 1 1 1 , 158.
Spaventa B. , 208.
Spener Ph. , 136.
Spinoza B. , 1 1 , 245.
Steuart }. , 202.
Stirling J. H., 203.
Stirner M. , 233.
Strauss L. , 56.
Tarantino G. , 20.
Thomasius Chr., 12, 51, 136,
142, 143.
Thomasius ]. , 135.
Tommaso (San), 54, 59, 66.
Tonnies F.
,
1 1 .
Turrettini J.-A. , 139.
Tyrrell J. , 86.
Vattel (de) E., 134.
Veltheim V. , 144.
Viano C. A. , 77, 78, 79, 80,
81
'
82, 92, 1 16-128.
Wahl J. , 168, 186.
Walsh W. H. , 166.
W arrender H. , 58, 60, 61 , 62.
Weigel E., 135, 140.
Weiss P., 166.
Willemin J., 166.
Wolf Ch. , 1 29, 134.
f .
I.
Prefazione
Legge naturale e legge civile nella flosofa politica
di Hobbes . . . . .
II. Hobbes e il giusnaturalismo .
III. Studi lokiani
IV. Leibniz e Pufendorf
v. Kant e le due libert .
VI. Studi hegeliani .
VII. La dialettica in Marx .
Nota
Indice dei nomi
PAG.
5
1 1
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75
129
147
165
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