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Osservazioni su una recensione di Costanzo Preve

Marino Badiale, Massimo Bontempelli

Il primo numero di Comunit e Resistenza contiene una lunga recensione-saggio di Costanzo Preve dedicata ai nostri due recenti libri (Il Mistero della Sinistra, Graphos 2007, La Sinistra Rivelata, Massari editore 2007; dora in poi, rispettivamente, MS e SR)1. In essa Preve affronta molte questioni che meriterebbero un approfondimento. Per ragioni di spazio, siamo costretti a limitarci a quelle pi strettamente connesse ai nostri due testi. Anche con questa restrizione, dovremo trattare molti argomenti diversi. Per evitare che il lettore perda il filo del discorso, pensiamo sia bene anticipare il senso complessivo di questo nostro intervento: nostra impressione che, nonostante un certo accordo su alcuni temi (come quello del superamento della dicotomia destra/sinistra), ci sia in Preve una sostanziale mancanza di sintonia rispetto a quanto andiamo sostenendo, e che questa mancanza di sintonia sia allorigine di una serie di incomprensioni presenti nel suo scritto. Buona parte del nostro intervento dedicata allesame di queste incomprensioni. Iniziamo dal tema del picismo. Preve dedica buona parte del saggio ad esporre le sue analisi sulla natura sociale ed umana del Partito Comunista Italiano nel secondo dopoguerra, e nota come la categoria di picismo sia del tutto assente nei nostri saggi (CP, pag.60). Ora, certo vero che il tema sollevato da Preve importante per la comprensione della storia recente del nostro paese, ma, nel metterlo al centro dellattenzione in una recensione ai nostri libri, Preve mostra di non aver capito quale sia il problema che ci siamo sforzati di analizzare. Il picismo importante per capire cosa sia oggi la sinistra italiana, ma il tema dei nostri libri non questo. Noi ci siamo proposti di focalizzare e indagare un fenomeno che non specificamente italiano ma riguarda linsieme del mondo capitalistico europeo ed anglosassone: il fatto cio che sinistre diversissime fra di loro, e inserite nei contesti pi diversi (i partiti comunisti di massa dellEuropa mediterranea, le socialdemocrazie dellEuropa del nord, i partiti laburisti del mondo anglosassone) hanno mostrato, pi o meno contemporaneamente, unevoluzione sostanzialmente simile. E un fenomeno per spiegare il quale, ci sembra, il riferimento al picismo serve a poco. Certamente, nei nostri libri trattiamo soprattutto dellItalia, per lovvio motivo che la realt che conosciamo meglio, ma lanalisi che ci siamo sforzati di compiere ha ambizioni pi vaste, e per questo abbiamo inserito considerazioni sulla vicenda della sinistra in altri paesi, dalla Francia alla Nuova Zelanda. Un altro punto di incomprensione riguarda quello che a noi sembra un fenomeno piuttosto strano e degno di analisi approfondite, il fatto cio che il popolo di sinistra si ostina a votare per un ceto politico che, nella sua concreta azione, agisce contro gli interessi di quello stesso popolo. E in riferimento a questo strano fenomeno che abbiamo parlato del mistero della sinistra. Preve liquida il fenomeno in poche righe. Dice infatti Preve: Chi si stupisce (B&B in primo luogo) che il picista medio voti per chi lo marteller nei coglioni nel giro di qualche mese per ordine di centri finanziari invisibili continua a non capire lessenza del problema. Il subalterno ritiene che leconomia sia come la meteorologia, che non ci si possa fare niente, ed ha perfettamente ragione a ritenerlo (qui c la radice del mio dissenso con B&B, che sembrano pensare che invece abbia torto) in quanto perfettamente consapevole della propria indicibile miseria sociale, in rapporto alla forza megagalattica dei padroni. In fondo, se decido di non rispondere alle provocazioni di un pugile professionista, ma abbasso mugugnando il capo, non c qui nessun irrazionalismo, ma il massimo di buon senso e di razionalismo possibile (CP, pag.61).

La recensione di Preve alle pagine 57-67 della rivista, e sar dora in poi indicata con la sigla CP.

Preve dice in sostanza che uno dei problemi fondamentali al centro dei nostri libri, problema al quale dedichiamo centinaia di pagine di analisi e riflessioni, si pu risolvere in poche righe. Se questo fosse vero, i nostri due libri sarebbero abbastanza inutili. Ma allora perch dedicarci una recensione di dieci pagine? Misteri dellanimo umano. Noi ovviamente crediamo che sia Preve a sbagliarsi, e cerchiamo adesso di mostrarlo. Preve afferma che la media persona di sinistra perfettamente consapevole della propria indicibile miseria sociale. A noi non sembra. Chi perfettamente consapevole della propria effettiva situazione capace di esprimerla chiaramente, a se stesso e agli altri. Per rimanere allesempio di Preve, un fenomeno meteorologico devastante, ma ritenuto ineluttabile, come un uragano, descritto, anche da chi lo accetta rassegnato, appunto come un uragano devastante, e non come una piacevole brezza. Non ci risulta invece che le persone di sinistra descrivano la propria situazione nei termini di indicibile miseria sociale, e che descrivano i ceti politici di sinistra, per i quali votano, come dei minacciosi pugili professionisti ai quali bisogna cedere mugugnando. Non ci sembra che i giornali di riferimento del popolo di sinistra (La Repubblica, Il Manifesto) si esprimano in questo modo. Non ci sembra che i comportamenti del popolo di sinistra siano adeguati alla perfetta consapevolezza di cui, secondo Preve, tale popolo sarebbe dotato. Facciamo solo un esempio, recuperato in internet. In un tipico blog di sinistra (allindirizzo http://ilprimochesfiduciaprodi.splinder.com/), allepoca della quasi-crisi del governo Prodi in seguito alla sconfitta del governo stesso sulla politica estera (febbraio 2007), si cita con favore una frase pronunciata da una ragazza in una manifestazione. La frase la seguente: "il primo della coalizione che prova a sfiduciare questo Governo, scendiamo in piazza con i kalashnikov ...". A noi sembra che questa frase descriva bene la reazione del popolo di sinistra in quelloccasione. Secondo Preve questa la frase di una persona che cosciente della propria indicibile miseria sociale e che abbassa mugugnando il capo di fronte alla forza del ceto politico di sinistra e dei suoi invisibili padroni? O non piuttosto la frase di chi, per rimanere allesempio di Preve, non teme affatto il pugile professionista, ma fa il tifo per lui contro il pugile rivale? In sostanza, ci sembra che Preve si sbagli, e che scambi quella che la situazione oggettiva del popolo di sinistra con la coscienza che esso ne ha. Ma in questo modo Preve non capisce, e non fa capire al lettore della sua recensione, assolutamente nulla dei nostri libri, nei quali quello che cerchiamo di fare proprio analizzare le condizioni antropologiche che mediano il passaggio dalla situazione oggettiva alla coscienza. Ci sembra che questa netta incomprensione sia poi allorigine di una notevole omissione. Nelle dieci pagine della sua recensione-saggio Preve tocca i problemi pi diversi, ma non accenna neppure alla nostra caratterizzazione della natura profonda della sinistra, che alla base della spiegazione da noi proposta del mistero della sinistra: si tratta del fatto che, a nostro avviso, la sinistra caratterizzata dalla fusione di modernizzazione ed emancipazione, cio dal fatto che essa ha sempre pensato la realizzazione dei propri ideali di emancipazione attraverso le categorie di progresso e modernizzazione. Questo fondamento ideale e antropologico della sinistra si rovesciato, di fronte alle nuove realt del capitalismo odierno, in sostanziale nichilismo. Non possiamo qui neppure sintetizzare i passaggi argomentativi di queste tesi. Ci importa adesso solo sottolineare che questa nostra tesi sulla natura della sinistra (giusta o sbagliata che sia) rappresenta il cuore della nostra proposta interpretativa, la trave che sorregge ledificio, e che ometterla del tutto, come fa Preve, significa ridurre i nostri testi ad unantologia di opinioni sparse, pi o meno condivisibili. Abbiamo fin qui esposto i punti fondamentali per i quali ci sembra si possa parlare di incomprensione da parte di Preve. Esaminiamo adesso un paio di altre questioni.

Preve ci attribuisce uninterpretazione sottoconsumista alla Luxemburg del passaggio dal capitalismo keynesiano-fordista al capitalismo neoliberista e globalizzato (CP, pag.62). E falso. La nostra interpretazione multifattoriale, e Preve, non parlando al lettore di quello che diciamo dellinflazione da costi e della stagflazione, la scarnifica in modo grottesco. Non soltanto, per noi, la saturazione dei mercati rispetto a certi beni non che un elemento del quadro, che da solo determinerebbe un semplice ciclo e non un cambiamento di fase, ma diciamo esplicitamente che il punto fondamentale del passaggio dato dai rapporti di potere sviluppatisi entro il modello keynesiano-fordista (MS, pag. 40; SR, pag. 254). Se c una tendenza strutturale al sottoconsumo, essa riguarda piuttosto la fase successiva, quella del capitalismo neoliberista ormai instaurato e non la fase della sua instaurazione. Ci sembra poi buffa la qualifica di operaismo che Preve attribuisce alla nostra ricostruzione della manovra monetaria della FED del 1979. Naturalmente, bisogna intendersi sulle parole, e non sappiamo cosa esattamente Preve intenda con lespressione operaismo. Che la ragione motivante della manovra, presentata al pubblico mondiale come una semplice stretta monetaria antiinflazionistica, fosse di ricostituire quello che Marx chiama esercito industriale di riserva, non una nostra interpretazione, ma un fatto risultante da successive dichiarazioni del suo autore (Volcker), poi pentitosi del misfatto compiuto. Un economista come Paul Krugman, riferendosi alla manovra economica di Volcker e alla recessione che ne seguita, commenta in questo modo: LAmerica ha ridotto linflazione nel modo pi classico: congegnando un congruo periodo di stagnazione produttiva e di forte disoccupazione per indurre i lavoratori a ridurre le loro rivendicazioni salariali e le imprese a moderare i loro aumenti di prezzo. Durante gli anni Ottanta il governo federale ha deliberatamente posto leconomia nella pi profonda depressione sperimentata dopo gli anni Trenta2. Se ne deve dedurre che secondo Preve Krugman operaista? Forse se ne deve dedurre che Preve usa il concetto di operaismo in modo un po troppo elastico, e che a tirare troppo i concetti si finisce con lo svuotarli di contenuto. E stato fin qui necessario parlare di quelle che ci sembrano incomprensioni da parte di Preve. Solo adesso possiamo cominciare quello che dovrebbe essere lunico contenuto di uno scritto come questo, cio la discussione razionale delle critiche di Preve e dei problemi rispetto ai quali le nostre tesi sono diverse dalle sue. Ci limitiamo a due punti: il problema dellimmigrazione e quello della decrescita. Sul problema dellimmigrazione Preve ci rimprovera di ripetere la sciocchezza di sinistra per cui limmigrazione come un fenomeno naturale che non pu essere impedito, e sostiene che politiche protezionistiche sarebbero in via di principio possibili (CP pag.65). Una simile osservazione ci sembra francamente irricevibile in una discussione tra persone colte, perch si tratta di unimpressione frutto di unevidente ignoranza degli studi sullargomento, e della mancanza del socratico sapere di non sapere. Studiosi di sociologia dellimmigrazione come Briguglio, Dal Lago e Pugliese, non sono certo appiattiti sulle posizioni della sinistra, e non sono sciocchi. Le informazioni da loro fornite andrebbero conosciute prima di sparare sentenze. Comunque, se davvero Preve capace di indicare concrete misure protezionistiche che possano arrestare i flussi migratori, senza ledere i fondamentali diritti delle persone, e senza accelerare uninvoluzione repressiva e poliziesca generale della societ, non ha che da dirle. Se ne capace, diventer famoso come luomo che ha risolto uno dei grandi problemi del mondo contemporaneo. Sul problema della decrescita, Preve ci invita a indicare quali siano i soggetti sociali che possono farsi carico di un progetto di decrescita, ricordandoci che in assenza di questi
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P.Krugman, Il silenzio delleconomia, Garzanti 1991, pag.66.

soggetti il programma della decrescita mi sembra un po come le utopie di Platone o alla Tommaso Moro (CP pag.66). Questa obiezione ricorda curiosamente quelle che i marxisti critici e indipendenti come Preve si sono sentiti fare infinite volte dai militanti trinariciuti: di fronte a una proposta teorica critica e innovativa verso il marxismo storicamente costituito, lobiezione classica ribadiva la necessit di adattare la proposta a quello che era indicato di volta in volta come il soggetto sociale della trasformazione, perch in assenza di tale soggetto ogni proposta di innovazione teorica era destinata a restare utopia per intellettuali. Si trattava di obiezioni il cui unico scopo era di evitare la discussione sul piano teorico, spostandola su un altro piano, col risultato di bloccare ogni autentica innovazione teorica interna al marxismo. E singolare che Preve, che in vari scritti ha analizzato, pi o meno nei termini da noi appena usati, questa degenerazione teorica del marxismo, muova contro la decrescita proprio quel tipo di obiezione tante volte usata contro i marxisti creativi e indipendenti come lui. Misteri dellanimo umano. In ogni caso, la risposta alla sua obiezione si articola in due punti: a. La necessit della decrescita , da un lato, una tipica tesi teorica costituita da un nesso se-allora. Se il tessuto sociale e le condizioni ambientali di una vita collettiva decente non si sfasceranno, allora sar gi iniziata la decrescita, perch se c la crescita, allora c il capitalismo e la sua distruttivit. Questa tesi si pu contrastare soltanto sul piano teorico, ovviamente conoscendo i termini lessicali e concettuali in cui formulata, perch lesistenza o linesistenza di un soggetto sociale che lassume non incide sulla verit o falsit dello schema se-allora. b. Dal lato politico-sociale, poi, esistono lotte diffuse i cui obiettivi non possono realizzarsi che nel quadro della decrescita, per cui non esiste il problema di andare a cercare un soggetto sociale, essendoci gi le popolazioni dei territori minacciati da progetti invasivi come TAV, rigassificatori, discariche. Le lotte contro linvasione del territorio da parte di progetti sostenuti dalla necessit di prolungare laccumulazione di plusvalore esigono lidea della decrescita, nel senso che la decrescita lunica piattaforma che possa unificare queste lotte, facendole uscire dallambito locale e dando ad esse una dimensione nazionale e una prospettiva di vittoria.

Con questo abbiamo esaurito i punti principali di dissenso con quanto scritto da Preve. Poich per il tema della decrescita secondo noi centrale per ogni prospettiva di superamento dellattuale situazione, vogliamo proporre ai lettori di Comunit e Resistenza alcune riflessioni su questo tema, rispetto al quale non c ancora la chiarezza necessaria. Volere la decrescita significa non volere lo sviluppo. Ma cos lo sviluppo che non voglamo? Cosa si intende per sviluppo nel senso economico contemporaneo? Lo si capisce bene dallelemento con cui lo si misura, che il Prodotto Interno Lordo, in sigla PIL. Come si calcola il PIL? Si sommano, in ogni attivit economica, i valori monetari di tutti i beni e servizi che essa ha venduto nel corso di un anno. Dai risultati ottenuti si sottraggono i costi monetari sostenuti nello stesso anno da ogni attivit economica per lacquisto dei beni e servizi cosiddetti intermedi, che sono cio serviti alla produzione dei suoi beni e dei suoi servizi. Si ottiene cos il valore aggiunto lordo di ogni attivit economica. La somma di tutti i valori aggiunti lordi prodotti da un paese il suo PIL. Lo sviluppo, nel senso economico contemporaneo del termine, la crescita del PIL. Il tasso di sviluppo il tasso annuo di crescita del PIL. Quando perci si dice che questanno leconomia italiana si svilupper probabilmente del 2%, e forse anche pi, invece che dell1% inizialmente previsto, si intende che il PIL del paese crescer appunto del 2%. Che cosa allora lo sviluppo, nel senso economico contemporaneo del termine? Poich

coincide con la crescita del PIL, poich il PIL misurato dai valori monetari dei beni e dei servizi venduti e comprati, e poich beni e servizi scambiati secondo i loro prezzi sono merci, lo sviluppo nel senso economico contemporaneo del termine altro non che lincremento della produzione di merci. Questo lo sviluppo. Lideologia dello sviluppo la convinzione che la diffusione del benessere economico e il progresso delle conoscenze dipendano dallo sviluppo, e che quindi uneventuale decrescita comporterebbe necessariamente una regressione sociale e storica. Anche quando non viene espressa nelle forme pi sciocche e superficiali tipiche di certi discorsi del senso comune (del tipo: la decrescita ci farebbe tornare al tempo delle candele e delle carrozze, la decrescita ci ricondurrebbe ad antiche miserie e privazioni, roba per monaci medioevali, nasce dalla nostalgia romantica per una natura incontaminata che non mai esistita, e banalit simili), una tale convinzione si riferisce non alla realt, ma ad una rappresentazione ideologica di essa. Stiamo alla realt. Non c alcun rapporto necessario tra aumento quantitativo dei beni economici, diffusione del benessere e progresso delle conoscenze. Per un lungo periodo storico, fino a tutti gli anni Sessanta del secolo scorso, lallargamento della scala di produzione, pur con tanti risvolti negativi, stato effettivamente associato, in un quadro storico complessivo, alla diffusione del benessere economico, allampliamento della libert individuale, allavanzamento dei costumi e delle conoscenze. A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, per, lulteriore aumento quantitativo dei beni prodotti stato sempre pi correlato, non accidentalmente (come mostra una vasta letteratura economica e sociologica), alla crescita delle diseguaglianze sociali, alla riduzione delle risorse destinate alla protezione sociale, a minori diritti del lavoro dipendente, alla diminuzione del tempo libero dal lavoro, allo sviluppo di processi di de-emancipazione e di marginalizzazione, cio a indicatori precisi di un diminuito benessere della maggioranza della popolazione e di una minore libert individuale. Diversi sono, nel nostro tempo, i casi in cui una vita migliore e pi libera corrrelata ad una minore quantit di beni economici. Nei paesi pi sviluppati una dieta pi sana presuppone il consumo di una minore quantit dei tanti prodotti altamente sofisticati e calorici dellindustria alimentare. Nelle citt degli Stati Uniti una minore esposizione ai rischi presuppone una diminuzione delle armi da fuoco vendute e comprate. Una pi libera fruizione delle nostre spiagge e delle nostre scogliere presuppone una minore quantit di colate di cemento sulle nostre coste. E via dicendo. In diversi altri casi, invece, la libert individuale e la creativit mentale richiedono che la disponibilit di beni e servizi non diminuisca, oppure che addirittura aumenti. Ma attenzione: beni e servizi nella nostra societ vengono offerti quasi soltanto nella forma di merci, e quasi sempre comportano un grande consumo di energia sia per la loro produzione che per la loro commercializzazione. Ma non necessario, se non nella nostra forma sociale, che beni e servizi appaiono nella forma di merci, e siano fonti di dissipazione di energia. Una disponibilit accresciuta di beni e servizi pu essere realizzata anche in un contesto non di sviluppo, ma di decrescita. Cerchiamo di capirci con qualche esempio. Immaginiamo che le grandi aziende agroesportatrici operanti nei paesi africani siano espopriate, e le loro terre affidate a contadini indigeni che le usino producendo direttamente per il loro consumo, con coltivazioni di sussistenza. I prodotti di tali coltivazioni aumenterebbero la disponibilit di beni alimentari da parte delle popolazioni africane, riportandole indietro ad unepoca in cui non cera lattuale strage da denutrizione. Si faccia bene attenzione: in una tale situazione, purtroppo immaginaria, le popolazioni africane mangerebbero pi di ora, per effetto non di uno sviluppo, ma di una decrescita. I maggiori beni alimentari disponibili, infatti, non arrivando al consumo attraverso lo scambio monetario e il mercato, non avrebbero la forma di merci, e non aggiungerebbero quindi alcun valore al Prodotto Interno Lordo, a cui verrebbero invece sottratti i valori delle merci

non pi esportate (cacao, caff, arachidi ecc.). Inoltre la sostituzione di tali merci, consumatrici di molta energia (attraverso i fertilizzanti, lirrigazione, il trasporto fino a lontani consumatori), con beni di sussistenza, consumatori di poca energia, farebbe anche in questo modo diminuire il PIL. Daltra parte, il venir meno delle importazioni, prima finanziate dai ricavi del capitalismo agroesportatore, sottrarrebbe beni soprattutto alle minoranze ricche, mentre aumenterebbe il tenore di vita della maggioranza della popolazione, che sostituirebbe con alimenti di propria produzione quelli, spesso inaccessibili per i loro prezzi, importati dai paesi sviluppati. Un altro esempio: immaginiamo che il nostro sistema sanitario cominci a svolgere una seria attivit di prevenzione ecologica delle patologie mediche, e, con unimmaginazione ancor pi sganciata dalla realt attuale, che il nostro sistema politico e amministrativo produca e faccia rispettare leggi che riducano drasticamente i rischi di infortuni sul lavoro e di contatto nellambiente con sostanze patogene. In una tale situazione il cittadino fruirebbe di migliori servizi sanitari e potrebbe maggiormente disporre di quei beni preziosi che sono cure mediche attente alle persone e basate su buone informazioni ambientali, nel quadro non di uno sviluppo, ma di una decrescita delleconomia. Infatti il contributo del sistema sanitario al PIL, e quindi allo sviluppo, dato dalla quantit di farmaci immessi sul mercato, di apparecchi diagnostici smerciati, di tempi di degenze ospedaliere, che evidentemente diminuirebbero nel caso di unefficace prevenzione di diverse patologie e di una drastica diminuzione di malattie e infortuni sul lavoro. Il benessere collettivo dunque perfettamente inscrivibile in una decrescita delleconomia, progettata con intelligenza, ovvio, e non semplicemente derivata da un arresto delleconomia per crisi o guerre. Daltra parte, lo sviluppo economico non pu oggi che produrre danni sociali. E interessante notare come questa verit abbia finito per rendersi visibile anche allinterno di saperi accademici lontani da intenti di critica anticapitalistica. Nel 1996 Marc e Luise Miringoff, studiosi della Fordhan University, hanno costruito un grafico cartesiano in cui hanno rappresentato insieme le variazioni del Prodotto Interno Lordo degli Stati Uniti nellultimo mezzo secolo e quelle, relative allo stesso periodo, di un indicatore di salute sociale (ISH) di loro costruzione. Questo indicatore rappresenta la media ponderata di sedici indicatori di progresso sociale (fra gli altri: mortalit infantile, occupazione lavorativa e redditi da essa derivanti, copertura sociale dei rischi sanitari). Leffetto visivo del grafico ha unevidenza addirittura spettacolare: le due linee, quella del PIL e quella dellISH, crescono insieme fino al 1973, ma a partire dal 1974 la prima continua a salire e la seconda inizia scendere. A met degli anni Novanta il valore dellISH nettamente pi basso di quello della met degli anni Settanta. Altri indici di benessere, introdotti da altri autori, hanno simile andamento. Si tratta dellevidenza grafica di un dato storico, ricostruibile anche per altre vie, che riguarda non soltanto gli Stati Uniti, ma la maggior parte del mondo capitalistico: a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, per lo pi dalla met degli anni Settanta, lo sviluppo delleconomia, fino ad allora associato al miglioramento del benessere sociale, si trova invece correlato ad un suo peggioramento. Una politica di decrescita delleconomia resa necessaria, prima di tutto e per una ragione pi forte di tutte le altre, dal semplice fatto che ormai la continuazione dello sviluppo sovraccarica lambiente naturale, e quindi quello sociale, di elemento devastanti per la vita umana (depauperamento ed avvelenamento delle falde acquifere, pessima qualit dellaria respirata, accumulo di rifiuti non smaltibili senza danni, nocivit degli alimenti, dai pesci al mercurio alle carni agli ormoni e agli antibiotici ecc.ecc.). La crescente invivibilit dellambiente per effetto dello sviluppo una tale evidenza, di cui ciascuna persona psichicamente sana ha percezione quotidiana, che per negarla bisogna essere o privilegiati che hanno ancora per lungo tempo i mezzi per sottrarsi a gran parte delle sue venefiche conseguenze, o sciocchi resi tali da una radicale atrofia dellanima.

Non stiamo per qui affrontando i problemi ecologici e ambientali indotti dallo sviluppo. Ne facciamo astrazione per meglio mostrare come, anche a prescindere da essi, e rimanendo esclusivamente sul terreno delle dinamiche sociali, la razionalit imponga una politica di decrescita delleconomia. Facciamo anche astrazione da un altro nesso, pure cruciale, quello tra sviluppo delleconomia e sviluppo delle guerre imperiali, perch non evidente a prima vista, e richiederebbe un lungo ragionamento a parte. In questa sede vogliamo soltanto mostrare come lo sviluppo delleconomia non produca pi nessun altro vantaggio che la crescita dei profitti capitalistici. Si ormai rotto persino il nesso tra sviluppo delleconomia, da una parte, e aumento delle occupazioni lavorative e destinazione di qualche briciola dei profitti alla crescita dei salari, dallaltra, come mostra un economista legato al potere, ma serio, come Paul Krugman. Se la dannosit sociale dello sviluppo sotto gli occhi di tutti, perch cos forte la resistenza a rendersene consapevoli? Perch lideologia dello sviluppo , contro ogni evidenza dei fatti, cos cogente che non c forza politica, dallestrema destra allestrema sinistra, da Rauti a Ferrando, che la metta in questione? Si sbaglierebbe a pensare che ci sia leffetto delleredit culturale del progressismo dei secoli scorsi. Per capirlo occorre servirci degli strumenti interpretativi dellIdeologia tedesca di Marx. Lideologia dello sviluppo non che lombra mentale del processo autoreferenziale di riproduzione allargata del plusvalore, e, poich tale processo ormai penetrato in tutti gli aspetti e in tutti i dettagli della vita sociale, sussumendo a s persino le strutture della personalit individuale, tale ombra ideologica avvolge ormai quasi tutte le menti, proprio quando non ha pi alcuna relazione reale con lo stato delle cose, se non quella di esserne indotta, e quando non pi, come era un tempo, una forma di pensiero, ma piuttosto un non-pensiero, o, per usare la terminologia di Todd, un pensiero-zero. Si pensi al carattere antropologicamente devastante della pubblicit, che non sta tanto nella diffusione di false informazioni sulle merci (che cerano ben prima dellodierno capitalismo assoluto), come se si potesse separare una buona pubblicit da una cattiva pubblicit, quanto piuttosto nella sua funzione di plasmare lindividuo come consumatore, cio come soggetto non pi libero, ma passivo terminale del processo di realizzazione del plusvalore, quindi come mezzo della sua riproduzione allargata, ossia dello sviluppo. Si pensi quanto lodierna comunicazione mediatica allontani lindividuo, costituito come spettatore, dalla realt e dalla verit delle cose. Quello della comunicazione mediatica uno dei problemi cruciali del nostro tempo, che nasce dalla commercializzazione della comunicazione di massa, cio dal suo essere diventata una forma di pubblicit, su cui si innestano facilmente gli interessi politici a cancellare i fatti. La chiusura completa e lautoreferenzialit del mondo politico istituzionale sono, daltra parte, funzionali ai comandi delleconomia, dunque allo sviluppo. Leopold Kohr ha elaborato la legge secondo cui nelluniverso sociale, ma anche in quello fisico, gli organismi cominciano a disgregarsi quando in loro qualche elemento ha avuto uno sviluppo quantitativo oltre una certa misura. La sua elaborazione sempre interessante e sotto molti aspetti persuasiva. Si tratta, del resto, di una riproposizione dellantica sapienza greca sulla dismisura come causa di degradazione. Ma il processo di riproduzione allargata del plusvalore genera unideologia nel cui ambito pi e meglio diventano sinonimi. Eppure questa identificazione contraddetta in tutta evidenza dalla realt attuale, nella quale in tantissimi casi il meglio sta nel meno. Meno automobili che intasino e ammorbino le strade, meno cibo carneo e ipercalorico nellalimentazione dei paesi sviluppati, meno consumo di alcool e tabacco, meno tempo speso nel lavoro o davanti al monitor, meno consumo di energia, rappresenterebbero con tutta evidenza un miglioramento rispetto ad oggi.

Vediamo allora che una prospettiva di superamento degli aspetti pi negativi della contemporaneit deve necessariamente inserirsi in una critica, teorica e pratica, della nozione di sviluppo. Occorre per rendersi conto che la prospettiva della decrescita non rappresenta nellimmediato la base di un possibile programma di governo. Si tratta infatti, nonostante la moderazione verbale di molti suoi sostenitori, di una prospettiva di estrema radicalit. Poich lo sviluppo il cardine del sistema socioeconomico che domina il mondo, la decrescita implica n pi n meno che lo scardinamento dei fondamenti di tale sistema. Nella situazione attuale, nella quale coloro che sono disposti a inserirsi in questa prospettiva sono pochi e disuniti, non c nessuna possibilit concreta di pensare a un governo dellItalia che vada nella direzione della decrescita. Ma se la decrescita non nellimmediato un programma di governo, pu certamente essere un programma di lotta. Anzi: la decrescita lunica prospettiva che dia un senso unitario ai movimenti di opposizione che sono spontaneamente sorti in questi anni in Italia. Ci riferiamo ai quei movimenti (NO TAV, NO ponte sullo stretto, NO rigassificatori ecc.) che nascono come difesa di un territorio da progetti economici invasivi e devastanti per gli equilibri del territorio stesso. Questa invasivit e queste devastazioni sono inevitabili, allinterno del meccanismo dello sviluppo. Infatti, lo sviluppo non pu fare a meno dellaccumulazione di realt fisiche sul territorio (strutture produttive, infrastrutture edilizie come autostrade e aeroporti, strutture commerciali, mezzi di trasporto, rifiuti che occorre smaltire in qualche modo). Ma il territorio italiano saturo (altrove la situazione pu essere diversa): lItalia un paese piccolo e sovrappopolato, il cui territorio stato da tempo invaso dalle realt fisiche legate allo sviluppo. Non essendoci pi spazio libero, le nuove strutture fisiche necessarie per lo sviluppo possono inserirsi solo in una realt fisica e sociale gi organizzata, mettendone in crisi gli equilibri. In parole povere, le nuove strutture devono invadere la vita quotidiana degli abitanti del territorio, sconvolgendola. Lopposizione da parte degli abitanti del territorio attaccato dunque naturale e istintiva, non necessariamente derivante da opzioni politiche e ideologiche generali, ma, questo il punto cruciale, essa va nella direzione della critica dello sviluppo, anche se i suoi attori possono non averne coscienza. Con questo intendiamo dire che la prospettiva della critica dello sviluppo lunica che renda coerenti queste lotte, dando ad esse un valore e una prospettiva generali. Al di fuori di questa prospettiva, queste lotte possono essere facilmente criticate e isolate indicandole come espressione di egoismi locali che devono cedere il passo allinteresse generale. La risposta a questa critica sta appunto nellindicare il rifiuto dello sviluppo, cio la decrescita, come interesse generale del paese. La prospettiva politica attorno alla quale radunare le scarse forze di opposizione oggi disponibili dunque quella dellunificazione delle lotte in difesa del territorio. Una nuova forza politica di opposizione dovrebbe dare una dimensione politica nazionale a tali lotte, inquadrandole nellobiettivo di un ritorno al rispetto della Costituzione repubblicana e coordinandole col rifiuto intransigente della partecipazione italiana alle guerre imperiali.

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