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Stefano Caggiano

Il progetto postmoderno
Chiarimenti richiesti da Antonio Petrillo (Domus Academy) in merito a una precedente comunicazione

Laboratorio di sintesi meta-progettuale


Responsabile gruppo di ricerca prof. Mauro Mami

ISIA Faenza
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Gli esseri umani non esistono pi. Ci sono solo i loro oggetti. Lindividuo, d emoltiplicato nei centomila oggetti che lo sfaccettano, si riassorbe nel nessuno che ha sempre sognato di essere. Da che parte sta il design? C. S. Peirce durante le sue lezioni soleva colorare met lavagna di bianco (grigio) e lasciare laltra met nera, per poi invitare i suoi studenti a individuare di colore fosse la linea che separava le due met (fig. 1).

fig. 1

Prima di tentare noi una risposta, diciamo subito che il design questa linea. Non risulta infatti soddisfacentemente collocato da un lato (grigio) n dallaltro (nero). Il design pu essere solo ed esclusivamente la linea che unisce le due parti separandole. La linea infatti la definizione. I due rettangoli si definiscono a vicenda, il grigio d forma (limite) al nero, il nero d forma al grigio, luno de -termina, il termine, e quindi la de-finizione, dellaltro. Segnatamente, dunque, in riferimento al design, diremo che il rettangolo nero loggetto, il pezzo (la sedia, la posata, lautomobile), e il rettangolo grigio il progettista. Sar utile allora tradurre la fig. 1 in fig. 2, che offra unimmagine icastica di come il modello di Peirce sia sempre operante nellattivit di industrial design: grigio e nero rappresentano infatti, rispettivamente, stampo e pe zzo.

fig. 2

La fig. 2 ci permette altres di precisare meglio cosa debba intendersi per definizione , constatando che la linea, il design, limmagine, la forma . La forma la definizione (della sedia, della posata, dellautomobile). Lopposizione fra i due rettangoli impronta un rapporto formale che discretizza la struttura progettista/pezzo, o, se si vuole, soggetto/oggetto. Il progettista, attraverso limmagine, d forma al pezzo, come il rettangolo grigio attraverso la linea d forma al rettangolo nero lo pone. Ma a questo punto indispensabile rilevare quale sia il colore della linea. Grigia o nera, infine? N luno n laltro: la linea, in s, non ha alcun colore. Il che fenomeno pi complesso di quanto non sembri a tutta prima, perch se osserviamo la fig. 1 la linea la vediamo, c, l, lo prova il fatto che ravvisiamo i due rettangoli nettamente separati. Essi anzi sono quello che sono soltanto grazie alla linea, che li tiene distinti (in forma). Eppure, allo stesso tempo, la linea non c, lo prova il fatto che se provassimo a isolarla per meglio vederla di per s, col suo colore proprio, togliendo prima un rettangolo e poi laltro, sul foglio non rimarrebbe nulla. In realt, come dimostra la psicologia della Gestalt, la percezione disloca sempre una figura su uno sfondo; e, seppure in ambito teoretico non lecita lassunzione di uno schema tratto di peso n dalla psicologia n da altre scienze, fossero pure umane, limpiego di certe tracce analitiche pu nondimeno risultare utile, nei limiti in cui esse possono fornire un modello per lanalisi. Cos, nella nota immagine visi/vaso riprodotta in fig. 3, la percezione oscilla fra due strutturazioni, quella per cui il vaso figura stagliato su uno sfondo bianco, e quella in cui invece la figura dei due volti a stagliarsi su uno sfondo nero. In ogni caso, le due strutturazioni si elidono a vicenda, si vede o solo vaso o solo i due volti, ma tutte due contemporaneamente.

fig. 3

Ci dovuto al fatto che percepire consiste, precisamente, nellisolare una figura in seno a uno sfondo, senza lasciare fuori uno fondo da una figura non cio possibile percepire alcunch. Il percetto la figura, percepibile in quanto chiusa e chiusa in quanto escludente un aperto amorfo, che rimane come sfondo. Il profilo dei colti ovvero del vaso una linea inesistente che assume di volta in volta il colore nero, quando il vaso a fare da figura, e bianco quando sono invece i volti. Poich la linea la forma, ci che cio chiuda e quindi fa la figura.

La linea di fig. 1, dunque, se pure non ha un col ore suo, un corpo proprio, unesistenza privata, assumer, di volta in volta, il colore o delluno o dellaltro rettangolo, a seconda che sia luno o laltro a svolgere il ruolo di figura. Cos, se ad esempio il rettangolo nero a fare da figura, la linea sar nera, perch costituir la forma del rettangolo nero stagliata su uno sfondo di grigio amorfo. In questo caso, la linea sar limmagine delloggetto rettangolo nero. Un altro dato emerge dalle figg. 1, 2 e 3 cui bene accennare fin dora, anche se riveler la sua utilit solo pi avanti: esse mostrano infatti che, come il progettista d forma al prodotto, cos il prodotto d forma al progettista. E ci dipende precisamente dal fatto che la linea non ha spessore alcuno, incorporea, e proprio per questo ci che permette, alluno e allaltro rettangolo, di toccarsi. Il rettangolo nero tale solo per il rettangolo grigio, e viceversa. Esempio paradigmatico: guanto e visore per entrare nella cosiddetta realt virtuale. Un simile mondo simulato ha un suo corpo, come il rettangolo nero, ma solo grazie allinterfaccia, ontologicamente priva di spessore, che utente e mondo virtuale interagiscono. Niente reale in s: solo attraverso la pellicola dellimmagine il mondo (virtuale o effettivo) reale per lutente. Ci significa che un oggetto non ha alcuna caratteristica che sia esclusivamente propria, qualcosa, cio, che esso possieda indipendentemente dal correlato (il soggetto). Un esempio render questa concetto pi chiaro. Si pensi a una comune palla di gomma con la quale giocano i bambini, diciamo di colore rosso. Ora mettiamola in una stanza senza finestre, chiudiamo la porta e spegniamo la luce. Nel buio completo, la palla ancora rossa? S, si dir, solo che, proprio perch buio, non la vediamo. Il buio sarebbe una sorta di schermo opaco che ci nasconde loggetto, ma dietro alla coltre oscura la palla ancora rossa. Se, per, teniamo presente che il colore non altro che una rifrazione di luce, al cui variare della frequenza varia appunto il colore se consideriamo, insomma, che il colore rosso, come qualunque altro colore, non altro che luce articolata secondo una certa lunghezza donda ecco che, togliendo questultima, con essa togliamo anche tutte le sue possibili articolazioni. Ci significa che una palla rossa in una stanza buia non pi rossa. La nostra capacit visiva al buio la stessa che in un ambiente illuminato: ma lambiente che cambia, la stanza e tutte le cose che contiene che al buio o alla luce non sono pi le stesse se per stesso intendiamo ci che conserva sempre gli stessi attributi. Certo, la palla, dal punto di vista materiale, pur sempre la stessa, laggregato di atomi pur sempre quello, posso benissimo toccarlo anche al buio, anzi meglio che stia attento a non inciamparci; ma si sta considerando un altro aspetto, unaltra immagine della cosa. Quando guardiamo il sole che sta per tramontare, vediamo lo stesso disco infuocato che abbiamo visto durante il giorno, a parte lintensit luminosa. Non che a un certo punto, nel corso della sua parabola, sia scomparso e poi riapparso, cambiato in qualche cosa. Eppure, il disco che vediamo prossimo al tramonto non il sole, se per sole intendiamo la massa di idrogeno attorno a cui orbita la terra. infatti noto che per un fenomeno di rifrazione atmosferica limmagine del sole calante persiste in cielo alcuni minuti, quando il sole vero se n gi andato. C uno scollamento, una sfasatura, una differita fra il corpo del sole e la sua immagine, che un certo punto cominciano a viaggiare a velocit diverse.
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Che dobbiamo dire? Che il vero sole quello fatto di atomi, e che limmagine che vediamo solo unillusione ottica? Ma i fotoni non sono meno reali, da questo punto di vista, degli atomi di idrogeno o di qualunque altra materia, se vero che latomo non altro che un ganglio di onde scandite secondo i valori quantici (la m ateria cio non ha alcuna sostanzialit). E cos del resto unillusione ottica? Percepire essere effettualmente colpiti dalle onde/particelle di luce, che sollecitano i coni e i bastoncelli producendo le reazioni chimiche che plasmano limmagine nella retina. La luce, insomma, e quindi le immagini, che di luce sono fatte, solida, massiccia tanto che, come tutta laltra materia, viaggiando nello spazio soggetta allattrazione gravitazionale dei grossi corpi celesti, come le stelle, che ne curvano la traiettoria colpisce, e proprio per questo vediamo. La luce cozza nella retina, quando arriva sposta le cose (i coni e i bastoncelli), registrare il visto non altro che subire questa rimozione a livello fotochimico. Vedere significa letteralmente essere urtati dalle i mmagini. N il sole solido n la sua immagine, n la palla n il suo colore, sono perci, necessariamente, lunico vero sole e lunica vera palla. I fantasmi esistono, le immagini hanno consistenza, non sono meno reali della realt che non pi fluttuante di qualsiasi immagine. Ma, allora, la conclusione sembra necessaria: se n delluno n dellaltro possiamo fidarci, se n sullimmagine n sulla cosa possiamo fare affidamento, allora tutto relativo, non esiste niente di vero e qualunque verit (scientifica, umana ecc.) non vale pi di qualunque favola per bambini. E per, s rebbe a quantomeno ipocrita pervenire a una simile conclusione, dal momento che a garantirci che qualcosa di vero, in qualche m odo, non pu non esse rci, stanno i risultati effettivi delloperare umano, della sua scienza, della sua letteratura, della sua ingegneria, della sua arte, ecc. Se vero che lumanit non vive pi nelle caverne (ammesso che labbia mai fatto) e che abbiamo costruito le citt, siamo andati sulla luna, sappiamo cosa fecero le persone duemila anni fa ebbene, se teniamo conto di tutto questo, non in alcun modo possibile sostenere che non ci sia niente di vero. Il problema piuttosto capire che forma debba avere il vero, dal momento che il concetto comune risultato insoddisfacente. In cosa consiste, innanzitutto, il fare, e progredire, umano? Umano ci che non naturale, come appare lampante quando andiamo in unarea cosiddetta incontaminata, per esempio in un atollo in mezzo alloceano, e, dopo giorni che ci nutriamo di pesce, passeggiando ci imbattiamo nella classica lattina di Coca-Cola. Ecco luomo, diciamo allora. Lumano lartificiale, intendendo come tale ci che stato fatto da un intelletto raziocinante (cio progettante). Lalbero non si progetta: cresce. Una casa, invece, si progetta, e non cresce da s, va costruita. Si ha quindi da un lato ci che non ha progetto, cio immagine pre-vista di come dovr essere, e che si forma da s; dallaltro ci che viene prima progettato, di cui cio si ha unidea prima di farlo e che non si conforma da solo a questimmagine ma occorre forzarlo da fuori, piegarlo con un lavoro, farlo entrare tramite lintervento di una forza esteriore. Ci dipende proprio dal fatto che di per s non avrebbe mai assunto quella forma: se seppellisco un tavolo in legno non crescer un albero di tavoli; dal legno, invece, dallalbero, nascer un altro albero, e questa ci che si dice natura, da nasci,
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nascere, collegato a natus, stessa particella che compone anche conatus, leffluvio donante, ci che sgorga spontaneamente e ininterrottamente, e che proprio per questo non si pu controllare dallesterno (si parla infatti di istinto di sopravvivenza, non di volont che delibera in favore della propria salvaguardia). Non si pu progettare un albero, 1 non si pu predisporre unimmagine in cui farlo confluire. Non ne ha del resto alcun bisogno. Limmagine una guida, un appoggio, un fine che serve come obiettivo da tenere bene in vista per guidare il percorso di ci che, altrimenti, per sua natura , non andrebbe in quella direzione: il legno non diventerebbe mai un tavolo se qualcuno, dallesterno, non lo incanalasse in direzione dellimmagine tavolo. E progettare precisamente questo: convogliare una materia, incanalare un conatus (la materia conatus), direzionare una disponibilit piegandola a un fine predisposto, e il fine predisposto non altro che limmagine, se non altro perch la meta per fungere da obiettivo deve essere costantemente visibile, e limmagine ci che appunto per definizione visibile. Bisogna stare attenti, a questo punto, a non ricadere nella classica opposizione fra il naturale, che corrisponderebbe al vero, e lartificiale, che corrisponderebbe al falso, cos che luomo, piegando il legno in forma di tavolo, dirotterebbe il suo conatus plasmandolo secondo unimmagine non sua. Ma avrebbe senso sostenere una cosa del genere solo se lalbero avesse unimmagine sua, rispetto alla quale deviarlo. Lidea di una direzione prestabilita per prettamente progettuale, quindi umana, artificiale. Del resto, non c concetto pi artificiale di quello di natura : la diga di un castoro o il nido di un pettirosso sono prodotti naturali o artificiali? Non sullopposizione naturale/artificiale che ci si pu appoggiare per stabilire il vero/falso. Natura e artificio sono entrambi veri e falsi, dipende da cosa si intende per vero. Ed proprio questo che occorre ora definire. Di cosa diciamo che vero? Ad esempio, di come si sono svolti certi fatti rispetto alla ricostruzione che ne fa un testimone inattendibile. Se costui ci venisse a raccontare che una vecchietta in bicicletta si appositamente gettata sotto il suo camion per farlo sbandare, saremmo propensi a credere che la verit sia unaltra. Vero ci che non cambia a seconda del punto di vista, ci che riamane sempre uguale, invariante, ci che resta comunque fermo. Il vero ci che non cambia a seconda delle interpretazioni, ci che non relativo. Si era altres detto che limmagine ci che, per definizione, resta fermo, cio sempre individuabile, sempre visibile. Ne segue che limmagine, in qua nto fine a cui si tende, la verit di ci che verso esso fine sta muovendo. In altre parole, necessario dire che non il nascosto, come vuole il modello classico, ma il visibile il vero. La verit di una cosa ci che di essa si vede anche se questo va contro il senso comune, il quale sa benissimo che la verit tuttalto che evidente, anzi a volte pressoch impossibile farla emergere dai flutti procellosi delle diverse visioni, prospettive, punti di vista; il che sicuramente vero, ma non questo che ci interessa. Altro il senso comune, altro il procedere dellanalisi, che non devono, necessariamente, concordare, anzi spesso utile lasciare il senso comune fuori dal laborato1 Il fatto che si pratichi o si tenda allingegneria genetica una riprova dellurgenza di quanto si sta qui tentando: capire, cio, in cosa consista il rapporto artificio/natura, umano/meccanico.

rio. Limportante, e questo s necessario e ineludibile, che il risultato dellanalisi non contraddica il senso comune, poich allora s ci sarebbe da preoccuparsi, come ha dimostrato, tragicamente, la storia del Novecento. La chiave di accesso data qui dal concetto di evidenza: la verit, il fine, limmagine, ci che massimamente evidente, ma che significa questo? Sono piuttosto le mere opinioni ad affacciarsi per prime alla mente delle persone, e a sembrare a ciascuno il suo punto di vista pi evidente degli altri. Ma si tratta, in questo caso, di rilevazioni empiriche. Per la tartaruga il mondo evidentemente verde, perch essa cerca le piante verdi, di cui si nutre. Dovremo dire che la verit del mondo della tartaruga consiste nellessere il mondo verde? Cio: il mondo veramente verde? Certamente no: la verit del mondo della tartaruga consiste nellevidenza con cui esso le appare (verde, appunto, e che lo sia veramente dimostrato dal fatto che la tartaruga finch trova foglie verdi se ne nutre e vive, il che non si sarebbe potuto dire se avesse cercato di nutrirsi di pietre scambiandole per foglie). Non il contenuto, empirico, continge nte, dellimmagine, ma limmagine in quanto tale, il suo essere non evidente ma levidenza stessa costituisce la verit, lattributo di vero che assumo le cose massimamente evidenti. Verit non una cosa, un contenuto, ma la forma di quella cosa, di quel cont enuto. Rendere vero mettere in forma; lamorfo non ha alcuna verit, falso. Il colore rosso della palla , per chi attraverso tale colore la vede, la verit della palla. Il rettangolo nero, dal punto di vista del grigio, veramente nero. Il che si gnifica che un oggetto ha una verit che non pu dirsi relativa, ma che nondimeno ce lha solo per un determinato punto di vista. Non questa una contraddizione? Dire che la verit di una cosa fissa, stabile, invariante, ma solo per un determinato punto di vista, non significa forse dire che essa , infine, relativa? S e no. Ci troviamo qui al livello fondamentale, ontologico, in cui vengono fondate sia le relativit che la stabilit. Andando pi indietro, non ci sono pi n luna n laltra. Il che significa che la stabilit non si pu fondare su qualcosa di ancor pi stabile, n la relativit su qualcosa di ancor pi relativo. Anzi, qui avviene proprio il contrario: la relativit si fonda sulla stabilit, e la stabilit sulla relativit. Linvarianza poggia sulla variet e la variet sullinvarianza. Nessuna delle due fonda laltra a senso unico, si reggono a vicenda, e solo cos possono fondarsi, poich non possibile risalire pi indietro del livello fondamentale (che, come qui si tenta di dimostrare , non affatto il pi profondo, ma anzi il pi superficiale). Consideriamo un rettangolo ottenuto per rotazione di un quadrato su un suo lato (fig. 4).
F (D) A B

E (C)

fig. 4

I due quadrati sono per definizione varianti, dato che variare cambiare e muoversi e ruotare appunto cambiare. I quadrati ABCD e ADEF sono due figure diverse, non sono cio la stessa figura, eppure il lato AD lo stesso. Lasse di rotazione, proprio perch funziona da perno di ribaltamento, non pu non essere lo stesso per entrambi (altrimenti ADEF non sarebbe ABCD ribaltato ma tuttunaltra figura, seppur in tutto e per tutto identica alla prima). Lasse di ribaltamento corrisponde alla linea priva di spessore di fig. 1. proprio perch in s non esiste che lasse permette ai due quadrati, o ai due rettangoli grigio e nero, di essere quello che sono, cio diversi, distinti, altri luno rispetto allaltro, e quindi di acquisire ciascuno la propria identit. Lasse di omologia non ha alcun corpo, non esiste di per s, in quanto tale, e perci fa esistere, in quanto tali, i due rettangoli grigio e nero. Un altro esempio fornito dalla circonferenza e dal suo centro. Il centro fermo, fisso, invariante, i raggi della circonferenza che da esso prendono le mosse sono invece infiniti, gamma di innumerevoli variazioni. Ma esiste il centro della circonferenza? A tutta prima sembrerebbe di s, dato che viene se non altro segnato dalla punta del compasso. Ma si tratta di un centro empirico, poich se andassi a vedere le cose con un microscopio al posto del centro troverei un cratere irregolare nello spessore del foglio, e se misurassi con pi cura rivelerei che non si trova nemmeno nel centro esatto, che sarebbe ancora pi piccolo e infinitesimale. Ma fino che punto ha senso spingersi? Dato che il cerchio lho tracciato con un compasso, avrebbe senso cercare un centro dentro al centro sempre pi piccolo, fino a scendere al di sotto della grossezza della stessa punta metallica? Sembrerebbe di no, ma potrei anche farlo, infiltrandomi tra una molecola e laltra del foglio e poi tra un atomo e laltro, tra un protone e un neutrone, e cos via; cos facendo, per, il centro del cerchio me lo sarei lasciato alle spalle da un pezzo. Laggi non c; ma non cera in superficie, dal momento che proprio per trovare la precisione che in superficie non avevo sono sceso al di sotto del livello di percezione. Ci che sta a livello di perc ezione come a livello del mare non si trova, non esiste, non ha alcuna base, alcun fondamento al di sotto. Se a unanalisi un po pignola il centro sembrerebbe non esistere, cionondimeno non pu non trovarsi, in qualche modo, l, sul foglio, dal momento che solo tramite lui ho pot uto tracciare la circonferenza. Potremmo dire, coniando due termini tecnici, che il centro non effettivo, dal momento che non effettivamente presente sul foglio, ma effettuale, in quanto sortisce effetti concretamente presenti, esistenti, reali. Il centro del cerchio, lasse di ribaltamento, la linea fra rettangolo grigio e rettangolo nero, sono tutti casi di punto di inv arianza, che, proprio in quanto tale, proprio perch inamovibile, rende possibile la variet. In questo senso, dobbiamo dire che limmagine la verit della cosa, come il centro la verit dei raggi del cerchio e la linea la verit del rettangolo, verit proprio perch il luogo assolutamente fermo, saldo, immobile cos immobile da non esistere nemmeno. La verit di una cosa la sua superficie esteriore. Una prova a contrario fornita dal fatto che il punto di indifferenza isolato dalle continue variazioni, non pu essere definito positivamente, in quanto tale, ma solo negativamente, come risultato di una differenza, di una variazione, cio dellincrocio di due alterit.
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Gli esempi forniti sono infatti non a caso tutti tratti dalla geometria, i cui enti sono per definizione ideali (non passi inosservato che ideale anche la meta, il fine), punti, linee, piani (i volumi sono costruiti combinando questi tre elementi). Ma cos un punto? Il luogo di incrocio fra due rette. E una retta? Il luogo di incrocio fra due paini. E un piano? Il luogo di incrocio fra due volumi. Il due la differenza m inima, lo scarto al di sotto del quale non possibile scendere, pena la perdita di ci che si ha per le mani, cio la cosa nella sua verit (che ora cominciamo a vedere come si configura). Luno non pu differire da se ste sso, gli occorre almeno un altro, devono essere cio almeno in due, altrimenti non c relazione, rapporto, luogo di invarianza che rende possibili le due varianti. E se la verit limmagine ovvero lasse di ribaltamento, verit come uno vede laltro, per luno da solo non v alcuna verit, e, quindi, realt. La cosa, di per s, non esiste, il che non deve sembrare un assurdo, dato che la cosa di per s non pu esistere. La verit limmagine, limmagine la realt della cosa, il vero il reale. Non un caso che limmagine abbia proprio due dimensioni, sia bidimensionale; come non un caso che quando si progetta lo si fa necessariamente in immagine. Il vero, la realt della cosa, dunque la sua struttura, ci che resta fermo rispetto a ci che varia, su cui questultimo perci si poggia. Ma come si visto, il luogo inesteso di invarianza, il luogo in s non reale e che per questo rende reali le varianti (il luogo ineffettivo e per questo effettuale), limmagine, cio il massimamente visibile, lesteriorit. limmagine che realizza la cosa, poich limmagine la struttura della cosa, ovvero la sua realt. Col che diviene infine chiaro perch limmagine ci che massimamente evidente: perch ci che rende possibile la visione del visto, la forma che permette di afferrare il contenuto, come gli occhiali sono ci che in un certo senso vedo prima di ogni altra cosa perch sono essi che me la rendono visibile.

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Dopo aver messo a punto un modello, opportuno testarlo ripercorrendo la storia della cultura occidentale nel tentativo di isolare quei tratti che cos riletti costituiscono una vera e propria genealogia della pratica progettuale. Non di storia, infatti, ha bisogno il progetto, ma di gene alogia. Va rilevato per prima cosa come lorigine della forma progetto risieda nella distinzione operata da Platone fra sensibile e ultrasensibile, fra la mera, immediata contingenza e la forma ideale in cui essa deve confluire. E Platone, o se si vuole Socrate, fissa il vero proprio fermandolo: vero, dice, ci che non varia con le opinioni ma resta immutato in tutti gli esempi . questo che distingue la scienza (episteme) dalla mera opinione (doxa). Il pro-getto , precisamente, la tensione fattiva tesa a colmare la divaricazione, cos aperta, fra contingenza e ideale. Con questo atto la cui importanza difficile sopravvalutare Platone non fa niente di meno che fondare lOccidente: la stessa ovviet con cui al nostro orecchio suona la distinzione realt/apparenza (contingenza/ideale) il segno indubbio della profondit con cui il gesto platonico da tempo immemore ma proprio di ricordarlo ora si tratta radi9

cato in noi. Lontologia del progetto non semplicemente partecipa, ma eminentemente poggia sul gesto platonico che inaugura lOccidente. In seguito, Aristotele elabora la partizione fra materia e forma: la materia amorfa confluisce nella forma assumendo una precisa immagine. Con ci, Aristotele mette a punto laspetto tecnico dello strumento progettuale: il modello generale di progetto consiste quindi nellattribuzione di una forma a una materia. Saltando qualche secolo, per fare solo alcuni fra gli esempi pi significativi, possibile dimostrare come ancora su questa partizione si basi lassetto politico (urbano e militare) della romanit, che tramite la celeritas (il reticolo ortogonale; fig. 5) d forma alle citt appena fondate e ai territori centuriati, cio allo spazio fisico in cui predisporre gli individui. Con la celeritas, lintero territorio viene fatto rientrare in uno schema astratto a due dimensioni, come limmagine allo stesso modo in cui il grigio impone la forma al nero.

fig. 5

Solo in epoca rinascimentale limmagine perviene ad occupare apertamente il posto che pi o meno implicitamente ha sempre avuto. Mentre Cartesio traduce nella forma rigorosa della geometria matematica il disegno ortogonale della celeritas (piano cartesiano), in ambito architettonico e artistico matura la forma progettuale per eccellenza, la prospettiva a punto di fuga centrale. Poich solo lo spazio previamente quadrettato, solo la mera contingenza ricondotta a forma ideale pu essere messa in prospettiva (fig. 6).

fig. 6

Come si evince dal significato stesso delle parole, pro-getto (gettare avanti) e pro-spettiva (guardare avanti, cio gettare uno sguardo innanzi, a come sar) sono praticamente sinonimi. Non si tratta, ovviamente, di una coincidenza. Se la partizione platonica contingenza/ideale ha trovato coerente perfezionamento in quella aristotelica materia/forma, con la prospettiva la stessa modernit a trovare il suo modello generale: il Progetto, infatti, la modernit.
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Ci significa che la fine della modernit coincide con la Fine la meta, lobiettivo raggiunto del Progetto. Ecco il perch di questo pur molto rapido percorso genealogico: per capire in cosa consista il progetto occorre ripercorre lintera storia dellOccidente, perch la forma progetto viene a qualificarsi come una delle forme fondamentali e costitutive (forse la forma fondamentale e costituiva) dellintera nostra cultura, quale ha preso forma nella modernit. Si parla, quindi, di fine della modernit, nel momento in cui il progetto finisce, ovvero, raggiunge il suo obiettivo. Il progetto istituto per finire, per trionfare nel completamento di una Fine, che non un momento infausto in cui, non si sa bene per quale motivo, il giocattolo si rompe. Come nella realizzazione di un oggetto, finirlo significa ultimarlo, completarlo, renderlo in senso etimologico perfetto. E a maggior ragione per la forma generale del Progetto finire significa ultimare quellOpera al cui perseguimento esso costitutivamente volto. E qual , infine, questOpera? Se tutta la modernit il Progetto, quale sar lOpera che ha piegato a s tante energie? Il Prodotto, cos posto, sotto gli occhi di tutti, tanto grandioso, e proprio per questo si tende a non vederlo. Il Fine ultimato del Progetto moderno (della modernit) la realt. La realt il prodotto finale, definitivo, culminate del Progetto. Progetto infatti, come forma generale della strutturazione del mondo, lo strumento appositamente posto in essere per produrre ci che, nellantichit mitica, non mai esistito: un mondo reale. Il progetto non pu propriamente produrre altro se non realt, che non pu essere se non progettata.

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Occorre ora precisare meglio in cosa consista, sul piano pratico, quella che abbiamo detto essere lattribuzione di una forma a una ma teria, vale a dire la pratica stessa della pro-duzione posta in essere dal progetto. Limmagine ideale, la forma in cui la materia deve confluire come in uno stampo, la totalit del pezzo quale sar alla fine del processo. La Fine la totalit. La forma sedia la totalit delloggetto sedia, linsieme completo delle sue parti, che, una volta messe assieme secondo il suo disegno, fanno della sedia una realt, la realizzano. Cos, se la forma imperfetta o incompleta, il prodotto finale non pu dirsi tale; sar un pezzo fallato, uno scarto di produzione, qualunque cosa ma non la sedia, non la forma sedia, lideale sedia. La forma il tutto, la totalit organica delloggetto: la materia contingente, priva di forma, mera parzialit, incompletezza, imperfezione, parte. La materia amorfa la parte di quel tutto che la forma. Formare una materia significa ricondurre la parte al tutto. E solo in prospettiva la parte parte del tutto. Solo nellottica di un risultato finale la mera congiuntura circostanziale pu essere piegata e ricondotta in vista di una totalit. Alla luce di queste nuove acquisizioni, tradurremo quanto detto alla fine del par. 2 nei seguenti termini: il progetto del mondo moderno giunge al termine una volta

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che ogni parte rientrata nel tutto, quando, cio, il risultato finale si appropriato di ogni frammento accidentale facendone una sua parte. 2 La realt, lOpera finale, stata progressivamente costruita nella misura in cui la si , mammano, progettata, immettendo ogni frammento accidentale in un percorso che ne ha fatto la parte, necessaria, di un tutto. Ecco perch la realt il mondo ordinato, formato non pu essere se non progettata. Il progetto non semplicemente uno strumento utile alla produzione della realt ma il solo ed unico strumento con cui possibile produrre realt. Solo una predisposizione globale che salvi tutte le casualit sollevandole al rango di parti indispensabili pu produrre del reale, cio un tutto, un intero integro; solo quei frammenti casuali che piegati a scorrere lungo i binari prospettici di una pre -visione giungono a inserirsi coerentemente in un Fine pre-disposto, sono completamente recuperati in quanto parti del Tutto. Questa la Realt: il mondo interamente strutturato, retto da un ordine generale, in-formato in ogni sua parte. Progettato. Il mondo reale in quanto pre -visto da cima a fondo, gi-visto in ogni suo risvolto. La realt la pervasione progettuale che informa il mondo dal cucchiaio alla citt, il colossale apparato costituito dallinsieme pre-disposto fin nei pi minuti penetrali della totalit dei prodotti che placcano luomo da ogni lato, nel momento in cui la modernit giunge al termine (si pensi solo, per fare un esempio fra i tanti possibili, ai grandi totalitarismi, che proprio in questo periodo vengono per la prima volta alla luce; ma anche al rigore funzionalista che lavora per mettere a nudo la struttura: e la struttura , precisamente, il rapporto parte/tutto). Realt la sedia posta in una casa collocata lungo una strada allinterno di una citt Progetto ovunque, il progetto per sua essenza totale e totalizzante, inevitabile, esso pone lo spettacolo di Debord, che non solo visibile dappertutto ma non si pu non vedere che quello. La realt uno schermo totale articolato nellinfinita moltitudine di oggetti che coprono completamente il mondo.

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Oggi che anche la fase della Fine della modernit passata, si tratta di affrontare la questione postmoderna, caratterizzata dalla situazione, del tutt o inedita, di trovarsi in un progetto gi-fatto, gi-finito, concluso. Oggi, da qualunque parte ci volgiamo, c gi passato qualcuno, lerba dappertutto calpestata, ogni tratto stato pre-visto, pro-gettato, pre-disposto. Non c pi alcuna materia che non sia gi formata. Per capire cosa questo possa significare occorre riprendere quanto detto nel par. 1 riguardo al fatto che rettangolo nero e rettangolo grigio sono disposti dalla linea che li separa a fungere rispettivamente da figura e da sfondo. Ma la struttura figura/sfondo, bisogna aggiungere ora, valida fin quando detta figura poggia su uno sfondo, fino a quando, cio, la parte posta in prospettiva di un tutto. Con la Fine del Progetto proprio questo rapporto che decade: dove non resta che il tutto, non si pu pi parlare di parte/tutto.
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Il che corrisponde, sul piano teoretico, alla filosofia di H egel.

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Cade cos anche unaltra distinzione, indispensabile al fare, anchessa ricalcata sulla partizione parte/tutto e quindi materia/forma. Si tratta della separazione, a livello ontologico, fra regole del gioco e mosse consentite al suo interno. Ogni ordine generalizzato, sia esso metafisico, sociale o politico, definisce un sistema retto da determinate regole, una totalit globale dotata di una sua coesione e di confini, se non sempre netti, perlomeno intransigenti, nella misura in cui seppur a volte non ci si re nde conto che li si sta oltrepassando, viene per sempre un m omento, imprecisato ma ineluttabile, in cui ci si accorge di aver passato la linea. Cos, se durante una partita di tennis un gioc atore salta la rete, atterra lavversario con una mossa di judo e si getta al suolo schiacciando la pallina con tutte due le mani, poco ma sicuro non sta pi giocando a tennis. Lo stesso vale per chi trasgredisce i patti impliciti o espliciti del vivere sociale cucinando a bagnomaria la vecchia zia bront olona. Leventualit di violare le regole resa possibile proprio dal fatto che fra regole e mosse la distinzione netta. Un esempio in cui questo nitore viene meno si ha nel colpo di stato, dove, seppure linsubordinazione iniziale contro le regole vigenti, se, durante la sedizione, i golpisti riescono a prendere il potere, sono poi loro a fare le nuove regole. La rete che divide in due il campo da tennis, per, o il mancato tentativo di respi ngere la pallina che ha rimbalzato nella met campo di un giocatore, coi quindici punti che comporta per laltro, cos come il divieto di colpire la pallina se non con la racchetta sono tutti segni che si possono in generale ascrivere al dominio delle regole. Uno smash, una battuta sbagliata, una schiacciata vincente sono invece mosse che le regole permettono, ma non obbligano. Si tratta sempre di segni, ma la mossa consentita, la regola obbligante. Un caso esemplare di distinzione fra regole del gioco e mo sse la nota partizione saussuriana fra langue e parole, dove la prima indica linsieme astratto dei segni linguistici a disposizione del parlante, il secondo lutilizzo contingente e concreto che costui di volta in volta ne fa. Tutto questo, per, oggi non vale pi. Dopo la Fine del Progetto, il piano delle regole e il piano delle mosse, per tutta lepoca moderna (e non prima) nettamente d istinti, vengono a trovarsi in completa, perfetta coincidenza. Pi che lesempio del tennis qui utile il caso degli scacchi, in cui, qualora due avversari fossero in grado di dispiegare mentalmente lintera ramificazione delle possibili mosse, nessuno dei due muoverebbe un solo pezzo: non ce ne sarebbe bisogno. Tutto sarebbe gi fatto. Questo esempio certamente un caso limite, e, come tale, giunge al paradosso. Chi mai potrebbe fare mente locale sullintera gamma delle combinazioni possibili in una partita di scacchi? Lalbero ottenuto avrebbe un numero di rami talmente elevato da risultare, come di fatto , pressoch infinito. Per questo si continua a giocare a scacchi, e, ancor pi, a tennis, in cui le angolazioni che pu assumere ad ogni ri mbalzo la traiettoria della pallina raggiungono una cifra enorme. Ma il punto non trovare chi sia, ora, effettivamente in grado di una simile mappatura, ma chi, o cosa, possa idealmente farlo e a questo punto si sar senzaltro intuito dove si vuole arrivare. Esiste infatti uno strumento costruito apposta per calcolare tutte le possibili variazioni che, previa traduzione di ogni segno nel codice binario (0/1, ulteriore formalizzazione della bipartizione strutturale), possono essere ricondotte a uno stesso ceppo. Tale strumento naturalmente il computer,
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limperituro ruminante, il computer lesempio paradigmatico di una pi vasta condizione antropologica di cui esso prodotto e, quindi, artefice. Si pensi al caso di un PC. Anche qui, sembra ripresentarsi la separazione netta fra regole e mosse. Il sistema operativo e i vari programmi costituiscono le regole; qualsiasi operazione che possibile svolgere secondo con essi (creazione di cartelle, stesura di un testo, elaborazione di unimmagine, ecc.) rientrano invece nella categoria della mosse. A ben vedere, per, le cose non stanno affatto cos. Un programma, infatti, non altro che un file. E un file limmagine che con esso si manipola. Sia i programmi utilizzati che gli oggetti elaborati, sono, allo stesso modo, file. Si trovano su uno stesso, unico livello. La distinzione fra strumento adoperato e prodotto con esso realizzato diventa convenzionale, o, meglio ancora, occasionale, strettamente contingente, del tutto eventuale. Quello che ora utilizzo come strumento in un s econdo momento potr benissimo essere loggetto delle mie successive operazioni, e viceversa. Lo statuto ontologico dello strumento non pi distinguibile nella mani era netta a cui eravamo abituati da quello delloggetto. questo che dapprima gridava, poi sussurrava, e ora celebra larte contemporanea. Le contaminazioni, i contagi, tutti i cortocircuiti metalinguistici scat uriscono da qui, dal non-luogo in cui livello delle regole e livello delle mosse reagiscono luno con laltro. Ci, come si pu facilmente intuire, costituisce, per il progettista, una rivoluzione antropologica pari forse solo al gesto di Platone, il cui problema era quello di lasciarsi alle spalle il mondo antico, pervenendo costruendo il luogo in cui tutte le regole, e quindi il gioco nel suo complesso, avrebbero trovato una definitiva, perfetta, reale formazione. Oggi regola e mossa, strumento e gesto, grigio e nero, sono alternabili. I materiali (nel senso di materie gi formate) vengono oggi a costituire una sorta di sostanza di fondo sempre plasmabile, che, ancorch vanificare loperazione di progettazione, la rilancia in maniera esponenziale. Il che come dire che la Fine del Progetto non ha niente a che vedere con linterruzione della pratica progettuale. Fine del progetto e arresto delle operazioni di elaborazione di volta in volta pianificata coinciderebbero solo se considerassimo il progetto ancora secondo il modello moderno, dove il fine dellazione un risultato duraturo, una forma indelebile perch ideale. Ma le cose non stanno pi cos, e non possono pi esserlo proprio perch il Progetto completato, gi fatto ovunque e dappertutto. Mentre prima era la materia amorfa a fornire lelemento base alla formazione, ora, dopo che tutta la materia stata messa in forma, a disposizione non ci sono, appunto, che forme, dappertutto non sono che pezzi di materia gi plasmata, impressa, segnata. Non esiste pi utilizzo originale di materia vergine perch non esiste pi materia vergine, solo materiali che non possono che essere riutilizzati, riciclati, rielaborati, deformati, alterati. Mentre la forma attribuita a una materia definitiva, stabile, fissa (indipendentemente dalla sorte che toccher alloggetto una volta licenziato); la formulazione 3 di un materiale, non muovendo da un Inizio cio dalla pura disponibilit di una ma3 Un materiale, nel senso tecnico che abbiamo dato a questo termine, non si pu formare, ma solo formulare. Non lo si pu, cio, forzare in una forma definitiva, ma solo suggerirgliele una, invitarlo in una direzione, convogliarlo da una parte piuttosto che da unaltra. Un materiale si pu solo blandire, sedurre, corrompere; non gli si pu imporre alcunch.

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teria amorfa nemmeno punta a una Fine, a una forma perfetta e definitiva. La questione dellobsolescenza degli oggetti e dellinquinamento segnico (e quindi ambientale ecc.) sta esattamente qui. Loggetto diventa rifiuto nella misura in cui, avendo avuto un Inizio, non pu non avere anche una Fine. Ma una simile parabola nascita-morte insostenibile in epoca postmoderna. La materia formata muore il materiale formulato muta. Loggetto non scompare, dato che non mai apparso, si altera, sfugge, scarta di lato, diventa altro. Nessuna forma Prima: nessuna forma, quindi, pu essere Ultima. Il materiale formulato fin dal suo inizio che non c, e quindi da sempre forma metastabile, segno provvisorio, oscillane, irrequieto: che non significa vago o indeterminato. Al contrario, il segno tracciato dopo la fine del progetto, proprio perch deve differenziarsi da un fondo letteralmente saturo di differenze (forme, segni) non pu che incidersi con severa scienza (Nietzsche), intransigente rigore, diligenza estetica (e di conseguenza etica, funzionale, ecc.). Il gesto improvvisato non improvvido, ma consapevole di essere segno in mezzo a segni, come una cedevole ma pungente medusa immersa nellacqua di cui per il 98% composta scarto minimo, differenza quasi trascurabile, inesistente come la linea fra rettangolo grigio e rettangolo nero. Il segno postmoderno non scolpisce il marmo, ma la plastilina, raccordo transeunte fra il ricordo riverberante di un passato forse solo sognato e leco asintotica che lascia scivolare nella superstizione del futuro. Il Fine non giustifica i mezzi, perch, ora che stato raggiunto, venuto in luce che in realt il mezzo a fare porre il fine. Il medium il messaggio, lo strumento il prodotto, il grigio il nero, il progettista il progettato. Il che non significa che egli non possa o non debba pi progettare, ma piuttosto che pu e anzi deve farlo come non mai: ne ha bisogno come un nuotatore ha bisogno di fare bracciate. Solo, deve sapere di essere non un nuotatore ma una medusa, e che di tanto progetta di quanto progettato, di tanto sposta le cose di quanto ne spostato. Nellarte, nel pensiero, ma soprattutto nel comune vivere sociale oggi evidente come si sia passati da una sensibilit soggettiva, propria di un punto di vista progettante verso un punto di fuga, a un sentire oggettivo, impersonale, non solo attivo ma anche passivo, di una passivit per irrequieta, accesa (on line), femminile piuttosto che virile, se-dotta e seduttrice oltre che pro-dotta e produttrice. Dalle esperienze artistiche del corpo cosiddetto post-organico allestetica matriciale sempre pi evidente la spersonalizzazione artificiale propria dellepoca postmoderna, che non va intesa, di nuovo, come fine delluomo, ma come fine del soggetto moderno solo a detta di coloro per i quali luomo o soggetto o non niente una simile mutazione coi ncide con la fine dellarte, del progetto, del bel tempo che fu ecc. ecc., insomma di tutto ci che sarebbe umano. Se il progetto moderno, compattando le parti nel tutto del punto di fuga, ante-pone, simmetricamente, un soggetto punt iforme nella cabina di regia, il soggetto postmoderno (soggetto a prima che soggetto di) scaturisce come un fuoco dartificio dalla dispersione della singolarit della coscienza nel sistema cedevole della realt gi finita. L individuum si rivela come dividuum, non punto della struttura complessiva ma suo nodo, ganglio, zona dotata di parziale e fugace autonomia.
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Esempio paradigmatico: il pattern. La serialit costitutiva del pattern parte che, essendo identica a tutte le altre, ha in s, in modo completamente nuovo, il tutto ha senso solo inserita in una serie di n elementi, dove ognuno sempre ricade su un mitico, inesistente Primo termine. Se il valore estetico, inteso come evidenza apodittica, consiste, tradizionalmente, nel mostrarsi del tutto nella parte, la bellezza di un pattern va cercata nel peculiare modo in cui in esso il tutto rientra nella parte in cui ci che non pi tutto rientra o fuoriesce da ci che non pi parte. Il che va individuato precisamente nella caduta della distinzione parte/tutto, copia/originale, seriale/unico, allografo/autografo, mio/tuo, ecc. Nellelemento seriale il tutto non pi trascendente, ma immanente. Mentre nel progetto moderno lideale intangibile (e la parte contingente), nel pattern la parte a non essere tangibile, perch anche la singola unit che posso toccare non altro che una composizione totale con la particolarit di essere composta da un solo elemento, e nellinsieme n degli infiniti coe fficienti per cui pu, anzi non pu non essere moltiplicato il pattern, 1 un numero come qualunque altro (2, 10, 1000, ecc.). Chiaro, quindi, che parlando di bellezza estetica non ci si vuole in alcun modo riferire al dominio di una bellezza alta, accademica, contrapposta alla bellezza bassa che tutti perseguirebbero nel conformismo della vita quotidiana. Il desiderio coartante di essere quanto pi simili ai fotomodelli che si affacciano dai manifesti anchesso da ricondurre alla dinamica del pattern. La persona comune si sente, bella nella misura in cui si fa uguale al pattern-fotomodello. Non bisogna vedere un contrasto nel singolo che dichiara di voler essere se stesso e poi fa di tutto per essere uguale a chi lo saluta dalla televisione. Il pattern bello nella misura in cui identico a s, ma il s laltro pattern numericamente distinto ma ontologicamente identico a tutti gli altri elementi della serie, infinita ma non indefinita, dato non c niente che vada a colpo pi sicuro dellindividuazione di chi in e chi out. Per questo gli esseri umani non esistono pi: perch, infine, c solo la serie infinita dei loro oggetti. Non c altro che il numerario di prodotti progettato dalla modernit e concluso il quale lessere umano, inteso come soggetto moderno, esaurito il suo compito scompare. Da questo punto di vista dal punto di vista di un ormai inesistente soggetto moderno noi non siamo uomini, ma oggetti, non individui, ma pattern. Non sono gli oggetti che ci decorano o ci servono, ma siamo noi che decoriamo o serviamo agli oggetti. Di tanto il rettangolo grigio (il progettista) ri -, com-, scom-, sovrap-, contrap-, ante-, pos-, de-, pone il rettangolo nero (il prodotto), di quanto il rettangolo nero ri-, com-, scom-, sovrap-, contrap-, ante-, pos-, de-, pone il rettangolo grigio. Per usare i termini della filosofia contemporanea, non si pu pi dire che sia luomo a parlare tramite il linguaggio, ma piuttosto luomo ad essere parlato dal linguaggio: enunciazione piuttosto dura che per non arenarsi nei vicoli ciechi della compiaciuta impossibilit di pensare (progettare) bene stemperare in modo pi aderente ai fatti, onde meglio dire che luomo non solo parla, in una certa misura, tramite il linguaggio, ma anche, in una certa misura, ne parlato.

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Versione pi morbida, gommosa, soft, come sempre software infine lintero apparato hardware. 4

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Per concludere, si provano a suggerire, dopo tanta teoria, possibili linee di sviluppo per la pratica del designer ma, come ormai chiaro, anche di tutti coloro che, in senso lato, progettano: rigide distinzioni settoriali sono senzaltro utili in analisi, ma spesso obsolete sul campo. La specificit del segno postmoderno andr individuata, in riferimento a fig. 1, nella linea in quanto tale, onde vedere che lessere s della linea essere altro. Non avendo, infatti, alcuna identit in s, la linea, come limmagine, o come il linguaggio, trova la sua specificit nel non poter sopportare specificit alcuna: si annulla dando forma al rettangolo, scompare fornendo alla cosa il suo aspetto, si azzera per dare realt agli oggetti. Questo il segno postmoderno: il punto di indifferenza che differenzia, il punto inesteso che estende, il punto inesistente che fa esistere, come il centro inesteso di una ruota, o lasse di omol ogia su cui ruotano le figure geometriche, il punto dappoggio per la leva di Archimede. Tutti questi punti, si pu ben vedere, non esistono, e proprio per questo fanno esistere, distribuendo specificit, spartendo differenze, dislocando forme. Il segno postmoderno perno di ribaltamento che rilancia il passato nel futuro, il medesimo nellaltro, il vaso nei due volti, il vero nel falso, e viceversa. Per questo devessere apposto con altissima precisione: perch non pu essere altro che la linea esatta, solo ed esclusivamente il punto talmente preciso da non potersi permettere nemmeno lesistenza: il minimo accenno di esistenza lo sbilancerebbe irreparabilme nte. Dato che il moderno si identifica con la progetto, parlare di progetto postmoderno significa parlare di un post-pre-getto, il dopo di un prima: mentre il progetto (moderno) progetta solo in avanti, il progetto postmoderno progetta contemporaneamente in avanti e indietro. Non pone il futuro, ma disloca passato/futuro. Coagulando un nuovo futuro fa apparire un nuovo passato, un passato mai stato presente (Lvinas). Per questo la progettazione postmoderna non ammette ignoranza, non ci si improvvisa artisti, non si crea attingendo dal limbo dellarte pura o esternando la propria interiorit di cui non importa pi niente a nessuno. Severa scienza e diligenza estetica: prendere e mantenere le distanze dalla natura , dal pasSi possono individuare due materiali (nel senso, questa volta, tecnologico e non tecnico, da noi coniato, del termine) paradigmatici delle due forme di progetto, tradizionale e postmoderna, di cui si tentata una distinzione. Si pu cos considerare il metallo come materiale esemplare del progetto moderno, che a ttribuisce una forma duratura a una materia la quale, inerte e passiva, la conserva fino a nuovo ordine; e la plastica quale materiale tipico del progetto postmoderno, agente e agito da molteplici deformazioni, allungamenti, ricombinazioni, reazioni chimiche. Se in metallo si forgia loriginale, in plastica si plasmano le nuove forme solo cancellando non si pu mai dire per quanto le precedenti. Come nellambito del software non esiste loriginale cos in plastica non esistono diritti dautore, non c propriet privata. Le formulazioni plastiche dei materiali sempre al plurale hanno un passato mitico, un passato per usare unefficace pressione di E. Lvinas mai stato presente. I materiali infine a differenza della materia che si spezza ma non si piega si piagano ma non si spezzano: sotto infinite formulazioni rimangono, durano, sono sem pre l, dove non sono mai stati.
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sato in quanto ineluttabile. Passato e futuro si sono cambiati di posto, cos come cielo e terra, ora abbiamo il suolo chiuso sulla testa e il vuoto aperto, azzurro, sotto i piedi. Mentre il segno moderno, individuando una parte in seno a un tutto, taglia una figura da uno sfondo, il gesto postmoderno non solo taglia, ma taglia copia incolla, lasciando cadere ogni risoluzione de-cisiva del segno unico e risolutivo per lasciare gioco alla pi libera, insofferente, fremente formulazione di materiali. Esempio p aradigmatico: il DJ , che non produce armonie originali dalla materia bruta del suono inarticolato, ma utilizza dischi gi incisi, campiona tracce gi stampate, spezza, rompe, ricombina, lavora per affossare lorigine. In ci consiste, da un punto di vista ontologico, la bellezza estetica di questo tipo di lavori. Analogamente operatori artistici nel senso pi lato manipolano materiali provenienti sia dal loro ambito di intervento (design, grafica, architettura, musica, pittura, installazioni, ecc.) che da altri. Il risultato di ciascuna operazione sua volta non altro che materiale per ulteriori alterazioni. Invero, design e grafica meritano una menzione a parte, poich se architettura, musica, pittura ecc. (le arti tradizionali, maggiori e minori) sono soggette a una profonda revisione nel passaggio dal modello moderno a quello postmoderno, design e grafica non esistono se non in ambito postmoderno. Sono m etodi di intervento prettamente e anzi esclusivamente ricodificativi. In Occidente si comincia a parlare di qualcosa come la grafica o il design solo nel momento in cui il Progetto giunge alla Fine. Il designer e il grafico non possono lavorare con una materia pura, come, secondo il modello moderno, fa lArtista (proprio per questo tutto ci che prima della Fine del Progetto poteva costituire in qualche modo un precedente di proto-design o proto-grafica veniva bollato come arte minore ). Design e grafica nascono solo dopo che laccumulo di forme ha saturato completamente il fondo amorfo. Quando non c pi un solo filo derba non calpestato, ecco che il prato prova a pettinarsi con la riga da una parte, o a vedere come sta con i dread. Il che non significa divenire superficiali dopo la profondit dei moderni: lo strato continuo e impenetrabile di materiali non ci isola da un fondamento perduto ma costituisce invece il nostro peculiare fondamento, al di sotto del quale non v alcunch. Design e grafica appaiono come sorta di epifenomeni sulla sommit di una montagna di segni, tracce, forme, fogge, figure sedimentate e stratificate su diversi livelli geologici. Proprio questa peculiarit ci introduce a unulteriore possibile proposta operativa, consistente nella decostruzione delloggetto (della sedia, dellombrello, dellautomobile) sul modello della decostruzione etimologica delle parole. Ci non ha niente a che fare con la pratica fin troppo postmoderna del brainstorming o della libera associazione delle idee per cui tutto fa brodo e magari dovendo progettare un tavolo la sua derivazione da tabula ci fa venire unidea su come disegnarlo rivestito di raso, magari. Scomporre un oggetto come si scompone una parola significa rilevarne le tappe genealogiche, gli strati geologici, gli aspetti che ha avuto e che ora sono sepolti sotto altri aspetti. Questi esercizi, pi che indicazioni di poetica, vogliono suggerire un certo tipo di approccio agli oggetti, che oggi, tuttaltro che passivi, sono invece estremamente abili a schivare i grossolani tentativi con cui gli apparati ancora moderni tentano di
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ingabbiarli. Non in alcun modo lecito (cio efficace) accostarsi a un pezzo di d esign o a un lavoro di grafica con la pretesa di incasellarlo nella categorie con cui il soggetto moderno riponeva per benino, una accanto allaltra, le cose del mondo. Le categorie moderne sono tutte riconducibili al modello paradigmatico del linguaggio verbale, com lecito aspettarsi da un soggetto che ancora crede, tramite le parole, di parlare del mondo. Ma un pezzo di design un progetto di architettura, unistallazione o un intervento di body art hanno una loro specifica retorica che rende immediatamente evidenti i risultati efficaci e quelli insignificanti. E questo al di fuori di ogni giustificazione verbale come laspetto morale, sociale, psicologico, ecc. Se un fotografo per pubblicizzare una salumeria sceglie di fare delle gigantografie di corpi scheletrici e volti coperti di mosche non ha alcun senso tirare in ballo la morale e tutto il vespaio che si porta appresso (anche se magari proprio questo il gioco del fotografo). Come ben sa chi si o ccupa di grafica o di design, quando un neofita chiede di spiegargli (!) perch ha detto essere bello un progetto piuttosto che un altro il povero grafico o designer si sente come se gli avessero chiesto chi erano i Beatles. Unoperazione estetica persegue ed giustificata da una sua coerenza, una sua logica. Tutto il resto, il vano chiacchieri ccio, non nemmeno letteratura. Dato che letteratura intesa come scrittura di segni artificiali del tutto emancipati da ogni inizio precisamente ci che, solo, ci interessa.5

La natura non esiste. Il design la struttura logica delloggetto.

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