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AMBIENTALISTI 2.

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Questo weekend si svolgerà a Chianciano Terme l’assemblea straordinaria del Partito dei
Verdi alla quale parteciperò in qualità di delegato per la provincia di Venezia.
L’occasione è motivo di riflessione personale sull’impegno ambientalista profuso dal
sottoscritto in politica. Il primo interrogativo è quello di cinque anni fa: è più efficace per un
ambientalista fare azione politica attraverso la forma partito o attraverso le associazioni? La
domanda è ancor più attuale visto il recente annientamento dei Verdi alle ultime elezioni nazionali.
Alcuni anni fa ho scelto la politica con una buona dose di fiducia mista ad incoscienza ma i
risultati ottenuti nella mia di veste di Consigliere di Quartiere sono stati finora pochi ed assai
faticosi. Non ho peraltro abbandonato il versante dell’attività associativa che, anzi, per i suoi buoni
frutti, è fonte di speranza e forza per continuare l’impegno politico ed istituzionale molto meno
appagante.
La cocente batosta elettorale e la mal celata ostilità di larghe fasce della popolazione nei
confronti degli ambientalisti, causata da nostri errori e da un pessimo sistema di informazione,
pongono a me ed agli altri ecologisti il problema di se e, soprattutto, come ricostruire in futuro una
politica “verde” in Italia.
Per rispondere al “se fare” non voglio ricordare i tanti problemi ambientali nostrani ma
vorrei invece citare l’esperienza degli abitanti dei due Stati di Vanuatu e Kiribari nell’Oceano
Indiano al largo della Nuova Zelanda. Essi sono i primi profughi climatici del pianeta: costretti ad
abbandonare le loro case a causa dell’innalzamento del livello del mare che ha inghiottito molte
delle isole su cui vivevano. Hanno perso tutto e, certamente, questo effetto non è stato causato dalla
loro personale quota di CO2 prodotta. Sul piano strettamente giuridico essi potrebbero, per assurdo
ma non troppo, fare causa, per il risarcimento dei danni subiti, a tutti quelli che producono nel
mondo più anidride carbonica di loro, in primis gli americani e poi tutti gli altri abitanti dei paesi
industrializzati. Niente di più lontano dall’Italia, si potrà dire, eppure

parlandNonostante l’evidente distanza culturale che caratterizza il Belpaese rispetto a molti


altri Paesi europei, in punto di sensibilità ambientale e di percezione del bene comune, non hoh la
faccia tosta di ignorare la grave situazione climatica, ambientale, energetica e demografica deve
essere fronteggiata ponendo a base di tutte le decisioni politiche la consapevolezza evidente scarsità
di risorse del pianeta in cui viviamo. Questo principio vale ancor di più grazie al famoso
meccanismo del CIP6 che finanzia, come energia rinnovabile, la combustione dei rifiuti negli
altrettanto amati inceneritori, in base alla definizione distorta, e tutta italiana, di risorse rinnovabili
“assimilate”: in pratica gli italiani pagano circa 60 euro in più, all’anno, di bolletta ENEL, per
rendere redditizio bruciare i rifiuti. Ne deriva, indirettamente, che le buone pratiche della riduzione
dei rifiuti, del riuso/recupero degli oggetti e della raccolta differenziata, non saranno mai spinte sino
ad un livello tale da rendere via via inutili gli inceneritori, ipocritamente chiamati
termovalorizzatori. Allo spreco di risorse occorre aggiungere poi il danno alla salute, derivante dalle
polveri fini ed ultrafini generate da questo tipo di impianti, al cui confronto quelle prodotte dalle
auto sembrano aria di montagna.
Nella Finanziaria dello scorso anno i Verdi hanno tentato di eliminare questi finanziamenti
ma, per mediare con le altre forze politiche, hanno accettato di fare salvi gli impianti “già
realizzati”, come dire che, senza il finanziamento pubblico, questi impianti non stanno
economicamente in piedi. In realtà la lobby trasversale degli inceneritori ha fatto pressione affinché
si facessero salvi tutti gli impianti “già autorizzati” cioè molti di più rispetto a quelli esistenti.
Questo significativo episodio spiega bene la posizione degli ecologisti rispetto alla questione
“rifiuti” per la quale sono stati ingiustamente attaccati nelle ultime settimane. Sul caso Campania la
procura di Napoli ha aperto peraltro un’indagine nella quale non figura alcun politico dei Verdi
mentre spicca la presenza del Presidente di Regione Bassolino, uno dei 45 saggi del Comitato
promotore del PD, nonché quella di alcuni amministratori di società del gruppo Impregilo, impresa
del Consorzio Venezia Nuova costruttore del MOSE.
A Venezia non dobbiamo rallegrarci troppo perché, seppur il ciclo dei rifiuti sia strutturato in
modo egregio, il livello di raccolta differenziata è ancora basso e, nota dolente, siamo lontani dal
passaggio culturale successivo. La differenziata infatti, pur ortodossa, non è lo scopo ultimo di una
sana gestione dei rifiuti, il vero obiettivo è la diminuzione progressiva del volume pro capite dei
rifiuti. E qui sorge il problema di cosa fare e di chi lo deve fare.
L’attore principale è il Comune di Venezia insieme agli altri Comuni proprietari di Vesta, ora
Veritas; è logico infatti che l’azienda da sola, pur municipalizzata, non ha alcun interesse a far
diminuire la sua fonte principale di ricchezza. Aumentano i rifiuti, aumenta la TIA. E non è colpa
soltanto dei 20 milioni di turisti dato che la quantità di rifiuti cresce anche in terraferma nonostante
la popolazione diminuisca. Occorre favorire quindi, con sconti sulle tariffe, chi pratica la raccolta
differenziata; si potrebbe immaginare ad esempio una sorta di autocertificazione da parte dell’utente
con controlli a campione, multe salatissime e restituzione degli sconti indebitamente goduti nel caso
di false dichiarazioni.
Vanno incentivate altresì, sempre attraverso la leva fiscale, le pratiche virtuose di riduzione
dei rifiuti come ad esempio il vuoto a rendere, in uso già a Mestre per i detersivi e sperimentabile
nel centro storico per lo spritz per sostituire gli odiosi bicchieri di plastica che finiscono spesso in
canale. Oppure l’uso di beni durevoli rispetto a quelli usa e getta: si immagini soltanto l’impatto che
avrebbe l’uso di tovaglie e tovaglioli, asciugamani in stoffa in tutti i ristoranti e bar del centro
storico: diminuzione dei rifiuti, riapertura di una o più lavatrici industriali, nuovi posti di lavoro,
miglior servizio per i clienti.
Tutte le proteste di questi giorni contro l’aumento spropositato delle tariffe sono abbastanza
sterili se non colgono il nocciolo del problema e cioè che aumentando la spazzatura, il problema
dell’incremento delle tariffe si riproporrà periodicamente.
Il Mahatma Gandhi, Nobel per la Pace, disse una volta che “il grado di civiltà raggiunto da
una nazione si misura innanzitutto dal modo in cui i propri abitanti affrontano il problema della
gestione dei rifiuti prodotti”. I dati dell’Arpav dicono che ogni cittadino veneto ha prodotto nel
2006 una media di 496 Kg/anno di “scoase”: ognuno può giudicare da sé, se questo significa civiltà.

Venezia, 04.02.2008
Davide Scano
Consigliere dei Verdi – Città Nuova
Municipalità di Mestre – Carpenedo

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