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OLTRE LO SVILUPPO: le prospettive dellantropologia

Fine dello sviluppo: emergenza o decrescita


Antropologia della modernit Gli approcci antropologici analizzano le cause del sottosviluppo e i fallimenti dello sviluppo come il risultate delle relazioni di dipendenza con le societ occidentali. In particolare mostrano come la configurazione dello sviluppo faccia parte del processo di espansione del sistema capitalistico mondiale e analizzano la societ civile della cooperazione, unarena eterogenea composta da organizzazioni no profit locali, associazioni internazionali e milioni di lavoratori. Questa antropologia del rapporto fra Noi e gli Altri, pu tracciare una linea di continuit tra le pratiche occidentalizzanti di cambiamento pianificato del periodo coloniale e le attuali iniziative per lo sviluppo dei paesi ex coloniali. Da un lato Malinowski stesso gi nel 1930 diresse lattenzione non solo sulle realt locale, ma anche sul sistema dei bianchi, analizzando il progetto mondiale di penetrazione economica europea e leconomia coloniale e il caos di una cattiva amministrazione e di una politica predatoria. Considerando lelemento tragico del cambiamento indotto dalla presenza europea descrisse molto negativamente il colonialismo come un sistema che produce inevitabilmente impoverimento, malnutrizione, disorganizzazione, demoralizzazione e graduale decadimento demografico nonch massacri di massa dei nativi. Nel testo pubblicato postumo, The Dynamics of Cultural Change (1945), si spinse a sostenere limpegno politico dello scienziato sociale nella difesa dei nativi, ridotti in schiavit, sterminati e spogliati del loro patrimonio. Sicuramente la critica di Maloniwski mise in discussione il processo di occidentalizzazione che fu realizzato non considerando gli elementi strutturali del dominio coloniale, n analizzando i meccanismi di sfruttamento economico, discriminazione razziale e oppressione militare e politica. Egli accett di fatto la modernizzazione del mondo, intesa sostanzialmente in una prospettiva evoluzionistica. Daltro canto anche gli antropologi contemporanei impegnati nella cooperazione internazionale, come i loro predecessori coloniali, raramente criticano il sistema. Il numero sempre maggiore di antropologi coinvolti nei processi di cambiamento pianificato hanno assunto un compito simile a quello che aveva lantropologia applicata in epoca coloniale, quello cio di aiutar i tecnici e i pianificatori a rendere pi efficaci quegli interventi che non partecipano a definire. Anche oggi lantropologia parte di un sistema globale di relazioni economiche, politiche e sociali fortemente asimmetriche. Le importanti analogie fra il contesto strutturale dellodierna antropologia dello sviluppo e quello dellantropologia coloniale consistono, fondamentalmente, nel fatto che sempre linteresse del committente a dominare il campo degli interventi. I principali attori della cooperazione internazionale sono pesantemente condizionati dalle priorit dei finanziamenti che decidono della destinazione dei fondi in vista dei propri orientamenti non solo ideologici e politici ma anche, e soprattutto, economici. Spesso i programmi di aiuto sono vincolati allobbligo da parte dei paesi che li ricevono di usare tecnologie o aziende dei cosiddetti donors, ostacolando le capacit di sviluppo locali, compromessa dalla immissione sul mercato di merci esterne.

Questo ha portato differenti autori a considerare le pratiche dello sviluppo come forme di neo colonialismo e imperialismo. Il/la fine dello sviluppo I fallimenti delle iniziative, la resistenza imprevista di popoli e dei sistemi culturali alla pressione sviluppista, hanno prodotto un generale ripensamento del concetto di sviluppo. Differenti lavori, come quello di Apthorpe, Ferguson ed Escobar, hanno decostruito il discorso dello sviluppo nei suoi elementi costitutivi, presentandolo come una narrativa dellegemonia occidentale. Lo sviluppo cessa di essere semplicemente uno strumento di controllo economico, diventando soprattutto una strategia prodotta dal primo mondo per marginalizzare e precludere possibilit alternative di organizzare il futuro. In generale, le prospettive postmoderne e foucaultiane hanno chiarito come il discorso sullo sviluppo, costituitosi allindomani del secondo conflitto mondiale nel momento in cui il potere statunitense subentrato al colonialismo britannico e francese, sia rimasto il principale strumento di legittimazione dellinterventismo civilizzatore. In piena guerra fredda funzion per prevenire ladesione al capo sovietico, privando nel contempo i popoli dellopportunit di definire autonomamente le proprie forme di vita economica politica e sociale. Successivamente si coniugato con nuove categorie come quella di globalizzazione e di emergenza. Lo sviluppo stato cos considerato come unimpresa ancorata alla categoria illuministica di progresso. Le dinamiche evolutive sarebbero innescate sulla base dellipotesi che il trasferimento di beni, la fornitura di servizi e di assistenza tecnica nella costruzione di infrastrutture determinerebbero automaticamente lo sviluppo, indipendentemente dalla considerazione del contesto globale e della realt socio-culturale dellarea di progetto. Levidenza scientifica ha chiarito come nel corso delle decadi dello sviluppo, inaugurate negli anni 60 dalle Nazioni Unite, gli unici paesi a svilupparsi siano stati quelli dei benefattori. Gli altri, al contrario, sono stati sottosviluppati. Analizzando le prove empiriche, in effetti, si pu facilmente notare che gli approcci al cambiamento pianificato non solo si sono dimostrati empiricamente insostenibili e incapaci di stimolare un reale processo di sviluppo nel terzo mondo. Soprattutto hanno partecipato allampliamento del gap tra i paesi dellOccidente industrializzato e paesi del terzo mondo. Diverse prospettive, comprese quelle di Stiglitz e Soros, concordano nel sostenere che sono sempre stati i cosiddetti poveri ad aiutare i cosiddetti ricchi. La maggior parte delle somme date o prestate sono spese nei paesi donatori o vi fanno ritorno: rimborso del debito, fuoriuscita di capitali, trasferimenti illeciti di profitti, fuga di cervelli, acquisti di beni e materiali. Gi il Primo Rapporto Mondiale sullo Sviluppo Umano pubblicato dallUnited Nation Development Program (UNDP 1990) aveva eloquentemente rilevato come nella situazione iniqua che domina le relazioni internazionali, il trasferimento netto di 49 miliardi di dollari dai paesi ricchi verso i paesi poveri, attuato nel 1980-82 avesse prodotto, negli anni seguenti, un corrispondente indebitamento da parte dei secondi di 242 miliardi di dollari. Negli ultimi anni, malgrado la crescita considerevole della ricchezza prodotta nel mondo, le ineguaglianze sono esplose. Recentemente la Banca Mondiale ha dovuto ammettere che lobiettivo di dimezzare il numero di persone che vivono nella povert assoluta entro il 2015 non potr essere raggiunto. In generale il dumping praticato dallOccidente a vantaggio dei propri prodotti ha

annullato il sostegno offerto alla produzioni locali nel quadro dei programmi di aiuto: Banca Mondiale ha calcolato che la fine del protezionismo UE e USA salverebbe 144 milioni di persone dalla povert. La crisi delle teorie dello sviluppo si ormai diffusa anche negli ambienti internazionali come il Fondo monetario internazionale (FMI), la Banca Mondiale, lOrganizzazione mondiale del commercio (WTO). Come sostiene Latouche, lo sviluppo vittima del suo successo nei paesi del Nord piuttosto che del suo fallimento nei paesi del Sud, a dimostrazione della sua non universalizzabilit. Emergenza come inveramento dello sviluppo Nonostante i tentativi di riformulazione, le pratiche di cooperazione internazionale continuano a fondarsi su una visione unilaterale dellevoluzione del tutto analoga a quella che in passato aveva legittimato le pratiche coloniali. Lultima formulazione divenuta dottrina ufficiale delle Nazioni Unite, lo sviluppo sostenibile, insiste nel sostenere che la ricerca di unimprobabile crescita economica infinita sia compatibile con il mantenimento degli equilibri naturali e la soluzione dei problemi sociali. Lapparato dello sviluppo si iscrive cos in un sistema caratteristico della modernit occidentale che permette di legittimare azioni ingiustificabili richiamandosi a valori universali indiscutibili. Negli ultimi venticinque anni, i meccanismi dellaiuto internazionale hanno contribuito a indebolire le sovranit statali e a delegittimare i poteri pubblici e la nozione stessa di politiche pubbliche. Hanno occupato progressivamente posizioni e ruoli lasciati vacanti dalle singole istituzioni governative grazie alla loro agilit nellutilizzare i canali di intervento e di informazione in contrapposizione a istituzioni lente, burocratiche e paralizzate da strategie di controllo obsolete. Sostituendosi ad esse producono una gestione fortemente privata dellumanitario. Le mutazioni del capitalismo, determinate dalla crisi del welfare state keynesiano e dallapertura dei mercati al neoliberismo, hanno portato le ONG a entrare a far parte di un sistema di relazioni con le istituzioni politiche, economiche e gli attori privati. Dal crollo del sistema westfaliano delle relazioni internazionali fondato sulla sovranit degli Stati e dal definitivo affossamento dellOnu dopo l11 settembre, le ONG hanno assunto un ruolo crescente di rappresentanza, partecipando a importanti processi decisionali. In tal modo hanno agito come una rete autonoma dagli Stati, creando forme di diplomazie non governative parallele, consolidate attraverso il riconoscimento delle Nazioni Unite. Sempre pi i donatori si rivolgono a societ private, organizzazioni non governative o strutture costruite ad hoc. Daltro canto le autorit nazionali rispondono ai donatori pi che ai cittadini. Uno degli esiti dellaiuto internazionale un rilevante deficit democratico a sostegno del potere economico e politico. Recentemente la categoria emergenza ha modificato la pratica sviluppista, risolvendo le contraddizioni e i paradossi. Le azioni emergenziali, stanno assorbendo gran parte delle gi scarsissime risorse destinate alla cooperazione internazionale. In una sorta di pronto soccorso mondiale, le organizzazioni non governative e umanitarie si trovano a doversi appoggiare operativamente alle stesse forze armate che hanno invaso un territorio straniero, spesso contro la volont dello Stato in questione. Sovente sono costrette a svolgere un ruolo ausiliario alle azioni di occupazione dei militari, dovendo ripulire le macerie e avviare i programmi di ricostruzione.

La filosofia e le pratiche degli interventi di emergenza rappresentano la definitiva standardizzazione delle procedure trasferibili immediatamente dove le strategie politiche lo richiedano. La configurazione che ne risulta, elimina tutte le altre possibili modalit di intervento, estendendo operazioni militari giustificate come operazioni umanitarie in cui gli attori civili e tradizionali hanno sempre meno margini di autonomia e libert. Lurgenza maschera le contraddizioni, erigendo una barriera di protezione che legittima le pratiche di occupazione. La fine dellemergenza produce la sospensione dellattenzione dei media, limmediata interruzione dellintervento, il trasferimento della macchina organizzativa in altri scenari emergenti dello scacchiere geopolitico. Lapparato dellemergenza si costituisce allinterno di un campo politico che si legittima attraverso la retorica della compassione e della necessit dellazione. Tale palcoscenico mediatico che Boltanski (1997) definisce sofferenza a distanza, ha legittimato progressivamente la categoria intervento eliminando ogni possibilit di critica e di controllo. La diffusione dellinformazione, determinata dalle regole di mercato, costringe a manipolare, a fini di lucro, le azioni umanitarie e a produrre eventi mediatici a colpi di dichiarazioni e di immagini dal forte carattere emotivo per evocare lindignazione, la compassione e la necessit morale dellazione. Gli organismi internazionali e transnazionali agiscono sul territorio come ci che Pandolfi, utilizzando un concetto di Appadurai (1996), chiama sovranit mobili, realt che si spostano nel mondo imponendo regole e imperativi, legittimati sotto la bandiera di valori proclamati etnocentricamente come universali. Agamben ha mostrato come le sovranit mobili si fondino su un concetto di sovranit simile a quello che Schmidt definisce in opposizione alla democrazia liberale come il potere di proclamare lo stato di eccezione, di sospendere legalmente la validit della legge esercitando una sovranit arbitraria senza alcuna mediazione. Il modello della eccezione permanente dellamministrazione Bush, legittimato da unopinione pubblica sagacemente promossa e manipolata, si fonda sulla sospensione del diritto, nazionale e internazionale. Mentre la legge classica pensa in termini di individui e di societ, cittadini e Stato, lapparato umanitario che diversi autori definiscono foucaultianamente come biopotere, ragiona in termini di corpi indistinti e de-localizzati, da curare secondo le strategie e le dellamministrazione umanitaria esportabili in tutti i contesti. In nome della sicurezza, dellaccoglienza, del soccorso o dei diritti umani, i cittadini sono trasformati in semplici corpi. Le voci degli esclusi: il lavoro dei favelados a Manguinhos In un panorama che la cultura egemonica cerca di imporre, con molte evidenti difficolt, le voci degli esclusi riescono tuttavia a farsi sentire. La scommessa politica dei gruppi subalterni consiste nella capacit di contrapporsi agli assiomi del capitalismo e della modernit. Si fonda sulla difesa del locale come prerequisito per impegnarsi nel globale e la valorizzazione dei bisogni e delle opportunit economiche in termini diversi da quelli del profitto e dello sviluppo modernizzante. Differenti prospettive hanno considerato le rielaborazioni locali della modernit. Arce e Long, ad esempio, analizzano come le idee e le pratiche della modernit vengano appropriate e re-inserite nelle pratiche locali, stimolando la frammentazione e la dispersione della modernit in pi modernit costruite dal basso e in costante proliferazione. Queste modernit multiple generano potenti controtendenze rispetto alle strategie della modernizzazione occidentale.

In questo contesto si pu collocare lesperienza del Centro de Cooperao e Atividades Populares (CCAP) di Rio de Janeiro, unorganizzazione composta esclusivamente da favelados e opera dallinizio degli anni 80 nella realt dimenticata e incredibilmente violenta delle favelas. La situazione caratterizzata da conflitti con armi da guerra fra gruppi di narcotrafficanti che controllano il territorio e fra trafficanti e forze di polizia. Queste ultime, particolarmente corrotte, adottano pratiche di esecuzioni sommarie e aggressioni alla popolazione civile, promuovendo un clima di terrore. In generale, i numeri delle vittime della violenza in favela sono comparabili con quelli dei conflitti pi conclamati e televisti che hanno mobilitato lapparato dellemergenza. Allinterno di questa drammatica realt il CCAP dallinizio degli anni 80 cerca di stimolare un processo endogeno di cambiamento, sforzandosi di far interagire la popolazione della favela con differenti istituzioni della societ civile nazionale e internazionale e a mobilitare gli organismi politici. Le attivit sono iniziate nel 1983 con la costituzione di un sistema di commercializzazione di prodotti di base che ha integrato i consumatori delle favelas con i produttori rurali. Le attivit economiche si coniugano con attivit educative finalizzate alla realizzazione di un mercato locale solidale, indirizzate sia ai consumatori (educazione alimentare, diritti del lavoro, diritti dei consumatori) sia ai piccoli agricoltori ( amministrazione, commercializzazione, vendita). Il CCAP cerca di rendere gli attori sociali soggetti attivi e promotori autorevoli di processi di cambiamento. A partire dal 1990 il CCAP ha integrato tali attivit come nella realizzazione e lesibizione the film e documentari, a cui si successivamente affiancata la creazione di una televisione comunitaria via cavo e di un sistema semiclandestino che sfrutta abusivamente un segnale dal satellite per trasmettere un telegiornale comunitario. Tali operazioni si collocano nel contesto delle attivit informative, miranti a stimolare la coscienza critica della comunit, sensibilizzare la societ sulla realt delle favelas, facilitare il dialogo della popolazione con i poteri pubblici. In collaborazione con varie organizzazioni giuridiche di Rio de Janeiro, il CCAP ha elaborato una banca dati sugli omicidi dolosi a Rio de Janeiro e istituito un servizio di assistenza giuridica gratuita. Tale servizio, operativo dal 1996, diretto principalmente alle donne e ai bambini e in generale alle persone che non riescono ad accedere al potere giudiziario per cultura ( il diritto consuetudinario determinato dal narcotraffico) e per mancanza di danaro. Compimento di tutte le attivit economiche ed educative stata listituzione di un fondo di solidariet che articola, dal 2000, attivit di microcredito e di autoaiuto finanziario con il progetto di una carta di credito popolare. Liniziativa rappresenta unesperienza di economia fondata sulla cooperazione e sulla solidariet. Queste forme di marginalit determinano la quotidianit di tutti i cittadini della metropoli, soprattutto ne mettono a rischio la sicurezza. Come sostiene Latouche, lincremento delle spese per acquistare beni e servizi mercantili, va di pari passo con laumento degli effetti collaterali dello sviluppo, legati al degrado della qualit della vita in termini di sicurezza, ambiente e salute. A tale proposito Daly ha compilato un indice sintetico, il Genuine Progress Indicator (GPI), che rettifica il prodotto interno lordo tenendo conto dei costi dovuti allinquinamento e al degrado ambientale. Secondo tali indicatori, per esempio, lindice degli Stati Uniti del progresso genuino sarebbe stagnante, o addirittura in regresso dagli

anni 70, nonostante il prodotto interno lordo continui a registrare aumenti. Come sostiene Escobar, le pratiche popolari e lazione dei movimenti sociali sono in grado di produrre creazioni originali ed escogitare i mezzi per liberare le societ del terzo mondo dellimmaginario dello sviluppo, diminuirne la dipendenza dallepisteme della modernit e inaugurare nuove possibilit di elaborare un dopo- sviluppo. A partire da queste esperienze un crescente numero di studiosi, invece che cercare di sviluppi alternativi, passato ad analizzare le alternative allo sviluppo. Le loro valutazioni si fondano su comuni caratteristica: una posizione critica sul sapere scientifico; un interesse per lautonomia e la cultura locale; la difesa dei movimenti di base. Secondo Arce e Long la nozione di contro- sviluppo offre un utile prospettiva sulla formazione di nuove modernit dal basso e sul modo in cui i programmi di intervento su piccola scala possano giocare un importante ruolo nel modellare i processi alternativi. Oltre lo sviluppo: cooperazione e decrescita La contemporanea riflessione etnografica ha evidenziato che lo sforzo conoscitivo non pu trascurare di riprodurre la processualit dellapprendimento e della costruzione del sapere antropologico. Invita a fondare il sapere scientifico sul contesto pragmatico della comprensione. La circolarit ermeneutica un meccanismo che costringe a prendere in esame e a risolvere i problemi che sorgono progressivamente nel quadro dellinterazione dinamica e del dialogo con i propri interlocutori (Malighetti 1991). Lidea che la comprensione si fondi sullesame esplicito dei pregiudizi e delle precomprensioni invita a rappresentare la realt sociale degli altri attraverso lanalisi della propria esperienza nel loro mondo. Da queste prospettive si pu rilanciare la professionalit dellantropologia nella cooperazione internazionale. Il metodo actor-oriented promosso da Arce e Long colloca gli attori al centro della scena, riconoscendo le realt multiple e le diverse pratiche sociali degli differenti protagonisti. Un tale approccio, realizzata una ricerca sociale interessata alle controtendenze nei confronti della modernit; cerca di seguire la vita reale e risolvere i problemi senza fare appello al potere di un apparato concettuale o di una forma di intervento prestabilita. Tenendo conto dei limiti planetari, e dellincapacit a risolvere la crisi con nuove tecnologia, diventa necessario superare le politiche della crescita, per preservare lambiente e per creare quella giustizia economica e sociale senza la quale il pianeta destinato a esplodere.

Riconfigurare modernit e sviluppo da un prospettiva antropologica


Fin dai suoi esordi lantropologia si confrontata con il problema di come affrontare e rappresentare le altre culture. necessario fare una differenziazione tra modernit e modernizzazione: la prima intesa come metafora per nuovi o emergenti materialit, significati e stili culturali qui e ora, visti in riferimento alla nozione di un passato stato di cose; la seconda pensata come pacchetto di misure tecniche e istituzionali volte ha unampia trasformazione della societ e sostenuto da narrative teoretiche neoevoluzioniste. Mentre la modernit implica autoorganizzazione e pratiche presso normative in differenti strati e settori della societ, la modernizzazione normalmente uniniziativa politica intrapresa implementata da elite amministrative e tecnologiche cosmopolite (nazionali o internazionali).

Una delle questioni pi probanti con cui i ricercatori che si occupano di sviluppo devono confrontarsi riguarda il significato e la potenza dei discorsi ufficiali sullo sviluppo in relazione alle strategie e ai giochi linguistici della popolazione locale che affronta relazioni sociali nuove e sempre pi globali. Ci pone le seguenti questioni interrelate. Di chi sono le narrative e le visioni del mondo che possono essere considerate pi valide? come si pu fare in modo che i decisori politici ed i professionisti della pianificazione e dellimplementazione delle politiche prendano in seria considerazione le narrative del ricercatore e le sue implicite o esplicite raccomandazioni politiche? Modernit e sviluppo: modelli e miti Come ha suggerito Habermas (1983) il termine linguistico moderno, dal latino modernus, apparso e riapparso in Europa fin dallultima parte del 15 secolo, riemergendo ogni volta che gli europei di affrontavano un processo di rappresentazione di una nuova epoca attraverso una restaurazione della loro relazione con gli antichi. Gli studi sullo sviluppo sorsero come specifico campo di studi solo dopo il 1945, quando gli esperti occidentali iniziarono a occuparsi della modernizzazione dei territori coloniali e dei nuovi paesi indipendenti. Al tempo stesso, lidea strategica di modernit veniva organizzata attorno ad attitudini e politiche basate sul senso di superiorit di quelle nazioni che si erano modernizzate con successo. In questo modo, lemulazione della modernit, incaric la costruzione di una nozione di tempo (moderno) che assumeva che i paesi cosiddetti arretrati o sottosviluppati fossero rappresentanti di un precedente stadio di inferiorit tecnologica e di ignoranza. Ci implicava che il progetto di modernizzazione potesse offrire loro laiuto di cui avevano bisogno per recuperare. Venne negata qualsiasi possibilit che in questi paesi fossero esistiti specifici tipi di modernit collegati al passato, prima dellarrivo del governo coloniale e dellaiuto allo sviluppo. Da questa prospettiva, i prerequisiti dello sviluppo sociale potevano essere raggiunti soltanto attraverso la replica delle esperienze e dei modelli europei e americani di successo. La teoria che meglio coglierlo spirito di questi tempi quella di Rostow (1960) che propose una tassonomia evoluzionista di cinque stadi attraverso cui i paesi dovevano passare al fine di raggiungere la condizione moderna. Questultima segna il punto di svolta in cui i nuovi valori e istituzioni sociali, alla fine, iniettano motivazioni economiche nelle vite delle persone, infettando la tradizione con il modernismo e imponendo la crescita economica come normale condizione di progresso. Lewis (1954), uno dei fondatori delleconomia dello sviluppo, sostenne che per ottenere la crescita economica fosse necessario trasferire risorse(capitale e lavoro) dal settore tradizionale a quello moderno. Secondo lui, il progresso si riferisce non solo alla trascendenza della tradizione, ma anche alluso dellorganizzazione del settore moderno delleconomia come guida al successo della modernizzazione. Nella teoria della modernizzazione, le condizioni economiche, tecnologica e demografiche, nonch lorganizzazione di appropriate istituzioni sociali e sistemi di valori, erano posti come ordini funzionalmente segmentati, trattati dagli esperti come separati. Una tale visione segmentata della vita sociale non poteva tener conto di come potesse esistere uneffettiva organizzazione sociale nella forma di molteplici relazioni, come gli studi antropologici avevano chiaramente dimostrato. Con un modello teoretico di cambiamento sociale, la teoria della

modernizzazione ora ampiamente riconosciuta come decisamente erronea. Nonostante le suddette rilevazioni improbabile che nel prossimo futuro la problematica della modernit scompaia interamente dal campo di studi sullo sviluppo. Un riposizionamento etnografico della modernit Latour (1993) sostiene che le concezioni della modernit dipendono dalla dicotomizzazione fra natura e cultura, persone e cose. Latour attribuisce questo al principio di purificazione della scienza convenzionale, che depura certe attivit e processi critici composti di elementi umani, culturali, materiali e non umani. In questo modo, specifici ambiti di attivit sono artificialmente tenuti separati luno dallaltro, una procedura affine al modello segmentato della teoria della modernizzazione, con la conseguenza che ci viene impedito di comprendere i vari modi in cui la modernit di fatto riproduce a se stessa come una complessa serie di idee e pratiche. Come spiega coerentemente Parkin, il punto di partenza per linchiesta antropologica dovrebbero essere le ambiguit etnografiche e liniziale intraducibilit di differenti culture. Questa rinuncia a teorizzare da ipotesi non contestualizzate elimina la sicurezza iniziale, ma offre maggiori sfide. Una buona etnografia, quindi, deve ripudiare lidea dellosservatore distaccato e oggettivo o neutrale, la ricerca di ordini socioculturali onnicomprensivi. A questo punto, acquista significato il concetto di contro- lavoro introdotto da Parkin, concepito come leffetto di ritorno della conoscenza nelle sue differenze. Dovremmo, dunque, guardare alletnografia per trovare lispirazione a realizzare unantropologia dello sviluppo dalle parti pi solide e pi riflessive. Il contro- lavoro, ostile alla modernit e interno ad essa, si inserisce in situazioni che sono parte del pi ampio processo di espansione occidentale. In altre parole, ci aiuta a capire i processi organizzativi che si presentano con lespansione dellOccidente e il significato delle controtendenze per coloro che fanno esperienza di queste nuove realt. I flussi e riflussi della modernit A questo punto utile richiamare lanalisi di Elias (1939) sullemergenza del mondo occidentale, moderno e borghese. Il cambiamento sociale ha luogo in una lunga sequenza di flussi e riflussi, senza seguire una linea retta, generando ripetutamente maggiori o minori contro-movimenti nei quali aumentano nuovamente i contrasti nella societ e le fluttuazioni nel comportamento degli individui. Questa la forma in cui la civilizzazione occidentale si diffusa e le sue istituzioni si sono sviluppate. Il risultato del cambiamento sociale viene qui visto come qualcosa che riduce e, al tempo stesso, amplifica i contrasti tra lOccidente e quei luoghi che sono al di l dellOccidente. Contemporaneamente, per, la modernit (o civilizzazione, come la definisce Elias) accresce la variet di sfumature al suo interno. La colonizzazione costituisce un perfetto esempio della diffusione di standard civilizzati della modernit e del modo in cui la popolazione locale mescola linfluenza della modernit con i propri idiomi tradizionali. La caratteristica chiave si pu individuare nel fatto che le persone riposizionano questi elementi allinterno dei loro contesti familiari. Nel fare ci, li deessenzializzano del loro potere superiore. Simultaneamente a questa capacit locale di inglobare la societ occidentale esiste unattitudine critica contro ci che visto come occidentale. Si genera un dinamismo che viene rappresentato attraverso i contro- movimenti nei confronti

della modernit, i quali implicano la de-contestualizzazione degli standard civilizzati dellOccidente e la loro ricontestualizzazione allinterno delle varie rappresentazioni locali della modernit. In questo modo, lOccidente stato costretto a confrontarsi con questioni che sfidano lesistenza di una modernit o di una civilizzazione unica e totalizzante. Eterogeneit come contrappunto di valori Consideriamo ora il modo in cui leterogeneit si collega al conflitto sociale e alle divergenze valoriali. Wertheim (1965) analizza il trattamento del conflitto sociale in certi lavori antropologici classici sulle societ tribali. Da qui arriva alla conclusione che, in generale, questi sostenevano un punto di vista fortemente integrazionista sul piano sociale, considerando lantagonismo tra categorie e gruppi sociali come funzionale o strutturalmente necessario alla societ nel suo complesso. Cos Radcliffe-Brown non permette mai che laggressivit arrivi a degenerare in uneffettiva contesa che sconvolge o distrugge in maniera permanente gli arrangiamenti sociali esistenti. Analogamente, Evans-Pritchard, Gluckman e Turner alla fine non riuscirono a sottrarsi alla seduzione del modello dellequilibrio. Secondo Wertheim fu solamente con lo studio di Leach sulla societ kachin negli altopiani birmani che si ebbe una chiara inversione di tendenza. Leach concepiva il cambiamento sociale come una conseguenza dellintreccio tra i sistemi di valori conflittuali presenti nella societ kachin, e non come qualcosa di controllato da forze esterne. Wertheim si fonda sul contributo di Leach per offrire la propria teorizzazione della societ e del cambiamento sociale. Esordisce osservando che la societ non mai stata una entit completamente integrata dal momento che, in qualsiasi comunit, esistono forme di opposizione in conflitto con le effettive strutture gerarchiche. Queste opposizioni sono basate su serie di valori che funzionano come una sorta di contrappunto, che si caratterizza per il fatto di essere composto da valori devianti che, in un modo o nellaltro, sono tenuti a freno istituzionalmente. Non minacciano, quindi, direttamente lintegrit della societ, sebbene rimangano potenzialmente il locus per lo sviluppo di nuove serie di pratiche che possono seriamente sconvolgere le gerarchie sociali esistenti. Ci che, da un punto di vista sociologico, si richiede per la comprensione di questi processi, una attenta analisi delle circostanze in base alle quali lamplificazione dei valori di contrappunto conduce a sfidare gli arrangiamenti istituzionali esistenti.Wertheim in primo luogo, critica i ricercatori per la tendenza ad assumere che i valori nella societ convergano sempre in qualche sistema gerarchico unitario e dominante. Un tale assunto sovrastima lomogeneit dei valori sociali. Questi temi delleterogeneit e della divergenza valoriale vengono meglio esplorati attraverso lo studio delle specifiche situazioni di vita o degli eventi critici in cui certe forme di autorit sono costruite, contestate e/o ricostruite. Un utile approccio metodologico per far fronte a questi differenti e intricati mondi della vita consiste nellidentificazione di campi di interfaccia. Ci genera differenti modelli che sono variamente descritti nella letteratura come sincretismo, ibridazione, creolizzazione e cyborg. Ciascuno di questi rappresenta uno specifico modo di sintetizzare le combinazioni materiali, culturali, organizzative e umane.

Sincretismo, ibridismo e spazio transnazionale Il libro di Geschiere (1997) affronta il significato centrale della stregoneria nelleconomia politica locale e nazionale del Camerun. Afferma il potere delle credenze nella stregoneria di appropriarsi di elementi della modernit e di ascrivere loro nuovi significati. Questa linea di analisi, ci stimola a prestare la dovuta attenzione allintensit e al coinvolgimento emozionale delle esperienze quotidiane vissute e immaginate, spesso associate a ciocche le persone percepiscono come eventi critici. Tali esperienze innescano una rapida trasposizione di immagini derivanti da mondi culturali e sociali differenti e apparentemente contraddittori. Le persone, dunque, non sperimentano larrivo della modernit come disintegrazione dei loro vecchi mondi. Piuttosto, visualizzano la realt come fatta di insiemi viventi che mettono in relazione reciproca differenti materialit e tipi di capacit dazione che comprendono nozioni associate ad aspetti sia della modernit sia della tradizione. Le azioni sociali che dissolvono i confini e permettono agli attori di trattare con mondi differenti, spesso scuotono le fondamenta della logica occidentale universale e delle sue modalit di rappresentazione e comunicazione. Di contro, le persone non hanno difficolt nel adattarsi a questi mondi disparati; e in questo senso nemmeno le pratiche omogenei davanti della globalit potranno mai cancellare la localit intesa come significativo punto di riferimento organizzativo ed esperienziale. Alcune di queste tematiche possono essere ulteriormente esplorate riesaminando largomentazione di Kearney (1996). Centrale in questa interpretazione il concetto di iperspazio, che egli usa per registrare il punto in cui le attivit si distaccano cognitivamente, del tutto o parzialmente, dallo spazio geografico e vengono ricostruite in un iperspazio. Sono esempi di questo tipo di spazio gli aeroporti internazionali, i grandi centri commerciali, gli hotel internazionali e le catene di fast-food. Questo uno spazio socialmente costruito le cui caratteristiche principali sono che non ancorato permanentemente a un luogo specifico che abitato prevalentemente da stranieri e tuttavia ha una certa qualit universale indipendentemente da qualsiasi luogo specifico in cui potrebbe trovarsi. in tale iperspazio, distaccato da un luogo geografico delimitato, che si situano le comunit transnazionali. Dipendendo dalla metafora delliperspazio, Kearney tratteggia una forma di spazio che priva delle esperienze soggettive degli attori. Nella monotonia delliperspazio non troviamo le variet e le sfumature di Elias, n possiamo tener conto della variet di divergenze valoriali e di conflitti sociali fondati sullo status, sul genere e sulle divisioni etnica. Questo concetto di iperspazio non si permette neppure di raccogliere il suggerimento di Wertheim di studiare i valori di contrappunto. In questo iperspazio, se le persone, le grandi societ e le agenzie si articolano luna con laltra, totalmente distaccate dallo spazio geografico, come possiamo comprendere le complesse interazioni strategiche che possono aver luogo? Per concludere, sembra che di per s n il sincretismo, n libridismo, n le uniformit globali dellordinamento iperspaziale, offrano una comprensione completamente soddisfacente dei modi in cui la modernit e tradizioni diverse sono intrecciate nelle societ contemporanee. Ibridi e mutanti Secondo una definizione comune, gli ibridi sono entit di origine mista, cio risultano dallincrocio tra forme differenti e richiedono una costante infusione di

nuova materia prima o di nuovi elementi da qualche fonte esterna se si vuole evitare che arrivino a indebolirsi e, alla fine, a degenerare al punto di estinguersi sotto il profilo produttivo. Come lo sviluppo di nuove variet di mais ibrido, alcuni ibridi estetici o culturali sono deliberatamente progettati da artisti e intellettuali; altri, invece, possono fare la loro comparsa in modo abbastanza accidentale. In ogni caso, luso della nozione di ibridi(e di conseguenza quella di sincretismo) per caratterizzare la comparsa di certi stili di vita di recente emersione e di certi adattamenti socioculturali, non si porta molto lontano. Ci che stiamo trattando, infatti, sono cambiamenti che coinvolgono nuove forme sociali emergenti da quelle esistenti. Le risultanti forme non sono mai pienamente controllabili e possono essere messe in moto, in certe circostanze, da interventi esterni, sebbene i riadattamenti interni abbiano la precedenza sulle esternalit. Questo immaginario mutante, tuttavia, si aiuta nello sviluppare unetnografia delle modernit multiple che abbracci simultaneamente le pratiche e i processi che potremmo definire sia civilizzazione, sia decivilizzazione. Al fine di comprendere e analizzare questi tipi di trasformazioni, esploriamo le idee sul controsviluppo, proposte per la prima volta da Galjart. Controtendenze e controsviluppo necessario rappresentare il cambiamento sociale e lo sviluppo come realt multidimensionali e contestate. Questo vale sia che lattenzione si focalizzi sulle contrastanti interpretazioni della modernit, sulle trasformazioni nelle politiche e nelle pratiche dello sviluppo; sia che ci si interessi agli spazi di produzione, distribuzione e consumo locale e regionale. Sebbene si assuma spesso che, nella societ, lo Stato sia pi forte degli interessi di parte, di solito mostra i muscoli nel momento in cui la protesta minaccia di minarne le attivit o quando in gioco lintegrit territoriale dello Stato- nazione. Per ripristinare il controllo politico, lo Stato applica misure volte a neutralizzare gli avversari politici. Daltro canto tali mosse politiche frequentemente producono leffetto contrario di avviare il decentramento delle decisioni politiche, creando cos spazio per la promozione di politiche alternative o oppositive. a questo punto che Galjart suggerisce che il ruolo principale dei donatori dovrebbe essere quello di sostenere queste controtendenze attraverso lesercizio della pressione politica sul governo. Il controsviluppo , quindi, unopera di mediazione tra le procedure burocratiche che vengono introdotte e le pratiche locali. La nozione di controsviluppo orientata, dunque, a comprendere e ad agire su quei processi grazie ai quali vengono stabilite molteplici modernit. La cooperazione deve essere compresa in relazione allinterazione delle differenti sfere della vita e nei termini in cui gli attori collaborano e competono allinterno di comuni spazi sociali dove si verificano i contrasti sul modo in cui le persone dovrebbero lavorare insieme. Soltanto comprendendo come differenti attori affrontano i loro vari doveri e le preoccupazioni per la sopravvivenza, possiamo evitare di delineare unimmagine omogenea della solidariet di comunit. Visto dallalto, ci pu risolversi nella perdita del potere di implementazione e nella minimizzazione del ruolo della conoscenza esperta. Dal basso, rappresenta una serie di opportunit per organizzare progetti specifici che, di contro, possono aiutare a promuovere e finanziare ulteriori progetti. Per fare in modo che le persone abbiano una voce e un peso nellorganizzazione di tali modernit localizzate, necessario che i progetti siano portati avanti da coloro che sono consapevoli sia nelle implicazioni del controsviluppo sia delle modalit con cui

sostenerlo. Galjart concettualizza questo elemento del controsviluppo come solidariet. Nuove agende di ricerca solo sviluppo: il contributo dellantropologia La distruzione creativa, o decostruzione, dellidea di una singola modernit occidentale a opera di persone con valori e saperi differenti e localizzati, sottolinea il fatto che la diffusione della modernit si tradotta in una pletora di modernit. Ci ha trasformato la rappresentazione geopolitica e sociale del globo. Cinquantanni fa il mondo fu trasformato da una realt costituita dei poteri coloniali e dalle loro colonie, a una realt composta da ricche nazioni industrializzate e povere nazioni emergenti, o da quelli che alla fine vennero etichettati come paesi sviluppati e paesi meno sviluppati o terzo mondo. Questanno limmagine globale ha finito per essere associata alla crescita delle tecnologie basate sullinformazione e su rapidi mezzi di trasporto e comunicazione; ai dinamici e al tempo stesso perversi flussi di capitale e di beni attraverso i mercati globali; a ordinamenti politici fragili e complessi; e a una variegata vita culturale e simbolica transnazionale composta di processi sia omogeneizzanti sia diversificanti. Questa mutata scena globale ha portato alla ribalta molte preoccupazioni sociali e morali nuove che coinvolgono sempre di pi lazione degli organismi internazionali. In ciascuno scenario, vengono reclutati esperti di vario tipo per fornire studi diagnostici e per pianificare e implementare i corsi dazione riparatori. Molto di questo lavoro ancora condotto allinterno di un sistema di pensiero basato sulle teorie e pratiche dello sviluppo dominanti. Secondo Lynn (1996) ci corrisponde a una produzione di conoscenza e di entit basata sulle pratiche rappresentazionali del primo mondo. Di conseguenza, le cause di cerchi cosiddetti problemi nel sud come la produzione e commercializzazione di droga o la cattiva gestione delle risorse naturali rimangono fuori dai parametri della conoscenza degli esperti o sono politicamente escluse dallazienda delle discussioni e, quindi, sembrano non avere alcuna influenza sulle azioni intraprese. Secondo Cooper e Packard (1997), a partire dagli anni 80 sono emerse due distinte serie di critica al sistema sviluppista. La prima quella ultramodernista che mantiene la posizione secondo la quale le leggi economiche sono universalmente valide, e quindi sarebbe il libero mercato, piuttosto che le politiche statali, ad offrire la soluzione migliore per stimolare gli investimenti e una efficiente allocazione delle risorse. La seconda quella postmodernista, che afferma che lo sviluppo non altro che un discorso che giustifica il controllo e la sorveglianza delle pratiche delle persone da parte di istituzioni potenti. Entrambe le posizioni condividono lattenzione al potere. Per gli ultramodernisti il potere rappresenta una distorsione nellautoregolazione dei mercati; per i postmoderni, il potere associato a un regime di potere- conoscenza di marca occidentale che ha la capacit di manipolare ovunque la vita e le condizioni sociali. Sebbene di tanto in tanto gli antropologi abbiano partecipato a questo dibattito, il pi delle volte hanno cercato di evitare di fare affermazioni di tipo cos generalizzato. Al contrario, hanno prestato particolare attenzione allanalisi della formulazione e dellimplementazione di programmi e progetti di politica nazionale, alle differenti risorse e alle loro trasformazioni locali. Allinterno di queste arene di lotta due temi hanno assunto un significato particolare: limportanza strategica della pratica burocratica, e lattivo coinvolgimento dei beneficiari locali non come soggetti passivi ma come agenti conoscenti nel pieno

dei propri diritti. Questo approccio actor-oriented presenta lantropologia dello sviluppo come interessata a un campo di realt contestate in cui gli scontri sui valori, sulle risorse, sulla conoscenza e sulle indagini costituiscono il campo di battaglia tra differenti attori e i loro mondi. Unaltra tendenza da riscontrare negli studi sullo sviluppo stata lenfasi posta sul discorso sullo sviluppo. Sia alla ricerca actor-oriented che gli studi sul discorso dimostrano limportanza di analizzare le configurazioni del potere e le relazioni di conoscenza localizzate. Mentre, per, gli studiosi del discorso (Escobar, Ferguson, Crush e Hobart) danno priorit alla comprensione di come la scienza occidentale e i modelli di sviluppo trasformino le forme di conoscenza radicate in altre tradizioni culturali, lapproccio actor-oriented si focalizza sulle diverse e discontinue configurazioni della conoscenza (Long e Long) che incontriamo in specifiche arene di sviluppo. Questultima prospettiva sull attore congruente con largomentazione di Aphtorpe secondo cui i discorsi sullo sviluppo non soltanto rappresentano spesso in maniera distorta le realt affrontate da coloro per i quali lo sviluppo pianificato, ma differiscono anche notevolmente tra di loro. Le problematiche legate alla conoscenza hanno altres offerto una base per unanalisi dei modi contrastanti di percepire e gestire lambiente, un campo di crescente interesse, dati gli sforzi profusi dei governi nazionali e dagli organismi internazionali per includere i problemi dellecologia e della conservazione nel lavoro sullo sviluppo. Gli autori dimostrano come la saggezza ricevuta degli esperti su problematiche come la degradazione della terra e la deforestazione attivamente sfidata dallesperienza storica ed ecologica degli attori locali, che escogitano contronarrative e si impegnano in un contro lavoro che si oppone alla conoscenza dello specialista ambientale. Unosservazione fatta da Pottier sostiene che colorano che lavorano per le politiche dello sviluppo debbono ascoltare e imparare dagli attori locali ed essere guidati, non da metodi inflessibili, ma da una pratica etnografica ben informata che si relazioni con sensibilit alle problematiche quotidiane dei beneficiari del progetto e del personale in prima linea dello sviluppo. Un simile approccio necessariamente richiede anche una certa sensibilit verso gli incontri che avvengono tra chi sottoposto alla ricerca e il ricercatore, oltre alla necessit di porre allattenzione sulle controtendenze e sul controlavoro del cambiamento sociale. importante, inoltre, riconoscere che i ricercatori europei, in generale, hanno risposto a questa sfida per certi aspetti in modo differente dai loro colleghi americani. Da un lato, le principali figure dellanalisi americana del discorso cercano unantropologia politicamente corretta che implichi un ripensamento della natura della disciplina a partire dalle fondamenta. Dallaltro, i ricercatori europei, sono invece stati pi inclini a continuare con inchieste etnografiche sulle esperienze differenziali della modernit e della pratica dello sviluppo, enfatizzando la politica sociale dello sviluppo stesso. Una appropriata antropologia dello sviluppo, allora, ha bisogno di costruire un approccio etnografico pi riflessivo, che permetter di analizzare le dinamiche di ricomposizione delle pratiche e delle esperienze da parte degli attori sociali, e non soltanto le loro reazioni ai cosiddetti cambiamenti indotti e agli esperimenti di ingegneria sociale identificati con la teoria o le strategie della modernizzazione.

Il discorso delle politiche dello sviluppo


Introduzione Il presente lavoro intende iniziare a identificare e discutere aspetti ed effetti dello stile del discorso utilizzato nelle pratiche delle politiche dello sviluppo. Lanalisi delle politiche potrebbe essere migliorata prestando maggior attenzione ai discorsi delle politiche. strano che questa area analisi sia stata cos trascurata. , dopotutto, una delle parti pi visibili e quindi accessibili dellintera impresa politica. Alcuni esempi Il modello nei piani nazionali quinquennali per lo sviluppo e simili, nelle proposte di programmi, , aldil delle differenze contingenti, molto simile. Ci che in gioco sembra essere una forma di espressione completamente neutrale e puramente strumentale. La preoccupazione principale verte su un aspetto delle politiche dello sviluppo: i fatti non parlano mai da soli, devono essere fatti parlare o bisogna parlare per loro. Ci sono sempre alternative, alcune delle quali rimangono da essere considerate nuovamente, anche quelle che sono state rifiutate per altri motivi. Decostruire i discorsi sulle politiche serve, dunque, a uno scopo costruttivo. Ad esempio le parti in gioco possono o non possono avere inteso o compreso in modo simile gli effetti e i risultati della struttura discorsiva della pianificazione dello sviluppo. Linguaggio e politica Le azioni discorsive nelle politiche fanno ricorso a un linguaggio per ricostruire e legittimare particolari insiemi di codici, regole e ruoli. Cos, per esempio, Orwell (1957) afferma che i discorsi e gli scritti politici sono ampiamente in difesa dellindifendibile. Cose come la continuazione del governo britannico in India, le deportazioni russe, il lancio della bomba atomica sul Giappone, possono in realt essere difese, ma solo con argomenti che per la maggior parte delle persone sono troppo brutali da essere affrontati. Perci il linguaggio politico deve consistere in gran parte di eufemismi, tautologie, e vere e proprie oscure vaghezze. Villaggi indifesi sono bombardati dallaria: questa chiamata pacificazione. Milioni di contadini sono deprivati delle loro fattorie: questo chiamato trasferimento della popolazione. Gente imprigionata per anni senza processo: questo chiamato eliminazione di elementi inaffidabili. Questa fraseologia necessaria se si vuole nominare cose senza risvegliare le loro immagini mentali. Politiche ed enunciati Il ruolo dellenunciazione nel discorso dellelaborazione delle politiche indicato da alcune delle sue peculiari abitudini. Alcune di queste abitudini hanno a che fare con una dicotomizzazione fra politiche ed elaborazione delle politiche. Alcune di esse sono connesse con il senso aristotelico secondo cui la politica verte chiaramente sulle intenzioni. Queste intenzioni sono presentate come se affrontassero particolari tipologie di problemi che sono comunque dati, naturali, ovvi, che parlano da soli, inevitabili e indiscutibili. Ne consegue che i problemi saranno dunque trattati secondo strategie o forme di azione che sono terapeutiche nel senso che sono risolutive del problema nel settore in cui il programma ritenuto esistere. Inoltre, le strategie sono allo stesso tempo incontrovertibili ( perch si basano sulla scienza, il sapere, la ricerca). Dunque, sono anche non di parte perch devono essere condotte per mezzo di strumenti

neutrali e secondo le regole della correttezza procedurale. Sono cos selezionate come i migliori mezzi per quei fini. Niente allora evitabile, discutibile. I discorsi dello sviluppo: premesse e referenti Ci sono certi aspetti cruciali nelle abitudini discorsive delle pratiche politiche dello sviluppo. Uno di questi la dissimulazione di ci che sta accadendo. Un altro un assortimento di vie di fuga interne al discorso, lesistenza di capri espiatori un tipo di fuga. Problematizzare un altro aspetto. Inoltre, parlare di implementazione come qualcosa daltro o di successivo alle politiche stesse e un quarto aspetto. I discorsi delle politiche dello sviluppo hanno costruito interi vocabolari che hanno questi effetti di naturalizzare e oggettivare, per cos dire, tutto ci che fatto considerato. In breve le politiche dello sviluppo promettono di dare e dichiarano di rispettare le consegne. La difficile verifica della diagnosi, dalla reale patologia e dei reali legami fra patologia, rimedio e prognosi sono assenti.

Sviluppo e potere burocratico nel Lesotho


Negli ultimi due decenni il Lesotho un piccolo paese senza sbocchi sul mare che conta circa 1 milione e 800.000 abitanti, circondato da Sudafrica, e che attualmente ha un prodotto nazionale lordo di 816 milioni di dollari americani ha ricevuto aiuti allo sviluppo da 26 paesi diversi. 72 agenzie internazionali e organizzazioni non governative e quasi- governative si sono attivamente impegnate nella promozione di una serie di programmi di sviluppo. Consulenti ed esperti provenienti dallestero brulicano nella capitale, Maseru, e sfornano piani, programmi e soprattutto incartamenti in quantit impressionanti. Costruire un Lesotho degli sviluppatori Per muovere il denaro che sono state incaricate di spendere, le agenzie di sviluppo preferiscono optare per pacchetti di sviluppo standardizzati. Nel 1975 la Banca mondiale ha pubblicato un rapporto sul Lesotho che venne poi usato per giustificare una serie di grossi prestiti al paese. Un brano del rapporto in cui sono descritte le condizioni del Lesotho ai tempi dellindipendenza dallInghilterra nel 1966- racchiude unimmagine del paese che si adatta particolarmente bene alle esigenze delle agenzie dello sviluppo: virtualmente non toccato dal moderno sviluppo economico il Lesotho era, ed tuttora, una societ contadina tradizionale con uneconomia di sussistenza. Ma il rapido aumento della popolazione ha prodotto unestrema pressione sulla terra, danneggiando il suolo e causando un calo della produzione agricola. Molti uomini abili e forti sono stati costretti ad abbandonare la terra alla ricerca di altri mezzi per mantenere le proprie famiglie. Al momento dellindipendenza non vi era alcuna infrastruttura economica. Linvenzione dellisolamento In realt, da un lato il paese non pi una societ di sussistenza per lo meno dalla met del 1800. Lungi dal non essere stato toccato dallo sviluppo moderno, al momento dellindipendenza la dominazione coloniale aveva istituito una moderna amministrazione, aeroporti, strade, scuole, ospedali e mercati per le merci occidentali. Il calo della produzione di surplus agricolo, inoltre, non recente e non come suggerisce la Banca, dovuto allisolamento dalleconomia monetaria. Pi significativa invece la perdita da parte dei basotho della maggior parte delle

terre pi fertili a causa dellarrivo dei coloni olandesi tra il 1840 e il 1869. Di fatto poi, per tutto il periodo coloniale sino ai giorni nostri, il Lesotho ha svolto la funzione di riserva di forza lavoro, da cui provenivano i lavoratori salariati occupati nelle miniere, nelle fattorie e nellindustria del Sudafrica. Le migrazioni su larga scala in cerca di lavoro, inoltre, precedettero di molti anni il declino dellagricoltura. La realt del Lesotho falsa anche limmagine del Lesotho, prodotta dalla letteratura sullo sviluppo, come unentit geografica autonoma le cui relazioni con il Sudafrica si limiterebbero a una giustapposizione geografica casuale e la cui povert potrebbe essere spiegata soprattutto dalla scarsit di risorse naturali allinterno dei propri confini insieme allincompiutezza con cui sono state sviluppate. Riordinare la realt Una rappresentazione del Lesotho Kennedy descrivesse lantico coinvolgimento nella moderna economia capitalistica del Sudafrica, tuttavia, non sarebbe in grado di fornire una giustificazione convincente per le agenzie di sviluppo per introdurre strade, mercati e crediti. Riconoscere che il paese una riserva di manodopera per le miniere e le industrie del Sudafrica, invece che descriverlo come una economia nazionale autonoma, inoltre, significherebbe sottolineare limportanza di qualcosa che non accessibile ai pianificatori dello sviluppo nel Lesotho. Nel contempo, semplicemente scompaiono questioni quali la disoccupazione strutturale, i controlli sulle migrazioni, i salari bassi, lasservimento politico al Sudafrica, le elite burocratiche parassitarie e cos via. Lestromissione della politica dallo sviluppo Lo sviluppo, inoltre, visto come qualcosa che pu aver luogo solo grazie allazione del governo; e la mancanza di sviluppo , per definizione, leffetto di una negligenza governativa. Pertanto, dal punto di vista della Banca mondiale, che il prodotto nazionale lordo del Lesotho cresca o diminuisca dipende semplicemente dalla buona o cattiva implementazione dellattuale piano di sviluppo quinquennale. Allo stesso modo si ritiene che la produzione agricola sia scarsa a causa dellassenza di schemi di sviluppo agricoli e, di conseguenza, dellignoranza locale. In questo modo viene riservato uno spazio straordinariamente importante alle politiche e alla pianificazione dello sviluppo. Escluse dallanalisi della Banca mondiale sono il carattere politico dello Stato. Lo Stato rappresenta il popolo e ogni accenno alla natura non democratica del governo o allopposizione politica accuratamente evitato. Si ritiene che lo Stato non abbia alcun interesse oltre lo sviluppo: anche quando la burocrazia viene considerata come un problema, si ritiene che la questione non sia di tipo politico, bens il risultato sfortunato di una povera organizzazione o della mancanza di formazione. La popolazione tende ad apparire come una massa indifferenziata, un insieme di singoli contadini. Secondo questa prospettiva, il mutamento strutturale semplicemente una questione di educare le persone o anche semplicemente convincerle a cambiare mentalit. Quando viene inviata una missione per sviluppare i contadini e scopre che i contadini non sono interessati allagricoltura, ma che, al contrario, non si considerano neppure contadini, arriva facilmente alla conclusione che la popolazione sbaglia, che in realt sono contadini e che devono solo venir convinti che non pu essere altrimenti.

Linevitabile fallimento Di fronte a questa immagine del Lesotho cos poco somigliante alla realt, costruita dalla Banca mondiale e da altre agenzie dello sviluppo, non sorprende che la maggior parte dei progetti di sviluppo siano falliti. Dopo anni di accuse alla popolazione locale di essere disfattista o non seria per quanto riguarda lagricoltura, gli esperti dovettero mettere che la popolazione locale aveva ragione a ritenere che nei minuscoli campi sulle montagne era possibile produrre solo poco mais al di l di quello necessario al consumo locale e che un maggiore investimento nellagricoltura non avrebbe portato a risultati soddisfacenti. Un diverso tipo di propriet Lo sviluppo dellallevamento un altro esempio di fallimento che dipende dallerrata rappresentazione del Lesotho operata dai discorsi dello sviluppo. I pianificatori dello sviluppo hanno a lungo considerato i pascoli del Lesotho come una delle poche risorse naturali potenzialmente sfruttabili e pronti per essere trasformati dalla moderna e dinamica economia monetaria. Lungi dallessere il prodotto dellinerzia tradizionale, tuttavia, la riluttanza dei basotho a trattare commercialmente il proprio bestiame profondamente radicata nella moderna economia capitalistica fondata sulla riserva di manodopera. Nelleconomia delle Lesotho, altamente moneta realizzata, mentre il denaro pu essere sempre convertito senza problemi in bestiame, c invece una certa riluttanza a convertire con la vendita gli animali da pascolo in denaro, tranne nei casi in cui vi sia un bisogno urgente di cibo, abiti o soldi per pagare le tasse scolastiche. Questa pratica radicata e sostenuta da un sistema sociale in cui i giovani lavoratori vanno in Sudafrica per mantenere le proprie famiglie per dieci, undici mesi lanno. Se un uomo torna a casa dal lavoro nelle miniere con denaro contante in tasca, sua moglie potrebbe chiedergli di comprare un vestito nuovo, mobili per la casa o coperte per i bambini. Se invece arriva a casa con un bue acquistato con i propri guadagni, sar pi difficile che gli vengano fatte analoghe richieste. Uno dei motivi per cui gli uomini vogliono possedere un grande numero di animali incrementano il loro prestigio e le loro relazioni personali allinterno della comunit, anche perch possono essere prestati ad amici o parenti come ausilio nel loro lavoro. Gli animali da pascolo rappresentano quindi una specie di fondo pensione speciale per gli uomini, che funziona proprio perch, anche se rimane allinterno del gruppo domestico, non vi si pu accedere come si pu fare con il denaro contante. Investire nel bestiame non quindi unalternativa al lavoro migratorio, bens una sua conseguenza. Inoltre, per quanto possa essere utile e necessario lallevamento del bestiame nel Lesotho non tanto unindustria a un settore, quanto un titolo di beni di consumo, acquistato con i soldi guadagnati in Sudafrica quando il periodo buono, e venduto in tempi difficili. Una diminuzione delle esportazioni di bestiame dal Lesotho non quindi, come vorrebbe il discorso dello sviluppo, un segno di industria depressa, bens il segnale di un aumento delle entrate. Ad esempio, quando negli anni 70 i salari delle miniere del Sudafrica aumentarono, i minatori basotho colsero lopportunit per investire nellacquisto di bestiame in quantit senza precedenti, portando a un aumento delle importazioni. Non sorprende, quindi, che i tentativi di modernizzare il settore del bestiame del Lesotho abbiano incontrato delle resistenze.

Gli effetti collaterali del fallimento Si pu fermare che quello che pi importante in un progetto di sviluppo non tanto ci che non riesce a fare, quanto quello che riesci a fare attraverso i suoi effetti collaterali. Gli esiti possono essere ottenuti indipendentemente dalle intenzioni dei protagonisti pi sinceri. Potrebbe essere semplicemente il modo in cui le cose funzionano.

Sovranit mobile e derive umanitarie: emergenza, urgenza, ingerenza


Lo scenario globale Con il proliferare di procedure umanitarie, che sulle multiple e complesse zone di crisi si presentano o si intrecciano con operazioni militari, necessario soffermarsi a riflettere sugli imperativi teorici e sulle conseguenze pratiche di questi interventi. Laggettivo umanitario diventato, infatti un passepartout che autorizza e giustifica operazioni dalle cause ambigue e dagli effetti difficilmente prevedibili. Osservando le diverse interpretazioni dellintervento umanitario si pu scoprire facilmente come il discorso convenzionale nasconda un primo paradosso: da un lato lazione di aiuto percepita come un insieme di procedure definite governance. Questa tendono a consolidare la sovranit degli Stati attraverso pratiche standardizzate, considerate le pi idonee per far crescere una nuova societ civile locale. Dallaltro, lintervento umanitario diventa un angolo privilegiato per monitorare la progressiva erosione della sovranit, un laboratorio in cui testare una possibile cittadinanza universale e il necessario processo verso un diritto cosmopolitico in nome delluguaglianza dei diritti umani. Danilo Zolo (1998), cerca di raffreddare leuforia delle teorie giusglobaliste. Egli ricorda che in tal modo si rischia di riattivare quel modello secolare della Santa Alleanza che affida il destino del mondo ad alcuni signori della pace che siedono ai vertici della gerarchia mondiale del potere e della ricchezza. Su questo scenario la dimensione biopolitica si impone come riflessione che evidenzia le nuove condizioni giuridico-politiche dei rapporti tra Stato e individui, valutando gli effetti concreti che ne derivano. Agamben e Appadurai mettono al centro delle loro riflessioni il modo in cui la mobilit o gli spostamenti, imposti o liberi, di popolazioni in uno spazio transnazionale espongano la delimitazione politica dei territori e di quelli che li occupano a degli sconfinamenti e delle trasformazioni. Una stessa figura preoccupa le opere dei due autori, ovviamente trattata differentemente: quella degli senza patria, dellapolide e dellesiliato. I costi e benefici sono in realt oggi le nuove logiche che perimetrano la politica dellumanitario: lazione umanitaria, infatti, non preventiva. Lemergenza ( la catastrofe umanitaria), lurgenza ( la temporalit di azione) e lingerenza ( il diritto/ dovere allazione senza vincoli normativi dei singoli Stati) compongono il triangolo dove si consuma una nuova modalit dellazione politica. La zona grigia Raich, ventanni dedicati allaiuto umanitario, scrivere che se gli assassini possono decidere chi deve morire, gli attori umanitari decidono chi deve vivere e dunque in ultima analisi si assumono la responsabilit della morte degli altri. Oggi, allinterno delle ONG o degli organismi internazionali, si maturano nuovi dibattiti sul pericolo delle derive umanitarie.

Lurgenza/ ingerenza spesso occulta allorigine delle cause polarizzando invece lattenzione esclusivamente sugli effetti. E questo rischio esiste non solo a livello giornalistico, ma anche per studiosi che operano su questo palcoscenico della contemporaneit: quello di unambigua postura fra luniversalit dei diritti e luniversalit degli interventi armati per la protezione di questi diritti. Attualmente, come scrive Danilo Zolo, rivolgendosi criticamente alle posizioni assunte da alcuni politologi, esiste anche il rischio di un fondamentalismo umanitario. Infatti, lattenzione mediatica di tutta la comunit planetaria, che Boltanski definisce la sofferenza a distanza, ha legittimato progressivamente la categoria intervento e la necessit politica di una attenta critica o di un continuo monitoraggio e controllo ha ceduto il passo, almeno per tutti gli anni 90, alle immagini della sofferenza che hanno attraversato il mondo. Le immagini, creando un consenso globale allintervento di emergenza, rendono omogenee tutte le procedure utilizzate e favoriscono una legittimazione acritica dellumanitario- militarizzato. Inoltre, la zona grigia della naturalizzazione delle guerre, sia locali che umanitarie o preventive, ha reso pian piano logica e razionale la presenza militare e i media hanno contribuito a confondere strategie, obiettivi e ruoli. Per zona grigia intendiamo la progressiva naturalizzazione del mlange dei generi militare e umanitario e la perdita da parte di gruppi locali, in un tempo relativamente breve, di uno stile identitario autonomo. Sovranit mobile Porre sullo stesso piano tutte le componenti identificate nella categoria di cosmopoli comunitaria pu di certo apparire azzardato; tuttavia, se allumanitario aggiungiamo la categoria di intervento, lipotesi che proponiamo appare pi logica. Nella nozione di intervento ( militare, umanitario, politico) si configura un dispiegamento di forze e un dispiegamento di attori sociali che, operando su un territorio in un tempo determinato politicamente e su un mandato internazionale, evocano la riflessione sullo stato di eccezione proposta da Agamben. Lintervento nel suo insieme determina nel gruppo che lo compone una progressiva omogeneizzazione, anche se rimangono profonde le differenze di negoziazione e di relazioni di potere allinterno della stessa comunit. Ecco perch la categoria di sovranit mobile sembra particolarmente pregnante nel descrivere la peculiarit del fenomeno nel suo insieme. La sovranit mobile non vuole essere una metafora, ma sta a indicare una rete procedurale di azioni e discorsi che legittimano la propria presenza in nome di una regola eticotemporale definibile come la cultura dellemergenza. Una sovranit mobile che trasformano esseri umani/ cittadini in corpi di rifugiati o di vittime. Infatti attraverso il corpo sofferente che lazione umanitaria trova espressione. La comunit mobile e de territorializzata dellapparato umanitario agisce attraverso le pratiche di attori sociali che si riconoscono in essa pur essendo cittadini di altre nazioni. una comunit internazionale che arrivando in un territorio lo occupa logisticamente, sospendere le norme esistenti e ne impone altre. Le relazioni asimmetriche di potere tra la sovranit mobile e la societ civile locale sono evidenti; pi complessi e ambigui sono invece gli effetti a lungo termine su questo gruppo locale selezionato e comunque sempre monitorato da una pressante implicita domanda ad adeguarsi ai parametri di efficienza, di democrazia, di rispetto dei diritti umani che la sovranit mobile importa e

impone. La catalogazione della sofferenza umana ci rimanda al regime di governa mentalit descritto da Foucault e allintersezione dei diritti e del biopotere sviluppato da Agamben. Lavventura umanitaria Molti sono i protagonisti che negli ultimi anni hanno fatto emergere posizioni sempre pi palesemente critiche sulla fiducia incondizionata verso le tecnologie di intervento e progressivamente hanno preso le distanze dalla retorica dellassoluta apoliticit dellazione umanitaria. Per comprendere le ragioni che hanno reso lintervento umanitario una delle preoccupazioni prioritarie nel mondo contemporaneo bisogna forse soffermarci sullesponenziale visibilit e autorit acquisita da numerose ONG internazionali. Linfluenza delle ONG, sia a livello locale che transnazionale, appare un fenomeno dinamico che si consolidato in modo esponenziale dalla fine degli anni 60, occupando progressivamente posizioni e ruoli lasciati vacanti dalle singole istituzioni governative. A volte esse hanno agito in contrapposizione ai diversi attori istituzionali, essendo molto pi agili nellutilizzare i canali di intervento e di informazione. In tal modo hanno progressivamente creato forme di diplomazie non governative dirette o indirette, agendo come una rete autonoma dagli Stati e sviluppando a volte una vera diplomazia parallela. Questa rete si consolidata tuttavia anche attraverso il riconoscimento che le Nazioni Unite hanno dato alle ONG con larticolo 71, ma il loro peso politico si rinsaldato soprattutto nel 1993 con la conferenza di Vienna sui diritti umani. Ma evidentemente questa accresciuta autorit non senza prezzo e questa diplomazia parallela spesso si scontra allinterno delle stesse ONG con quel mandato, forse un po ingenuo, di neutralit e di denuncia che ne ha caratterizzato lorigine. Diventa davvero ambigua la posizione nei confronti degli Stati donatori: poter cercare fondi dovunque e restare critici e neutrali. E inoltre, la stessa logica dellemergenza a impostare dibattiti o i temi su cui si costruisce il consenso transnazionale. Molti studiosi hanno paragonato questo nuovo atto e sociale, la comunit internazionale, ai missionari del passato. Altri ancora hanno piuttosto trovato somiglianze con i funzionari e militari degli imperi coloniali. Ma in realt vi una profonda differenza con il passato missionario o coloniale e la presenza oggi di una comunit internazionale civile e militare sui terreni delle guerre e delle catastrofi umanitarie: la tecnologia, lexpertise producono una rete di informazioni e di azioni che essi sottraggono a burocrazie penalizzanti e parimenti tendono a originare una patologia del poter fare senza controllo. Neutralit e ingerenza: la diplomazia parallela Dove sono le ideologie che, dominando la cosmopoli umanitaria negli ultimi decenni, hanno contribuito ad alimentare nelle critiche. La prima quella della neutralit politica dellazione umanitaria. La seconda quella della dottrina del diritto/ dovere di ingerenza. A parte lorganizzazione Medici Senza Frontiere, che ha rifatto le valigie pi volte ritornando a casa e ha scelto di denunciare le condizioni di impossibilit ad agire, trasformando questa rinuncia in una denuncia politica, quante sono le organizzazioni che hanno abbandonato il loro mandato, nel momento in cui era evidente che le regole fondamentali dellassistenza alle vittime non erano rispettate o venivano manipolate?

necessario sottolineare come leuforia del nuovo ordine mondiale abbia, in un primo tempo, occultato i rischi che la circolazione a forte impronta ideologica di questa dottrina ha progressivamente prodotto. Una teoria tanto seducente da occultare i molti abusi che in suo nome si sono prodotti. Il problema centrale quello di comprendere se possibile, in un mondo dove i poteri degli Stati sovrani sono fortemente asimmetrici, sostenere lipotesi che vi sia un reale spazio democratico per un diritto/ dovere allingerenza. Alcuni giuristi si sono resi conto che la formula ha un potenziale ideologico facilmente manipolabile. Quindi meglio sostituire al diritto di ingerenza quello di diritto di assistenza umanitaria. Appare dunque chiaro che bisogna ripensare a tutto ledificio della cosmopoli umanitaria e riflettere sui dispositivi che progressivamente ne hanno corrotto lutopia. Linclinazione a definire societ civile il solo universo delle ONG costituisce uno dei punti deboli degli attori umanitari. Se infatti essi vengono riconosciuti e progressivamente legittimati come partner politici di tavoli con ampi poteri decisionali, ci si pone il problema di chi rappresenta chi, e perch e come stato autorizzato. Questo non per entrare nel complesso dibattito della democrazia partecipativa nelle democrazie avanzate, ma solo per sottolineare come, di fronte al dispiegamento dellapparato umanitario e militare, il terzo attore della negoziazione politica, sfuggito alle reti democratiche del controllo elettivo, produce allinterno e allesterno singolari forme lobbistiche. La scena politica e il ruolo dellantropologo Molti sono gli interrogativi sul ruolo dellantropologo e la legittimit del suo lavoro nei territori della guerra e dellingerenza umanitaria o militareumanitaria. La logica della neutralit, nei territori delle guerre e degli interventi umanitari- militarizzati, non pi convincente, n possibile coltivare lutopia consolatoria di esperto dello sviluppo. A questo punto forse necessario riepilogare quelle conseguenze che impongono una diversa posizione politica dellantropologo. La prima conseguenza uno spostamento del luogo politico verso una mobilia comunit internazionale di esperti civili e militari, che agisce come un terzo attore sociale con la confusa utopia di costruire la pace, di mantenere la pace e di soccorrere le vittime. La seconda conseguenza che questa procedura, agendo dallalto verso il basso (top/down) ponendosi in uno spazio che non n locale n nazionale, alimenta un discorso standardizzato e universale, che elimina progressivamente le specificit storiche, culturali e identitarie di un territorio, una comunit, uno stato. La terza conseguenza una marginalizzazione progressiva della riflessione antropologica a vantaggio di schemi precostituiti. La quarta conseguenza un atteggiamento consolatorio da parte degli antropologi: nel rinunciare a una riflessione teorica generale, o a porsi come interlocutori di fenomeni che tradizionalmente erano attribuiti a campi disciplinari diversi.

Immaginando unera di postsviluppo


Introduzione Da qualche tempo a questa parte, emerso un nuovo discorso: quello della crisi dello sviluppo da un lato e quello dei nuovi attori sociali e dei nuovi movimenti

sociali dallaltro. Fino a poco tempo fa, lo sviluppo era soprattutto una questione di capitale, tecnologia ed educazione, e di politiche appropriate e meccanismi pianificatori per combinare questi elementi con successo. Mentre molti considerano lo sviluppo come miserabilmente morto ho fallito, poche eventuali concezioni alternative e pochi progetti di cambiamento sociale sono proposti al suo posto. In questo modo limmaginario dello sviluppo continua a dominare. Legemonia dello sviluppo Inutile dire che le popolazioni dellAsia, Africa e America latina non si siano sempre viste in termini di sviluppo. Questa visione unificante risale solo al dopoguerra, quando gli apparati della produzione del sapere e dellintervento occidentali ( come la Banca mondiale, alle Nazioni Unite e le agenzie di sviluppo bilaterale) stabilirono la nuova economia politica. Come lOrientalismo di Said, nello stesso modo lo sviluppo ha funzionato come meccanismo di assoluto potere per la produzione e la gestione del terzo mondo nel periodo dopo il 1945. Il precedente sistema di produzione del sapere fu rimpiazzato da uno nuovo, modellato secondo le istituzioni e gli stili nordamericani. I paesi del terzo mondo diventarono cos il bersaglio di nuovi meccanismi di potere incorporati in infiniti programmi e strategie. Le loro economie, societ e cultura furono offerte come nuovi oggetti di sapere. La creazione di una vasta rete istituzionale ( dalle organizzazioni internazionali alle universit fino alle agenzie di sviluppo locale) assicurava lefficiente funzionamento di questo ha parlato. Una volta consolidato determin cosa poteva essere detto: in breve defin lo spazio dello sviluppo. Tutti infatti ripetono la stessa abilit di base, vale a dire che lo sviluppo consiste nellaprire la strada alla realizzazione di quelle condizioni che caratterizzano le societ ricche: industrializzazione, modernizzazione agricola e urbanizzazione. Il pensiero critico pu contribuire alla trasformazione e allo smantellamento del discorso sullo sviluppo? Innanzitutto bisogna chiedersi se un tale dominio possa essere immaginato. I filosofi siano resi consapevoli che non possiamo descrivere esaustivamente il periodo in cui si capita di vivere, dato che dallinterno delle sue regole che parliamo e pensiamo e che questo ci fornisce una base per le nostre descrizioni e la nostra stessa storia. Possiamo essere consapevoli di regioni o di frammenti della nostra era, ma solo una certa distanza da essa ci permetter di tentare una descrizione critica della sua totalit. Il pensiero critico pu risvegliare la consapevolezza sociale circa il potere dello sviluppo ha ancora nel presente. Potr anche aiutare a visualizzare alcuni possibili percorsi lungo i quali le comunit possono allontanarsi dallo sviluppo verso un dominio differente, ancora sconosciuto, nel quale il bisogno naturale di sviluppo sia finalmente sospeso e in cui si possano sperimentare modalit diverse di organizzare societ ed economia e di rapportarsi con la devastazione di quattro decadi di sviluppo. Il numero di studiosi del terzo mondo che sono daccordo con questa prescrizione in crescita. Invece che cercare sviluppi alternativi, questi parlano di alternative allo sviluppo e cio di un rifiuto dellintero paradigma. Ci che in gioco la trasformazione del regime politico, economico e istituzionale della produzione della verit che ha definito lera dello sviluppo. Se questo porti o meno a trasformazioni significative nel regime predominante, tutto da vedere. nei termini del discorso del movimento sociale che lo sviluppo e il suo ruolo fondativo nella costituzione del terzo mondo e dellordine

economico internazionale del dopoguerra pu essere messo alla prova. I movimenti sociali e la trasformazione dellordine dello sviluppo A lungo andare, saranno questi movimenti che determineranno in larga misura lo scopo e il carattere di ogni possibile trasformazione. Nonostante si sia disaccordo sulla natura e sulle dimensioni degli odierni movimenti sociali, chiaro alla maggior parte degli analisti che iniziato un cambiamento nella struttura dellazione collettiva, un nuovo spazio per la teoria e lazione sociale. Questioni sulla vita quotidiana, la democrazia, lo Stato, la pratica politica e la ridefinizione dello sviluppo possono essere portate avanti pi efficacemente nel contesto dei movimenti sociali. La maggior parte della recente letteratura d per scontato che unimportante trasformazione sociale abbia gi avuto luogo, forse, in senso generale, lavvento di una nuova fase. Il discorso sul movimento sociale identifica cos due ordini il vecchio e il nuovo caratterizzati da specifiche caratteristiche storiche. Riconoscere tuttavia le continuit che esistono fra i due periodi sia a livello di teorie politiche, dello sviluppo ed economiche, sia a quello delle pratiche popolari importante. Il declino dei vecchi modelli verosimilmente la conseguenza del fallimento dello Stato sviluppista nel produrre miglioramenti stabili e dei meccanismi politici, sia di sinistra che di destra, per affrontare questo fallimento. Inoltre, linsostenibilit dei vecchi modelli si riflette nellattuale crisi. Questa doppia crisi n i paradigmi e delle economie sta provocando una nuova situazione, una riconfigurazione sociale. Alloggi, lo studio pi completo lindagine su dieci paesi portata avanti dal Latin America Social Science Council (CLACSO) sotto la direzione Generale di Fernando Caldern (1986). Lo studio esamina le relazioni fra crisi, movimenti e democrazia e il possibile contributo dei movimenti a costruire nuovi ordini sociali, a favorire nuovi modelli di sviluppo e a promuovere lemergere di nuove utopie. In sintesi, lo studio si propone di cercare nei movimenti la prova di una nuova forma di mettere in relazione il politico e il sociale, il pubblico e il privato, in modo che le pratiche quotidiane possono essere incluse fianco a fianco con il politico- istituzionale. Le nuove forme di fare politica non comprendono una nuova concezione della politica, ma unespansione del campo politico a includere le pratiche quotidiane. Temi di ricerca su cui i movimenti sociali Sebbene i movimenti sociali siano solitamente pensati nei termini del loro legame con lo Stato, essi sono qualcosa che va altres ben oltre. In primo luogo, le relazioni di potere esistono al di fuori dello Stato, in una grande rete di altre relazioni (al livello del sapere, della famiglia e cos via). I movimenti sociali possono anche ostacolare il consolidamento di corpi extrasociali come lo Stato. Possono anche essere considerati nomadi. Una situazione simile si trova nel campo del sapere. La scienza dello Stato e la scienza nomade coesistono, sebbene la prima cerchi sempre di appropriarsi di questultima. Lascesa statale procede territorializzando, creando confini e gerarchie, producendo certezze, teoremi e identit. La conoscenza nomade (o popolare) ha una forma molto diversa di operare. Essa rimane pi vicina alla quotidianit, cercando non di ricavarne costanti ma di seguire la vita e i problemi secondo mutevoli variabili. Queste caratteristiche dei nuovi movimenti sociali una certa indipendenza dallo Stato e lesistenza di un ambito di conoscenza popolare sono assennate in gran parte della letteratura.

La politica dei bisogni La questione dei bisogni centrale nellanalisi dei movimenti sociali. I discorsi sui bisogni, per come vengono elaborati dagli esperti dello sviluppo, dalle universit e da tutti i tipi di professionisti, possono essere visti come discorsi che mediano le relazioni fra i movimenti sociali e lo Stato, traducendo i bisogni politicizzati, rivendicati dai movimenti di opposizione, in potenziali oggetti dellamministrazione statale. I movimenti sociali necessariamente operano entro il sistema dellinterpretazione e del soddisfacimento dei bisogni. Ma tendono effettivamente a politicizzare queste interpretazioni rifiutando di vedere i bisogni come meramente economici o domestici. Questo processo contribuisce al consolidamento di identit sociali alternative, specialmente se riescono a inventare nuove forme di discorso per interpretare i bisogni. Mentre i discorsi degli esperti ( come quelli degli agenti dello sviluppo) riposizionano i gruppi come casi per lo Stato e per lapparato dello sviluppo, depoliticizzano cos i bisogni, gli attori popolari sfidano le interpretazioni degli esperti. La sfida per i movimenti sociali di elaborare nuovi modi di parlare dei bisogni e di rivendicare il loro soddisfacimento in forme che scavalchino la razionalit dello sviluppo con il suo discorso sui bisogni di base. Conclusioni Possiamo postulare lesistenza di tre principali discorsi in America Latina in grado di articolare forme di lotta. Innanzitutto, c il discorso dellimmaginario democratico (compresa la realizzazione dei bisogni, la giustizia economica e sociale, i diritti umani, luguaglianza di classe, di genere, di etnia). Sebbene sia nato allinterno dei discorsi egualitari dellOccidente, non deve seguire necessariamente lesperienza dellOccidente. Secondariamente, c il discorso sulla differenza che include la differenza culturale, lalterit, lautonomia e il diritto di ciascuna societ allautodeterminazione. In terzo luogo, ci sono i discorsi anche di sviluppo veri e propri che originano dallattuale crisi dello sviluppo ed al lavoro dei gruppi di pace. Qui il potenziale per la ricerca di modi alternativi di organizzare le societ e le economie, di soddisfare i bisogni, di curare e di vivere.

La decrescita come condizione di una societ conviviale


La posizione pro- crescita largamente condivisa e vede nella crescita anche la soluzione dei problemi sociali, in quanto crea posti di lavoro e favorisce una ripartizione pi equa. Lannuncio trionfale sui giornali della ripresa americana e dei piani di rilancio europei, si basa sui grandi lavori (infrastrutture per i trasporti) che non possono che deteriorare la situazione ( in particolare climatica). Le sregolatezze climatiche accompagnano le guerre del petrolio che saranno seguite dalle guerre dellacqua, ma anche a pandemie e prevedibili catastrofi biogenetiche. Sembra che stiamo vivendo la sesta estinzione delle specie ma, a differenza delle precedenti, luomo ne il diretto responsabile e potrebbe anche essere la vittima. In queste condizioni la societ della crescita non sostenibile n auspicabile. dunque urgente pensare a una societ della decrescita. La societ della crescita non n sostenibile n auspicabile Per delimitare ci che una societ della decrescita potrebbe essere, conviene

iniziare col definire quello che la societ della crescita. La societ della crescita pu essere definita come una societ dominata da uneconomia di crescita e che tende ad esserne assorbita. La crescita per la crescita diventa quindi lobiettivo primario, se non lunico, della vita. Una tale societ non sostenibile, fin dora il pianeta non basta pi. Per conciliare i due imperativi contraddittori della crescita e del rispetto dellambiente e confutare la necessit della decrescita, gli esperti e gli industriali hanno messo a punto unargomentazione in quattro punti: 1. lecoefficienza 2. limmateriale 3. i progressi futuri della scienza 4. la sostituibilit dei fattori Con ecoefficienza, base dello sviluppo sostenibile, intendiamo la riduzione progressiva dellimpatto ecologico e lintensit del prelievo delle risorse naturali per arrivare a un livello compatibile con la riconosciuta capacit rigenerativa del pianeta. Certo, ed il secondo argomento, la nuova economia a base di servizi e di virtuale relativamente immateriale. Tuttavia, rimpiazza la vecchia meno di quanto non la completi. Inoltre, spesso pi avida in input materiali e immateriali di quanto sembri. Se i programmi incorporano soprattutto materia grigia, la sola fabbricazione di un computer consuma, per esempio, 1,8 t di materiali. Alla fine, tutti indici mostrano che i prelievi continuano ad aumentare. Il terzo argomento, quello della soluzione scientifica, promette il benessere materiale e spirituale universale, la pace mondiale, linterazione pacifica e reciprocamente vantaggiosa dagli umani e le macchine intelligenti, la completa scomparsa degli ostacoli a una comunicazione generalizzata ( in particolare quelli che risultano dalla diversit delle lingue), laccesso a fonti inesauribili di energia, la fine delle preoccupazioni legate al degrado ambientale. E tutto questo mettendo insieme la nanotecnologia, la biotecnologia, le tecnologie dellinformazione e le scienze cognitive. Avere una fede cieca nella scienza e nel futuro per risolvere i problemi del presente e non solo contrario al principio di precauzione ma anche al semplice buon senso. Infine, la sostituibilit illimitata della natura con lartificio. Entro certi limiti si pu benissimo pensare di sostituire luomo con la macchina ( ovvero il fattore lavoro con il fattore capitale), ma non i flussi di materie prime ( input) con un aumento delle riserve. Organizzare una societ della decrescita serena e conviviale Da pi di quarantanni vengono denunciate le malefatte dello sviluppo, soprattutto nel senso dellimpresa del Nord verso il sud. Questa critica sfociata nellalternativa storica, ovvero lauto organizzazione delle societ/ economie vernacolari. La crescita una necessit. In prima approssimazione, possiamo concepire una politica della decrescita che si pone lobiettivo di rovesciare la forbice tra la produzione del benessere e il PIL. Si tratta di sconnettere il miglioramento della situazione dei singoli dallaumento statistico della produzione materiale. La parola dordine della ricrescita ha per oggetto labbandono dellobiettivo insensato della crescita per la crescita, obiettivo il cui motore altro non che la ricerca sfrenata del profitto da parte di coloro che detengono il capitale. Chiaramente, la decrescita non la crescita negativa. Sappiamo che il semplice rallentamento della crescita fa sprofondare le nostre societ nella disperazione a causa della disoccupazione e dellabbandono dei

programmi sociali, culturali e ambientali che garantiscono un minimo di qualit della vita. La decrescita dunque pensabile solo in una societ della decrescita. Il progetto di costruzione di societ conviviali autonome ed econome implica, rigorosamente parlando, pi una a-crescita che una de-crescita. Daltra parte, si tratta precisamente dellabbandono di una fede e di una religione: quella delleconomia. Una politica di crescita potrebbe consistere inizialmente nel ridurre o sopprimere le esternalit negative della crescita, che vanno dagli incidenti stradali alle spese per i medicinali contro lo stress; la rimessa in discussione degli spostamenti di uomini e merci sul pianeta con il relativo impatto negativo sullambiente ( dunque una rilocalizzazione delleconomia); qua e l non meno importante della pubblicit chiassosa e spesso nefasta. Pensiamo al fatto che la spesa mondiale per la pubblicit, oltrepassata solo di poco da quella militare, rappresenta pi di 500 miliardi di dollari di inquinamento visivo, uditivo, materiale, ma soprattutto mentale. Per quanto riguarda i rifiuti con i quali la crescita minaccia puramente e semplicemente di sommergerci, urgente farli decrescere. Visti i costi e linquinamento residuale causati dalleliminazione e il riciclo, il problema diventa irrisolvibile se non cambiamo i parametri. Possiamo sintetizzare tutto ci in un programma di otto R, ovvero degli obiettivi interdipendenti che possono mettere in moto un circolo virtuoso di decrescita serena, conviviale e sostenibile. 1. Rivalutare significa rivedere i valori nei quali crediamo, sui quali organizziamo la nostra vita, e cambiare quelli necessari. Laltruismo dovrebbe prendere il posto dellegoismo, il piacere dello svago sullossessione per il lavoro, la cooperazione sulla competizione sfrenata, il locale sul globale Il problema che i valori attuali sono sistemici. Ci significa che sono suscitati e stimolati dal sistema e che, a loro volta, contribuiscono a rinforzarlo. Naturalmente la scelta di unetica personale diversa non da trascurare. Dovrebbe anzi essere incoraggiata nella misura in cui contribuisce a minare le basi immaginarie del sistema. Tuttavia senza una rimessa in discussione radicale di questultimo, la rivalutazione rischia di essere limitata. 2. Riconcettualizzare o ridimensionare significa modificare il contesto concettuale e/o emotivo di una situazione o il punto di vista dal quale vissuta. Si impone per esempio per i concetti di ricchezza e di povert. 3. Ristrutturare significa adattare la macchina della produzione e i rapporti sociali in funzione del cambio di valori. Questa ristrutturazione sar tanto pi radicale quanto pi il carattere sistemico dei valori sar smantellato. Questo pu implicare la riconversione delle fabbriche automobilistiche per fare apparecchi di recupero energetico 4. Rilocalizzare significa naturalmente produrre localmente i prodotti essenziali al fabbisogno della popolazione, partendo da imprese locali finanziate dai risparmi raccolti localmente. Ci comporta che ogni decisione economica che pu essere presa su scala locale deve essere presa localmente. Un tale principio si fonda sul buon senso e non sulla razionalit economica. 5. Ridistribuzione nel senso di ripartizione delle ricchezze e laccesso al patrimonio naturale tra il Nord e il sud come allinterno di ogni societ. 6. Ridurre vuol dire prima di tutto per ridurre lorario di lavoro. Con un po di tempo libero e la possibilit di espressioni multiple, luomo trover la sua

forma di espressione e la concretizzazione dei suoi desideri. 7. Riutilizzare invece di buttare gli apparecchi e i beni duso. 8. Riciclare i rifiuti incomprimibili della nostra attivit. Questa marcia verso una societ della ricrescita dovrebbe essere organizzata non solo per preservare lambiente ma anche, e forse soprattutto, per ripristinare un minimo di giustizia sociale senza la quale il pianeta destinato a esplodere.

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