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INTERNATIONALE GESELLSCHAFT HEGEL-MARX

fr dialektisches Denken

UNIVERSIT DI URBINO
FACOLT DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLUOMO

ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI

DIALETTICA, STORIA E CONFLITTO


appreso Il proprio tempo appreso nel pensiero

Festschrift in onore di Domenico Losurdo

VII Congresso Internazionale Urbino, Palazzo Albani, 18-20 novembre 2011

Atti a cura di Stefano G. Azzar, Paolo Ercolani, Emanuela Susca

La scuola di Pitagora editrice Piazza S. Maria degli Angeli, 1 Napoli (NA) 80132 www.scuoladipitagora.it info@scuoladipitagora.it ISBN 978-88-6542-056-0 Volume pubblicato con il contributo del Rettorato, della Facolt di Scienze della Formazione e del Dipartimento di Scienze dellUomo dellUniversit di Urbino, Prima edizione ottobre 2011

CARLOS NELSON COUTINHO LEPOCA NEOLIBERALE E LEGEMONIA DELLA PICCOLA POLITICA

1. Nellepoca del neoliberalismo, il modo in cui si manifesta legemonia nel senso gramsciano del termine quello della piccola politica. Ricordiamo inanzittutto quello che Gramsci intende con piccola politica:
Grande politica (alta politica) piccola politica (politica del giorno per giorno, politica parlamentare, di corridoio, dintrigo). La grande politica comprende le quistioni connesse con la fondazione di nuovi Stati, con la lotta per la distruzione, la difesa, la conservazione di determinate strutture organiche economico-sociali. La piccola politica le quistioni parziali e quotidiane che si pongono nellinterno di una struttura gi stabilita per le lotte di preminenza tra le diverse frazioni di una stessa classe politica. pertanto

grande politica il tentare di escludere la grande politica dallambito interno della vita statale e di ridurre tutto a piccola politica (QC, 1562-1563; corsivo mio)1.

proprio cos cio tramite lesclusione della grande politica che si presenta legemonia borghese nellepoca del neoliberalismo, o, pi precisamente, nellepoca del predominio incontrastato del capitale finanziario. Prima di proseguire, dobbiamo ricordare che sarebbe sbagliato

supporre che esista egemonia soltanto quando grandi progetti di societ sono apertamente in lotta tra loro. vero che stato cos durante un

lungo periodo in Europa, soprattutto quando, tra altre cose, partiti con diverse e perfino antagonistiche proposte di societ concorrevano tra di loro per legemonia (per esempio, conservatori e laburisti nel Regno Unito, o democristiani e comunisti in Italia). Ma, al contrario, non mai stata questa la situazione in molti paesi, in particolare negli Stati Uniti: l legemonia dei valori del capitalismo non stata mai posta in questione dai due grandi partiti nazionali e nemmeno dalle principali organizzazioni sindacali. Purtroppo, negli ultimi decenni, questa modalit statunitense di egemonia ha preso il sopravvento anche in
Il riferimento dei numeri tra parentesi nel testo, preceduti da QC, qui e in avanti, ad A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, edizione critica a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 1975.
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Europa e in molti paesi dellAmerica Latina. In effetti, che differenza sostanziale esiste oggi, per esempio, tra conservatori e laburisti in Inghilterra, tra la destra e il cosiddetto centrosinistra in Italia, o tra il governo Cardoso e il governo Lula in Brasile? In altre parole, un rapporto di egemonia non sempre si determina sulla base di quello che Gramsci ha chiamato ideologie organiche, quelle ideologie cio che esprimono in modo chiaro e sistematico la concezione del mondo delle classi sociali fondamentali. Una egemonia si stabilisce quando un insieme di credenze e di valori, indipendentemente dal fatto che si basino o meno su una ideologia organica, si radica nel senso comune, ossia in quella concezione del mondo che Gramsci ha definito bizzarra e eteroclita, spesso contraddittoria, ma che organizza e dirige molte volte senza che i suoi portatori ne abbiano piena conscienza il pensiero e lazione di grandi masse di donne e di uomini. Ebbene, non difficile costatare che sono predominanti nel senso comune odierno certi valori che assicurano la riproduzione del capitalismo, sebbene non sempre questo sia difeso in un modo esplicito. Mi riferisco in particolare allo esacerbato individualismo (che induce ognuno a mettere i suoi interessi privati al di sopra di qualsiasi interesse pubblico), al privatismo (ossia alla convinzione che lo Stato sempre un cattivo gestore e che dunque tutto deve essere lasciato al libero gioco del mercato) e, last but not least, alla reificazione degli attuali rapporti sociali (il capitalismo pu perfino avere i suoi lati cattivi, ma una cosa che corrisponde alla natura umana e dunque eterno) ecc. ecc. Bisogna ancora ribadire che egemonia consenso e non coercizione: esiste egemonia quando singoli individui e interi gruppi sociali aderiscono consensualmente a determinate idee e a determinati valori. Ma, come Gramsci osserva, c una differenza tra consenso attivo e consenso passivo (QC, 1769-1770). Legemonia della piccola politica richiede precisamente un consenso passivo. Questo tipo di consenso non si esprime per mezzo della partecipazione attiva e organizzata delle masse radunate in partiti e in altri organismi della societ civile, ma solo tramite laccettazione dellesistente come qualcosa di naturale. Per dirlo pi precisamente: tramite la trasformazione delle idee e dei valori delle classi dominanti nel senso comune delle grandi masse, perfino delle classi subalterne. Insomma, egemonia della piccola politica esiste quando diventa senso comune lidea che la politica non pi che una

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disputa di potere tra diverse lites, che non ha niente da vedere con le questioni concrete poste dalla vita quotidiana dei singoli. Da qui discende uno dei leitmotiv dellodierno senso comune, ossia lidea che tutti i politici sono uguali. In conseguenza, questo o quel politico votato per motivi che non hanno niente a che vedere con il contenuto delle loro proposte (le quali, nella stragrande maggioranza dei casi, non presentano nessuna divergenza essenziale con le altre proposte, o addirittura non hanno nessun contenuto programmatico nel senso vero e proprio del termine). Questa concezione della politica come disputa tra lites e non come azione di maggioranze non fa parte solo del senso comune: fu ed ancora teorizzata da alcuni importanti e pregiati esponenti della teoria politica del Novecento, come Mosca, Schumpeter, Sartori e tanti altri2. Schumpeter, per esempio, riduce la democrazia a un processo di selezione tra lites per mezzo di elezioni periodiche; ma, allo stesso tempo, afferma che il popolo non sa articolare interesse e ragione, in modo che queste elezioni non avrebbero come fondamento la disputa tra differenti proposte di societ, ma sarebbero basate su scelte in ultima analisi irrazionali 3. Egualmente contribuiscono alla diffusione di questa egemonia della piccola politica tutti coloro i quali affermano che la nostra epoca lepoca della fine delle ideologie, dal che discende la conclusione che non esiste pi differenza tra destra e sinistra. La versione pi ricercata di questa posizione insostenibile quella difesa oggi dal cosiddetto post-modernismo: per i molti autori di questa corrente, lepoca delle grandi narrazioni finita e, al posto di un punto di vista totalizzante e universale, dobbiamo curarci delle differenze, delle identit, del multiculturalismo ecc. Questa frantumazione dei movimenti sociali in varie lotte settoriali che, quando slegate dal loro rapporto con una prospettiva universale, non mettono in questione la dominazione del capitale e, in conseguenza, possono essere da esso assimilate porta un importante contributo al trionfo della piccola politica.
Cf. C.N. COUTINHO, Democracia: um conceito em disputa, in Id., Intervenes. O marxismo na batalha das idias, So Paulo, Cortez, 2006, pp. 13-27. 3 Joseph A. SCHUMPETER, Capitalismo socialismo democrazia, Milano, Etas Libri, 1977. Sullo svuotamento teorico e pratico della democrazia nel liberalismo, cfr. leccellente libro di Domenico LOSURDO, Democrazia o bonapartismo. Trionfo e decadenza del suffragio universale, Bollati Boringhieri, Torino 1993.
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Insomma: esiste egemonia della piccola politica quando la politica non pi pensata come il campo della lotta tra differenti proposte di societ (tra differenti ideologie organiche), ma viene invece considerata come semplice amministrazione dellesistente dalle lites, come qualcosa che non ha niente a che vedere con la vita quotidiana dei singoli. Lapatia diventa cos un fenomeno di massa, sempre di pi crescente, come dimostrano, tra altre cose, lastensionismo elettorale e la diminuzione del numero degli scioperi, fenomeni che si registrano ovunque, sebbene in proporzioni diverse. E non casuale che questa apatia venga presentata come un fattore positivo per la conservazione della democrazia dagli ideologi che, facendo finta di essere scienziati politici, condannano leccesso di domanda come causa di squilibri fiscali e, dunque, di riduzione della crescita economica, di inflazione e di instabilit sociale. Ma dobbiamo ricordare che, per Gramsci, espressione di grande politica ridurre tutto a piccola politica. tramite questa riduzione, che cerca di svalutare la politica come tale, che si afferma oggi la quasi indisturbata egemonia delle classi dominanti. In situazioni dette normali, quando cio debole la sfida delle classi subalterne alla sua dominazione, la borghesia pu imporre questa dominazione senza luso aperto della coercizione: pu assicurare la sua supremazia per mezzo di questo consenso passivo, che si manifesta tra laltro in elezioni (con tassi di astensione sempre pi alte) nelle quali niente di sostanziale posto in discussione. 2. Per individuare meglio la situazione dei rapporti di egemonia nel mondo di oggi, occorre sia pure in un modo sommario presentare alcuni tratti che mi sembrano caratteristici della nostra epoca, della cosiddetta epoca neoliberale. Una caratterizzazione sistematica di questa epoca quella cio della globalizzazione o mondializzazione del capitale, contrassegnata dal predominio di politiche neoliberiste un compito ancora non portato a termine da parte dei marxisti. Per adempierlo, occorre unampia analisi di natura teorica ed empirica, che porti fino al nostro tempo, aggiornandole e se il caso revisionandole, le categorie della critica delleconomia politica iniziata da Marx e proseguita da molti dei suoi pi importanti seguaci. Una tale analisi certamente ha gi cominciato a

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dare i suoi primi frutti, ma a mio avviso essi sono ancora insufficienti per fornire una visione marxista globale mi sia permesso il gioco di parole della globalizzazione. scontato che non ho lintenzione di fare, n qui n altrove, nemmeno un breve abbozzo di questa analisi; n ho la pretesa di presentare un resoconto della gi estesa letteratura marxista su questo argomento. Credo per che pu contribuire a questa opera ancora in fieri una discussione, daltronde gi in corso nella letteratura gramsciana, sulla possibilit di capire tratti essenziali della contemporaneit alla luce del concetto gramsciano di rivoluzione passiva. Anticipo la mia conclusione, certamente provvisoria e dunque soggetta a correzioni: sono scettico nei riguardi di questa possibilit. Penso che, piuttosto che parlare di rivoluzione passiva, sarebbe utile tentare di individuare molti fenomeni dellera neoliberale tramite il concetto di controriforma, che come vedremo anche fa parte, sebbene solo marginalmente, dellarmamentario categoriale di Gramsci. Inanzittuto, ricordiamo brevemente i tratti principali del concetto gramsciano di rivoluzione passiva, un termine che Gramsci raccoglie dallo storico napoletano Vincenzo Cuoco, ma attribuendogli un nuovo contenuto, del tutto proprio. Si tratta di uno strumento-chiave di cui il Nostro si serve per analizzare innanzitutto le vicende del Risorgimento, ossia della formazione dello Stato borghese moderno in Italia. Ma non solo: il concetto anche utilizzato da Gramsci come criterio di interpretazione di complessi fatti sociali e addirittura di intere epoche storiche, anche molto diverse fra loro, come ad esempio la Restaurazione, il fascismo e lamericanismo. Questa possibilit di generalizzazione stata fatta propria ulteriormente da autori che si sono ispirati alle riflessioni gramsciane. Ricordo qui solo pochi esempi. Christine Buci-Glucksmann e Gran Therborn hanno svolto unanalisi dellazione della socialdemocrazia europea e della costruzione del Welfare State prendendo le mosse dal concetto di rivoluzione passiva4. Dora Kanoussi, dopo averlo fatto diventare forse il concetto centrale della riflessione gramsciana, sostiene perfino che sia possibile comprendere tutta la modernit come

C. BUCI-GLUCKSMANN, G. THERBORN, Le dfi social-dmocrate, Paris, Maspero, 1981, pp. 138 sgg., 186 sgg, ecc.
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rivoluzione passiva5. E, pi recentemente, Giuseppe Chiarante se ne valso per definire la democrazia post-fascista in Italia come un caso particolare di rivoluzione passiva6. Senza discutere qui la giustezza o no di questi (e di altri) usi del concetto, dobbiamo ammettere che essi sono metodologicamente resi possibili proprio da Gramsci, poich egli stesso stato il primo a estendere la nozione di rivoluzione passiva a intere e diverse fasi storiche. Ma quali sono, secondo Gramsci, i tratti principali di una rivoluzione passiva? Al contrario di una rivoluzione popolare, giacobina, realizzata cio a partire dal basso e che perci rompe radicalmente con il vecchio ordine politico e sociale, una rivoluzione passiva comporta sempre la presenza di due momenti: quello della restaurazione (si tratta sempre di una reazione conservatrice alla possibilit di una trasformazione effettiva e radicale proveniente dal basso) e quello del rinnovamento (per cui alcune delle domande popolari sono soddisfatte dallalto, dai ceti dominanti). In questo senso, parlando dellItalia ma esprimendo caratteristiche universali della rivoluzione passiva, Gramsci afferma che una rivoluzione di questo tipo esprime
[...] il fatto storico dellassenza di una iniziativa popolare unitaria nello svolgimento della storia italiana e laltro fatto che lo svolgimento si verificato come reazione delle classi dominanti al sovversivismo sporadico, elementare, disorganico delle masse popolari con restaurazioni che hanno accolto una qualche parte delle esigenze

dal basso, quindi restaurazioni progressive o rivoluzioni-restaurazioni o anche rivoluzioni passive (QC 1324-1325; corsivo mio).

Laspetto restauratore, pertanto, non annulla il fatto che avvengono anche modificazioni effettive. La rivoluzione passiva non dunque sinonimo di controrivoluzione e nemmeno di controriforma; in effetti,

D. KANOUSSI e Javier MENA, La revolucin pasiva. Una lectura de los Cuadernos de la crcel, Puebla, Universidad Autnoma de Puebla, 1985; Dora KANOUSSI, Una introduccin a los Cuadernos de la crcel de Antonio Gramsci, Messico-Puebla, BUAPPlaza y Valdez, 2000, p. 141. 6 G. CHIARANTE, Da Togliatti a DAlema, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 38 e ss. Da parte mia, ho cercato di mostrare che lapplicazione del concetto si rivela di grande utilit per determinare alcune delle caratteristiche fondamentali della formazione storico-politica brasiliana: cfr. C.N. COUTINHO, Le categorie di Gramsci e la realt brasiliana, in Critica marxista, anno 23, n 5, 1985, pp. 38-43.
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in una rivoluzione passiva, siamo davanti proprio a un riformismo dallalto7. In un altro passaggio, Gramsci dice:
Si pu applicare al concetto di rivoluzione passiva (e si pu documentare nel Risorgimento italiano) il criterio interpretativo delle modificazioni molecolari che in realt modificano progressivamente la composizione precedente delle forze e quindi diventano matrici di nuove modificazioni (QC 1767).

Pi tardi, soprattutto nella sua polemica con il Croce della Storia dEuropa nel secolo XIX, Gramsci allarga il suo concetto e afferma che il Risorgimento si inserisce in una rivoluzione passiva pi ampia, di portata europea, che contrassegna tutta unepoca storica, iniziata con la Restaurazione post-napoleonica. In questepoca, le nuove classi dominanti, formatesi ora in seguito al compromesso tra la borghesia e i vecchi ceti di grandi proprietari terrieri, reagiscono contro le conseguenze pi radicali della Rivoluzione francese, ma allo stesso tempo introducono dallalto sebbene contro le masse popolari molte delle conquiste di questa rivoluzione8. Si tratta dellepoca in cui il liberalismo si consolida e si espande, ma in aperta opposizione alla democrazia. Gramsci non esita a dire che il liberalismo antidemocratico di Croce non pi che unideologia che cerca di giustificare e legittimare la rivoluzione passiva. Unaltra epoca di rivoluzione passiva, sempre secondo Gramsci, sarebbe quella in cui la borghesia reagisce contro la Rivoluzione dOttobre, cercando, per neutralizzarla, di adottare alcune delle sue conquiste, come, ad esempio, elementi di economia programmatica. Questa nuova epoca si manifesterebbe in due dei principali fenomeni del primo dopoguerra, ossia il fascismo e lamericanismo. Sul fascismo, considerato come un miscuglio di modificazioni e conservazione, Gramsci chiaro:
Si avrebbe una rivoluzione passiva nel fatto che per lintervento legislativo dello Stato e attraverso lorganizzazione corporativa, nella struttura economica del paese verrebbero introdotte modificazioni pi o meno profonde per accentuare lelemento piano di produzione, verrebbe accentuata cio la socializzazione e cooperazione della produzione senza per ci toccare (o limitandosi solo a regolare e controllare) lappropriazione individuale e di gruppo del profitto (QC 1228; corsivi miei). BUCI-GLUCKSMANN e THERBORN, op. cit., pp. 138 sgg., parlano del Welfare come riformismo di Stato. 8 Cfr., per esempio, QC 1226-1229.
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Nei riguardi dellamericanismo, Gramsci pi cauto:


Si pu dire genericamente che lamericanismo e il fordismo risultano dalla necessit immanente di giungere allorganizzazione di uneconomia programmatica [...]. Quistione se lamericanismo possa costituire unepoca storica, se cio possa determinare uno svolgimento graduale del tipo [...] delle rivoluzioni passive [...] o se invece rappresenti solo laccumularsi molecolare di elementi destinati a produrre unesplosione, cio un rivolgimento di tipo francese (Q 2139-40).

Nel caso dellamericanismo, dunque, Gramsci parla di rivoluzione passiva, ma esprime un dubbio; mi sembra per che lo svolgimento ulteriore della sua argomentazione vada nel senso di concepire lamericanismo proprio come una epoca storica di rivoluzione passiva. Unepoca, del resto, che come hanno dimostrato in modo persuasivo Buci-Glucksmann e Therborn si realizza ancora pi pienamente nel Welfare State, dove si espandono caratteristiche che Gramsci aveva gi individuato nel primo americanismo, ossia la crescita del consumo di massa e lintervento dello Stato nelleconomia (QC 2171 sgg.). Possiamo riassumere cos alcune delle principali caratteristiche di una rivoluzione passiva: 1) le classi dominanti reagiscono a pressioni che vengono dalle classi subalterne, al suo sovversismo esporadico e elementare, ossia non ancora sufficientemente organizzato per promuovere una rivoluzione giacobina, dal basso, ma gi capace di imporre un nuovo atteggiamento alle classi dominanti; 2) questa reazione, sebbene abbia come principale scopo la conservazione dei fondamenti del vecchio ordine, implica per laccoglienza di una qualche parte delle rivendicazioni che vengono dal basso; 3) accanto alla conservazione del dominio delle vecchie classi, si introducono cos modificazioni che aprono la via per nuove modificazioni. Siamo dunque davanti a una complessa dialettica di rivoluzione e restaurazione. 3. Al contrario di rivoluzione passiva, Gramsci impiega molto poco nei Quaderni il termine controriforma. Altres, nella stragrande maggioranza dei casi, il termine si riferisce direttamente al movimento tramite il quale la Chiesa cattolica reag contro la Riforma protestante nel Concilio di Trento e ad alcune delle conseguenze politiche e culturali di questa reazione. Ma si pu anche registrare che Gramsci

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non soltanto estende il termine ad altri contesti storici, ma cerca anche di dedurne alcuni tratti che ci permettono, sebbene solo aprossimativamente, di parlare di creazione da parte sua di un concetto. Sulla possibilit di estendere storicamente il termine, si pu vedere che Gramsci, in un paragrafo dove parla di Umanesimo, si riferisce a una controriforma anticipata. Resta cos chiaro che, per lui, pu darsi una controriforma anche davanti a fenomeni storici altri che non la Riforma protestante (nel caso, let comunale):
Cos non gli piace [a Arezio] che il Toffanin ponga tutto lUmanesimo come fedele al cristianesimo, sebbene riconosca che anche gli scettici facevano ostentazione di religiosit. La verit che si tratt del primo fenomeno clericale nel senso moderno,

una Controriforma in anticipo (daltronde era Controriforma in rapporto allet comunale). Essi si opponevano alla rottura delluniversalismo medioevale e feudale che era implicito nel Comune e che fu soffocata in fasce, ecc. (QC 907; corsivo mio).

In un altro paragrafo, individuando le utopie come reazioni moderne e popolari alla Controriforma, Gramsci presenta una delle sue caratteristiche come propria di tutte le restaurazioni:
La Controriforma [...], del resto, come tutte le restaurazioni, non fu un blocco omogeneo, ma una combinazione sostanziale, se non formale, tra il vecchio e il nuovo (QC 2292; corsivo mio).

Mi sembra importante sottolineare che qui Gramsci caratterizza la controriforma come una restaurazione vera e propria, e non, come fa invece nel caso della rivoluzione passiva, come una rivoluzionerestaurazione. Malgrado ci, egli ammette che, addirittura, in questo caso, abbia luogo una combinazione tra il vecchio e il nuovo. Possiamo supporre cos che la differenza essenziale tra una rivoluzione passiva e una controriforma sta nel fatto che, mentre nella prima ci sono s restaurazioni, le quali per hanno accolto una qualche parte delle esigenze dal basso, nella seconda preponderante non il momento del nuovo, ma proprio quello del vecchio. Si tratta di una differenza forse sottile, ma che ha un significato storico non trascurabile. Unaltra importante osservazione di Gramsci si riferisce al fatto che la controriforma non si definisce come tale, ma cos come il neoliberismo odierno cerca di presentarsi anchessa come una riforma. Dice Gramsci:

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sostengono che si sia trattato di una Riforma cattolica autonoma, positiva, che si sarebbe verificata in ogni caso. La ricerca della storia di questi termini ha un significato culturale non trascurabile (QC 2306-2307).

I cattolici (e specialmente i gesuiti che sono pi accurati e conseguenti anche nella terminologia) non vogliono ammettere che il Concilio di Trento abbia solamente reagito al luteranesimo e a tutto il complesso delle tendenze protestantiche, ma

Una volta tratteggiate le principali determinazioni che le due nozioni assumono in Gramsci, possiamo ritornare alla questione posta prima: lepoca neoliberale, iniziata negli ultimi decenni del Novecento, pi vicina a una rivoluzione passiva o a una controriforma? La domanda evidentemente non ha nessun senso per lideologia neoliberale. Nemmeno i suoi primi difensori dottrinari duri e puri, ma che avevano almeno il merito della sincerit si dicevano conservatori9. Oggi, gli ideologi del neoliberalismo amano presentarsi come difensori di una pretesa terza via tra il liberalismo puro e la socialdemocrazia statalista, ossia come un movimento essenzialmente legato alle esigenze della modernit (o, pi precisamente, della cosiddetta post-modernit) e dunque del progresso10. Lideologia neoliberale oggi dominante fa cos della riforma (o addirittura della rivoluzione, giacch alcuni parlano perfino di una rivoluzione liberale) la sua principale bandiera. La parola riforma stata sempre organicamente legata alle lotte dei subalterni per trasformare la societ e, di conseguenza, ha assunto nel linguaggio politico una connotazione chiaramente progressista e perfino di sinistra. Il neoliberalismo cerca cos di utilizzare a suo favore laura di simpatia che coinvolge lidea di riforma. per ci che le misure da esso proposte e attuate sono mistificatoriamente presentate come riforme, cio come qualcosa di progressista nei riguardi di uno statalismo che, sia nella sua versione comunista sia in quella
Mi riferisco soprattutto a Friedrich VON HAYEK (cfr., per esempio, Id., Perch non sono un conservatore, Roma, Ideazione, 1997). Il moralista francese La
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Rochefoucauld, che visse nel Settecento, afferm che lipocrisia lomaggio che il vizio fa alla virt. Rispetto ai teorici della terza via, Hayek non era ipocrita: non ha mai nascosto che il suo nemico principale, forse ancora pi che il comunismo, era la socialdemocrazia riformista che lottava per il Welfare State. Hayek non si considerava un riformista, ma addirittura un restauratore del vecchio ordine, di un preteso mercato del tutto libero. 10 Cfr., tra tanti altri, Anthony GIDDENS, Oltre la destra e la sinistra, Bologna, Il Mulino, 1997.

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socialdemocratica, sarebbe ormai inesorabilmente condannato alla pattumiera della storia. Siamo cos davanti a un cambiamento di significato della parola riforma: ci che prima dellondata neoliberale voleva dire allargamento dei diritti, protezione sociale, controllo e limitazione del mercato, ecc. adesso significa tagli, restrizioni, soppressione di questi diritti e di questo controllo. Siamo davanti a una operazione di mistificazione ideologica purtroppo in gran misura riuscita. 4. Abbiamo visto che la nozione di rivoluzione passiva pu essere legata (come hanno fatto Buci-Glucksmann e Therborn, sulle orme di Gramsci) allidea di riforma, o addirittura di riformismo, sebbene si tratti di un riformismo in ultima analisi conservatore e dallalto. Un processo vero e proprio di rivoluzione passiva ha luogo quando le classi dominanti, pressate dal basso, accolgono per continuare a dominare e perfino per ottenere un consenso passivo da parte dei subalterni una qualche parte delle esigenze dal basso, come diceva Gramsci. Fu proprio quello che accadde allepoca del Welfare State e dei governi della vecchia socialdemocrazia. In effetti, il momento della restaurazione ha avuto un ruolo decisivo nel Welfare: tramite le politiche interventiste suggerite da Keynes e laccoglimento di molte richieste delle classi lavoratrici, il capitalismo riuscito a superare (almeno per un certo tempo) la profonda crisi che lo aveva coinvolto tra le due guerre mondiali. Ma questa restaurazione si articolata con momenti di rivoluzione, o almeno di riformismo, ci che si manifestato non solo nella conquista di importanti diritti sociali da parte dei lavoratori, ma anche nelladozione da parte dei governi capitalistici di elementi di economia programmatica, che fino a quel momento era difesa solo dai socialisti e comunisti. certo che le vecchie classi dominanti continuarono a dominare, ma i subalterni furono capaci di conquistare significative vittorie delleconomia politica del lavoro sulleconomia politica del capitale11. Va ricordato che il Welfare sorse in un momento in cui la classe lavoratrice, tramite le sue organizzazioni (sindacali, politiche), aveva una
Lespressione di Marx, nel Manifesto di fondazione dellAssociazione Internazionale dei Lavoratori, del 1864, riferendosi alla limitazione legale della durata della giornata di lavoro e al cooperativismo.
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forte incidenza sulla composizione dei rapporti di forza. N va dimenticato che la rivoluzione passiva welfariana anche una risposta alla grande sfida al capitale rappresentata dalla Rivoluzione dOttobre e dallUnione Sovietica, che emergeva dalla Seconda Guerra con un enorme prestigio presso le masse lavoratrici di tutto il mondo. Ebbene, non credo che si possa scorgere in quello che (un po sbrigativamente) ho chiamato epoca neoliberale questa dialettica di restaurazione-rivoluzione che contrassegna, sempre secondo Gramsci, le rivoluzioni passive. Nella congiuntura in cui siamo coinvolti, le classi lavoratrici per molte ragioni, tra le quali la cosiddetta ristrutturazione produttiva, che ha messo fine al fordismo e dunque alle forme corrispondenti di organizzazione degli operai sono state costrette a passare sulla difensiva: le loro espressioni sindacali e politiche hanno cos subito un arretramento indiscutibile nei rapporti di forza rispetto al capitale. Altres, con il crollo del cosiddetto socialismo reale, diminuita di molto la forza dattrazione delle idee socialiste, che unabile propaganda ideologica ha identificato con il modello statolatrico vigente nei paesi dellEuropa dellEst. La lotta di classe, che certamente continua a esistere, non pi condotta in nome della conquista di nuovi diritti, ma della difesa di quelli acquisiti nel passato. Non abbiamo cos, nellepoca in cui stiamo vivendo, quellaccoglimento di una qualche parte delle esigenze dal basso a cui si riferiva Gramsci quale caratteristica delle rivoluzioni passive. Nellepoca neoliberale, non c spazio per un ampliamento dei diritti sociali, bench limitati, ma siamo davanti a un aperto tentativo purtroppo grandemente riuscito di eliminare questi diritti, di decostruire e negare le riforme gi conquistate dalle classi subalterne durante lera della rivoluzione passiva iniziata con lamericanismo e portata a termine nel Welfare. Le cosiddette riforme della previdenza sociale, delle leggi di protezione al lavoro, la privatizzazione delle imprese pubbliche, ecc. riforme che sono oggi presenti nellagenda politica tanto dei paesi capitalistici centrali che di quelli periferici (oggi ribattezzati elegantemente emergenti) hanno come scopo la pura e semplice restaurazione delle condizioni proprie di un capitalismo selvaggio, dove debbono rafforzare senza freni le leggi del mercato. Siamo davanti a un tentativo di soppressione radicale di quello che, come abbiamo visto, Marx ha chiamato vittorie della economia politica del lavoro e di conseguenza di restaurazione piena delleconomia

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politica del capitale. per questo che mi sembra pi idonea, per una descrizione generica dellepoca contemporanea, la nozione di controriforma. (Del resto, almeno nei paesi occidentali, non si tratta a mio avviso di una controrivoluzione: il bersaglio delloffensiva neoliberale non sono i risultati di una rivoluzione vera e propria, ma il riformismo che discende dal Welfare State.) senzaltro vero che lepoca neoliberale non distrugge integralmente alcune conquiste dellepoca del Welfare, la qual cosa dovuta soprattutto alla resistenza dei subalterni. Daltra parte, nei circoli neoliberali pi legati alla cosiddetta terza via (e persino in organismi finanziari internazionali come la Banca mondiale), sorta negli ultimi tempi una preoccupazione rispetto alle conseguenze pi disastrose delle politiche che si continuano ad attuare, come, per esempio, laumento esponenziale della povert. Ma questa pretesa preoccupazione, che ha portato alladozione di politiche sociali palliative in alcuni paesi del Terzo Mondo (tra i quali il Brasile), non annulla il fatto che siamo davanti a una controriforma vera e propria. Ricordiamo che Gramsci ci avverte del fatto che le restaurazioni [non sono] un blocco omogeneo, ma una combinazione sostanziale, se non formale, tra il vecchio e il nuovo (QC 2292; corsivo mio)12. Ci che contrassegna un processo di controriforma non cos la completa assenza del nuovo, ma lenorme preponderanza della conservazione (addirittura della restaurazione) sugli eventuali cambiamenti. Come si sa, Gramsci richiam lattenzione su una importante conseguenza della rivoluzione passiva: la pratica del trasformismo come modalit di sviluppo storico, un processo che, tramite la cooptazione delle leadership politiche e culturali delle classi subalterne, cerca di escluderle da qualsiasi effettivo protagonismo storico. Malgrado si presenti (nelle parole di Gramsci) come una dittatura senza egemonia (QC 1824), lo Stato protagonista di una rivoluzione passiva non pu prescindere da un minimo di consenso. proprio Gramsci a indicare il modo per cui si ottiene questo consenso minimo, passivo, nel caso di processi di transizioni dallalto, ugualmente passivi. Egli si riferisce solo allItalia, ma avanza osservazioni valide anche per altri paesi e altre epoche:
Il rispettivo Testo A dice quasi la stessa cosa: La Controriforma, come tutte le Restaurazioni, non pot non essere che un compromesso e una combinazione sostanziale, se non formale, tra il vecchio e il nuovo, ecc. (QC 348).
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Il trasformismo come una delle forme storiche di ci che stato gi notato sulla rivoluzione-restaurazione o rivoluzione passiva [...]. Due periodi di trasformismo: 1) dal 60 al 900, trasformismo molecolare, cio le singole personalit politiche elaborate dai partiti democratici dopposizione si incorporano singolarmente alla classe politica conservatrice-moderata (caratterizzata dallavversione a ogni intervento delle masse popolari nella vita statale, a ogni riforma organica che sostituisse unegemonia al crudo dominio dittatoriale); 2) dal 1900 in poi trasformismo di interi gruppi di estrema che passano al campo moderato (QC 962).

Una delle ragioni che sembrano giustificare luso del concetto di rivoluzione passiva per caratterizzare lepoca del neoliberalismo proprio la generalizzazione del fenomeno del trasformismo, sia nei paesi centrali che in quelli periferici, un fenomeno che Gramsci rapporta direttamente alla emergenza di una rivoluzione passiva. Sebbene non mi proponga qui di discutere pi distesamente la questione (che merita per unattenzione speciale), credo che il trasformismo come fenomeno politico non sia esclusivo dei processi di rivoluzione passiva, ma possa anche essere legato a processi di controriforma. Altrimenti sarebbe difficile capire i meccanismi che hanno contrassegnato lazione di socialdemocratici e di ex-comunisti nel sostegno di governi controriformisti in molti paesi europei, ma anche fenomeni come i governi Cardoso e Lula in un paese della periferia capitalistica come il Brasile. Del resto, la nostra anteriore discussione sui tratti delle odierne forme di egemonia fornisce un argomento in pi in favore della caratterizzazione della nostra epoca non come una nuova rivoluzione passiva, ma come una manifestazione di controriforma. Secondo Gramsci, come abbiamo visto, le rivoluzioni passive rispondono a grandi sfide storiche. In effetti, lepoca di rivoluzione passiva iniziata con la Restaurazione, nellEuropa dellOttocento, vista da Gramsci come una risposta dallalto alle esigenze poste dalla Rivoluzione francese: molte delle conquiste di questa Rivoluzione sono state raccolte, ma allo stesso tempo sminuite, in un processo che ha segnalato il passaggio dalla democrazia radicale al liberalismo moderato. Qualcosa di simile accadde con lamericanismo (e la sua espansione nel Welfare State): la concessione di diritti sociali, ladozione keynesiana di elementi di economia programmatica ecc., sono tentativi di rispondere alla sfida anticapitalistica rappresentata dalla Rivoluzione di Ottobre e dallUnione Sovietica.

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Cos, nei due casi ossia, tanto nella Restaurazione ottocentesca quanto nellamericanismo-welfarismo erano in gioco, in ultima analisi, questioni di grande politica: nel primo caso, lalternativa tra la democrazia plebea dei giacobini (che gi puntava verso il socialismo, ancorch utopico) e il liberalismo moderato della borghesia; e, nel secondo, lopposizione tra capitalismo e socialismo. Loffensiva neoliberale non ha invece come retroterra nessuna questione di grande politica: nella disputa tra repubblicani e democratici negli Stati Uniti, tra laburisti e conservatori nel Regno Unito, tra destra e centrosinistra in Italia ecc., non in gioco nessuna alternativa tra differenti modelli di societ. Abbiamo qui, dunque, un argomento in pi in favore della mia ipotesi che siamo davanti non a una rivoluzione passiva, ma a una controriforma: mentre nella prima sono in gioco in ultima analisi questioni di grande politica, nella seconda gli eventuali contrasti non vanno oltre i limiti della piccola politica. La riduzione della politica alla piccola politica cos il modo per cui la borghesia afferma oggi la sua egemonia.

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