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ISBN 978-88-6332-142-5

Enrico Sgarella

NESSUNO PUO SALVARE


Blanche DUBOIS

Edizioni Miele

Percorsi dAutore Narrativa

C' molta pi saggezza in un film hollywoodiano che in tanta riflessione teorica L.Wittgenstein

PROLOGO Una volta, in un viaggio al centro stesso dellAfrica, stavamo attraversando un paese la cui popolazione per la stragrande maggioranza era di fede musulmana. Lautista della nostra automobile era una brava persona, onesta ed affidabile, quella sera mentre stavamo cenando ci raccont un episodio della sua infanzia. Il padre, disse, era lIman di un villaggio che avevamo attraversato proprio quel giorno lungo la strada che stavamo percorrendo; la sua posizione sociale e religiosa lo obbligava ad offrire ospitalit a chiunque si presentasse alla sua porta, per tale motivo la loro casa era sempre piena di ospiti, lontani parenti e sconosciuti pellegrini. A volte il cibo scarseggiava e bisognava darsi da fare per non rimanere a stomaco vuoto, vincendo la concorrenza degli altri bambini che razzolavano per casa, bisognava esser veloci ad agguantare il pezzo di carne di montone che galleggiava nella minestra. Mentre raccontava muoveva le mani che aveva lunghe e belle in un modo naturalmente elegante ed aveva un buffo vezzo infantile nonostante avesse quasi quarantanni di usarle per coprirsi interamente il volto quando la materia del racconto poteva risultare in un qualche modo imbarazzante. Lui era il decimo di non sapeva neanche quanti figli; il padre si era sposato quattro volte. Come tutti gli altri bambini era stato indirizzato quasi ancor prima davere let della ragione allo studio del Corano. Ore ed ore a ripetere a memoria i versetti dondolando avanti e indietro mentre cantilenava le sure. Una volta sola, era ancora bambino, cos piccolo, aveva osato chiedere il
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perch di quel ripetere ossessivo delle frasi sempre uguali, ormai le conosceva, no? Il padre non aveva risposto; furente aveva cominciato a colpirlo con un bastone che aveva per le mani, cos forte che avevano dovuto portarlo allospedale e il dottore che laveva visitato aveva detto disgraziato avresti potuto ucciderlo non ti denuncio solo perch sei il padre. Lui solo quando era gi adulto ed aveva cominciato a lavorare in unautofficina prima come meccanico e poi come autista e si era reso economicamente indipendente aveva trovato il coraggio di andare dal padre e di dirgli guarda ti voglio bene ma da oggi esco da questa casa e vado a vivere per conto mio... Ti voglio bene? pensai. Dopo che ti ha massacrato? Per aver chiesto perch?. Ci sono domande pericolose. Se hai paura delle possibili risposte meglio che non te le poni, quelle domande. Ci sono domande che smetti di farti. Domande che non hanno risposta. Almeno per adesso. Forse un giorno ... Domande che ti complicano la vita. Perch? la pi pericolosa di tutte. Ti alzi, vai al lavoro, ti nutri pi o meno con regolarit e reciti il ruolo che ti stato assegnato in societ. Giochi il gioco. Poi ti sposi, invecchi e muori. Non che uno ogni mattina si alza, va in bagno, si guarda allo specchio e si domanda perch fa tutte queste cose, no? Non lo fa neanche una volta ogni tanto. Raramente, forse. Qualcuno non lo ha mai fatto e non lo far mai. morto tal dei tali. Bene, meglio a lui che a me. Tiriamo avanti. Tiremm innanz. Sopravviviamo.
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questo che vuoi dirmi? Che una colpa tentare di sopravvivere? Non ci sono le Religioni, le Dottrine, i vari -ismi a pensare a tutto questo, a volerci dare una spiegazione, una volta per tutte? E non stare pi a pensarci sopra... per favore non perdiamo troppo tempo che c da fare. questo alla fine che prevale? Il fare senza pi pensare.... senza domandarsi perch lo si fa? Ci sono domande che anchio ad un certo punto ho smesso di farmi. Perch erano faticose, dolorose o forse semplicemente fastidiose. No non puoi mica alzarti ogni mattina andare in bagno guardarti allo specchio con gli occhi cisposi, annebbiati ed esordire in quel nuovo giorno chiedendoti subito quale sia il senso delle cose che andrai a fare. Il senso della vita? Senza neanche un caff prima, vuoi scherzare!? Come dicevi tu? La vita una partita in cui altri hanno dettato le regole. Puoi solo scegliere se giocare o non giocare ma se decidi di farlo allora gioca al meglio che puoi, non te ne stare seduto in panchina a far la riserva!. Hai ragione Giuseppe, avevo smesso di farmele quelle domande. Nonostante le promesse che ci eravamo fatti i giuramenti che ci eravamo scambiati, di non lasciarsi mai catturare dal quotidiano, dal banale, avevo smesso di farmele quelle domande. Mi sono lasciato andare. Mi sono lasciato vivere, mi sono limitato a giocare il gioco senza pi passione... Adesso che tutto finito come vedi le domande sono tornate ad imporsi, a reclamare il loro ruolo. Lo spettacolo stato drammatico come si conviene al tuo personaggio. Uninterpretazione unica, insuperabile. Titolo della piece: La mia uscita di scena. Unico spettatore: io.
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Ho provato per un attimo a sentirmi colpevole. Potevo prevedere. Potevo prevenire. Gi, come se le nostre povere parole, il nostro misero intervento, avessero davvero questo potere di cambiare le cose. In fondo come se tu lo avessi saputo fin dallinizio come sarebbe andata a finire. Questo era il tuo ruolo. Nonostante tutti i tentativi per sottrarti, di cambiare il finale. Non so se ci sia un senso in tutto questo. Forse neanche la scelta di giocare o non giocare ci spetta per davvero. Forse anche quello fa parte delle regole gi scritte. Forse, lunico vero senso di tutto quello che successo, dellavermi voluto come unico testimone che io mi risvegliassi alla fine dal mio sonno e che sentissi il bisogno di scrivere questa storia. La Tua Storia.

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1 Domande pericolose
Il testimone occasionale non avrebbe riconosciuto in quelluomo che camminava con la toga appoggiata sul braccio strattonando la borsa con le labbra che mordevano parole, il medesimo pacifico passante che ogni giorno pi o meno a quellora era solito percorrere il lungo viale che dagli Uffici Giudiziari portava al fiume e dopo averlo attraversato puntava dritto al centro della citt. Prima di proseguire e prima di spiegare il perch di questo inaspettato comportamento meglio che mi presenti perch quell'uomo sono io e come si capito dall'accenno alla nota palandrana nera ad uso professionale, di lavoro faccio l'avvocato. Intendiamoci sono solo un buon professionista come tanti altri, non un principe del foro o cose del genere, buone per le cronache giudiziarie; diciamo che ho raggiunto una buona posizione economica ma niente d'eclatante. La mia et quella che oggi il nostro poeta pi noto ed importante definirebbe il mezzo del cammino se fosse vissuto al nostro tempo e quindi con unaspettativa di vita di maggior durata. Il viale in questione una larga strada alberata con due corsie separate da un ampio spazio centrale destinato in teoria a verde pubblico ma in realt abbandonato a se stesso con le aiuole invase da erbacce e la pavimentazione dei vialetti pedonali fra le panchine rotte sollevata dalle radici dei pini secolari che lo ombreggiano. Folte siepi dalloro dividono il giardino dalla strada, pochi sono i varchi pedonali e per tale motivo lo spazio interno insolitamente tranquillo, arriva solo
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un rumore di fondo, una lontana eco del traffico che scorre allesterno. Mi piaceva concludere con una passeggiata la mattinata di lavoro, ripercorrevo a piedi il breve tratto fra lo studio e gli uffici giudiziari, che allandata facevo in metropolitana. Tornavo camminando lentamente a capo chino (per necessit visto che questo spazio sembra essere utilizzato solo dai cani) con la borsa che oscillando ritmicamente scandiva il passo. A volte fantasticando mi immaginavo come se mi vedessi dall'alto imbarcato su un pallone aerostatico. Mi vedevo come un puntino nero che avanzasse lentamente sulla mappa della citt in uno spazio stranamente vuoto in mezzo al brulicare frenetico del traffico (altri puntini neri vorticanti). Mi vedevo portare a spasso limma-gine che volevo dare di me stesso: quella di uno stimato professionista di mezza et, affermato, sicuro, saggio. Questo della presunta saggezza un punto da approfondire: viene proprio da ridere. Per lappunto lestate prima seduto al ristorante con mia moglie e due nostri amici di vecchia data - una cena piacevole a base di pesce, un buon vino bianco, fresco chiacchierando fra di noi, un po per scherzo un po sul serio, mi ero lanciato a proclamare che siccome da l a poco avrei compiuto quarant'anni mi pareva daver raggiunto una vera maturit, una vera saggezza. Era unautentica stupidaggine. Scambiavo limmobilismo in cui avevo trascorso gli ultimi anni, un giorno dopo l'altro, una scadenza dopo l'altra, per saggezza. Non mi accorgevo di essere seduto sul cono di un vulcano prossimo alleruzione. Ci avrebbero pensato poi gli eventi immediatamente
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successivi a smentirmi perch la tranquillit famigliare, la base stessa della mia pretesa saggezza si rivel per quel che era: una palude di cose non dette, frasi ingessate, sentimenti non confessati; una mefitica camera a gas come proclamava il titolo di una canzone in voga a quei tempi. E infatti da l a poco la mia ex moglie mi avrebbe messo di fronte alla realt di come stavano veramente le cose. Io naturalmente come da copione ero cascato dalle nuvole. Ma come era mai possibile? Proprio vero... Non c peggior cieco... Non capivo o meglio mi sembrava di essere continuamente in ritardo di sei mesi nel capire quello che mi stava succedendo. Ma poi, cosa sarebbe stata mai questa saggezza? Perch di questo che avevo iniziato a parlare. Mi riferivo forse al fatto davere la vita diciamo cos sotto controllo? Niente da dire. Una professione ben avviata che dopo gli anni di gavetta cominciava ora a dare buone soddisfazioni economiche. La Famiglia, la casa e lo studio in propriet con il mutuo quasi finito di pagare. Una bella immaginetta. Un santino. Ma i sentimenti? E le emozioni? Neppure lamante mi ero fatto per non disturbare troppo lequilibrio. Il problema era lo specchio. Da quando mi ero ritrovato da solo, adattando ad abitazione una parte dello studio, lo specchio impietoso continuava a rimandarmi limmagine della mia scontentezza. Ero in grado di avviare tutti i giorni la sequenza di atti noti: le udienze, gli appuntamenti con i clienti, ed i motori partivano meccanicamente senza nessuno sforzo o coinvolgimento da parte mia, senza emozioni; tiravo avanti giorno dopo giorno aspettando non si sa che. Ma davanti allo specchio non potevo
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fare a meno dinterrogarmi: su cosa era stata la mia vita, cosa avevo combinato in quegli ultimi ventanni, cosa avrei potuto o dovuto fare affinch le cose non andassero comerano andate. Le domande. I perch. Quelle domande che per tanto tempo avevo dimenticato di farmi ora si imponevano da sole. Mi ritrovavo a fissare la faccia del cliente che mi stava esponendo il suo caso con i gomiti puntati sul piano della scrivania ed il mento appoggiato sulle mani strette a pugno e la mente partiva, se ne andava via. La domandina facile facile che avevo tentato daffondare nella mente per tanto tempo riemergeva con un plop da sughero alla superficie del cosciente: perch diavolo sto qui a perdere tempo con ste cose? Mentre la vita... Allora mi alzavo e andavo alla finestra scostavo le tende e guardavo fuori. Per darmi un contegno gettavo comunque dietro alle spalle un La sento... la sento... continui pure...; se cera una giornata di sole guardavo fuori e se pioveva guardavo fuori. Con speranza. Sperando di vedere gli asini volare o che atterrasse un Ufo proprio l davanti. Poi me la cavavo depistando il malcapitato al mio assistente di studio che mandavo a chiamare. Prego saccomodi. La affido al mio collaboratore il dott. Giusto Borrella... laiuter a scrivere un promemoria sui punti pi importanti della questione che mi ha esposto. Grazie per la collaborazione, a presto, per lacconto pu provvedere in segreteria. Amen. Uscivo. Tanto lo studio era ben organizzato e poteva andare avanti tranquillamente anche senza la mia presenza. Cominciavo con il giro del palazzo e poi mallontanavo, a volte allungavo le mie passeggiate senza meta fino in centro, a strade che non avevo pi percorso da
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decenni, da quando ancora frequentavo lUniversit. Ma le domande me le sentivo venir dietro. Ticchettare sui loro tacchi a spillo. Fastidiose. Instancabili. Perch? Perch? E la sera, la notte. Giusto era diventato la mia vittima predestinata. Andavo a scovarlo nel vicolo dove viveva, in un quartiere del centro storico che non godeva certo di buona fama. Lo costringevo ad uscire per andare a passeggio senza una meta precisa perch con lui almeno potevo parlare. Era lunica persona con cui mi potessi confidare e raccontare di quell'angoscia che maveva preso dopo la separazione e che aveva portato via ogni desiderio, ogni passione. Lui mi stava a sentire. Mi era stato a sentire quando gli avevo comunicato con un tono tragico che avevo rotto che era finita con mia moglie. Mi aveva guardato un po in tralice e poi era sbottato in un Che culo! che mi aveva lasciato costernato ma anche dubbioso. Mi accompagnava fino a notte fonda, tentava di spingermi ad uscire con qualche altra donna: Dai, diceva, non mica che ti sei scordato come si fa?. Ed io invece me lero proprio scordato. Quelle che invitavo a cena le vedevo parlare dallaltra parte del tavolo ma la voce non mi arrivava, non le sentivo e qualcuna pure se naccorgeva e mi diceva: Ma mi ascolti!? tutta scocciata. Ed io: Scusa hai ragione ma sai non mi sento molto bene. E la serata finiva l. Era gi finita.

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2 Due novit
Quanto tempo ero andato avanti cos? Un anno, pi o meno. Un anno meno un mese perch allimprovviso tutto era cambiato. Stavo gi pensando di chiudere lo studio. Di partire. Un viaggio senza meta, solitario, in giro per il mondo a guardare tramonti. A bere fino a stordirmi. Non avevo pi n casa n famiglia e anche tutto il resto sembrava essere fuori controllo. Eccoti servito pensavo, camminando a passi furiosi strattonando la borsa. E se prima il luogo mi era sembrato solo insolito ed anche un po' pittoresco oggi mi sembrava solo sporco. Adesso ho ben altro per la testa. Ci sono due novit. La prima era tutto sommato prevedibile. Era ora! aveva commentato Giusto Era impossibile che alla fine non trovassi qualcuna che ti piaceva!. E infatti da un mese a questa parte vedo Bianca quasi tutti i giorni. Quasi tutte le sere ceniamo assieme. E con lei parlo! Come se si fosse spalancata una porta, come se nella mia mente si fosse aperto un varco e tutto avesse cominciato a fluire fuori. Parlo e parlo e lei mi guarda da dietro la fiamma tremula di una candela con il bel volto appoggiato sulla mano, i capelli lunghi lisci e neri che le cadono davanti e nascondono il viso, una Franoise Hardy un po age che fosse venuta a farmi visita da lontano nello spazio e nel tempo. Non successo molto di pi. Talvolta le tengo la mano sul tovagliato del ristorante e la guardo a lungo lasciando trasparire la tenerezza che provo. Il solo pensiero di potermi avvicinare a lei e di baciarla mi fa
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salire il cuore in gola come nel pi classico degli innamoramenti. Mi accorgo di essere anche un po' ridicolo ma non me ne importa niente. Giusto, sono innamorato! dico. incredibile! E che te credevi desse diverso dall'artri, fa lui di rimando. Ma la seconda novit preoccupante. Allinizio lavevo trascurata, minimizzata. Almeno fino a questa mattina. Sar il solito mitomane, mi ero detto, un mattacchione come ce ne sono tanti, qualche cliente poco soddisfatto dellesito della causa. Ricevevo telefonate mute o trovavo sulla segreteria telefonica registrazioni come di qualcuno che avesse atteso il segnale senza poi lasciare messaggi, lo sentivo respirare ma poi nulla. Infastidito avevo appoggiato il ricevitore con una certa violenza alla forcella. Avevo esclamato un Ma chi !? con voce perentoria e poi tentato con un Senta. Non ho tempo da perdere!. Mi ero arrabbiato con un E basta adesso! Chiamo la polizia!. Poi avevo cominciato a cogliere delle differenze. Nelle ultime telefonate che avevo ricevuto avevo colto una musica di sottofondo: canzoni degli anni Sessanta che conoscevo benissimo, dell'epoca in cui ancora abitavo a Milano. Mi ero soffermato ad ascoltarle quelle canzoni. Forse era solo uno scherzo tutta quella messa in scena. Avevo anche tentato di cambiare atteggiamento, di essere amichevole. Dai... Perch non mi dici chi sei e la facciamo finita... Magari ci beviamo qualcosa sopra.... O, almeno, avevo pensato che fosse solo una persecuzione amichevole fino a quella mattina. Poi era successo quello che era successo nella stazione della metropolitana.
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Come il solito stavo aspettando sulla banchina larrivo del convoglio in mezzo alla folla del mattino con una mano che reggeva la borsa e laltra il giornale aperto a met, intento a scorrere i titoli pi importanti. Distratto. Un pensiero alla cena della sera precedente, con Bianca. Dove ce ne andremo oggi? ho pensato felice, cosa altro posso farle scoprire della citt?. Ogni angolo pi nascosto le ho fatto vedere, di quelli che le guide turistiche neppure segnalano. Le fontanelle, come ha bevuto allegra alla Botticella e come si sorpresa ridendo quando ha scoperto che nella chiesa di SantIgnazio non c' una vera cupola ma solo dipinta. Gi, che stupida ha riso non pu esser vera. notte fuori e l sembra che entri la luce del sole l in alto... ha aggiunto ridendo con la sua erre un po alla francese. Un momento solo. Il vento che sospinto dal treno entra nella stazione poco prima dellarrivo del convoglio. Lo sguardo che dimpulso si alza dal giornale a controllare che vero, proprio il treno che sta arrivando... l: si vedono i fari. La prima carrozza sta gi per uscire dal tunnel per scorrere lungo la banchina con la folla assiepata che si sposta, serpeggia per guadagnare il punto migliore per salire a bordo e se hai fortuna trovi un posto a sedere. Solo un attimo. Quando la prima carrozza non che a dieci metri dal punto in cui mi trovo in attesa che si aprano le porte. Aspettate! Fate uscire prima quelli che stanno dentro. Non spingete. Un attimo solo. Una mano. Una mano che da dietro, dalla folla che preme immediatamente alle mie spalle per trovare un posto in prima fila mi spinge mi fa perdere lequilibrio; ho gi perso
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lequilibrio e sto per cadere proprio davanti alle ruote del treno che ormai l, lo vedo... vedo gli occhi del conducente nella cabina; per un attimo si fissano nei miei, ha visto il movimento e sta per tirare tardivamente la leva del freno demergenza ma sar tardi, sar troppo tardi. Sar caduto davanti a lui e per tutta la vita si porter appresso questo ricordo odioso. Perch proprio a me doveva capitare porca vacca! Penser. Il ricordo della mia faccia sorpresa, allarmata. La vista di una mano che mi spinge. Di chi era quella mano, lo ha visto? chiederanno quando faranno linchiesta. No, ero troppo impegnato a frenare, scusi ma lei che avrebbe fatto al posto mio!. Un attimo e poi quella medesima mano con una stretta ferrea mi prende per il braccio, mi tira indietro e mi fa recuperare lequilibrio e mi trattiene dal cadere. Non faccio neanche in tempo a dire Ma Chi...!?, a tentare di voltarmi, perch il treno arrivato le porte si sono aperte davanti a me e la folla mi ha spinto dentro la carrozza. Solo quando sono entrato riesco a divincolarmi ed a girarmi e vedo un tizio fermo sulla banchina con le mani in tasca. Ha occhiali scuri, un lungo impermeabile di pelle nera lucido, che riflette le luci della stazione. A chi mi fa pensare? Sembra... sembra proprio quellattore che faceva la parte dellamante di Belle de Jour, come si chiama... Pierre Clementi. Ci manca che adesso sorrida e mostri i denti finti dacciaio. Lo fa e i denti finti luccicano un attimo prima che il treno riparta, prima che io riesca a reagire. La prontezza di riflessi per dire: Fermatelo! Per cosa? Mi ha spinto! Nessuno lo ha visto!? Il conducente lha visto! Sentiamo il conducente. Ho visto solo una mano. Solo una mano spuntare da dietro. Solo una
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mano!? Sar stato un caso, una fatalit, la folla che spinge. Daltronde lei non caduto, no!?

Cammino nello spazio vuoto di questo giardino malandato maltrattando la borsa ed intanto parlo da solo. A chi posso chiedere aiuto? A questo punto dopo quanto successo non posso pi trascurare il pericolo, far finta di niente. Cosa vuole da me quel folle? Giusto mi ha parlato del suo amico commissario. Far mettere sotto controllo il telefono, ecco. E lei? Il pensiero di lei che vedr stasera, che vorrei amare se me lo permetter, mi distrae. Come un pendolo la mia mente oscilla fra due sentimenti contrastanti come in un gioco a moto perpetuo. Uno di quelli che ho visto una volta in un negozio del Corso: una fila immobile di biglie dacciaio appese ad un sostegno con fili sottili quasi invisibili percossa alternativamente ai due estremi dalle due biglie esterne. Toc Toc - Toc Toc e lultima biglia dal lato opposto rispetto a quella che appena caduta vola via trattenuta dal filo, verso lalto, descrive un perfetto arco di cerchio e poi ricade andando a colpire con un suono secco la fila apparentemente immobile perch l'energia si trasmette attraverso le biglie intermedie ma non le muove. Senza mai interrompersi. Cos la mia mente passa dalluno allaltro dei due pensieri. Stasera la vedr. Le racconto di stamattina? Forse. Non pu pi essere solo uno scherzo. O non lo pi o non lo mai stato fin dallinizio. Non centra nulla con la professione, non un cliente come avevo pensato allinizio: qualcosa che arriva da un tempo pi remoto. Qualcuno che ho conosciuto quando ero
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adolescente. Quanti anni avr lei... non pi tanto giovane, questo certo. Ma quanti meno di me? Voglio cominciare a registrare le telefonate. Gi e che cosa registro? Tutte le non-conversazioni? Forse anche lei le conosce le canzoni. Voleva spaventarmi solo spaventarmi, altrimenti mi avrebbe lasciato cadere. E poi la scena, quella citazione a mio esclusivo beneficio. Chi ha potuto notare nella confusione dell'ora di punta uno che sembrava un personaggio uscito da un film di quarantanni prima. E lei lavr visto Belle de Jour? Ma cosa vuole quel pazzo? Che vuole da me? Davvero vuole...

Finalmente raggiungo il portone dello studio, lo vedo come loasi che mi dar rifugio. Attraverso il passo carrabile ed entro nel giardino interno che a pianta rettangolare simmetricamente ripartito in quattro aiuole dai vialetti pedonali. Al centro di ciascuna delle aiuole si leva altissima una palma, scelta esotica che andava di moda allepoca in cui fu costruito il palazzo nei primi anni del novecento. Sul cortile si aprono le porte in legno delle diverse scale, lucide di cera, tutto comunica il segno esteriore di una tranquilla rispettabilit borghese. stato il primo condominio ad essere costruito da questa parte del Tevere, avamposto di quei palazzi che avrebbero poi colonizzato tutti gli orti e i campi che ancora alla fine del secolo scorso verdeggiavano a ridosso di San Pietro e di Castel SantAngelo, appena fuori le mura di Borgo.

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