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Cartesio: Meditazioni Metafisiche

Schema riassuntivo

Prima Meditazione DELLE COSE CHE SI POSSONO REVOCARE IN DUBBIO


1. Necessit del dubbio metodico
necessario, almeno una volta nella vita, dubitare di tutte le cose. sufficiente la minima ragione di dubbio in qualcosa per respingerla.

2. Inganno dei sensi


I sensi talvolta mi ingannano, allora supporr che mi ingannino sempre. Non c un modo certo per distinguere la veglia dal sonno.

3. Estensione del dubbio alle proposizioni matematiche


Le proposizioni matematiche sono evidenti ma suppongo che un Dio ingannatore mi inganni sempre.

4. Ipotesi del Genio maligno (Dubbio iperbolico)


Pi che un Dio ingannatore meglio ipotizzare lesistenza di un Genio maligno che mi inganna sempre.

Seconda Meditazione DELLA NATURA DELLO SPIRITO UMANO:


ESSO SI CONOSCE MEGLIO DEL CORPO
1. La prima certezza: Io penso dunque sono
La mia esistenza lunica cosa sulla quale non posso dubitare. (Questa certezza non frutto di un sillogismo del tipo: Tutto ci che pensa esiste, io penso, quindi io esisto; non una verit che colta col ragionamento ma con lintuizione.)

2. Realt del pensiero


a) Mi chiedo: Che cosa sono? Non posso dire di essere un corpo, perch del mio corpo non ho alcuna idea chiara e distinta. b) Sono certo solamente di essere pensiero: sono una cosa che pensa, un soggetto pensante.

3. La maggior chiarezza e distinzione offerta dallo spirito che non dalle cose materiali: esempio del pezzo di cera
Sono spinto a credere che le cose corporee si conoscano meglio di quelle spirituali; in realt pi facile la conoscenza di me come cosa pensante. Lo dimostra lesempio del pezzo di cera: anche se esso cambia forma e si scioglie continuo a chiamarlo cera. Non mi baso sulle sue caratteristiche fisiche per dire questo (infatti la cera sciolta ha delle caratteristiche fisiche molto diverse dalla cera solida); mi baso invece sullidea o concetto della cera che c nella mia mente. Quindi lidea o concetto, ovvero ci che appartiene al pensiero o spirito, si conosce pi chiaramente e distintamente delle cose materiali.

Terza Meditazione DI DIO E DELLA SUA ESISTENZA


1. Il criterio della chiarezza e distinzione rinvia alla veracit divina
La prima regola del Metodo (accettare per vere solo le idee chiare e distinte) sembra giustificata dal fatto che la mia esistenza certa e di questo ne ho unidea chiara e distinta. In realt non posso accettare questa regola per indagare se vi siano altre cose delle quali essere certi perch permane lipotesi del Genio maligno, che potrebbe ingannarmi anche sulle cose delle quali mi sembra di essere certissimo. Devo quindi prima dimostrare che esiste un Dio verace e non ingannatore; solo Egli pu infatti garantirmi che quando concepisco unidea chiara e distinta non mi sto ingannando.

2. Classificazione delle Idee


So di essere una cosa che pensa e che ha Idee (Idea = ogni oggetto del pensiero, diversamente da Platone, per il quale Idea = archetipo, modello delle cose). Innate = connaturate in me Le Idee che ho possono essere di tre tipi: Avventizie = prodotte dalle cose esteriori Fattizie = prodotte e inventate da me stesso

E possibile che tutte le Idee che giudico avventizie (cio le Idee delle cose esteriori) siano prodotte da me, cio siano fattizie. Non so ancora se ci siano in me Idee innate.

3. Realt formale ed oggettiva delle Idee


Per Realt formale si intende lentit di una cosa, che coincide con la sua esistenza in atto. In altre parole, la realt formale di una cosa semplicemente ci che la cosa . Per realt formale di unIdea si intende quindi ci che lIdea , in quanto Idea. La realt formale di unIdea semplicemente quella di essere un modo del pensiero. Ogni Idea tuttavia ha un certo contenuto, cio rappresenta un certo oggetto. Oltre alla realt formale le Idee posseggono quindi anche una Realt oggettiva. Definiamo dunque Realt oggettiva di unIdea lentit delloggetto rappresentato dallIdea.
Realt formale dellIdea della rosa = semplice Idea o modo del pensiero Realt oggettiva dellIdea della rosa = la rosa rappresentata dallIdea Rosa reale = realt formale, in atto

4. Principio di Causalit
In ogni causa efficiente deve esserci almeno altrettanta realt o perfezione quanta nelleffetto
Da questo principio, che intuitivamente vero, si deduce che: a) Una cosa che ha una certa realt formale, cio una certa perfezione, deve essere prodotta da una causa che contenga formalmente o eminentemente quella stessa realt o perfezione. Ad esempio, un animale, che un essere vivente dotato di sensibilit e di movimento, deve essere prodotto da una causa che contenga formalmente (= in atto) le perfezioni dellanimale, cio da una causa che possegga ugualmente lessere, il vivere, il sentire e la capacit di muoversi (quindi, da un altro animale).Oppure, lo stesso animale potrebbe essere prodotto da una causa che contenga eminentemente, cio in maniera pi eccellente, le perfezioni dell'animale, quindi abbia lessere, il vivere, il sentire e la capacit di muoversi ad un grado pi elevato di quanto non siano nellanimale. impossibile tuttavia che lanimale sia prodotto da una causa che abbia meno realt, meno perfezione di esso, cio da una causa che non contenga formalmente (= in atto) tutte le perfezioni dellanimale (come, ad esempio, da un vegetale, che non possiede la capacit di muoversi). Applichiamo questo principio alle Idee. La realt formale di una qualsiasi Idea consiste nellessere semplicemente un modo del pensiero, cio nellessere pensiero. Qual la causa di questa realt formale? Per il principio di causalit deve essere una causa che contenga formalmente e eminentemente la realt formale dellIdea (= essere pensiero). La causa delle mie Idee pu quindi essere semplicemente il mio stesso pensiero.

In definitiva, se i consideriamo le Idee unicamente dal punto di vista della loro realt formale, cio come semplici pensieri, nulla mi dimostra che esista qualcosaltro al di fuori di me, del mio pensiero, come causa delle mie Idee. Ma le Idee, in quanto rappresentano qualcosa, posseggono anche una realt oggettiva. In base al principio di causalit si pu quindi affermare che: b) La realt oggettiva di unIdea deve essere prodotta da una causa nella quale sia contenuta quella stessa realt, non soltanto oggettivamente, ma formalmente o eminentemente. In altre parole, se io ho unIdea con una certa realt oggettiva, cio unIdea che ha un certo contenuto, unIdea di qualcosa, questo contenuto dellIdea (= realt oggettiva) deve essere stato prodotto da una causa che possegga in atto, cio formalmente (o eminentemente) ci che lIdea rappresenta. Questa causa avr quindi formalmente (= in atto) almeno tanta realt, tanta perfezione, quanta ne ha la cosa rappresentata dallIdea (= realt oggettiva). In definitiva, se noi consideriamo le nostre Idee solamente dal punto di vista della loro realt formale (cio come semplici pensieri), esse risultano tutte uguali, non ce n una pi o meno perfetta di unaltra: sono tutti pensieri e quindi la loro causa semplicemente il nostro pensiero. Ma se consideriamo le nostre Idee dal punto di vista del loro contenuto (= realt oggettiva) vediamo immediatamente che ci sono Idee pi o meno perfette (ad es. lIdea di un animale possiede pi realt oggettiva, pi perfezione, di quella di una pietra; lIdea di una qualche sostanza possiede pi realt dellIdea di un colore o di un sapore che la sostanza pu avere [questi sono infatti meri accidenti] ). Ora, dato che pi unIdea perfetta (cio ha una maggiore realt oggettiva) pi la sua causa deve contenere in atto (cio formalmente) tale perfezione, ne deduco che se io trover in me qualche Idea la cui realt oggettiva cos grande da essere certo che tale realt non pu essere contenuta in me n formalmente n eminentemente, allora chiaro che io non potr essere stato la causa di tale Idea: dovr quindi esistere qualche altra cosa fuori di me che ha causato questa Idea e che possiede formalmente o eminentemente tutta quella realt o perfezione che contenuta oggettivamente nella mia Idea. Analizzo quindi tutte le mie Idee per vedere se la loro realt oggettiva pu essere sempre contenuta in me formalmente o eminentemente.

5. Prima prova causale dellesistenza di Dio


In tutte le Idee che ho delle varie cose corporee non si trova nessuna realt oggettiva cos grande che non possa essere contenuta in me formalmente o eminentemente, in altre parole, nessuna rappresenta una realt sicuramente pi perfetta di me. Tutte queste Idee che io credo avventizie posso quindi averle prodotte da me stesso (cio possono essere fattizie). Per c in me lIdea di Dio, con la quale intendo una certa sostanza infinita, eterna, immutabile, indipendente, onnisciente e onnipotente. La realt oggettiva di questIdea (= essere infinito) non contenuta in me n formalmente n eminentemente, in quanto riconosco chiaramente che non sono un essere infinito. Dunque esiste fuori di me una sostanza che formalmente (= in atto) infinita: solo essa infatti pu essere la causa della realt oggettiva di questa mia Idea. Possibile obbiezione: LIdea di infinito che in me non unIdea positiva: lho ottenuta semplicemente come conseguenza e negazione dellIdea di finito (ovvero: chiamo infinito tutto ci che non finito ma non ho una vera Idea di infinito). Risposta: Laffermazione precedente falsa perch lIdea di infinito antecedente a quella di finito, cio viene prima nella mia mente. Come potrei infatti percepirmi come essere finito, imperfetto, se non avessi prima nella mia mente lIdea di infinito, di perfetto?

6. Seconda prova causale dellesistenza di Dio


Io sono certo di esistere e di avere in me lIdea di Dio. Mi chiedo: qual la causa della mia esistenza, cio dellesistenza di un essere che possiede lIdea di Dio? Possibili risposte: Sono io stesso? No, perch se fossi io la causa della mia esistenza non vedo perch non avrei dovuto darmi tutte le perfezioni che sono nellIdea di Dio. Non c nessuna causa della mia esistenza, io esisto da sempre? No, ogni istante di tempo non dipende dallistante precedente, quindi dal fatto che io sia stato non segue che io adesso debba essere: ci vuole una causa che non solo mi abbia dato lessere ma che mi conservi in ogni istante del tempo (teoria della creazione continua da parte di Dio). Sono stato prodotto dai miei genitori o comunque da qualche causa inferiore a Dio? Anche se fosse cos, chi mi ha causato doveva essere un essere che possedeva lIdea di Dio ma, essendo inferiore a Dio, non poteva essersela data da solo. Il problema si sposta ma non si risolve; mi chiedo infatti: chi ha causato questessere?

Conclusione: Dio esiste, ha causato la mia esistenza allinizio e continua a conservarmi nellessere in ogni istante di tempo.

7. LIdea di Dio innata


Non so ancora se le Idee che io credo avventizie siano prodotte realmente da qualcosa fuori di me, ma sono sicuro che lIdea di Dio non fattizia (= non lho prodotta da me stesso) e daltronde sento che lIdea di Dio non provenuta, in un certo momento della mia vita, dallesterno perch in me da sempre, connaturata al mio pensiero. LIdea di Dio quindi unIdea innata, impressa in me come un marchio dellartefice che mi ha causato.

Quarta Meditazione DEL VERO E DEL FALSO


1. Veracit di Dio e problema dellerrore
So che Dio esiste e che perfetto, quindi non pu essere Lui la causa dei miei errori, non pu ingannarmi. Tuttavia io spesso mi sbaglio nei miei ragionamenti. Che cos lerrore? privazione, cio mancanza di una certa conoscenza che dovrebbe esserci. Qual dunque la causa del mio errore?

2. La causa dellerrore
Lerrore si d solo nel giudizio (= soggetto + predicato), quando io, con la volont, affermo o nego qualcosa di sbagliato riguardo a certe Idee che sono nel mio intelletto. Alla formazione dellerrore concorrono quindi sia lintelletto che la volont. a) Lintelletto la facolt di conoscere; contiene tutte le mie Idee. necessariamente finito, perch non posso avere Idee di tutto, cio non posso conoscere tutto. Dio mi ha dato un intelletto limitato, in quanto sono un essere imperfetto, ma non c alcun errore nellintelletto. b) La volont la facolt di scegliere, ovvero la libert darbitrio. Sperimento che Dio mi ha dato una volont infinita, cio assolutamente libera, in quanto non c oggetto alla quale la mia volont non si possa estendere (= sento di essere libero di volere qualsiasi cosa). Poich la volont infinitamente pi estesa dellintelletto essa pu fare le sue scelte (affermare o negare, fare o non fare, ricercare o fuggire) sia rispetto alle idee che lintelletto presenta in modo chiaro e distinto sia rispetto a quelle idee che non hanno chiarezza e distinzione sufficienti. Lerrore nasce proprio in questultimo caso, cio quando la volont, estendendosi al di l dei limiti dellintelletto (o meglio, al di l delle Idee chiare e distinte che sono nellintelletto) afferma o nega Idee che lintelletto non percepisce chiaramente. Si chiama libert di indifferenza la libert della volont quando essa si trova al di l dei limiti dellintelletto; in Libert di questo caso la volont del tutto indifferente rispetto a indifferenza VOLONT motivi opposti, cio non determinata dallintelletto a scegliere il vero e ripudiare il falso. Questo il grado pi basso della libert. Intelletto Si chiama libert di ragione la libert della volont quando essa determinata dalle idee chiare e distinte Libert di dellintelletto, e quindi comprende pienamente il vero e lo ragione afferma. Questo il grado massimo della libert.

3. Libert come possibilit di sospendere il giudizio


Lerrore non ci sarebbe mai se io affermassi o negassi, cio dessi il mio giudizio, solo intorno a ci che lintelletto mi fa concepire con sufficiente chiarezza e se mi astenessi dal dare il mio giudizio intorno a ci che non abbastanza chiaro. Ma poich la mia volont, che libera, pu venir meno a questa regola, nasce la possibilit dellerrore. Tuttavia, proprio perch da Dio ho ricevuto una libert perfetta, una volont infinitamente libera, io posso esercitare questa libert al massimo grado sospendendo il giudizio su tutte quelle Idee che non mi sono chiare e distinte. Se non lo faccio chiaro che sono solo io la causa del mio errore. Conclusione: lerrore non imputabile a Dio ma solamente alluomo.

Quinta Meditazione DELLESSENZA DELLE COSE MATERIALI E, NUOVAMENTE, DI DIO E DELLA SUA ESISTENZA
1. Realt delle essenze
Non affronto ancora il problema dellesistenza delle cose materiali, ma mi chiedo solamente se di esse ho almeno qualche Idea che sia chiara e distinta. Delle cose materiali ho molte Idee confuse ma una almeno chiara e distinta: lIdea di estensione, cio lIdea che i corpi si estendono secondo la lunghezza, la larghezza e la profondit (N.B. estensione e spazio coincidono secondo Cartesio). Questestensione chiaramente pensata come quantit continua, cio come quantit spazialmente divisibile allinfinito (N.B. non esistono atomi indivisibili, tutto lo spazio, che estensione, si pu dividere allinfinito). Ugualmente chiare e distinte sono in me le Idee delle propriet di questa estensione: Propriet dellestensione: grandezza figura posizione movimento A queste propriet sono connesse quelle di: durata

Queste Idee sono la base della matematica e della geometria e ad esse sono collegate tutte le altre Idee delle verit matematico-geometriche. Tali Idee non possono essere un puro nulla n una mia finzione arbitraria in quanto concepisco chiaramente e distintamente che ciascuna di queste Idee necessaria, cio ha una essenza immutabile (es. lIdea di una figura geometrica non pu essere concepita in modo diverso). Poich so che Dio esiste e che la veracit divina mi garantisce che tutto ci che penso chiaramente e distintamente vero, ne concludo che le Idee matematico-geometriche sono vere e reali come essenze. In tal modo ho superato lipotesi del Genio maligno, che avrebbe potuto ingannarmi anche sulle verit matematico-geometriche, cio su quelle verit che concepivo con la massima chiarezza e distinzione: i concetti matematico-geometrici sono delle realt come essenze, cio hanno unessenza vera, reale ed immutabile.

2. Prova Ontologica dellesistenza di Dio


Come ai concetti matematici, che sono essenze reali, appartengono necessariamente certe propriet (es. al concetto del triangolo appartiene necessariamente la propriet di avere i tre angoli pari a 180), cos al concetto (= essenza) di Dio appartengono necessariamente tutte le perfezioni, tra le quali anche la perfezione dellesistenza. Per cui: Dio esiste necessariamente. In altre parole, lessenza (= il concetto) di Dio implica la sua esistenza. Spieghiamoci meglio: lessenza delle realt finite, imperfette, non implica la loro esistenza (es. io posso avere il concetto di un certo animale, con certe caratteristiche, ma il solo fatto che io ne abbia un concetto non implica che lanimale esista); al contrario, il concetto che ho di Dio quello di un ente sommamente perfetto, quindi Dio non pu essere privo dellesistenza perch, se cos fosse, non sarebbe un ente sommamente perfetto, in quanto gli mancherebbe la perfezione pi importante: quella dellesistenza. Questo ragionamento non impone una necessit alla cosa: non si sta dicendo che se io penso Dio allora esiste. la necessit della cosa stessa che mi determina a pensare cos: come non posso pensare ad una montagna se non penso contemporaneamente ad una vallata che la circondi (o non posso pensare ad un triangolo se non penso contemporaneamente che ha tre lati), cos non posso pensare a Dio se non penso contemporaneamente che esiste.

3. Dio il fondamento di ogni certezza


Abbiamo gi visto come il fondamento del criterio delle Idee chiare e distinte, dunque della certezza di ogni scienza, stia nella certezza dellesistenza e della veracit divina. La verit dellesistenza di Dio non quindi solo la pi certa tra tutte le verit possibili, ma anche quella fondamentale: se infatti ignorassi che Dio esiste non potrei essere certo di nulla (fuorch della mia esistenza). Cartesio aggiunge inoltre che le verit eterne (come i concetti matematico-geometrici), in quanto essenze reali ed immutabili, sono create liberamente dalla volont divina. In altre parole, tali verit non sono indipendenti da Dio, come se Dio avesse dovuto obbedire ad esse nel creare il mondo: ad esempio, se la somma degli angoli interni di un triangolo sempre uguale a 180 perch Dio ha stabilito liberamente cos e, se avesse voluto, poteva creare un mondo dove tale concetto non fosse vero.

Sesta Meditazione DELLESISTENZA DELLE COSE MATERIALI,


E DELLA REALE DISTINZIONE DELLO SPIRITO DAL CORPO
1. Possibilit e probabilit dellesistenza delle cose materiali
Lesistenza di corpi, cio di cose materiali fuori di me : Possibile perch la penso sotto lIdea chiara e distinta di estensione Probabile perch sono in me due facolt, limmaginazione (= facolt di conoscere tramite immagini sensibili) e la sensazione, che non sono necessarie per il mio pensiero (sarei infatti pensante anche se non immaginassi o non ricevessi sensazioni) . Se tali facolt sono inutili per il mio pensiero perch sono in me? Forse perch derivano da unapplicazione della facolt conoscitiva ad un corpo col quale il mio pensiero congiunto? Tutto ci non mi dimostra che le cose materiali esistono sicuramente ma solo che la loro esistenza probabile.

2. Distinzione reale dellanima dal corpo


Per il criterio delle Idee chiare e distinte so per certo che le cose che intendo chiaramente e distintamente come separate sono create da Dio realmente separate. Ora, io ho: a) unIdea chiara e distinta di me come cosa pensante e inestesa; b) unIdea chiara e distinta del corpo (= del concetto di corpo, in quanto non so ancora se esiste) come cosa estesa e non pensante. Quindi: la mia anima realmente distinta dal corpo (ammesso che ci sia un corpo) e pu esistere senza di esso. A questo punto Cartesio introduce tre definizioni che sono fondamentali per il proseguimento della trattazione: SOSTANZA = ci che in s, cio ci che esiste in modo tale da non aver bisogno che di se stesso per esistere. (questa definizione di Sostanza , a rigor di termini, pu valere solo per la Sostanza divina. Per le Sostanze create varr quindi questaltra definizione: Sostanza = ci che in s, cio ci che esiste in modo tale da non aver bisogno di nientaltro per esistere allinfuori di Dio.) ATTRIBUTO = ci che si riferisce alla Sostanza come sua propriet (e che quindi non esiste in s ma nella Sostanza, cio ha bisogno della Sostanza per esistere) ATTRIBUTO ESSENZIALE = attributo che costituisce lessenza della Sostanza.

Ora, lattributo pensiero e lattributo estensione sono attributi essenziali, cio ciascuno di essi costituisce lessenza di una diversa sostanza: La sostanza che possiede lattributo essenziale del pensiero la RES COGITANS, cio lo spirito o anima La sostanza che possiede lattributo essenziale dellestensione la RES EXTENSA, cio la materia o corpo (non so ancora se questultima sostanza esista ma so che necessariamente separata dalla prima) La res cogitans e la res extensa sono quindi due sostanze realmente separate e totalmente differenti (dualismo metafisico).

3. Dimostrazione dellesistenza dei corpi (= res extensa)


La sensazione e limmaginazione, che sono attributi della res cogitans ma non attributi essenziali (in quanto non necessari per il pensiero), dimostrano che c in me una certa facolt passiva di sentire, cio di ricevere e riconoscere le Idee delle cose materiali. Deve quindi esistere una facolt attiva capace di produrre queste Idee. Dove questa facolt attiva che produce le Idee delle cose materiali?

Non pu essere in me perch io sono soltanto una cosa che pensa e questa facolt attiva che produce le Idee delle cose materiali non presuppone affatto il mio pensiero in quanto tali Idee mi si presentano senza il mio consenso, anzi spesso anche contro la mia volont. Deve quindi essere in una sostanza diversa da me tale sostanza, in quanto causa delle Idee, deve contenere formalmente o eminentemente la realt oggettiva di queste Idee, cio la realt che queste Idee rappresentano (vedi il principio di causalit nella Terza Meditazione). Quindi tale sostanza pu essere: a) Dio, che, essendo sostanza sommamente perfetta, pu contenere eminentemente tutta la realt che le Idee dei corpi rappresentano, cio tutta la loro realt oggettiva. Oppure pu essere: b) La res extensa, cio i corpi stessi. I corpi contengono infatti formalmente ci che le Idee dei corpi mi rappresentano; in altre parole, un determinato corpo formalmente, cio in atto, quella stessa realt che la sua Idea mi rappresenta (= realt oggettiva).

Ma se questa sostanza che produce le Idee dei corpi fosse Dio, ci sarebbe in contrasto con la veracit divina perch Dio mi ha dato una forte propensione a credere che questa sostanza che produce le Idee dei corpi sia la res extensa, cio siano i corpi stessi. Se non fossero i corpi a produrre in me queste Idee ma Dio stesso, allora Dio mi ingannerebbe; ma Dio non ingannatore, quindi: bisogna ammettere che esiste una sostanza estesa, che i corpi esistono e sono la causa delle Idee che ho di loro. La res extensa, tuttavia, non possiede tutte le qualit che noi percepiamo di essa ma solo quegli attributi che intendiamo chiaramente e distintamente, cio lestensione e le sue propriet (grandezza, figura, posizione, movimento, durata). Le altre propriet, come il colore, lodore, il sapore, il suono, ecc., non esistono come tali nella realt corporea (non ne ho infatti unIdea chiara e distinta) ma corrispondono in questa realt a qualcosa che noi non conosciamo. Da ci la distinzione, gi operata da Galilei, tra qualit oggettive (= propriet quantitative) e qualit soggettive (= propriet qualitative) dei corpi: a) Le qualit oggettive o propriet quantitative dei corpi sono lestensione e le sue propriet, cio tutte quelle caratteristiche della sostanza estesa che posso cogliere col solo pensiero. b) Le qualit soggettive o propriet qualitative dei corpi sono le propriet come il colore, il sapore, lodore, il suono, ecc., cio tutte quelle caratteristiche della sostanza estesa che le attribuisco a causa della sensazione o percezione sensibile.

4. Funzione pragmatica della percezione sensibile


La sensazione mi insegna tre cose certe: Che ho un corpo (= res extensa) (con la sensazione sento infatti il piacere o il dolore che il corpo prova e ne percepisco i bisogni; ad es. la sensazione di fame mi fa capire che il mio corpo ha bisogno di mangiare, ecc.) Che c ununione sostanziale tra la mia anima e il mio corpo, cio tra la res cogitans e la res extensa (senza questa unione sostanziale non potrei provare piacere o dolore per ci che accade nel corpo ma conoscerei queste sensazioni col puro intelletto, come cose che non concernono il mio essere) Che esistono altri corpi oltre al mio, cio che sono altre sostanze estese nel mondo oltre al mio corpo. Le altre cose che credo che la sensazione mi abbia insegnato sono solo frutto dellabitudine (come il credere che esista realmente la qualit del calore nel corpo caldo o la qualit del colore nel corpo colorato): queste sono infatti solo qualit soggettive e di esse non ho nessuna Idea chiara e distinta. La sensazione non ha una funzione gnoseologica, cio non mi fa conoscere delle cose, in quanto non mi pu fornire Idee chiare e distinte: la conoscenza spetta solo allintelletto. Lunica funzione della sensazione di tipo pragmatico: la sensazione serve a riconoscere ci che giova o nuoce al mio corpo.

5. Problema della verit dellinsegnamento della percezione sensibile


Se la sensazione ha il solo compito di insegnarmi che cosa giova o nuoce al mio corpo perch talvolta si sbaglia? (es. dellidropico: lacqua fa male al suo corpo eppure lui continua a sentire la sensazione di sete come se il suo corpo avesse bisogno di bere). Risposta: lerrore di valutazione dei sensi intrinseco alluomo come unione sostanziale di anima e corpo. Lanima infatti unita al corpo ma questa unione deve avvenire in un punto preciso del corpo, cio in quel punto del cervello dove risiede il senso comune, ovvero la facolt che unifica tutte le sensazioni per trasmetterle allanima. Lorgano in cui risiede il senso comune la ghiandola pineale (epifisi) che la sola parte del cervello che non doppia e pu quindi unificare le sensazioni che vengono dagli organi di senso, i quali sono tutti doppi. Le sensazioni ricevute dagli organi di senso vengono trasmesse alla ghiandola pineale tramite i nervi, in cui risiedono gli spiriti animali, cio le forze meccaniche che agiscono nel corpo. Dato che la ghiandola pineale non pu muoversi contemporaneamente secondo moti diversi, i movimenti provenienti dai nervi si sommano provocando, di volta in volta, un solo movimento della ghiandola pineale. A seconda del movimento della ghiandola si produce nellanima una determinata sensazione che quella che ordinariamente giova alla conservazione del corpo (ad es., il corpo manca di acqua e quindi i nervi fanno muovere la ghiandola pineale secondo un movimento che corrisponde, nellanima, alla sensazione di sete). Tuttavia, se il corpo malato, possono intervenire delle cause secondarie le quali stimolano i nervi a far muovere la ghiandola pineale secondo un movimento che causa nellanima una sensazione non corrispondente ad un reale bisogno del corpo ( il caso dellidropico che sente la sensazione di sete pur non avendo bisogno di acqua). In conclusione: la percezione sensibile non mi inganna perch, ordinariamente, la sensazione che provo sempre quella pi utile per la conservazione del mio corpo; quando ci non avviene la causa non sta nella facolt della percezione sensibile ma in una malattia del corpo che disturba la trasmissione meccanica dei movimenti dei nervi alla ghiandola pineale.

Movimento impresso dai nervi alla ghiandola pineale

Meccanismo della percezione

6. Conclusione: scioglimento dei dubbi sulla realt del mondo esterno


In base allargomentazione precedente, possiamo concludere che la verit di ci che i sensi ci insegnano, seppur non assoluta, nella maggior parte dei casi assicurata. Non abbiamo quindi pi ragione di dubitare dellesistenza del mondo esterno e della sua sostanziale conformit a quanto i sensi ci insegnano di esso. Soprattutto non dobbiamo pi dubitare che la realt che percepiamo sia un sogno: infatti vediamo chiaramente che i sogni si distinguono nettamente dalla veglia in quanto le cose che percepiamo durante il sogno non sono collegate dalla memoria a tutte le altre azioni della nostra vita, cio allinsieme delle nostre esperienze. Quindi, nel momento in cui si presentano a me delle Idee che distintamente rilevo da dove, in che luogo e quando mi sono giunte e so connetterle senza interruzione con il resto della mia vita, cio con le esperienze che sono nella mia memoria, sono certo che non sto sognando.

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