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Un bugiardo (Perch la vita quello che si racconta, non quello che si ha) Capita, a volte, che unesistenza vuota

a generi il bisogno di riscatto. Che, svegliandoci la mattina, magari soli, altre volte in compagnia di persone che stentiamo a riconoscere, sentiamo la necessit di scappare, cambiare, trovare la nostra strada. Qualunque via andr bene, tutte, tranne quella in cui siamo costretti. Come sappiamo, per, non tutti gli uomini sono dotati dintraprendenza e spirito diniziativa, di coraggio; anzi, la maggior parte reprime il desiderio di riscatto e saccontenta. Sopravvive aspettando Godot. Raramente, ma accade, si presenta anche un terzo tipo di insoddisfatto: il bugiardo. No, non parlo delle piccole e innocenti bugie di paese, delle menzogne in famiglia, delle frottole tra amici. La bugia diventa arte; smette di essere una pallida maschera della vita privata e diventa moltiplicatore dellio. Linvenzione diventa il modo di centuplicare lesistenza. Quando il sole smetteva di battere prepotente sulla polvere delle strade, una fresca brezza pungeva la pelle. Era un vento lieve, che scendeva direttamente dalle montagne, rotolando nella valle. Per gli abitanti di Jeria era il momento di uscire dalle case e di godersi la sera. Per il vecchio Geremia era invece il momento di ricevere gli ospiti. Parecchia gente veniva a trovarlo, giovani e vecchi, nel cortile della sua baracca. Si pettinava i pochi capelli grigi allindietro con una brillantina azzurra, si radeva, si dava una sistemata guardandosi e rigirandosi davanti a un pezzo di specchio. Si bagnava leggermente gli occhi velati dalla cataratta per togliersi le cispe e si gettava addosso dellacqua di colonia dozzinale per coprire lodore di naftalina dei vestiti. Nel cortile aveva gi passato la scopa di paglia, pulito le panchine di ferro battuto, potato il limone e raccolto le pesche migliori per offrirle durante la serata. La gente arrivava, prendeva posto, cominciava a vociare allegra. Chi aveva fatto tardi sedeva sui muretti, per terra, sul bordo della cisterna. Tra le urla dispettose dei galli e il profumo dei gigli Geremia cominciava a raccontare. Parlava dei suoi viaggi in Cambogia, tra la giungla e le tigri, anche se il vero nemico in quel posto erano le zanzare, grandi come conigli. Narrava delle sue gesta durante la guerra civile, del suo giro dEuropa in mongolfiera. Descriveva con preziosi particolari i canali di Amsterdam e le differenze con quelli di San Pietroburgo e, quando i bambini cominciavano a sbadigliare e si addormentavano, parlava delle sue conquiste e delle mille donne che aveva amato. Arrivata infine la notte tutti si ritiravano e Geremia restava solo. Si sedeva sulla sedia a dondolo e fumava lunica sigaretta della giornata. Finito il suo bisogno di mentire, assolto il suo obbligo alla bugia, rifletteva su quanto fosse dolce la vita. Tutti pendevano dalle sue labbra, si bevevano ogni cosa che raccontava e lo adoravano. Era capitato per caso a Jeria cinque anni prima, fuggendo da una monotona e ripetitiva esistenza a Sertis, il paese dovera nato. Quarantanni di lavoro come ciabattino, trentacinque dei quali sposato con una donna che non sopportava. Alla morte della moglie aveva festeggiato e, dopo aver venduto tutto, era scappato. Era stato fortunato a trovare quel paese di creduloni. Si sentiva rinato. Padrone di una vita meravigliosa e nuova di zecca. Finita la sigaretta stendeva le gambe stanche e dopo aver sistemato il sorriso in un bicchiere dacqua si addormentava soddisfatto. In un gioved di fine aprile arriv a Jeria un ragazzo di Sertis. Era in paese di passaggio, ma dato che allosteria aveva sentito parlare del vecchio che aveva fatto e visto tutto, incuriosito decise di trattenersi e di andarlo a sentire. Geremia, ignaro, preparava il suo cortile per gli ospiti della sera. Quando questi iniziarono a sciamare e a prendere posto, tra la folla, riconobbe subito il ragazzo e sbianc. Si accasci sul suo scranno e cominci a piangere con le mani callose e dure incollate davanti al viso. I singhiozzi lo scuotevano e sent le mele cotte che aveva mangiato a pranzo ribellarsi nello stomaco. I galli, preoccupati, smisero di urlare.

Il giovane lo guard bene e stent a credere ai propri occhi. - Geremia? Si gratt la testa perplesso. - Signori, non vorrei deludervi, ma questo solo Geremia. Ha fatto il ciabattino tutta la vita nel paese da cui provengo. Temo vi abbia preso in giro. Annunci contrito, quasi dispiaciuto. Gli abitanti di Jeria non fecero una piega. Alcuni si erano sistemati attorno al vecchio, come una falange romana. Un bambino con il moccio al naso affront il ragazzo. - Vi sbagliate. Sentenzi. - Il signor Geremia stato in Siberia, ha scalato le piramidi di Giza e ha provato a raddrizzare la Torre di Pisa. Non pu aver avuto il tempo di fare il ciabattino, come voi dite. Il giovane alz le spalle. Che motivo aveva di insistere? Raccolse la sua roba e lasci il cortile. Geremia non sapeva che fare, che dire. Le lacrime viaggiavano sulle sue rughe come fossero dei tratturi. Voleva andarsene ma desiderava restare. Gli sarebbe piaciuto correre via, lontano, ma cosa sarebbe diventato? Cosa sarebbe ritornato ad essere? Un uomo vuoto e senza spessore. Si accorse allora di quanto amasse quella gente, di quanto avesse bisogno di loro. La sua vita, dopotutto, aveva senso solo se qualcuno era disposto ad ascoltarla. Il barbiere del paese gli si inginocchi vicino. - Avanti, Geremia. - Gli disse, battendogli piano una spalla e sollevando uno sbuffo di polvere. - Devi finire la storia della traversata della Patagonia, ricordi? - Ma io - Balbett il vecchio. - Qui siamo tutti ansiosi di sapere come hai fatto a cavartela dopo che ti hanno rubato lasino. - Certo, mi avevano rubato lasino, ora ricordo. Quei maledetti Mapuche. Il vecchio si asciug gli occhi malati con il risvolto logoro della giacca e cominci a raccontare; mentre i galli urlavano e i bambini prendevano sonno.

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