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Corinne una giovane donna con famiglia, una boutique avviata, dei progetti e un fidanzato.

. con lui decide di trascorrere una vacanza in kenya. Ma l'incontro con Lketinga, un guerriero masai, cambier la sua vita per sempre. I due non hanno nulla in comune, si capiscono a stento. eppure, senza esitare, Corinne abbandona tutto e si trasferisce in quella che per quattro anni sar la sua nuova patria. Rievocando con semplicit e candore la sua eccezionale esperienza, l'autrice narra un memorabile viaggio alle radici del corpo e dell'anima e scrive una grande storia d'amore. Amore per un uomo, per la sua gente, per la suggestione incantata del suo paese.

Corinne Hofmann. LA MASAI BIANCA. Storia vera di una passione africana traduzione di LUCA BURGAZZOLI Biblioteca Universale Rizzoli Propriet letteraria riservata 1999 Al Verlags GmbH Mncnen 1999 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 88-17-86692-X Titolo originale dell'opera: DIE WEISZF MASSAI prima edizione Superbur Narrativa: marzo 2001 A NAPIRAI INDICE: ARRIVO IN KENYA ALLA RICERCA DI LKETINGA SEI LUNGHI MESI IL NUOVO INCONTRO OSTACOLI BUROCRATICI COMMIATO E NUOVA PARTENZA NELLA NUOVA PATRIA IL MIO VIAGGIO CON PRISCILLA L'INCONTRO CON JUTTA FELICITA' A MARALAL RITORNO A MOMBASA YOU COME TO MY HOME LA JEEP PERICOLI NEL BUSH PROGETTI PER IL FUTURO VITA QUOTIDIANA SVIZZERA STRANIERA PATRIA AFRICA PROBLEMI CON L'AUTORIT MALARIA LA CERIMONIA POLE, POLE

ADDIO E BENVENUTO UFFICIO PUBBLICO E VIAGGIO DI NOZZE UNA MANYATTA TUTTA NOSTRA MATRIMONIO SAMBURU IL NEGOZIO SENTIERI NELLA GIUNGLA LA MOGLIE DELL'INSEGNANTE PAURA PER IL MIO BAMBINO SUL PENDIO DELLA MORTE LA GRANDE PIOGGIA TRASLOCO DALLA MANYATTA FLYING DOCTOR SOFIA NAPIRAI FAME QUARANTENA NAIROBI RIPOSO IN SVIZZERA VISI BIANCHI ANDRA' TUTTO A POSTO? DIFFIDENZA INASPRIMENTO DELLA SITUAZIONE SITUAZIONE DISPERATA IMPOTENZA E RABBIA IL BUON AUGURIO NUOVA SPERANZA AMARA DELUSIONE SENZA VIA D'USCITA FUGA LETTERE

Arrivo in Kenya. Quando, all'aeroporto di Mombasa, siamo accolti da una magnifica aria tropicale, ho gi il presentimento che questo diventer il mio paese, che qui mi trover bene. Ma pare che la splendida aura che ci avvolge impressioni solo me, mentre Marco obietta secco: Che puzza!. Sbrigate le pratiche doganali il safari-bus ci porta al nostro albergo. Strada facendo dobbiamo attraversare con un traghetto un fiume che separa la costa meridionale da Mombasa. Sull'autobus fa un caldo insopportabile. Ancora non so che quel traghetto nell'arco di tre giorni cambier, anzi sconvolger, tutta la mia vita. Sull'altra sponda attraversiamo per quasi un'ora piccoli insediamenti lungo strade di campagna. Le donne avvolte in panni neri in piedi davanti alle capanne sembrano musulmane. Finalmente raggiungiamo il nostro albergo, l'Africa-Sea-Lodge. E' una struttura moderna, ma costruita ancora in stile africano. Noi alloggiamo in una piccola casa rotonda, arredata con gusto e accogliente. Una rapida passeggiata sulla spiaggia rafforza la prima travolgente sensazione: questo il pi bel paese che abbia mai visitato, mi piacerebbe tanto restarci. Dopo due giorni, quando siamo ormai sistemati, decidiamo di prendere l'autobus pubblico e il traghetto Likoni e di visitare per nostro conto la citt di Mombasa. A un tratto ci passa davanti un rastaman sussurrando: Hascisc, marijuana. Marco fa cenno di s: Yes, yes,

where we can make a deal?. Dopo aver scambiato alcune parole ci invita a seguirlo. Lasciamo stare, dico a Marco, troppo pericoloso! Ma lui non bada alle mie perplessit. Il rastaman ci porta in una zona squallida e abbandonata, e proprio quando sono sul punto di porre fine a questa avventura, scompare invitandoci ad attendere. Mi sento a disagio, e alla fine anche Marco riconosce che dovremmo andarcene. Ce la svigniamo appena in tempo prima che il rastaman ricompaia accompagnato dai poliziotti. Sono furiosa, l'incoscienza di Marco mi esaspera: Lo capisci adesso che cosa ci sarebbe potuto succedere? . Nel frattempo si fatto tardi, il momento di pensare al ritorno. Ma in quale direzione dobbiamo andare? Non ricordo da dove parte il traghetto e Marco non ha pi memoria di me. Alla fine, dopo una lite furiosa e un lungo girovagare, lo vediamo in lontananza. Tra le macchine in attesa ci sono centinaia di persone con cartoni pieni zeppi, carretti e galline: vogliono tutti salire sul traghetto a due piani. Quando finalmente siamo a bordo, accade una cosa incredibile. Corinne, guarda l, dice Marco, quello un masai! Dove? chiedo io, e mi volto nella direzione indicata. Mi colpisce come un fulmine. L, sul parapetto del traghetto, sta seduto un uomo bellissimo: alto, scuro di pelle, esotico. Con i suoi occhi neri guarda noi, gli unici bianchi in quella confusione. Dio mio, penso, quant' bello, non avevo mai visto niente di simile. Indossa solo un succinto panno rosso avvolto attorno ai fianchi, ma in compenso porta ricchi ornamenti. Sulla fronte ha un grande bottone di madreperla luminoso incastonato in perline variopinte. I lunghi capelli rossi sono raccolti in fini treccine e il viso dipinto di segni che arrivano fino al petto, sul quale si incrociano due lunghe collane. Porta numerosi braccialetti. I tratti del suo viso hanno una grazia quasi femminile, ma il contegno, lo sguardo fiero e la struttura muscolosa tradiscono una forza virile. Non riesco pi a distogliere gli occhi da lui. Seduto in quella posizione, alla luce del tramonto, sembra un giovane dio. Ancora cinque minuti e non vedrai mai pi quest'uomo, penso rattristata; il traghetto attraccher e tutti si metteranno a correre, saliranno sugli autobus e spariranno ai quattro punti cardinali. Il cuore si fa pesante, mi manca l'aria. Accanto a me Marco sta per terminare il suo commento: ... dobbiamo star attenti: questi masai derubano i turisti. Ma io sono troppo impegnata a escogitare un modo per entrare in contatto con quell'uomo mozzafiato. Non so l'inglese e fissarlo non porta a nulla. Quando il portellone si abbassa, tutti si precipitano a terra tra le auto in partenza. Del masai vedo ormai solo la schiena luccicante mentre sparisce agilmente tra i passeggeri che trascinano a fatica i propri carichi. Fine, andato, penso, e mi viene da piangere. Non riesco a capire per quale motivo mi sconvolga tanto. Una volta sbarcati, ci incamminiamo in direzione degli autobus. Nel frattempo si fatto buio. in Kenya la sera cala in mezz'ora. I numerosi veicoli si riempiono rapidamente di persone e bagagli, ma noi, non sapendo su quale spiaggia si trovi il nostro albergo, restiamo a piedi, sconsolati. Impaziente,

esorto Marco a informarsi presso qualcuno. Lui mi risponde che affar mio, anche se non sono mai stata in Kenya e non parlo l'inglese. Ma stata sua l'idea di andare a Mombasa! Ripenso tristemente al masai, che gi un chiodo fisso nella mia mente. Si ormai fatto buio e noi continuiamo a litigare. Sono gi partiti tutti gli autobus quando a un tratto qualcuno ci saluta a bassa voce. Ci voltiamo contemporaneamente e quasi mi si ferma il cuore: il mio masai. E' di una testa pi alto di me, anche se io sono gi uno e ottanta. Ci guarda e ci parla in una lingua che nessuno dei due comprende. Sento il mio cuore battere fin quasi a scoppiare e mi tremano le ginocchia. Sono sconvolta. Intanto Marco cerca di spiegare dove dobbiamo andare. No problem, dice il masai, basta aspettare. Trascorre circa mezz'ora, durante la quale non faccio altro che guardarlo. Lui quasi non bada a me. Marco invece molto irritato: Che cosa ti sta succedendo? E' addirittura insolente il modo in cui stai fissando quest'uomo, mi vergogno. Controllati, non ti riconosco pi!. Il masai rimane vicino a noi senza dire una parola. avverto la sua presenza attraverso il profilo del suo lungo corpo e il suo profumo voluttuoso. Accanto alla stazione degli autobus ci sono piccoli negozi che sembrano baracche. Offrono tutti gli stessi prodotti: t, dolci, verdura, frutta e carne appesa con i ganci al soffitto. Davanti alle botteghe, solo scarsamente illuminate da lampade a petrolio, stanno in piedi alcune persone vestite di stracci. Qui i bianchi danno molto nell'occhio. Marco preoccupato: Torniamo a Mombasa e cerchiamo un taxi. Il masai non capisce cosa vogliamo e poi non mi fido di lui, sembra che ti abbia proprio stregato. A me, a dire il vero, pare un caso del destino che proprio lui, tra tutti i neri, si sia avvicinato a noi. Quando poco dopo si ferma un autobus, il masai ci chiama, sale con un balzo e occupa due posti. Mi chiedo se scender o verr con noi, e quando si siede dall'altro lato del corridoio proprio dietro a Marco mi tranquillizzo. L'autobus percorre una strada di campagna completamente al buio. Ogni tanto tra le palme e i cespugli si intravede un fuoco che suggerisce una presenza umana. Di notte sembra tutto diverso, e cos perdiamo completamente l'orientamento. A Marco il tratto sembra troppo lungo e vorrebbe scendere. Cerco di convincerlo a restare, e dopo qualche parola del masai capisce che possiamo fidarci. Io non ho paura, al contrario. Vorrei che questo viaggio continuasse per sempre. La presenza di Marco invece incomincia a seccarmi. Vede tutto negativo e mi oscura la visuale! Fremo dal desiderio di sapere che cosa accadr quando arriveremo all'albergo. Dopo un'ora buona giunge il momento temuto. L'autobus si ferma. Marco, sollevato, ringrazia e scende. Guardo ancora una volta il masai e senza dire una parola mi precipito fuori. Lui prosegue, non so per dove, forse addirittura per la Tanzania. Da quel momento l'atmosfera spensierata delle vacanze svanisce. Rifletto molto su me stessa, su Marco e sul mio lavoro. Da quasi cinque anni stavo gestendo a Biel una boutique d'lite di vestiti di seconda mano con un reparto per abiti da sposa. Dopo le iniziali difficolt gli affari andavano benone, e nel frattempo avevo tre sarte alle mie dipendenze. A ventisette anni il mio tenore di vita era gi piuttosto alto.

Avevo conosciuto Marco in occasione di alcuni lavori di falegnameria per l'allestimento della boutique. Era gentile e allegro. Ero appena arrivata a Biel e non conoscevo nessuno. Un giorno avevo accettato il suo invito a pranzo. Lentamente la nostra amicizia si era approfondita e a sei mesi di distanza ci eravamo messi insieme. A Biel eravamo considerati la coppia dei sogni, avevamo molti amici e tutti erano in attesa della data del nostro matrimonio. Ma io ero completamente assorbita dal mio ruolo di donna d'affari e stavo cercando un secondo negozio a Berna. Non mi restava molto tempo per pensare al matrimonio o ai figli. Marco, da parte sua, non era molto contento di questi progetti. Il fatto che i miei guadagni superassero di molto i suoi indubbiamente lo preoccupava e, negli ultimi tempi, avevamo avuto dei contrasti. E ora questa esperienza completamente nuova! Cerco di comprendere cosa mi sta succedendo, e mi accorgo che i miei sentimenti per Marco si sono raffreddati al punto che quasi non lo vedo pi. Questo masai si impresso nella mia testa. Non riesco nemmeno a mangiare. In albergo abbiamo ottimi buffet, ma non posso ingerire nulla, mi sembra di avere un nodo nello stomaco. Per tutto il giorno scruto la spiaggia o faccio passeggiate nella speranza di incontrarlo. Qua e l vedo qualche masai, ma sono meno alti e molto lontani dalla sua bellezza. Marco mi lascia fare, anche perch sa di non potersi opporre. E' fermamente convinto che al nostro ritorno tutto si normalizzer e non vede l'ora che ci accada. Ma questo paese ha sconvolto la mia vita: nulla sar pi come prima. Marco decide di fare un safari nel Masai-Mara. L'idea non mi alletta molto, perch in questo modo non avr pi alcuna chance di rivedere il masai, ma acconsento a una gita di due giorni. Il viaggio in autobus verso l'interno del paese lungo e faticoso. Gi dopo alcune ore Marco comincia a lamentarsi: Non valeva la pena di addossarsi tanta fatica per questi pochi elefanti e leoni, li avremmo anche potuti vedere a casa, allo zoo. Invece a me il viaggio piace. Dopo poco tempo raggiungiamo i primi villaggi masai. L'autobus si ferma e l'autista chiede se vogliamo visitare le capanne e incontrare gli abitanti. Certo dico io attirando su di me gli sguardi critici dei partecipanti. Dopo che l'autista ha contrattato il prezzo, possiamo scendere e camminare sul pantano argilloso con le nostre scarpe da ginnastica bianche, stando attenti a evitare lo sterco di mucca. Non appena raggiungiamo le loro capanne, chiamate manyatta, le donne, con una schiera di bambini attorno, si precipitano su di noi tirando e strappando i nostri vestiti: vogliono scambiare ci che indossiamo con lance, tessuti o ornamenti. Nel frattempo gli uomini sono stati attirati nelle capanne. Io non sono in grado di fare un passo di pi in questo pantano. Quindi mi allontano dalle donne e mi precipito nel safari-bus, con centinaia di mosche al seguito. Anche gli altri partecipanti s'affrettano in direzione dell'autobus e gridano all'autista: Andiamocene. Ora, dice lui sorridendo, siete avvertiti su questa trib, su questi ultimi incivili del Kenya. Perfino il governo ha dei problemi con loro. Sull'autobus c' una puzza terribile e le mosche sono una vera piaga. Ecco, dice Marco ridendo, ora almeno lo sai

da dove viene il tuo belloccio e com' la vita da loro. Stranamente, in quei minuti non avevo pi pensato al mio masai. Continuiamo il viaggio in silenzio, passando in mezzo a grandi branchi di elefanti. Nel pomeriggio arriviamo in un albergo turistico. Pensare di pernottare lussuosamente in questo luogo quasi deserto d una sensazione irreale. Per prima cosa occupiamo le nostre camere e ci buttiamo sotto la doccia. Il viso, i capelli, tutto appiccicoso. Poi viene organizzata una sontuosa cena e persino io, dopo quasi cinque giorni di inappetenza, sento qualcosa che assomiglia a un languore. La mattina seguente ci alziamo molto presto per vedere i leoni, e infatti troviamo tre animali ancora addormentati. Quindi inizia il lungo viaggio di ritorno. A mano a mano che ci avviciniamo a Mombasa, si impossessa di me uno strano senso di felicit: nella settimana scarsa che trascorreremo ancora qui devo ritrovare il mio masai. Di sera in albergo viene presentato un ballo masai seguito dalla vendita di ornamenti. Spero ardentemente di rivederlo qui. Quando entrano i guerrieri siamo seduti in prima fila: sono circa venti uomini bassi, alti, belli, brutti, ma il mio masai non tra loro. Sono delusa. Ci nonostante la rappresentazione mi piace e riconosco gi il loro sudore, decisamente diverso da quello di altri africani. Si dice che nelle vicinanze dell'albergo ci sia una pista da ballo all'aria aperta, la Bush-Baby-Disco, frequentata anche dagli indigeni. Marco, vieni, andiamo a cercare questo locale dico. E nonostante lui non sia entusiasta la direzione dell'albergo ha avvertito che pericoloso , riesco a impormi. Dopo una breve camminata lungo la strada buia si intravede qualche luce e si sente della musica rock in lontananza. Entriamo e l'atmosfera mi piace subito. Finalmente! Non una delle solite discoteche da albergo, spoglie e climatizzate, ma una pista da ballo a cielo aperto con due o tre bar disseminati tra le palme. Ovunque ci sono turisti e indigeni sugli sgabelli davanti ai banconi. L'ambiente informale. Ci sediamo a un tavolo. Marco ordina della birra e io una coca-cola. Poi ballo, da sola perch a lui non piace. Verso mezzanotte fanno il loro ingresso nella discoteca alcuni masai. Li guardo con attenzione ma riconosco soltanto quelli che hanno partecipato alla rappresentazione in albergo. Delusa, torno al tavolo. Decido di trascorrere le restanti serate in quella discoteca, mi sembra di non avere altra possibilit di ritrovare il mio masai. Marco protesta, ma non vuole stare da solo in albergo. Cos, ogni sera dopo cena ci incamminiamo verso la Bush-Baby-Disco. Alla seconda serata, siamo al 21 dicembre Marco gi stanco di queste uscite. Gli prometto che sar l'ultima volta. Come sempre prendiamo posto al tavolo sotto la palma di cui, in qualit di avventori abituali, ci siamo ormai impadroniti. Decido di fare un ballo solitario tra una folla di neri e di bianchi. Deve venire a tutti i costi! Alle undici, quando sono gi in un bagno di sudore, si apre la porta: il mio masai! Dopo aver affidato la sua lancia agli agenti della sicurezza, con passi lenti va verso un tavolo e si siede con la schiena rivolta a me. Le ginocchia mi tremano, riesco a malapena a reggermi in piedi. Sono in un bagno di sudore. Per non cadere mi appoggio a una colonna a lato della pista.

Cerco di riflettere sul da farsi. Da giorni stavo aspettando questo momento. Con la massima calma possibile torno al nostro tavolo e dico a Marco: Guarda, c' il masai che ci ha dato una mano. Invitalo al nostro tavolo e offriamogli una birra per ringraziarlo. Marco si gira, e in quell'istante il masai ci vede. Fa un cenno con la mano, si alza e viene da noi: Hello, friends!. Sorridendo ci porge una mano liscia e morbida. Prende posto accanto a Marco, proprio di fronte a me. Perch non so l'inglese! Marco tenta di imbastire una conversazione e scopriamo che anche il masai lo parla a stento. Cerchiamo di farci capire a gesti. A un certo punto guarda Marco, poi me, e quindi chiede, indicandomi: Your wik.Sul yes, yes di Marco reagisco indignata: No, only boyfriend, no married!. Il masai non capisce. Chiede se abbiamo dei figli. Ripeto: No, no! No married!. Non era mai stato tanto vicino a me prima d'ora. Soltanto il tavolo ci separa, posso mangiarmelo con gli occhi a mio piacimento. E' di una bellezza incantevole: gli ornamenti, i capelli lunghi, lo sguardo fiero! Vorrei che il tempo si fermasse. A un certo punto chiede a Marco: Perch non balli con tua moglie? e quando Marco gli risponde che preferisce bersi la sua birra, colgo l'occasione per fargli capire che vorrei ballare con lui. Allora guarda Marco, e non essendoci alcuna reazione acconsente. Balliamo, lui salterellando come fosse un ballo popolare, io alla maniera europea. Non muove un solo muscolo del viso. Non riesco a capire se gli piaccio. Che strano uomo: cos estraneo e al tempo stesso magnetico come una calamita. Dopo due pezzi arriva un lento e mi viene voglia di abbracciarlo forte. Ma cerco di trattenermi, e per non perdere il controllo della situazione lascio la pista. Tornata al tavolo, la reazione di Marco pronta: Vieni Corinne, torniamo in albergo, sono stanco. Ma io non ne ho voglia. Il masai gesticola ancora con Marco. Vuole invitarci, per il giorno seguente, a visitare il posto dove abita e presentarci una sua amica. Acconsento prontamente prima che Marco possa rifiutare. Ci diamo appuntamento davanti all'albergo. Quella notte non riesco a prendere sonno, e verso l'alba vedo con chiarezza che la relazione con Marco finita. Di fronte al suo sguardo interrogativo, d'un tratto esplodo: Marco, non ne posso pi. Non so che cosa mi sia successo con quell'uomo del tutto estraneo. So solo che questo sentimento pi forte di ogni ragione. Marco mi consola e mi dice in tono comprensivo che una volta tornati in Svizzera tutto si sistemer. Pateticamente rispondo: Non voglio tornare. Voglio restare in questo bel paese, con la sua gente amabile e soprattutto con questo incantevole masai. chiaro che Marco non pu capirmi. Il giorno dopo, sotto un sole cocente, come d'accordo ci troviamo davanti all'albergo. D'un tratto compare dall'altro lato della strada, e l'attraversa. Dopo un breve saluto dice: Come, come!, e noi lo seguiamo. Camminiamo per circa venti minuti in mezzo alla sterpaglia. Qua e l ci saltano davanti delle scimmie, alcune sono grandi la met di noi. Il suo portamento mi incanta di nuovo. Pare quasi che non tocchi terra, ma si libri nell'aria, anche se ha i piedi infilati in pesanti sandali fatti di pneumatici. Al confronto io e Marco sembriamo due pachidermi.

Spuntano cinque capanne rotonde, disposte a cerchio e simili a quelle dell'albergo, ma molto pi piccole. Al posto del calcestruzzo ci sono pietre naturali disposte a strati, intonacate con argilla rossa. Il tetto fatto di paglia. Davanti a una casetta sta una donna robusta con un grande seno. Il masai ce la presenta come una sua conoscente, Priscilla, e solo in quel momento veniamo a sapere anche il suo nome: Lketinga. Priscilla ci saluta cordialmente, e il suo buon inglese ci sorprende. You like tea ci chiede. Io accetto ringraziando. Marco ritiene che faccia troppo caldo e preferirebbe una birra. Ma chiaro che questo resta un desiderio. Priscilla tira fuori un piccolo fornello a spirito, lo appoggia in terra ai nostri piedi e aspettiamo che l'acqua incominci a bollire. Raccontiamo della Svizzera, del nostro lavoro e chiediamo da quanto tempo vivono qui. Priscilla abita sulla costa gi da dieci anni, mentre Lketinga nuovo del posto, arrivato solo da un mese, per questo sa ancora poco l'inglese. Facciamo delle foto e ogni volta che sono vicino a Lketinga sento un'attrazione straordinaria. Devo controllarmi per non toccarlo. Beviamo il t, squisito ma bollente. Quasi ci scottiamo le dita con le tazze smaltate. All'imbrunire Marco dice: Vieni, ora dobbiamo pensare al ritorno. Ci congediamo da Priscilla scambiandoci gli indirizzi con la promessa di scriverci. Con un peso sul cuore mi affretto dietro a Marco e Lketinga. Davanti all'albergo Lketinga chiede: Tomorrow Christmas, you come again to Bush-Baby. Lo guardo con occhi raggianti e prima che sia Marco a rispondere esclamo: Yes!. Mancano quattro giorni alla partenza e mi sono proposta di comunicare al mio masai che finite le vacanze lascer Marco. Paragonato ai miei sentimenti per Lketinga, tutto quello che c' stato prima mi appare ridicolo. Il giorno successivo vorrei farglielo capire in qualche modo e dirgli anche che presto torner da sola. Un'unica volta, per un attimo, mi chiedo che cosa provi lui per me, ma subito mi do la risposta: di certo le stesse cose! E' la vigilia di Natale. A quaranta gradi all'ombra, per, non si percepisce alcuna atmosfera natalizia. La sera mi faccio bella il pi possibile e indosso il vestito migliore. Per festeggiare abbiamo ordinato al tavolo dello champagne: tanto caro quanto cattivo e viene servito troppo caldo. Alle dieci ancora nessuna traccia di Lketinga e dei suoi amici. Cosa accadr se proprio oggi non viene? Restiamo qui ancora domani e il mattino dopo si parte molto presto per l'aeroporto. Piena di speranza fisso la porta augurandomi ardentemente che venga. In quel momento spunta un masai. Si guarda in giro e poi si avvicina a noi esitante. Ci saluta con un hello e chiede se siamo noi i bianchi che hanno appuntamento con Lketinga. Mentre facciamo segno di s sento un nodo in gola e sudo freddo. Ci riferisce che nel pomeriggio Lketinga, nonostante il divieto per gli indigeni, stato sulla spiaggia, dove altri neri l'hanno preso in giro per i suoi capelli e il suo abbigliamento. Da fiero guerriero ha difeso la pelle colpendo gli avversari con il suo rungu, il randello dei masai. I poliziotti di pattuglia sulla spiaggia, non comprendendo la sua lingua, l'hanno portato via senza indugio. Si trova da qualche parte in una prigione sulla costa. Lui venuto, dice,

per comunicarcelo e per augurarci un buon rientro da parte di Lketinga. Marco traduce, e quando comprendo cosa accaduto mi sento crollare il mondo addosso. Solo con grande sforzo riesco a trattenere le lacrime di delusione. Imploro Marco: Chiedigli che cosa possiamo fare, domani il nostro ultimo giorno!. Marco risponde freddo: Qui cos, non possiamo fare nulla e sono contento che manchi poco al nostro rientro a casa. Insisto: Edy, cos si chiama il masai, possiamo cercarlo?. S, ha intenzione di raccogliere i soldi presso gli altri masai e di partire il giorno successivo alle dieci per cercarlo. Ma difficile perch non si sa in quale delle cinque prigioni della costa l'hanno portato. Chiedo a Marco di accompagnarlo, in fondo Lketinga ci ha dato una mano quando ne abbiamo avuto bisogno. Dopo qualche esitazione acconsente e cos ci diamo appuntamento alle dieci davanti all'albergo. Non riesco a chiudere occhio per tutta la notte. Ancora non so cosa mi sia successo. So solo che desidero rivedere Lketinga, anzi devo rivederlo prima del mio ritorno in Svizzera. Alla ricerca di Lketinga. Marco ci ha ripensato e resta in albergo. Tenta ancora di dissuadermi, ma contro questa forza che mi impone di andare i migliori consigli non possono nulla. Cosi lo lascio in albergo e prometto di rientrare verso le due. Edy e io prendiamo un matatu per andare a Mombasa. E' la prima volta che uso questo tipo di taxi. E' un minibus con circa otto posti a sedere. Quando si ferma ci sono gi tredici persone dentro, pigiate tra i bagagli. Il controllore sta appeso all'esterno del veicolo. Guardo quel trambusto sconsolata. Go, go n! dice Edy. Cos mi arrampico tra borse e gambe e mi accuccio per non cadere addosso agli altri nelle curve. Dopo circa quindici chilometri, grazie a Dio scendiamo. Siamo a Ukunda, il primo grande villaggio con una prigione. Entriamo insieme. Ancora prima di aver messo piede sulla soglia ci ferma un tipo massiccio. Guardo Edy con aria interrogativa. Si mette a trattare e alcuni minuti dopo l'uomo apre una porta alle proprie spalle. All'interno buio, io sono fuori al sole e quindi non riesco a distinguere molto. In compenso ci colpisce un fetore talmente rivoltante che vengo colta immediatamente da un attacco di nausea. Il grassone urla qualcosa dentro il buco scuro e dopo un paio di secondi compare un uomo molto malandato. Sembra un masai, ma senza ornamenti. Spaventata scuoto la testa e chiedo a Edy: E' l'unico masai qui?. ovviamente cos e il prigioniero viene ricacciato dentro tra i compagni rannicchiati a terra. Ce ne andiamo, e Edy vuole proseguire: Vieni, prendiamo un altro matatu - sono pi veloci dei grandi autobus - e continuiamo la ricerca a Mombasa. Un altro passaggio con il traghetto Likoni e poi un autobus fino alla prigione locale. E' molto pi grande dell'altra. Anche qui i bianchi sono malvisti. L'uomo dietro alla barriera non si cura di noi. Legge il giornale annoiato mentre noi restiamo in attesa perplessi. Allora do una spintarella a Edy: Chiedi un po'!. Non succede niente finch Edy non mi spiega che devo mettere sul banco alcuni scellini del Kenya. Ma quanti? Prima d'allora non avevo mai dovuto corrompere nessuno. Prendo cento scellini, che valgono circa dieci franchi svizzeri. Fingendo

di non dare troppo peso alla cosa il poliziotto raccoglie il denaro, e finalmente alza lo sguardo. No, ultimamente nessun masai di nome Lketinga stato portato qui. Ci sono due masai, ma sono molto pi bassi di quello descritto. Li voglio vedere comunque, forse si sbaglia, e il denaro l'ha gi preso. Guardandomi male si alza, prende la chiave e apre una porta. Sono sconvolta da quello che vedo. In una stanza senza finestre sono stipate diverse persone, alcune su cartoni, altre su giornali, altre ancora sul nudo suolo di calcestruzzo. Accecate dal raggio di luce cercano di proteggersi gli occhi con le mani. Solo uno stretto corridoio rimane libero tra i corpi accovacciati. Un istante dopo capisco anche il perch: sta arrivando un impiegato per versarvi del cibo da un bidone, direttamente per terra. E' inconcepibile, questo il modo di dare da mangiare ai maiali, nella migliore delle ipotesi! Alla parola masai escono due uomini, ma nessuno di loro Lketinga. Sono scoraggiata. Che cosa mai mi aspetter se lo trover? Andiamo in centro, prendiamo un altro matatu e procediamo rumorosamente per la costa settentrionale. Edy cerca di calmarmi dicendomi che dovrebbe trovarsi l. Ma non arriviamo neanche all'ingresso. Un poliziotto armato ci chiede che cosa desideriamo. Edy glielo spiega, ma l'altro scuote la testa: da due giorni non hanno nessun nuovo arrivo. Ce ne andiamo e non so pi cosa fare. Edy dice che gi tardi per essere di ritorno alle due. Ma non ho voglia di tornare in albergo. Mi rimane solo un giorno per ritrovare Lketinga. Edy propone allora di chiedere di nuovo alla prima prigione, perch i detenuti sono trasferiti frequentemente. Sotto il sole cocente torniamo quindi a Mombasa. Il nostro traghetto ne incrocia un altro che sta andando nella direzione opposta, carico quasi esclusivamente di veicoli. Tra questi ne spicca uno in particolare. E' di un verde stridente e ha delle sbarre. Edy riconosce il furgone dei prigionieri. Mi viene male pensando a quelle povere creature, ma non vado oltre. Sono stanca, ho sete e sono grondante di sudore. Alle 14.30 siamo nuovamente a Ukunda. Davanti alla prigione c' ora un altro guardiano, che sembra molto pi gentile. Edy ancora una volta si presenta e spiega chi stiamo cercando. Segue una vivace discussione. Non capisco nulla. Edy, cosa succede? Mi racconta che Lketinga stato portato un'oretta prima sulla costa settentrionale dalla quale siamo appena tornati. Dice che stato a Kwale, poi per poco tempo l e in quel momento per strada in direzione della prigione dove dovr restare fino al processo. Comincio a perdere la lucidit. Abbiamo viaggiato tutta la mattina ed passato di fronte a noi mezz'ora fa, nel cellulare verde. Edy mi guarda scoraggiato. Crede che sia meglio andare in albergo, dice che domani ritenter, ora sa dove si trova Lketinga, e mi chiede di dargli del denaro per riscattarlo. Non rifletto a lungo e prego Edy di accompagnarmi un'altra volta sulla costa settentrionale. Non entusiasta, ma accetta. Mentre ripercorriamo la strada in silenzio mi chiedo senza sosta: perch Corinne, perch fai tutto questo? Che cosa voglio dire a Lketinga? Non lo so, questa forza inquietante semplicemente mi spinge avanti.

Poco prima delle sei raggiungiamo di nuovo la prigione sulla costa settentrionale. C' ancora lo stesso tipo armato. Ci riconosce e riferisce che Lketinga arrivato da due ore e mezza circa. Ora sono completamente sveglia. Edy spiega che vorremmo far uscire il prigioniero. Il guardiano scuote la testa e dice che prima di San Silvestro non possibile perch non c' ancora stato il processo e il capo della prigione in ferie fino a capodanno. Avevo considerato ogni eventualit ma non questa. Neanche con il denaro possibile liberare Lketinga. Con grande fatica riesco a convincere il guardiano a farmelo vedere almeno per dieci minuti dicendogli che il giorno dopo partir. Quando Lketinga esce dalla cella raggiante. Ma nel vederlo rimango profondamente sconvolta. Non porta pi ornamenti, ha i capelli avvolti in un panno sporco e puzza in modo spaventoso. Ci nonostante sembra contento ed meravigliato soltanto perch sono venuta senza Marco. Potrei urlare, ma lui non si accorge di nulla! Gli dico che domani prenderemo l'aereo, ma io torner al pi presto. Gli scrivo il mio indirizzo e lo prego di darmi il suo. A fatica annota il suo nome e la casella postale. Riesco appena a porgergli il denaro che gi il guardiano se lo porta via. Andandosene si volta, ringrazia e mi dice di salutare Marco. Quando torniamo alla fermata dell'autobus sta per calare la sera. Solo allora mi rendo conto di quanto sono sfinita. D'un tratto scoppio in una crisi di pianto convulso. Nel matatu sovraffollato tutti gli occhi sono fissi sulla bianca che piange con il masai. Non m'importa, vorrei morire. Quando arriviamo al traghetto Likoni sono gi le otto di sera. Mi torna in mente Marco e mi assale un terribile senso di colpa per essere stata fuori pi di sei ore oltre il tempo stabilito. Mentre aspettiamo il traghetto, Edy mi comunica: No bus, no matatu to Diani-Beach. Mi sembra di non aver sentito bene. Dopo le ore 20 gli autobus pubblici non arrivano pi fino all'albergo. Non pu essere vero! E' buio, il traghetto vicino, ma sull'altra riva non potremo proseguire il nostro viaggio. Cerco tra le auto in attesa per vedere se ci sono dei passeggeri bianchi. Due safari-bus stanno tornando a casa. Busso sul vetro e chiedo se posso andare con loro. L'autista dice di no, non pu caricare estranei. Dentro ci sono degli indiani che hanno gi occupato tutti i posti. All'ultimo momento sulla rampa arriva un'auto. Sono fortunata: dentro ci sono due suore italiane alle quali posso spiegare il mio problema. Vista la situazione sono disposte a portare me e Edy all'albergo. Viaggiamo nel buio per un'ora e tre quarti. Adesso ho paura di Marco. Come reagir? Se mi desse uno schiaffo lo capirei, avrebbe pienamente ragione. S, addirittura mi auguro che lo faccia, forse mi spronerebbe a ritornare in me. Ancora non capisco cosa mi sta succedendo e perch ho perso il controllo al di l di ogni ragionevole motivo. Mi accorgo di essere stanca come mai prima e ho una grande paura, di Marco e di me stessa. Davanti all'albergo mi congedo da Edy e poco dopo sono di fronte a Marco. Mi guarda triste. Niente urla, niente parole, soltanto quello sguardo. Mi getto nelle sue braccia e piango di nuovo. Marco mi porta nella nostra casetta e cerca di tranquillizzarmi. Mi sarei aspettata qualunque cosa ma

non un'accoglienza cos affettuosa. Dice soltanto: Corinne, tutto a posto, sono tanto contento che tu sia ancora viva. Stavo per andare alla polizia a fare una denuncia di scomparsa. Avevo gi smesso di sperare e pensavo di non rivederti pi. Vuoi che vada a prenderti qualcosa da mangiare?. Senza aspettare la mia risposta, se ne va e torna con un piatto pieno. Ha un aspetto delizioso e per amor suo mangio pi che posso. Solo a cena finita chiede: Almeno l'hai trovato?. S rispondo, e gli racconto tutto. Guardandomi dice: Sei pazza, ma molto tenace. Se vuoi qualcosa non molli; ma perch non posso esserci io al posto di quel masai?. Appunto, gli rispondo, proprio questo non so. Non so neanche spiegarmi quale magico segreto circondi quell'uomo. Se qualcuno due settimane prima mi avesse detto che mi sarei innamorata di un guerriero masai, mi sarei messa a ridere. Ora mi trovo nel pieno di un enorme sconvolgimento. Durante il viaggio di ritorno Marco mi chiede: Come andr avanti tra noi ora, Corinne? Sta a te. Mi difficile fargli capire la portata della mia confusione. Mi cercher una casa al pi presto, anche se non sar per molto tempo perch voglio tornare in Kenya, forse per sempre gli rispondo. Marco scuote la testa sconsolato. Sei lunghi mesi. Passano due mesi prima che riesca a trovare un nuovo appartamento vicino a Bici. Il trasloco semplice: porto con me solo i vestiti e alcuni oggetti personali, il resto lo lascio a Marco. La cosa pi difficile rinunciare ai miei due gatti ma vista la mia prossima partenza questa l'unica soluzione possibile. Continuo a gestire la boutique, ma con meno impegno perch penso sempre al Kenya. Mi procuro tutto quello che riesco a trovare su quel paese, anche la musica. Dalla mattina presto a tarda notte ascolto canzoni suaheli in negozio. Naturalmente le mie clienti si accorgono della mia distrazione, ma non mi va di raccontare nulla. Ogni giorno aspetto la posta. Alla fine, dopo quasi tre mesi, ricevo un messaggio, non da Lketinga ma da Priscilla. Tra le molte cose insignificanti, vengo a sapere che Lketinga, tre giorni dopo la nostra partenza, stato liberato. Scrivo subito all'indirizzo che mi aveva dato Lketinga per comunicargli la mia intenzione di tornare in Kenya da sola a giugno o a luglio. Passa un altro mese e finalmente ricevo una lettera di Lketinga. Mi ringrazia per l'aiuto e dice che gli farebbe molto piacere se io rivisitassi il suo paese. Mi precipito subito nella pi vicina agenzia di viaggi e prenoto nello stesso albergo per tre settimane a luglio. Non resta che aspettare. Sembra che il tempo si sia fermato, le giornate mi sembrano interminabili. Solo uno dei nostri comuni amici mi rimasto fedele. Ogni tanto si fa vivo e ci incontriamo per un bicchiere di vino. Sembra che mi capisca, almeno in parte. Il giorno della partenza si avvicina ma sono irrequieta perch alle mie lettere risponde solo Priscilla. E ci nonostante non demordo; continuo a essere convinta che senza quell'uomo non potr mai essere felice. Nel frattempo ho imparato un po' meglio l'inglese: la mia amica Jelly, che anche la compagna del mio fratello minore Eric, mi d lezioni ogni giorno. Tre settimane prima della partenza decidono di venire con me. I sei mesi pi lunghi

della mia vita sono passati. L'aereo si alza in volo. Il nuovo incontro. E' il luglio del 1987 quando, dopo circa nove ore di volo, atterriamo a Mombasa. Ci avvolge lo stesso caldo, la stessa aura. Ma questa volta tutto mi familiare: Mombasa, il traghetto e il lungo viaggio in autobus fino all'albergo. Sono tesa. Sar venuto? Alla reception dietro di me sento risuonare un hello!. Ci voltiamo ed eccolo! E' raggiante, sorride e si avvicina. I sei mesi sono come svaniti nel nulla. Gli do una pacca sulla spalla e dico: Jelly, Eric, guardate, questo Lketinga. Mio fratello imbarazzato e si mette a rovistare nella borsa, Jelly sorride e lo saluta. Faccio le presentazioni. Per quanto mi riguarda, per il momento non vado oltre una stretta di mano. Nel caos generale dell'albergo per prima cosa occupiamo la nostra casetta mentre Lketinga aspetta al bar. Finalmente riesco a chiedere a Jelly: Allora, come lo trovi?. Cerca le parole per rispondere: Un po' speciale, forse dovr abituarmi a lui, al momento mi sembra un po' strano e selvaggio. Mio fratello non dice niente. Io penso, un po' delusa, che l'entusiasmo evidentemente solo mio. Mi cambio e vado al bar, dove trovo Lketinga con Edy. Mi fa piacere salutare anche lui. Quindi cerchiamo di raccontarci tutto. Da Lketinga vengo a sapere che poco tempo dopo la scarcerazione era tornato alla sua trib, per rientrare a Mombasa solo la settimana precedente, e che Priscilla gli aveva comunicato la notizia del mio arrivo. Inoltre mi dice che la possibilit che abbiamo di salutarci nell'albergo un caso eccezionale: normalmente i neri che non ci lavorano non hanno libero accesso. Mi accorgo che senza l'aiuto di Edy non sono in grado di raccontargli quasi nulla. Il mio inglese ancora rudimentale, e Lketinga non sa dire pi di dieci parole. Cos stiamo seduti muti sulla spiaggia e semplicemente ci guardiamo negli occhi, mentre Jelly e Eric trascorrono la giornata al bordo della piscina e in camera. Lentamente cala la sera e io mi chiedo come andr a finire. Non possiamo pi restare in albergo e al di l della prima stretta di mano non successo molto. E' dura dopo aver aspettato un uomo per sei mesi. In quel periodo immaginavo spesso di essere tra le sue braccia, mi figuravo baci e notti tempestose. Adesso ho addirittura paura di toccare il suo braccio bruno. Cos m'abbandono completamente al senso di felicit suscitato in me dalla sua semplice presenza. Eric e Jelly vanno a dormire, stremati dal lungo viaggio e dal caldo soffocante. Lketinga e io camminiamo lentamente in direzione della Bush-Baby-Disco. Mi sento una regina accanto a lui. Prendiamo posto a un tavolo e guardiamo la gente che balla. Lketinga ride molto spesso, e poich la comunicazione difficile stiamo semplicemente seduti ad ascoltare la musica. La sua vicinanza e l'atmosfera del locale mi turbano. Mi piacerebbe accarezzargli il viso o addirittura baciarlo. Quando finalmente arrivano i lenti, gli prendo le mani e indico la pista da ballo. Lui rimane in silenzio e non prende alcuna iniziativa. Ma all'improvviso ci abbracciamo e cominciamo a muoverci a tempo di musica. La tensione cala. Tremo in tutto il corpo, ma questa volta posso reggermi a lui. Sembra

che il tempo si sia fermato, e lentamente si risveglia il mio desiderio di quest'uomo che ho sognato per sei lunghi mesi. Non oso guardarlo. Che cosa penser di me? So cos poco di lui! Quando il ritmo della musica cambia torniamo ai nostri posti e scopro che eravamo i soli a ballare. Mi sembra di sentire dozzine e dozzine di sguardi su di noi. Stiamo seduti insieme ancora per un po' prima di andarcene. Quando mi porta all'albergo la mezzanotte passata da tempo. All'ingresso ci guardiamo negli occhi e credo di percepire nei Suoi un espressione nuova, un misto di meraviglia ed eccitazione. Finalmente oso avvicinarmi alla sua bella bocca e premo dolcemente le mie labbra sulle sue, ma lui s'irrigidisce immediatamente e mi guarda quasi inorridito. What you do chiede, e fa un passo indietro. Sono amareggiata, non capisco,-provo vergogna, mi volto e con un nodo alla gola corro in albergo. A letto scoppio in un pianto convulso, mi crollato il mondo addosso. In testa ho un pensiero fisso: che lo desidero follemente ma sembra che lui non sappia che farsene di me. Alla fine in qualche modo mi addormento. Mi sveglio molto tardi, l'ora della prima colazione passata da tempo, ma la cosa mi lascia indifferente perch non ho appetito. In quello stato non voglio essere vista da nessuno, quindi metto un paio di occhiali da sole e cammino furtivamente lungo la piscina, dove mio fratello folleggia con Jelly come un gallo innamorato. Vado in spiaggia, mi sdraio sotto una palma e fisso il cielo azzurro. Era tutto qui? mi chiedo. Ho avuto un'intuizione cos sbagliata? No, si oppone una voce in me, dove avrei trovato altrimenti la forza di separarmi da Marco e di rinunciare per sei mesi a qualunque rapporto sessuale, se non da quest'uomo? D'un tratto avverto un'ombra sopra di me e mi sento toccare il braccio dolcemente. Aprendo gli occhi incontro il suo bel volto. Sorride di nuovo raggiante, e dice soltanto: Hello!. Per fortuna ho gli occhiali da sole sul naso. Mi scruta a lungo come a voler studiare il mio viso. Dopo qualche minuto chiede dove sono Eric e Jelly e mi comunica che quel pomeriggio siamo tutti invitati da Priscilla a prendere il t. Rimango sdraiata e fisso quei due occhi dolci e pieni di speranza. Ma poich non rispondo immediatamente la sua espressione muta, gli occhi si fanno pi scuri e nel suo sguardo si accende una scintilla di fierezza. Lotto con me stessa e alla fine domando a che ora dobbiamo andare. Eric e Jelly accettano. All'ora stabilita aspettiamo all'ingresso dell'albergo. Dopo circa dieci minuti si ferma un matatu sovraffollato, da cui scendono due gambe lunghe seguite dal lungo corpo di Lketinga. Ha portato anche Edy. Ricordo la strada per arrivare da Priscilla dall'ultima visita, mio fratello invece osserva con un certo scetticismo le scimmie che giocano e mangiano non lontano dal sentiero. Priscilla molto cordiale quando ci rivediamo. Tira fuori il suo fornello ad alcol e prepara il t. Mentre aspettiamo i tre discutono animatamente, e noi li osserviamo senza capire una parola. Le risate sono frequenti e intuisco che parlano anche di me. Dopo circa due ore ci congediamo e Priscilla ci invita ad andarla a trovare quando vogliamo. Sebbene abbia pagato in anticipo per altre due settimane,

decido di lasciare l'albergo e di trasferirmi da Priscilla. Sono stanca delle eterne serate in discoteca e delle cene senza di lui. La direzione dell'albergo mi avverte che non avr pi n il denaro n i vestiti. Anche mio fratello pi che scettico, ma mi d una mano a portare tutto nel bush. Lketinga si occupa del grande borsone da viaggio e sembra contento. Priscilla sgombera la sua capanna e si trasferisce da un'amica. All'imbrunire, quando non possiamo pi evitare il contatto fisico, mi siedo sulla branda e aspetto con il cuore in gola il momento tanto sospirato. Lketinga si siede accanto a me, in quel momento vedo solo il bianco dei suoi occhi, il bottone di madreperla sulla fronte e i bianchi anelli di avorio nelle orecchie. improvvisamente la situazione precipita. Lketinga mi spinge sulla branda e avverto subito la sua virilit eccitata. Ancor prima che io possa comprendere se il mio corpo pronto, sento un dolore e suoni strani. Ecco, tutto fatto. Vorrei piangere dalla delusione, me lo ero immaginato molto diverso. Solo in quel momento mi rendo pienamente conto di avere a che fare con una persona appartenente a una cultura molto diversa dalla mia. Ma qui le mie riflessioni s'interrompono perch il tutto sta per ripetersi. Dopo il terzo o quarto coito non tento pi di prolungarli in qualche modo con baci o carezze perch capisco che a Lketinga questo non piace. Finalmente l'alba. Aspetto che arrivi Priscilla e infatti verso le sette del mattino sento delle voci. Guardo fuori e trovo una bacinella piena d'acqua davanti alla porta. La porto dentro e mi lavo a fondo perch ho la pittura rossa di Lketinga su tutto il corpo. Lketinga sta ancora dormendo quando mi faccio viva da Priscilla. Ha gi preparato il t e me lo offre. Quando mi chiede come ho passato la mia prima notte in un alloggio africano non riesco a trattenermi. Mi ascolta visibilmente imbarazzata e alla fine dice: Corinne, noi non siamo come i bianchi. Torna da Marco, e vieni in Kenya per le ferie, ma non cercarti un uomo per la vita qui. Dai bianchi sa che loro sono buoni con le donne, anche di notte. Dice che gli uomini masai sono diversi: l'esperienza che ho appena fatto del tutto normale. I masai non si baciano, aggiunge. La bocca serve per mangiare, baciarsi - e qui il suo viso esprime disgusto - raccapricciante. Un uomo non tocca mai una donna al di sotto della cintola e una donna non ha il permesso di toccare i genitali dell'uomo. Anche i capelli e il viso sono tab. Non so se ridere o piangere. Desidero un uomo bellissimo e lui non mi permette nemmeno di toccarlo. Solo ora mi torna in mente la scena del bacio mancato, e sono costretta a credere a ci che mi si dice. Durante la conversazione Priscilla non mi guardava, le deve essere stato molto difficile parlare di questo argomento. Molte cose mi passano per la testa e dubito di avere capito tutto. D'un tratto ecco Lketinga al sole del mattino. Il suo corpo nudo, con il solo panno rosso avvolto attorno ai fianchi e i lunghi capelli rossi, fa sognare. L'esperienza della notte precedente svanisce e in quel momento so soltanto che voglio quest'uomo e nessun altro. Lo amo, e in fondo, mi dico, tutto si pu imparare. Pi tardi prendiamo un matatu in direzione di Ukunda, il villaggio grande pi vicino dove, in una casa da t locale, incontriamo altri masai. La costruzione consiste in un paio di

assi di legno inchiodati alla meno peggio, un tetto, un lungo tavolo e un paio di sedie. Il t viene bollito in un grande recipiente sopra il fuoco. Quando ci sediamo tutti mi guardano curiosi e sospettosi. E di nuovo parlano tra di loro, si tratta immancabilmente di me. Li osservo e stabilisco che nessuno bello e pacifico come Lketinga. Stiamo seduti per ore e ore, e non m'importa di non capire nulla. Il modo in cui Lketinga si prende cura di me commovente. Ordina spesso da bere e poi anche un piatto di carne. Sono pezzetti di capra che non vanno gi perch ancora sanguinanti e molto duri. Dopo tre bocconi non riesco pi a ingoiare nulla e faccio capire a Lketinga che vorrei che li mangiasse lui. Tuttavia, sebbene sia evidente che hanno fame, n lui n gli altri uomini prendono qualcosa dal mio piatto. Dopo mezz'ora ci alziamo e Lketinga cerca di spiegarmi qualcosa con le mani e i piedi. Io capisco soltanto che stanno per andare a mangiare e che io non posso unirmi a loro. Per io voglio accompagnarli ad ogni costo. No, big problem! You wait here mi dice. Poi li vedo sparire dietro a una parete e poco dopo arrivano montagne di carne. Trascorso un po' di tempo il mio masai torna. Sembra che abbia la pancia piena. Ancora non capisco perch dovevo restare l, ma lui dice soltanto: You wife, no lucky meat!. Chieder a Priscilla che cosa significa. Lasciamo la casa da t e torniamo alla spiaggia con il matatu. Scendiamo all'Africa-Sea-Lodge e decidiamo di fare una visita a Jelly e Eric. All'ingresso ci fermano, ma quando spiego al guardiano che vogliamo soltanto andare a trovare mio fratello e la sua fidanzata ci fa entrare senza opporsi. Alla reception il direttore mi saluta ridendo: So you will now come back in the hotel. Dico di no, il bush mi piace molto. Lui scrolla le spalle e risponde soltanto: Vedremo quanto durer!. Incontriamo i due accanto alla piscina. Eric mi viene incontro tutto eccitato: Era ora che ti facessi vedere. Mi chiede se ho dormito bene. Questa preoccupazione mi fa ridere e rispondo: Certamente conosco luoghi dove il pernottamento pi confortevole, ma ci nonostante sono felice!. Lketinga ride e chiede: Eric, what's the problem?. Alcuni bagnanti bianchi ci fissano e due o tre donne passano lentamente davanti al mio bel masai adornato e ridipinto di fresco ostentando la loro ammirazione. Lui non concede loro nemmeno uno sguardo, sentendosi piuttosto imbarazzato di fronte a tanta pelle nuda. Non restiamo a lungo perch vorrei fare qualche acquisto: petrolio, carta igienica e soprattutto una lampada tascabile. La notte precedente sono stata risparmiata e non mi sono dovuta recare alla toeletta del bush, ma non sar cos per sempre. I servizi si trovano all'esterno del villaggio, a due metri circa da terra, e sono raggiungibili attraverso una ripidissima scaletta da pollaio. In cima si trova una specie di casetta fatta di foglie di palma intrecciate, con due assi di legno da soletta e un grande buco nel centro. Troviamo tutto l'occorrente in un piccolo negozio dove si dice facciano la spesa anche gli impiegati dell'albergo. Solo adesso noto che tutto a buon mercato. Rispetto alle mie condizioni, a parte le batterie per la lampada, la spesa quasi gratis. Un paio di metri pi avanti si trova un'altra baracca con

su scritto Meat in rosso. Lketinga ne attratto. Al soffitto appeso un enorme gancio dal quale pende una capra spellata. Lketinga mi guarda interrogativo e dice: Very fresh! You take one kilo for you and Priscilla. Mi fa ribrezzo il pensiero di dover mangiare quella carne. Tuttavia acconsento. Il venditore prende una mannaia e taglia una coscia posteriore. Poi con altri due o tre colpi ricava la nostra porzione. Il resto viene nuovamente appeso al gancio. La carne viene quindi avvolta in carta da giornale e ci rimettiamo in cammino in direzione del villaggio. Priscilla gradisce molto il pensiero. Ci prepara del chai e va a prendere un altro fornello dalla vicina. La carne viene tagliata a pezzi, lavata e bollita per due ore in acqua salata. Nel frattempo beviamo il t che, col passare del tempo, incomincio ad apprezzare. Priscilla e Lketinga parlano senza sosta. Dopo un po' Lketinga si alza e dichiara che si allontaner per un po'. Gli chiedo che intenzioni ha, ma lui ribatte soltanto: No problem, Corinne, I come back mi sorride e sparisce. Domando a Priscilla dove sta andando. Lei risponde che di preciso non lo sa perch non lo si pu chiedere a un masai, ma pensa che vada a Ukunda. Per amor di Dio, cosa vuole fare a Ukunda, ci siamo appena stati! esclamo piuttosto sdegnata. Forse vuole mangiare qualcosa risponde Priscilla. Io fisso la carne che cuoce nella grande pentola di lamiera: Ma per chi allora questa?. E' per noi donne. Lketinga non pu mangiare questa carne. Un guerriero masai non mangia mai quello che ha toccato o guardato una donna. Non permesso assumere cibo in presenza delle donne, possono soltanto bere il t. Mi viene in mente la strana scena di Ukunda e diventa superfluo domandare a Priscilla per quale motivo erano tutti scomparsi dietro alla parete. Lketinga quindi non potr mai mangiare con me e io non potr mai cucinare per lui. E' strano ma questo fatto mi scuote pi della rinuncia forzata a fare del buon sesso. Quando in qualche modo mi riprendo, voglio saperne di pi. Come vanno le cose quando due persone sono sposate? Anche in questo caso la risposta mi delude. Vige il principio che la donna stia con i figli piccoli e l'uomo in compagnia di altri uomini della stessa classe d'et, nel caso specifico di guerrieri. Almeno uno di questi deve tenergli compagnia durante il pranzo. Non bene mangiare da soli. Resto senza parole. Le mie fantasie romantiche sulla cucina in comune e sui pranzi nel bush o nella semplice capanna crollano. E' difficile trattenere le lacrime, e Priscilla mi guarda allarmata. Poi scoppia in una risata, e questo mi mette quasi rabbia. Mi rendo conto che anche lei appartiene a un altro mondo e mi sento sola. Ma dove mai sar Lketinga... Si fatto buio e Priscilla serve la carne su due piatti ammaccati di alluminio. Nel frattempo mi venuta proprio fame. Assaggio e sono sorpresa di quanto sia morbida. Il gusto per molto strano: salata come fosse in salamoia. Mangiamo con le mani, senza parlare. E' tardi quando mi congedo per ritirarmi nella capanna lasciatami da Priscilla. Sono stanca, accendo la lampada a petrolio e mi sdraio sul letto. Fuori i grilli fanno cri cri. I miei pensieri tornano in Svizzera, a mia madre, al mio negozio e alla routine quotidiana di Biel. Com' diverso il mondo in Kenya! Nonostante le modeste condizioni di vita la gente sembra pi felice, forse cos proprio perch si accontentano

di poco. Quando faccio questi pensieri mi sento subito meglio. improvvisamente la porta si apre cigolando e compare sulla soglia un Lketinga ridente. Deve chinarsi per poter entrare. Guarda brevemente in giro e si siede sulla mia branda. Hello, how are you? You have eat meat chiede. Quando mi fa queste domande ed cos pieno di premure sto bene e mi prende un grande desiderio di lui. Alla luce della lampada a petrolio meraviglioso. Gli ornamenti luccicano, sul petto nudo scendono solo due collane di perline. Sapere che sotto il gonnellino non ha altro che la nuda pelle mi eccita molto. Prendo la sua mano bella e fresca e la premo forte sul mio viso. Mi sento legata a quest'uomo in fondo cos diverso da me, e so di amarlo. Lo tiro verso di me e avverto il peso del suo corpo sul mio. Premo la mia testa sulla sua e percepisco l'odore selvaggio dei suoi lunghi capelli rossi. Restiamo cos per un'eternit e mi accorgo che si sta eccitando anche lui. Ci separa solo il mio leggero vestito estivo, che tolgo. Mi penetra, e questa volta provo, anche se per pochissimo tempo, una nuova sensazione di felicit, pur senza arrivare al culmine del piacere. Sento che siamo una cosa sola e quella notte so di essere gi prigioniera del suo mondo nonostante tutti gli ostacoli. La stessa notte sento un fastidio al basso ventre e prendo la lampada tascabile che fortunatamente si trova sul letto vicino alla mia testa. E' probabile che mi sentano tutti quando apro la porta cigolante, dato che qui, salvo gli instancabili grilli, tutto tranquillo. Mi reco al gabinetto delle galline, che raggiungo appena in tempo. Poich il tutto si svolge in posizione rannicchiata mi tremano le gambe. Con le ultime forze rimaste mi tiro su, prendo la lampada, scendo la scaletta e torno alla casetta. Lketinga dorme tranquillo. Sulla branda mi stringo nello spazio tra lui e la parete. Quando mi sveglio sono gi le otto e il sole brucia forte, tanto che nella casetta fa un caldo soffocante. Dopo il consueto t vorrei lavarmi i capelli. Ma in che modo senza l'acqua corrente? Normalmente prendiamo l'acqua da taniche da venti litri che Priscilla ogni giorno riempie per me nel vicino pozzo a carrucola. Cerco di spiegare la mia intenzione a Lketinga usando il linguaggio delle mani. E' subito pronto ad aiutarmi: No problem. I help you!. Rovescia l'acqua sulla mia testa con una lattina. Poi, ridendo forte, mi fa lo shampoo. Si meraviglia che dopo tanta schiuma possano essermi rimasti ancora tutti i capelli in testa. Poi facciamo visita a mio fratello e a Jelly in albergo. Quando arriviamo si stanno godendo una generosa prima colazione. Vedendo quei cibi meravigliosi mi rendo conto di quanto sia magra la mia colazione. Questa volta racconto. Lketinga sta accanto in ascolto. Solo quando descrivo la mia escursione notturna e i due si guardano costernati chiede: What's the problem. No problem, rispondo ridendo, everything is okay. Invitiamo i due a pranzo da Priscilla. Vorrei preparare degli spaghetti. Loro sono d'accordo. Eric dice che troveranno la strada anche da soli. Ci restano due ore per procurarci spaghetti, salsa, cipolle e spezie. Lketinga non sa di che tipo d cibo stiamo parlando, ma ridendo dice: Yes, yes, it's ok. Prendiamo un matatu per il vicino supermercato, dove effettivamente

trovo quello che cercavo. Quando finalmente arriviamo al villaggio rimane poco tempo per cucinare. Preparo tutto accovacciata per terra. Priscilla e Lketinga osservano divertiti: This is no food!. Il mio masai fissa l'acqua bollente e segue interessato quei rigidi bastoncini che si curvano lentamente. Per lui un mistero ed esprime i suoi dubbi sul fatto che tutto ci possa mai diventare un pranzo. Mentre la pasta sta cuocendo apro la scatola della salsa di pomodoro con un coltello. Quando svuoto il contenuto in una padella ammaccata, Lketinga chiede spaventato: Is this blood?. Ora sono io che scoppio a ridere: Bloodoh no, tomato sauce rispondo divertita. Nel frattempo arrivano da noi Jelly e Eric tutti sudati. Ma come, cucini in terra? chiede Jelly sorpresa. Perch, secondo te abbiamo una cucina qui? Quando peschiamo gli spaghetti con la forchetta, Priscilla e Lketinga sono fuori di s dalla meraviglia. Priscilla va a chiamare la vicina. E anche lei osserva, prima gli spaghetti bianchi e poi la pentola con la salsa rossa. Indicando la pasta chiede: Worms e fa una smorfia. Noi ridiamo. I tre sono convinti che mangeremo vermi conditi con sangue e non toccano il piatto. In un certo senso riesco a capirli e quando guardo dentro la ciotola mi passa l'appetito all'idea che vi siano dentro vermi e sangue. Al momento di lavare i piatti mi imbatto nel problema successivo: non c' detersivo n una spazzola. Priscilla esegue il compito usando l'Omo e grattando con le unghie. Mio fratello osserva secco: Sorellina, ancora non ti ci vedo per sempre qui. In ogni caso non avrai pi bisogno di una lima per le tue belle unghie lunghe. In qualche modo ha ragione. Ai due restano ancora due giorni di ferie, poi sar sola con Lketinga. Per la loro ultima sera l'albergo organizza nuovamente un ballo masai. Jelly e Eric, al contrario di me, non l'hanno mai visto prima. Anche Lketinga partecipa. Tutti e tre aspettiamo con impazienza che abbia inizio. I masai si radunano davanti all'albergo per deporvi lance, ornamenti, cinture di perline e tessuti da vendere pi tardi. Sono oltre una ventina i guerrieri che si presentano cantando. Sento un forte legame con questi uomini e sono fiera di loro come se fossero tutti miei fratelli. L'eleganza dei loro movimenti e l'aura che li circonda sono straordinarie. Provo un senso di appartenenza a me finora ignoto, che mi commuove. Mi sembra di aver trovato la mia famiglia, il mio popolo. Allarmata da tanti masai dipinti e adornati, Jelly mi sussurra: Corinne, sei sicura che questo sia il tuo futuro?. S tutto quello che ho da dire. Verso mezzanotte lo spettacolo finito e i masai si ritirano. Arriva Lketinga e ci mostra tutto fiero il denaro guadagnato con la vendita degli ornamenti. A noi sembra ben poco, per lui invece significa la sopravvivenza per i giorni successivi. Ci congediamo affettuosamente da Eric e Jelly, che non rivedremo in quanto lasceranno l'albergo di prima mattina. Mio fratello deve promettere a Lketinga di ritornare: You are my friends now!. Jelly mi abbraccia forte e piangendo mi invita a stare attenta, a pensarci su bene e a ritornare in Svizzera dopo dieci giorni. Sembra che non si fidi molto di me. Ci incamminiamo sulla strada di casa. In cielo brillano migliaia e migliaia di stelle ma non c' la luna. Lketinga conosce benissimo la strada attraverso il bush nonostante

l'oscurit. Mi appoggio al suo braccio per non perderlo. Al villaggio incontriamo un cane che abbaia. Lketinga gli risponde con brevi suoni acuti e la bestiaccia sparisce. Giunti nella casetta cerco tastando la torcia tascabile. Quando alla fine la trovo ho bisogno di fiammiferi per accendere la lampada a petrolio. Per un attimo penso a quanto tutto sia facile in Svizzera. Ci sono lampioni per le strade, la luce elettrica, e sembra che tutto funzioni da s. Sono stanchissima, vorrei dormire. Lketinga invece sta tornando dal lavoro, affamato e dice che gli devo preparare ancora del te. Finora avevo sempre lasciato questo compito a Priscilla! Nella semioscurit carico il fornello e quando vedo il t in polvere chiedo: How much. Lketinga ride e versa un terzo della busta nell'acqua bollente. Poi aggiunge zucchero, non due o tre cucchiai, ma una tazza piena. Sono stupita e penso che cos non si potr pi bere. Ci nonostante venuto buono quasi come quello di Priscilla. In quel momento capisco che il t pu senz'altro sostituire un pranzo. Trascorro il giorno successivo in compagnia di Priscilla. Dobbiamo fare il bucato mentre Lketinga decide di andare sulla costa settentrionale per chiedere in quali alberghi sono previste delle rappresentazioni. Non mi invita ad andare con lui. Vado con Priscilla al pozzo a carrucola con l'intento d portare alla capanna una tanica da venti litri, il che risulta pi difficile del previsto. Per riempirla si cala un secchiello d tre litri per circa cinque metri e lo si tira su. Poi con una lattina si attinge l'acqua e la si versa nella stretta apertura della tanica finch questa non si riempita. Si lavora con la massima precisione perch non vada perduta nemmeno una goccia del prezioso liquido. Quando la mia tanica piena cerco di trascinarla fino alla capanna, che dista duecento metri. Credevo di essere robusta ma non ce la faccio. Priscilla invece se la tira sulla testa con due o tre abili mosse e poi marcia tranquilla e rilassata in direzione della capanna. A met strada mi viene di nuovo incontro e porta dentro anche la mia. Le dita mi fanno gi male. Il tutto si ripete diverse volte perch l'Omo locale fa molta schiuma. Lavare a mano, specie quando lo si fa a fondo al modo degli svizzeri, segna presto le nocche delle dita. Strofinare la biancheria procura escoriazioni e l'Omo irrita la pelle. Ho le unghie rovinate. Sfinita e con la schiena dolorante interrompo il mio lavoro e Priscilla sbriga il resto per me. Nel frattempo passato mezzogiorno e non abbiamo ancora mangiato. E che cosa poi? In casa non ci sono scorte altrimenti riceveremmo spesso sgradite visite da parte di coleotteri e di topi, e quindi dobbiamo fare ogni giorno la spesa al negozio. Ci incamminiamo sotto il sole cocente. Sarebbe una marcia di mezz'ora se Priscilla non si mettesse a spettegolare con tutte le persone che incontriamo per strada. Sembra che qui sia consuetudine salutare tutti con un Jambo e poi raccontare la storia della propria vita. Arrivate al negozio compriamo riso e carne, pomodori, latte e persino del pane morbido. Poi dobbiamo percorrere la lunga strada del ritorno e cucinare. E' gi sera e Lketinga non c' ancora. Quando chiedo a Priscilla se sa quando torner, risponde ridendo: No, I can't ask this a masai-man!. Stanca morta per il pesante lavoro e per il caldo mi sdraio nella fresca capanna mentre Priscilla, con calma, incomincia

a preparare la cena. Probabilmente sono cos fiacca perch non ho mangiato tutto il giorno. Il mio masai mi manca, senza di lui questo mondo molto meno interessante e degno di essere vissuto. A un certo punto, poco prima del tramonto, lo vedo bighellonare con passo elegante in direzione della capanna e sento risuonare il ben noto saluto: Hello, how are you. Un po' offesa rispondo: Oh, not so good!. Lui, preoccupato, ribatte immediatamente: Why. Leggermente inquietata dalla sua espressione decido di non discutere della sua lunga assenza. Viste le nostre difficolt di comunicazione in lingua inglese potrebbero esserci dei malintesi. Cos rispondo, indicando la mia pancia: Stomach!. Mi guarda entusiastaMay be baby. Ridendo dico di no. Quest'idea non mi sarebbe mai venuta in mente dato che prendo la pillola. Ma lui non lo sa, forse non sa neanche che cosa sia. Ostacoli burocratici. Ci rechiamo in un albergo nel quale soggiorna un masai con la moglie bianca. Non riesco a immaginarmelo ma sono molto ansiosa di fare alcune domande a quella donna. Quando li incontriamo rimango delusa. Il masai ha l'aspetto di un nero comune: invece degli ornamenti e delle vesti tradizionali indossa un costoso abito fatto su misura ed di qualche anno pi vecchio di Lketinga. Anche la donna vicina alla cinquantina. Parlano fra loro e poi Ursula, che tedesca, dice: Cosa, vuoi trasferirti qua e vivere con questo masai?. Rispondo di s e chiedo timidamente che cosa c' che non va. Sai, io e mio marito conviviamo gi da quindici anni. Lui giurista e ci nonostante fa molta fatica a capire la mentalit tedesca. Ora, prendiamo Lketinga: non mai stato a scuola, non in grado di leggere e scrivere e per di pi sa poco l'inglese. Oltretutto non ha alcuna idea degli usi e costumi europei, specie della perfezione svizzera. Quindi la vostra storia non pu che fallire! E le donne qui non hanno alcun diritto. Per lei vivere in Kenya sarebbe assurdo, farci le ferie invece meraviglioso. Sostiene anche che dovrei procurare altri vestiti a Lketinga perch non posso andare in giro con lui conciato in quel modo. Continua a raccontare e di fronte alla prospettiva di cos tanti problemi il mio cuore sprofonda. Anche suo marito pensa che sarebbe opportuna una visita di Lketinga in Svizzera. Non riesco proprio a pensarci e qualcosa in me s'oppone. Nonostante tutto accettiamo il consiglio e il giorno seguente andiamo a Mombasa a chiedere un passaporto per Lketinga. Quando gli esprimo le mie perplessit Lketinga chiede se in Svizzera ho un marito. Se non ce l'ho, non ci dovrebbero essere problemi a portarlo con me. E ancora dieci minuti prima diceva che non avrebbe mai lasciato il Kenya perch non sapeva dove si trovasse quella Svizzera e come fosse la mia famiglia. Sulla strada per l'ufficio passaporti mi vengono dei sospetti che pi tardi si riveleranno fondati. Le giornate tranquille in Kenya da quel momento appartengono al passato. Sta per iniziare lo stress burocratico. Entriamo in quattro e stiamo in coda un'ora buona prima di essere ricevuti nell'apposito ufficio. L'ufficiale addetto siede dietro a una grande scrivania di mogano. Tra lui e il marito di Ursula nasce una discussione di cui io e Lketinga non comprendiamo

nulla. Noto soltanto come continuano a guardare Lketinga e il suo trucco esotico. Dopo cinque minuti dicono: Let's go! e confusi lasciamo l'ufficio. L'idea di aver dovuto aspettare un'ora per un'udienza di cinque minuti mi irrita. Ma questo solo l'inizio. Il marito di Ursula dell'opinione che debbano essere messe in regola alcune cose. Non affatto possibile, sostiene, che Lketinga prenda l'aereo insieme a me, forse, se tutto andr bene, il mese successivo. Prima dovremo fare delle foto, poi ritornare per compilare dei moduli, che per sono esauriti e si potranno avere fra cinque giorni circa. Ma come, in una citt cos grande non ci sono moduli per richiedere il passaporto? chiedo indignata, stento a crederlo. Quando dopo lunghe ricerche finalmente troviamo un fotografo, ci dicono che le foto saranno pronte solo tra qualche giorno. Sfiniti dal caldo e dalle lunghe attese decidiamo allora di tornare sulla costa. Mentre scompaiono nel loro albergo di lusso Ursula e il marito ci offrono il loro aiuto in caso di problemi con l'ufficio. Il tempo stringe. Portiamo le foto all'ufficio gi tre giorni dopo L'attesa ancora pi lunga della prima volta. Quanto pi ci avviciniamo alla porta tanto pi mi innervosisco, perch Lketinga non si sente bene e la mia scarsa conoscenza dell'inglese mi getta nel panico. Quando finalmente ci troviamo di fronte all'ufficiale riesco a presentare la nostra istanza. Quello dopo qualche minuto alza gli occhi dal giornale e gettando uno sguardo sprezzante su Lketinga chiede che cosa voglio fare in Svizzera con un tipo cos. Holidays rispondo. L'ufficiale ride e dice che finch questo masai non si vestir civilmente non avr un passaporto. Dato che non ha istruzione e nemmeno una vaga idea dell'Europa, aggiunge, dovr depositare una cauzione di mille franchi svizzeri e procurargli un biglietto aereo valido di andata e ritorno. Solo dopo aver fatto tutto questo avr il modulo per la richiesta. Snervata dall'arroganza di questa montagna di grasso, chiedo quanto tempo ci vorr dopo aver sbrigato queste pratiche. Circa due settimane risponde, quindi ci invita con la mano a lasciare l'ufficio e riprende annoiato la lettura del suo giornale. Tanta impertinenza mi lascia senza parole, ma non intendo rinunciare: il suo comportamento mi sprona anzi a fargli vedere chi avr la meglio. Soprattutto non voglio che Lketinga si senta inferiore. Inoltre desidero presentarlo al pi presto a mia madre. Mi fisso sempre di pi su quel progetto e decido di recarmi con Lketinga, ormai impaziente e deluso, nella pi vicina agenzia di viaggi per provvedere a tutto il necessario. Ci imbattiamo in un indiano molto disponibile che comprende la situazione e mi invita a stare attenta perch molte donne bianche hanno perso il proprio denaro in quel modo. mi metto d'accordo con lui perch ci rilasci una ricevuta del biglietto aereo e gli affido il deposito di denaro necessario. Mi d la ricevuta e mi promette il rimborso dell'importo se non dovesse andare bene con il passaporto. In qualche modo sono cosciente di essere stata avventata ma mi fido della mia buona conoscenza della psicologia umana. L'importante che Lketinga, quando avr il passaporto, sappia dove pu andare, cos da poter decidere la data di partenza. Un altro passo avanti, penso battagliera. Al mercato vicino acquistiamo pantaloni, una camicia e scarpe per Lketinga. Non facile perch abbiamo gusti

diversi. Lui vuole pantaloni rossi o bianchi. Bianchi secondo me non vanno bene per il bush, e il rosso in Occidente non considerato un colore propriamente maschile. La sorte m'aiuta: non ci sono pantaloni che vadano bene al mio uomo alto due metri. Dopo aver cercato a lungo finalmente troviamo un paio di Jeans perfetti. Per le scarpe si ripete la stessa storia. Finora ha sempre portato sandali fatti con vecchi pneumatici. Ci mettiamo d'accordo per scarpe da ginnastica. Dopo due ore vestito a nuovo da capo a piedi, ma tutto sommato non mi piace. Il suo passo non pi elastico, si trascina. Lketinga invece tutto fiero di possedere per la prima volta in vita sua pantaloni lunghi, una camicia e delle vere scarpe. Naturalmente troppo tardi per ritornare all'ufficio e Lketinga decide quindi di andare sulla costa settentrionale. Vuole presentarmi degli amici e farmi vedere dove abitava prima di prendere alloggio da Priscilla. Esito perch sono gi le quattro e dovremo viaggiare di notte per tornare a casa. Ancora una volta dice: No problem, Corinne!. Quindi aspettiamo un matatu in direzione nord, ma solo sul terzo troviamo un posticino. Dopo pochi minuti sono gi grondante di sudore. Fortunatamente arriviamo quasi subito in un grande villaggio masai. Qui, per la prima volta, incontro donne masai adornate che mi salutano cordialmente. C' un continuo viavai intorno alle capanne. Non so se sono pi stupiti per me o per il nuovo look di Lketinga. Toccano la camicia chiara, i pantaloni, perfino le scarpe destano ammirazione. La camicia sta diventando sempre pi scura. Due o tre donne cercano di parlare con me. Io rimango muta, sorrido e non capisco niente. Nel frattempo molti bambini mi guardano stupiti o ridacchiano. La loro sporcizia mi colpisce. D'un tratto Lketinga dice: Wait here e sparisce di colpo. Non mi sento a mio agio. Una donna mi offre del latte, che per paura delle mosche rifiuto. Un'altra mi regala un braccialetto masai, che invece accetto con gioia. Chiaramente stanno tutti lavorando a qualche ornamento. Pi tardi riappare Lketinga e mi chiede: You hungry?. Questa volta sono onesta e rispondo di s: ho veramente fame. Andiamo al vicino ristorante nel bush. E' simile a quello di Ukunda, ma molto pi grande. C' un reparto per le donne e pi in l uno per gli uomini. Naturalmente devo andare dalle donne mentre Lketinga sparisce tra gli altri guerrieri. Non mi piace, preferirei stare nella mia piccola capanna sulla costa meridionale. Mi mettono davanti un piatto: in un liquido che sembra una salsa galleggiano alcuni pomodori e della carne. Su un secondo piatto si trova una specie di focaccia. Osservo che un'altra donna ha davanti a s lo stesso men. Spezzetta la focaccia con la mano destra, la intinge nella salsa, aggiunge un pezzo di carne e poi infila tutto in bocca. Seguo il suo esempio, usando per tutte e due le mani. All'improvviso tutti tacciono e mi guardano mangiare. Sono imbarazzata, specialmente perch una dozzina di bambini si sono radunati attorno a me e mi fissano con occhi spalancati. Poi tutti parlano nuovamente fra loro, ma continuo a sentirmi osservata. Divoro il pranzo il pi rapidamente possibile e spero che Lketinga si faccia vedere presto. Quando rimangono solo le ossa mi dirigo verso una specie di barile dal quale si attinge l'acqua e me la

verso sulle mani per togliere il grasso, speranza chiaramente del tutto vana. Dopo un po' finalmente arriva Lketinga. Vorrei abbracciarlo, ma lui mi guarda in modo strano, quasi arrabbiato: non so in cosa posso aver sbagliato. Dalle condizioni della camicia deduco che ha mangiato anche lui. Dice: Come, come!. Mentre andiamo verso la strada gli chiedo: Lketinga, what's the problem?. L'espressione del suo viso mi fa paura. Che sono io la causa della sua irritazione lo apprendo quando mi afferra la mano sinistra e dice: This hand no good for food! No eat with this one!. Capisco cosa sta dicendo ma non la ragione per cui fa quella faccia. Chiedo il motivo ma non mi risponde. Stanca delle fatiche e insicura per via di questo nuovo enigma vorrei tornare nella nostra capanna sulla costa meridionale. Cerco di comunicarlo a Lketinga dicendogli: Let's go home!. Mi guarda, non so in che modo poich nuovamente non vedo altro che il bianco degli occhi e il bottone di madreperla che gli brilla sulla fronte. No dice, all Masai go to Malindi tonight. Quasi mi si ferma il cuore. Se ho capito bene, oggi vuole andare ancora a Malindi per un ballo. It's good business in Malindi aggiunge. Si accorge che non sono entusiasta e subito mi chiede preoccupato: You are tired?. S, sono stanca. Non so di preciso dove si trovi Malindi e non ho neanche i vestiti per cambiarmi. Nessun problema, dice, dormir dalle masai-ladies e domani lui torner. A queste parole mi sveglio subito. All'idea di rimanere qui da sola senza poter dire una parola mi prende il panico. Decido: No, we go to Malindi together. Finalmente Lketinga ride e mi dice di nuovo il familiare no problem!. Con alcuni altri masai saliamo su un autobus pubblico, molto pi comodo di que i matatu rompicollo. Quando mi sveglio siamo gi a Malindi. Per prima cosa cerchiamo un alloggio per indigeni perch dopo lo spettacolo probabilmente sar tutto occupato. Non c' molta scelta. Ne troviamo uno nel quale si sono gi sistemati altri masai e ci danno l'ultima stanza vuota, non pi grande di tre metri per tre. Appoggiati alle pareti di calcestruzzo si trovano due letti di ferro con sottili materassi infossati e due coperte di lana per ciascuno. Dal soffitto pende una nuda lampadina e due sedie si perdono nel vuoto. Almeno non costa quasi niente, al cambio in franchi svizzeri sono quattro per notte. Ci resta appena mezz'ora prima che inizi lo spettacolo dei danzatori masai. Ne approfitto per andare a bermi una coca-cola. Quando torno nella stanza mi aspetta una bella sorpresa. Lketinga seduto su uno dei letti infossati con i jeans abbassati fino alle ginocchia e li sta tirando a destra e a manca seccato. E' ovvio che li vuole togliere perch dobbiamo sbrigarci e naturalmente non pu presentarsi con vestiti europei. Vedendolo cos reprimo a fatica una risata. Con le scarpe da tennis indosso non pu sfilarli e cos i pantaloni penzolano dalle sue gambe e non vanno pi n su n gi. Ridendo mi inginocchio e tento di togliergli le scarpe. Lui urla, indicando i jeans: No, Corinne, out with this!. Yes, yes rispondo e cerco di spiegare che prima deve ritirarseli su, poi togliersi le scarpe e infine potr sfilarli. La mezz'ora passata da tempo e ci precipitiamo all'albergo. Nel suo look ufficiale mi piace mille volte di pi. Ha grosse vesciche sui piedi a causa delle scarpe nuove che

naturalmente ha voluto portare senza calzini. Arriviamo allo show appena in tempo e mi siedo tra gli spettatori bianchi. Alcuni mi guardano con disprezzo perch indosso ancora gli stessi abiti della mattina, che certamente nel frattempo non sono diventati pi belli n pi puliti. E neanche il mio odore fresco come il loro, che hanno appena fatto la doccia Per non parlare dei capelli lunghi e appiccicosi. Tuttavia sono probabilmente la donna pi fiera in quel luogo. Guardando gli uomini ballare mi sopravviene la sensazione ormai nota dell'appartenenza. Al termine dello spettacolo e della vendita quasi mezzanotte. Non desidero altro che dormire. Vorrei lavarmi alla bell'e meglio nel nostro alloggio, ma arriva Lketinga seguito da un altro masai e dice che il suo amico si sistemer nell'altro letto. Non sono entusiasta dell'idea di dover condividere questi tre metri per tre con un estraneo, ma non dico nulla per non sembrare scortese. Quindi, con i vestiti indosso, mi sistemo con Lketinga sul letto stretto e infossato e ci nonostante mi addormento poco dopo. La mattina seguente posso finalmente fare la doccia, bench il sottile filo d'acqua ghiacciata non sia molto piacevole. Anche con il vestito sudicio indosso, durante il viaggio di ritorno verso la costa meridionale mi sento un po' meglio. A Mombasa compro un vestito perch vogliamo passare all'ufficio passaporti per i moduli. Quel giorno il nostro tentativo va effettivamente in porto. Dopo che i biglietti provvisori e la ricevuta del denaro depositato sono stati controllati e approvati, finalmente possiamo avere un formulario. Quando tento di compilarlo, mi accorgo di non capire la maggior parte delle voci. Perci decido di chiedere aiuto a Ursula e a suo marito. Dopo cinque ore di viaggio finalmente arriviamo nella nostra casetta sulla costa meridionale. Non sapendo dove abbiamo passato la notte Priscilla si preoccupata molto. Lketinga le spiega il motivo dei suoi vestiti europei. Mi sdraio un po' perch fuori fa veramente caldo. Ho anche fame. Certamente ho gi perso qualche chilo. Mi restano ancora sei giorni prima del ritorno in Svizzera e non ho ancora parlato con Lketinga del nostro futuro in Kenya. L'unica cosa importante finora stato quello stupido passaporto. Cos rifletto su cosa potrei fare in questo paese. Per vivere cos modestamente non serve molto denaro, ma ho bisogno di un'attivit e di introiti supplementari. Mi viene l'idea di cercare un negozio in uno dei molti alberghi. Potrei assumere una o due sarte, portare dei modelli dalla Svizzera e mettere su un atelier. Di bei tessuti se ne trovano in abbondanza, brave sartine che lavorano per circa trecento franchi al mese pure, e so di saper vendere. Entusiasta di questa mia idea chiedo a Lketinga di venire nella casetta e cerco di esporgliela, ma presto mi accorgo che non mi capisce. Questa volta per la cosa mi sembra importante e quindi vado a chiamare Priscilla per tradurre. Lketinga non sembra d'accordo su tutto. Priscilla mi spiega che senza un permesso di lavoro o un matrimonio non potr realizzare il mio progetto. L'idea le sembra buona perch conosce delle persone sul posto che guadagnano molti soldi con una sartoria per abiti su misura. Chiedo a Lketinga se un matrimonio eventualmente lo interessa ma lui, contro le mie aspettative, reagisce con reticenza. E' anche razionale: dice che avendo un

negozio ben funzionante in Svizzera non dovrei venderlo, ma venire qui due o tre volte all'anno per holidays, lui mi aspetter sempre! Stavolta sono io a indignarmi. Sono sul punto di abbandonare tutto in Svizzera, e lui mi fa proposte di ferie! Sono delusa. Se ne accorge subito e dice, certamente a ragione, che non conosce bene n me n la mia famiglia. Ha bisogno di tempo per riflettere. Anch'io secondo lui dovrei riflettere, e poi lui eventualmente verr in Svizzera. Io rispondo soltanto: Lketinga, quando faccio una cosa la faccio per intero e non a met. O lui desidera che io venga e nutre sentimenti simili ai miei oppure cercher di dimenticare tutto quello che c' stato tra noi. Il giorno dopo cerchiamo Ursula e suo marito in albergo per compilare il modulo. Ma non li troviamo perch sono partiti per un safari che durer diversi giorni. Maledico una volta di pi le mie scarse nozioni di inglese. Cerchiamo qualcun altro in grado di tradurre. Lketinga vuole soltanto un masai perch degli altri non si fida. Tornati a Ukunda stiamo per ore nella casa da t, dove alla fine spunta un masai che sa leggere, scrivere e parlare inglese. Il suo atteggiamento altezzoso non mi piace, ma insieme a Lketinga compila tutto. Tuttavia, dice, senza bustarelle non va. Mi fa vedere il suo passaporto e sembra che sia stato gi due volte in Germania. Mi fido. Aggiunge che a causa della mia pelle bianca la tangente si moltiplicher di ben cinque volte. Per un esiguo compenso accompagner Lketinga a Mombasa il giorno successivo per sbrigare tutto. Malvolentieri do il mio assenso: col passare del tempo mi rendo conto che non ho pi la pazienza di azzuffarmi con l'ufficiale arrogante. Per soli cinquanta franchi sistemer tutto e porter Lketinga fino all'aeroporto. Gli do ancora qualcosa per la bustarella e i due partono per Mombasa. Era ora di andare di nuovo alla spiaggia: mi faccio viziare dal sole e dal buon cibo dell'albergo, che ovviamente dieci volte pi caro dei ristoranti locali. Verso sera torno nella casetta, dove mi sta gi aspettando un Lketinga piuttosto seccato. Tutta eccitata gli chiedo com' andata a Mombasa. Ma lui vuole sapere soltanto dove sono stata io. Ridendo gli rispondo: Alla spiaggia e a mangiare in albergo!. Poi vuole sapere con chi ho parlato. Pensando che non ci sia nulla di male menziono Edy e altri due masai con i quali ho scambiato qualche battuta sulla spiaggia. Il suo viso ritorna lentamente pi gentile e distrattamente spiega che per il passaporto ci vorranno circa tre o quattro settimane. Sono contenta e cerco di raccontargli molte cose sulla Svizzera e sulla mia famiglia. Mi fa capire che sarebbe contento di rivedere Eric, ma per ci che riguarda le altre persone non sa cosa aspettarsi. Anche io non sono del tutto tranquilla pensando a come reagir la gente di Biel vedendolo. Per non parlare dell'effetto che gli faranno il traffico, i locali stravaganti e il lusso. Trascorriamo i miei ultimi giorni in Kenya in modo pi tranquillo. A volte andiamo all'albergo, alla spiaggia o passiamo la giornata nel villaggio con varia gente, bevendo t e cucinando. Quando arriva l'ultimo giorno sono triste, ma cerco di non perdere la testa. Anche Lketinga nervoso. In tanti mi portano qualche regalino, per lo pi ornamenti masai. I braccialetti mi arrivano fin quasi ai gomiti.

Lketinga mi lava ancora una volta i capelli, mi d una mano a fare i bagagli, e in continuazione mi chiede: Corinne, really you will come back to me?. ovviamente non ha fiducia che io ritorni. Dice che molte bianche lo promettono e poi non lo fanno oppure quando tornano si prendono un uomo diverso. Lketinga, non voglio un altro, only you! affermo e ribadisco. Scriver molto, mander delle foto e gli dar notizie quando avr sbrigato tutto. Tuttavia devo trovare qualcuno che compri il negozio e qualcuno che si prenda il mio appartamento con tutto l'arredamento. Nel caso in cui ottenga il passaporto, mi dovr comunicare il suo arrivo tramite Priscilla. Gli dico: Se qualcosa va storto oppure decidi di non venire in Svizzera me lo puoi dire tranquillamente. Aggiungo che mi serviranno circa tre mesi per mettere a posto tutto. Mi chiede quanto durano tre mesi: How many full moons?. Tre volte la luna piena gli rispondo ridendo. Passiamo insieme ogni minuto dell'ultimo giorno e decidiamo di stare fino alle quattro del mattino nel Bush-Baby-Bar per non addormentarci e sfruttare tutto il tempo che ci rimane. Parliamo e gesticoliamo per tutta la notte, ma la stessa domanda torna sempre, se torner veramente. Lo prometto per la ventesima volta e mi accorgo di quanto anche lui sia agitato. Mezz'ora prima della partenza arriviamo in albergo in compagnia di altri due masai. I bianchi assonnati in attesa ci guardano infastiditi. Con il mio borsone da viaggio e i tre masai adornati e con i rungu credo di dare uno spettacolo insolito. E' l'ora di andare. Lketinga e io ci abbracciamo ancora una volta e lui dice: No problem, Corinne! I wait here or I come to you!. Poi, stento a crederlo, mi d un bacio sulla bocca. Sono commossa, salgo e faccio un cenno di saluto ai tre che restano indietro al buio. Commiato e nuova partenza. Tornata in Svizzera incomincio subito a cercare un acquirente per il negozio. Molti mostrano interesse, ma pochi sono adatti, e quei pochi non hanno denaro. Naturalmente cerco di ricavare pi che posso perch non so ancora quando potr contare su altri guadagni. Con dieci franchi in Kenya posso vivere pi di due giorni. Cos sto diventando piuttosto parsimoniosa e metto da parte ogni franco per il mio futuro in Africa. Un mese passa presto e di Lketinga non ho ancora notizie. Ho gi mandato tre lettere. Sono impaziente e quindi scrivo anche a Priscilla. Due settimane pi tardi ricevo una sua lettera che mi confonde. Mi dice che da quindici giorni dopo la mia partenza non ha pi avuto notizie di Lketinga, il quale probabilmente si trova di nuovo sulla costa settentrionale, e che la faccenda del suo passaporto non procede. Alla fine mi consiglia di restare in Svizzera. Sono perplessa e scrivo subito un'altra lettera alla casella postale della costa settentrionale dove avevo gi indirizzato le mie prime lettere a Lketinga. Dopo quasi due mesi una mia amica si decide a comprare il negozio per il primo di ottobre. Sono felicissima che il problema pi difficile sia finalmente risolto. Quindi teoricamente posso partire in ottobre, ma purtroppo di Lketinga non so ancora niente. Penso che non potr pi venire

in Svizzera perch fra poco sar io a Mombasa e credo fermamente nel nostro grande amore. Da Priscilla ricevo ancora due lettere confuse, ma munita di fede incrollabile vado all'agenzia di viaggi e prenoto un volo per Mombasa il cinque di ottobre. Mi restano ancora due settimane buone per disfarmi dell'appartamento e della macchina. L'appartamento non un problema, vendo tutto con l'arredamento a un prezzo ridicolo a un giovane studente. Cos almeno posso restarci fino all'ultimo minuto. I miei amici e i miei colleghi d'affari, che mi conoscono bene, non comprendono affatto quello che sto facendo. Per mia madre particolarmente dura, ma ho la sensazione che lei mi capisca pi di altri. Dice che spera e prega per me che io possa trovare ci che cerco e che sia felice. Vendo il cabriolet proprio l'ultimo giorno e mi faccio subito portare alla stazione. Quando prendo il biglietto di sola andata per Zurigo-Kloten provo una certa agitazione. Attendo la partenza seduta sul treno: ho pochi bagagli a mano e un grande borsone da viaggio nel quale si trovano alcune t-shirt, biancheria intima, semplici gonne di cotone e alcuni regali per Lketinga e per Priscilla. Quando il treno si mette in moto mi sembra di toccare il cielo con un dito. Mi rilasso appoggiandomi allo schienale e ridacchio con me stessa. Mi invade una meravigliosa sensazione di libert. Potrei urlare e comunicare la mia felicit e i miei propositi a tutti i passeggeri. Sono libera, libera, libera! Non ho pi obblighi in Svizzera, n una cassetta delle lettere piena di fatture da pagare, e posso quindi fuggire il tempo triste e cupo dell'inverno. Non so cosa mi aspetti in Kenya, se Lketinga abbia ricevuto le mie lettere e, se s, se sono state tradotte bene. Non so niente e godo semplicemente di una beata sensazione di leggerezza. Avr tre mesi di tempo per familiarizzarmi, solo allora dovr occuparmi del rinnovo del visto. Dio mio, tre mesi, tanto tempo per sistemare tutto e per conoscere Lketinga pi a fondo. Ho potuto migliorare il mio inglese, e inoltre nel borsone ho buoni libri illustrati per studiare. Tra quindici ore sar nel mio nuovo paese. Salgo sull'aereo con questi pensieri, mi sdraio sulla poltrona e attraverso l'obl raccolgo le ultime impressioni della Svizzera. Non so quando torner. Mi congedo dalla mia vita passata e inauguro quella futura brindando con dello champagne. Presto non so pi se ridere o piangere. Nella nuova patria. Dall'aeroporto di Mombasa riesco a prendere il pulmino dell'albergo fino all'Africa-Sea-Lodge anche senza aver prenotato. Priscilla e Lketinga dovrebbero essere al corrente del mio arrivo. Sono terribilmente confusa. Cosa accadr se non si fanno vivi? Vedremo, non c' pi tempo per riflettere. Quando, ormai giunta all'albergo, non vedo nessuno, rimango in piedi col pesante borsone, e lentamente la tensione lascia il posto alla delusione. Ma a un certo punto sento pronunciare il mio nome, mi volto, e sul sentiero vedo Priscilla che, con il suo grande seno ondeggiante, si sta dirigendo verso di me. Provo un sollievo e una gioia tali che mi vengono le lacrime agli occhi. Ci abbracciamo, ma quando le chiedo dov' Lketinga abbassa gli occhi, il suo viso si fa scuro e risponde: Corinne,

please, I don't know, where he is!. Da pi di due mesi non ha pi avuto sue notizie. Dice che circolano delle voci, per non sa quanto siano attendibili. Voglio sapere tutto, ma Priscilla mi consiglia di andare prima al villaggio. Allora le carico la borsa sulla testa, prendo i bagagli a mano e ci incamminiamo. Dio mio, che ne sar dei miei sogni, della mia felicit e del mio grande amore? E Lketinga, dove si trova? Non posso credere che abbia dimenticato tutto. Nel villaggio faccio conoscenza con un'altra donna, una moslem. Priscilla me la presenta come un'amica, spiegando che per un po' dovremo vivere in tre nel suo alloggio perch lei non vuole tornare dal marito. La casetta non grande, ma per il momento dovr bastare. Beviamo del t, ma i dubbi continuano a tormentarmi. Quando chiedo di nuovo del mio masai, Priscilla racconta con molta cautela quello che si dice in giro. Uno dei suoi colleghi masai le aveva rivelato che Lketinga era tornato a casa e, non avendo ricevuto per molto tempo lettere da parte mia, si era ammalato. Come? rispondo indignata. Ho scritto almeno cinque volte. Priscilla sembra piuttosto sorpresa: S, ma a quale indirizzo?. Le mostro il recapito della costa settentrionale. In tal caso, dice, non c' da meravigliarsi che Lketinga non abbia ricevuto le mie lettere. Quella casella postale appartiene a tutti i masai della costa settentrionale e quindi ciascuno di loro pu prendere quello che vuole. Lketinga non sa leggere ed quindi possibile che qualcuno abbia prelevato le lettere al suo posto. Non riesco a credere alle mie orecchie: Pensavo che tutti i masai fossero amici, anzi quasi fratelli. Ma chi pu mai fare cose del genere?. Solo allora vengo informata dell'ostilit che regna tra i guerrieri della costa: alla mia partenza, tre mesi prima, alcuni uomini, che vivevano sul mare ormai da tempo, avevano cercato di insospettire Lketinga: Una donna cos giovane e carina, e per di pi ricca, di certo non torner in Kenya per un uomo nero che non possiede niente. E cos, prosegue Priscilla, lui che era ancora nuovo del posto, non avendo pi avuto mie notizie, aveva probabilmente creduto a quanto gli si diceva. Sono ansiosa di sapere, e chiedo a Priscilla dove si trova il villaggio d'origine di Lketinga. Non lo sa con precisione, da qualche parte nel distretto di Samburu, a circa tre giorni di viaggio. Ma, aggiunge, non mi devo preoccupare ora che sono qui: cercher qualcuno che va da quelle parti e gli far portare un messaggio. Col tempo scopriremo che cosa successo. Pole, pole dice, cio a poco a poco. Ora sei in Kenya, qui necessario avere molto tempo e molta pazienza. Le due donne mi coccolano come una bambina. Parliamo molto e Esther, l'amica musulmana di Priscilla, mi racconta la storia delle sue sofferenze con il marito. Cercano di dissuadermi dall'idea di sposare un africano, dicono che non sono fedeli e trattano male le donne. Il mio Lketinga diverso, penso tra me e me, ma non faccio commenti. Il giorno dopo decidiamo di comprare un letto. La prima notte ho dovuto condividere un giaciglio stretto con Priscilla - Esther dormiva da sola dall'altra parte della stanza - e non sono riuscita a chiudere occhio: essendo lei piuttosto corpulenta, per non scivolarle continuamente addosso sono stata aggrappata alla sponda del letto tutto il tempo. Andiamo a Ukunda e nonostante ci siano quaranta gradi

all'ombra cominciamo a correre da un commerciante all'altro. Il primo non ha un letto matrimoniale, sarebbe in grado di costruirne uno in tre giorni, ma io lo voglio subito. Da quello successivo troviamo un bellissimo letto intagliato per un'ottantina di franchi. Lo comprerei subito, ma Priscilla, indignata, decreta: Too much!. Credo di non aver sentito bene. Per questa cifra un raffinatissimo letto matrimoniale, e per di pi fatto a mano! Ma Priscilla insiste: Come, Corinne, too much!. Va avanti cos per met pomeriggio, poi finalmente riesco ad acquistarne uno per sessanta franchi. L'artigiano lo smonta e lo trasportiamo sulla strada principale. Quindi Priscilla si procura un materasso di gomma piuma, e dopo un'ora di attesa in mezzo alla polvere e sotto il sole cocente un matatu ci riporta all'albergo. Dopo aver scaricato tutto rimaniamo l con il nostro letto di legno massiccio smontato, che di certo non leggero. Ci guardiamo attorno perplesse finch a un certo punto arrivano tre masai dalla spiaggia. Priscilla parla con loro e i guerrieri, che di solito sono piuttosto restii quando si tratta di lavorare, ci danno subito una mano a trasportare il tutto al villaggio. La scena veramente comica, solo a fatica riesco a trattenere una risata. Quando finalmente arriviamo alla casetta, mi metto al lavoro per rimontare il letto, ma i masai non me ne danno la possibilit perch ognuno di loro vorrebbe farlo per me. Dopo pochi minuti gli uomini che armeggiano intorno al mio letto sono gi sei. E' tarda sera quando, spossati, ci sediamo sul letto. Per quelli che mi hanno aiutato c' del t e quindi tutti ricominciano a parlare in lingua masai, che come al solito non comprendo. I guerrieri mi scrutano ripetutamente, e pi di una volta sento pronunciare il nome di Lketinga. Dopo un'ora circa rimaniamo solo noi donne. Ci prepariamo per andare dormire lavandoci alla bell'e meglio fuori dalla casetta: si pu fare perch buio e nessuno pu vederci. Anche i bisogni dell'ultimo momento vengono sbrigati a poca distanza perch di sera normalmente non si usa il bagno delle galline. Sono sfinita e cado in un sonno profondo sul mio letto nuovo. E' abbastanza largo e ci si pu dormire comodamente anche con Priscilla. Ma occupa quasi tutto lo spazio disponibile, e cos gli ospiti, quando vengono a trovarci, sono costretti a sedercisi sopra. Le giornate volano. Priscilla e Esther continuano a viziarmi: l'una cucina, l'altra procura l'acqua e mi fa anche il bucato. Quando protesto mi rispondono che fa troppo caldo per me, non posso lavorare. Cos passo la maggior parte del tempo sulla spiaggia, in attesa di notizie di Lketinga. La sera non di rado ci fanno visita dei guerrieri masai, con cui giochiamo a carte oppure raccontiamo storie. Col passare del tempo mi accorgo che l'uno o l'altro, a turno, interessato a me, ma non mi va per niente di dargli corda perch per me esiste un solo uomo. Nessuno di loro bello ed elegante solo la met del semidio per cui ho lasciato tutto. Quando i guerrieri si accorgono del mio disinteresse mi raccontano i pettegolezzi su Lketinga, come se tutti sapessero che lo sto ancora aspettando. Quando rifiuto, cortesemente ma con decisione, l'ennesima offerta di amicizia particolare, un guerriero mi risponde: Perch continui ad aspettare quel masai? Lo sanno tutti che con i soldi che gli hai dato per il passaporto andato a Watamu Malindi e ha speso tutto ubriacandosi con i girls

africani. Si alza e aggiunge che dovrei riconsiderare la sua offerta. Irritata da tanta insolenza, lo invito a non farsi pi vedere. Ciononostante mi sento sola e tradita. E se fosse vero? Mi passano mille idee per la testa, e alla fine l'unica cosa che so che non voglio credere a nessun pettegolezzo. Potrei andare dall'indiano di Mombasa, ma per chiss quale motivo mi manca il coraggio, e poi non sopporterei di fare una brutta figura. Ogni giorno sulla spiaggia incontro dei guerrieri che cercano di attaccare discorso. Uno racconta addirittura che Lketinga diventato crazy ed stato portato a casa, dove ha sposato una giovane donna, e non torner mai pi a Mombasa. Se ho bisogno di essere consolata, aggiunge, lui sar sempre disponibile. Dio mio, ma non mi lasciano mai in pace? Pi passa il tempo e pi mi sembra di essere una cerbiatta spaurita in mezzo ai leoni affamati! La sera racconto a Priscilla le ultime novit su pettegolezzi e molestie. Secondo lei tutto normale. Sono qui senza un uomo da tre settimane e questa gente sa per esperienza che una donna bianca non resta mai sola per cos tanto tempo. Mi racconta di due donne bianche che vivono in Kenya gi da un po' e corrono dietro a quasi tutti i masai. La notizia mi turba, ma d'altra parte mi sorprende sapere che qui ci sono altre bianche, che parlano addirittura tedesco. Manifesto la mia curiosit e Priscilla, indicando una casetta del villaggio, mi spiega: Quella di Jutta, una tedesca. Al momento si trova da qualche parte nel distretto di Samburu a lavorare per un villaggio turistico, ma durante le prossime due o tre settimane intende trascorrere qualche giorno qui. L'enigmatica Jutta mi intriga. Nel frattempo le attenzioni nei miei confronti si moltiplicano, comincio a non poterne pi. Le donne sole in Kenya non sono certo una specie protetta. Neppure Priscilla in grado di opporsi a questi attacchi, e forse non ne ha nemmeno l'intenzione. Quando le racconto qualcosa, spesso si mette a ridere in modo infantile, il che mi sembra veramente assurdo. Il mio viaggio con Priscilla. Un giorno Priscilla mi propone un viaggio di due settimane nel suo villaggio, deve andare a trovare sua madre e i suoi cinque figli. Sono molto sorpresa: Come, tu hai cinque figli, ma dove vivono?. Da mia madre, e per certi periodi da mio fratello. Lei, mi racconta, vive sulla costa solo per guadagnare denaro con la vendita di ornamenti, ma due volte all'anno torna a casa con i soldi. Suo marito non sta pi con lei da tempo. Ancora una volta i costumi africani mi lasciano sconcertata. Penso che al nostro ritorno forse potr incontrare Jutta e accetto. Il viaggio mi dar anche l'occasione di sfuggire agli assalti dei vari masai! Priscilla contentissima perch prima di me non ha mai portato a casa una bianca. Detto fatto: il giorno successivo partiamo. Esther rimane a prendersi cura della casetta. A Mombasa Priscilla compra alcune uniformi della scuola per i figli. Io mi porto solo uno zainetto nel quale metto un po' di biancheria intima, un pullover, tre t-shirt e jeans per il cambio. Acquistiamo i biglietti, ma manca molto alla partenza della corriera. Decido allora di andare dal parrucchiere a farmi fare le treccine all'africana. L'operazione richiede quasi tre ore ed

molto dolorosa. Ma per un viaggio questa acconciatura mi sembra molto pi comoda. Diverse ore prima della partenza ci sono gi dozzine di persone accalcate intorno all'autobus, sul cui tetto viene caricato di tutto. Quando partiamo buio pesto. Priscilla mi consiglia di dormire perch il percorso molto lungo: almeno nove ore per Nairobi, poi dovremo cambiare e resistere altre quattro ore e mezza circa fino a Narok. Durante il viaggio cambio posizione continuamente, e quando finalmente arriviamo mi sento molto sollevata, anche se ci aspetta ancora una lunga marcia a piedi. Attraversiamo per quasi due ore campi arati, prati e addirittura pinete. Da un punto di vista paesaggistico si potrebbe quasi credere di essere in Svizzera: verde a perdita d'occhio e non un'anima viva. Finalmente vedo del fumo e le rovine di alcune baracche di legno. Fra poco ci siamo commenta Priscilla e aggiunge che deve ancora procurarsi il regalo per suo padre, una cassetta di birra. Quando l'ha comprata, se la carica sulla testa e riesce anche a portarla in salita. Sono senza parole. Vorrei sapere come vivono i masai qui, Priscilla mi ha detto che sono pi benestanti dei samburu, dai quali proviene Lketinga. Al nostro arrivo riceviamo un'accoglienza molto festosa. Vanno tutti di corsa a salutare Priscilla, poi si fermano di scatto, mi guardano e non dicono una parola, sembra che stia raccontando a tutti che siamo amiche. Per prima cosa andiamo a casa del fratello, che per fortuna sa un po' di inglese. Qui gli alloggi hanno tre vani, sono pi grandi della nostra casetta nel villaggio, ma si cucina con fuoco di legna e quindi tutto sporco e coperto di fuliggine. Inoltre, ci sono polli e cuccioli di cani e gatti dappertutto che saltano qua e l. Da qualunque parte mi volti vedo gironzolare bambini di tutte le et, i pi grandi con i pi piccoli sulle spalle. Quindi incomincia la distribuzione dei regali. A prima vista la gente sembra piuttosto emancipata, indossano vestiti occidentali e vivono come normali contadini. Ma quando tornano le capre dal pascolo, mi invitano, in qualit di ospite, a sceglierne una per la nostra cena di benvenuto. Non me la sento di pronunciare la sentenza di morte, ma Priscilla mi dice che si usa cos e che dovrei anzi sentirmi onorata. Temo che dovr farlo ogni giorno, dovunque andremo in visita. Indico una capra bianca, che viene subito afferrata e soffocata da due uomini. Mi giro dall'altra parte per non vedere la povera bestia dimenarsi. Quando cala la sera e l'aria si fa pi fresca, entriamo in casa e ci sediamo in una stanza accanto al fuoco. Mi domando dove verr cucinata la capra, e quando mi viene data un'intera zampa anteriore insieme a un enorme coltello a serramanico mi stupisco un po'. Priscilla riceve l'altra zampa. Priscilla, dico, non ho cos tanta fame. E' impossibile mangiare tutto! Lei ride e risponde che conserveremo gli avanzi per il giorno successivo. Bench l'idea di rosicchiare quella zampa anche a colazione non mi sorrida affatto, faccio finta di niente e ne mangio almeno qualche pezzetto. Ben presto vengo derisa per il mio scarso appetito. Sono stanca morta, ho la schiena dolorante e vorrei sapere dove dormiremo. Ci assegnano una branda in due. Non possiamo lavarci perch non c' acqua, e senza il fuoco fa un freddo cane. Per dormire mi metto il pullover e una giacca

leggera. In questo caso sono addirittura contenta di dormire insieme a Priscilla perch cos mi scalder un po'. Durante la notte mi sveglio con uno strano prurito, sono degli animaletti che zampettano su e gi per il mio corpo. Vorrei scendere dalla branda, ma buio e fa molto freddo. Non mi resta altro che tener duro fino al mattino successivo. Alle prime luci dell'alba sveglio Priscilla e le mostro le mie gambe. Sono cosparse di morsicature rosse, probabilmente provocate dalle pulci. Non possiamo fare molto perch non ho vestiti per cambiarmi, ma almeno vorrei lavarmi. Quando esco rimango esterrefatta, tutta la zona completamente avvolta nella nebbia e i prati sono coperti di brina. Sembra di essere nella fattoria di un contadino del Giura. Quel giorno andiamo a far visita alla madre e ai figli di Priscilla. Camminando per le colline e per i campi incontriamo gente di tutte le et, ma mentre i bambini mantengono le distanze, quasi tutti gli anziani, specialmente le donne, vogliono toccarmi. Alcuni mi tengono a lungo la mano mormorando parole che naturalmente non capisco. Priscilla dice che la maggior parte di queste donne non ha mai visto una bianca, n tantomeno ha avuto la possibilit di toccarla. Per questo mentre mi stringono la mano ci sputano sopra, il che costituisce un'attribuzione di onore particolare. Dopo circa tre ore arriviamo alla capanna della madre di Priscilla. I bambini corrono subito verso di noi e si attaccano a Priscilla. Sua madre, di forme ancor pi tondeggianti di quelle della figlia, sta facendo il bucato seduta per terra. E' chiaro che hanno molte cose da raccontarsi, io cerco di capire quello che posso. E' la capanna pi modesta tra quelle viste fino a quel momento. Come sempre circolare e rattoppata con assi di legno, panni e teli di plastica ma cos bassa che quasi non riesco a stare in piedi. Il camino al centro riempie il vano di fumo e non c' nemmeno una finestra. Decido di bere il t all'aperto, perch dentro gli occhi mi lacrimano senza sosta e mi bruciano. Un po' angosciata chiedo a Priscilla se dobbiamo pernottare qui, e lei risponde ridendo: No, Corinne. Un altro mio fratello vive a circa mezz'ora in una casetta pi grande, trascorreremo l la notte. Qui per noi non c' posto, ci dormono gi i bambini, e poi da mangiare c' solo latte e mais. Sono sollevata. Poco prima che faccia buio ci incamminiamo verso la casa dell'altro fratello. Anche l ci salutano molto cordialmente, sebbene non sapessero che Priscilla sarebbe arrivata con una bianca. Questo fratello mi molto simpatico, con lui posso finalmente fare una vera e propria conversazione. Anche sua moglie parla un po' d'inglese ed entrambi sono andati a scuola. Naturalmente devo scegliere una capra. Non so cosa fare, non vorrei mangiare di nuovo quella carne dura, ma d'altra parte ho proprio fame. Cos mi permetto di chiedere se c' qualcos'altro, noi bianchi non siamo abituati a consumare tanta carne. Scoppiano a ridere e la cognata di Priscilla mi offre in alternativa del pollo con patate e verdure. Entusiasta di questa magnifica proposta rispondo: Oh yes!. Lei sparisce, e poco dopo torna con un pollo spennato, patate e una specie di spinacio in foglia. I masai di qui sono veri e propri contadini, che spesso hanno studiato e vivono del loro duro lavoro nei campi. Mangio insieme alle donne, la

cena veramente ottima. E' un piatto unico simile allo stufato e mi piace molto pi delle montagne di carne di capra che mi offrono normalmente. Restiamo quasi una settimana, durante la quale le visite a parenti e amici di Priscilla si susseguono senza sosta. C' perfino l'acqua calda per lavarsi, ma i nostri vestiti sono sporchi e impregnati di un terribile odore di fumo. Col passare dei giorni comincio a stancarmi di quella vita e a sentire nostalgia della spiaggia di Mombasa e del mio nuovo letto. Quando comunico il mio desiderio di partire a Priscilla, risponde che dobbiamo prima andare a una cerimonia di nozze che verr celebrata due giorni dopo, ma non ci tratterremo oltre. Le nozze hanno luogo a qualche chilometro di distanza. Uno tra i pi ricchi masai del luogo sta per prendere moglie per la terza volta (i masai possono sposare tante donne quante riescono a mantenerne). Mi tornano in mente le dicerie su Lketinga. Sar vero che gi sposato? L'idea mi fa star male, ma cerco di mantenere la calma e penso che se fosse cos me l'avrebbe certamente raccontato. C' di sicuro dell'altro dietro alla sua scomparsa, e io devo scoprirlo appena sar di ritorno a Mombasa. La cerimonia molto coinvolgente. Arrivano centinaia di uomini e donne da ogni parte. Mi viene anche presentato il fiero sposo, che si dichiara pronto a prendere in moglie anche me e, rivolgendosi a Priscilla, chiede quante vacche dovr pagare in cambio della mia mano. Io rimango di stucco, Priscilla rifiuta la proposta e lui rinuncia senza fare storie. Quindi arriva la sposa accompagnata dalle prime due mogli. E' una ragazza bellissima, adornata dalla testa ai piedi. E' sorprendentemente giovane, non pi di dodici o tredici anni, mentre le altre due mogli ne hanno forse diciotto o venti. Neanche lo sposo molto vecchio, avr all'incirca trentacinque anni. Come mai queste ragazzine vengono date in moglie alla loro et? chiedo a Priscilla. E' cos, risponde, lei stessa non era molto pi vecchia. In qualche modo la ragazza mi fa pena, sembra fiera ma non felice. I miei pensieri tornano a Lketinga. Chiss se al corrente che io ho gi ventisette anni? D'un tratto mi sento vecchia, insicura e, con i vestiti sporchi, nemmeno particolarmente attraente. Le numerose offerte che ricevo attraverso Priscilla non riescono a mitigare questa sensazione. Non mi piace nessuno e, per quanto riguarda un eventuale marito, per me esiste solo e soltanto Lketinga. Voglio andare a casa, a Mombasa, forse arrivato. Intanto gi passato un mese intero. L'incontro con Jutta. Dormiamo per l'ultima volta nella capanna, e il giorno successivo torniamo a Mombasa. Mentre percorriamo la strada in direzione del villaggio ho il batticuore. Sento voci sconosciute in lontananza e a un tratto Priscilla grida: Jambo, Jutta!. Queste parole mi confortano. Dopo aver trascorso quasi due settimane praticamente senza parlare non vedo l'ora di fare due chiacchiere con una donna bianca. Jutta mi saluta piuttosto freddamente e si mette subito a parlare in suaheli con Priscilla. Ancora una volta non

capisco niente! Ma poi mi chiede sorridendo: Ti piaciuta la vita nel bush?. E, squadrandomi dalla testa ai piedi, aggiunge in tono critico: Se non fossi cos sudicia non ti crederei. Le rispondo che sono contenta di essere tornata a Mombasa perch ho il corpo pieno di punture e un prurito atroce alla testa. Lei si mette a ridere: Avrai le pulci e i pidocchi, ecco tutto! Ma se entri nella capanna adesso non riuscirai pi a levarteli di dosso!. Contro le pulci mi consiglia di fare un bagno in mare e poi una doccia in uno dei tanti alberghi. Lei stessa si concede spesso questo lusso quando sta a Mombasa. L'idea non mi convince e quando le chiedo se questo possibile anche non essendo ospiti lei scaccia prontamente i miei scrupoli: Tra tanti bianchi nessuno bader a te. Dice che a volte va addirittura a prendersi da mangiare al buffet, naturalmente non sempre nello stesso albergo. Mi stupisco dell'esistenza di tutti questi trucchi e provo ammirazione per Jutta, ma lei a un certo punto si dilegua promettendomi di tornare pi tardi. Priscilla tenta di sciogliermi le treccine tirandomi i capelli, che sono tutti ingarbugliati e impastati di fumo e sporcizia. E' dolorosissimo, e mi sento a disagio perch in tutta la mia vita non sono mai stata cos sporca. Dopo pi di un'ora di lavoro tra un ciuffo di capelli caduti e l'altro, veniamo a capo della situazione. Le treccine sono tutte sciolte, e ora sembro una che ha appena infilato le dita nella presa della corrente. Munita di shampoo, sapone e vestiti puliti busso da Jutta e ci incamminiamo verso un albergo. Quando vedo che si porta dietro matite e un blocco di carta da disegno, le chiedo: Cosa vuoi fare con quella roba?. Guadagnare soldi. A Mombasa facile, per questo a volte rimango qui anche per due o tre settimane. Ma in che modo? Faccio caricature per i turisti. Impiego dieci, quindici minuti al massimo e per ogni quadro prendo circa dieci franchi. Se ogni giorno ritraggo quattro o cinque persone posso gi ritenermi soddisfatta! Va avanti in questo modo ormai da cinque anni. Da l'impressione di essere sicura di s e di cavarsela benissimo. L'ammiro. Appena arriviamo alla spiaggia mi tuffo in mare per rinfrescarmi, e finisco per restarci un'ora buona. Quando esco Jutta mi fa vedere quanto ha guadagnato nel frattempo e poi dice sorridendo: Bene, e ora andiamo a far la doccia. Siamo bianche, basta che ti rilassi e che ti comporti in modo naturale di fronte al custode. Tienilo bene a mente!. Infatti funziona. Resto sotto la doccia un'eternit, e mi lavo i capelli almeno cinque volte prima di sentirmi pulita. Quindi indosso il mio vestito estivo e come se niente fosse andiamo a prenderci il tradizionale t delle quattro. Il tutto senza spendere un soldo! Durante il t Jutta mi chiede cosa ci faccio al villaggio, e io le racconto la mia storia, che lei ascolta con attenzione. Quindi mi da alcuni consigli: Se proprio vuoi stare qui per riprenderti il tuo masai, devi organizzarti meglio. Affitta una casetta, non costa quasi niente e ti dar un po' di autonomia. Risparmia il tuo denaro e guadagnane dell'altro, per esempio procurando i clienti a me, divideremo i proventi dei miei ritratti. E soprattutto non fidarti dei neri della costa, a quelli interessano solo i soldi. Domani andremo all'agenzia di viaggi e scopriremo se quel Lketinga vale le tue pene. Se il denaro che avevi depositato si trova ancora l, significa che

non si ancora lasciato corrompere dal turismo. Jutta mi da sicurezza. Sa parlare il suaheli, se la cava in ogni situazione e ha pi energia di Rambo. Il giorno successivo andiamo a Mombasa, ma non con l'autobus perch Jutta non ha intenzione di buttare dalla finestra il denaro guadagnato con tanta fatica. Cos, da vera esperta, si mette sulla strada con il pollice alzato. La prima macchina di indiani - ci carica e ci da un passaggio fino al traghetto. Qui solo indiani e bianchi possono permettersi un'auto. Quando ci imbarchiamo, Jutta mi dice ridendo: Hai visto, Corinne, hai imparato un'altra cosa nuova!. Dopo diverse ricerche, finalmente troviamo l'agenzia di viaggi. Spero con tutto il cuore che a quasi cinque mesi di distanza i soldi ci siano ancora, non tanto per la cifra in s, ma perch questa sarebbe la conferma che non mi sono ingannata su Lketinga e sul nostro amore. E poi Jutta ha detto che mi aiuter solo se Lketinga non ha ritirato il denaro. Non sembra fidarsi molto di lui. Quando apro la porta e varco la soglia sento il mio cuore battere forte. L'uomo dietro alla scrivania alza la testa, lo riconosco subito. Ancor prima che io possa aprir bocca, s'illumina, mi viene incontro con le braccia alzate e dice: Hello, how are you after such a long time? Dov' il masai? Non l'ho pi visto. Queste parole mi rincuorano. Dopo averlo salutato, spiego che con il passaporto non aveva funzionato e cos sono venuta a ritirare il denaro. Quindi l'indiano sparisce dietro una tenda. Ancora non voglio crederci, guardo Jutta interrogativa e lei scrolla le spalle. Ritorna subito dopo con alcuni mazzi di banconote in mano. Piangerei dalla gioia. Lo sapevo, ero certa che a Lketinga non interessavano i miei soldi. Afferro la considerevole somma di denaro e sento crescere in me una forza insperata. La mia fiducia era ben riposta, d'ora in poi posso ignorare qualsiasi chiacchiera e pettegolezzo. Dopo aver ricompensato l'indiano per la sua onest, torniamo sulla strada, e finalmente Jutta ammette: Corinne, devi proprio ritrovare questo masai. Ora credo alla tua storia e anch'io penso che siano state altre persone a seminare zizzania. La abbraccio dalla gioia e le dico: Vieni, ti invito a pranzo, andremo al ristorante come i turisti!. Durante il pranzo elaboriamo un piano di azione. Jutta propone di cominciare dal distretto di Samburu la settimana successiva. A Maralal, il villaggio principale del distretto, che piuttosto lontano da dove ci troviamo, intende cercare un masai che aveva conosciuto sulla costa. Gli vuole far vedere le foto di Lketinga, con un po' di fortuna riusciremo a scoprire dove abita. L si conoscono tutti mi dice. Potremo soggiornare da alcuni suoi amici che lei sta aiutando a costruire una casa. Accetto tutte le sue proposte, purch finalmente accada qualcosa che ponga fine a questo insopportabile periodo di inattivit. La settimana con Jutta divertente. Io la aiuto a prendere appuntamenti per i ritratti e lei disegna. Il lavoro va a gonfie vele e conosciamo gente simpatica. La sera di solito andiamo al Bush-Baby-Bar, sembra che la musica e gli intrattenimenti aiutino Jutta a recuperare le energie. Ma deve stare attenta a non sperperare subito il denaro guadagnato, altrimenti staremo qui ancora un mese. Finalmente facciamo i bagagli. Ho deciso di portare circa la met dei vestiti, il resto lo lascio nella casetta. Priscilla non

contenta che io me ne vada, sostiene che quasi impossibile trovare un guerriero masai. Si spostano continuamente, e finch non si sposano non hanno una dimora fissa. Solo sua madre sapr dove si trova. Ma io non mi do per vinta, sono convinta di fare la cosa giusta. Per prima cosa prendiamo l'autobus per Nairobi. Questa volta il viaggio di otto ore non mi disturba affatto. Voglio visitare il luogo d'origine del mio masai, e ogni ora che passa sono pi vicina alla meta. A Nairobi Jutta ha da sbrigare alcune faccende, e cos ce la spassiamo per tre giorni all'Igbol-Lodging, un albergo dove soggiornano giramondo di ogni sorta, ben diversi dai turisti di Mombasa. Nairobi un'altra cosa da ogni punto di vista. E' tutto pi caotico, le strade brulicano di invalidi e mendicanti. Essendo il nostro albergo nel bel mezzo di questa scena, posso assistere anche allo spettacolo della prostituzione. Di sera i bar cercano di attirare gli uomini con musica suaheli e nei locali quasi ogni donna si vende per una birra o per qualche soldo. I maggiori clienti di questa zona sono gli indigeni. C' molta confusione, ma per certi versi anche suggestivo. Noi due, in quanto donne bianche, diamo molto nell'occhio e ogni cinque minuti qualcuno ci chiede se stiamo cercando un boy-friend. Per fortuna Jutta in grado di difendersi benissimo in suaheli. Di notte va in giro per Nairobi armata di un rungu, il randello dei masai, altrimenti correrebbe troppi pericoli. Il terzo giorno esorto Jutta a ripartire. Acconsente, e a mezzogiorno saliamo sull'autobus in direzione di Nyahururu. E' molto pi malandato di quello di Mombasa, che gi non era un pullman di lusso. Alla mia reazione, Jutta ride: Vedrai il prossimo! Questo va ancora bene. Rimaniamo ferme sull'autobus per un po' perch finch non pieno non parte. Ci aspettano altre sei ore di viaggio. Ogni tanto l'autista fa una fermata per far salire e scendere i passeggeri, che come sempre hanno con s montagne di bagagli. Finalmente arriviamo alla meta che ci siamo prefissate: Nyahururu. Ci trasciniamo fino all'albergo pi vicino e affittiamo una stanza, poi mangiamo qualcosa e andiamo subito a dormire perch non ce la faccio pi nemmeno a stare seduta. Sono cos felice di potermi finalmente coricare che mi addormento immediatamente. Dobbiamo alzarci alle sei, l'unico autobus per Maralal partir solo un'ora pi tardi. Quando arriviamo gi quasi pieno. C' anche qualche guerriero masai e questo mi fa sentire a mio agio, ma tutti ci guardano con sospetto perch siamo le uniche bianche. Questo autobus una vera tragedia. Dai sedili sfondati spuntano molle e gommapiuma sudicia, e qualche finestrino anche senza vetro. Su tutto predomina il caos. Per muoversi bisogna scavalcare diversi scatoloni di polli. D'altra parte il primo autobus nel quale tutti sono di buon umore, si parla e si ride molto. Jutta salta fuori per prendere ancora qualcosa da bere a una bancarella. Torna e mi da una bottiglia di coca-cola, avvertendomi: Prendila e goditela, ma con parsimonia, durante il viaggio avrai molta sete. Quest'ultimo tratto molto polveroso perch ci muoviamo su percorsi sterrati e fino a Maralal non c' altro che bush e deserto. L'autobus parte. Dopo dieci minuti circa lasciamo la strada asfaltata e cominciamo a procedere a sobbalzi lungo una via rossa piena di buche.

Il veicolo viene subito avvolto da una nube di polvere. Chi ha la fortuna di avere il finestrino ancora intero lo chiude, gli altri si coprono con stracci o berretti. Tossisco e cerco di tenere gli occhi chiusi. Ora capisco perch erano rimasti liberi solo i posti dietro! L'autobus procede lentamente ma, nonostante questo, quando incontra una buca sbanda terribilmente, tanto che devo aggrapparmi al sedile per non essere sbalzata in avanti. Di' Jutta, per quanto tempo andr avanti cos? Jutta ride: Salvo imprevisti per quattro o cinque ore, e sono solo centoventi chilometri!. Sono sconvolta, ma se penso a Lketinga questa odissea mi sembra quasi romantica. Qui e l vediamo delle manyatta in lontananza, poi pi nulla salvo vaste distese desertiche, terra rossa e qualche raro albero. A volte spuntano bambini con capre e mucche che ci salutano con un cenno della mano. Sono in giro con il proprio gregge in cerca di pascoli. Dopo un'ora e mezza l'autobus fa una prima sosta. Ai lati della strada si trovano alcune baracche di legno, e intravedo anche due negozietti che espongono banane, pomodori e qualche cianfrusaglia. Donne e bambini si precipitano verso i finestrini dell'autobus e cercano di vendere qualcosa durante la breve pausa. Alcuni passeggeri si riforniscono di cibo e poi ripartiamo subito. Non sceso nessuno, in compenso sono saliti tre guerrieri adornati, portano due lunghe lance ciascuno. Quando li vedo cresce in me la certezza che presto ritrover Lketinga. La prossima fermata Maralal dice Jutta, che ora visibilmente stanca. Anch'io sono sfinita dal lungo viaggio su questa strada tremenda. Jutta ritiene che dovremmo considerarci fortunate perch non abbiamo bucato e non abbiamo avuto guasti al motore, il che accade molto di frequente. E poi la strada asciutta, mentre sotto la pioggia la terra rossa si trasforma in fango. Un'altra ora e mezza e finalmente siamo a Maralal. L'autobus entra in paese suonando il clacson, percorre fino in fondo l'unica strada e parcheggia all'inizio del centro abitato. Immediatamente viene circondato da dozzine di curiosi. Scendiamo sulla strada polverosa e ci rendiamo conto di essere incipriate dalla testa ai piedi. Intorno all'autobus si accalcano persone di ogni et, un vero e proprio tumulto. Noi restiamo ad aspettare che i nostri borsoni da viaggio riemergano da casse, materassi e ceste. Davanti al paesino e ai suoi abitanti la mia indole avventurosa si risveglia. A circa cinquanta metri dalla fermata c' un mercatino. In ogni angolo, panni variopinti si agitano al vento e montagne di vestiti e scarpe sono disposti su teloni di plastica. Di fronte ai banchetti siedono delle donne in attesa di clienti. Finalmente riusciamo a recuperare le nostre borse. Jutta propone di prendere una tazza di t e di mangiare un boccone prima di avviarci verso la sua casetta, che si trova a circa un'ora di strada a piedi. Centinaia di occhi ci seguono fino all'albergo. La padrona, una donna kikuyu, saluta Jutta, che tutti conoscono perch sta collaborando da tre mesi alla costruzione di una casa nelle vicinanze, ed essendo bianca impossibile non notarla. La casa da t assomiglia a quella di Ukunda. Quando prendiamo posto al tavolo ci vengono serviti come sempre carne, salsa e chapatti (una via di mezzo tra il pane e la

focaccia), con del t. Dietro di noi, a una certa distanza, seduto un gruppo di guerrieri masai. Jutta, dico, forse ti conoscono, non ci tolgono gli occhi di dosso. Qui ti guardano sempre ribatte imperturbabile. Cominceremo domani a cercare il tuo masai, oggi abbiamo ancora da fare un bel pezzo di strada in salita! Dopo il pranzo, che come al solito non costa quasi niente, ripartiamo. Sotto il sole cocente procediamo lungo una strada polverosa in salita, e gi dopo un chilometro il borsone mi sembra pesantissimo. Ma Jutta mi tranquillizza: Non ti preoccupare, conosco una scorciatoia per un albergo turistico dove se saremo fortunate troveremo qualcuno con una macchina. Mentre camminiamo sul sentiero, all'improvviso si sente un fruscio proveniente dalla macchia, e Jutta grida: Corinne, fermati! Se sono bufali non ti muovere!. Allarmata, cerco di associare la parola bufalo a un'immagine. Rimaniamo immobili, e a un certo punto, a circa quindici metri da me, vedo qualcosa di chiaro a strisce scure. Jutta ride sollevata: Ah, sono solo zebre!. Le abbiamo spaventate e stanno galoppando via di corsa. Le chiedo: Hai detto bufali, ma arrivano cos vicini al villaggio?. Te ne accorgerai! Quando arriveremo, con un po' di fortuna potremo vedere bufali, zebre, scimmie e gnu bere a una pozza d'acqua l vicino. Non pericoloso questo sentiero? Certo, ma lo utilizzano quasi solo i guerrieri samburu, che sono sempre armati. Le donne generalmente vengono protette da loro, gli altri prendono la strada principale, che meno rischiosa. Ma con questa si risparmia met tempo! Solo quando arriviamo in albergo comincio a sentirmi un po' meglio. E' veramente bello e niente affatto pomposo come quello che ho visitato con Marco nel Masai-Mara. Nonostante ci, si adatta molto bene allo stile del luogo, quasi fosse una fata morgana delle case degli indigeni di Maralal. Entriamo, ci sediamo sulla veranda e, come Jutta mi aveva preannunciato, accanto alla pozza d'acqua, a cento metri di distanza, si vedono numerose zebre. Un po' pi a destra una femmina di babbuino gioca con i suoi cuccioli, tra cui riesco a distinguere qualche grosso maschio. Tutti cercano di avvicinarsi all'acqua. Finalmente spunta un cameriere e ci chiede cosa desideriamo. Jutta ordina due coche in suaheli. Sembra contenta e mentre aspettiamo mi riferisce: Il padrone dell'albergo sar qui tra circa un'ora. Possiede un fuoristrada, di sicuro ci porter su. Possiamo aspettarlo con calma. Quindi ci immergiamo nei nostri pensieri. Io osservo le colline vicine, darei qualunque cosa per sapere dove si trova Lketinga. Avr un qualche sentore della mia vicinanza? Passano quasi due ore prima che arrivi il direttore. E' una persona piacevole e modesta ed scurissimo di pelle. Ci fa salire, e dopo quindici minuti di viaggio tra scossoni e sbandamenti raggiungiamo la nostra meta. Lo ringraziamo e Jutta mi mostra orgogliosa il luogo in cui lavora: si tratta di una stamberga rettangolare di calcestruzzo divisa in vani. In uno dei due che sono quasi finiti staremo noi. Nella nostra stanza ci sono solo un letto e una sedia, ma nessuna finestra, cos durante il giorno per avere un po' di luce dovremo tenere la porta aperta. Mi sembra strano che Jutta possa star bene in un luogo cos buio. Quando cala la notte accendiamo una candela e poi ci corichiamo insieme sull'unico

letto, cercando di sistemarci il meglio possibile. Sono sfinita e prendo sonno quasi subito. Veniamo svegliate di buon'ora da alcuni operai che iniziano rumorosamente a lavorare. Per prima cosa ci vogliamo lavare. Per questo abbiamo a disposizione una bacinella d'acqua fredda. Anche se l'aria del mattino gelida, voglio essere carina quando finalmente rivedr il mio masai. Sono su di giri e piena di energia, voglio tornare subito a Maralal per perlustrarla ancora. Tra i tanti guerrieri masai che ho visto al nostro arrivo ce ne sar pure uno che conosce Jutta. Lei si lascia contagiare dalla mia euforia e dopo il solito t partiamo. Lungo la strada superiamo diverse donne e ragazze che vanno nella stessa direzione. Trasportano latte che venderanno a Maralal. Ora ci servono pazienza e molta fortuna dice Jutta. Per prima cosa dobbiamo fare un giro, sperando che ci vedano o che io riconosca qualcuno. Non ci vuole molto, visto che qui c' una sola strada piena di negozi che costeggia la cittadina. Le botteghe, con poche eccezioni, sono mezze vuote e la merce quasi sempre la stessa. Tra i negozi si trova qualche albergo, dove si pu anche mangiare o bere qualcosa. Le stanze sono disposte in una fitta successione, come in un gabbione per conigli, e in fondo ci sono i servizi, se cos si possono chiamare dei veri e propri cessi. Con un po' di fortuna si pu trovare anche una doccia con un sottile filo d'acqua. L'edificio pi appariscente la Commercial Bank. E' fatta di calcestruzzo, e la facciata stata ridipinta da poco. Vicino alla fermata dell'autobus si trova una pompa di benzina, ma di macchine ne ho visto solo tre, due jeep e un pick-up. Visitiamo il paese con calma, fermandoci a ogni negozio. I proprietari cercano di rivolgerci la parola in inglese, e c' un grappolo di bambini che ci seguono parlando e ridendo forte. L'unica parola che capisco mzungu, mzungu, cio bianca, bianca. Verso le quattro del pomeriggio torniamo a casa. La mia euforia si dissolta, anche se la ragione mi dice che non era plausibile che io riuscissi a trovare Lketinga al primo colpo. Jutta cerca di tranquillizzarmi: Domani ci saranno altre persone, ne arrivano di nuove ogni giorno. Pochi abitano qui, e quelli non ci interessano. Presto molta gente sapr che in paese ci sono due donne bianche, le notizie si diffondono subito nel bush. Essendo realistici, ci vorranno almeno tre o quattro giorni per trovarlo. Il tempo passa e il mio entusiasmo per Maralal sta calando. Basta poco per conoscere ogni angolo di questo buco di paese. Jutta ha mostrato ad alcuni guerrieri la foto di Lketinga ma in risposta abbiamo ricevuto solo qualche ghigno diffidente. E' gi trascorsa una settimana e ancora non ci sono novit salvo che, a forza di continuare a far sempre la stessa cosa, cominciamo a sentirci stupide. Jutta mi dice che verr con me ancora una volta, poi dovr cavarmela da sola. Quella notte prego che il giorno dopo succeda qualcosa, mi rifiuto di credere che tutta questa fatica sia stata inutile. Il mattino seguente, al terzo giro del paese, si avvicina un uomo, e comincia a parlare con Jutta. Riconosco i grandi buchi nei lobi, si tratta senz'altro di un ex guerriero samburu. I due cominciano a parlare animatamente. Sembra che si conoscano abbastanza bene, e questo naturalmente mi

fa piacere. Si chiama Tom. Quando Jutta gli fa vedere le foto di Lketinga, lui le guarda per un po' e poi dice: Yes, I know him. Sono elettrizzata. I due parlano suaheli e quindi non capisco quasi nulla, ma continuo a chiedere: Che c' Jutta, che cosa sa di Lketinga?. Entriamo in un ristorante e Jutta traduce. S, lo conosce, non molto bene ma sa che vive da sua madre, ogni giorno lo incontra per strada con le mucche. Dove abita? chiedo ansiosa. E' piuttosto lontano, racconta, circa sette ore di strada a piedi se si allenati. Si deve attraversare un bosco molto fitto pieno di elefanti e bufali. Non certo se la madre si trovi ancora a Barsaloi - questo il nome del paese -, poich a volte, a seconda della disponibilit di acqua, gli abitanti si trasferiscono con tutto il bestiame. Queste notizie mi fanno sembrare Lketinga irraggiungibile. Sono scoraggiata: Jutta, chiedi se possibile informarlo della mia presenza, sono disposta a pagare. Tom riflette e dice che potrebbe partire dopodomani notte con una mia lettera. Ma prima deve comunicarlo a sua moglie, che ha sposato da poco e che ha ancora qualche difficolt di adattamento al nuovo ambiente. Concordiamo una cifra. La met subito, il resto quando sar di ritorno con nuove informazioni. Detto una lettera a Jutta, che la traduce in suaheli. Il samburu ci da quindi appuntamento a Maralal fra quattro giorni. Se trover Lketinga lo accompagner qui, arriveranno in giornata. Durante quei quattro lunghi giorni ogni sera rivolgo le mie suppliche al cielo. Alla fine sono stremata. Sono molto impaziente, e d'altronde so bene che se non andr in porto dovr tornare a Mombasa e dimenticare il mio grande amore. Porto con me i bagagli perch ho deciso di non passare la notte da Jutta, bens a Maralal. Con o senza Lketinga domani lascer questo paese. Jutta e io continuiamo ad andare in giro per il paese. Dopo tre ore ci separiamo per avere pi possibilit di essere viste. Spero con tutte le mie forze che Lketinga venga. A un certo punto non riesco pi a trovare Jutta, intorno a me non c' neppure un bianco. Nonostante questo persisto nelle mie ricerche, quando d'un tratto vedo un ragazzino che mi sta venendo incontro di corsa. Ha il fiatone ma riesce a dirmi: Mzungu, mzungu, come, come!. Agita le braccia e mi tira per la gonna. In un primo momento temo che sia successo qualcosa a Jutta. Mi porta verso il primo albergo, dove ho depositato il borsone, e mi parla concitatamente in suaheli. Poi mi indica il retro dell'edificio. Felicit a Maralal. Vado nella direzione indicata e giunta all'angolo dell'edificio mi guardo intorno. Eccolo! Il mio masai l che mi sorride, accanto a lui c' Tom. Rimango senza parole. Lui protende le braccia verso di me e dice: Hi, Corinne, no kiss for me?. Solo allora riesco a riprendermi dallo shock e gli corro incontro. Ci abbracciamo, mi sembra che il tempo si sia fermato. Quindi mi allontana leggermente da s, e mi dice raggiante: No problem, Corinne. Al suono di queste parole familiari mi commuovo profondamente. Jutta sembra condividere la nostra gioia: Ecco, vi siete ritrovati! Poco fa l'ho riconosciuto e l'ho portato qui per

evitare che vi vedesse tutta Maralal. Ringrazio Tom di tutto cuore e li invito entrambi a bere un t e a ordinare tutta la carne che vogliono a mie spese. Cos andiamo nella mia stanza, ci sediamo sul letto e aspettiamo che ci portino il cibo. Jutta intanto ha spiegato a Lketinga che pu mangiare con noi senza problemi perch non siamo donne samburu. Lui si consulta con l'altro e acconsente. Finalmente qui con me. Non riesco a distogliere lo sguardo da lui, che a sua volta mi fissa con i suoi begli occhi. Poi gli chiedo perch non era venuto a Mombasa. Come mi aspettavo, non aveva ricevuto le mie lettere. Aveva anche chiesto due volte del passaporto, ma l'ufficiale l'aveva deriso e maltrattato. Anche gli altri guerrieri stavano cambiando atteggiamento nei suoi confronti. Erano strani, non lo volevano pi a ballare con loro. In quella situazione e senza introiti, non vedeva pi alcuna buona ragione per rimanere sulla costa, e cos dopo un mese era tornato a casa. Non sperava pi che io tornassi. Aveva anche provato a telefonarmi all'Africa-Sea-Lodge, ma nessuno lo aveva aiutato, e anzi il direttore gli aveva fatto capire che il telefono poteva essere utilizzato solo dai turisti. Quando vengo a sapere tutto quello che ha fatto per trovarmi mi emoziono, ma nello stesso tempo provo una gran rabbia nei confronti dei suoi cosiddetti amici, subito pronti a danneggiarlo proprio nel momento del bisogno. Quando gli racconto che voglio rimanere in Kenya per sempre mi risponde: It's okay. You stay now with me!. A questo punto Jutta e Tom ci lasciano. A Lketinga rincresce di non potermi portare a casa sua, ma dice che un periodo di siccit e carestia. Da mangiare non c' altro che latte e al momento non c' neppure una casa disponibile. Gli spiego che per me va bene qualunque cosa, purch finalmente possiamo stare insieme. Lui propone allora di andare subito a Mombasa, potr visitare in seguito il suo paese d'origine e sua madre. Invece vuole a tutti i costi presentarmi subito il fratello minore James, che frequenta la scuola di Maralal. E l'unico della famiglia ad andare a scuola. Gli dir che ha intenzione di stabilirsi con me a Mombasa, e quando James torner a casa per le vacanze informer la madre. La scuola si trova a circa un chilometro dal paese. La disciplina molto rigida, nel cortile ragazze e ragazzi sono separati. Indossano tutti l'uniforme, le femmine vestitini azzurri, i maschi pantaloni blu e camicia chiara. Lketinga si avvicina lentamente agli studenti maschi, io aspetto in disparte. Ben presto ci fissano tutti, prima lui poi me. Lketinga parla con loro e uno corre via, per tornare poco dopo in compagnia di un altro. Questi va incontro a Lketinga, lo saluta con rispetto e dopo un breve scambio di battute vengono da me. James mi porge la mano delicatamente. Avr circa sedici anni e parla molto bene inglese. Dice che gli dispiace di non poter venire in paese con noi, ma la ricreazione molto breve e di sera non possono uscire, salvo il sabato per non pi di due ore, il preside molto severo. Appena suona il campanello spariscono tutti rapidamente, James compreso. Quando torniamo in paese vorrei andare nel nostro alloggio, ma Lketinga obietta ridendo: Qui siamo a Maralal, non a Mombasa. Sembra che uomini e donne non possano stare da soli in una stanza prima che faccia buio, e anche allora devono stare attenti a non dare troppo nell'occhio.

Non tanto per il sesso - so bene com', con lui - ma dopo tutti quei mesi vorrei che stessimo un po' insieme da soli. Attraversiamo lentamente Maralal. Mi tengo a una certa distanza perch cos prescrivono le buone maniere. Lketinga parla con dei guerrieri e delle ragazze. Queste ultime, tutte molto giovani ed elegantemente adornate, manifestano la loro curiosit sfiorandomi con lo sguardo e poi ridacchiando imbarazzate, mentre i guerrieri mi fissano a lungo e poi parlano tra loro, sicuramente di me. Mi sento un po' a disagio, non capisco cosa stia succedendo. Non vedo l'ora che sia sera. Al mercato Lketinga compra un sacchetto di plastica pieno di polvere rossa e mi indica i suoi capelli e il corpo dipinto. Su un'altra bancarella si trovano dei gambi verdi con le foglie ancora attaccate legati in fasci lunghi circa venti centimetri. A proposito di questa merce tra cinque o sei uomini nelle vicinanze scoppia un vero e proprio litigio. Lketinga si dirige verso la bancarella. Il venditore lo vede, prende un foglio di carta da giornale, avvolge due fasci, Lketinga paga un prezzo piuttosto alto e fa subito sparire il pacco sotto il kanga. Poi, durante il tragitto verso l'albergo, compra almeno dieci gomme da masticare. Quando arriviamo nella stanza gli chiedo che erba mai quella e lui, guardandomi raggiante, risponde: Mima, it's very good. You eat this, no sleeping!. Apre il pacco, mette la gomma in bocca, strappa le foglie dai gambi, li sbuccia con i denti e comincia a masticarli. L'eleganza con cui muove le sue belle mani snelle mi affascina. Anch'io assaggio l'erba, ma la sputo subito perch il gusto troppo amaro per me. Poi ci sdraiamo sul letto con le mani nelle mani. Sono felice, potrei abbracciare il mondo intero. Sento di essere giunta al traguardo: l'ho ritrovato, il mio grande amore. La mattina successiva andremo a Mombasa, dove inizieremo una vita meravigliosa. Mi addormento senza accorgermene. Quando mi sveglio Lketinga ancora nella stessa posizione, e continua a masticare. Il pavimento pieno di foglie, gambi sbucciati e palline verdi biascicate. Il suo sguardo leggermente fisso. Quando si accorge che sono sveglia mi accarezza i capelli e dice: No problem, Corinne, you tired, you sleep. Tomorrow safari. And you, chiedo, you not tired? No, la risposta, alla vigilia di viaggi cos lunghi non riesce a dormire, per questo mastica miraa. Da come lo dice, presumo che questa miraa abbia effetti simili a quelli dell'alcol, che ai guerrieri vietato. Capisco che ha bisogno di coraggio perch non sa a che cosa andremo incontro, le sue esperienze a Mombasa non sono state certo positive. Il suo mondo qui, e anche se Mombasa si trova pur sempre in Kenya, non il luogo d'origine della sua trib. Lo aiuter io, penso, e mi riaddormento subito. La mattina seguente dobbiamo partire presto per trovare posto sull'autobus per Nyahururu, e dato che Lketinga non ha dormito non c' problema. Non capisco come faccia a essere cos in forma e come possa intraprendere un viaggio tanto lungo senza alcun bagaglio, solo con i suoi ornamenti, il panno attorno ai fianchi e il rungu in mano. Siamo in prossimit della prima tappa. Lketinga ha riposto l'erba e continua a masticare la stessa gomma. E' taciturno, e anche l'autobus non vivace come quello che avevamo preso io e Jutta all'andata.

Ancora una volta l'autobus, sbandando, attraversa migliaia di buche. Lketinga si avvolge la testa in un altro kanga per proteggere i suoi bei capelli dalla polvere. Rimangono fuori solo gli occhi. Io mi premo un fazzoletto sul naso e sulla bocca per respirare in qualche modo. A circa met percorso Lketinga mi indica una lunga collina grigia, ma guardando meglio scopro che in realt si tratta di centinaia di elefanti. E' un'immagine grandiosa: una moltitudine di colossi che si muovono lentamente a perdita d'occhio, tra loro ci sono anche dei cuccioli. Sull'autobus si incomincia a ciarlare, e vengo a sapere che si tratta di un fenomeno molto raro. Finalmente raggiungiamo la meta, a mezzogiorno siamo a Nyahururu. Andiamo a bere un chai, mangiamo una focaccia e dopo mezz'ora prendiamo l'autobus per Nairobi, dove arriviamo verso sera. Propongo a Lketinga di pernottare l e di proseguire per Mombasa la mattina successiva, ma lui non vuole restare a Nairobi perch considera gli alberghi troppo cari. Essendo io a finanziare il viaggio trovo la sua preoccupazione commovente e gli assicuro che non c' problema. Ma lui risponde che Nairobi pericolosa e c' molta polizia. Anche se siamo sull'autobus dalle sette del mattino desidera continuare senza interruzioni. Capisco che a Nairobi si sente a disagio e acconsento. Andiamo a mangiare qualcosa alla svelta. Sono contenta che mangi con me, anche se si copre il viso con il kanga per non essere riconosciuto. La stazione degli autobus non lontana, possiamo percorrere le poche centinaia di metri a piedi. A Nairobi persino gli indigeni notano Lketinga, lo osservano divertiti e rispettosi al tempo stesso. In questa citt moderna e convulsa un estraneo anche lui. Quando me ne rendo pienamente conto sono contenta che la faccenda del passaporto non sia andata a buon fine. Finalmente riusciamo a prendere posto su uno degli ambiti autobus notturni e attendiamo la partenza. Lketinga tira di nuovo fuori la miraa e si mette masticare. Cerco di rilassarmi, ho male dappertutto. Solo il cuore sta bene. Dopo quattro ore, durante le quali pi o meno sonnecchio, l'autobus si ferma. Scendono quasi tutti, e anch'io, ho bisogno di andare in bagno. Ma quando vedo quell'orribile buco contornato da escrementi preferisco attendere altre quattro ore. Cos prendo due bottiglie di coca-cola e salgo di nuovo, ma questa volta non mi riaddormento. Corriamo ad alta velocit sulla strada rettilinea, incrociando pi volte autobus che provengono dalla direzione opposta. Di auto private se ne vedono pochissime. Incontriamo due posti di blocco e ci dobbiamo fermare. Sulla carreggiata sono state disposte travi di legno con lunghi chiodi e un poliziotto armato di mitra corre lungo l'autobus illuminandoci uno per uno con la sua torcia. Dopo cinque minuti il viaggio notturno pu continuare. Faccio sempre pi fatica a stare seduta. A un certo punto vedo un cartello con scritto 245 km a Mombasa. Dio sia ringraziato, non siamo pi tanto lontani. Lketinga non ha chiuso occhio tutto il tempo. La miraa lo tiene sveglio, ma il suo sguardo stranamente fisso, e sembra che non abbia voglia di parlare. Comincio a essere irrequieta. Sento gi l'aria salina, e la temperatura si fa pi mite. Il freddo umido di Nairobi appartiene al passato.

Ritorno a Mombasa. Finalmente, poco dopo le cinque del mattino, arriviamo a Mombasa. Alcuni scendono al capolinea. Vorrei farlo anch'io, ma Lketinga mi ferma e mi spiega che fino alle sei non ci sono autobus per la costa. E' meglio aspettare l, dice, potrebbe essere pericoloso. Siamo arrivati e non possiamo ancora scendere! La mia vescica sta per scoppiare. Lo comunico a Lketinga e lui risponde: Come!, e si alza. Scendiamo e cerchiamo un posticino tra due autobus vuoti. A parte qualche gatto o cane randagio non si vede anima viva, e posso quindi far pip in tutta tranquillit. Quando vede il mio ruscello, Lketinga ride. L'aria della costa fantastica. Propongo a Lketinga di fare una passeggiata fino alla prossima fermata, lui prende la mia borsa e ci inoltriamo nelle luci dell'alba. Lungo la strada, il guardiano di un negozio che sta riscaldando il suo chai su una stufetta a carbone ci offre addirittura del t e Lketinga lo ricompensa con un po' di miraa. Poi ci passano davanti alcuni mendicanti, in silenzio o balbettando. Qua e l c' della gente che dorme per terra su cartoni o giornali. E' ancora l'ora degli spiriti, prima che inizi l'affaccendato andirivieni cittadino, ma io non ho paura. Mi sento sicura accanto al mio guerriero. Poco prima delle sei si sentono i clacson dei primi matatu e dopo soli dieci minuti incomincia a destarsi l'intero quartiere. Noi ci sediamo ancora una volta su un autobus che ci porter al traghetto. Quando saliamo a bordo mi invade nuovamente quella sensazione di felicit che ormai conosco, manca solo un'ora di autobus per arrivare alla costa meridionale. Ma Lketinga sembra nervoso. Quando gli chiedo: Darling, you are okay?, mi risponde: Yes, e poi mi travolge con un fiume di parole. Non capisco tutto, ma evidente che vuole sapere chi ha rubato le mie lettere e chi mi ha raccontato che lui sposato. E' cos scuro in volto che mi sento a disagio. Cerco di tranquillizzarlo dicendogli che non ha nessuna importanza ora che l'ho trovato. Non risponde, si volta e guarda agitato fuori dal finestrino. Andiamo direttamente al villaggio. Priscilla sorpresa di vederci insieme. Ci da il benvenuto e prepara subito il chai. Esther non c' pi e le mie cose sono appese ordinatamente su una corda dietro alla porta. Sulle prime i due parlano amichevolmente, ma poi la discussione si accende. Cerco di capire di cosa si tratta e Priscilla mi spiega che Lketinga la accusa di non averlo informato delle mie lettere. Ma alla fine per fortuna si calma e va a dormire sul nostro lettone. Priscilla e io rimaniamo fuori a cercare una soluzione al problema della notte: non possiamo stare in tre, tra cui una donna masai, sotto lo stesso tetto. Alla fine un guerriero in partenza per la costa settentrionale ci offre la sua capanna. La puliamo e trasciniamo le mie cose e il lettone nel nuovo alloggio. Riesco a creare un'atmosfera accogliente, ne sono felice. Il prezzo dell'affitto l'equivalente di dieci franchi. Passiamo due settimane bellissime. Di giorno insegno a Lketinga a leggere e scrivere, entusiasta. Utilizziamo libri in inglese con i fumetti e lui fiero di ogni lettera che impara. Spesso di sera andiamo ad assistere a rappresentazioni masai, seguite come sempre dalla vendita di ornamenti che in parte produciamo noi stessi: Lketinga e io confezioniamo graziosi braccialetti, Priscilla ricama cinture.

Un giorno al Robinson-Club viene organizzata una vendita di ornamenti, scudi e lance che dura fino a sera. Per l'occasione affluiscono molte persone dalla costa settentrionale, tra cui anche molte donne masai. Lketinga andato a Mombasa e ha comprato diversi oggetti per avere pi merce da esporre. Gli affari vanno a gonfie vele, i bianchi assediano il nostro stand e mi assillano con le loro domande. Quando abbiamo venduto quasi tutto aiuto gli altri a sbarazzarsi della mercanzia, anche se Lketinga contrario perch li ritiene responsabili della nostra lunga separazione. D'altra parte ci consentono di partecipare alla vendita, per questo dobbiamo essergli grati. Diversi turisti ci invitano al bar. Una o due volte mi siedo con loro, ma mi stanco ben presto, la vendita mi diverte di pi. Lketinga invece si intrattiene a lungo con due tedeschi. Ogni tanto do un'occhiata, ma sono girati dall'altra parte. Quando dopo un po' di tempo mi unisco a loro scopro che sta bevendo della birra e mi spavento perch i guerrieri non possono assumere alcol. Anche se i masai della costa ogni tanto lo fanno, Lketinga appena tornato dal distretto di Samburu e non abituato a bere. Preoccupata chiedo: Darling, why do you drink beer?. Lui ride e mi risponde: Questi amici mi hanno invitato. Ordino ai tedeschi di smetterla subito di pagargli la birra perch non abituato agli alcolici. Si scusano e cercano di calmarmi dicendomi che fino a quel momento ne ha bevute solo tre. Speriamo che tutto finisca bene! La vendita volge al termine, il momento di imballare gli oggetti invenduti. Davanti all'albergo il denaro viene spartito tra i masai. Ho fame, le ore passate in piedi mi hanno spossato. Vorrei tornare a casa, mentre Lketinga, leggermente brillo ma allegro, decide di andare a mangiare a Ukunda con alcuni masai. Dopo un cos grande successo hanno tutti molto denaro da spendere. Io decido di passare e torno al villaggio sola e delusa. In seguito mi pentir amaramente di questa decisione. Sulla strada del ritorno mi viene in mente che il mio visto scadr tra cinque giorni. Lketinga ed io abbiamo deciso di andare insieme a Nairobi, ma al solo pensiero del lungo viaggio mi viene la nausea, per non parlare delle autorit del Kenya! Andr tutto bene, mi dico. Infilo la chiave nella porta della nostra casetta, cerco di calmarmi, e mi preparo un po' di riso al pomodoro, di pi non si pu fare in questa cucina. Il villaggio tranquillo. A pensarci bene, da quando siamo tornati nella nostra casa non abbiamo quasi ricevuto visite. Mi mancano un po', le serate passate giocando a carte mi mettevano allegria. Priscilla non in casa, cos mi metto sul letto e scrivo una lettera a mia madre. Parlo della mia nuova vita, cos tranquilla, e cerco di comunicarle la mia felicit. Sono gi le dieci e non ancora tornato. Comincio a innervosirmi, ma il rumore dei grilli mi placa. Poco prima di mezzanotte la porta si apre di schianto e compare Lketinga. Rimane per un po' sulla soglia a fissarmi, quindi scruta attentamente la stanza. I tratti del suo viso sono affilati, ogni traccia di allegria scomparsa. Mastica miraa, e quando lo saluto risponde: Chi stato qui?. Nessuno dico e sento il mio cuore impazzire. Ripete la domanda. Io ribatto seccata che non c' stato nessuno, la verit. Lui, sempre in piedi sulla soglia, dichiara di aver saputo che ho un amante. Mi

sento morire. Mi drizzo sul letto e lo guardo furiosa. Come puoi farti venire un'idea cos assurda? Insiste, ne sicuro, a Ukunda gli hanno raccontato che io, durante la sua assenza, ogni sera ricevevo un masai, e anche Priscilla. Restavano con noi fino a tarda notte. Tutte le donne sono uguali, conclude, hanno sempre bisogno di qualcuno con cui andare a letto. Sono scioccata dalla violenza delle sue parole, mi sembra che il mondo mi crolli sulla testa. Non pu farmi questo proprio adesso che l'ho finalmente ritrovato e abbiamo trascorso due bellissime settimane insieme. La birra e quella miraa devono averlo distrutto. Mi sforzo di non piangere e gli chiedo se gradisce un chai. Alla fine entra e si siede sul letto. Accendo il fuoco con le mani tremanti e cerco di essere il pi serena possibile. Mi chiede di Priscilla. Non so neanch'io dove sia, rispondo, a casa sua tutto buio. Allora ride amaramente e dice: Sar alla Bush-Baby-Disco a cercarsi un bianco!. Con quella mole? Se provo a immaginarmi la scena mi viene quasi da ridere, ma preferisco tacere. Mentre beviamo il chai, gli chiedo con cautela se tutto a posto. Risponde che sta bene salvo un forte batticuore e il sangue che gli corre veloce. Cerco di comprendere queste parole ma non mi sforzo pi di tanto. A un certo punto comincia a girare intorno alla casa e a correre per il villaggio. Poi d'un tratto torna in casa masticando la sua erba. Da l'impressione di essere confuso e irrequieto. Cosa posso fare per aiutarlo? Sono certa che tutta questa miraa a fargli male, ma non so come togliergliela! Dopo due ore finalmente la miraa finita. Spero che venga a dormire e che il giorno dopo tutti gli spettri siano svaniti. Si corica ma non riesce a trovare pace. Non oso toccarlo, e anzi mi schiaccio contro il muro felice che il letto sia bello grande. Dopo un po' salta su e dice che non pu dormire con me nello stesso letto, perch il sangue gli corre all'impazzata nelle vene e gli scoppia la testa. Vuole uscire. Sono disperata: Darling, where you will go?. Risponde che andr a dormire da un altro masai. Detto fatto, se ne va. Sono triste e furiosa al tempo stesso. Mi chiedo che cosa gli abbiano fatto a Ukunda. La notte interminabile, Lketinga non torna e non so dove sia andato a dormire. Malato di mente. Mi alzo al primo raggio di sole con le ossa rotte. Mi lavo il viso ancora gonfio per il pianto e poi mi dirigo verso la casetta di Priscilla. Non chiusa a chiave, quindi deve esserci. Busso e la chiamo sottovoce: Sono io, Corinne, please open the door. I have a big problem!. Priscilla esce ancora assonnata e mi chiede preoccupata: Where is Lketinga?. Mi sforzo di trattenere le lacrime e le racconto tutto. Ascolta con attenzione e intanto si veste. Quindi mi esorta ad attendere, andr a vedere se dai masai. Dopo dieci minuti ritorna e dice che dobbiamo aspettare, perch non si trova l e non ha neanche dormito da loro. L'hanno visto correre verso il bush e comunque, se non torner entro breve tempo, andranno a cercarlo. Che cosa andato a fare nel bush? chiedo disperata. Probabilmente ha disturbi alla testa a causa della birra e della miraa. Devo avere pazienza. Quando vedo che continua a non farsi vivo, torno nella nostra casetta e aspetto. A un certo punto, verso le dieci, si presentano due guerrieri che mi riportano a spalle un

Lketinga stremato. Entrano e lo distendono sul letto, ma non la smettono un attimo di blaterare e questo mi rende nervosissima perch non capisco niente. Lketinga fissa il soffitto apaticamente. Cerco di rivolgermi a lui ma evidente che non mi riconosce, il suo sguardo mi attraversa senza vedermi, ed tutto sudato. Sono prossima ad un attacco di panico, non riesco a spiegarmi cosa stia succedendo. Neanche gli altri sanno cosa fare. Dicono di averlo trovato nel bush sotto un albero in preda alla follia, per questo distrutto. Chiedo a Priscilla se devo chiamare un medico, ma lei risponde che ce n' solo uno sul Diani-Beach e non verr mai da noi. Dovremmo andare noi da lui, ma questo, viste le condizioni di Lketinga, assolutamente fuori discussione. Dorme di nuovo, nel delirio parla di leoni che lo starebbero attaccando. Si dimena a destra e a manca, tanto che i due guerrieri devono tenerlo fermo con la forza. Mi si spezza il cuore. Che fine ha fatto il mio fiero e allegro masai? Non riesco a smettere di piangere e Priscilla mi sgrida: Ora basta! Si piange soltanto quando muore qualcuno. Quando nel pomeriggio riprende coscienza, mi guarda con aria interrogativa. Io gli sorrido e gli chiedo dolcemente: Hello, darling, you remember me?. Why not, Corinne? ribatte con voce flebile. Poi si rivolge a Priscilla e chiede che cosa sta succedendo. Parlano fra loro e lui scuote la testa, non riesce a credere a quello che sente. Mentre gli altri sono a lavorare resto con lui. Mi fa capire che ha fame, ma ha anche dei dolori all'addome. Allora gli chiedo se desidera della carne, e accetta: Oh yes, it's okay. Vado a comprarla e quando torno lo trovo a letto addormentato. Dopo circa un'ora il cibo pronto. Cerco di svegliarlo e lui apre gli occhi, ma ha di nuovo quello sguardo fisso e confuso. Mi chiede con aggressivit chi sono e che cosa voglio da lui. I'm Corinne, your girlfriend la mia risposta, ma lui continua a ripetere ossessivamente la domanda. Sono disperata, soprattutto perch Priscilla ancora sulla spiaggia a vendere kanga. Quando lo supplico di mangiare qualcosa, lui ride sarcasticamente, e ribatte che questo food non lo manger mai, perch senz'altro avvelenato. Non riesco a trattenere le lacrime, Lketinga se ne accorge e mi chiede chi morto. Cerco di calmarmi pregando ad alta voce e quando finalmente torna Priscilla vado subito a chiamarla. Anche lei cerca di parlargli ma senza successo. Dopo un po' dice: He's crazy!. Molti moran, cos sono chiamati i guerrieri che vengono a stare sulla costa, sono soggetti alla collera di Mombasa, ma il suo caso secondo lei particolarmente grave. Forse qualcuno l'ha reso intenzionalmente crazy. Che cosa, come, chi? balbetto, io a queste cose non ci credo. Mi risponde che ho ancora molto da imparare in Africa. La supplico: Dobbiamo aiutarlo!. Okay! Mander qualcuno sulla costa settentrionale a cercare aiuto. L c' un grande centro masai. Al suo capo sono in certo modo subordinati tutti i guerrieri della costa. Toccher a lui decidere. Intorno alle nove di sera arrivano due guerrieri della costa settentrionale. Non mi sono molto simpatici, ma sono contenta che finalmente si muova qualcosa. Parlano lungamente a Lketinga massaggiandogli la fronte con un fiore secco dal profumo intenso, e durante la conversazione lui sembra quello di sempre. Non riesco quasi a crederci. Un attimo prima era tanto confuso e adesso cos tranquillo.

Per non rimanere inattiva preparo il t per tutti. Non capisco niente, mi sento superflua e sprovveduta. Fra i tre uomini si crea una intimit tale che non mi percepiscono pi. Nonostante questo accettano il t di buon grado e io colgo l'occasione per chiedere che cosa sta succedendo. Uno di loro, che parla un po' di inglese, mi spiega che Lketinga non sta bene, malato di mente. Forse passer presto, ma necessita di calma e di molto spazio. Per questo i tre dormiranno fuori, nel bush, a poca distanza dalla capanna, e il giorno dopo lo porteranno sulla costa settentrionale, andr tutto a posto. Ma perch non pu dormire qui da me?, chiedo sconvolta. In quel momento non mi fido di nessuno anche se Lketinga sta indubbiamente meglio. No, rispondono, per il suo sangue la mia vicinanza non salutare. Lketinga d'accordo, se in passato non aveva mai avuto niente di simile forse sono io la causa. Sono sconvolta, ma non mi resta altro da fare che lasciarlo andare. La mattina dopo tornano a bere il t. Lketinga sta bene, tornato quasi quello di prima, ma nonostante questo i due insistono perch vada con loro sulla costa settentrionale. Lui acconsente ridendo: Now I'm okay!, e quando gli ricordo che la sera stessa dovr andare a Nairobi a ritirare il visto, risponde: No problem, andiamo sulla costa settentrionale e poi insieme a Nairobi. Arrivati sulla costa settentrionale, dopo aver scambiato alcune parole con la gente del luogo, ci portano nella capanna del capo. Non anziano come avevo pensato, e ci riceve con cordialit, ma non pu vederci perch cieco. Parla a Lketinga con grande calma, mentre io osservo la scena senza capire una parola. Non mi permetterei mai di interrompere il dialogo, ma il tempo stringe, e anche volendo prendere l'autobus notturno mi dovr procurare il biglietto tre o quattro ore prima della partenza, altrimenti rischio di rimanere senza posto. Dopo un'ora il capo mi dice che dovr partire senza Lketinga, in quelle condizioni Nairobi potrebbe ferire la sua sensibilit. Mentre io sar via ci penseranno loro a lui, ma dovr cercare di ritornare al pi presto. Hanno ragione, sarei del tutto impreparata a fronteggiare un'emergenza a Nairobi. Cos prometto a Lketinga che se tutto andr liscio prender l'autobus notturno del giorno successivo per essere di ritorno due mattine dopo. Lui mi prende la mano e mi chiede se pu fidarsi. Lo rassicuro: torner, e allora decideremo che cosa fare, quando star meglio potremmo anche consultare un medico. Mi promette di aspettare e di fare tutto il possibile per evitare ricadute. Mentre il matatu parte mi sento un peso sul cuore, chiss come andr a finire! Arrivata a Mombasa, prendo subito il biglietto. Mancano ancora cinque ore alla partenza. Poi, dopo otto ore di viaggio, arrivo a Nairobi. E' l'alba, e di nuovo prima di scendere rimango seduta sull'autobus fin quasi alle sette. Quindi bevo un t e, non conoscendo la strada, prendo un taxi per palazzo Nyayo. All'ingresso c' una gran confusione. Bianchi e neri si accalcano intorno agli sportelli, ognuno ha un problema diverso. Cerco di destreggiarmi tra i vari moduli - naturalmente in inglese -, li compilo, li consegno e aspetto. Passano tre ore tonde tonde prima che mi chiamino. Spero ardentemente che mi concedano il timbro. Quando la donna dietro lo sportello mi squadra da capo a piedi e mi chiede la ragione per cui voglio prorogare il visto

per altri tre mesi, rispondo con studiata calma: Perch non ho ancora avuto modo di scoprire tutte le meraviglie di questo paese e possiedo denaro a sufficienza per restarci altri tre mesi. Allora sfoglia un po' il mio passaporto e poi fa un gigantesco timbro su una pagina. Finalmente ho il mio visto, un altro passo avanti! Tutta contenta pago la tassa e lascio quell'orribile edificio. Allora non sapevo che ci sarei entrata ancora cos tante volte da odiarlo. Vado a mangiare con in tasca il biglietto per l'autobus notturno. E' il primo pomeriggio, e decido di andare un po' in giro per Nairobi per non addormentarmi, sono gi pi di trenta ore che non chiudo occhio. Per non perdermi cerco di non allontanarmi troppo dalle due strade principali. Alle diciannove gi buio e quando chiudono i negozi nei bar riprende lentamente la vita notturna. Non voglio pi stare per strada, la citt si sta popolando di tipi sempre pi loschi, ma a entrare in un locale non ci penso nemmeno, e cos vado in un McDonald's nelle vicinanze e trascorro l le ultime due ore di attesa. Finalmente sono di nuovo sull'autobus per Mombasa. Il conducente mastica miraa, e infatti corre come un puzzo. Arriviamo alla meta a tempo di record, alle quattro del mattino, e ancora una volta aspetto il primo matatu per la costa settentrionale, sono ansiosa di sapere come sta Lketinga. Poco prima delle sette sono gi al villaggio masai. Dormono tutti e la casa del chai ancora chiusa. Non so dove si trovi Lketinga e quindi decido di aspettare. Alle sette e mezza arriva il proprietario ad aprire. Mi siedo in attesa del primo chai, lui me lo porta e ritorna immediatamente in cucina. Poco dopo alcuni guerrieri prendono posto agli altri tavoli. L'atmosfera cupa e nessuno parla, forse perch ancora cos presto. Alle otto circa non resisto pi e chiedo al proprietario se sa dove si trovi Lketinga. Scuote la testa e sparisce di nuovo. Ma dopo mezz'ora ricompare, si siede al mio tavolo e mi esorta ad andare sulla costa meridionale e a rassegnarmi. Lo guardo sorpresa e gli chiedo: Perch?. Lui mi spiega: Non pi qui, tornato a casa questa notte. Mi si gela il sangue. A casa sulla costa meridionale? domando ingenuamente. No, home to Samburu-Maralal. A questo punto urlo terrorizzata: No, that's noi true! E' qui, dimmi dove!. Allora si alzano due tipi da un altro tavolo, si avvicinano e cercano di calmarmi. Ma io mi difendo con energia, ormai sono scatenata. Alla fine strillo in tedesco: Brutti porci schifosi, infide canaglie, avevate programmato tutto!. Lacrime di rabbia mi scorrono sul viso, ma questa volta me ne infischio. Sono cos furibonda che vorrei picchiare qualcuno. L'hanno messo sull'autobus sapendo che io stavo tornando proprio in quel momento, ci saremo anche incrociati da qualche parte. Non riesco a mandarla gi. Che meschini! Come se dipendesse tutto da quelle otto ore. Esco dal locale, di corsa perch stanno arrivando curiosi a frotte e so di non essere in grado di controllarmi. Triste e gonfia di collera torno da sola da Priscilla. You come to my home. Al momento ignoro come andr a finire. Adesso ho il

visto, ma non Lketinga. Priscilla nella sua casetta con due guerrieri. Le racconto tutta la storia, e lei traduce per loro. Alla fine mi consiglia di dimenticare Lketinga, anche se gli voglio bene. E' molto malato, oppure qualcuno gli ha fatto il malocchio, e questo lo ha costretto a tornare da sua madre, perch restando in questo stato a Mombasa avrebbe corso gravi rischi. Dovr consultare uno stregone, io non posso aiutarlo, e inoltre sarebbe pericoloso per una bianca mettersi contro tutti. Sono davvero disperata, non so pi a che cosa e soprattutto a chi credere. In fondo mi baso solo sulla mia intuizione quando penso che Lketinga sia stato portato via contro la sua volont. La sera stessa arrivano nella mia casetta i primi guerrieri a farmi la corte. Ma quando uno di loro mi dice che, essendo Lketinga fuori gioco in quanto crazy, ho senz'altro bisogno di un boyfriend come lui, li butto fuori tutti per l'esasperazione. Lo racconto a Priscilla e lei ride, mi dice che normale e mi invita a essere di pi larghe vedute. Evidentemente non ha ancora capito che non voglio una persona qualunque, ho rinunciato alla mia vita in Svizzera solo per Lketinga. Il giorno seguente scrivo subito una lettera a suo fratello a Maralal. Forse lui ne sa di pi. Ma ci vorranno almeno due settimane prima di avere una risposta, due lunghe settimane durante le quali non sapr che cosa accaduto: mi sembra di impazzire! Al quarto giorno non ne posso gi pi e, in gran segreto, decido di affrontare il lungo viaggio fino a Maralal. L penser a cosa fare. Io non mi do mai per vinta, la vedremo! Non dico niente nemmeno a Priscilla, non mi fido pi di nessuno. Quando va in spiaggia a vendere i kanga infilo la mia roba nel borsone e sparisco sulla strada per Mombasa. Percorro di nuovo pi di 1400 km, e due giorni dopo sono a Maralal. Vado nello stesso albergo da quattro franchi della volta scorsa e la proprietaria sorpresa di rivedermi cos presto. Mi sdraio sulla branda della modesta stanza e rifletto sul da farsi: domani devo andare a trovare il fratello di Lketinga. Riesco a convincere il preside e quando vedo James gli dico tutto. Lui risponde che se avr il permesso mi porter da sua madre. Dopo lunghe trattative il preside acconsente, a condizione per che io mi procuri una macchina per il viaggio. Felice di aver ottenuto cos tanto con il mio inglese rudimentale, comincio a girare per Maralal alla ricerca di qualcuno con un'automobile, ma i pochi che ne hanno una sono per lo pi somali, e quando dico dove voglio andare mi deridono o chiedono cifre astronomiche. Il secondo giorno incontro Tom, che gi una volta mi aveva aiutato a trovare Lketinga salvandomi dalla disperazione. Anche lui vorrebbe sapere dove si trova. Comprende di nuovo al volo la situazione e si offre di cercare lui una macchina, perch a una bianca farebbero un prezzo almeno cinque volte pi alto. In effetti, poco dopo mezzogiorno ci troviamo gi seduti su una jeep con autista che riuscito a noleggiare per duecento franchi. A questo punto mi congedo da James, dicendogli che andr con Tom. La jeep attraversa Maralal e imbocca una strada deserta di argilla rossa. Poi ci inoltriamo in un fitto bosco di alberi giganteschi ricoperti di liane, in cui lo sguardo non riesce a penetrare per pi di due metri. Anche la strada si restringe,

riducendosi a una pista tracciata dai pneumatici. Il resto coperto dalla vegetazione. Seduta sul retro della jeep non vedo un granch, e soltanto quando l'auto sbanda mi accorgo che la strada deve essere molto ripida e scoscesa. Dopo un'ora lasciamo il bosco e ci troviamo di fronte a grandi massi. Stavolta impossibile proseguire! Allora i miei due accompagnatori scendono e ne spostano alcuni, cos il veicolo pu attraversare lentamente - e rumorosamente - la strada ciottolosa. Qui mi rendo conto che il prezzo del noleggio non affatto esagerato. Da quel poco che vedo e quel tanto che sento sarei anche disposta a pagare di pi, ci vorrebbe un miracolo per far passare la macchina indenne. Alla fine ce la facciamo, l'autista veramente bravo. Di tanto in tanto lungo la pista vediamo delle manyatta e bambini con greggi di capre o mandrie di mucche. Sono agitata. Quando arriveremo? La casa del mio amore davvero qui da qualche parte oppure sto sprecando il mio tempo? C' ancora una possibilit? Prego di s in silenzio. Il mio salvatore, invece, sembra molto calmo. A un certo punto attraversiamo il letto di un fiume. Dopo due o tre curve vedo alcune capanne di legno molto semplici e, su un'altura, un enorme edificio che si distingue dal paesaggio come un'oasi nel deserto. Dove siamo? chiedo. A Barsaloi-Town e quella la nuova missione. Ma adesso andiamo dalle manyatta per vedere se Lketinga a casa di sua madre. Quando passiamo vicino alla missione noto con stupore la rigogliosa vegetazione, strano su un terreno cos arido e stepposo. Dopo trecento metri svoltiamo e cominciamo a procedere a scossoni in mezzo alla steppa. Due minuti pi tardi il veicolo si ferma, Tom scende, mi invita a seguirlo e dice all'autista di aspettare. Sotto un grande albero vedo alcune persone sedute, tra cui dei bambini. Il mio accompagnatore si avvicina mentre io attendo a distanza e dopo un po' mi guardano tutti. Chiacchiera a lungo con una donna anziana e poi torna dicendo: Corinne, come, his Mama tells me Lketinga is here. Attraversiamo alti cespugli irti di spine e arriviamo presso tre manyatta rudimentali distanti circa cinque metri l'una dall'altra. Davanti a quella di mezzo ci sono due lunghe lance piantate per terra. Tom le indica e dice: Here, he is inside. Non riesco a muovere un passo, allora lui s'inchina ed entra. Io lo seguo, ma la sua schiena mi oscura la visuale. Lo sento parlare e subito dopo odo la voce di Lketinga. Mi faccio coraggio e mi precipito dentro. Non dimenticher mai la sorpresa, la gioia, e l'incredulit dei suoi occhi in quel momento. E' sdraiato su una pelle di mucca nel piccolo vano quasi buio dietro al focolare. Si mette a ridere, Tom cerca di spostarsi come pu e io mi getto fra le sue braccia. Ci teniamo stretti stretti per diversi minuti. I know always, if you love me, you come to my home. E' il giorno pi bello di tutta la mia vita. In quel momento sono certa che rester anche se non dovessimo avere altro che il nostro amore, ed evidentemente Lketinga d'accordo: Now you are my wife, you stay with me like a samburuwife. Sono felicissima. Il mio accompagnatore scettico e mi chiede se davvero deve andarsene da solo. Dice che l la vita dura, non c' quasi niente da mangiare, si dorme in terra e non si pu nemmeno tornare a Maralal a piedi. Non mi importa, gli rispondo, dove vive Lketinga posso vivere anch'io.

Per un istante la capanna si fa buia, la madre di Lketinga sta faticosamente entrando dalla piccola apertura dell'ingresso. Si siede di fronte al focolare e per diversi minuti mi guarda muta e cupa. Sono cosciente che questo il momento decisivo e non dico nulla. Io e Lketinga rimaniamo seduti tenendoci le mani, i nostri visi ardono d'amore. Il fuoco che abbiamo dentro sarebbe in grado di illuminare tutta la capanna. Lketinga le dice solo un paio di parole, ogni tanto capisco mzungu oppure Mombasa, e sua madre non mi toglie lo sguardo di dosso per tutto il tempo. E' scura, e la sua bella testa rasata perfettamente tonda. Al collo e appesi alle orecchie porta anelli colorati pieni di perline. E' piuttosto corpulenta, e sul suo petto nudo si allunga un seno enorme. Le gambe sono coperte da una gonna sudicia. A un certo punto mi tende la mano, dice jambo e mi travolge con un fiume di parole. Guardo Lketinga e lui ride: Mia madre ha dato la sua benedizione, possiamo restare nella capanna. Tom si congeda, e io lo accompagno alla jeep per recuperare la mia borsa. Quando torno, vicino alla manyatta c' gi una folla numerosa. Verso sera sento uno scampanellio, esco fuori e vedo un grande gregge di capre. Sono quasi tutte di passaggio, ma alcune vengono spinte nel nostro recinto di spine. Al centro del kraal, che a sua volta circondato da rovi, arrivano circa trenta animali e Mamma va subito a mungere le capre. Pi tardi scoprir che il latte ricavato appena sufficiente per il chai. Il gregge viene custodito da un bambino sugli otto anni, che siede accanto alla manyatta e mi guarda impaurito, poi butta gi due bicchieri d'acqua. E' il figlio del fratello pi grande di Lketinga. Un'ora pi tardi fa buio, e ci ritiriamo nella piccola manyatta. Siamo in quattro. Oltre a noi due c' Mamma, che sta seduta vicino all'ingresso, e accanto a lei una bambina impaurita sui tre anni, Saguna, la sorella minore del ragazzino. Si stringe timida alla nonna, che ora fa le veci della madre. Lketinga mi spiega che quando la prima bambina del figlio maggiore abbastanza grande, viene affidata alla madre di quest'ultimo per aiutarla a procurare la legna e ad andare a prendere l'acqua. Mentre noi due rimaniamo seduti sulla pelle di mucca, Mamma smuove la cenere e tira fuori la brace ancora accesa. Poi soffia lentamente, ma con ritmo regolare, sulle scintille, provocando per alcuni minuti un fumo che mi fa venire le lacrime agli occhi. Vedendomi in difficolt tutti ridono. Quando poi ci si mette anche un attacco di tosse, mi precipito verso l'uscita. Aria, aria, ho bisogno di aria. Fuori, davanti alla piccola capanna, buio pesto. Ci sono un'infinit di stelle, talmente vicine che si potrebbe quasi raccoglierle come fiori su un prato. Mi godo questa pace. Ovunque si vedono le luci dei fuochi accesi nelle manyatta. Anche la nostra calda e accogliente. Mamma prepara il chai, la nostra cena, ma dopo il t la vescica comincia a tormentarmi. Lketinga ride: Here no toilet, only bush. Come with me, Corinne!. Salta fuori dalla capanna con destrezza felina e crea un passaggio ripiegando un cespuglio spinoso su un lato - il recinto di spine costituisce l'unica protezione contro gli animali feroci di cui disponiamo. Ci allontaniamo dal kraal di circa trecento metri e mi indica un cespuglio con il rungu: quello in futuro sar il mio WC. Di notte potr fare

pip anche accanto alla manyatta perch la sabbia assorbe tutto, ma il resto mai nelle vicinanze, altrimenti dovremo sacrificare una capra ai vicini e cambiare dimora, il che molto disonorevole. Quando torniamo alla manyatta richiude il passaggio nel cespuglio e ci sdraiamo sulla pelle di mucca. Non possibile lavarsi, qui l'acqua appena sufficiente per il chai. Quando gli chiedo delucidazioni sulla cura del corpo, Lketinga mi dice: Tomorrow at the river, no problem!. Nella capanna c' un bel calduccio, mentre fuori l'aria fresca. La bambina sta gi dormendo nuda accanto alla nonna, noi tre cerchiamo di chiacchierare. Qui la gente va a dormire tra le otto e nove e quando il fuoco lentamente si spegne e non ci vediamo quasi pi ci sdraiamo anche noi. Io e Lketinga ci abbracciamo stretti stretti, e anche se vorremmo spingerci ben oltre, con la madre e questo silenzio ovviamente non succede niente. La prima notte dormo male, non sono abituata alla dura terra. Mi rigiro continuamente e capto tutti i rumori. Quando sento il tintinnio del campanellino di una capra in questo silenzio mi sembra quasi la campana di una chiesa. Riesco a distinguere degli ululati in lontananza. A un certo punto sento un fruscio nello spineto, ne sono certa, qualcuno sta cercando di entrare nel kraal. Ho il cuore in gola, e tendo le orecchie per scoprire chi si sta avvicinando. Guardo in direzione del piccolo ingresso e vedo due travi nere, no, sono gambe o lance. Subito dopo una voce maschile dice: Supa moran!. Sveglio Lketinga con una gomitata e gli sussurro: Darling, somebody is here. Lui emette suoni strani che sembrano quasi un grugnito e per una frazione di secondo mi fissa quasi incazzato. Outside is somebody spiego agitata. Di nuovo risuona la voce: Moran supa!. Quindi si scambiano alcune battute, e le gambe spariscono. What's the problem! chiedo. L'uomo, un altro guerriero, voleva pernottare qui - il che normalmente non un problema - ma ci sono io e non si pu. Gli ha detto che cercher una sistemazione in un'altra manyatta, ma io non devo badarci e cercare di riaddormentarmi. Alle sei sorge il sole e con lui si destano uomini e animali. Le capre rumoreggiano perch vogliono uscire. Sento voci ovunque e il posto di Mamma gi vuoto. Un'ora dopo ci alziamo anche noi e beviamo il chai, ma quasi una tortura perch con il sole si svegliano anche le mosche. Se metto la tazza in terra accanto a me cominciano a ronzarle intorno a dozzine, cos come ronzano con ostinazione intorno alla mia testa. Sembra che Saguna quasi non se ne accorga, anche se le si posano sugli angoli degli occhi e addirittura sulla bocca. Chiedo a Lketinga da dove vengono tutte quelle mosche e lui mi indica gli escrementi delle capre accumulatisi durante la notte. Ma mi garantisce che con la calura del giorno si seccano e le mosche si allontanano, per questo la sera prima non mi hanno disturbata. Ridendo mi avverte che questo solo l'inizio: quando torneranno le mucche sar ancora peggio, il loro latte attira moltissimo le mosche, e i mosquitos che arrivano dopo le piogge sono ancora pi fastidiosi. Dopo il chai voglio andare al fiume per potermi finalmente lavare. Mi armo di sapone, asciugamano, biancheria pulita e ci incamminiamo. Lketinga porta solo una tanica gialla per l'acqua, che servir a Mamma per il chai. Camminiamo su un sentiero

per circa un chilometro, fino al largo alveo che il giorno prima avevamo attraversato con la jeep. Ai lati ci sono grandi alberi rigogliosi, ma di acqua non c' traccia. Quindi seguiamo il fiume in secca finch, dopo un'ansa, sulla sabbia vediamo alcune rocce, da cui sgorga un piccolo ruscello. Siamo soli qui. Accanto al rigagnolo due o tre ragazze hanno scavato un buco nella sabbia e con dei bicchieri riempiono pazientemente alcune taniche d'acqua potabile. Quando vedono il mio guerriero abbassano la testa pudiche e continuano a fare il loro lavoro ridacchiando. Venti metri pi a valle c' un gruppo di guerrieri che si lavano, i loro vestiti sono sulle rocce ad asciugare. Quando mi vedono ammutoliscono, ma ovvio che non il fatto di essere nudi a infastidirli. Lketinga si ferma e parla con loro. Alcuni mi fissano fieramente, e io non so pi dove guardare, non ho mai visto tanti uomini nudi tutti insieme. Ma loro nemmeno si accorgono del mio imbarazzo. I loro corpi snelli e aggraziati luccicano meravigliosamente al sole mattutino. Non so proprio come comportarmi, cos continuo per la mia strada e dopo un paio di metri mi siedo vicino al ruscello per lavarmi i piedi. Ma Lketinga s'avvicina e mi dice: Corinne, come, here is not good for lady!. Proseguiamo fino a un'altra ansa dove non possiamo esser visti, e Lketinga si spoglia e si lava. Ma quando anch'io voglio svestirmi, mi guarda, sgomento: No, Corinne, this is not good!. Perch? chiedo, come faccio se non posso togliermi la t-shirt e la gonna? Mi spiega che scoprire le gambe assolutamente indecente. Ne discutiamo brevemente e alla fine decido di lavarmi nuda, ma in ginocchio per non essere vista. Lketinga mi insapona la schiena e i capelli, controllando continuamente che nessuno ci stia guardando. Il rito del bagno richiede circa due ore, poi torniamo indietro. Nel frattempo sulle rive del fiume si sviluppata una attivit frenetica: alcune donne si lavano testa e piedi, altre scavano buchi per abbeverare le capre e altre ancora versano pazientemente l'acqua nei propri contenitori. La piccola tanica di Lketinga viene riempita da una ragazza. Poi torniamo al villaggio, con calma perch voglio vedere i negozi. Quando arriviamo presso tre piccole capanne quadrate d'argilla, che loro chiamano appunto negozi, Lketinga parla con i proprietari, tutti somali, che per scuotono la testa. Non c' niente da comprare salvo un po' di t in polvere e qualche conserva di grasso kimbo. Dal pi grande troviamo ancora un chilo di riso, ma quando il proprietario si appresta a impacchettarlo scopro che pieno di piccoli coleotteri neri. Oh no, dico, I don't want this! Lui si offende e se lo riprende, cos non abbiamo niente da mangiare. Sotto un albero troviamo alcune donne che vendono latte di mucca, meglio di niente! Per poche monete portiamo a casa due fiaschetti pieni, un litro circa. Mamma si rallegra moltissimo di avere tanto latte. Prepariamo il chai e Saguna ne prende una tazza piena. E' felice. Poi Lketinga e Mamma discutono della carestia. E' veramente sorprendente che riescano a vivere mangiando cos poco. A volte la missione dona un chilo di farina di mais alle donne anziane, ma pare che per il momento non ci si possa aspettare nulla neppure da loro. Lketinga decide allora di macellare una capra la sera stessa, non appena il gregge

torner a casa. E' strano, ma travolta da tante novit non sento ancora i morsi della fame. Passiamo il resto del pomeriggio nella manyatta. Mamma sta conversando con le altre donne sotto il grande albero e cos finalmente possiamo fare l'amore. Per precauzione tengo i vestiti, pieno giorno e potrebbe entrare qualcuno in qualsiasi momento. Nel pomeriggio si susseguono diversi rapidi amplessi. Non sono abituata a quei ritmi: dura pochissimo, ma dopo un breve intervallo tutto rincomincia da capo. E tuttavia questo non mi da fastidio, non mi manca nulla, con Lketinga sono felice. Di sera tornano a casa le capre e con loro il fratello maggiore di Lketinga, padre di Saguna. Tra lui e la madre si accende una discussione, e pi volte mi lancia occhiate feroci. Chiedo a Lketinga cosa succede e lui cerca di spiegarmi con molta cautela che suo fratello molto preoccupato per la mia salute. Dice che fra non molto arriver il capo del distretto e vorr sapere per quale motivo una donna bianca vive in questa capanna, molto inconsueto. Se questo dovesse succedere, entro due o tre giorni tutta la regione saprebbe della mia presenza e accorrerebbe. Se mi capitasse qualcosa verrebbe addirittura la polizia, e sarebbe la prima volta in tutta la storia dei Leparmorijo ( il loro cognome). Tranquillizzo Lketinga assicurandogli che il mio passaporto in perfetta regola e che io sto bene, nella mia vita non mi sono mai ammalata seriamente. Stasera per cena cercher di mangiare pi che posso. Non appena fa buio ci incamminiamo. Siamo in tre: Lketinga, suo fratello e io. Lketinga trascina una capra. Ci inoltriamo nel bush per circa un chilometro perch loro non possono mangiare nella capanna di Mamma quando lei presente. Con me fanno un'eccezione solo perch sono bianca. Chiedo che cosa mangeranno Mamma, Saguna e sua madre. Lketinga ride e spiega che certe parti della capra sono destinate alle donne e non possono essere consumate dagli uomini, le porteremo a Mamma insieme agli avanzi. Quando c' della carne non va a dormire fino a tarda notte, e a volte sveglia per sino Saguna. Mi tranquillizzo anche se dubito di comprendere tutto quello che dice, visto che continuiamo a comunicare in un inglese rudimentale misto a suaheli aiutandoci con le mani e i piedi. Finalmente arriviamo in un luogo adatto e andiamo a far legna. Tagliamo anche dei rami verdi da un cespuglio e li disponiamo sul terreno sabbioso a mo' di letto. Quindi Lketinga prende la capra belante per le zampe e ve la posa su un fianco, mentre suo fratello le tiene la testa e la soffoca tappandole naso e bocca. Si dimena per poco tempo, violentemente, ma ben presto il suo sguardo fisso nella notte stellata. Non potendomi allontanare perch buio, sono costretta ad assistere alla scena da vicino. Un po' sdegnata chiedo perch invece di soffocarla in questa maniera crudele non le viene tagliata la gola. La risposta semplice: presso i samburu il sangue non pu scorrere prima che l'animale sia morto, cos da sempre. E' la prima volta che partecipo allo smembramento di un animale. Fanno un taglio sul collo della capra, e il fratello di Lketinga tira la pelle in modo che si crei una specie di conca, che si riempie subito di sangue. Io guardo la scena disgustata, tanto pi quando Lketinga e suo fratello si accucciano sulla pozza di sangue e ne bevono rumorosamente

alcuni sorsi. Inorridisco ma non dico una parola, e quando Lketinga indicando la ferita dice: Corinne, you like blood, make very strong!, scuoto semplicemente la testa. L'operazione procede piuttosto velocemente. Spellano la capra, le asportano testa e zoccoli e li gettano sul letto di foglie. Poi un altro shock: le aprono la pancia e si riversa per terra una massa verde terribilmente puzzolente, lo stomaco pieno. Mi passa completamente l'appetito. Mentre il mio masai soffia sul fuoco, suo fratello continua a smembrare la bestia. Dopo circa un'ora ci siamo, a questo punto si possono posare le varie parti su alcuni legni che nel frattempo sono stati disposti a piramide. Per prima cosa cuociono le costine perch impiegano meno delle zampe posteriori. La testa e gli zoccoli invece vengono gettati direttamente nel fuoco. La scena piuttosto raccapricciante, ma so che mi ci dovr abituare. Dopo poco tempo le costine vengono tolte dal fuoco e piano piano viene arrostita tutta la capra. Lketinga taglia un paio di costine con il coltello a serramanico e me le offre. Mi faccio coraggio, le prendo e mi metto a rosicchiarle, anche se forse con un po' di sale sarebbero pi saporite. Mentre io fatico a staccare con i denti la carne dalle ossa, Lketinga e suo fratello mangiano con destrezza e rapidit. Le ossa rosicchiate fanno un bel volo nel bush alle nostre spalle, e un attimo dopo si sente un fruscio. Non so chi prenda gli avanzi, ma quando Lketinga con me non ho paura di niente. I due asportano un pezzo di carne alla volta dalla zampa posteriore, poi la rimettono sul fuoco. Il fratello di Lketinga mi chiede se mi piace e io gli rispondo: Oh yes, it's very good! e continuo a rosicchiare. Dopotutto, se non voglio diventare uno scheletro, dovr pur mettermi qualcosa nello stomaco. Finalmente ci riesco, ma mi fanno male i denti. Poi Lketinga toglie un'intera zampa dal fuoco e me la porge. Lo guardo interrogativa: For me?. Yes, this is only for you. Ma io ho lo stomaco pieno, non ho pi voglia di mangiare e loro non riescono quasi a crederci, dicono che non sono ancora una vera samburu. Alla fine Lketinga mi dice in tono comprensivo: You take home and eat tomorrow. Cos mi metto seduta e mi godo lo spettacolo dei due masai che divorano la carne, un chilo dopo l'altro. Quando sono sazi, avvolgono gli avanzi della capra nella sua propria pelle insieme a interiora, testa e zoccoli, e ci mettiamo in marcia in direzione della manyatta. Io porto a casa la mia prima colazione. Nel kraal domina il silenzio. Ci infiliamo nella nostra capanna e Mamma si alza subito per ricevere la carne avanzata dagli uomini. Non vedo quasi nulla salvo la luce rossa della brace nel focolare. Il fratello ci lascia per portare un po' di carne a sua moglie. Mamma attizza la brace soffiandoci sopra con cautela, ma naturalmente l'operazione solleva molto fumo e cos mi viene di nuovo un forte attacco di tosse. Poi la fiamma si ravviva, e la capanna si illumina e si riscalda. Mamma si avventa su un pezzo di carne arrostita e poi sveglia Saguna. Sono sorpresa dalla capacit di questa piccola golosa, strappata di colpo a un sonno profondo, di tagliare la carne offertale in piccoli pezzetti con un coltello per poi mangiarla in un solo boccone. Mentre stanno mangiando, mettiamo a bollire l'acqua per il chai per me e Lketinga. La mia zampa viene appesa ai rami che sorreggono il soffitto della capanna, proprio sopra la mia testa. Non appena l'unica pentola vuota, Mamma vi

butta dentro dei pezzetti di carne, che diventano subito scuri e croccanti. Poi li mette in fiaschetti vuoti. Cerco di capire che cosa sta facendo e Lketinga mi spiega che in quel modo la carne si conserva per un paio di giorni. Mamma cucina tutti gli avanzi perch altrimenti domani verranno qui molte donne con le quali dovr spartirli e rimarremo nuovamente senza niente. Si dice che la testa della capra, annerita dalla cenere, sia particolarmente buona e viene quindi conservata per il giorno dopo. Quando il fuoco si spegne Lketinga ed io cerchiamo di dormire. Lui appoggia la testa su una specie di sgabello di legno a tre piedi alto circa dieci centimetri perch i suoi lunghi capelli rossi non si scompiglino e non sporchino tutto di colore. A Mombasa non aveva questo sostegno e cos li avvolgeva in una specie di fazzoletto. Non capisco come si possa dormire con la testa appoggiata su qualcosa di cos duro, ma per lui evidentemente non un problema visto che si gi addormentato. Io invece dormo male anche la seconda notte. La terra dura, Mamma si sta ancora godendo la sua cena, e non si pu non sentirla masticare. Come se non bastasse, ci sono dei mosquitos assillanti che continuano a ronzarmi intorno alla testa. La mattina successiva vengo svegliata dai belati di una capra e da uno strano rumore. Guardo in direzione dell'ingresso e riconosco la gonna di Mamma. Dalle sue gambe allargate si sta riversando per terra uno zampillo scrosciante. Evidentemente le donne orinano stando in piedi, mentre gli uomini si accucciano, l'ho visto fare a Lketinga. Quando ha finito esco dalla capanna per fare anch'io i miei bisogni dietro alla manyatta e poi vado a guardare Mamma che munge le capre. Dopo il consueto chai ci dirigiamo di nuovo verso il fiume, dove prendiamo cinque litri di acqua. Quando torniamo alla manyatta, con Mamma ci sono tre donne, che quando ci vedono scappano via subito. Mamma seccata perch ha ricevuto altre visite e ora non ha pi t, zucchero, e acqua, che le regole dell'ospitalit impongono di offrire a chiunque. Ci riferisce indignata che le chiedono tutti di me: prima nessuno si curava di lei, che la lascino in pace anche ora! Propongo a Lketinga di andare almeno a prendere del t in polvere in un negozio. Al nostro ritorno troviamo alcuni vecchietti seduti davanti alla manyatta all'ombra. Hanno una pazienza infinita, stanno a conversare per ore aspettando che prima o poi anche la mzungu mangi, ben sapendo che non potranno essere esclusi. Lketinga decide di farmi visitare la zona perch un guerriero non si sente a suo agio in mezzo alle donne sposate e agli anziani, e ci mettiamo in marcia verso il bush. Durante la strada mi insegna i nomi delle piante e degli animali che vediamo. Il clima secco, e il suolo di terra rossastra e argillosa o di sabbia. Il terreno sconnesso, tanto che a volte dobbiamo attraversare veri e propri crateri. Con quel caldo dopo pochi minuti mi viene sete, ma Lketinga dell'opinione che bere sia la cosa peggiore da fare. Quindi taglia due pezzetti di legno da un cespuglio, se ne mette in bocca uno e porge l'altro a me. Serve a pulirsi i denti, dice, e aiuta a sopportare la sete. Talvolta la mia ampia gonna di cotone s'impiglia in qualche cespuglio spinoso. Dopo un'altra ora sono tutta sudata e non desidero altro che bere qualcosa. Allora

andiamo al fiume. Gli alberi nelle vicinanze, che sono pi alti e pi verdi, ci indicano la direzione giusta, ma ogni speranza di trovare dell'acqua in quell'alveo prosciugato vana. Seguiamo per un po' il letto del fiume finch non scorgiamo alcune scimmie in lontananza, che quando ci vedono si spaventano e scappano tra le rocce. Vicino a una di queste rocce Lketinga scava un buco nella sabbia. Il terreno si fa subito pi scuro per l'umidit e a poco a poco si crea una pozzanghera d'acqua sempre pi limpida. Cos possiamo placare la nostra sete e incamminarci sulla strada del ritorno. Per cena mangio quel che resta della zampa di capra, poi cerco di conversare con gli altri nella semioscurit. Mamma vuole sapere tutto del mio paese e della mia famiglia, ma comunicare davvero difficile e i nostri sforzi per farci capire sono proprio ridicoli. Saguna dorme attaccata a Mamma come al solito. Anche se col tempo si abituata alla mia presenza, non si fa ancora toccare. Alle nove decidiamo di dormire. Tengo indosso la t-shirt, come cuscino uso la gonna, e come coperta un sottile kanga che per non riesce a proteggermi dal freddo del mattino. Trascorro tutto il quarto giorno con Lketinga a pascolare le capre. Sono molto fiera di poter andare con lui. Non tanto semplice tenerle tutte insieme. Durante il percorso incontriamo altre greggi, e mi sorprende che anche i bambini riconoscano ogni singolo animale. Sono sempre almeno cinquanta capi. Procediamo senza fretta, mentre le capre rosicchiano cespugli gi quasi spogli. Intorno a mezzogiorno vengono portate al fiume per abbeverarsi e, dopo che anche noi ci siamo dissetati, la marcia continua. Quell'acqua l'unica cosa che mettiamo nello stomaco fino a sera. Nel tardo pomeriggio torniamo a casa. Sono sfinita e scottata dal sole, penso che questa sar stata la prima e l'ultima volta per me! Ammiro chi in grado di fare una vita cos faticosa ogni giorno. Entrando nella manyatta vengo accolta festosamente da Mamma, dal fratello maggiore di Lketinga e da sua moglie. Dal loro comportamento nei miei confronti si direbbe che il mio prestigio salito, sembrano fieri che io ce l'abbia fatta. Per la prima volta dormo profondamente fino a tardi. La mattina successiva esco carponi dalla manyatta con una gonna di cotone pulita. Mamma sorpresa e chiede quante ne ho. Le faccio segno con le dita che ne ho quattro e lei chiede se posso cedergliene una perch possiede solo quella che indossa. Non stento a crederci visti i buchi e la sporcizia. Ma le mie sono troppo lunghe e strette e cos le prometto di portargliene una dal prossimo safari. Secondo gli standard svizzeri non ho molti vestiti, ma qui con quattro gonne e dieci t-shirt ci si deve quasi sentire in colpa. Quel giorno decido di fare il bucato nel fiume, e ci rechiamo in un negozio per comprare l'Omo, che l'unico detersivo disponibile in Kenya e viene usato anche per la cura del corpo e dei capelli. Non semplice lavare i vestiti nella sabbia e con cos poca acqua. Lketinga mi da addirittura una mano, attirando su di s i risolini e gli sguardi delle ragazze e delle donne del luogo. Apprezzo moltissimo questo gesto, lo amo sempre di pi. Gli uomini qui praticamente non fanno niente, figuriamoci lavori femminili come andare a prendere l'acqua, cercare la legna o, appunto, fare il bucato. I maschi sono tenuti solo a lavare il proprio kanga.

Il pomeriggio stesso decido di passare alla pomposa missione per presentarmi. Mi apre la porta un padre missionario che mi accoglie con un'espressione di minaccia e meraviglia al tempo stesso. Yes! Sfodero il mio inglese migliore e spiego che ho intenzione di restare a Barsaloi e che convivo con un uomo samburu. Mi guarda con ostilit e risponde con un forte accento italiano: Yes, and now?. Gli chiedo se qualche volta posso andare con lui a Maralal a fare provviste. Lui replica che non sa mai in anticipo quando andr a Maralal e comunque, a prescindere da questo, il suo compito quello di trasportare persone malate e non di offrire passaggi a chi deve fare la spesa. Quindi mi porge la mano e mi congeda con le parole: I'm padre Giuliano, arrivederci. Non ho neppure il tempo di riprendermi che gi mi trovo davanti alla porta chiusa a cercare di digerire in qualche modo il mio primo incontro con un missionario. La mia rabbia cresce, al punto che quasi mi vergogno di essere bianca. Cos ritorno lentamente dal mio povero popolo, sempre disposto a condividere quel poco che ha con una perfetta estranea. Quando racconto la mia esperienza a Lketinga, lui ride e mi dice che quei due missionari non sono molto buoni, ma il secondo, padre Roberto, pi disponibile. I loro predecessori li avevano aiutati di pi, durante un'altra carestia avevano perfino distribuito farina di mais. Questi invece cercano di prendere tempo. Il rifiuto del padre mi intristisce. A quanto pare non posso sperare in un passaggio, ma di mendicarlo proprio non ne ho voglia. I giorni passano a ritmo regolare. L'unico svago sono gli ospiti della manyatta. A volte sono anziani, a volte guerrieri della stessa et di Lketinga. Ma in generale se capisco pi di una parola all'ora posso gi ritenermi fortunata. La jeep. Dopo quindici giorni mi rendo conto che non posso andare avanti mangiando cos poco, nemmeno se prendo una compressa vitaminica svizzera al giorno. Ho gi perso qualche chilo, me ne accorgo perch le gonne diventano sempre pi larghe. Voglio restare, su questo non si discute, ma non ho intenzione di morire di fame. Inoltre non ho pi carta igienica e anche i fazzoletti di carta scarseggiano. Con tutta la buona volont, la soluzione samburu, pulirsi con una pietra, non mi va a genio, anche se pi ecologica della carta bianca che getto nei cespugli. Alla fine prendo un'importante decisione, comprer un'automobile, una jeep. Ne parlo con Lketinga e lui a sua volta con Mamma. A lei l'idea sembra assurda, con una macchina ci si trasforma in extraterrestri, anche dal punto di vista economico. Non ha mai viaggiato in automobile, e poi la gente, cosa direbbe la gente? No, Mamma non affatto felice, ma comprende il mio problema, che in definitiva quello di tutti, il cibo. Il pensiero di avere una jeep e di essere quindi indipendente mi rende pi sicura. Ma il mio denaro a Mombasa, questo significa che dovr affrontare di nuovo il lungo viaggio. Devo chiedere a mia madre di trasferire il denaro necessario dal mio conto svizzero alla Barclays Bank di Mombasa. Spero che Lketinga mi accompagni perch non saprei proprio dove andare a cercare un'auto. Qui non ci

sono concessionarie come in Svizzera, e la procedura per avere i documenti e le targhe non molto chiara. Tuttavia non ho dubbi, torner con una macchina. Ancora una volta percorro l'antipatica strada che porta alla missione e questa volta mi apre padre Roberto. Gli parlo del mio proposito e gli chiedo se nei giorni successivi avr occasione di darmi un passaggio fino a Maralal. Mi invita cortesemente a tornare dopo due giorni, forse andr gi. Poco prima della partenza Lketinga decide di non venire, non vuole pi vedere Mombasa. Sono delusa, ma dopo tutto quello che successo lo capisco. Parliamo fino a notte inoltrata, e avverto ancora una volta il suo timore che io non torni. Anche Mamma la pensa cos, nonostante io continui a promettere di essere di ritorno entro una settimana al pi tardi. La mattina della partenza l'atmosfera depressa, e anche per me difficile essere allegra. Un'ora pi tardi sono seduta in macchina accanto a padre Roberto. Per prima cosa andiamo verso Baragoi, nel distretto del Turkana, quindi in direzione di Maralal. Quest'ultima strada non molto sconnessa e non dobbiamo quasi mai inserire la trazione integrale. In compenso dobbiamo fare attenzione a piccoli sassi taglienti che rischiano di bucare le gomme e quindi il tempo di percorrenza si raddoppia. Per arrivare a Maralal impieghiamo quasi quattro ore, siamo a destinazione non prima delle due di pomeriggio. Ringrazio per la gentilezza e vado all'albergo a depositare la mia borsa. Poich l'autobus non partir prima delle sei trascorrer la notte a Maralal. Faccio un giro per passare il tempo, quando all'improvviso sento pronunciare il mio nome. Mi volto e scopro con grande piacere che si tratta di Tom, il mio salvatore. Fa bene rivedere una faccia conosciuta tra le tante che mi scrutano senza posa. Gli parlo del mio progetto e lui mi fa capire che non sar facile, perch in Kenya non esiste un vero e proprio mercato dell'usato, ma si informer in giro. Si ricorda che due mesi prima qualcuno a Maralal aveva cercato di vendere una jeep, che forse si trova ancora l. Ci diamo appuntamento per le sette di sera nel mio albergo. Non chiedo di meglio! Tom ricompare gi alle sei e mezza per dirmi che dobbiamo dare subito un'occhiata a quella jeep. Lo accompagno speranzosa. L'auto vecchia, ma proprio quello che cercavo. Mi metto a trattare con il proprietario, un grassone appartenente alla trib dei kikuyu, e dopo lunghe contrattazioni ci mettiamo d'accordo per 2500 franchi svizzeri. E' incredibile, ma faccio finta di niente e con una stretta di mano suggelliamo l'affare. Gli spiego che il denaro si trova a Mombasa e che pagher dopo quattro giorni. Ma mi deve promettere che non la vender a nessuno, mi fido di lui. Non gli do nessuna caparra perch non mi sembra molto onesto, ma lui con un ghigno mi assicura che la bloccher per quattro giorni. Quindi il mio salvatore e io lasciamo il kikuyu e andiamo a mangiare. Felice di avere una preoccupazione in meno, gli prometto che inviter lui e sua moglie a un safari. Il viaggio per Mombasa prosegue senza problemi. Quando arrivo al villaggio, Priscilla mi accoglie festosamente. Ci raccontiamo tutto, ma quando le comunico che voglio abbandonare la mia casetta e stare per sempre dai samburu, si rattrista e si preoccupa. Le regalo tutto quello che non posso

portare con me, persino il mio meraviglioso lettone. Gi la mattina seguente vado a Mombasa a prelevare l'importo necessario, il che non facile, qui una operazione bancaria del genere richiede molta pazienza. Dopo quasi due ore entro in possesso di una mazzetta di banconote, che cerco subito di nascondermi addosso da qualche parte. Anche il funzionario della banca mi consiglia di fare molta attenzione, dice che una somma del genere da quelle parti costituisce un patrimonio enorme, al punto che qualcuno potrebbe addirittura commettere un omicidio pur di appropriarsene. Quando lascio la banca mi sento a disagio perch so che molte persone in attesa mi hanno visto con il denaro. Su una spalla porto il pesante borsone con i vestiti che avevo lasciato a Mombasa, e nella mano destra impugno un rungu come Jutta. In caso d'emergenza non mi far scrupoli a usarlo. Procedo a zigzag, cambiando continuamente marciapiede per controllare se qualcuno mi segue. Solo dopo un'ora ho il coraggio di recarmi alla stazione degli autobus ad acquistare il biglietto per il viaggio notturno a Nairobi. Quindi torno in centro e mi siedo nell'albergo Castel, che il pi costoso di Mombasa ed gestito da svizzeri. Dopo tanto tempo riesco a mangiare qualcosa di europeo, anche se a prezzi esagerati. Ma che posso farci, non so quando avr di nuovo occasione di vedere un'insalata e delle patatine fritte. Il pullman parte in orario, non vedo l'ora di essere a casa per dimostrare a Lketinga che di me si pu fidare. Ma dopo nemmeno due ore l'autobus sbanda e poi si ferma come un mulo testardo. I passeggeri si mettono a parlare tutti insieme e l'autista conferma che si tratta di una gomma a terra, dobbiamo scendere. Alcuni si siedono sul ciglio della strada e tirano fuori teli o coperte di lana. E' buio pesto, e non ci sono edifici nei dintorni. Mi rivolgo a un uomo con gli occhiali d'oro pensando che un tipo cos per forza deve sapere l'inglese. Effettivamente mi comprende e dice che la sosta potrebbe durare a lungo perch anche la gomma di scorta sgonfia e quindi dovremo aspettare che un veicolo nella direzione opposta dia un passaggio fino a Mombasa a qualcuno di noi. Da l si provveder all'invio di una gomma nuova. Ma assurdo che un autobus carico come il nostro venga fatto viaggiare su un percorso cos lungo, e per di pi notturno, con la ruota di scorta sgonfia! La maggior parte dei passeggeri non sembra tuttavia preoccuparsi pi di tanto. Stanno semplicemente seduti o si sdraiano sul ciglio della strada. E fa pure freddo. Dopo tre quarti d'ora finalmente arriva un'auto in senso opposto e il nostro autista si mette sulla strada agitando furiosamente le braccia. La macchina si ferma, e uno dei passeggeri dell'autobus sale. Adesso ci vuole solo molta pazienza: viaggiavamo gi da un'ora e mezza e quindi dovremo aspettarne almeno altre tre. Se penso al lungo viaggio di ritorno mi sento male, cos prendo il mio borsone e vado sulla strada con l'intento di chiedere un passaggio alla prossima macchina. Dopo non molto tempo vedo due fari accesi in lontananza e mi metto a gesticolare come una pazza. Un uomo mi da una torcia tascabile e mi consiglia di rendermi ben visibile altrimenti mi investiranno: dall'altezza dei fari deduce che si tratta di un autobus. Infatti, si sente il rumore di una frenata e un autobus della Maraika-Safari si ferma non lontano da me. Spiego che devo raggiungere al pi presto Nairobi e chiedo

se posso andare con loro. Dentro sono tutti indiani, sembra di essere in una colonia. Comunque acconsentono, pago il biglietto e partiamo. Sia ringraziato il cielo, senza tutti i soldi che ho dietro non sarei stata in grado di levarmi da quella strada cos buia. Sull'autobus mi metto subito a sonnecchiare. Quando sto gi dormendo profondamente, d'un tratto sento di nuovo delle voci. Guardo fuori dal finestrino e scopro che anche questo autobus fermo sul ciglio della strada. Molti passeggeri sono gi scesi, li seguo e controllo le gomme. Tutto a posto, ma il cofano aperto, dicono che si spezzata la cinghia di trasmissione. E che succede ora? chiedo a qualcuno. E' difficile, siamo ancora a due ore da Nairobi, le officine apriranno non prima delle sette, e solo l si pu trovare il pezzo di ricambio. Mi volto perch gli altri non vedano il mio viso rigarsi di lacrime. Per la seconda volta nella stessa notte sono ferma su questa maledetta strada, e con due mezzi diversi! Oggi gi il terzo giorno, alle sette da Nairobi parte l'autobus per Nyahururu e domani c' una sola corsa per Maralal. Se non arrivo in tempo il kikuyu potrebbe vendere la jeep. Sono disperata, la sfortuna mi perseguita proprio adesso che ogni minuto prezioso. Un'idea fissa mi tortura: devo raggiungere Nairobi prima che faccia giorno! Passano due macchine, ma non le fermo perch ho troppa paura della gente comune. Dopo altre due ore e mezza vedo nuovamente i grandi fari di un autobus, e mi metto subito sulla strada con due accendini accesi in mano sperando che il conducente mi veda. Si ferma, il mio primo autobus! L'autista mi apre la porta ridendo, e io salgo umiliata. A Nairobi ho appena il tempo di divorare un dolce e bermi un chai che gi devo prendere il prossimo autobus per Nyahururu. Ho male alla schiena, al collo e alle gambe. Ma cerco di consolarmi pensando che in fondo, nonostante tutti i soldi che ho con me, sono viva e in orario. Giunta a Maralal mi dirigo con il cuore in gola al negozio del kikuyu. Dietro il banco c' una donna che non sa l'inglese. Mi parla in suaheli e intuisco che suo marito non presente, dice di tornare domani. Che delusione: stress e incertezza sono sempre in agguato! A mezzogiorno del giorno successivo riesco finalmente a rivedere il faccione del kikuyu e davanti al negozio c' anche la jeep completamente carica. Mi saluta rapidamente e poi s'affretta a svuotare la macchina. Mi sento a disagio. Appena ha scaricato l'ultimo sacco, voglio concludere l'affare, ma lui si frega le mani imbarazzato e mi dice che dovr pagare mille franchi in pi perch nel frattempo ha avuto altre richieste. Cercando di mantenere la calma gli dico che ho il denaro contato, non un franco in pi. Scrolla le spalle e risponde che disposto ad aspettare che mi procuri il resto. Impossibile, penso, ci vorrebbero settimane per fare arrivare i soldi dalla Svizzera, e a Mombasa non ci torno di certo. Ma non ho nemmeno il tempo di aprire bocca, se n' gi andato a servire altri clienti. Cos esco dal negozio inferocita e me ne vado in albergo. Brutto stronzo! Lo ammazzerei. Davanti all'albergo c' la jeep del direttore. Attraverso il bar e vado nel cortile dietro all'edificio, dove si trovano le camere da letto. Il direttore mi riconosce subito e mi invita a prendere una birra con lui e il suo accompagnatore, che

lavora all'ufficio pubblico di Maralal. Cominciamo a parlare del pi e del meno, ma l'unica cosa che mi interessa veramente sapere se Jutta si trova nelle vicinanze. Purtroppo no, andata di nuovo a Nairobi a guadagnare un po' di soldi con i disegni. Poi racconto la mia sventura con la jeep. Il direttore si mette a ridere e dice che quella non vale pi nemmeno duemila franchi, altrimenti sarebbe gi stata venduta da tempo. L ci sono cos poche auto che le conoscono tutti. Io mi dichiaro disposta a pagare i duemilacinquecento franchi pur di averla, e lui mi offre il suo aiuto. Cos prendiamo la sua macchina e andiamo ancora una volta dal kikuyu. Dopo una lunga trattativa la jeep mia. Il direttore mi ricorda di chiedergli il libretto di circolazione, poi andremo insieme all'ufficio pubblico per il passaggio di propriet. Qui infatti insieme al veicolo si diventa titolari anche del numero di targa e dell'assicurazione. Ma prima, insiste, dovremo ratificare l'acquisto con un contratto, lui disposto a fare da testimone. Cos, poco prima della chiusura dell'ufficio, ho in mano la carta di circolazione con il mio nome e altri cento franchi in meno, ma sono felice. Il kikuyu mi da la chiave e mi augura buona fortuna. Dato che non ho mai guidato un veicolo come questo prima d'ora, mi faccio spiegare tutto dal kikuyu in cambio di un passaggio fino al negozio. La strada piena di buche e il volante ha molto gioco, me ne accorgo gi dopo cinque metri. Inoltre le marce sono dure e i freni hanno un tempo di reazione molto lungo. Cos alla prima buca mi infosso. Il mio compagno di viaggio si aggrappa al cruscotto terrorizzato. You have a driver-license? chiede scettico. Yes rispondo secca e cerco di cambiare marcia, operazione che, forzando un po', dopo qualche tentativo coronata dal successo. Poi mi distrae di nuovo dicendomi che sto andando contromano. Oh, merda, qui il traffico a sinistra! Quando arriviamo al suo negozio il kikuyu sollevato. Io vado avanti in direzione della scuola per abituarmi alla jeep senza essere vista. Dopo aver girato un po' mi sento pi o meno padrona del veicolo. Quindi vado dal distributore perch l'indicatore quasi in riserva. Il gestore somalo della stazione di servizio dispiaciuto, ma purtroppo in questo momento senza benzina. Cerco di essere ottimista e gli chiedo: Quando ce ne sar?. La sera stessa o il giorno dopo, la aspetta da tempo ma non si sa mai con precisione quando arriver. Un altro problema, ora ho la macchina ma senza benzina. E' una vera disdetta! Torno dal kikuyu e gli chiedo della benzina. Non ne ha, mi consiglia dove comprarla a prezzi da mercato nero: venti litri per venti franchi. Ma comunque troppo poca per andare e tornare da Barsaloi, cos vado dal direttore del Tourist-Lodge che mi da altri venti litri di carburante. Sono proprio contenta. Domani, dopo gli acquisti, andr subito a Barsaloi. Progetti per il futuro. Nel pomeriggio Lketinga e io, d'accordo con Mamma, decidiamo che ci sposeremo. Il capo pensa che dovremmo farlo all'ufficio pubblico di Maralal perch le nozze tradizionali nel bush non hanno valore legale. Quando abbiamo discusso tutto nei particolari il capo vuole essere

portato a casa in macchina. Per Lketinga una cosa ovvia, in fondo si tratta di una persona di riguardo, ma io so bene che quello lo sta sfruttando sfacciatamente. Quando metto in moto la macchina guardo per caso il livello della benzina e scopro con disappunto che non ce n' nonostante non sia stata pi usata. Non riesco a spiegarmelo. Partiamo, il capo si mette sul sedile accanto al mio e Lketinga prende posto dietro. Lo trovo impertinente - in fondo la macchina nostra -, ma non dico niente perch sembra che Lketinga non ci faccia caso. Arrivato alla meta dice che fra due giorni andr a Maralal, e dato che devo rinnovare il mio visto - che scade tra un mese - ci chiede di dargli un passaggio. Quando ritorno alla manyatta scopro che non c' abbastanza benzina per arrivare a Maralal, anche perch ho intenzione di seguire il percorso pi facile, che per pi lungo. Allora vado alla missione. Mi apre padre Giuliano, che questa volta un po' pi gentile: Yes?. Gli spiego il mio problema e quando mi chiede da quale strada sono venuta, rispondo: Quella che attraversa il bosco. Per la prima volta mi sembra che mostri un po' pi di attenzione e di rispetto nei miei confronti. This road is very dangerous, don't go there again. Dice di portargli la macchina, dar un'occhiata al serbatoio. Scopre che inclinato su un lato di circa cinque centimetri e questo fa evaporare la benzina. Adesso capisco perch sulle pietre mi si spento il motore. Qualche giorno dopo padre Giuliano salda il serbatoio alla carrozzeria, gli sono molto grata. Mi chiede distrattamente da quale moran vivo e mi augura molta forza e nervi saldi. Inoltre mi informa che non affatto facile trovare della benzina a Maralal, farei bene a procurarmi uno o due barili da duecento litri che potr depositare da loro, non detto che lui possa vendermela sempre. Sono contenta dell'offerta, mi da addirittura il permesso di parcheggiare la jeep dentro la missione dove c' una guardia notturna. Ma difficile convincere Lketinga a lasciare la macchina dai missionari, non si fida neppure di loro. I giorni successivi passano tranquillamente, salvo che viene di continuo qualcuno a chiederci quando andremo a Maralal, vogliono tutti un passaggio. Finalmente un samburu ha la macchina e per loro si tratta di un bene comune, non facile fargli capire che non posso trasportare venti persone con la strada in quello stato. Si parte, e naturalmente il capo a decretare chi pu venire e chi no. Solo uomini, le donne rimangano a casa in attesa. Ma tra loro c' una madre con in braccio un bambino che ha gli occhi pieni di pus e non riesce quasi ad aprirli per via delle croste. Le chiedo perch vuole andare a Maralal e lei abbassa timidamente lo sguardo e risponde che ha bisogno di un ospedale perch qui non si trovano pi medicine. Ovviamente la invito a salire. Il capo vuole sedersi accanto a me, ma io mi faccio coraggio e guardandolo dritto negli occhi gli dico: No, this place is for Lketinga. Ubbidisce, ma so di aver perso per sempre le sue simpatie. Il viaggio procede bene, si parla e si canta molto. La maggior parte dei passeggeri non era mai stata su una macchina prima d'ora. Soltanto quando dobbiamo attraversare un corso d'acqua - cosa che capita tre volte - sono costretta a inserire la trazione integrale, altrimenti posso farne a meno. Ci nonostante

devo concentrarmi molto sulla strada, che piena di buche e di cunette. E' interminabile, e la benzina cala rapidamente. Arriviamo a Maralal nel pomeriggio. I compagni di viaggio ci lasciano e noi andiamo a cercare un distributore in tutta fretta. Ma mi aspetta una delusione, di benzina ancora non ce n'. E' roba da non credere, da quando ho comprato la macchina io, a Maralal ci sono problemi con il carburante! Il somalo ritiene che oggi o domani arriver, ma io non ci credo pi. Decidiamo di andare al nostro albergo, e trascorriamo la prima notte l. E' piovuto, e Maralal tutta verde, sembra quasi di essere in un altro paese. In compenso di notte fa molto pi freddo. In quella circostanza imparo quanto possano essere terribili i mosquitos. Durante la cena, che consumiamo nella nostra stanza disadorna per non essere osservati, non fanno altro che pungermi, e dopo pochi minuti ho le caviglie e le mani gonfie. Anche se ne schiaccio molti, da sotto il tetto continuano ad arrivare orde ronzanti. E' strano, ma sembrano preferire la pelle bianca, e cos il mio masai non si becca neanche la met delle mie punture. A letto il ronzio sopra la mia testa continua, mentre Lketinga si tira la coperta fin sopra i capelli e non se ne accorge nemmeno. Dopo un po' non ne posso pi, accendo la luce e lo sveglio: I can't sleep with these mosquitos. Sono esasperata. Lui si alza ed esce. Dopo dieci minuti torna, appoggia in terra una specie di spirale verde che assomiglia a uno zampirone, e ne accende un'estremit. Effettivamente le bestiacce spariscono, ma in compenso c' una puzza terribile. Dopo qualche minuto riesco ad addormentarmi e mi sveglio solo alle cinque del mattino, quando la tortura ricomincia. Lo zampirone, che dura solo sei ore, si gi consumato da tempo. Dopo quattro giorni non c' ancora benzina. Annoiato, Lketinga mastica di nuovo miraa e per di pi si beve due o tre birre di nascosto. Non sono contenta ma non so cosa dire, l'attesa snerva anche me. Nel frattempo siamo andati all'ufficio di Maralal per le pubblicazioni matrimoniali. Ci mandano da un funzionario all'altro finch non ne troviamo uno che conosce la normativa sui matrimoni civili. Sono molto rari perch sposandosi con il rito tradizionale i samburu hanno la possibilit di avere pi di una moglie, mentre cos diventa illegale. Perci, anche se non hanno abbastanza soldi per pagarsi il matrimonio regolare all'ufficio di stato civile, non un problema perch nessuno vuole rinunciare alla poligamia. Questa spiegazione ci lascia un po' perplessi, ma scoprir presto che Lketinga disorientato per ragioni diverse dalle mie. Adesso, per, non abbiamo il tempo di riflettere perch quando arriva il momento di tirare fuori i documenti scopriamo che Lketinga non ha pi la carta d'identit, gli stata rubata a Mombasa. Il funzionario sconcertato, dice che ne dovr richiedere una a Nairobi ma ci vorranno ben due mesi. Con i nostri dati potr fare le pubblicazioni e dopo un altro mese e mezzo, se non ci saranno obiezioni, potremo sposarci. Questo significa che entro tre settimane al pi tardi dovr lasciare il Kenya, perch il mio visto, gi prorogato, sta per scadere. Mentre Lketinga mastica la sua erba gli chiedo cosa pensi della poligamia, e lui mi risponde che preferirebbe non doverci rinunciare. E' un duro colpo, ma cerco di restare

calma, mi dico che per lui normale, e in fondo non c' niente di male. Nonostante questo, agli occhi di un'europea assurdo: cerco di figurarmi la nostra vita matrimoniale insieme ad altre donne, ma al solo pensiero mi manca quasi l'aria per la gelosia. Mentre sto rimuginando mi dice che mi sposer all'ufficio pubblico solo se pi tardi gli consentir di prendere in moglie anche una donna samburu con il rito tradizionale. Questo davvero troppo, scoppio a piangere. Lui mi guarda sbigottito e mi chiede: Corinne, what's the problem?. Cerco di spiegargli che per noi bianche non esiste una cosa del genere e che non riesco a immaginarmi una tale convivenza. Ride, mi prende tra le braccia e mi da un bacio sulla bocca: No problem, Corinne. Now you will get my first wife, pole, pole. Vuole molti figli, almeno otto. Gli sorrido e dichiaro che io non ne voglio pi di due. Appunto, risponde il mio guerriero, per questo necessaria una seconda moglie, e poi non sa se io potr dargli dei figli e senza prole un uomo non vale niente. Su questo non posso controbattere perch in realt non lo so neanch'io, prima del Kenya non me ne ero mai preoccupata. Ne discutiamo per un po' e alla fine troviamo una soluzione: se entro due anni non avremo avuto figli, potr risposarsi, altrimenti ne dovr aspettare almeno cinque. Accetta la mia proposta, e io cerco di calmarmi dicendomi che cinque anni in fondo sono molto tempo. Lasciamo la camera e ci incamminiamo verso la stazione di servizio nella speranza che nel frattempo sia arrivata la benzina, ma ancora non c'. Durante il tragitto incontriamo il mio angelo custode Tom e la sua giovane moglie, che poco pi di una bambina e abbassa subito gli occhi timidamente. Si vede che non felice. Gli raccontiamo che aspettiamo la benzina gi da quattro giorni, e il nostro amico ci esorta ad andare al lago Baringo, a circa due ore di strada, l ce n' sempre. Sono entusiasta di questa proposta perch l'inattivit mi distrugge. Gli offro di venire con sua moglie, in fondo gli sono ancora debitrice di un safari. Ne discute brevemente con lei, ma la ragazza ha paura della macchina. Alla fine Lketinga riesce a convincerla, partiremo all'alba. Quindi ci rechiamo al garage locale, il cui proprietario guarda caso somalo. Acquisto due barili vuoti e li carico senza difficolt nel portabagagli della jeep fissandoli con una corda. Ora mi sento pronta per qualsiasi viaggio. Finalmente si pu partire. Noi siamo felici, ma la ragazza sembra ancora pi piccola, sta zitta e si aggrappa ai barili impaurita. Imbocchiamo l'interminabile strada polverosa e piena di buche senza incrociare nemmeno un veicolo nel senso opposto. Ci imbattiamo in diversi branchi di zebre e di giraffe, ma in lungo e in largo non si vedono segnali stradali e non c' traccia di presenza umana. A un certo punto la jeep si infossa da un lato e la guida diventa difficile, abbiamo bucato. Non sono in grado di cambiare una gomma, in dieci anni di guida non mi mai capitato. No problem dice Tom. Tiriamo fuori la ruota di scorta, la chiave a croce e il buon vecchio cric. Tom si infila sotto la jeep per piazzarlo bene e cerca di svitare i bulloni della ruota con la chiave a croce, ma non ci riesce perch l'imboccatura smussata e l'attrezzo non fa presa sul bullone. Cos ci aiutiamo con della sabbia e alcuni pezzetti di legno e di stoffa. Con i primi tre bulloni funziona, ma gli altri non vogliono proprio

muoversi, dobbiamo arrenderci. La moglie di Tom incomincia a piangere e corre via nella steppa. Tom ci assicura che torner presto, ma Lketinga preferisce andare a prenderla perch ci troviamo nel distretto dei baringos. Siamo sudati, sporchi e assetati. Ora di benzina ce n' a sufficienza, ma non abbiamo niente da bere perch il viaggio doveva essere breve. Cos ci mettiamo all'ombra nella speranza che passi qualcuno, in fondo la strada migliore di quella per Barsaloi. Aspettiamo alcune ore ma non succede niente. Cos, quando Lketinga ritorna dopo un breve giro di perlustrazione senza aver trovato n il lago Baringo n delle capanne, decidiamo di passare la notte nella jeep. Sono ore interminabili, abbiamo tanta fame, sete e freddo che non riusciamo quasi a chiudere occhio. La mattina successiva gli uomini ritentano invano, e alla fine decidiamo di aspettare fino a mezzogiorno, forse passer qualcuno. Ho la gola secca e le labbra screpolate, la ragazza si messa di nuovo a piangere e Tom incomincia a perdere la pazienza. A un certo punto Lketinga crede di udire il rumore di un veicolo e, dopo alcuni minuti, ho la stessa sensazione anch'io. E' un safari-bus. L'autista africano si ferma e abbassa il finestrino tra lo stupore dei turisti italiani. Tom spiega il nostro problema al conducente e lui risponde che gli rincresce, ma non autorizzato a caricare estranei. Ci porge la sua chiave a croce, ma purtroppo non va bene, troppo piccola. Allora provo a convincerlo offrendogli persino del denaro, ma lui chiude il finestrino e prosegue come se niente fosse. Gli italiani non dicono niente per tutto il tempo, mi scrutano solo un po' schifati. Devo essere troppo sporca per loro e i miei compagni di viaggio troppo selvaggi. Sono inferocita, e urlo i pi terribili improperi all'autobus in partenza. Mi vergogno dei bianchi, nessuno dei passeggeri ha provato a convincere l'autista. Tom sicuro che perlomeno siamo sulla strada giusta, ma quando gi in procinto di incamminarsi a piedi si sente di nuovo il rumore di un motore. Questa volta sono fermamente decisa a non lasciar ripartire il veicolo senza uno di noi a bordo. E' un safari-bus simile all'altro, anch'esso pieno di italiani. Tom e Lketinga trattano con il conducente. Sono sul punto di collezionare un altro rifiuto, ma io apro di colpo la porta posteriore dell'autobus e chiedo ad alta voce: Do you speak English?. No, solo italiano, la risposta. Solo un giovanotto dice: Yes, just a little bit, what's your problem?. Spiego che siamo fermi dalla mattina precedente senza acqua n cibo, e che abbiamo bisogno di aiuto. Ma l'autista non ha nessuna intenzione di aiutarci: It's not allowed. Quando sta per chiudere la porta, grazie a Dio interviene il giovane italiano dicendo che spetta a chi paga decidere se qualcuno pu salire o meno. A questo punto Tom prende posto accanto all'autista senza preoccuparsi se sia d'accordo, e io ringrazio i turisti. Dobbiamo aspettare ancora tre ore prima di scorgere una nuvola di polvere in lontananza che segnala il ritorno di Tom su una jeep. Per fortuna ha portato della coca-cola e del pane. Mi butto a pesce sulla bevanda, ma vengo ammonita di berla a piccoli sorsi altrimenti star male. Mi sembra di rinascere, giuro che non partir mai pi su questa jeep senza una scorta di acqua potabile.

Tom riesce a rimuovere l'ultimo bullone solo spaccandolo con martello e scalpello. Poi cambia la gomma e riprendiamo il viaggio. Dopo una buona ora e mezza finalmente raggiungiamo il lago Baringo. La stazione di servizio si trova proprio accanto a uno sfarzoso ristorante turistico con giardino, e cos, come premio per la fatica, invito tutti. La ragazza sbalordita, per lei un mondo nuovo e sembra che non si senta molto a suo agio. Ci sediamo attorno a un tavolo con vista sul lago, nel quale sguazzano numerosi fenicotteri rosa. I miei compagni sono sorpresi nel vedere tante meraviglie, e io da parte mia sono fiera di potergli offrire anche qualcosa di bello e fuori dall'ordinario oltre a ostacoli da superare. Vengono al tavolo due camerieri, non per prendere le ordinazioni ma per comunicarci che sono ammessi soltanto i turisti. Sono inorridita: Io sono una turista, e questi amici sono miei ospiti. Il cameriere nero cerca di calmarmi dicendo che io posso restare, ma non i masai. Allora ci alziamo e ce ne andiamo. Riesco a percepire quasi fisicamente la mortificazione di questi uomini cos fieri. Perlomeno riusciamo a procurarci la benzina, anche se, quando il benzinaio vede che ho intenzione di riempire ancora due grandi barili, devo prima fargli vedere il denaro. Lketinga tiene l'erogatore e io vado a fumarmi una sigaretta per smaltire la rabbia. All'improvviso sento un urlo, mi giro, e vedo benzina da tutte le parti, come se qualcuno stesse irrigando il terreno. Allora afferro l'erogatore e arresto immediatamente il flusso. Era in automatico, la benzina continuava a scorrere anche se il barile era gi pieno. Se me sono rovesciati alcuni litri sulla piazza e ne entrata anche un po' nel veicolo. Lketinga molto a disagio, io cerco di controllarmi, e Tom se ne sta in disparte con la moglie, ma si vede che vorrebbe sprofondare dalla vergogna. Naturalmente non ci consentono di riempire il secondo barile, dobbiamo pagare e sparire. In quel momento vorrei essere nella nostra manyatta senza questa macchina che finora non ha fatto altro che causarmi delle seccature. Beviamo un t nel villaggio e poi partiamo. Ma in macchina c' una terribile puzza di benzina e dopo non molto la moglie di Tom si mette a vomitare. Poi non vuole pi salire in macchina, ha intenzione di tornare a piedi. Allora Tom s'infuria, e minaccia di rimandarla a Maralal dai genitori e di prendersi un'altra moglie. Deve essere un grave disonore perch a queste parole risale subito. Io cerco di consolare Lketinga che continua a star zitto, mi fa pena. Quando arriviamo a Maralal gi buio. I due si congedano piuttosto presto e noi ci sistemiamo nella nostra stanza d'albergo. Fa freddo, ma nonostante questo mi metto sotto il sottile filo d'acqua della doccia perch mi sento appiccicosa per il sudiciume e la polvere. Anche Lketinga viene a lavarsi e poi, una volta in camera, facciamo fuori ancora una bella porzione di carne. Questa volta me la gusto proprio, e ci beviamo anche sopra della birra. Dopo aver mangiato mi sento proprio bene. Passiamo una bella notte d'amore, durante la quale per la prima volta ho un orgasmo. Ma poich la cosa non avviene proprio in silenzio, Lketinga si spaventa, mi tappa la bocca e mi chiede: Corinne, what's the problem?. Quando il ritmo del mio respiro tornato normale, cerco di dargli delle spiegazioni, ma lui non capisce, si limita a ridere incredulo. Poi ci riflette

un po' e sentenzia che cose del genere possono accadere solo a una bianca. Felice e stanca, finalmente mi addormento. La mattina dopo facciamo provviste: riso, patate, verdura, frutta, un ananas, e riusciamo perfino a riempire di benzina il secondo barile perch, nemmeno a farlo apposta, ora arrivata anche a Maralal. Partiamo per il viaggio di ritorno con il portabagagli pieno e portiamo con noi anche due uomini samburu. Lketinga vuole fare la strada pi breve, attraverso il bush. Non sono molto convinta ma con lui al mio fianco non temo nulla. Il viaggio procede bene fino al pendio. Poi, poich i barili pieni fanno sbandare il veicolo ancora di pi, chiedo ai due viaggiatori di mettersi dietro con tutte le provviste perch la macchina non si ribalti. Quando vado all'attacco dei terribili duecento metri, tutti tacciono. Ma ce la facciamo, e lo schiamazzo riprende. Arrivati alle rocce faccio scendere tutti, e Lketinga molto bravo a guidarmi attraverso i grossi massi. Usciamo vittoriosi anche da questa impresa, mi sento sollevata e fiera. Raggiungiamo Barsaloi senza problemi. Vita quotidiana. I giorni successivi ce li godiamo proprio. Abbiamo da mangiare a sufficienza e combustibile a bizzeffe. Ogni giorno andiamo a far visita ai parenti con la macchina, si rinnova il nostro rituale del bagno e portiamo taniche piene d'acqua a mezza Barsaloi, fino a venti in una volta. Ma questi giretti ci fanno consumare tanta preziosa benzina. Provo a oppormi, ma ogni volta ne nasce una disputa. Un moran riferisce che quella mattina una delle sue mucche ha partorito, dobbiamo assolutamente andare a vedere. Quindi ci rechiamo a Sitedi, ma non esiste una strada vera e propria e cos devo stare ben attenta a non imbattermi in qualche spineto. Poi andiamo a trovare il fratellastro di Lketinga nel kraal, le mucche si radunano l la sera. Camminiamo con passo risoluto sulle montagne di sterco attorniate dalle mosche e lui ci fa vedere il vitellino appena nato con la madre, che il primo giorno resta a casa. Lketinga raggiante, io un po' meno perch devo lottare con le mosche e i miei sandali di plastica sono immersi nello sterco. Ora capisco la differenza tra il nostro kraal, senza mucche, e quello l. Non credo che ci rester a lungo. Ci invitano a prendere il chai. Lketinga mi conduce nella capanna del suo fratellastro e della giovane moglie, che ha un bambino di appena due settimane. Sembra contentissima della nostra visita, si chiacchiera molto ma come sempre non capisco neanche una parola. Non ne posso pi di queste mosche, devo tenere la mano sempre sopra la tazza di t caldo per non rischiare di mandarne gi qualcuna. Il beb nudo, e sta in braccio alla madre avvolto in un kanga. Quando lo indico perch non si sono accorti che sta facendo i suoi bisogni, la donna ride, lo tira fuori e lo pulisce sputandogli sul sederino e massaggiandolo. Quindi scrolla il kanga e la gonna e li asciuga sfregandoli con la sabbia. Se penso che questo avviene diverse volte al giorno mi viene da vomitare. Lo dico a Lketinga, ma per lui del tutto normale. Per fortuna le mosche contribuiscono a far sparire tutto rapidamente. Quando dico a Lketinga che voglio tornare a casa, risponde: Non possibile, oggi dormiamo qui!. Vuole

restare con la mucca, e il fratellastro intende macellare una capra per noi, anche sua moglie dopo il parto ha molto bisogno di carne. Il pensiero di dover pernottare in quel posto mi fa rabbrividire. Non giusto offendere l'ospitalit, ma d'altro canto qui mi sento veramente a disagio. Lketinga rimane quasi tutto il tempo con gli altri guerrieri e le mucche, mentre io sto seduta con tre donne nella buia capanna senza dire una parola. E' evidente che stanno parlando di me perch ridacchiano in modo strano. Una analizza la pelle bianca del mio braccio, l'altra mi passa le mani tra i capelli. Sono chiari, non c' da fidarsi. Loro hanno la testa rasata, nastri di perline colorate intorno alla fronte e lunghi orecchini. La moglie allatta di nuovo il bambino e poi lo affida a me. Lo prendo in braccio, ma non riesco a intenerirmi pi di tanto perch temo di fare la stessa fine della madre. E' ovvio che qui i pannolini non esistono, ma ancora non ci ho fatto l'abitudine. Dopo averlo ammirato per un po', lo restituisco sollevata. Lketinga da un'occhiata nella capanna. Gli chiedo dov' stato tutto quel tempo e lui ridendo mi spiega che stava bevendo il latte con i guerrieri. Tra poco uccideranno una capra, me ne porter delle parti buone. Lui dovr mangiare nel bush. Vorrei andare anch'io, ma questa volta non possibile perch il kraal enorme e ci sono troppe donne e guerrieri. Cos per avere la nostra razione di carne dobbiamo aspettare circa due ore. Nel frattempo si fatto buio. La moglie del fratellastro di Lketinga cucina la nostra carne. Ci dobbiamo dividere mezza capra fra tre donne e quattro bambini, l'altra met l'hanno mangiata loro in due. Quando sono sazia esco dalla capanna carponi e mi unisco al mio masai e agli altri guerrieri, che stanno accovacciati vicino alle mucche un po' pi in l. Chiedo a Lketinga quando verr a dormire e lui ride: Oh no, Corinne, here I cannot sleep in the house together with the ladies. I sleep here with friends and the cows. Non mi resta altro che ritornare, sempre carponi, dalle altre donne. E' la prima notte senza Lketinga, mi manca molto il suo calore. Nella capanna, dal lato della mia testa, sono legate tre piccole caprette appena nate che belano in continuazione. E io non chiudo occhio. Di mattina presto c' molto pi baccano che da noi a Barsaloi. Qui si devono mungere non solo le capre ma anche le mucche, e dappertutto si sentono belati e muggiti impazienti. Di questo si occupano le donne e le ragazze. Dopo il chai finalmente partiamo, se penso alla nostra manyatta pulita e piena di cibo e al fiume mi sento addirittura euforica. La jeep si riempie di ragazze che vogliono vendere il latte a Barsaloi, sono contente di non dover fare la lunga strada a piedi. Dopo un po' Lketinga comincia a insistere che vuole guidare anche lui. Le nostre compagne di viaggio lo istigano, e lui continua a mettere le mani sul volante: nonostante cerchi di dissuaderlo in tutti i modi ben presto devo cedere e, snervata, mi fermo. Lui indica tutto fiero il sedile del conducente e le donne battono le mani. Sono terrorizzata, e disperatamente cerco di spiegargli qualcosa almeno sul pedale dell'acceleratore e sul freno. Ma lui mi dice: I know, I know, e parte rumorosamente. E' raggiante dalla felicit, ma io posso condividere questa sensazione solo per qualche secondo. Dopo circa cento metri, grido: Slowly, slowly!,

ma Lketinga anzich rallentare accelera: si sta dirigendo dritto dritto verso un albero. Sembra molto confuso. Urlo ancora: Lentamente, pi a sinistra!, e poco prima dell'impatto giro il volante d'istinto. Evitiamo la collisione frontale, ma il parafango si impiglia nell'albero e il motore si spegne. A questo punto perdo il controllo: scendo, prendo atto del danno e do un calcio a quel veicolo maledetto. Le donne strillano, non per l'incidente, ma perch sto sgridando un uomo, e Lketinga rimane muto accanto a me. E' completamente a terra, non l'ha fatto apposta. Afferra le sue lance sconvolto e dice che torner a casa a piedi, non salir mai pi su questa macchina. Mi fa pena vederlo cos quando due minuti prima era tanto allegro. Inserisco la retromarcia e libero la jeep. Visto che funziona ancora tutto riesco a convincere Lketinga a risalire. Durante il resto del viaggio non diciamo una parola, immagino gi la brutta figura quando arriveremo a Maralal con la macchina ammaccata. A Barsaloi Mamma ci accoglie festosamente, e persino Saguna mi saluta con allegria. Lketinga si sdraia nella nostra capanna, sta male e ha paura della polizia perch non ha la patente. E' cos disperato che temo che esca di nuovo di senno. Ma riesco a calmarlo promettendogli che non lo sapr nessuno. Diremo che successo a me, la macchina si pu far riparare a Maralal. Ho bisogno di lavarmi, ma Lketinga non vuole lasciare la capanna. Allora decido di andare da sola, tra i mugugni di Mamma, che ha paura e dice che lei stessa non lo fa pi da anni. Ma io non posso proprio farne a meno, e mi incammino con la tanica dell'acqua. Mi lavo nel solito posto, ma senza Lketinga non mi sento al sicuro, cos non mi svesto completamente e cerco di fare in fretta. Quando ritorno ed entro carponi nella nostra capanna, Lketinga mi chiede con fare curioso che cosa ho fatto tutto quel tempo al fiume e chi ho incontrato. Sorpresa, rispondo che non conosco quasi nessuno e che in realt ho fatto molto presto, e lui non dice pi niente. Quindi parlo con lui e Mamma del mio viaggio di ritorno in Svizzera. Il visto scadr fra non molto ed entro due settimane dovr lasciare il Kenya. Non sembrano molto tranquilli, e Lketinga chiede impaurito che cosa accadr se io non torno, ormai abbiamo comunicato la nostra intenzione di sposarci all'ufficio pubblico. Io rispondo sicura: I come back, no problem!. Ma non ho ancora un biglietto e nemmeno una prenotazione e cos prevedo di partire tra una settimana. I giorni volano. A parte i nostri riti quotidiani al fiume stiamo in casa a discutere del nostro futuro. Il penultimo giorno, mentre siamo sdraiati pigramente nella capanna, fuori si sente strillare una donna. Sorpresa chiedo: What's that?. Lketinga ascolta con attenzione, e il suo viso si oscura. What's the problem? chiedo di nuovo intuendo che qualcosa non va. Poco dopo entra Mamma furente e scambia alcune parole con Lketinga. Quindi lui esce e lo sento litigare a voce alta. Vorrei uscire anch'io, ma Mamma scuote la testa. Cos mi siedo di nuovo, ma il cuore mi batte come impazzito. Deve trattarsi di qualcosa di serio. Alla fine Lketinga torna e si siede accanto a me ancora sconvolto, mentre fuori si calmano le acque. Mi devono dire che cosa successo. Dopo un silenzio prolungato mi raccontano che la madre della sua ragazza di lunga data si

trova davanti alla capanna in compagnia di altre due donne. Mi sento male dalla paura. E' la prima volta che sento parlare di una ragazza. Fra due giorni parto, voglio mettere le cose in chiaro subito: Lketinga, you maybe you must marry this girl?- Lketinga ride angosciato e dice: Yes, many years I have a little girl friend, but I cannot marry this girl!. Non riesco proprio a capire. Why? Solo ora scopro che quasi ogni guerriero ha una ragazza. La adorna di perline e si preoccupa di "comprarle molti monili nel corso degli anni perch il giorno delle nozze sia pi bella possibile. Ma un guerriero non sposa mai la sua ragazza. Possono praticare l'amore libero fino al giorno del matrimonio di lei, ma poi i genitori la vendono a un altro, e solo allora lei viene a sapere chi sar il marito. Sono scossa e dico che tutto questo molte spiacevole Why? mi chiede Lketinga. This is normal for everybody. Poi mi racconta che, quando venuta a sapere che lui stava gi convivendo con me prima che lei fosse stata data in moglie, la ragazza si strappata tutti gli ornamenti dal collo perch questo insopportabile per lei. Sono gelosa, gli chiedo quando l'ha vista per l'ultima volta e dove abita. Molto lontano, verso Baragoi, e da quando io sono qui non l'ha pi incontrata, mi risponde. Rimugino un po' e poi gli propongo, quando sar partita, di andare da lei a chiarire tutto. Se necessario le compri pure degli ornamenti, ma quando sar di ritorno la faccenda deve essere sistemata. Non risponde, e cos neanche i giorno della mia partenza so che cosa far, ma mi fido di lui e del nostro amore. Mi congedo da Mamma e Saguna, che si sono molto affezionate a me: Hakuna matata, nessun problema! dico loro ridendo prima di partire. Andiamo a Maralal con la jeep, che verr fatta riparare durante la mia assenza. Lketinga vuole tornare a piedi. Nel bush incontriamo una piccola mandria di bufali, che per al rumore del motore prendono il largo. Ci nonostante Lketinga impugna subito la sua lancia e grugnisce, ma io gli sorrido serenamente e lui si calma. Parcheggiamo direttamente nel garage perch nessuno si accorga del parafango ammaccato. Poi arriva il proprietario somalo per vedere il danno. Sar sui seicento franchi, dice. Sono esterrefatta, mi vogliono far pagare la riparazione un quarto del prezzo d'acquisto. Mercanteggio lungamente e alla fine riusciamo a scendere a trecentocinquanta franchi, che mi sembrano comunque troppi. Passiamo la notte nel nostro albergo di sempre. Non dormo molto, un po' per via della partenza, un po' per colpa dei mosquitos. Il momento della separazione difficile e Lketinga sembra abbastanza sperduto accanto all'autobus in partenza. Mi copro il viso per non arrivare a Nairobi completamente impolverata. Svizzera straniera. Trovo una camera all'Igbol e per prima cosa mangio a saziet. Controllo la disponibilit di posti di tutte le compagnie aeree finch ne trovo uno su un volo Alitalia. Quindi, dopo mesi, telefono a casa, e quando comunico a mia madre che torner per un breve periodo si agitano tutti. I due giorni a Nairobi prima della partenza sono una tortura.

Per ammazzare il tempo gironzolo per le strade, e in ogni angolo incontro invalidi e mendicanti cui do degli spiccioli. Di sera converso con i giramondo dell'Igbol, e come sempre devo difendermi da indiani e africani che si offrono di diventare miei boyfriend. Finalmente prendo il taxi per l'aeroporto, ma quando l'aereo decolla non provo la classica gioia del ritorno a casa perch so che Lketinga e il resto della famiglia stanno gi aspettando disperatamente di rivedermi. Passati i primi entusiasmi, a Meiringen, nell'Oberland di Berna, dove vive mia madre con suo marito, non mi sento a mio agio. Faccio fatica a riabituarmi ai ritmi europei, e l'opulenza dei negozi di alimentari quasi mi nausea. Inoltre, non riesco pi a digerire i cibi conservati in frigo, e ho continuamente problemi di stomaco. Vado in comune e mi faccio fare un certificato di stato civile, in tedesco e in inglese, che attesta che sono nubile. Cos almeno i documenti sono in regola. Mia madre acquista una bellissima campana da mucca come regalo di nozze per il mio guerriero, e io compro alcuni campanelli pi piccoli per le mie capre, ne ho gi quattro. Poi confeziono quattro gonne, due per Mamma e due per Saguna, e per Lketinga e me compro due bellissime coperte di lana, una rossa fuoco per lui, e una a righe per coprirci durante la notte. Fare i bagagli piuttosto difficile. In fondo al borsone metto il mio lungo abito bianco da sposa, che mi ha donato un fornitore quando ho venduto il negozio. Allora gli avevo promesso che se mi fossi sposata, lo avrei indossato. Lo metter a tutti i costi, completo di tutti i gingilli per la testa. Sopra cerco di stipare preparati per budini, salse e zuppe, e ancora sopra metto i regali. Quindi riempio gli spazi vuoti di farmaci, cerotti, unguenti e compresse vitaminiche, e infine, in cima, metto le coperte. Le due borse sono piene zeppe. La partenza si avvicina, e tutti i membri della mia famiglia registrano su una cassetta i propri auguri a Lketinga. Cos devo ficcare nella borsa anche il registratore e arrivo all'aeroporto di Zurigo con trentadue chili di bagagli. Sono pronta, non vedo l'ora di tornare a casa. E' proprio cos, in fondo all'anima sento che quella la mia vera casa. Naturalmente difficile dire addio a mia madre, ma il mio cuore appartiene ormai all'Africa. Non so quando ritorner. Patria Africa. A Nairobi prendo un taxi per l'Igbol. L'autista nota gli ornamenti che porto sulle braccia e chiede se conosco bene i masai. Yes, I go to marry a samburu-man rispondo. Lui scuote la testa, sembra che non riesca a capire come una bianca possa sposare proprio un uomo del gruppo etnico primitivo. Mi rifiuto di spiegarglielo, preferisco interrompere la conversazione. Sono lieta di essere di nuovo all'Igbol, ma purtroppo questa volta non ho fortuna, tutte le camere sono occupate. Allora cerco un altro albergo conveniente, e ne trovo uno due strade pi in l. Anche se il percorso breve, trascinare il borsone una fatica enorme, e devo anche salire tre piani. Non accogliente come l'Igbol e qui sono l'unica bianca. Il letto infossato e sotto ci sono due preservativi usati, ma almeno le lenzuola sono pulite. Vado ancora un attimo all'Igbol. Voglio telefonare alla missione di Maralal perch avvisino

quella di Barsaloi che sar a Maralal entro due giorni, cos anche Lketinga sapr del mio arrivo. L'idea mi venuta in aereo e anche se non conosco i missionari di Maralal, ci prover. Dopo la telefonata non sono certa che la notizia arriver fino a Lketinga. Il mio inglese migliorato, ma la comunicazione stata piuttosto difficile, e credo che il buon missionario non abbia compreso del tutto il mio messaggio. Quella notte non riesco a dormire: a giudicare da cigolii, mugolii, e risate, sono finita in un albergo a ore per indigeni, e si sentono continuamente porte che sbattono. Poi, finalmente, arriva il mattino. Il viaggio in autobus fino a Nyahururu procede senza problemi, guardo fuori dal finestrino e mi godo il paesaggio, che man mano che ci avviciniamo a casa mi sempre pi familiare. A Nyahururu piove e fa freddo. Prima di prendere l'autobus per Maralal devo pernottare ancora una volta. La partenza viene ritardata di un'ora e mezza, il tempo di mettere un telone di plastica sul portapacchi carico. Anche il mio grande borsone nero si trova lass, mentre tengo la borsa pi piccola con me. Dopo il breve tratto asfaltato comincia la strada sterrata. La polvere rossa si trasformata in fango, e l'autobus va ancora pi lentamente del solito per evitare di impantanarsi nelle grandi buche piene d'acqua. Procede a zigzag, a volte si mette quasi di traverso per poi immettersi di nuovo in carreggiata. Il viaggio richieder il doppio del tempo. La strada continua a peggiorare, e incontriamo diversi veicoli fermi nel fango con i passeggeri che cercano faticosamente di disincagliarli. La corsia, se cos si pu chiamare, infossata di almeno trenta centimetri, e dai finestrini non si riesce a vedere quasi niente perch sono quasi completamente ricoperti di schizzi di fango. A circa met del percorso cominciamo a sbandare e la parte di dietro scivola finch l'autobus non completamente di traverso. Le due ruote posteriori sono finite in un fosso e girano a vuoto. Allora gli uomini scendono, ma il veicolo slitta per altri due metri da una parte e si ferma di nuovo. Cos dobbiamo seguirli nel fango, che mi arriva subito fino alle caviglie. Poi ci mettiamo su un prato un po' pi in alto e osserviamo i vani tentativi di disincagliare l'autobus. Proviamo anche a strappare dei rami dai cespugli e a metterli sotto le ruote, ma non serve a niente, rimane l di traverso. Alcuni recuperano i propri bagagli e continuano a piedi, mentre io chiedo al conducente cosa intende fare. Lui scrolla le spalle e dice che dovremo aspettare fino a domani, forse smetter di piovere e la strada si asciuga presto. Ancora una volta sono ferma nel bush. Disperata, senza acqua n cibo, ho solo il preparato per il budino che qui non serve a niente. Ben presto incomincia a far freddo, lo sento ancora di pi con i vestiti bagnati indosso. Cos mi siedo di nuovo al mio posto, almeno una coperta calda ce l'ho. Se Lketinga ha ricevuto il messaggio, mi star gi aspettando invano a Maralal. Alcuni tirano fuori del cibo, tutti quelli che ne hanno lo condividono con gli altri. Anche a me offrono pane e frutta, che accetto ringraziando, ma mi vergogno un po': nonostante abbia pi bagagli di tutti gli altri, non ho niente da mangiare. Poi i passeggeri si sistemano alla bell'e meglio sulle poltrone e cercano di dormire, i pochi posti liberi sono riservati alle donne con bambini. Durante la notte passa una

jeep che per non si ferma. Attorno alle quattro fa cos freddo che l'autista avvia il motore e lo lascia acceso per quasi un'ora. La notte sembra interminabile finch a un certo punto, pochi minuti dopo le sei, il cielo comincia a farsi rossiccio e spunta timidamente il sole. I primi passeggeri lasciano l'autobus per fare i propri bisogni dietro ai cespugli. Scendo anch'io e cerco di sgranchirmi come posso. Il fango c' ancora tutto, dobbiamo aspettare che il sole sia pi caldo prima di riprovare. Per due ore, dalle dieci a mezzogiorno, cerchiamo di tirare l'autobus fuori dal fosso, ma riusciamo a farlo avanzare al massimo di trenta metri. Un'altra notte cos sarebbe terribile. D'un tratto scorgo una jeep bianca nel pantano, che viaggia a zigzag uscendo spesso dalla carreggiata. Le corro incontro e la fermo. Dentro c' una coppia di inglesi di mezz'et. Spiego in breve la situazione implorandoli di portarmi con s, e la donna acconsente subito. Sono felice, e mi precipito sull'autobus per farmi dare il borsone. Una volta salita sulla jeep, racconto la mia storia alla lady, che mi ascolta sconcertata, si impietosisce e mi offre perfino un sandwich che divoro avidamente. Dopo nemmeno un chilometro incrociamo una jeep. Dobbiamo stare ben attenti che nessuna delle due sbandi, sarebbe un disastro. Noi procediamo lentamente, l'altra auto ha un'andatura molto pi sostenuta. Quando a venti metri da noi, mi sembra di avere una visione: Stop, please, stop your car, this is my boyfriend!. Al volante c' Lketinga, che riuscito ad arrivare fin qui guidando su questa strada orribile. Mi metto a gesticolare come una pazza fuori dal finestrino per attirare la sua attenzione, ma lui concentrato sulla strada. Non so se in me prevalga la grande gioia e l'orgoglio o la paura che non riesca a frenare. Lui mi riconosce, ci sorride tutto fiero attraverso il finestrino e dopo circa venti metri la macchina ferma. Mi precipito fuori e corro da lui. E' fantastico, si dipinto particolarmente bene ed tutto adornato. Riesco a malapena a trattenere le lacrime. Ci sono due persone con lui. Dopo esserci salutati mi consegna spontaneamente la chiave, sulla strada di ritorno devo guidare io. Quindi andiamo a prendere i miei bagagli e li ricarichiamo. Ringrazio i due inglesi, e la donna mi dice che adesso capisce perch sono qui: con un uomo cos bello. Durante il viaggio di ritorno Lketinga racconta che aveva ricevuto il messaggio da padre Giuliano e verso le ventidue era stato informato che l'autobus era fermo e che a bordo c'era una bianca. Poich la mattina continuavo a non arrivare, era andato nel garage, aveva preso la nostra macchina riparata e si era messo subito in marcia per venire a salvare la sua donna. Non riesco a spiegarmi come abbia fatto. La strada piuttosto rettilinea ma piena di fango. Ha fatto tutto il percorso in seconda e ha dovuto riaccendere il motore pi volte, ma per il resto Hakuna matata, no problem. Raggiungiamo Maralal e andiamo al nostro albergo. Loro tre stanno seduti su un letto e io sull'altro. Lketinga ansioso di sapere cosa ho portato e anche i due guerrieri sono curiosi. Apro le borse, e per prima cosa tiro fuori le coperte. Vedendo quella morbida color rosso fuoco Lketinga

ride felice, ho colpito nel segno. Vorrebbe dare quella a righe a uno dei suoi amici, ma io protesto perch avevo intenzione di usarla nella manyatta, quelle del Kenya sono ruvide. Ho anche cucito tre kanga, se vuole pu dargli quelli, li stanno guardando con gli occhi spalancati. Lketinga veramente colpito dal registratore a cassette con le voci della mia famiglia, in particolare quando riconosce Eric e Jelly. La sua gioia sconfinata e io la condivido perch non ho mai visto tanta genuina meraviglia per oggetti di uso comune in Europa. Poi il mio amore fruga nel borsone da viaggio per vedere cos'altro c', e quando trova la campana, il regalo di nozze di mia madre, si entusiasma. Anche gli altri due la apprezzano molto e si mettono a sbatacchiarla. Mi sembra che qui abbia un suono molto pi forte e bello. Ne vorrebbero una anche loro, ma ho solo questa e quindi gli regalo i due campanellini che avevo preso per me. Sono contentissimi. E quando dichiaro che non c' altro, il mio amore continua comunque a rovistare e guarda sorpreso i miei preparati per il budino e i farmaci. Finalmente cerchiamo di parlare un po': va tutto meglio perch sono arrivate le piogge, ma ci sono tanti mosquitos. Saguna malata e da quando sono partita io non vuole pi mangiare. Accidenti! Per fortuna domani sar di nuovo a casa. Per prima cosa andiamo a cena, la carne dura come al solito. Viene servita con focacce e una sorta di bietole, e poco dopo il pavimento disseminato di ossa. E' un altro mondo, qui sto bene. La sera tardi i due amici di Lketinga se ne vanno e cos finalmente rimaniamo soli. A Maralal fa molto freddo a causa della pioggia, dobbiamo fare a meno della doccia all'aria aperta. Lketinga mi procura allora una grande bacinella con l'acqua calda perch possa lavarmi in camera. Sono felice di essere di nuovo accanto al mio amore. Ma non riesco a prendere sonno: il letto stretto e infossato, mi ci vorr del tempo per abituarmi. La mattina dopo andiamo di buon'ora all'ufficio pubblico per sapere qualcosa della sua carta d'identit. Purtroppo la pratica non ancora partita, il funzionario dice che in ritardo perch non siamo in grado di indicare il numero. Questa notizia mi scoraggia molto dal momento che il mio visto dura solo due mesi. Non so proprio come far a sposarmi in cos breve tempo. Andiamo a casa. Non possiamo usare la strada che attraversa la foresta perch troppo bagnata, quindi non resta che prendere l'altra, che per molto cambiata: ci sono grosse pietre, rami e fosse dappertutto. Ci nonostante procediamo bene, la steppa in fiore e in alcuni punti cresciuta persino dell'erba. La rapidit con cui tutto questo avvenuto incredibile. Qua e l pascolano pacificamente delle zebre, e alcuni gruppi di struzzi quando sentono il motore scappano rapidamente. Poi dobbiamo attraversare due fiumi, uno piccolo e poco dopo uno pi grande, ma Dio sia ringraziato - con la trazione integrale ce la facciamo senza incagliarci nelle sabbie mobili. Quando siamo ancora a pi di un'ora da Barsaloi, sento un sibilo e poco dopo la macchina si infossa da un lato. Vado a controllare e scopro che si tratta di una gomma a terra. Allora scarichiamo i bagagli per raggiungere la ruota di scorta, e mi infilo sotto la macchina per piazzare il cric. Lketinga mi da una mano, e dopo mezz'ora possiamo

continuare. Alla fine per fortuna arriviamo alle manyatta. Mamma in piedi davanti alla casetta sorridente, e Saguna appena mi vede si getta tra le mie braccia. Che bello essere di nuovo qui, do persino un bacio sulla guancia a Mamma. Poi trasciniamo tutto nella manyatta, fin quasi a riempirla. Quindi Mamma prepara il chai, e io tiro fuori le gonne che ho fatto per loro. Siamo tutti felici. Lketinga accende il registratore e si mette a ciarlare. Ma quando do a Saguna la bambola scura che le ha comprato mia madre, spalancano tutti la bocca, e lei fa un salto ed esce di corsa dalla capanna urlando. Non capisco tutta questa agitazione, anche Mamma guarda la bambola a distanza e Lketinga mi chiede se si tratta di una bambina morta. Dopo un primo momento di sorpresa mi metto a ridere: No, this is only plastic. Ma per fidarsi di una bambola con i capelli e che muove le palpebre ci vuole del tempo. Accorrono molti bambini curiosi e quando una ragazzina si accinge a tirare su la bambola da terra, Saguna si frappone, la afferra e se la stringe al cuore. Da quel momento non la pu pi toccare nessuno, neanche Mamma. Saguna dorme solo con il suo baby. Al tramonto ci assalgono le zanzare, con tutta questa umidit sembra che siano proprio a loro agio. Nemmeno il fuoco acceso nella manyatta riesce a tenerle lontane, le devo scacciare continuamente con le mani. Non riesco a dormire! Mi pungono addirittura attraverso i calzini, e la mia felicit di essere di nuovo a casa svanisce subito. Resto vestita e mi copro completamente, ma non riesco a mettere sotto anche la testa come fanno gli altri. Mi addormento poco prima dell'alba sull'orlo di una crisi di nervi, e quando mi sveglio non riesco ad aprire un occhio per via delle punture. Non ho intenzione di beccarmi la malaria e cos decido di comprare una zanzariera, anche se nella manyatta con il fuoco acceso un po' pericoloso. Vado alla missione e chiedo al padre se in grado di riparare il pneumatico. Risponde che non ha tempo, ma mi da una ruota di scorta e mi consiglia di comprarne una seconda perch a volte succede di avere due gomme a terra contemporaneamente. Colgo l'occasione e gli chiedo come ci si difende dai mosquitos. Non ha grandi problemi, la sua una casa ben fatta, e uno spray sufficiente. Secondo lui dovrei considerare la possibilit di farmi costruire una casa al pi presto, non costa molto. Il grande capo del distretto potrebbe assegnarci un lotto che dovremo poi far registrare a Maralal. L'idea di costruire una casa mi entusiasma. Sarebbe magnifico avere un vero chalet! Euforica, torno alla manyatta e racconto tutto a Lketinga, ma lui non sembra molto contento, dice che non si sentirebbe a suo agio, ne riparleremo. Ma andr a Maralal comunque, non intendo passare un'altra notte senza zanzariera. Dopo poco tempo la jeep di nuovo circondata da diverse persone che vogliono un passaggio. Alcune le ho gi viste, altre proprio non le conosco. Lketinga stabilisce chi potr venire con noi. Come sempre ci vogliono quasi cinque ore. Una volta arrivati, per prima cosa facciamo riparare la gomma, il che non affatto semplice, e nel frattempo controllo quelle montate sulla macchina, sono quasi lisce. Chiedo quanto costano delle gomme nuove, ma quando mi dicono i prezzi inorridisco. Considerando il cambio vogliono quasi mille franchi per quattro pneumatici. Questi sono prezzi da Svizzera, qui quella cifra corrisponde a tre paghe

mensili. Ma non ho scelta se non voglio rischiare di rimanere per strada. Trovo una zanzariera in un negozio e compro anche alcune scatole di zampironi. La sera, nel bar dell'albergo, mi viene presentato il grande capo del distretto Samburu. E' una persona gradevole, e sa bene l'inglese. Ha gi sentito parlare di me, dice che ci sarebbe venuto a trovare fra non molto comunque. Si congratula con il mio masai, ha una donna davvero coraggiosa. Quindi gli racconto del progetto di costruire una casa, delle nostre nozze e dei problemi con la carta d'identit, e lui ci promette di fare il possibile, ma costruire una casa non facile perch la legna scarseggia. Almeno si occupa della carta d'identit. Il giorno dopo viene con noi all'ufficio pubblico, discute con i funzionari, ci aiuta a compilare diversi moduli e fornisce tutte le informazioni di cui hanno bisogno sulla famiglia di Lketinga. Cos il documento potr essere emesso anche a Maralal, entro due o tre settimane. Compiliamo anche la richiesta di matrimonio, se nessuno sollever obiezioni entro venti giorni potremo sposarci, abbiamo bisogno solo di due testimoni che sappiano scrivere. Non so come ringraziarlo, sono veramente felice. In certi uffici mi fanno spendere qualche soldo, ma dopo alcune ore tutto a posto, dobbiamo solo ripassare fra quindici giorni con i certificati. Contentissimi, invitiamo il grande capo a pranzo. E' il primo che ci aiuta veramente col cuore. Lketinga si sente generoso e gli allunga anche del denaro. Dopo aver passato la notte a Maralal decidiamo di ripartire, ma prima di andarcene voglio vedere Jutta. Ci raccontiamo tutto, naturalmente solo dopo aver preso un altro chai. Non vuole assolutamente mancare alle nostre nozze. Al momento abita da Sofia, un'altra bianca che si trasferita a Maralal da poco con il suo ragazzo rasta. Mi dice di andare a trovarla, in fondo dobbiamo pur sostenerci fra bianche. Lketinga ha lo sguardo cupo perch non capisce cosa diciamo, e il fatto che parliamo in tedesco e ridiamo molto lo rende irrequieto. Vuole andare a casa. Partiamo, e questa volta osiamo prendere la strada attraverso la giungla. E' in condizioni pessime, e quando arriviamo sul pendio scivoloso trattengo il respiro. Ma questa volta le mie preghiere vengono accolte e raggiungiamo Barsaloi senza problemi. Le giornate che seguono trascorrono tranquillamente, la vita si normalizzata. C' latte per tutti e nei negozi diroccati si riescono a trovare anche polenta e riso. Mamma indaffarata con i preparativi per la pi grande festa dei samburu, che sancisce il passaggio dei guerrieri, tra cui il mio amore, alla classe d'et successiva. Solo dopo questo rito, che avr luogo fra poco pi di un mese, possono ufficialmente cercarsi una donna e sposarsi. Dopo un anno i giovani della generazione successiva, gli attuali ragazzi, diventano a loro volta guerrieri e vengono celebrati con una grande festa di circoncisione. L'imminente celebrazione, che si terr in un posto ben preciso in cui si raduneranno tutte le madri con i loro figli guerrieri, ha un'importanza capitale per Lketinga. Gi fra due o tre settimane abbandoneremo la nostra manyatta con Mamma e ci recheremo nel luogo prefissato, dove le donne costruiranno capanne nuove solo per l'occasione. La data d'inizio della cerimonia, che dura tre giorni, sar comunicata

poco tempo prima, perch dipende in gran parte dalla posizione della luna. Devo fare bene i conti, perch circa quindici giorni prima dovremo andare all'ufficio di stato civile e se qualcosa va male mi rester poco tempo prima della scadenza del visto. Lketinga spesso in giro perch deve trovare un toro nero di una certa grandezza, e questo richiede molte visite e trattative presso i parenti, cui si deve offrire qualcosa in cambio. A volte l'accompagno, ma torno sempre a casa a dormire perch con la zanzariera mi sento pi sicura. Di giorno sbrigo le solite faccende. La mattina vado al fiume, con o senza Lketinga, e a volte ci portiamo anche Saguna, che si diverte un mondo a fare il bagno, sono le prime volte per lei. Poi lavo i nostri vestiti intrisi di fumo, anche se questo non giova di certo alle mie mani. Quindi andiamo a prendere l'acqua potabile, e infine ci procuriamo la legna da ardere. Problemi con l'autorit. Il tempo passa, dobbiamo andare a Maralal a sposarci. Mamma non contenta che Lketinga se ne vada poco tempo prima della cerimonia, ma noi riteniamo che una settimana sar pi che sufficiente. Cos, partiamo proprio lo stesso giorno in cui Mamma smonta tutto e si incammina con le altre madri e gli asini carichi verso il luogo prefissato. Non vuole venire con noi a nessun costo, non si mai seduta in un'auto e non ha intenzione di provarci proprio adesso. Cos infilo in macchina solo i miei bagagli, del resto si occuper lei. Lketinga porta con s Jomo, che un po' pi anziano di lui e con l'inglese se la cava abbastanza, ma a me antipatico. Strada facendo insiste che ci vuol fare da testimone o almeno vuole assistere al matrimonio. Poi parlano della festa imminente: un evento importantissimo, le madri affluiranno da tutte le parti, costruiranno quaranta o cinquanta manyatta e si baller molto. Sono contentissima di poter partecipare. Secondo il nostro accompagnatore, considerando la fase attuale della luna, ci vorranno ancora due settimane circa. Per prima cosa ci dirigiamo verso l'anagrafe di Maralal, ma l'ufficiale di servizio assente, dovremo tornare il giorno dopo, e purtroppo senza carta d'identit non possiamo fissare la data del matrimonio. Poi andiamo in giro a cercare due testimoni, il che non tanto semplice perch la maggior parte delle persone che conosce Lketinga non sa scrivere ed raro che quei pochi conoscano sia il suaheli sia l'inglese. Suo fratello troppo giovane, e alcuni conoscenti hanno paura di andare all'ufficio pubblico perch non ne comprendono la ragione. Solo il giorno dopo troviamo due moran di Mombasa in possesso di una carta d'identit. Ci promettono di restare a Maralal ancora per un po', e quando il pomeriggio stesso torniamo all'ufficio, il documento di Lketinga davvero pronto, mancano solo le impronte digitali. Poi andiamo a farci fissare la data. L'ufficiale controlla il mio passaporto e il mio certificato di stato civile, e ogni tanto fa delle domande in suaheli a Lketinga, che a quanto pare non sempre capisce e comincia a spazientirsi. Oso chiedere quando potremo sposarci e rendo noti i nomi dei testimoni. Ma lui ritiene che faremo bene a farci ricevere

direttamente dal direttore del distretto, solo lui potr congiungerci in matrimonio. Ci mettiamo in coda con gli altri, sono molte le persone in attesa di poter parlare con quell'uomo cos importante. Dopo due ore abbondanti riusciamo a entrare, e ci troviamo di fronte un tipo obeso seduto dietro a una scrivania alla moda. Metto sul tavolo le nostre carte e gli spiego la situazione. Lui sfoglia il mio passaporto e mi chiede perch voglio sposare un masai e dove abbiamo intenzione di andare a vivere. Sono molto agitata e faccio fatica a parlare correttamente in inglese. Perch lo amo e perch vogliamo costruirci una casa a Barsaloi. Lui ci fissa, ora l'uno ora l'altra, e ci dice di tornare dopo due giorni alle quattordici con i due testimoni. Ringraziamo e ce ne andiamo felici. All'improvviso sembra tutto cos normale, non osavo nemmeno sperarci. Lketinga compra della miraa e si siede nella nostra stanza con una birra. Cerco di dissuaderlo dal prendere di nuovo quella roba, ma lui dice che ne ha bisogno. Verso le nove qualcuno bussa alla porta, il nostro accompagnatore, e anche lui mastica miraa. Esaminiamo ancora tutti i dettagli attentamente, ma con il passare delle ore Lketinga diventa sempre pi irrequieto. Non sa se sia giusto sposarsi in questo modo, non conosce nessuno che abbia fatto un matrimonio civile. Sono contenta che Jomo gli spieghi tutto, ma Lketinga si limita ad annuire. Speriamo che questi due giorni passino alla svelta e che lui non perda la testa! Non sopporta di andare in quel posto. Il giorno successivo cerco Jutta e Sofia, e per fortuna le trovo entrambe. Sofia vive come una signora feudale in una casa con due camere da letto, la luce elettrica, l'acqua e addirittura il frigorifero. Le due si congratulano per il nostro imminente matrimonio e promettono di essere all'ufficio il giorno dopo alle quattordici. Per l'occasione Sofia mi presta un grazioso fermaglio da capelli e una stupenda camicetta, e per Lketinga compriamo due kanga molto belli. Siamo pronti. La mattina del matrimonio sono un po' nervosa. Alle dodici i nostri testimoni non si sono ancora visti e non sanno neanche che fra due ore la loro presenza sar assolutamente necessaria. Cos dobbiamo trovarne altri due. A questo punto tocca a Jomo, ormai va bene chiunque, ma abbiamo bisogno di un'altra persona. Disperata, chiedo alla proprietaria dell'albergo, che acconsente subito entusiasta, e alle quattordici ci troviamo davanti all'ufficio. Sofia e Jutta hanno addirittura due macchine fotografiche. Aspettiamo con alcune altre persone seduti sulla panchina. L'atmosfera un po' tesa e Jutta continua a prendermi in giro. A dire il vero i minuti prima delle mie nozze me li ero immaginati un po' pi solenni. E' gi passata mezz'ora, ma non ci chiamano. Davanti all'ufficio c' molto movimento, in particolare mi colpisce un tizio che gi entrato e uscito tre volte. Il tempo passa e Lketinga si innervosisce perch teme che se qualcosa non in regola dovr andare in prigione. Nei limiti del possibile cerco di calmarlo. Ma come se non bastasse non ha quasi dormito a causa della miraa. D'un tratto si apre la porta e ci invitano a entrare. Jutta commenta: Hakuna matata, siamo in Africa, pole, pole. Dicono che i testimoni devono aspettare fuori, e a questo punto anch'io comincio ad avere qualche sospetto.

Il direttore del distretto di nuovo seduto dietro alla sua lunga scrivania, ma questa volta ci sono altri due uomini, uno quello che continuava ad andare avanti e indietro. Dobbiamo sederci di fronte a loro, si tratta di poliziotti in abiti civili che devono controllare il mio passaporto e il documento di Lketinga. Sento il battito del mio cuore fin sulle tempie. Che cosa sta succedendo? In questo stato di agitazione ho paura di non capire il loro inglese burocratico. E un vero e proprio interrogatorio: da quando vivo nella zona Samburu, dove ho conosciuto Lketinga, da quando stiamo insieme, come e di che cosa viviamo, che mestiere faccio, come comunichiamo e via di seguito, le domande sembrano non finire mai. Lketinga mi chiede in continuazione di cosa stiamo parlando, ma qui non posso spiegarglielo al nostro solito modo. Alla domanda se sono gi stata sposata rischio di esplodere, e rispondo agitata che sul mio certificato di nascita e sul passaporto c' lo stesso nome, lo vedono benissimo, e ho anche un documento in inglese del mio comune svizzero di appartenenza. Rispondono che quest'ultimo non valido perch l'ambasciata di Nairobi non l'ha vidimato. Ma il mio passaporto... replico sdegnata. Non ho nemmeno il tempo di finire la frase: anche quello potrebbe essere falso, afferma il direttore. A questo punto vado in collera. Il direttore chiede a Lketinga se ha gi sposato una donna samburu, e lui dice di no. Come lo pu dimostrare? Be', a Barsaloi lo sanno tutti. Ma qui siamo a Maralal, risponde lui. In quale lingua vogliamo che venga celebrato il rito nuziale? Io credevo in inglese con traduzione simultanea in masai. Lo stronzo ride e dice che per casi particolari di questo tipo non ha tempo, e poi non conosce il masai. Per sposarci dobbiamo parlare tutti e due la stessa lingua, inglese o suaheli, devo far timbrare il mio certificato dall'ambasciata, e Lketinga deve portare una lettera firmata dal capo del distretto che attesti che celibe. Sono furente, mi sento vittima di un sopruso e perdo completamente le staffe. Urlando chiedo al direttore perch non ce l'aveva detto la prima volta e lui ribatte con arroganza che qui lui a stabilire quando comunicare cosa e a chi, e se non la smetto mi costringer a lasciare il paese il giorno dopo. Bel colpo! Come darling, we go, they don't want give the marriage. Sono furiosa e lascio l'ufficio in lacrime seguita da Lketinga. Appena usciti veniamo accolti dai flash di Sofia e Jutta, che credono che sia andato tutto a buon fine. Nel frattempo intorno a noi si sono radunate almeno venti persone, vorrei sprofondare. Jutta la prima ad accorgersi che qualcosa non andato bene: Che succede, Corinne? Lketinga, what's the problem?. I don't know risponde lui confuso. Io non dico niente, mi precipito nella jeep e vado di corsa in albergo, voglio stare un po' sola. Entro in camera e mi butto sul letto piangendo convulsamente. Che maledetti porci! Non saprei dire dopo quanto, ma a un certo punto Lketinga accanto a me e cerca di calmarmi. So bene che non sa che farsene delle mie lacrime, ma non riesco a smettere. Anche Jutta si affaccia alla porta e mi offre un liquore del Kenya. Lo butto gi controvoglia, e lentamente smetto di piangere. Mi sento stanca e come intontita, ho perso completamente la nozione del tempo. Quando Jutta ci

lascia, Lketinga beve birra e mastica miraa. Dopo un po' bussano alla porta, ma io rimango sul letto a fissare il soffitto. Lketinga apre e fa entrare i due poliziotti in borghese, che si scusano offrendo il loro aiuto. Io non reagisco e cos uno di loro - un samburu - si rivolge a Lketinga. Quando capisco che questi porci sono venuti a chiederci un sacco di soldi in cambio del matrimonio, sbotto un'altra volta e li scaccio dalla nostra camera urlando. Mi sposer a Nairobi o da qualche altra parte, non ho bisogno delle loro sporche offerte. Senza replicare lasciano la stanza sconcertati. Domani andremo a Nairobi a far vidimare il mio certificato, e per precauzione mi far anche prorogare il visto. Cos, con i moduli compilati e i documenti, dovrebbe andare. Avremo altri tre mesi di tempo perch il capo ci firmi la lettera, e voglio un po' vedere se ci chiede una bustarella anche lui. Arriva quel rompiscatole di Jomo, e Lketinga gli racconta il nostro piano. Lui si dichiara disponibile ad accompagnarci, conosce molto bene Nairobi. Poich la strada per Nyahururu ancora in uno stato pietoso, decidiamo di andare a Isiolo via Wamba, proseguiremo per Nairobi con i mezzi pubblici. Ma la festa imminente, ci rimangono solo quattro o cinque giorni al massimo. Il percorso nuovo per me, per non ci crea particolari problemi. Dopo cinque ore circa siamo a Isiolo. Chiedo la strada per la missione sperando di poter parcheggiare la macchina da loro, e per fortuna il missionario mi da il permesso, aggiungendo che se l'avessi lasciata da qualche parte incustodita non l'avrei ritrovata di sicuro. Da l a Nairobi sono altre tre o quattro ore, cos decidiamo di fermarci a dormire e di ripartire la mattina successiva per essere all'ufficio nel pomeriggio. Il nostro accompagnatore dichiara di essere rimasto senza soldi, cos pago anche la sua camera e i suoi pasti. Non mi fa piacere perch nel frattempo non mi certo diventato pi simpatico. Appena arrivo in camera cado sul letto e mi addormento prima che faccia buio, mentre gli altri due continuano a parlare e a bere birra. La mattina dopo ho molta sete. Facciamo colazione e saliamo subito su un autobus per Nairobi, che tuttavia impiega un po' di tempo a riempirsi, cos possiamo partire solo dopo un'ora. Poco prima di mezzogiorno siamo a Nairobi. Per prima cosa andiamo all'ambasciata svizzera a far vidimare il mio certificato. Loro, per, non si occupano di queste pratiche e mi dicono di andare a quella tedesca. Esprimo i miei dubbi sul fatto che i tedeschi riconoscano il timbro comunale svizzero, ma sono irremovibili. L'ambasciata tedesca si trova dall'altra parte della citt ed faticoso muoversi in questa Nairobi afosa e soffocante. C' molto andirivieni, e quando finalmente il mio turno l'impiegato scuote la testa e dice che devo rivolgermi all'ambasciata svizzera. Gli comunico seccata che ci sono appena stata, e l'uomo afferra la cornetta e li chiama. Ritorna, sempre scuotendo la testa, e dice che tutto questo non ha senso, ma a Maralal sufficiente mostrare molti timbri e firme, non importa di chi e come si sono ottenuti. Vidima il certificato, io lo ringrazio e lascio l'ambasciata. Lketinga vuole sapere perch le mie carte creano cos tanti problemi. Non so cosa rispondergli, e mi accorgo che la sua diffidenza nei miei confronti cresce. Ora dobbiamo andare a palazzo Nyayo, in un altro quartiere, per il mio

visto, che scade fra dieci giorni. Mi sembra di avere le gambe di piombo, ma ho la ferma intenzione di ottenere il visto entro un'ora e mezza. Ci sono da compilare altri moduli. In quel momento sono contenta che con noi ci sia qualcuno perch mi gira la testa e capisco circa una domanda su due. Tutti fissano Lketinga per il suo trucco, e lui si tira gi il kanga fino a coprirsi il viso quasi del tutto. Aspettiamo che mi chiamino, ma il tempo passa. E' gi un'ora che siamo seduti in questa sala, c' un caldo opprimente e mi sempre pi difficile sopportare questa massa di gente che chiacchiera. Guardo l'orologio, fra quindici minuti l'ufficio chiude e domani l'attesa ricomincia da capo. Ma finalmente mostrano il mio passaporto e una risoluta voce femminile mi chiama: Miss Hofmann. Mi faccio largo tra la folla e raggiungo lo sportello. La donna mi guarda e chiede se voglio sposare un africano. Yes! la mia breve risposta. Where is your husband? Indico Lketinga, e la donna mi chiede divertita se voglio davvero diventare la moglie di un masai. Yes, why noti Se ne va e torna con due colleghe che ci fissano e poi si mettono a ridere tutte e tre. Io rimango l a testa alta, le loro impertinenze non mi scalfiscono. Finalmente mi stampano il timbro su una pagina del passaporto, adesso ho il mio visto. Ringrazio cortesemente e lasciamo l'edificio. Malaria. Fuori l'aria irrespirabile, i gas di scarico delle auto non mi avevano mai dato cos fastidio. Sono le sedici e tutti i miei documenti sono in regola. Vorrei poter gioire, ma sono troppo stanca. Dobbiamo tornare in una zona residenziale e cercare un albergo, ma gi dopo un centinaio di metri ho le vertigini e sento che stanno per cedermi le gambe. Darling, help me! CorinNe, what's the problem? Ho un capogiro, dovrei sedermi, ma qui vicino non ci sono ristoranti, e cos mi appoggio al davanzale di una vetrina. Mi sento malissimo e ho tanta sete. Lketinga a disagio perch cominciano a fermarsi i passanti e vorrebbe portarmi via, ma non ce la faccio senza appoggio, e per raggiungere l'albergo devo farmi aiutare. A un certo punto mi prende un attacco di claustrofobia. Ho la vista annebbiata, non riesco a distinguere le persone intorno a me. E poi questi odori! A ogni angolo c' qualcuno che frigge del pesce, pannocchie di mais o carne, e a me viene la nausea. Se non mi tolgo subito da questa strada vomiter. L vicino c' solo un bar. Entriamo e chiedo un letto. Sulle prime non me lo vogliono dare, ma quando il nostro accompagnatore spiega che non sono in grado di camminare, ci portano in una camera al piano superiore. E' il tipico albergo a ore, e nella stanza il volume della monotona musica kikuyu alto quasi come al bar. Appena mi lascio cadere sul letto mi assale una nausea ancora pi forte. Faccio cenno che devo vomitare e Lketinga cerca di aiutarmi a raggiungere il gabinetto, ma troppo tardi, non riesco ad arrivarci. Ho un conato gi nel corridoio, e in bagno continuo a dar di stomaco finch emetto solo succhi gastrici. Ritorno faticosamente in camera. Sono imbarazzata perch ho sporcato. Mi sdraio sul letto, ho una sete tremenda. Lketinga mi procura una bottiglia di acqua tonica, che svuoto in un sorso, e poi un'altra e un'altra

ancora. A un certo punto ho freddo, mi sembra di essere chiusa in un frigorifero. E continua a peggiorare. Batto i denti cos forte che mi fanno male le mascelle, ma proprio non riesco a controllarmi. Lketinga, I feel so cold, please give me blankets! Lketinga mi da la coperta, ma non serve a niente, cos Jomo ne va a prendere altre due, ma ci nonostante il mio corpo cos rigido che quasi non aderisce al letto. Chiedo del t, caldissimo, e mi sembra che passino delle ore prima di averlo. Ma tremo cos tanto che berlo diventa un'impresa. Dopo appena due tre sorsi vomito di nuovo, ma questa volta non ce la faccio a uscire dal letto. Lketinga va a prendere una bacinella, e rimetto tutto quello che ho bevuto. Lketinga disperato. Mi chiede continuamente cosa mi succeda, ma non lo so neanch'io. Ho paura. A un certo punto smetto di tremare e casco sui cuscini come un budino. Ho male dappertutto, sono spossata come se avessi fatto una corsa di ore. Poi comincio a sentire caldo, e dopo poco tempo sono bagnata fradicia e ho i capelli tutti appiccicati alla testa. Mi sembra di andare a fuoco senza lasciare traccia. Adesso voglio una coca-cola fredda, e di nuovo butto gi la bevanda rapidamente. Poi devo andare al gabinetto, Lketinga mi ci porta e incominciamo con la diarrea. Sono contenta di averlo accanto a me anche se spaventato. Torno a letto, non desidero altro che dormire, non sono nemmeno in grado di parlare. Sonnecchiando percepisco le voci dei due anche se sono sovrastate dalla monotona musica del bar. Poi arriva un nuovo attacco. Sento il freddo insinuarsi lentamente nel mio corpo e poco dopo batto di nuovo i denti. Ho il panico e mi aggrappo al letto. Darling, help me! imploro. Lketinga si sdraia sopra di me e mi copre con il suo corpo, ma io continuo a tremare. Il nostro accompagnatore rimane in disparte e dice che secondo lui ho la malaria, dovrei andare in ospedale. Le sue parole mi rimbombano nella testa: malaria malaria malaria! Da un momento all'altro smetto di tremare e comincio a sudare da tutti i pori. Le lenzuola si bagnano rapidamente. Ho sete, ho sete! Devo bere. La padrona del locale fa capolino e quando mi vede dice: Mzungu, malaria, ospedale. Ma io scuoto la testa, non voglio andare all'ospedale di Nairobi, ne ho sentito parlare malissimo. E poi che ne sarebbe di Lketinga? Qui da solo perduto. La padrona lascia la stanza e poco dopo torna con della polvere contro la malaria, che prendo con un sorso d'acqua. Sono stanca. Quando apro gli occhi gi buio, e ho la testa che mi scoppia. Chiamo Lketinga, ma non mi risponde. Dopo un po', non so se si tratti di minuti o di ore, torna in camera, era gi al bar. Appena sento puzza di birra il mio stomaco si rivolta di nuovo. Durante la notte ho un brivido dietro l'altro. La mattina dopo, al mio risveglio, sento i due discutere della festa. Poi Jomo si avvicina al mio letto e chiede come sto. Male, rispondo. Vuole sapere se me la sento di tornare a casa, ma per me impossibile, anzi devo correre subito al gabinetto. Mi tremano le gambe, non riesco quasi a stare in piedi. Mi viene in mente che forse dovrei mangiare. Lketinga va gi e torna con un piatto di carne, ma appena sento l'odore mi vengono subito i crampi allo stomaco, sto patendo le pene dell'inferno. Rimetto di nuovo, non viene

fuori altro che un po' di liquido giallo che tuttavia mi procura dolori orribili. Insieme agli sforzi riprende anche la diarrea. Sto male come un cane, sono sicura di avere le ore contate. La sera del secondo giorno mi addormento pi volte, soprattutto durante le crisi di caldo, e perdo il senso del tempo. La musica mi innervosisce terribilmente: piango, urlo e mi tappo le orecchie. Jomo ne ha abbastanza. Dice che andr a far visita ad alcuni suoi parenti, torner entro tre ore. Lketinga conta i nostri soldi, mi sembra che manchi qualcosa ma non importa. Intanto comincio a capire che se non faccio qualcosa subito non uscir viva di qui. Lketinga va a prendere delle compresse vitaminiche e una medicina locale contro la malaria. Butto gi le pastiglie e per poco non mi strozzo. Quando vomito ne prendo subito un'altra. Nel frattempo gi mezzanotte e Jomo non ancora tornato. Siamo preoccupati, questo quartiere di Nairobi pericoloso. Lketinga quasi non dorme e si prende cura di me con amore. Grazie al medicinale gli attacchi si attenuano un po', ma sono cos debole che non riesco nemmeno ad alzare le braccia. Lketinga disperato, vuole andare a cercare il nostro accompagnatore, ma sarebbe una follia in una citt sconosciuta. Lo imploro di restare con me, di non abbandonarmi. Dobbiamo lasciare Nairobi il prima possibile. Ingerisco compresse vitaminiche come fossero caramelle, e lentamente comincio a capire che se non voglio crepare qui devo raccogliere le mie ultime forze e andar via. Mando il mio amore a comprare pane e frutta, qualunque cosa basta che non mandi odore di cibo, e ingoio faticosamente boccone dopo boccone. Mentre mangio la frutta le mie labbra screpolate bruciano come il fuoco, ma devo sforzarmi. Ormai chiaro che Jomo ci ha piantato in asso. La paura che Lketinga possa perdere il lume della ragione mi spinge a essere pi forte. Cercher di lavarmi per sentirmi meglio. Il mio amore mi porta alla doccia, in qualche modo riesco a cavarmela. Poi, dopo tre giorni, chiedo della biancheria pulita, e mentre aspetto che venga cambiata decido di fare due passi. Mi gira la testa ma devo farcela. Camminiamo per una cinquantina di metri che mi sembrano cinque chilometri, poi devo tornare perch gli odori della strada non danno tregua al mio stomaco. Ma sono fiera del risultato, e prometto a Lketinga che il giorno dopo partiremo da Nairobi. Quando mi sdraio nuovamente sul letto sfinita, darei qualsiasi cosa per essere a casa di mia madre in Svizzera. La mattina dopo un taxi ci porta alla fermata dell'autobus. Lketinga preoccupato perch gli sembra di aver abbandonato Jomo. Ma dopo due giorni di attesa avremo ben il diritto di partire! E poi la festa di Lketinga sempre pi vicina. Il viaggio per Isiolo dura molto. Lketinga mi deve sostenere perch sono debole e nelle curve rischio di cadere dal sedile. Una volta arrivati mi propone di fermarci l a dormire, ma io voglio andare a casa o perlomeno raggiungere Maralal, dove forse potr incontrare Jutta o Sofia. Mi trascino fino alla missione e salgo sulla jeep mentre Lketinga saluta i missionari. Vorrebbe mettersi lui al volante, ma non me la sento di prendermi questa responsabilit. Siamo pur sempre in una citt, anche se piccola, ci

sono controlli a ogni angolo. Riesco a partire, ma faccio fatica perfino a premere fino in fondo il pedale della frizione. Per i primi chilometri la strada ancora asfaltata, poi comincia il tratto sterrato. Dopo un po' ci fermiamo per caricare tre samburu che devono andare a Wamba. Mentre guido non penso ad altro che alla strada. Vedo le buche da lontano e non mi accorgo nemmeno di quello che succede dentro alla macchina. Ma quando qualcuno accende una sigaretta chiedo di spegnerla subito perch mi fa venire la nausea. Il mio stomaco si ribella al fumo, per so che non devo assolutamente fermarmi a vomitare, mi costerebbe troppa energia. Sono grondante di sudore, e mi strofino continuamente la fronte con il dorso della mano perch non mi goccioli negli occhi. Durante questo viaggio interminabile non tolgo gli occhi dalla strada neanche per un secondo. Quando cala la sera si vedono delle luci, siamo a Maralal. Non riesco quasi a crederci, mentre guidavo il tempo mi volato. Parcheggio immediatamente accanto al nostro albergo, spengo il motore e guardo Lketinga. Sento che il mio corpo diventa leggero e poi, all'improvviso, il buio. In ospedale. Apro gli occhi. Mi sembra di svegliarmi da un brutto sogno, ma guardandomi intorno scopro che le grida e i gemiti sono reali. Sono in ospedale, in un'enorme corsia piena di letti in fitta successione. A sinistra c' un'anziana donna samburu molto magra, e a destra c' un lettino rosa con le sbarre per bambini. Dentro c' qualcuno che si agita e urla. Ovunque posi lo sguardo non vedo altro che miseria. Perch sono in ospedale? Non capisco come ci sono arrivata. Dov' Lketinga? Mi prende il panico, da quanto tempo sono qui? Fuori chiaro, il sole risplende. Il mio letto una struttura di ferro con un materasso sottile e lenzuola sudicie sul grigio. Passano due giovani medici in camice bianco, faccio loro un cenno con la mano: Hello!. La mia voce non abbastanza forte, coperta dai gemiti, e non riesco ad alzarmi perch ho la testa troppo pesante. Mi vengono le lacrime agli occhi. Cosa significa tutto questo? Dov' Lketinga? La donna samburu cerca di parlarmi, ma io non capisco niente. Poi finalmente vedo Lketinga avvicinarsi e mi calmo, provo addirittura una sensazione di piacere. Hello, Corinne, how you feel now? Cerco di sorridere e dico che non c' male. Mi riferisce che subito dopo il nostro arrivo ero svenuta e cos la padrona dell'albergo ha chiamato subito l'ambulanza. Sono qui dalla sera precedente. Lui stato tutta la notte con me, ma non mi svegliavo. Quasi non riesco a credere di aver dimenticato tutto. Il dottore mi ha fatto un'iniezione. Dopo un po' i due medici sono accanto al mio letto. Ho una malaria acuta, ma non possono fare molto a causa della mancanza di farmaci. Mi danno delle pillole, e mi consigliano di mangiare e dormire molto, ma la sola parola mangiare mi fa sentir male e dormire impossibile con tutti questi gemiti e queste urla. Lketinga seduto sul bordo del letto e mi guarda sconsolato. Improvvisamente percepisco un forte odore di cavoli. Mi si rivolta lo stomaco, ho bisogno di un recipiente. Disperata,

prendo la brocca dell'acqua e ci vomito dentro. Lketinga mi tiene la fronte, difficilmente ci sarei riuscita da sola. Ma ben presto arriva un'infermiera scura che mi strappa la brocca di mano e al suo posto mi da un grosso recipiente. Why you make this? This is for drinking water! mi apostrofa in malo modo. Sto malissimo, il profumo proviene dal carrello dei cibi. Diverse ciotole di alluminio vengono riempite con una specie di polpettone di riso e cavolo e poi messe accanto ai letti. Completamente esausta, rimango sdraiata sulla branda tappandomi il naso con un braccio. Non ce la faccio proprio a mangiare. Dopo un'ora dall'assunzione delle compresse mi prende un prurito su tutto il corpo, e comincio a grattarmi dappertutto come una pazza. Lketinga nota che sul mio viso sono comparsi macchie e brufoli. Alzo la gonna e scopriamo che anche le gambe sono piene di pustole. Chiama un medico. Ovviamente si tratta di una reazione allergica a questo farmaco, ma al momento non pu darmi altro perch hanno finito le scorte e ogni giorno sperano che da Nairobi arrivino dei rifornimenti. Verso sera Lketinga mi lascia per andare a mangiare. Spera di incontrare qualcuno delle sue parti che gli dica quando inizier la grande festa. Sono stanca morta, non desidero altro che dormire, e sono in un bagno di sudore, il termometro segna quarantuno gradi. Con tutta l'acqua che ho bevuto sento il bisogno di andare al gabinetto, che per si trova vicino all'ingresso. Come raggiungerlo? Non ce la far mai a percorrere un tratto cos lungo. Tiro fuori le gambe dalle lenzuola, infilo i piedi nei miei sandali di plastica e mi tiro su appoggiandomi alla struttura di ferro del letto. Mi tremano le gambe, mi reggo in piedi a stento ma cerco di farmi forza, non devo cadere a nessun costo. Raggiungo l'uscita sorreggendomi ai letti dei pazienti, uno dopo l'altro, ma gli ultimi trenta metri mi sembrano infinitamente lunghi, e sono tentata di mettermi carponi perch non posso appoggiarmi da nessuna parte. Stringo i denti, faccio un ultimo sforzo e raggiungo il gabinetto, ma purtroppo non mi posso sedere. Cos mi accuccio facendo forza sulle pareti laterali per non cadere. L'aspetto pi tragico della malaria la debolezza, non ero mai stata veramente malata prima d'ora. In attesa davanti alla porta c' una donna masai che sta per partorire. Quando si accorge che resto attaccata alla porta perch altrimenti cadrei per terra, senza dire una parola mi aiuta a tornare all'ingresso. Le sono talmente grata che mi vengono le lacrime. Mi trascino faticosamente fino al letto e continuo a piangere, tanto che l'infermiera mi chiede se ho dei dolori. Scuoto la testa, mi sento ancora pi miserabile, ma in qualche modo dopo poco mi addormento. Durante la notte mi sveglio perch il bambino accanto a me urla a pi non posso e colpisce le sbarre con la testa, ma nessuno gli da retta. Mi sembra di impazzire. Ormai sono qui da quattro giorni e non accenno a migliorare. Lketinga passa spesso, in crisi perch vuole andare a casa ma teme che io muoia e non mi vuole lasciare sola. A parte le compresse di vitamine non ho ancora mangiato niente eppure, nonostante le infermiere mi rimproverino sempre, ogni volta che metto qualcosa in bocca vomito. Ho un mal di pancia atroce. Una volta Lketinga mi porta un'intera zampa di capra ben arrostita e mi prega disperato di

mangiarla, mi aiuter a riconquistare la salute. Ma non ce la faccio e lui se ne va deluso. Il quinto giorno viene Jutta, ha sentito dire che c'era una bianca che stava male. Quando mi vede inorridisce. Mi dice che devo uscire immediatamente da qui e andare all'ospedale della missione di Wamba, ma per me non ha senso cambiare ospedale, in fondo che differenza c', e poi non sono in grado di reggere quattro ore e mezza di viaggio. Se ti potessi vedere capiresti. Sei qui da cinque giorni e non ti hanno dato niente, per loro vali meno di una capra. Forse non vogliono neanche aiutarti dice. Jutta, portami in albergo. Non voglio morire qui, e non ce la faccio ad arrivare fino a Wamba con le strade in quelle condizioni, non avrei nemmeno la forza di tenermi! Jutta parla con i medici, ma non vogliono lasciarmi andare. Solo quando mi assumo tutta la responsabilit firmando un apposito documento cominciano a preparare i fogli di dimissione. Nel frattempo Jutta cerca Lketinga perch la aiuti a portarmi fino all'albergo. Entro lentamente nel villaggio con loro due che mi sorreggono. La gente si ferma a guardare, e io mi vergogno di dovermi far trascinare in questo modo. Ma voglio lottare, sopravvivere. Cos chiedo ai due di portarmi al ristorante somalo, cercher di mangiare una porzione di fegato. Dista almeno duecento metri, ma anche se mi cedono le gambe continuo a ripetere a me stessa: Ce la farai Corinne, devi arrivarci!. Alla fine, sfinita ma fiera, mi siedo. Anche il somalo sconvolto quando mi vede. Ordiniamo del fegato, ma quando guardo il piatto il mio stomaco si ribella. Raccolgo le ultime forze rimaste e mi impongo di mangiare lentamente. Dopo due ore ho quasi svuotato il piatto, e cerco di convincermi che in fondo sto benone. Lketinga contento. Andiamo tutti e tre in albergo, e Jutta si congeda, ripasser domani o dopodomani. Il resto del pomeriggio lo trascorro al sole, bello sentire il caldo sulla pelle. La sera rimango a letto e mangio lentamente una carota, sono fiera dei miei progressi. Il mio stomaco si calmato e tiene tutto. Corinne, stiamo risalendo la china, penso, e mi addormento. La mattina dopo Lketinga viene a sapere che la cerimonia gi iniziata. E' nervoso, vorrebbe andare subito a casa e partecipare alla festa, ma io non sono in grado di guidare tanto a lungo, e andando a piedi ci impiegherebbe pi di un giorno. E' anche molto preoccupato per Mamma, che sar disperata e non sa nemmeno che cosa successo. Domani, prometto al mio amore, partiremo. Cos mi resta ancora un giorno buono per raccogliere almeno le forze necessarie a tenere il volante. Usciti da Maralal potr andare avanti Lketinga, ma qui con la polizia troppo pericoloso. Torniamo dal somalo e ordino di nuovo lo stesso piatto. Oggi ho fatto quasi tutto il percorso da sola, ed pi facile mangiare. Sento che la vita sta ritornando lentamente in me, e il mio ventre ora piatto, non pi incavato. In albergo mi guardo per la prima volta allo specchio. Di viso sono molto cambiata, gli occhi sembrano enormi e gli zigomi spigolosi risaltano moltissimo. Prima della partenza Lketinga compra qualche chilo di tabacco da masticare e dello zucchero, io prendo il riso e la frutta. I primi chilometri sono molto faticosi perch devo cambiare continuamente marcia e

premere la frizione mi costa molta fatica, ma Lketinga sta seduto accanto a me e mi aiuta premendo sulla mia coscia. Mentre guido sono di nuovo concentratissima, quasi in trance, e dopo alcune ore raggiungiamo la piazza della festa. La cerimonia. Nonostante sia completamente esausta, l'enorme kraal mi fa molta impressione. Le donne sono riuscite a costruire dal niente un intero villaggio con pi di cinquanta manyatta. C' molta vita, ed esce del fumo da tutte le capanne. Per prima cosa Lketinga cerca la manyatta di Mamma, io aspetto nella jeep. Mi tremano le gambe e le braccia smagrite mi fanno male. Dopo pochi minuti intorno alla macchina ci sono diversi bambini, donne e anziani che mi fissano. Spero che Lketinga torni presto. Per fortuna arriva, e c' anche Mamma, che quando mi vede si incupisce. Corinne, Jambo... wewe malaria? Faccio cenno di s con la testa e trattengo a stento le lacrime. Scarichiamo tutto e parcheggiamo la macchina davanti al kraal, ma dobbiamo superare una quindicina di manyatta prima di raggiungere quella di Mamma. La strada piena di sterco di mucca perch hanno portato tutti il proprio bestiame, che in questo momento al pascolo e non torner prima di sera. Beviamo il chai e Mamma conversa animatamente con Lketinga. Pi tardi vengo a sapere che abbiamo perso due dei tre giorni di festa. Il mio amore deluso, sembra turbato, mi fa pena. Ci sar un consiglio degli anziani e i pi autorevoli stabiliranno se pu ancora essere ammesso. Mamma, che ne fa parte, sempre in giro a parlare con gli uomini pi importanti. I festeggiamenti cominceranno non prima che faccia buio, dopo il ritorno del bestiame. Io intanto osservo l'andirivieni seduta davanti alla manyatta. Lketinga si fa raccontare tutto da due guerrieri mentre lo adornano e lo dipingono ad arte. Nel kraal c' molta tensione, e io mi sento esclusa e dimenticata, sono ore che nessuno mi rivolge la parola. Presto mucche e capre rincaseranno e poco dopo far buio. Mamma torna e discute la situazione con Lketinga. Sembra un po' brilla, in questa occasione gli anziani bevono molta birra che producono loro stessi. Voglio sapere cosa accadr, e Lketinga mi spiega che dovr macellare un grande bue o cinque capre per gli anziani, solo allora sar ammesso alla cerimonia. Daranno la loro benedizione stanotte davanti alla manyatta di Mamma: avr il permesso di partecipare al ballo dei guerrieri e in questo modo tutti sapranno ufficialmente che il grave ritardo, che normalmente significa l'esclusione, gli stato perdonato. Sono sollevata, ma lui aggiunge che in questo momento non possiede cinque grosse capre. Al massimo due, le altre sono tutte gravide e non si possono uccidere. Propongo di comprarle dai parenti, tiro fuori un po' di soldi e glieli do. Sulle prime non vuole accettarli, perch sa bene che oggi le capre costano il doppio del solito, ma Mamma cerca di convincerlo con tutte le forze che ha. Alla fine prende il denaro, e al primo tintinnio di campanellini che annuncia il ritorno degli animali, lascia la capanna. Nella nostra manyatta continuano ad arrivare donne. Mamma sta preparando dell'ugali, un piatto a base di mais,

e si discute molto. La capanna poco illuminata e ogni tanto qualche donna cerca di rivolgermi la parola. Accanto a me c' una giovane madre con il suo bambino. Dapprima si limita ad ammirare le mie braccia piene di ornamenti masai, poi osa persino toccare i miei lunghi capelli lisci. Ridono tutti, e lei indica la sua testa rasata che adorna solo di un nastro di perline. Scuoto la testa, mi difficile immaginarmi calva. Fuori gi buio pesto quando sento il tipico grugnito degli uomini quando sono eccitati, in caso di pericolo o prima di fare sesso. Tutti tacciono all'istante e il mio guerriero fa capolino, ma vedendo tante donne scompare subito. Sento delle voci, sempre pi forti, e poi un urlo seguito da strani suoni, come se qualcuno canticchiasse a bocca chiusa o amoreggiasse. Incuriosita, esco dalla capanna carponi, e con mia sorpresa scopro numerosi guerrieri che ballano con giovani fanciulle. Sono ben truccati, portano un panno rosso attorno ai fianchi e collane di perline. Il trucco rosso parte dal collo e arriva fino al petto dove disegna una specie di punta. Sono una quarantina, e si muovono tutti allo stesso ritmo. Le ragazze, in larga parte giovanissime, tra i nove e i quindici anni circa, segnano il tempo con la testa, lo sguardo rivolto agli uomini. Poi gradualmente la musica accelera, e dopo un'ora buona i primi guerrieri saltano in alto al modo dei masai. Il mio guerriero ha un aspetto meraviglioso, e salta in alto come una molla. I lunghi capelli si agitano, e sui petti nudi luccica il sudore. In questa notte stellata ogni confine svanisce e tutto sembra cadere nell'indistinto, ma la carica erotica di questo ballo infinito quasi palpabile. I visi sono seri e gli sguardi fissi, e ogni tanto si sente un urlo selvaggio oppure una voce sola cui fa eco il coro degli altri. E' fantastico, per ore riesco a dimenticare la malattia e la stanchezza. Le ragazze passano da un guerriero all'altro, e corrono incontro al prescelto facendo ondeggiare i seni nudi e i grandi ornamenti appesi al collo. Vedendole mi prende lo sconforto. Mi rendo conto che con i miei ventisette anni qui sono gi vecchia, e penso che forse Lketinga prender una di queste giovani ragazze come seconda moglie. La gelosia mi strazia, mi sento fuori posto ed esclusa. Il gruppo si dispone in una specie di polonaise. Lketinga, tutto fiero, conduce. E' una forza della natura, mi sembra quasi inavvicinabile. Poi lentamente il ballo finisce, e le ragazze si allontanano ridacchiando. Gli anziani, avvolti in coperte di lana, si mettono seduti a terra in cerchio, e la stessa cosa fanno i moran. E' il momento della benedizione. Uno di loro dice una frase e il coro risponde Enkai, la parola masai per Dio. La procedura si ripete molte volte per una durata di circa mezz'ora, dopodich la festa finita. Lketinga viene da me e mi esorta ad andare a dormire con Mamma, mentre lui si recher con gli altri guerrieri nel bush a macellare una capra. Rimarr sveglio tutta la notte a parlare del passato e del futuro. Lo capisco e gli auguro tutto il bene possibile. Nella manyatta mi sistemo alla meglio con le altre. Resto sveglia per un bel po' di tempo perch sento delle voci che mi disturbano. In lontananza ruggiscono i leoni, e ogni tanto belano le capre. Io prego di recuperare le forze al pi presto. La giornata inizia la mattina alle sei. Tanti animali

raccolti in uno spazio cos ristretto fanno davvero un grande baccano. Mamma esce per andare a mungere capre e mucche, e quando ritorna prepariamo il chai. Mi siedo ma rimango avvolta nella mia coperta perch fa fresco. Aspetto Lketinga con impazienza perch devo andare a fare i miei bisogni ma non me la sento di lasciare il kraal con cos tante persone. Guarderebbero tutti dove vado, specie i bambini, che mi corrono sempre dietro appena muovo un passo senza di lui. Finalmente arriva, infila la testa nella capanna e mi saluta: Hello, Corinne, how are you?. Mentre parla srotola il suo secondo kanga e mi porge una succulenta coscia di pecora impacchettata con delle foglie. Corinne, now you eat slowly, after malaria this is very good. E' bello che abbia pensato a me, non normale che un guerriero porti alla sua fidanzata della carne gi arrostita. Quando, titubante, afferro la zampa, si siede accanto a me e con il suo grande coltello a serramanico la taglia a bocconcini della grandezza giusta. Non ho nessuna voglia di mangiare carne, ma non c' altro, e se voglio riprendere le forze devo nutrirmi. Cos mi rassegno a buttarne gi alcuni pezzi, e Lketinga sembra contento. Chiedo dove possiamo lavarci. Lui ride, il fiume molto lontano, non raggiungibile con la macchina, e poi l'acqua che c' sufficiente a malapena per il t. Dobbiamo aspettare ancora un paio di giorni. L'idea non mi garba. Qui non ci sono quasi mosquitos, ma pieno di mosche. Mentre mi lavo i denti, davanti alla manyatta ci sono alcune persone che mi osservano curiose e quando sputo la schiuma si agitano molto. Mi scappa quasi da ridere. Lo stesso giorno viene macellato un bue in mezzo alla piazza. E' uno spettacolo raccapricciante. Sei uomini tentano di farlo cadere in terra su un fianco. Non semplice perch l'animale, terrorizzato, scuote la testa furiosamente. Solo dopo alcuni tentativi due guerrieri riescono ad afferrargli le corna e a buttarlo gi. Quando crolla, gli legano prontamente le zampe. Mentre tre si occupano di soffocarlo, gli altri gli tengono ferme le zampe. E' agghiacciante, ma per i masai l'unico modo di uccidere una bestia. Quando non si muove pi gli aprono un'arteria e si avvicinano tutti per bere un sorso di sangue. Dev'essere una vera ghiottoneria perch accorrono con grande foga. Quindi iniziano a tagliarlo. Sono gi tutti in coda, in attesa di ci che gli spetta: gli uomini anziani, a cui vanno i pezzi migliori, poi le donne e i bambini. Quattro ore dopo, a parte la pozzanghera di sangue e la pelle, non rimasto niente. Le donne si sono ritirate nelle loro capanne e cucinano, e i vecchi siedono all'ombra degli alberi, bevono birra e attendono che la carne sia pronta. Nel tardo pomeriggio sento il rumore di un motore, e poco dopo appare padre Giuliano sulla sua motocicletta. Lo saluto con entusiasmo. Ha sentito dire che sono qui e che ho la malaria ed venuto a trovarmi. Ha con s del pane fatto in casa e alcune banane. Sono felice, mi sento come se Babbo Natale mi avesse appena portato i doni. Gli racconto tutto, dal matrimonio sfumato alla malaria, e lui mi consiglia di andare alla svelta a Wamba o addirittura di tornare in Svizzera finch non avr ripreso le forze, con la malaria non si scherza. E' molto deciso, comincio a capire che ancora non ne sono fuori. Sale sulla sua moto e riparte in fretta.

Penso a casa mia, a mia madre e a un bagno caldo. S, in questo momento sarebbe davvero bello. Non molto che manco dalla Svizzera, ma mi sembra un'eternit. Eppure, mi basta guardare il mio amore e questi brutti pensieri svaniscono. Chiede come sto, e io gli racconto della visita del padre, che fra le altre cose mi ha detto che oggi a Maralal finiscono le scuole e i ragazzi tornano a casa. Ad alcuni dar un passaggio padre Roberto nella sua auto, e Mamma spera ardentemente che James sia tra loro. Non vedo l'ora di poter conversare in inglese per due settimane. Ogni tanto, dopo averlo liberato da uno sciame di mosche, mangio qualche pezzo di carne. Qui l'acqua potabile assomiglia piuttosto al cacao, ma se non voglio morire di sete non mi resta che berla. Mamma non vuole che prenda il latte, dice che dopo la malaria sarebbe molto pericoloso, potrei avere una ricaduta. Arrivano i primi ragazzi della scuola, e tra loro c' James con due amici. Sono vestiti tutti allo stesso modo: bermuda grigi, camicia azzurra e pullover blu scuro. Ci saluta, me con gioia, sua madre in modo piuttosto formale. Mentre beviamo il t insieme rifletto su questa generazione, cos diversa da quella di Lketinga. Per certi versi James non a suo agio in queste manyatta. Si rivolge a me e mi dice di aver saputo a Maralal che ho la malaria. E' ammirevole che una bianca riesca a vivere nella manyatta di Mamma. Lui stesso, da samburu, quando viene a casa per le vacanze all'inizio fa sempre una gran fatica ad abituarsi a questo luogo cos sporco e angusto. I giovani portano sempre una ventata di freschezza e la giornata passa al volo. Mucche e capre sono gi di ritorno. Stasera c' una gran festa, ballano perfino le donne anziane, anche se solo tra loro e senza farsi vedere. I ragazzi danzano fuori dal kraal, e alcuni indossano l'uniforme scolastica. E' molto divertente. Poi, durante la notte, si radunano nuovamente i re della festa, i guerrieri. James assiste e registra il loro canto con il nostro registratore. E' una bella idea, non ci avevo pensato. Dopo due ore la cassetta piena. I guerrieri ballano sempre pi sfrenatamente. All'improvviso, uno dei moran cade in una specie di trance, si agita come fosse in estasi e infine si accascia a terra urlando e dimenandosi. Allora due guerrieri si allontanano temporaneamente dal ballo, lo afferrano con la forza e lo immobilizzano a terra. Vado da James tutta agitata e gli chiedo che cosa succede. Mi risponde che probabilmente ha bevuto troppo sangue e durante la danza caduto in una specie di trance. Ha le allucinazioni, crede di lottare con un leone. Non c' problema perch controllato, ma non si sa quando si normalizzer. L'uomo continua a rotolarsi in terra urlando con gli occhi fissi al cielo e la schiuma alla bocca. E' orripilante, spero solo che a Lketinga non capiti mai una cosa del genere. A parte i due guerrieri nessuno bada a lui, la festa va avanti. Io stessa ben presto mi concentro di nuovo su Lketinga, che salta in alto con grande eleganza. Mi godo questo spettacolo per l'ultima volta perch stanotte la cerimonia si concluder ufficialmente. Mamma rimane seduta nella manyatta perch un po' brilla, i ragazzi ascoltano il registratore tutti eccitati. Anche i guerrieri sono curiosi e si radunano tutti intorno all'apparecchio che James ha messo in terra. Lketinga lo sente per primo ed raggiante quando riconosce i singoli moran che

urlano o cantano. Mentre alcuni fissano l'apparecchio senza muoversi, con gli occhi spalancati, altri osano toccarlo. Alla fine Lketinga se lo mette sulle spalle tutto fiero e alcuni moran riprendono a ballare. Comincio ad aver freddo e ritorno nella manyatta. James dormir da un amico e il mio amore andr nel bush con gli altri. Sento di nuovo rumori da tutte le parti. L'ingresso della capanna libero e cos ogni tanto vedo passare qualche gamba di fretta. Non vedo l'ora di ritornare a Barsaloi. I miei vestiti sono sporchi e pieni di fumo e anche il mio corpo dovrebbe entrare in contatto con l'acqua, per non parlare dei capelli. La mattina dopo i ragazzi vengono nella manyatta prima di Lketinga. Mentre Mamma prepara il chai Lketinga infila la testa nella capanna, e quando li vede si rivolge a loro infuriato. Mamma replica qualcosa e i due se ne vanno senza bere il chai. Al loro posto si siedono Lketinga e un secondo moran. What's the problem, darling? chiedo un po' smarrita. Dopo una pausa prolungata mi spiega che questa la capanna di un guerriero, i ragazzi non circoncisi non possono stare qui. James deve mangiare e bere in un'altra capanna, dove c' qualcuno della sua stessa classe d'et. Mamma irritata, ma tace. Io sono delusa di dover rinunciare alla conversazione inglese e provo compassione per i ragazzi, ma non posso oppormi alle loro leggi. Chiedo quando partiremo. Mi rispondono che ci vorranno ancora due o tre giorni, poi ogni famiglia ritorner a casa propria. Al pensiero di dover resistere ancora tutto questo tempo senz'acqua inorridisco, per non parlare dello sterco di mucca e delle mosche. Penso di nuovo alla Svizzera, sono ancora molto debole, e per fare i miei bisogni non mi inoltro mai nel bush pi di qualche metro. Vorrei condurre una vita un po' pi normale con il mio fidanzato. Quel pomeriggio passa padre Giuliano con alcune banane e una lettera di mia madre. Avere sue notizie mi risolleva l'animo anche se molto preoccupata perch non mi faccio viva da tanto tempo. Scambiamo alcune parole e poi il padre scappa via. Ne approfitto per rispondere: della mia malattia parlo solo di passaggio per non turbarla, ma le comunico che forse torner presto in Svizzera. Intendo consegnare la lettera alla missione quando saremo a casa, questo significa che a mia madre arriver dopo altre tre settimane. Finalmente ci muoviamo. Fare i bagagli non un problema. Ne carichiamo il pi possibile sulla jeep, il resto lo porta Mamma su due asini. Naturalmente arriviamo a Barsaloi molto prima noi e cos decido di andare direttamente al fiume. Ma Lketinga non vuole lasciare la macchina incustodita, e decidiamo quindi di viaggiare sul letto secco finch possiamo. Mi tolgo i vestiti pieni di fumo e finalmente ci laviamo. La schiuma del sapone mi scorre nera sul corpo, avevo un vero e proprio strato di fuliggine sulla pelle. Lketinga mi lava i capelli ripetutamente, con pazienza. Da tempo non mi vedevo nuda, solo adesso mi accorgo che ho le gambe magrissime. Dopo essermi lavata mi sento rinata, mi avvolgo in un kanga e mi occupo dei vestiti. E' difficile togliere lo sporco con l'acqua fredda, ma usando Omo in quantit in qualche modo ci riesco. Lketinga mi da una mano, lavandomi gonne, t-shirt e persino la biancheria intima. Anche questa una dimostrazione d'amore, nessun altro masai farebbe mai una cosa del genere.

E' bellissimo essere di nuovo soli. Appendiamo i vestiti bagnati sui cespugli o li appoggiamo sulle rocce calde e ci sediamo al sole, io avvolta nel kanga e Lketinga nudo. Dopo un po' tira fuori il suo specchietto e con un bastoncino di legno inizia a dipingersi il viso di ocra. Le sue lunghe dita eleganti sono cos abili che per me osservarlo una gioia. E' bellissimo, e finalmente provo di nuovo del desiderio nei suoi confronti. Lui mi guarda e ride: Why you look always to me, Corinne?. Beautiful, it's very nice spiego. Ma Lketinga scuote la testa dicendo che non si devono dire cose del genere, porta male. I vestiti si asciugano rapidamente, li recuperiamo e partiamo. Una volta giunti al villaggio ci fermiamo per una visita alla casa del chai dove, oltre al t, ci sono anche i mandazi, piccole focaccette di mais. L'edificio una via di mezzo tra una baracca e una grande manyatta. In terra ci sono due focolari con chai bollente, e le pareti sono contornate da assi di legno che fungono da panche. Ci sono tre anziani e due moran. Ci salutiamo: Supa moran!, la risposta : Supa. Ordiniamo del t e Lketinga inizia a parlare con loro esordendo con le consuete frasi di circostanza, che finalmente capisco. I due guerrieri non mi tolgono gli occhi di dosso. Qui agli sconosciuti per prima cosa si chiede il nome del clan, poi il luogo di residenza, come sta la famiglia e il bestiame, la provenienza e la destinazione. Infine si parla degli ultimi eventi importanti. Nel bush funziona cos, la stessa cosa che in citt fanno la stampa o il telefono. Quando siamo in giro a piedi la stessa storia con tutte le persone che incontriamo. Ma i due moran vogliono anche sapere chi questa mzungu. Dopodich la conversazione finita, possiamo lasciare la casa da t. Intanto arrivata Mamma, che gi impegnata a rattoppare la nostra vecchia manyatta. Il tetto viene riparato con cartone o stuoie di sisal, perch lo sterco di mucca in questo momento non disponibile. Intanto Lketinga va nel bush con James a recuperare dei rovi, vogliono riparare il recinto e alzarlo un po' perch un paio di giorni fa le persone rimaste a Barsaloi hanno ricevuto pi di una visita da parte dei leoni, che hanno sbranato diverse capre. Sono venuti nottetempo, hanno saltato il recinto di spine, fatto a pezzi le capre per poi sparire nel buio senza lasciar traccia. Poich non c'erano guerrieri non sono stati inseguiti, ma dopo sono stati rialzati i recinti. Ne parla tutto il circondario, bisogna stare attenti perch potrebbero tornare. Ma con il nostro kraal avranno un problema in pi, la jeep parcheggiata accanto alla capanna costituisce un efficace sbarramento. Verso sera arriva il bestiame. Sentiamo la campana svizzera gi da lontano e ci affrettiamo. E' bello vedere gli animali che tornano a casa in bell'ordine, prima le capre poi le mucche. Per cena c' dell'ugali, che Lketinga mangia di notte, quando tutti dormono. Finalmente possiamo fare l'amore, ma dobbiamo stare attenti a non fare rumore perch Mamma e Saguna dormono a non pi di un metro e mezzo di distanza. Ci nonostante bello sentire la sua pelle di seta e il suo desiderio. Dopo il gioco amoroso Lketinga mi sussurra: Now you get a baby. Il suo tono cos convinto mi fa ridere. Effettivamente un po' di tempo che non mi vengono le mestruazioni, ma attribuisco questo fatto alle mie condizioni di salute piuttosto che a una gravidanza.

Tuttavia il pensiero di un beb mi rende felice, e mi addormento serena. Durante la notte mi sveglio con il mal di pancia, e un istante pi tardi mi rendo conto che si tratta di un attacco di dissenteria. Mi prende il panico, e cerco di svegliare Lketinga con una spintarella, ma lui dorme profondamente. Dio mio, non riuscir mai a uscire dal recinto! E se ci fossero dei leoni nei dintorni? Lascio la manyatta senza fare rumore e guardo rapidamente se c' qualcuno in giro. Non vedo nessuno, cos mi accuccio dietro alla jeep, ma purtroppo una cosa lunga. Mi vergogno, molto grave fare i propri bisogni all'interno del kraal. Non ho certo la carta igienica e cos mi pulisco con le mutande, che poi nascondo nel telaio della jeep. Quindi copro il tutto con un po' sabbia nella speranza che la mattina dopo non ci sia pi traccia di questo incubo e mi infilo di nuovo nella manyatta. Ho paura che qualcuno si svegli, ma per fortuna nessuno si accorge di niente, solo Lketinga emette un breve grugnito. Speriamo che non mi venga un altro attacco! Sto bene per il resto della notte, ma il mattino dopo devo correre alla svelta nel bush perch ho di nuovo la diarrea e mi tremano le gambe. Tornata nel kraal controllo senza essere vista l'angolino accanto alla jeep, e per fortuna della mia sventura notturna non rimasta traccia, probabilmente un cane randagio ha provveduto a rimuovere tutto. Comunico a Lketinga che ho dei problemi e voglio chiedere delle medicine alla missione, ma nonostante le pastiglie di carbonio la diarrea continua per tutto il giorno. Mamma mi offre della birra fatta in casa, dice che devo berne un litro. L'aspetto terribile, e anche il gusto, ma perlomeno dopo due tazze sento l'effetto dell'alcol e cos sonnecchio mezza giornata. A un certo punto arrivano i ragazzi. Lketinga nel villaggio e cos posso godermi la conversazione liberamente. Parliamo del pi e del meno, della Svizzera, della mia famiglia e delle nozze, che spero avranno luogo fra poco. James mi ammira, fiero che il fratello, che ai suoi occhi non di certo una persona facile, abbia trovato una brava ragazza bianca. Poi mi raccontano della loro scuola, la disciplina molto rigida ma riconoscono che la vita molto migliore quando si ha la possibilit di studiare. Alcune usanze delle loro famiglie non riescono proprio pi a comprenderle. Fanno degli esempi e ne ridiamo insieme. Durante la conversazione James mi consiglia di sfruttare la macchina per guadagnare un po' di soldi. Potrei trasportare sacchi di mais o di zucchero per i somali, accompagnare la gente, e molte altre cose. Vista la condizione delle strade l'idea non mi entusiasma, ma dopo il matrimonio intendo fare qualcosa. Mi piacerebbe aprire un negozio di generi alimentari dove si possa trovare un po' di tutto, ma questo per il momento resta un desiderio. Attualmente sono troppo debole, e prima che abbia il permesso di lavorare devono aver autorizzato il matrimonio. I ragazzi rimangono affascinati dall'idea di un negozio. James giura che quando avr finito la scuola, fra meno di un anno, mi aiuter. Mi piacerebbe molto, ma un anno lungo. Lketinga torna e poco dopo i ragazzi, dopo averlo salutato con rispetto, spariscono. Vuole sapere di che cosa abbiamo parlato e io gli racconto del mio progetto. Sono

sorpresa che anche lui si faccia coinvolgere dall'idea. Dice che sarebbe l'unico negozio masai. I somali non avrebbero pi clienti perch tutti preferirebbero comprare da uno della trib. Poi mi guarda e dice che coster tanti soldi, non sa se ne ho abbastanza. Lo tranquillizzo, in Svizzera ho ancora qualcosa. Ma dovremo pensarci bene. Pole, pole. Ultimamente mi sono occupata spesso di persone ferite. Da quando con l'aiuto di una pomata ho guarito il figlio di una vicina da una lesione purulenta sulla gamba, ogni giorno le mamme mi portano i loro bambini. A volte sono in condizioni pessime. Pulisco, spalmo, fascio alla bell'e meglio e gli dico di farsi vedere ogni due giorni. Ma l'affluenza aumenta a un ritmo tale che ben presto l'unguento finisce e cos non posso pi aiutare nessuno. Consiglio di andare in ospedale o alla missione, ma le donne se ne vanno senza dire una parola, e so che non lo faranno. Fra due giorni i ragazzi torneranno a scuola. Mi dispiace perch mi sono molto divertita con loro. L'idea del negozio nel frattempo si rafforzata e decido di andare in Svizzera per riacquistare le energie e ingrassare di qualche chilo. Ho l'occasione di farmi portare a Maralal da Roberto o Giuliano, non posso lasciarmela sfuggire. Lascer la jeep qui, cos non dovr guidare per tanto tempo, sono troppo debole per farlo. Comunico la mia decisione a Lketinga senza indugio. E' irritato, avrei dovuto dirglielo prima, ma io gli prometto che rifletter sul progetto del negozio e porter del denaro, nel frattempo lui si dovr informare sui tempi e i modi per erigere un edificio. Mentre ne discuto con lui, mi rendo conto che la mia idea si sta concretizzando, ho bisogno solo di tempo per preparare tutto e per raccogliere le forze. Naturalmente Lketinga ha di nuovo paura che io lo voglia abbandonare, ma questa volta ho i ragazzi dalla mia parte e cos posso far tradurre parola per parola la mia promessa di tornare entro tre o quattro settimane, gli comunicher il giorno preciso non appena avr acquistato il biglietto. Andr a Nairobi a mio rischio, sperando che ci sia al pi presto un volo per la Svizzera. Alla fine, a malincuore, si dichiara d'accordo. Gli lascio un po' di denaro, circa trecento franchi. Con pochi bagagli mi metto in attesa davanti alla missione in compagnia di alcuni allievi. Non sappiamo quando partiremo, ma chi allora non sar presente dovr andare a piedi. Ci sono anche Mamma e il mio amore, lei da le ultime istruzioni a James e io consolo Lketinga. Dice che questo mese da solo sar lunghissimo. Poi arriva padre Giuliano. Io mi siedo accanto a lui mentre i ragazzi si mettono sul retro della macchina tutti insieme. Lketinga sventola la mano e mi saluta con le parole: Take care of our baby!. Mi fa sorridere che sia cos certo della mia gravidanza. Padre Giuliano sta facendo letteralmente le corse, devo tenermi bene. Non parliamo tanto, ma quando gli dico che voglio essere di ritorno entro un mese, risponde che per riprendermi ce ne vorrebbero almeno tre. Questo per me impensabile. A Maralal regna il caos, la cittadina piena di allievi in partenza. Vengono mandati in tutto il Kenya perch le varie trib non rimangano isolate. James fortunato, pu restare a Maralal, mentre un ragazzo del nostro villaggio deve

andare fino a Nakuru. Cos possiamo fare una parte del viaggio insieme, ma prima ci dobbiamo procurare un biglietto per l'autobus e sembra che per i prossimi due giorni non ci sia speranza, sono gi stati assegnati tutti i posti. Alcuni sono addirittura venuti a Maralal con pick-up aperti per offrire dei passaggi a prezzi altissimi, ma neanche da loro troviamo posto. Forse la mattina dopo, alle cinque. Prenotiamo senza pagare. Il ragazzo un po' perplesso perch non ha denaro e non sa dove dormire. E' molto timido e servizievole, un bel po' che si sta trascinando dietro il mio borsone. Propongo di andare al solito albergo a bere qualcosa e a vedere se ci sono delle camere libere. La padrona mi saluta cordialmente ma quando le chiedo due stanze scuote la testa rammaricata. Una me la pu liberare perch sono un'avventrice abituale, ma due proprio non possibile, beviamo il chai e bussiamo alla porta di tutti gli alberghi. Sono disposta a pagare anche per lui, la spesa per me comunque irrisoria, ma sono tutti occupati. Nel frattempo scende la notte e comincia a fare freddo. Forse non il caso di dare al ragazzo il secondo letto nella mia camera. Per me non sarebbe un problema, ma non so come la pensa la gente qui. Gli chiedo che cosa intende fare, e lui mi spiega che chieder ospitalit nelle manyatta fuori Maralal, se trova una mamma con un figlio della sua et sono tenuti a ospitarlo. A me, per, sembra veramente troppo scomodo considerato che dobbiamo partire alle cinque. Ho deciso, gli offrir il secondo letto, che si trova proprio di fronte al mio. In un primo momento mi guarda imbarazzato e rifiuta educatamente dicendo che non si pu dormire nella stessa camera con la fidanzata di un guerriero, potrebbero sorgere dei problemi. Ma io non prendo la cosa troppo sul serio, basta che non lo racconti a nessuno. Entro in albergo prima io e do un paio di scellini al guardiano chiedendogli di svegliarmi alle quattro e mezza. Il ragazzo arriva mezz'ora dopo. Mi metto a letto alle otto, vestita. Intanto fuori buio e non c' pi vita, salvo in alcuni bar poco raccomandabili. La nuda lampadina rende i dettagli di questa brutta camera ancor pi evidenti. Sulle pareti l'intonaco blu si sta sbriciolando e ci sono macchie scure, umide e gocciolanti dappertutto. Sono schifosi residui di tabacco sputato. Nella manyatta lo facevano anche Mamma e i suoi visitatori anziani, finch non ho protestato, cos adesso sputano nel focolare. La camera particolarmente ripugnante. Il ragazzo si mette a letto vestito e si gira subito dall'altra parte. Spegniamo la luce e non parliamo pi. All'improvviso, qualcuno bussa alla porta facendo un gran chiasso. Mi sveglio di scatto dal sonno profondo e chiedo cosa succede, ma prima che arrivi la risposta il ragazzo dice che sono quasi le cinque, dobbiamo sbrigarci perch quando il pick-up completo parte. Cos raccogliamo le nostre cose e ci precipitiamo al luogo concordato. Ci sono gruppetti di allievi dappertutto, alcuni salgono su un veicolo, gli altri attendono come noi nella fredda oscurit. Sono congelata, e a quest'ora Maralal molto umida per via della rugiada. Non possiamo nemmeno bere un t perch i locali non sono ancora aperti. Alle sei arriva l'autobus di linea sovraccarico suonando il clacson. Il nostro autista invece non ancora comparso. Sembra che non abbia fretta visto che siamo noi a dipendere

da lui. E' gi l'alba, ma la nostra attesa continua. A questo punto vado in collera, voglio assolutamente partire ed essere a Nairobi entro sera. Il ragazzo sta cercando disperatamente un passaggio, ma le poche macchine sono tutte piene, c' solo una possibilit su un camion carico di cavoli. Accetto subito perch non abbiamo altra scelta, ma gi dopo i primi metri dubito di aver fatto la cosa giusta. Star seduti su quelle cose dure in continuo movimento semplicemente una tortura. Mi posso aggrappare solo alle sbarre metalliche di protezione, che tra l'altro continuano a sbattermi sulle costole. A ogni buca abbiamo un sussulto seguito da un duro atterraggio sui cavoli, e non si pu parlare perch c' troppo rumore ed pericoloso, con questi colpi si rischia di mordersi le labbra. Ma in qualche modo sopravvivo e anche le quattro ore e mezza di viaggio fino a Nyahururu passano. Scendo dal camion completamente distrutta e mi congedo subito dal mio giovane accompagnatore perch voglio andare in un ristorante a cercare un bagno. Tiro gi i jeans e mi accorgo di avere grandi macchie viola sulle cosce. Dio mio, ci mancava solo questa: arriver in Svizzera con le gambe magre e per di pi chiazzate di lividi. Dall'ultima visita, due mesi fa, il mio fisico cambiato moltissimo, a mia madre prender un colpo. Non sa nemmeno che sto per tornare cos presto, ancora nubile e completamente distrutta. Al ristorante ordino una coca-cola e un pasto come si deve, mezzo pollastro con delle patatine fritte piuttosto collose. E' troppo presto per dormire qui, cos trascino il mio borsone alla stazione degli autobus dove come sempre c' grande movimento. Ho fortuna: c' un mezzo per Nairobi pronto a partire. La strada asfaltata - una vera benedizione - e mi addormento subito. Quando mi sveglio e guardo fuori dal finestrino siamo a un'ora dalla meta. Con un po' di fortuna raggiungeremo la metropoli prima che faccia buio: c' da sperarlo, perch l'Igbol si trova in una zona piuttosto malfamata. Quando arriviamo alla periferia di Nairobi il sole sta per tramontare. La gente prende subito le proprie carabattole e scende, io premo disperatamente il viso sul finestrino cercando di orientarmi in quel mare di luci, ma senza successo. Sull'autobus ci sono ancora cinque persone, forse dovrei scendere perch non voglio assolutamente arrivare fino al capolinea, a quest'ora potrebbe essere pericoloso. Il conducente mi sta guardando dallo specchietto retrovisore, sorpreso che la mzungu non scenda. Dopo un po' mi chiede dove devo andare, e io gli rispondo: To Igbol Hotel. Scrolla le spalle. Mi viene in mente il nome di un grandissimo cinema nelle immediate vicinanze e gli chiedo speranzosa: Mister, you know Odeon Cinema?. Odeon Cinema? This place is no good for mzungu-lady! It's no problem for me. I only go into the Igbol-Hotel. There are some more white people. Allora cambia corsia un paio di volte, poi gira a sinistra, a destra e infine si ferma, direttamente davanti all'albergo. Grata per la sua disponibilit, gli do un paio di scellini. Sono sfinita, ogni metro risparmiato alle mie gambe una gioia. All'Igbol c' molto movimento. I tavoli sono tutti occupati e ci sono zaini dappertutto. Ormai l'uomo della reception mi riconosce e mi saluta: Jumbo, masai lady!. C' solo un posto in una camera per tre, gli altri due sono occupati da due inglesine che stanno consultando la guida

turistica. Vado subito nel corridoio per farmi la doccia, portando con me il borsellino con il denaro e il passaporto. Quindi mi svesto e solo adesso mi accorgo che sono veramente malconcia: ho le gambe, una natica e gli avambracci pieni di lividi blu. Tuttavia, dopo la doccia mi sembra di essere di nuovo una persona normale. Prendo posto nel ristorante per mangiare qualcosa e osservare i turisti. Pi guardo gli europei, in particolare i maschi, pi mi piace il guerriero. Poco dopo mi ritiro a letto, finalmente posso distendere le mie povere ossa. Dopo la prima colazione vado all'ufficio della Swissair, ma purtroppo il primo volo libero fra cinque giorni, troppo per me. Dalla Kenya-Airways l'attesa ancora pi lunga. Ma stare tutto quel tempo a Nairobi sicuramente mi deprimerebbe. Allora cerco presso le altre compagnie e trovo un posto su un volo Alitalia tra due giorni, che fa quattro ore di sosta a Roma. Chiedo il prezzo e prenoto. Poi vado di corsa alla vicina Kenya Commercial Bank a prelevare il denaro. In banca ci sono molti clienti in coda, e l'ingresso sorvegliato da due poliziotti armati di mitragliette. Mi metto in attesa e dopo una mezz'ora buona il mio turno. Mi intesto un assegno dell'importo necessario, dovr portare un bel po' di soldi fino all'Alitalia. L'uomo allo sportello lo gira e rigira e mi chiede dove si trova Maralal, poi se ne va. Dopo alcuni minuti ritorna e mi domanda se sono sicura di volermi portare dietro tanti contanti. Yes rispondo nervosa. A pensarci bene non mi sento molto sicura. Dopo aver firmato diversi fogli mi vengono consegnate alcune mazzette di banconote, che faccio subito sparire nello zaino. Per fortuna non c' quasi nessuno. Il bancario mi chiede che cosa voglio fare con tanti soldi e se ho bisogno di un boyfriend, ma io respingo l'offerta ringraziando e me ne vado. Raggiungo l'ufficio dell'Alitalia senza problemi, ma devo di nuovo compilare dei moduli e far controllare il passaporto. Un'impiegata mi chiede perch non ho un biglietto di ritorno per la Svizzera, e io le spiego che vivo in Kenya e che due mesi e mezzo fa sono stata in Svizzera in ferie. La signora mi fa notare cortesemente che sono una turista a tutti gli effetti, non sta scritto da nessuna parte che vivo qui. Tutte queste domande mi confondono. Ripeto che voglio semplicemente un biglietto aereo per la Svizzera, lo pagher in contanti. Ma proprio questo il problema. Ho una ricevuta che attesta che ho prelevato il denaro da un conto del Kenya, ma come turista non ho il permesso di avere un conto e inoltre devo giustificare il fatto che i soldi provengono dalla Svizzera, altrimenti, visto che i turisti non hanno il permesso di lavorare in Kenya, si deve presumere che si tratti di denaro nero. Rimango senza parole. I bonifici sono stati effettuati da mia madre, le ricevute sono a Barsaloi. Sono sconcertata, sono qui di fronte a questa signora con le mani piene di banconote e lei non vuole accettarle! L'africana si rammarica di non poter emettere un biglietto senza sapere la provenienza del denaro, ma proprio cos. Sono snervata, scoppio in lacrime e balbetto che non ho intenzione di uscire con tutti quei soldi, ci tengo alla pelle. Lei mi fissa allarmata e quando vede le mie lacrime cambia subito atteggiamento. Wait a moment mi dice comprensiva e sparisce. Poco dopo ricompare con una

seconda signora, che mi spiega ancora il problema e mi assicura che stanno solo facendo il loro dovere. Le prego di rivolgersi alla banca di Maralal, il direttore mi conosce bene. Le due si mettono a discutere, e alla fine si limitano a fare una fotocopia dell'assegno e del passaporto. Dieci minuti pi tardi lascio l'agenzia con il biglietto in mano. Ora devo trovare un telefono internazionale per annunciare a mia madre la visita a sorpresa. Durante il volo oscillo tra il desiderio di godermi un po' la civilt e la nostalgia della mia famiglia africana. Quando arrivo all'aeroporto di Zurigo mia madre non riesce quasi a nascondere lo sgomento ma non dice niente, le sono grata per questo. Non ho fame perch ho mangiato in aereo, ma prima di avviarci verso Poberland di Berna mi vorrei bere un buon caff svizzero. Nei giorni successivi mia madre mi vizia con la sua arte culinaria e il mio aspetto lentamente migliora. Parliamo molto del mio futuro, le racconto anche del progetto di aprire un negozio di alimentari. Lei capisce bene che ho bisogno di un reddito e di un'occupazione. Il decimo giorno vado da un ginecologo a farmi visitare. Purtroppo il risultato negativo, non sono incinta, sarebbe impossibile con cos poco sangue e in questo stato di denutrizione. Immagino gi la delusione di Lketinga, ma mi consolo pensando che abbiamo ancora molto tempo per avere dei figli. Ogni giorno faccio passeggiate nel verde, e il mio pensiero torna in Africa. Dopo due settimane programmo gi il mio ritorno e prenoto su un volo che partir fra dieci giorni. Compro ancora una volta molti farmaci, spezie e pacchi di pasta. Quindi comunico la data del mio arrivo a Lketinga con un telegramma alla missione. I nove giorni che mi restano da passare in Europa trascorrono lentamente e senza eventi particolari. L'unico svago sono le nozze di mio fratello Eric con Jelly. Le vivo in uno stato di trance, il lusso generale e l'abbondanza dei cibi mi disgustano. Tutti vogliono sapere com' la vita in Kenya e quando cerco di raccontarlo provano a dissuadermi e a farmi intendere ragione. Ma per me la ragione il Kenya, con il mio grande amore e la mia vita semplice. Non desidero l'altro che ripartire al pi presto. Addio e benvenuto. Arrivo all'aeroporto piena di entusiasmo. Lasciare mia madre questa volta particolarmente difficile perch non so quando torner. Il 1 giugno 1988 atterro a Nairobi e prendo un taxi per l'Igbol. Due giorni pi tardi arrivo a Maralal, trascino i miei bagagli al solito albergo e cerco un modo per arrivare a Barsaloi. Ogni giorno perlustro il paese sperando di trovare un passaggio. Vorrei anche fare visita a Sofia, ma vengo a sapere che al momento si trova in ferie in Italia. Il terzo giorno scopro che il pomeriggio stesso partir un camion con farina di mais e zucchero per la missione di Barsaloi e fin dal mattino vado ad attendere dal grossista dove verr ritirata la merce. Infatti, verso mezzogiorno arriva il camion. Tratto il prezzo con il conducente, e nel pomeriggio finalmente si parte. Prendiamo la strada attraverso Baragoi, impiegheremo come minimo sei ore e raggiungeremo Barsaloi non prima che faccia buio. Sul camion ci sono almeno quindici persone.

L'autista si fatto proprio un bel gruzzolo. Il viaggio interminabile. E' la prima volta che faccio il percorso su un camion. Quando attraversiamo il primo fiume buio pesto. Solo i fasci di luce dei fari riescono a penetrare nella profondit della notte. Verso le dieci di sera siamo a destinazione, e il camion si ferma davanti al magazzino della missione. In molti stanno aspettando il lori, come lo chiamano qui. Hanno avvistato i fari da lontano e la tranquilla Barsaloi si mobilitata. Alcuni cercano di guadagnare qualcosa scaricando i pesanti sacchi. Stanca ma piacevolmente inquieta scendo dal camion. Anche se le manyatta sono ancora distanti qualche centinaio di metri, finalmente sono a casa. Un paio di persone mi accolgono cordialmente e poi spunta padre Giuliano con una torcia per dare istruzioni. Mi saluta brevemente e scompare subito. Cos rimango l con le mie borse, ma da sola al buio non riesco a trovare la manyatta di Mamma. Per fortuna due ragazzi mi offrono il loro aiuto. Sono vestiti in maniera tradizionale, chiaro che non frequentano la scuola. A met percorso qualcuno ci viene incontro con una torcia. E' il mio amore, che mi saluta subito raggiante: Hello!. Non vedevo l'ora. Lo abbraccio e lo bacio sulla bocca, sono cos eccitata che non riesco nemmeno a parlare. Raggiungiamo la manyatta in silenzio. Anche Mamma molto contenta, e accende subito il fuoco per il chai. Distribuisco i regali. Lketinga accarezza affettuosamente la mia pancia e chiede: How is our baby?. Mi dispiace, ma gli devo comunicare che non sono incinta. Il suo viso diventa cupo: Why? I know you have baby before!. Cerco di spiegargli con calma che se non ho avuto le mestruazioni solo a causa della malaria, ma Lketinga molto deluso da questa notizia. Ci nonostante, quella notte meraviglioso fare l'amore con lui. Le settimane successive sono molto belle, la vita va avanti con grande tranquillit. Dopo un po' di tempo ci rechiamo nuovamente a Maralal per fissare la data delle nozze. Questa volta viene anche il fratello di Lketinga e siamo pi fortunati. Quando ci presentiamo con le mie carte vidimate e la lettera del capo, che Lketinga si fatto fare mentre ero via, sembra che non ci siano pi problemi. Ufficio pubblico e viaggio di nozze Il 26 luglio 1988 mi sposo con Lketinga all'ufficio pubblico. Sono presenti due nuovi testimoni, il fratello maggiore di Lketinga e poche altre persone che non conosco. La cerimonia viene celebrata da un ufficiale molto simpatico prima in inglese e poi in suaheli. Tutto si svolge senza intoppi, salvo che, nel momento decisivo, il mio amore non pronuncia il suo Yes finch io non gli do un bel calcio. Quindi il documento viene firmato. Lketinga prende il mio passaporto e dice che ora ce ne vuole uno keniota con il mio nuovo cognome, Leparmorijo. L'ufficiale spiega che dovremo andare a Nairobi perch in ogni caso Lketinga deve richiedere la residenza permanente per me. Non ci capisco pi niente, pensavo che fosse tutto in regola e che la guerra delle carte fosse finalmente terminata. Ma no, nonostante il matrimonio continuer a essere turista finch non avr sul passaporto un timbro che mi autorizza a soggiornare qui. Tutto il mio entusiasmo si dissolve, e neanche Lketinga

capisce molto bene cosa succede. Una volta in albergo decidiamo di andare a Nairobi. Partiamo il giorno successivo insieme a uno dei testimoni e al fratello maggiore di Lketinga, che fa un viaggio cos lungo per la prima volta. Fino a Nyahururu usiamo la nostra jeep, quindi prendiamo l'autobus per Nairobi. Il fratello si meraviglia di tutto quello che vede, un piacere osservare qualcuno che entra per la prima volta in una citt a quarant'anni. E' perfino pi sprovveduto di Lketinga, e senza il nostro aiuto non riesce neanche ad attraversare una strada. Se non lo prendessi per mano resterebbe fermo sul marciapiede fino a sera perch il traffico e le auto gli mettono angoscia. Guarda gli enormi caseggiati e si domanda come possibile vivere in quel modo, uno addosso all'altro. Finalmente raggiungiamo palazzo Nyayo. Mi metto in coda per ritirare i soliti moduli da compilare, ma quando finalmente tocca a me la signora dietro allo sportello mi dice di tornare fra circa tre settimane. Protesto e cerco di farle capire che veniamo da molto lontano, non possiamo andare via senza il timbro valido sul passaporto. La imploro, ma lei mi risponde con cortesia che l'iter non si pu abbreviare, cercher di mettere a posto tutto entro una settimana circa. Poich sembra la sua ultima parola, la ringrazio ed esco. Appena fuori ci mettiamo a discutere sul da farsi. Dobbiamo aspettare una settimana, ma siamo in quattro, e restare a Nairobi con tre uomini del bush impensabile. Propongo allora di trasferirci a Mombasa, cos il fratello di Lketinga potr vedere il mare. Lketinga d'accordo, si sente molto sicuro al loro confronto. Cos ci mettiamo in marcia, ci vorranno circa otto ore. Proprio un bel viaggio di nozze. A Mombasa per prima cosa andiamo a trovare Priscilla. E' contenta che ci siamo sposati ed convinta che d'ora in poi andr tutto per il meglio. Il fratello di Lketinga vuole andare al mare, ma quando vede la grande massa d'acqua si aggrappa a noi terrorizzato. Non si vuole avvicinare, e dopo dieci minuti dobbiamo lasciare la spiaggia perch troppo impaurito. Gli faccio vedere anche un albergo turistico, e lui strabuzza gli occhi. A un certo punto chiede al fratello se siamo proprio in Kenya. E' bello avere l'occasione di mostrare questo mondo a qualcuno che riesce ancora a meravigliarsi. Pi tardi andiamo a mangiare e a bere qualcosa. Prende una birra per la prima volta, e non gli fa bene. A Ukunda riusciamo a trovare uno squallido albergo. I giorni a Mombasa mi costano molto. Gli uomini bevono birra e io sto seduta con loro perch non ho voglia di andare in spiaggia da sola. Dopo un po' mi stanco di pagare continuamente da bere e sorgono piccoli diverbi. Lketinga, che ora ufficialmente mio marito, non mi capisce proprio: dice che in fondo colpa mia se dobbiamo aspettare tanto prima di poter tornare a Nairobi, e poi non riesce a spiegarsi perch mi serva un altro timbro. Dopotutto mi ha sposata, ora sono una Leparmorijo, una vera keniota. Gli altri sono d'accordo con lui. Io rimango in silenzio, per la verit non riesco a spiegarmi neanch'io questa lunga odissea burocratica. Partiamo dopo quattro giorni all'insegna del malumore. Riesco ancora una volta - lui dice che questa l'ultima - a trascinare Lketinga nell'ufficio di Nairobi. Spero ardentemente di avere il timbro gi oggi. Spiego di nuovo le nostre esigenze e li prego di verificare se la pratica pronta.

Come sempre dobbiamo aspettare. Siamo nervosi e ci stuzzichiamo l'un l'altro. La gente ci fissa sbalordita, non dev'essere molto consueto vedere una bianca con tre masai. Finalmente una signora invita me e mio marito a seguirla. Mentre aspettiamo davanti a un ascensore, immagino gi cosa accadr. La porta si apre ed esce una marea di gente. Spaventato, Lketinga guarda dentro e mi chiede: Corinne, what's that?. Cerco di spiegargli che questa gabbia ci porter al dodicesimo piano, mentre la signora in attesa comincia gi a spazientirsi. Lketinga non vuole entrare, gli fa paura il fatto di essere portato in alto. Darling, please, this is no problem, quando saremo al dodicesimo piano potrai girare come vuoi. Please, please come!. Lo imploro di entrare prima che alla signora passi la voglia di lavorare. Alla fine, terrorizzato, sale. Ci portano in un ufficio dove ci aspetta un'austera donna africana che mi chiede se sono davvero sposata con questo samburu. Da Lketinga vuole sapere se in grado di prendersi cura di me, di darmi una casa e di non farmi mancare da mangiare. Lketinga mi guarda esterrefatto: Corinne, please, which house I must have?. Dio mio, penso, dille semplicemente di s! La donna guarda me e poi lui. I miei nervi sono talmente tesi che sento il sudore uscirmi da tutti i pori. Poi fissandomi con il suo sguardo severo mi chiede: You want to have children?. Oh yes, two rispondo. Segue un breve silenzio, alla fine si dirige verso la scrivania e prende un timbro tra i tanti. Pago duecento scellini e ho di nuovo il mio passaporto. Mi viene da piangere dalla gioia. Ce l'ho fatta, posso restare nel mio amato Kenya. Usciamo di corsa e torniamo a Barsaloi, la mia casa! Una manyatta tutta nostra. Mamma felice che sia andato tutto bene. Ma ora, dice, venuto il momento di pensare al rito nuziale tradizionale. Inoltre dobbiamo avere una nostra manyatta perch dopo il matrimonio non possiamo pi vivere in casa sua. Le interminabili visite negli uffici mi hanno fatto passare la voglia di avere una casa vera e propria, e cos chiedo a Lketinga di trovare delle donne disposte a costruirci una manyatta bella grande. Io andr a prendere i rami con la jeep, ma non sono in grado di occuparmene personalmente. Come ricompensa avranno una capra. Poco pi tardi quattro donne, tra cui le sue due sorelle, incominciano a lavorare alla nostra capanna. Deve essere grande il doppio di quella di Mamma e anche pi alta, in modo che io possa quasi starci in piedi. Le donne sono all'opera gi da dieci giorni, non vedo l'ora di andare ad abitarci. Misurer cinque metri per tre e mezzo. Per prima cosa delimitiamo il perimetro con grossi pali, attorno ai quali vengono intrecciati rami di salice. Poi dividiamo l'interno in tre parti: subito vicino all'ingresso mettiamo il focolare con sopra una specie di mensola per le tazze e le pentole. Un metro e mezzo pi in l ci sar una paratia di rami intrecciati, e dietro un piccolo vano solo per me e Lketinga, dove stenderemo una pelle di mucca con sopra una stuoia di paglia e la mia coperta svizzera a righe. Sopra il nostro giaciglio verr appesa la zanzariera. Di fronte abbiamo in progetto di creare altri due o tre posti letto per gli ospiti e in fondo ci sar una specie di trespolo per i miei vestiti.

L'intelaiatura della nostra supercapanna gi pronta, manca solo l'intonaco, cio lo sterco di mucca. Ma a Barsaloi non ci sono mucche, e cos andiamo a Sitedi dal fratellastro di Lketinga e carichiamo la jeep. Dobbiamo fare ben tre viaggi. I due terzi della capanna vengono intonacati dall'interno con il letame, che grazie al gran caldo si asciuga rapidamente, il resto da fuori in modo che attraverso il tetto poroso possa uscire il fumo. Seguire le fasi della costruzione molto interessante. Le donne stendono lo sterco intorno alla capanna con le mani nude. Io arriccio il naso e loro ridono. Potremo entrarci una settimana dopo la fine dei lavori, quando si sar indurito e se ne sar andato l'odore. Matrimonio samburu. Sono i nostri ultimi giorni nella capanna di Mamma, e ci dedichiamo anima e corpo ai preparativi per l'imminente matrimonio samburu. Ogni giorno vengono donne e uomini anziani per discutere con Mamma della possibile data. Qui si vive senza scadenze e orari fissi, dipende tutto dalle fasi della luna. Mi piacerebbe che fosse a Natale, ma i masai non sanno cosa sia e di conseguenza non possono essere certi di come sar la luna. Tuttavia, i nostri programmi sarebbero per quel giorno. E' la prima volta che viene celebrato un matrimonio tra una bianca e un nero, e quindi non sappiamo in quanti accorreranno. La notizia verr divulgata di villaggio in villaggio e solo il giorno delle nozze vedremo chi ci far l'onore di essere presente. Se verr molta gente, soprattutto anziani, il nostro prestigio si accrescer di molto. Una sera passa da noi il guardiacaccia, un uomo tranquillo e prestante che mi risulta subito simpatico. Purtroppo anche lui sa poco l'inglese. Discorre a lungo con Lketinga, io sono curiosa e dopo un po' chiedo di cosa stanno parlando. Mio marito mi spiega che il guardiacaccia vorrebbe affittarci il suo negozio appena costruito, che adesso viene utilizzato solo come magazzino per il mais di padre Giuliano. Emozionata, gli chiedo quanto costerebbe, e lui mi propone di visitarlo insieme domani, tratteremo dopo. Quella notte sono irrequieta perch questi sono i nostri primi progetti da sposati. Dopo il bagno mattutino nel fiume, bighelloniamo in direzione del negozio. Mio marito parla delle nostre nozze con tutte le persone che incontriamo. I somali escono addirittura dalle botteghe e ci chiedono quando verranno celebrate, ma non lo sappiamo nemmeno noi perch gli anziani non ci hanno ancora detto nulla di preciso. Io cerco di trascinare via Lketinga, in quell'istante non desidero altro che vedere il negozio. Il guardiacaccia ci sta gi aspettando nell'edificio vuoto. Quando lo vedo rimango senza parole, una costruzione in muratura vicino alla missione che credevo appartenesse a padre Giuliano. Il negozio molto grande, ha un cancello che si apre sul davanti e diverse finestre sui lati. In mezzo c' qualcosa di simile a un banco e sulla parete in fondo veri e propri scaffali di legno. Dietro a una porta c' un altro vano della stessa grandezza che potremmo usare come deposito o abitazione. Con un po' di ingegno lo trasformer nel negozio pi bello di tutta Barsaloi. Ma devo nascondere il mio entusiasmo se non voglio far salire il prezzo dell'affitto. Ci

mettiamo d'accordo su una cifra che equivale a cinquanta franchi svizzeri, che pagheremo solo nel caso in cui Lketinga ottenga la licenza. Prima non voglio impegnarmi, le esperienze con gli uffici statali sono state troppo negative. Il guardiacaccia acconsente. Torniamo da Mamma, Lketinga le racconta tutto e tra i due si accende una disputa, che Lketinga mi traduce ridendo: Mamma ha paura che sorgano dei problemi con i somali. Dice che sono pericolosi, potrebbero farci il malocchio. Dobbiamo aspettare fino a dopo la cerimonia. Mamma mi scruta a lungo, molto a lungo, e poi dice che devo coprirmi, altrimenti si accorgeranno tutti che porto un bambino in grembo. Quando Lketinga traduce resto senza parole. Io incinta? Effettivamente, riflettendoci un po', non ho le mestruazioni da tre settimane, non ci avevo nemmeno fatto caso. E' possibile? No, me ne sarei accorta subito! Chiedo a Lketinga perch Mamma ritiene che io sia incinta, e lei si avvicina e segue con il dito il percorso delle vene sul mio seno. Ma non le credo molto e poi non so neanche se in questo momento, con il negozio, sarebbe opportuno. A prescindere da questo, naturalmente desidero che mio marito mi dia dei figli, mi piacerebbe una bambina. Mamma convinta della sua diagnosi e ammonisce Lketinga dicendogli che d'ora in poi mi deve lasciar stare. Sorpresa chiedo: Why?. Lei mi spiega che quando una donna incinta ha dei rapporti con un uomo i figli avranno il naso tappato. Ovviamente parla sul serio, ma a me viene da ridere. Finch non ne sono certa non voglio rinunciare al sesso. Due giorni pi tardi, quando ritorniamo dal fiume, sotto l'albero ci sono diverse persone che stanno discutendo animatamente. Entriamo nella capanna di Mamma. La nostra sar abitabile fra tre giorni, da allora dovr fare il fuoco io stessa e sar anche responsabile della legna da ardere. L'acqua posso andare a prenderla al fiume con la macchina se nessuno disposto a farlo per me in cambio di qualche spicciolo. Ma cinque litri sono pochi, in casa vorrei avere una tanica che ne contenga almeno venti. Arriva Mamma e dice a Lketinga qualcosa che sembra turbarlo. Gli chiedo: What's the problem?. Corinne, we have to make the ceremony in five days, because the moon is good. Ci sposeremo gi fra cinque giorni? Allora dobbiamo andare subito a Maralal a prendere riso, tabacco, t, dolci, bevande e tutto il resto. Lketinga non contento perch non ha il tempo di farsi rifare le treccine, ci vogliono alcune giornate intere, dalla mattina presto fino alla sera. Anche Mamma nervosa, deve preparare un'enorme quantit di birra, e anche questo compito richiede una settimana. In realt non vorrebbe nemmeno che ce ne andassimo, ma nel villaggio non c' pi zucchero e nemmeno riso, solo farina di mais. Le do del denaro perch possa iniziare a fare la birra. A Maralal compriamo cinque chili di tabacco da masticare, assolutamente necessario per gli anziani, cento chili di zucchero senza il quale non si pu fare il t, nonch venti litri di latte perch non so se le donne lo porteranno secondo il protocollo. Non voglio correre rischi, deve essere una bella festa anche se verranno in pochi. Ci serve anche del riso, ma al momento non ce n'. Allora mi faccio coraggio e lo chiedo alla missione di Maralal, e per nostra fortuna ci vendono un sacco da venti chili. Poi dobbiamo passare dalla

scuola a informare James. Il preside ci dice che le vacanze cominceranno il 15 dicembre, quindi, dato che la nostra festa avr luogo il 17, non ci sar alcun problema, potr partecipare tranquillamente. Mi fa piacere rivederlo. Infine acquistiamo un vecchio barile di benzina che, una volta pulito, useremo per l'acqua. Il tempo di caricare sulla jeep anche qualche dolciume per i bambini e sono gi le cinque passate. Decidiamo di ritornare subito, cos potremo attraversare il tratto di bosco pi pericoloso prima del tramonto. Quando ci rivede, Mamma tira un respiro di sollievo. Subito dopo arrivano i primi vicini a mendicare dello zucchero, ma questa volta Lketinga tiene duro. Decide perfino di dormire in macchina perch non ci rubino niente. Il giorno seguente va a comprare alcune capre da macellare, non voglio che uccida le nostre perch mi ci sono affezionata. Abbiamo bisogno anche di un bue. Io mi reco al fiume e provo a sciacquare via l'odore di benzina dal vecchio barile, ma non facile. Per tutta la mattina, con l'aiuto di tre bambini, lo rotolo avanti e indietro pieno di Omo e sabbia finch non pulito. Mamma passa tutto il giorno nel bush a fare la birra perch nel villaggio vietato. Verso sera vado alla missione, do l'annuncio delle nostre nozze e chiedo in prestito alcune panche della chiesa e delle stoviglie. Padre Giuliano non sorpreso - era gi stato messo al corrente dai suoi assistenti - e mi promette che il giorno del matrimonio potr ritirare tutto. Tempo fa, quando mi aveva permesso di depositare i barili di benzina alla missione, gli avevo affidato anche il mio vestito da sposa perch stando nella manyatta non si sporcasse, ora gli chiedo se posso cambiarmi da loro. Si meraviglia che io intenda sposarmi in bianco in questo posto, ma acconsente. Mancano solo due giorni, ma Lketinga non ancora tornato dal suo safari. Mi sto innervosendo, non posso parlare con nessuno e sono tutti indaffarati con i preparativi. Per fortuna verso sera arrivano i ragazzi, li vedo molto volentieri. James molto eccitato per il matrimonio. Ne approfitto per farmi spiegare gli usi e costumi samburu per la cerimonia. Normalmente la festa inizia di mattina, nella capanna, con l'amputazione del clitoride della sposa. Io casco dalle nuvole: Why?. Perch altrimenti non sarebbe una vera donna e non potrebbe avere figli sani risponde tutto serio James, che per altri versi cos emancipato. Prima che abbia il tempo di riprendermi del tutto, entra nella capanna Lketinga e mi sorride. Sono contenta che sia tornato. Ha portato quattro grosse capre, dice che non stato semplice perch scappavano continuamente in direzione del gregge. Dopo il solito chai i ragazzi ci lasciano, e posso finalmente chiedere a Lketinga che cos' questa storia dell'amputazione. Sono irremovibile, sono disposta ad accettare di tutto ma questo assolutamente no. Lui mi guarda con calma e risponde: Why not Corinne? All ladies here make this. Mi irrigidisco come una statua di sale, e sto per dichiarargli che in questo caso, nonostante tutto l'amore, rinuncer alle nozze, ma lui mi prende tra le sue braccia e mi sussurra: No problem, my wife, I have told everybody, white people have this - e indica il punto tra le gambe - cut, when they are babies. Lo guardo ancora dubbiosa, ma quando fa amorosamente toc toc sulla mia pancia, chiedendo: How is my baby?, lo abbraccio. Mi sento

meglio. Pi tardi vengo a sapere che lo ha raccontato addirittura a sua madre. Gli sono molto grata di avermi salvato. Il giorno precedente le nozze arrivano i primi ospiti e si cercano una sistemazione nelle manyatta qui vicino. Il mio amore va a prendere il bue dal fratellastro, ci vorr tutto il giorno. Io mi dirigo nel bush con i ragazzi a far legna. Prima di aver la macchina piena dobbiamo girare parecchio, ma loro sono bravissimi. Verso sera andiamo al fiume e riempiamo il barile e tutte le taniche a disposizione. Sulla strada del ritorno chiedo a James di ordinare per il giorno dopo dei mandazi, le focaccette del locale del chai. Mentre aspetto in macchina, il negoziante pi giovane, un somalo molto simpatico, si avvicina e mi fa gli auguri. La notte prima delle nozze dormiamo per l'ultima volta da Mamma. La nostra manyatta gi pronta ma far il trasloco soltanto dopo il matrimonio perch Lketinga nei giorni passati stato spesso via e non ho voglia di dormire da sola nella nuova capanna. Ci svegliamo presto, sono molto nervosa. Mentre io mi dirigo verso il fiume per lavarmi i capelli, Lketinga e i ragazzi vanno in macchina alla missione a prendere tutto il necessario. Quando ritorno c' un certo andirivieni, e le panche si trovano gi sotto l'albero all'ombra. Il fratello maggiore di Lketinga prepara il t in un pentolone enorme, e Lketinga, sempre in macchina, va al fiume a truccarsi. Ci diamo appuntamento per un'ora dopo alla missione, dove indosso il mio vestito da sposa con tutti gli accessori. L'assistente di padre Giuliano mi aiuta. Ci entro a stento, sto cominciando a pensare di essere incinta veramente perch mi tira sul seno e sulla pancia. Quando ho finito di truccarmi, arriva padre Giuliano e rimane senza parole. Che bello, era tanto tempo che nessuno mi faceva dei complimenti. Ridendo osserva che questo abito bianco fino ai piedi non molto adatto alle manyatta e tantomeno agli spineti. Poi viene a prendermi il mio amore, truccato per le grandi occasioni, e mi chiede un po' irritato perch mi sono vestita cos. Imbarazzata rispondo: Per essere bella. Grazie a Dio porto dei normali sandali bianchi di plastica e non scarpe europee col tacco alto. Padre Giuliano accetta il nostro invito. Quando scendo dalla macchina, bambini e adulti sono sorpresi perch non hanno mai visto un vestito del genere. Mi sento insicura, non so come comportarmi. In ogni angolo c' gente che cucina, svuota le capre dalle interiora e le smembra. Non sono nemmeno le dieci e sono gi arrivate pi di cinquanta persone. Gli anziani si siedono sulle panche e bevono il t, le donne stanno in disparte sotto un albero, e i bambini mi saltano intorno. Gli offro della gomma da masticare, e intanto gli anziani fanno la coda da James che dispensa il tabacco. Accorre gente da tutte le parti. Alcune donne consegnano a Mamma dei fustini con il latte, altre legano alcune capre agli alberi. Il riso e la carne stanno cuocendo su un grande fal, ma l'acqua rischia di finire presto perch si deve rifare continuamente il t. Verso mezzogiorno comincia a essere pronto da mangiare, mi metto subito a distribuire le prime porzioni. Intanto arrivato anche padre Giuliano, che riprende tutto con la videocamera. Con il passare del tempo comincio ad avere una visione pi chiara della situazione, senza contare i bambini ci sono gi circa duecentocinquanta persone. Dicono e ripetono che

si tratta della pi grande cerimonia che abbia mai avuto luogo a Barsaloi. Sono molto fiera, soprattutto per il mio amore, che ha deciso di sposare una bianca anche se molti hanno cercato di ostacolarlo. James ci viene a dire che il riso finito e molte donne, e soprattutto bambini, non hanno ancora avuto niente. Informo padre Giuliano di questa sventura, lui parte subito e torna con un sacco di riso da venti chili, il suo regalo di nozze. Mentre i guerrieri si appartano per ballare tra loro, si riprende a cucinare. Lketinga trascorre la maggior parte del tempo con i masai, che mangeranno durante la notte. Dopo un po' comincio a sentirmi abbandonata. In fondo il mio matrimonio, ma nessuno dei miei parenti qui e mio marito passa pi tempo con i guerrieri che con me. Gli ospiti ballano, ogni gruppo per conto proprio: le donne sotto il loro albero, i ragazzi un po' pi in l e i guerrieri a grande distanza. Alcune turkana fanno una danza per me e mi esortano a unirmi alle donne, ma dopo i primi balli Mamma mi prende da parte e mi ricorda che non devo saltare troppo a causa del bambino. Nel frattempo, a una certa distanza dalla piazza della festa, il bue stato smembrato e distribuito pezzo per pezzo. Sono contenta che ci sia da mangiare e da bere per tutti. Prima del tramonto vengono consegnati, o annunciati, i doni. Chi vuole regalare qualcosa a mio marito o a me, si alza e lo dice. La persona deve specificare il destinatario perch presso i samburu vige la separazione dei beni, cio degli animali. Sono sorpresa della quantit di regali che ricevo: quattordici capre, due pecore, un gallo, una gallina, due vitelli e un piccolo cammello. Il tutto solo per me, e all'incirca altrettanto per mio marito. Ma non tutti hanno i doni con s, Lketinga dovr andare a prenderli dopo i festeggiamenti. La festa volge al termine, e io mi ritiro per la prima volta nella mia nuova manyatta. Mamma ha gi predisposto tutto, finalmente posso togliermi questo vestito stretto. Mi siedo davanti al fuoco in attesa di mio marito, che ancora nel bush. Per me incomincia una nuova vita, ora sono una autentica donna di casa. Il negozio. Una settimana dopo il matrimonio andiamo in macchina a Maralal a chiedere informazioni su una licenza commerciale per Lketinga. Secondo l'impiegato, che molto gentile, questa volta dovrebbe andar bene al primo tentativo. Compiliamo i moduli e ci dicono di tornare dopo tre giorni. Per il negozio ci serve anche una bilancia, cos proseguiamo per Nyahururu. Inoltre, vorrei comprare una rete metallica per poter esporre meglio la merce sullo scaffale: ho intenzione di avere patate, carote, arance, kabi, banane e ancora altro. A Nyahururu non vendono bilance. L'unico ferramenta ci spiega che sono molto care e si trovano solo a Nairobi. Lketinga dispiaciuto ma non possiamo farne a meno, quindi prendiamo l'autobus per l'odiata citt. L ce ne sono tante e ovunque, i prezzi oscillano da un estremo all'altro. Alla fine acquistiamo dal miglior offerente una voluminosa bilancia con i relativi pesi per trecentocinquanta franchi. Una volta tornati a Maralal, bussiamo a tutte le porte dei grossisti e andiamo a tutti i mercati a cercare i prezzi pi

convenienti. Mio marito trova tutto troppo caro, ma io sono convinta che trattando un po' riusciremo a ottenere le stesse condizioni dei somali. Il pi grande commerciante di Maralal si offre di mandarmi la merce a Barsaloi con un camion. Il terzo giorno andiamo all'ufficio pieni di speranza, e il funzionario ci spiega molto gentilmente che c' solo un piccolo problema: dobbiamo procurarci una lettera del veterinario di Barsaloi che garantisca che il negozio pulito, e il ritratto del presidente del Kenya che deve essere appeso in ogni locale pubblico. Lketinga sta per esplodere, ma lo trattengo. Voglio prima andare a casa a mettere il contratto per iscritto e a sistemare tutto in modo da poter esporre la merce. Inoltre dovremo trovare una commessa perch io so troppo poco la lingua e mio marito non sa fare i conti. La sera facciamo visita a Sofia e al suo ragazzo. E' appena tornata dall'Italia e abbiamo molto da raccontarci. Tra le altre cose mi dice in confidenza di essere incinta al terzo mese. Mi fa molto piacere sentire questa notizia perch ormai sono convinta di essere nelle stesse condizioni, mi manca solo la conferma di un medico. Contrariamente a me, lei vomita ogni mattina. E' molto sorpresa del mio progetto commerciale, le spiego che per mantenere la macchina devo guadagnare qualcosa, non posso continuare a spendere migliaia di franchi senza avere entrate. A Barsaloi firmiamo il contratto, adesso siamo i felici gestori del negozio. Impiego diversi giorni a pulire gli scaffali pieni di polvere e a inchiodare la rete metallica sul banco. All'improvviso, mentre sto rimuovendo alcuni vecchi assi dal fondo del negozio, sento un sibilo e vedo il corpo verde di un serpente sparire in mezzo al legno. Corro fuori terrorizzata e urlo: Snake, snake!. Alcuni uomini si avvicinano noncuranti, ma quando capiscono di che si tratta nessuno osa entrare. Sono in sei ma nessuno muove un dito finch a un certo punto arriva un uomo alto, un turkana, con un lungo bastone. Entra e fruga cautamente nel mucchio di legname. Poi rimuove asse dopo asse finch il serpente balza fuori. E' lungo circa mezzo metro. Il turkana cerca di colpirlo con tutte le sue forze, ma l'animale riesce a raggiungere l'uscita e si dirige rapidamente verso di noi. Per fortuna un ragazzo samburu, veloce come un fulmine, lo trafigge con la sua lancia. Quando mi rendo conto della gravit del pericolo che ho corso, incominciano a tremarmi le ginocchia. Mio marito arriva un'oretta dopo. Il veterinario gli ha firmato la lettera, ma dovremo costruire una latrina fuori dal negozio entro un mese. Ci mancava solo questa! Spuntano alcuni volontari, soprattutto turkana, disposti a scavare il buco, che deve essere profondo circa tre metri, e a montarci sopra l'intelaiatura. Inclusi i materiali viene a costare quasi seicento franchi. Le spese non finiscono mai, spero che presto guadagneremo anche qualcosa. Comunico il mio progetto di aprire un negozio a padre Giuliano e Roberto. Ne sono entusiasti perch qui per sei mesi all'anno non c' mais. Non parlo della mia gravidanza, neppure nelle lettere che mando in Svizzera. Anche se sono contentissima, in Africa ci vuole poco ad ammalarsi e non voglio allarmare nessuno inutilmente. Finalmente arriva il grande giorno. Partiamo per Maralal e ritorniamo con un camion pieno. Abbiamo trovato anche

una simpatica commessa, Anna, la moglie del poliziotto del paese, che robusta e ha gi lavorato a Maralal. Con un po' di buona volont capisce addirittura qualche parola di inglese. A Maralal andiamo alla Commercial Bank a chiedere se arrivato il denaro dalla Svizzera. Per fortuna gi stato accreditato: l'equivalente di quasi cinquemila franchi, ci servir per acquistare la merce. Ci danno diverse mazzette di scellini del Kenya, Lketinga non ha mai visto tanti soldi in tutta la sua vita. Poi andiamo dal grossista somalo e gli chiediamo quando potremo avere un camion per un viaggio a Barsaloi. Risponde che al momento i fiumi sono in secca e quindi la strada non un problema per i pesanti lori, ne avremo uno fra due giorni. Facciamo acquisti. Il noleggio del camion costa trecento franchi e, poich pu trasportare dieci tonnellate, dobbiamo sfruttarlo al massimo. Ordino ottanta sacchi da cento chili di farina di mais e quindici di zucchero, un vero patrimonio da queste parti. Chiedo una ricevuta e pago in contanti, ma Lketinga mi prende il denaro di mano affermando che troppo, vuole controllare lui. Io sono un po' imbarazzata perch li sta offendendo, oltre al fatto che non in grado di fare calcoli con cifre cos grandi. Fa un mucchietto dopo l'altro, sembra che giochi, nessuno capisce cosa stia facendo. Cos, con grande calma e circospezione, cerco di farlo ragionare, e alla fine mi restituisce i soldi. Io li conto ancora una volta davanti a lui, e poich restano tremila scellini, lui si inalbera e dice: Ecco, questo di troppo!. Lo calmo spiegandogli che quelli sono per il noleggio del camion. I tre somali si guardano un po' irritati, ma alla fine la merce nostra e viene messa da parte finch non arriver il camion. Dopodich compro cento chili di riso, cento chili di patate, cavoli e cipolle in giro per il villaggio. E' gi tardo pomeriggio quando finalmente tutto caricato sul camion, che arriver a Barsaloi alle undici circa. Tengo nella jeep la merce fragile come acqua minerale, cocacola e fanta, ma anche pur, pomodori, banane, pane, Omo, margarina, t e altra roba ancora. La macchina piena fino all'orlo. Decido di prendere la strada attraverso il bosco in modo da arrivare a Barsaloi in due ore. Lketinga rimane sul camion per assicurarsi che strada facendo non sparisca qualcosa. Il guardiacaccia e due donne vengono con me. Con la macchina cos pesante devo inserire la trazione integrale perfino per percorrere la salita all'inizio del bosco. Non sono abituata a guidare con tanto carico, saranno almeno settecento chili. Ogni tanto attraversiamo delle buche piene d'acqua, che qui nella giungla non si asciugano quasi mai completamente. Il prato dove avevo visto i bufali deserto. Durante il viaggio cerco di parlare in suaheli del negozio con il mio compagno di viaggio, ma non facile. Poco prima dello scosceso pendio della morte ci sono due ripidi tornanti a esse, e appena entriamo nella gola ci troviamo di fronte un grande muro grigio. Freno di colpo ma nonostante questo, a causa del pesante carico, la macchina si dirige lentamente verso il grande elefante maschio. Stop, stop the car! urla il guardiacaccia. Le provo tutte, incluso il freno a mano, che per non funziona molto bene, e a circa tre metri dal gigantesco

fondoschiena finalmente ci fermiamo. L'animale cerca lentamente di voltarsi sulla stretta carreggiata e io ingrano la retromarcia. Le donne che stanno dietro strillano, vogliono scendere. L'elefante si ormai girato e ci sta fissando con i suoi occhi minuscoli. All'improvviso distende la proboscide verso l'alto e barrisce. Le sue potenti zanne lo rendono ancora pi minaccioso, la nostra macchina scivola lentamente indietro fino a fermarsi a circa sei metri da lui. Il guardiacaccia, per, dice che saremo fuori pericolo solo quando non ci potr pi vedere, cio una volta scomparsi dietro alla curva. Io ho le mani legate. La mia visuale limitata dal carico, e non ho uno specchietto retrovisore. Cos mi devo affidare completamente alle indicazioni del guardiacaccia, sperando di capire quello che dice. Finalmente siamo abbastanza lontani, riusciamo ancora a sentirlo ma non lo vediamo pi. Solo ora mi rendo conto che mi tremano le ginocchia. Non oso pensare cosa sarebbe successo se la macchina avesse urtato contro quel colosso o se il motore si fosse spento durante la retromarcia. Ma il guardiacaccia percepisce ancora l'odore dell'elefante e, ironia della sorte, oggi non ha il fucile con s. Siamo gi almeno a un'ottantina di metri, ma lo sentiamo ancora spezzare gli alberi. Poi, per un po' non si ode pi niente, e il guardiacaccia si avvicina piano piano alla curva. Quando torna ci riferisce che l'elefante sta delimitando il proprio territorio e si sta sbafando la vegetazione ai lati del sentiero, ci sono gi un gran numero di alberelli spezzati. Lentamente si fa buio. Ci sono molti fastidiosi tafani che ci pungono, ma a parte il guardiacaccia non scende nessuno. Dopo un'ora il pachiderma ancora sul sentiero. Sono nervosa, ci aspetta ancora un percorso piuttosto lungo e dovr attraversare la zona ciottolosa al buio e a pieno carico. Poich l'elefante non si smuove, il guardiacaccia raccoglie grosse pietre, si dirige cautamente verso la curva e le lancia nella fitta boscaglia. Si sente un forte fruscio e un gran frastuono e poco dopo il colosso se ne va. Arrivata a Barsaloi faccio un salto al negozio, scarico con i fari accesi - per fortuna qualcuno mi aiuta - e vado nella nostra manyatta. Dopo un po' arriva il ragazzo che abita vicino a noi dicendo di aver visto due luci in lontananza. Anche il fratello maggiore di Lketinga scruta l'orizzonte. Sono tutti molto curiosi perch sta per arrivare il nostro camion, il lori samburu! Vado ad aspettarli al negozio insieme al fratello di Lketinga. Viene anche il veterinario, che porta una lampada a petrolio dal suo chalet. La mettiamo sul banco, e con l'illuminazione il locale diventa subito accogliente. Mentre penso a dove scaricare e sistemare la merce, le persone che si aggirano curiose intorno al negozio in attesa del lori sono aumentate. Finalmente arriva il nostro camion facendo un chiasso reboante. Per me una grande emozione, sono contenta che a Barsaloi esista finalmente un negozio in cui si trover sempre qualcosa da mangiare. Nessuno dovr pi soffrire la fame, ci sono provviste a sufficienza. Lketinga scende tutto fiero e saluta alcune persone, tra cui il guardiacaccia. Ascolta il suo racconto sbigottito, quindi mi viene incontro e mi chiede: Hello, wife, really you have seen an elefant?. Yes, sure! Si gratta la testa: Crazy, this is very dangerous, really Corinne, very dangerous!. Rispondo: Yes, I know,

but now we are okay e mi metto a cercare qualcuno che ci aiuti a scaricare. Trattiamo un po' e alla fine scegliamo tre uomini che occasionalmente si guadagnano qualcosa scaricando la merce per i somali. Per prima cosa mettiamo a posto i sacchi di patate e di riso, e il retro, che dovr servire da deposito, viene riempito di mais e zucchero. Poi accatastiamo il resto nel negozio. Si danno tutti un gran da fare, e dopo mezz'ora il camion vuoto riprende la strada di Maralal. Ci troviamo nel caos pi totale tra scatole di Omo e di t, e arrivano gi i primi clienti che vogliono comprare dello zucchero. Ma io mi rifiuto di vendere, troppo tardi e prima dobbiamo sistemare tutto. Chiudiamo a chiave il negozio e torniamo nella nostra manyatta. Come ogni giorno ci alziamo e ci sediamo al sole con gli animali. A un certo punto alcune donne si avvicinano alla nostra manyatta e Lketinga chiede cosa desiderano. Vogliono sapere quando apre il negozio. Lketinga vorrebbe andare subito, ma io gli dico di riferire che prima di mezzogiorno non possiamo vendere niente perch dobbiamo disfare i cartoni e Anna non ancora arrivata. Anna brava a esporre la merce. Dopo due ore il negozio quasi a posto, e ci sono gi almeno una cinquantina di persone davanti all'ingresso in attesa dell'apertura. La rete metallica sta proprio bene. Davanti al banco espongo patate, cavoli, carote, cipolle, arance e mango, mentre i caschi di banane vengono appesi al soffitto con una corda. Dietro, negli scaffali, ci sono scatole di Omo di varie misure, barattoli di grasso Kimbo, polvere da t, carta igienica, che in seguito avr un successo sorprendente, vari tipi di sapone, dolciumi e fiammiferi. Accanto alla bilancia mettiamo un sacco di zucchero, uno di farina di mais e uno di riso. Scopiamo un'altra volta in terra e finalmente apriamo. Per un breve attimo la luce del sole ci acceca, poi le donne invadono il locale, vengo travolta da un'onda di gente con ornamenti di tutti i colori. Il negozio pieno zeppo, ci porgono tutti il proprio kanga o dei sacchetti di stoffa cuciti a mano e Anna inizia a riempirli di farina di mais. Perch non vada perduta troppa merce abbiamo costruito una specie di paletta con del cartone. Dopo un po' mi metto ad aiutarla anch'io. Molti clienti posano semplicemente del denaro sul banco e in cambio vogliono diversi articoli, dobbiamo imparare a fare i conti rapidamente. In un'ora vendiamo un sacco di mais intero e mezzo di zucchero. Per fortuna ho scritto i prezzi su tutta la merce, ci nonostante c' una gran confusione. La prima sera la scatola che funge da cassa trabocca, abbiamo venduto quasi seicento chili di farina di mais, duecento di zucchero e diversi altri articoli. Poco prima del tramonto vorremmo chiudere, ma arrivano ancora due o tre bambini a comprare zucchero e mais per la cena e dobbiamo aspettare fino alle sette. Quasi non mi reggo pi in piedi e non riesco a muovere le braccia. Anche Anna va a casa sfinita. Anche se stato un grandissimo successo, questa affluenza mi fa riflettere. Domani sar come oggi dalla mattina alla sera, ma dovr pure trovare il tempo di andare al fiume a lavarmi! Quando proprio non lo so. Il giorno dopo alle otto siamo di nuovo in negozio, dove troviamo Anna che ci sta gi aspettando. La mattinata inizia

in sordina ma alle nove c' gi un sacco di gente, e ben presto le cassette di acqua minerale, coca-cola, fanta e sprite si svuotano. E' troppo tempo che ci rinunciano. Molti guerrieri e ragazzi si fermano per ore dentro o davanti al negozio a chiacchierare, mentre le donne e le ragazze stanno sedute all'ombra dell'edificio. Tra gli altri vengono la moglie del veterinario, il medico e l'insegnante del bush, che comprano diversi chili di patate e di frutta. Sono tutti entusiasti. Ma come era prevedibile, comincio a rendermi conto che mancano ancora molti articoli. Lketinga sta con noi la maggior parte del tempo, parla con la gente o vende gli articoli pi semplici, insomma, fa tutto quel che pu. Oggi Mamma verr al villaggio per la prima volta dopo tanto tempo appositamente per visitare il negozio. Alla fine del secondo giorno so gi dire tutti i numeri in lingua maa. Ho fatto una tabella, sulla quale leggiamo direttamente i prezzi dei vari quantitativi di mais o di zucchero. E' molto utile e facilita i conti. Anche il terzo giorno lavoriamo senza sosta e la sera arriviamo a casa stanchi morti. Durante l'orario di apertura, ovviamente non abbiamo potuto mangiare niente di caldo e questo di certo non mi fa bene nelle mie condizioni. Per di pi ho il mal di schiena perch mi devo piegare di continuo, in una sola giornata abbiamo pesato e venduto otto sacchi di mais e quasi trecento chili di zucchero. Mamma cucina per me della polenta con un po' di carne, intanto io discuto con Lketinga. La situazione insostenibile. Anna e io abbiamo bisogno almeno di un intervallo per riposare, mangiare e lavarci. Decidiamo di chiudere dalle 12 alle 14, e anche Anna contenta del nuovo orario. Inoltre, portiamo in negozio quaranta litri d'acqua, cos mi potr lavare nel retrobottega. Il tempo passa. Frutta e verdura spariscono, e anche la merce pi cara, il riso. Siamo riusciti a portarne a casa solo tre chili. Per la prima volta passano Giuliano e Roberto, che esprimono la loro ammirazione, mi fa molto piacere. Chiedo se posso depositare i soldi incassati da loro perch non so dove custodire tanto denaro. Padre Giuliano acconsente, e cos ogni sera passo dalla missione e consegno una busta piena di banconote. La gente non comprende bene i nuovi orari di apertura perch quasi nessuno possiede un orologio. Dobbiamo chiudere a forza, ma spesso c' cos tanta gente che saltiamo l'intervallo. Dopo nove giorni il negozio quasi vuoto. Ci sono ancora cinque sacchi di mais, lo zucchero esaurito da giorni. Dobbiamo andare di nuovo a Maralal. Con un po' di fortuna potremo essere di ritorno fra tre giorni, Anna pu restare in negozio da sola perch senza zucchero c' molto meno lavoro. Lo zucchero scarseggia anche a Maralal. Hanno sospeso le vendite dei sacchi da cento chili e sono in attesa di nuovi rifornimenti, ma in queste condizioni non ha senso tornare a Barsaloi. Quando dopo tre giorni finalmente arriva, viene razionato, e possiamo prenderne solo otto sacchi. Il quinto giorno riprendiamo la strada di casa con un camion pieno. Nei tre giorni a Maralal mi sono procurata alcuni nuovi articoli: i popolari kanga, tabacco da masticare per gli anziani e addirittura venti paia di sandali di pneumatici di ogni misura. Purtroppo il denaro guadagnato non basta per i nuovi acquisti e devo prelevarne dell'altro in banca. Cos

mi ripropongo di aumentare il prezzo di mais e zucchero. Anche se per legge dovrebbe essere fisso, considerando gli alti costi del trasporto non possibile mantenere il prezzo di Maralal. Oltre a tutto il resto dobbiamo riempire di benzina un barile da duecento litri. Questa volta Lketinga non mi lascia da sola con la jeep. Teme che mi imbatta nuovamente in elefanti o bufali. Ma chi andr sul camion? Lketinga manda un suo conoscente, di cui ritiene di potersi fidare. Verso mezzogiorno partiamo e raggiungiamo Barsaloi senza difficolt. E' stranissimo ma quando sono con mio marito non ci sono problemi. In negozio regna una calma assoluta. Anna ci viene incontro annoiata. Nel corso dei cinque giorni in cui siamo stati assenti stato venduto anche l'ultimo mais rimasto. A volte viene qualcuno a comprare polvere da t o Omo. La cassa piena solo a met. Controllare l'incasso difficile perch c' ancora qualche scorta, ma mi fido di Anna. Torniamo nella nostra manyatta, dove ci sono due guerrieri che dormono in tutta tranquillit. Non ne sono molto entusiasta, ma d'altra parte qui l'ospitalit un dovere. Tutti gli uomini che appartengono alla classe d'et di Lketinga hanno il diritto di riposarsi o di pernottare nella nostra capanna, e devo offrirgli anche il chai. Mentre accendo il fuoco i tre uomini discutono fra loro. Lketinga traduce: a Sitedi un uomo stato ferito gravemente a una gamba da un bufalo, deve andare subito da lui con la macchina e portarlo dal medico. Io resto perch entro due ore arriver il camion. Quando gli consegno la chiave, provo un senso di disagio. E' lo stesso percorso sul quale sei mesi fa l'ha demolita. Vado gi da Anna e predisponiamo il negozio a ricevere la merce. Verso sera accendiamo le due nuove lampade a petrolio. Ho anche comprato un piccolo fornello a carbone di legna per fare il t o preparare il pranzo nel retrobottega. Finalmente arriva il camion, e ben presto il negozio circondato dalla gente. L'operazione di scarico richiede pochi minuti. Questa volta conto i sacchi anch'io per essere sicura che sia arrivato tutto, ma i miei sospetti in questo caso sono infondati. Quando finalmente sono stati scaricati tutti i cartoni c' una gran confusione. Improvvisamente compare mio marito. Gli chiedo se va tutto bene, e lui risponde: No problem, Corinne, but this man has a big problem. Ha portato il ferito dal medico del bush che gli ha disinfettato la gamba e cucito la ferita - lunga ben venti centimetri - senza anestesia. Ora nella nostra manyatta perch deve farsi controllare ogni giorno. A Maralal, Lketinga ha comprato miraa a chili, la possiamo rivendere con un buon guadagno. Vengono a prendere l'erba tutti i townpeople, e per la prima volta entrano nel nostro negozio perfino due somali, anche loro avidi di miraa. Mio marito li guarda male e gli chiede in modo educato che cosa desiderano. Il suo comportamento mi mette in imbarazzo perch i due sono gentili e i loro affari hanno gi subito abbastanza danni per causa nostra. Comprano l'erba e se ne vanno. Verso le 21 il negozio pronto per il giorno successivo. Quando entro carponi nella mia capanna trovo un guerriero tarchiato sdraiato con una gamba fasciata che si lamenta sottovoce. Gli chiedo come sta, e lui risponde che va bene, ma questo non significa niente di preciso qui. Nessun

samburu direbbe mai il contrario, anche se fosse in punto di morte. Suda molto e c' una puzza terribile, un misto di sudore e iodio. Poco tempo dopo arriva Lketinga con due mazzi di miraa. Si rivolge al ferito, ma quello gli risponde a fatica, probabilmente ha la febbre alta. Dopo qualche obiezione mi consente di misurargli la temperatura, 40,5. Gli do subito dei farmaci per abbassare la febbre e poco dopo si addormenta. Quella notte dormo male. Mio marito mastica miraa tutto il tempo e spesso il guerriero ferito si lamenta o grida. La mattina seguente vado in negozio, mentre Lketinga resta con il compagno. Gli affari sono alle stelle, la notizia dell'arrivo di zucchero e di farina si diffusa in un baleno. Oggi Anna sembra spossata, si siede spesso, e ogni tanto corre fuori a vomitare. Le chiedo preoccupata che cosa succede, ma lei dice che tutto sommato va bene, forse ha un po' di malaria. Allora la mando a casa, e prende il suo posto l'uomo che ha viaggiato sul nostro camion. Sono contenta di lui, ci sa proprio fare. Dopo qualche ora mi viene un terribile mal di schiena. Non so se dipende dalla gravidanza o dal fatto che devo piegarmi continuamente. Presumo di essere al termine del terzo mese, ma al di l di un lieve rigonfiamento non si vede ancora niente. Mio marito invece dubita che io sia incinta, e ritiene piuttosto che abbia l'ulcera. Dopo diverse ore entra in negozio Lketinga, e in un primo momento rimane sbigottito. Aggredisce il mio aiutante chiedendogli che cosa sta facendo dietro al banco. Mentre io continuo a servire i clienti, lui gli racconta che Anna si sente male ed andata a casa e poi riprende subito a lavorare al mio fianco. Mio marito, invece, rimane l imbambolato a masticare miraa, non ne posso pi di questa storia. Allora lo mando dal veterinario a vedere se oggi stata macellata una capra, vorrei preparare un buon piatto di carne e patate. A mezzogiorno intendo chiudere e andare nel retrobottega a cucinare e a lavarmi, ma i due uomini preferiscono tenere aperto. Preparo un gustoso stufato sul mio nuovo fornello a carbone e finalmente posso mangiare in santa pace. Ne conservo un po' per Lketinga, si lavora meglio a stomaco pieno. Alle sette andiamo a casa e troviamo il ferito accucciato davanti alla capanna. Sembra che stia meglio, ma dentro c' una gran confusione! Per terra pieno di gambi di miraa rosicchiati e palline di gomma da masticare sputate. Accanto al focolare c' la pentola, che ha le pareti tutte incrostate di polenta e le formiche si divertono con gli avanzi. Come se non bastasse c' un tanfo che mi toglie il respiro. Ritorno stanca dal lavoro e devo anche pulire la capanna e scrostare con le unghie la pentola per il chai, ma quando provo a comunicare il mio disappunto a mio marito lui non capisce. Ubriaco di miraa, si sente aggredito e pensa che non voglia aiutare il suo amico appena scampato alla morte. Io invece chiedo solo un po' d'ordine. Alla fine, lo zoppicante guerriero e Lketinga lasciano la capanna per andare da Mamma. Sento una violenta discussione tra i due e mi sento esclusa e sola. Allora, per non perdere il controllo della situazione, tiro fuori il mio registratore e ascolto della musica tedesca. Dopo un po' Lketinga mette la testa nella capanna e mi guarda con astio. Corinne, what's the problem? Why you hear this music? What's the meaning? Oh santo cielo, come faccio a spiegargli che mi sento incompresa e sfruttata

e cerco consolazione nella musica? Non lo capirebbe mai. Gli prendo la mano e lo prego di sedersi accanto a me. Ascoltiamo la musica insieme davanti al fuoco, e lentamente si crea una tensione erotica che mi piace molto. Ai bagliori delle fiamme Lketinga bellissimo. Metto la mano sulla sua nuda coscia scura e sento che eccitato anche lui. Mi guarda con occhi selvaggi e all'improvviso ci abbracciamo. Ci baciamo, e per la prima volta ho l'impressione che piaccia anche a lui. Finora, ogni volta che ci ho provato, Lketinga sembrava indifferente e cos i miei tentativi fallivano. Ma ora mi bacia, ed sempre pi impetuoso. Finalmente facciamo l'amore, era tanto tempo che non accadeva e questa volta meraviglioso. Quando la tensione si allenta, accarezza il mio pancino e mi chiede: Corinne, you are sure, you have now a baby?. Gli sorrido felice: Yes!. Corinne, if you have a baby, why you want love? Now it's okay, I have given you a baby, now I wait for it. Certo, questo modo di pensare rovina un po' la poesia, ma non lo prendo sul serio pi di tanto, e ci addormentiamo felici. Il giorno dopo domenica. Il negozio chiuso e decidiamo di andare a sentire una messa di padre Giuliano. La chiesetta piena zeppa di donne e bambini. Ci sono anche alcuni uomini, tra cui il veterinario con la famiglia, il medico e l'insegnante del bush, che stanno tutti seduti su un lato. Giuliano parla in suaheli e l'insegnante traduce in samburu. Ogni tanto donne e bambini cantano e battono le mani. Tutto sommato l'atmosfera allegra. Lketinga l'unico guerriero e questa la prima e ultima volta che va in chiesa. Passiamo il pomeriggio insieme al fiume, io lavo i vestiti e lui la macchina. Finalmente abbiamo tempo a sufficienza per il nostro rituale del bagno. E' come facevamo una volta, ho nostalgia di quel periodo. Naturalmente il negozio mi piace e la nostra alimentazione pi varia di prima, ma non abbiamo pi molto tempo per noi, diventato tutto pi frenetico. Nonostante questo, il luned non vedo l'ora di tornare in negozio. Ho fatto amicizia con le donne della town e con alcuni dei loro mariti, che sanno un po' di inglese. Col tempo comincio a capire quali sono le coppie. Nel frattempo mi sono affezionata ad Anna. Suo marito in ferie da un paio di giorni e sta in negozio con lei. Per quanto mi riguarda non c' problema, ma Lketinga non contento. Ogni volta che lui beve un po' di selz, controlla in modo imbarazzante che Anna lo metta in conto. Dobbiamo fare di nuovo rifornimento di zucchero perch da un paio di giorni i sacchi sono vuoti e viene sempre meno gente. Inoltre, le ferie scolastiche sono imminenti, cos a Maralal oltre ad acquistare lo zucchero posso prelevare James e portarlo a casa. Lketinga resta in negozio ad aiutare Anna, dobbiamo vendere ancora venti sacchi di farina di mais per avere denaro sufficiente per il camion. Porto con me il nostro collaboratore, che ha gi dimostrato la sua abilit pi di una volta. Mi aiuter a sollevare i sacchi pi pesanti e a metterli sulla jeep. Come al solito vogliono venire altre venti persone, e dato che ogni volta sorgono delle discussioni, decido di chiedere un compenso per ammortizzare il costo della benzina. Cos verranno solo quelli che hanno un motivo serio per farlo. Infatti la folla si dirada rapidamente, solo cinque sono disposti a pagare l'importo richiesto, e questa volta la jeep non sovraffollata. Partiamo presto perch voglio essere di

ritorno in serata. Del gruppo fa parte anche il guardiacaccia, che paga come gli altri. A Maralal scendono tutti e io mi dirigo verso la scuola. Il preside mi dice che i ragazzi non potranno uscire prima delle quattro, e ci accordiamo perch io ne porti qualcuno con me. Nel frattempo, io e il mio aiutante compriamo tre sacchi di zucchero e un po' di frutta e verdura, non posso caricare altro se voglio che ci stiano i ragazzi. Mi restano due ore, ne approfitto per fare visita a Sofia. Sofia felicissima di vedermi. Contrariamente a me ha preso qualche chilo e sta bene. Mi fa degli spaghetti, un pranzo da festa per me che da tanto tempo non mangio pasta. Non mi meraviglia che aumenti di peso cos rapidamente! Il suo ragazzo rasta spunta un attimo per poi scomparire di nuovo con un paio di uomini. Sofia si lamenta che dall'inizio della gravidanza non la guarda quasi pi. Non vuole neanche lavorare, e spende tutti i soldi bevendo birra con gli amici. Nonostante il tenore di vita e le comodit non l'invidio affatto. Anzi, proprio dal confronto con Sofia mi rendo conto che Lketinga sta facendo miracoli. Mi congedo con la promessa di fare un salto da lei ogni volta che passer da Maralal. Vado a prendere il mio aiutante e il guardiacaccia al luogo stabilito, e andiamo alla scuola dove i tre ragazzi sono gi pronti. James molto contento di venire con noi. Ci mettiamo subito in marcia perch voglio essere a casa prima che faccia buio. Sentieri nella giungla. La macchina percorre la strada rossa, polverosa e piena di curve. Poco prima dei tornanti a esse a me e al guardiacaccia, pensando all'avventura con l'elefante, viene da ridere. Dietro i ragazzi chiacchierano e si divertono. Poco prima della ripida discesa decido di inserire la trazione integrale. Freno e freno di nuovo, ma la macchina continua a dirigersi verso il pendio della morte. Sconvolta urlo: No brakes!. In un attimo mi accorgo che non possiamo andare a destra perch accanto alla via, nascosto dagli alberi, c' il dirupo e cos, d'istinto, do uno strappo a sinistra al volante, mentre il guardiacaccia traffica con la portiera. Come per miracolo la macchina supera rumorosamente l'inizio del muraglione di roccia, che andando avanti sempre pi alto. Nel punto in cui balzo su circa trenta centimetri, ma se avessimo proseguito ancora un po' mi ci sarei piantata frontalmente. Prego che la jeep si impigli nei cespugli perch la parte pianeggiante lunga al massimo cinque o sei metri, poi il pendio diventa molto scosceso. I ragazzi sono agitatissimi e anche il guardiacaccia molto teso. Per fortuna la macchina si impiglia davvero, circa un metro prima della fine della parte pianeggiante. Tremo come una foglia, non riesco neppure a scendere. James e i suoi amici, dato che noi restiamo seduti immobili e lo sportello posteriore non si apre, escono dai finestrini. Alla fine, scendo con le ginocchia tremanti per farmi un'idea del danno, e proprio in quel momento la macchina inizia lentamente a muoversi. Ma io sono prontissima, afferro la prima pietra che trovo e la metto sotto una ruota. I ragazzi scoprono che il cavetto del freno strappato. Rimaniamo tutti l intorno alla macchina, perplessi e frastornati, a neanche tre metri di distanza dal pendio della

morte. Secondo il guardiacaccia, che questa volta armato, pericoloso restare nel bush, e appena viene buio comincia a fare un freddo maledetto. Ma continuare fino a Barsaloi senza freni impossibile, non rimane che ritornare a Maralal. Ce la posso fare anche in queste condizioni, alla peggio inserir la trazione integrale. Per prima cosa dobbiamo girare la macchina, il che non facile perch lunga e lo spazio limitato. Cerchiamo delle pietre piuttosto grandi e, con molta cautela, metto in moto. Davanti a me non ho pi di mezzo metro, e cos i ragazzi devono fermare la jeep sistemando dei sassi sotto ogni ruota. Poi devo fare la stessa manovra in retromarcia, e con una visuale pressoch nulla. Gocce di sudore mi scendono lungo il viso mentre prego Dio che ci aiuti, dopo essere sfuggiti di un soffio alla morte sono pi che sicura che esiste davvero. Ci impieghiamo pi di un'ora, quindi si compie il secondo miracolo, la jeep nella direzione giusta. Quando partiamo, nella giungla gi buio. Faccio tutto il percorso in prima con la trazione integrale inserita. Quando la strada scende la jeep accelera troppo, mentre sui pezzi pianeggianti il motore urla da far paura, ma non oso ingranare la seconda. Spesso premo automaticamente il pedale del freno, che ovviamente non funziona. Dopo pi di un'ora raggiungiamo Maralal, siamo davvero sollevati. Qui la gente attraversa con tutta calma, pensando che le poche macchine per strada freneranno. Suono il clacson e loro, lamentandosi, saltano dall'altra parte. Poco prima del garage disinserisco la chiave e lascio che la macchina si fermi da s. Il meccanico somalo sta per chiudere. Gli spiego il mio problema facendo presente che la macchina carica di merce, non posso lasciarla incustodita. Lui apre il cancello e alcuni uomini spingono dentro il veicolo. Andiamo a bere il chai tutti insieme e, ancora sotto shock, discutiamo della situazione. A questo punto dobbiamo cercare un albergo. Il guardiacaccia si sistemer per conto suo, io chiaramente ospiter i ragazzi e il mio aiutante. Prendiamo due camere. I due giovani dicono che possono condividere un letto senza problemi, io voglio stare da sola. Dopo la cena me ne vado a letto. Se penso a mio marito sto male. Non sa cosa successo e si star preoccupando. La mattina dopo vado al garage di buon'ora, gli operai stanno riparando la nostra macchina. Anche al meccanico somalo quello che successo sembra strano. Alle undici siamo pronti per partire, ma questa volta non oso inoltrarmi nella giungla. Ho troppa paura, dopotutto sono al quarto mese di gravidanza. Cos decidiamo di fare la strada lunga via Baragoi, e impieghiamo circa quattro ore e mezza. Durante il viaggio penso all'apprensione di mio marito. Procediamo bene. La strada, a parte le numerose pietruzze taglienti, molto pi facile. Siamo gi a pi di met percorso quando, dopo aver attraversato il letto di un fiume in secca, sentiamo il ben noto sibilo. La sfortuna ci ha colpito di nuovo, abbiamo una gomma a terra. Scendiamo e i ragazzi tirano fuori la ruota di scorta, che si trova sotto i sacchi di zucchero. Il mio aiutante piazza il cric e dopo mezz'ora il danno riparato. Una volta tanto sono disoccupata, e sto seduta al sole a fumarmi una sigaretta. Continuiamo il viaggio e raggiungiamo Barsaloi nel pomeriggio. Parcheggiamo accanto al negozio. Non faccio in tempo a

scendere dalla jeep che mio marito mi aggredisce furioso. Si piazza di fronte allo sportello scuotendo la testa: Corinne, what is wrong with you? Why you come late?. Gli racconto tutto, ma lui non mi ascolta, mi evita con atteggiamento sprezzante e mi chiede con chi ho passato la notte. A questo punto mi arrabbio, siamo appena sfuggiti alla morte e lui mi accusa di avergli fatto le corna! Non mi sarei mai aspettata una reazione di questo tipo. I ragazzi cercano di aiutarmi raccontando l'accaduto. Alla fine lui si infila sotto la macchina per dare il proprio parere sul cavo e quando vede che fuoriuscito dell'olio dai freni si placa. Ma io sono molto delusa e decido di andare nella mia capanna. Che si arrangino, in fondo adesso c' anche James. Saluto di sfuggita Mamma e Saguna, mi ritiro e piango, completamente sfinita. Nel pomeriggio incomincio a sentire freddo, ma non do un gran peso alla cosa e preparo il chai. Arriva Lketinga e lo prende anche lui. Non parliamo molto. Di sera tardi parte per un kraal molto lontano, dove deve ritirare le ultime capre che ci hanno regalato per il matrimonio. Dice che torner fra due giorni. Si mette la coperta rossa sulle spalle, afferra le due lance e lascia la manyatta in silenzio. Lo sento parlare brevemente con Mamma, poi tutto tace, salvo le urla di un lattante in una capanna vicina. Io sto sempre peggio. E' notte e ho paura. Sar di nuovo malaria? Tiro fuori il Fansidar e leggo con attenzione le modalit d'uso: tre compresse per un sospetto attacco, ma in caso di gravidanza consultare il medico. Oh Dio, non voglio perdere il mio bambino per niente al mondo, ma questo purtroppo in caso di malaria pu avvenire fino al sesto mese. Decido di prendere le tre pastiglie comunque e metto della legna sul fuoco per scaldarmi un po'. La mattina dopo vengo svegliata dalle voci provenienti da fuori. Esco dalla capanna carponi, la luce del sole mi abbaglia. Sono quasi le otto e mezza. Mamma sta seduta davanti alla manyatta e mi sorride: Supa Corinne. Rispondo: Supa Mamma, e vado nel bush a fare i miei bisogni. Mi sento fiacca, sono provata. Quando torno alla manyatta ci sono gi quattro donne che chiedono del negozio. Corinne, tuka dice Mamma, dovrei aprire. Ndjo, s, later! rispondo. La loro impazienza comprensibile, vogliono comprare lo zucchero che ho portato ieri. Mezz'ora pi tardi mi trascino fino al negozio. Ci saranno venti donne ad aspettarmi, ma Anna non tra loro. Quando apro incomincia subito lo schiamazzo. Vogliono essere tutte servite per prime. Lo faccio meccanicamente, ma Anna dov'? Non si fa vedere nemmeno il mio aiutante, e neppure i ragazzi. A un certo punto sento un forte bisogno di andare in bagno. Prendo la carta igienica e corro. Ho gi la diarrea. Ora sono completamente confusa. Il negozio pieno di gente, e la cassa una scatola aperta, chiunque pu andare dietro al banco. Ritorno dalle donne, che mentre aspettano chiacchierano animatamente. La diarrea mi obbliga ad allontanarmi pi volte. Anna mi ha proprio piantato in asso, ma non si ancora visto nessun viso conosciuto a cui chiedere aiuto in inglese. A mezzogiorno quasi non mi reggo pi in piedi. Finalmente arriva la moglie dell'insegnante. La mando da Mamma a vedere se i ragazzi sono a casa e dopo un po' si fa

vivo James con il compagno che quella volta aveva dormito nella mia camera. Sono disposti a occuparsi del negozio, io devo assolutamente andare a casa. Mamma sorpresa di vedermi e mi chiede cosa c'. Ma come faccio a risponderle? Scrollo le spalle e dico: Maybe malaria. Lei mi guarda preoccupata e si tocca la pancia. Capisco cosa vuole dire, ero gi triste e preoccupata per conto mio. Viene nella mia manyatta e mi prepara del t nero perch il latte in questi casi fa male. Mentre aspetta che l'acqua bolla, si rivolge a Enkai, a modo suo sta pregando per me. Le voglio davvero molto bene, mi fa molta tenerezza vederla l seduta con i suoi lunghi seni e la gonna sporca. In questo momento sono contenta che mio marito abbia una madre cos cara e premurosa e non voglio deluderla. Quando torna a casa con le nostre capre, il fratello maggiore di Lketinga guarda preoccupato dentro la capanna e cerca di parlarmi in suaheli, ma io sono troppo stanca e mi addormento continuamente. Nel bel mezzo della notte mi sveglio in un bagno di sudore perch ho sentito dei passi e qualcuno che ha infilzato le lance accanto alla nostra capanna. Ho il cuore che batte fortissimo, ma poi sento il ben noto grugnito e poco dopo sulla soglia compare una figura conosciuta. E' talmente buio che non distinguo nulla. Darling? chiedo speranzosa nel buio. Yes, Corinne, no problem risuona la sua voce. Mi si allarga il cuore. Gli racconto che sto male e lui molto preoccupato. Ma non ho pi avuto brividi, forse sto meglio grazie al Fansidar. Per un breve periodo resto a casa e del negozio si occupano Lketinga e i ragazzi. Poi lentamente mi riprendo, e dopo tre giorni si arresta anche la diarrea. Una settimana a letto pi che sufficiente, non ne posso pi, oggi pomeriggio vado a lavorare. Il negozio stato trascurato: non l'ha pulito nessuno ed tutto impolverato di farina di mais. Gli scaffali sono quasi vuoti e i quattro sacchi di zucchero sono stati venduti da tempo, ne rimasto solo uno e mezzo di mais. Questo significa che dobbiamo progettare un altro viaggio a Maralal. Lo faremo la settimana entrante, in concomitanza con la fine delle vacanze dei ragazzi, cos li potr accompagnare a scuola. Il negozio tranquillo, appena finiscono gli alimenti di base i clienti che vengono da lontano non si fanno pi vedere. Cos vado a far visita ad Anna. La trovo sdraiata sul letto, e quando le chiedo che cosa successo in un primo momento non vuole rispondere. Ma dopo un po' mi confessa che incinta anche lei. Dice che solo al terzo mese, ma qualche giorno fa ha avuto un'emorragia, per questo non venuta a lavorare. Ci mettiamo d'accordo che ritorner quando i ragazzi saranno partiti. L'inizio della scuola si avvicina. Partiamo, ma questa volta il negozio rimane chiuso. Dopo tre giorni il camion pieno riparte per Barsaloi con il nostro aiutante. Lketinga viene con me sulla strada della giungla. Per fortuna il viaggio non ci crea problemi. Aspettiamo il camion poco prima del tramonto; al suo posto, invece, arrivano due guerrieri e ci raccontano che rimasto bloccato mentre attraversava l'ultimo fiume. Facciamo il breve percorso in macchina e ci troviamo di fronte un bel pasticcio, poco prima della riva la ruota sinistra sprofondata nella sabbia, e loro hanno continuato a farla girare peggiorando la situazione.

Sul luogo della sventura ci sono alcune persone che hanno gi messo pietre e rami sotto la ruota, ma a causa del pesante carico il camion si inclina sempre di pi, e l'autista dice che non c' pi niente da fare, bisogna scaricare qui. L'idea non mi piace molto, vorrei consultarmi con padre Giuliano. Lui non molto contento di vedermi perch sa gi tutto. Tuttavia sale sulla sua macchina e viene. Padre Giuliano prova con un argano, ma le nostre due macchine, nonostante la trazione integrale, non ce la fanno a tirare fuori il camion. A questo punto, i molti sacchi da cento chili devono essere trasferiti sulle nostre auto, ma possiamo caricarne solo otto per volta. Giuliano fa ben cinque viaggi, e alla fine torna alla sua missione spossato. Io vado avanti e indietro sette volte finch tutta la merce in negozio. Nel frattempo si fatto buio e sono stremata. In negozio c' un caos inimmaginabile ma per noi la giornata finisce qui, metteremo a posto domani. Molto spesso ci viene offerto di acquistare pelli di capra o di vacca. Finora ho sempre rifiutato, ma le donne non sono contente, alcune lasciano il negozio imprecando e le vendono ai somali. Da un po' di tempo, per, loro le accettano solo da chi acquista anche mais e zucchero. Poich ogni giorno sorgono delle discussioni a questo proposito, decido di comprarle anch'io e le deposito nel retrobottega. Dopo due giorni il furbo capo viene a chiederci se abbiamo la licenza per commerciare pelli di animali. Naturalmente no, non sapevo neppure che fosse necessaria. Inoltre, dice, non permesso depositarle nello stesso edificio degli alimentari, potrebbe ordinarmi di chiudere. Infatti, tra un tipo di merce e l'altro ci devono essere almeno cinquanta metri di distanza. Questa novit mi lascia senza parole perch i somali hanno sempre tenuto le loro pelli insieme agli alimentari; lui si limita semplicemente a negare. Cos so anche chi stato ad aizzarlo contro di noi. Ho gi un'ottantina di pelli che vender la prossima volta a Maralal, ma intanto devo guadagnare tempo per trovare un posto dove metterle sotto chiave. Gli offro due selz e lo prego di attendere fino a domani. Dopo lunghe trattative si mette d'accordo con Lketinga, entro domani porteremo le pelli fuori dal negozio. Ma dove possiamo metterle? Valgono pur sempre del denaro. Vado alla missione a chiedere un consiglio. C' solo Roberto, dice che nemmeno lui ha posto, dobbiamo aspettare Giuliano. La sera stessa passa da noi in moto. E' molto gentile e mi offre la casetta dove teneva la pompa dell'acqua, in cui ha depositato alcuni macchinari. Non c' molto spazio, ma meglio di niente ed possibile chiuderla con un lucchetto. Ho risolto un altro problema, mi rendo conto che padre Giuliano davvero importante per noi. In negozio va tutto liscio, Anna si ripresa e torna al lavoro. Nel bel mezzo di un normale pomeriggio all'improvviso viene il ragazzo del vicino tutto agitato e si mette a parlare con Lketinga. Gli chiedo: Darling, what happened?. Risponde che due capre del nostro gregge si sono perdute, deve andare subito a cercarle prima che faccia buio e che le fiere le sbranino. Sta per andarsene armato delle sue due lunghe lance quando arriva in negozio la domestica dell'insegnante del bush tutta pallida. Discute con Lketinga anche lei, io capisco soltanto che si tratta della nostra macchina e di Maralal. Inquieta, chiedo ad Anna: Anna,

what's the problem?, e lei risponde che la moglie dell'insegnante aspetta un figlio e deve andare subito all'ospedale, ma alla missione non c' nessuno. La moglie dell'insegnante. Darling, we have to go with her to Maralal dico agitata a mio marito. Mi risponde che questi non sono affari suoi, adesso deve cercare le sue capre. In questo momento non lo capisco proprio e gli chiedo furiosa se per lui conta di pi una vita umana o quella di un animale, ma non c' modo di fargli intendere ragione. Dopotutto, risponde, non si tratta di sua moglie, e se non va a prendere le sue capre verranno divorate entro due ore. Detto questo lascia il negozio. Rimango senza parole, terribile che proprio mio marito, sempre cos buono, possa essere tanto insensibile. Comunico a Anna che andr a vedere di persona, cos potremo decidere cosa fare. Lo chalet dell'insegnante si trova a due minuti dal negozio. Quando entro per poco mi prende un colpo, ci sono panni imbevuti di sangue dappertutto. La giovane donna per terra ripiegata su se stessa dal dolore, e geme ad alta voce. Mi ricordo che parla inglese e le chiedo cosa successo. Lei mi racconta con fatica che le emorragie sono iniziate gi da due giorni, ma suo marito non le permette di consultare il medico perch molto geloso e contrario a qualsiasi visita. Ora che lui si allontanato vuole andare via anche lei. Mi guarda in faccia per la prima volta e vedo il terrore nei suoi occhi. Dice: Please, Corinne, help me, I am dying! e si alza il vestito. Dalla sua vagina pende un braccino bluastro. Cerco con tutte le mie forze di controllarmi e la rassicuro, andr subito a casa a prendere la jeep. Esco di corsa, mi fiondo in negozio per dire a Anna che devo precipitarmi a Maralal, e la prego di chiudere se mio marito non sar tornato entro le sette. Mentre corro verso la manyatta quasi non mi accorgo che gli spineti mi stanno graffiando le gambe. Lacrime di orrore e di rabbia nei confronti di mio marito mi bagnano il viso. Se solo riuscissimo ad arrivare in tempo! Quando entro in casa e Mamma vede che porto via tutte le coperte di lana e la nostra pelle e le stendo in fondo alla jeep, mi chiede cosa sta succedendo. Io, per, non ho tempo di raccontarle tutta la storia, abbiamo i minuti contati. Faccio fatica a mantenere la lucidit, corro in macchina. Do uno sguardo alla missione, ma non ci sono veicoli parcheggiati, il che significa che non c' nessuno. Allora, torno allo chalet a prendere la donna e la ragazza. E' difficile perch la donna non sta in piedi. Allora, con grande cautela, la facciamo sdraiare sulle due coperte, che sono sufficienti a proteggerla dalla fredda lamiera ma di certo non sono in grado di attutire i colpi. Poi sale la ragazza e possiamo partire. Mi fermo presso la casetta del medico per chiedere se pu venire anche il dottore, ma non c' neanche lui! Dove sono tutti quanti quando c' un'urgenza? Al suo posto c' un tizio di Maralal che si offre di unirsi. Non un samburu. E' una questione di vita o di morte, ma non posso andare troppo veloce con una donna in quelle condizioni a bordo. A ogni colpo urla, e la ragazza le sussurra qualcosa tenendole la testa in grembo. Grondo di sudore e devo anche

asciugarmi le lacrime di rabbia che mi annebbiano la vista. Questo insegnante per gelosia fa crepare sua moglie! Lui, che ogni domenica traduce la messa in chiesa, lui che sa scrivere e leggere. Stenterei quasi a crederlo se non avessi fatto un'esperienza analoga con mio marito. Evidentemente per lui la vita di una donna conta meno di quella di una capra. Se fosse in difficolt un guerriero, come accaduto a quello che abbiamo ospitato un mese fa, Lketinga reagirebbe probabilmente in modo ben diverso. Ma in questo caso si tratta solo di una donna, che non nemmeno la sua. Che cosa succeder se sorgeranno delle complicazioni anche con me? Mentre faccio questi pensieri la macchina lentamente procede. La donna perde conoscenza pi volte e a brevi intervalli smette di lamentarsi. Ormai siamo vicini alle rocce, se penso agli scossoni che ci aspettano mi viene male. Non ha nemmeno pi senso andare piano. La jeep comincia a salire e, grazie alla trazione integrale, riesce a superare i grossi massi. La donna grida spaventosamente, ma quando finisce il tratto pi accidentato si calma subito. Attraverso la giungla il pi rapidamente possibile. Poco prima del pendio della morte devo inserire di nuovo la trazione integrale, quindi la macchina comincia ad arrampicarsi. A met strada all'improvviso si inceppa il motore. Guardo subito il livello della benzina, e per fortuna ce n' abbastanza. Andiamo avanti normalmente, ma dopo un po' la macchina ha di nuovo un sussulto e si arresta del tutto, proprio accanto al tratto di pianura sul quale ero rimasta ferma l'altra volta. Disperata, cerco di riavviare la jeep senza alcun successo. In compenso si riattiva l'uomo accanto a me, scendiamo e guardiamo nel cofano. Controllo le candele, e vanno bene. La batteria piena di liquido. Dov' il problema in questa maledetta macchina? Muovo tutti i cavi e mi infilo perfino sotto per vedere se c' qualcosa che non va, ma non riesco proprio a trovare la causa. Provo e riprovo, purtroppo non funziona pi niente. Neppure le luci. Nel frattempo cala la notte e arrivano dei tafani enormi che quasi ci divorano. Ora ho davvero paura. Sul fondo della macchina la donna geme, e le coperte sono piene di sangue. Spiego al nostro compagno di viaggio che qui siamo perduti perch questa strada non viene usata quasi mai. Resta solo una possibilit, che vada a Maralal a cercare aiuto. Ma lui, da solo e senza armi, si rifiuta. Allora perdo le staffe del tutto e gli grido furiosamente che pericoloso comunque e pi tempo perde pi buio sar e pi freddo avremo. Se vogliamo avere una chance deve partire subito. Alla fine si incammina. Prima che arrivi qualcuno ci vorranno almeno due ore. Apro la macchina sul retro e cerco di parlare con la donna. Ma per poco tempo, perch perde di nuovo i sensi. Incomincia a far freddo, mi metto la giacca. A un certo punto si sveglia e chiede dell'acqua. E' molto assetata, ha tutte le labbra screpolate. Dio mio! Nella fretta ho commesso ancora una volta il gravissimo errore di non portare da bere! Metto sottosopra la macchina, alla fine trovo una bottiglia di coca-cola vuota e mi metto in cammino alla ricerca di un po' d'acqua. Ce ne deve pur essere da qualche parte con tutto questo verde! Dopo cento metri sento il rumore di un torrente ma non riesco a vedere niente per via della fitta boscaglia. Mi inoltro cautamente nei bassi cespugli, passo dopo passo, e dopo due metri il pendio diventa molto ripido. In fondo c' un ruscello, ma non

posso raggiungerlo, non riuscirei a risalire la parete di roccia scivolosa. Allora ritorno di corsa alla macchina e mi porto il tubo dei barili di benzina, mentre la donna urla come una pazza dal dolore. Incido un'estremit della canna, ci lego la bottiglia e la faccio scendere nell'acqua. Piano piano si riempie. Quando l'accosto alla bocca della donna mi accorgo che scotta, ha la febbre. E ha anche i brividi, batte i denti dal freddo. La svuota in un lampo. Vado a prendergliene dell'altra. Quando torno in macchina, la poveretta sta lanciando urla atroci, non avevo mai sentito niente di simile. La ragazza cerca di confortarla e piange. E' molto giovane, avr tredici o quattordici anni al massimo. Guardo il viso della donna e leggo nei suoi occhi la paura della morte. Muoio, muoio, Enkai balbetta. Please Corinne, help me! mi implora di nuovo. Che cosa devo fare? Non ho mai assistito a un parto, anch'io sono incinta per la prima volta. Please, take out this child, please, Corinne! Le alzo il vestito: mi trovo di fronte lo stesso spettacolo di prima. Il braccino viola ora penzola fino alla spalla. Penso che il bambino sia gi morto. E' di traverso e senza taglio cesareo non pu nascere. Piangendo le spiego che non sono in grado di aiutarla ma con un po' di fortuna fra circa un'ora arriver qualcuno. Mi tolgo la giacca e la poso sopra il corpo tremante. Dio mio, perch ci abbandoni in questo modo? Che cosa ho sbagliato, perch questa macchina ci pianta di nuovo in asso proprio oggi? Il mondo davvero ingiusto. Non ce la faccio a sopportare delle urla cos strazianti. Perdo la testa e corro disperata nel bush buio, ma poi torno subito alla macchina. Terrorizzata, la donna mi chiede il coltello. Rifletto rapidamente e poi decido di non darglielo. D'un tratto si alza dalla coperta e si accuccia con le gambe larghe. Io e la ragazza la osserviamo spaventate mentre lotta con la morte. A un certo punto avvicina le mani alla vagina, afferra il braccio e lo gira e rigira finch non viene fuori un feto prematuro violaceo che viene deposto sulla coperta di lana. Lei cade subito all'indietro sfinita e rimane sdraiata completamente rigida. Sono la prima a riprendermi, e avvolgo il feto di circa sette mesi, morto e insanguinato, in un kanga. Quindi do di nuovo dell'acqua alla donna. Ha i brividi in tutto il corpo, ma ora sprigiona una calma assoluta. Cerco di pulirle le mani e le parlo per tranquillizzarla. Nel contempo tendo l'orecchio verso il bush nella speranza di sentire qualche rumore, e dopo un po' percepisco il rombo di un motore. Poco dopo vedo la luce di due fari nella boscaglia, e mi sento veramente sollevata. Tengo in alto la mia torcia tascabile perch ci vedano. E' l'ambulanza fuoristrada dell'ospedale. Scendono tre uomini, a cui spiego cosa successo, e caricano la donna nell'ambulanza su una barella insieme al fagotto con il bambino morto. Anche la ragazza va con loro. L'autista da un'occhiata alla mia macchina, gira la chiave e capisce subito cosa non va. Mi fa vedere un filo che penzola dietro al volante, si strappato il cavo di accensione. In un minuto lo riattacca e il motore si riavvia. Mentre gli altri vanno verso Maralal io torno a casa. Raggiungo la nostra manyatta totalmente sfinita e sconvolta. Mio marito vuole sapere perch sono tornata cos tardi. Cerco di raccontarglielo ma mi accorgo che non mi crede. Sono disperata, non capisco perch reagisce cos e ha cos

poca fiducia in me. Dopotutto non colpa mia se la macchina si guasta sempre quando lui non c'. Interrompo la discussione e mi metto a dormire. Il giorno seguente vado a lavorare di malavoglia. Appena apro spunta l'insegnante, che mi ringrazia calorosamente per l'aiuto ma non chiede neanche come sta la moglie. Che ipocrita! Dopo un po' viene padre Giuliano e si fa raccontare tutto. E' molto dispiaciuto per quello che abbiamo passato, e il fatto che mi rimborsi generosamente il viaggio non basta a farmi sentire meglio. Le notizie, per, sono discrete. Pare che la donna nel complesso stia bene, lo ha saputo attraverso la radiotrasmittente. Lo stress del negozio mi stanca pi di quanto voglia ammettere. Dopo quell'esperienza vivo male e riguardo alla mia gravidanza ho degli incubi terribili. Dopo tre giorni sono talmente a pezzi che mando Lketinga in negozio da solo, lo aiuter Anna. Io rimango seduta con Mamma sotto il grande albero. Nel pomeriggio passa il medico e mi racconta che la moglie dell'insegnante fuori pericolo, ma deve rimanere a Maralal ancora qualche settimana. Parliamo un po' di quello che successo, lui cerca di tranquillizzarmi dicendomi che la donna non voleva il bambino e ha fatto guastare la macchina con il pensiero. Mentre se ne va, mi chiede perch sono cos preoccupata. Gli rispondo che mi sento fiacca, saranno le troppe emozioni. Lui si preoccupa, teme che io abbia la malaria perch nei miei occhi c' una puntina di giallo. Paura per il mio bambino. La sera viene macellata una pecora. Mamma prepara la nostra parte facendo semplicemente bollire alcuni pezzi di carne nell'acqua. Beviamo diverse tazze di quella brodaglia grassa e insipida, Mamma dice che l'ideale per una donna incinta perch da molta forza, ma io evidentemente non la digerisco. Durante la notte mi viene la diarrea. Riesco a svegliare mio marito appena in tempo e lui mi aiuta a crearmi un varco nello spineto. Tuttavia, non riesco a percorrere pi di venti metri, non ce la faccio proprio. Quando ho finito mi trascino di nuovo nella nostra manyatta. Lketinga seriamente preoccupato per me e il nostro bambino. La mattina dopo mi succede la stessa cosa e devo anche rimettere. Nonostante il gran caldo ho i brividi. Mi accorgo anch'io che ho gli occhi gialli e mando Lketinga alla missione. Ho paura per il mio bambino, sono sicura di essere prossima a un nuovo attacco di malaria. Dopo circa dieci minuti sento arrivare una macchina e padre Giuliano entra nella nostra capanna. Quando mi vede, mi chiede cosa successo. Gli comunico che sono al quinto mese di gravidanza, e lui sorpreso, non se n'era accorto. Si offre subito di portarmi all'ospedale della missione di Wamba perch rischio di partorire prematuramente e di perdere il bambino. Preparo alcune cose e partiamo subito. Lketinga rimane per tenere aperto il negozio. La macchina di padre Giuliano decisamente pi comoda della mia. La sua guida a dir poco sportiva, ma conosce molto bene la strada. Faccio fatica a tenermi perch con una mano devo sostenermi la pancia. Anche se ci vogliono quasi tre ore, durante il viaggio non parliamo molto. Ad attenderci

ci sono due infermiere bianche che mi aiutano a raggiungere l'ambulatorio, dove mi fanno sdraiare su un lettino. L'ordine e la pulizia sono sorprendenti. Ci nonostante mi prende una grande tristezza e quando padre Giuliano entra per congedarsi mi vengono le lacrime agli occhi. Lui si allarma e mi chiede cosa c'. Non lo so neanch'io. Ho paura per il mio bambino. E poi ho lasciato mio marito solo in negozio. Cerca di tranquillizzarmi e promette di trasmettere le novit all'infermiera con la radio. E cos comprensivo che mi viene di nuovo da piangere. Chiama un'infermiera che mi fa un'iniezione. Poi viene a visitarmi il medico e quando gli dico a quale mese di gravidanza sono dice preoccupato che sono troppo magra, anemica, e che il bambino troppo piccolo. Quindi formula la diagnosi, malaria allo stadio iniziale. Impaurita, chiedo quali conseguenze potranno esserci per il mio bambino. Lui mi tranquillizza dicendo che se riprendo le forze andr tutto a posto. Se fossi arrivata pi tardi avrei avuto un parto prematuro a causa dell'anemia ma, stando cos le cose, ci sono buone speranze e in ogni caso il bambino vivo. Le sue parole mi rallegrano a tal punto che mi sento gi meglio. Vengo ricoverata nel reparto maternit in una stanza a quattro letti. Fuori i cespugli si riempiono di fiori rossi, tutto diverso da Maralal. Sono felice di aver agito in tempo. La suora mi spiega che mi faranno due iniezioni al giorno e mi metteranno una flebo con soluzione di cloruro di sodio per evitare che il corpo si asciughi troppo. Allora si fa cos a guarire la malaria: solo ora capisco che a Maralal ho rischiato davvero la vita. La devozione con cui le suore si prendono cura di me commovente. Il terzo giorno mi tolgono la flebo, ma dovr sopportare le iniezioni per altri due giorni. Le suore mi dicono che in negozio va tutto benone. Mi sento rinata, non vedo l'ora di tornare a casa da mio marito. Il settimo giorno viene a trovarmi con due guerrieri. Mi fa molto piacere, ma non sono contenta che abbia lasciato il negozio. No problem, Corinne, my brother is there! risponde ridendo. Poi racconta di aver cacciato Anna perch ci derubava e a volte regalava la merce. Non posso crederci e gli chiedo sconcertata chi mi aiuter in futuro. Ha assunto un ragazzo, che sorveglieranno lui e suo fratello. Mi viene quasi da ridere, non capisco come due analfabeti possano controllare i conti di una persona che ha studiato. Inoltre, aggiunge, il negozio quasi vuoto. Per questo venuto con la jeep, proseguir fino a Maralal con i due guerrieri per cercare un camion. Sono atterrita. Gli chiedo: Con quale denaro?, e lui mi mostra la borsa piena di banconote, ha ritirato tutto da padre Giuliano. Rifletto rapidamente sul da farsi: se va a Maralal con questi due lo spenneranno. Le banconote sono sparse nella borsa di plastica, e lui non sa nemmeno quante sono. Nel bel mezzo delle mie riflessioni arriva il medico e i guerrieri devono uscire. Secondo il dottore la malaria per questa volta stata sconfitta. Io gli chiedo di dimettermi e lui mi promette che domani me ne potr andare, ma mi avverte che non devo lavorare troppo. Devo presentarmi in ospedale al pi tardi tre settimane prima dello scadere dei nove mesi. Sono contenta di poter uscire e lo comunico subito a Lketinga. Anche lui felice e promette di venire a prendermi.

Stanotte dormiranno in un albergo a Wamba. Per il viaggio a Maralal mi metto al volante io e, come sempre quando sono con mio marito, non ci sono problemi. Possiamo prenotare un camion gi per il giorno seguente. Nell'albergo conto il denaro che ha portato Lketinga. Purtroppo devo constatare che per pagare il carico mancano alcune migliaia di scellini del Kenya. Gli chiedo perch, ma lui risponde in modo evasivo che c' ancora della merce in deposito. Cos, invece di mettere in banca i miei guadagni, dovr prelevare altro denaro. Ma sono contenta di tornare a casa a Barsaloi, in fondo sono mancata soltanto dieci giorni. Il camion prende la strada lunga accompagnato da uno dei guerrieri, noi attraversiamo la giungla. Sono felice di essere con mio marito e fisicamente sto molto meglio, mi ha fatto bene mangiare regolarmente all'ospedale. Sul pendio della morte. Strada facendo ci accorgiamo che prima di noi passato qualcun altro. Sulla strada ci sono delle tracce di pneumatico fresche e Lketinga capisce dalla loro forma che deve trattarsi di veicoli provenienti da fuori. Attraversiamo il pendio della morte senza problemi. Cerco di rimuovere i ricordi della terribile vicenda dell'aborto e del bambino morto. Faccio l'ultima curva prima delle rocce e devo frenare di colpo. Sulla carreggiata ci sono due vecchie jeep militari, e in mezzo a loro diversi bianchi agitati. E' impossibile passare, cos scendiamo a vedere cosa successo. Si tratta di un gruppo di giovani italiani accompagnati da un africano. Un ragazzo singhiozza seduto sotto il sole cocente e due giovani donne gli parlano in tono concitato. Anche i loro visi sono bagnati di lacrime. Lketinga discute con l'africano e io cerco di rispolverare un po' di italiano. Quello che mi raccontano mi fa venire la pelle d'oca nonostante i quaranta gradi all'ombra. Quasi due ore fa la ragazza del giovane che piange si era inoltrata nella fitta boscaglia accanto alla roccia per fare i suoi bisogni. Si erano fermati convinti che la strada finisse l. Dopo aver percorso non pi di due metri la donna era precipitata nell'abisso davanti ai loro occhi. Avevano sentito urlare lungamente e poi un tonfo. Da allora non aveva pi dato segni di vita malgrado avessero continuato a chiamarla e avessero anche provato a scendere nella gola. Mi vengono i brividi perch so che in questo caso non ci sono speranze. Il ragazzo chiama ancora una volta la sua fidanzata. Sono molto scossa e vado da mio marito. Anche lui confuso, dice che sicuramente morta perch il precipizio alto circa cento metri e in fondo c' il letto di un fiume in secca che pieno di pietre. Nessuno mai sceso fin laggi. Sembra che gli italiani ci abbiano provato perch in terra ci sono diverse funi legate tra loro. Le due donne cercano di calmare il ragazzo distrutto, che tutto sudato, tremante e con la testa scottata, resta seduto sotto il sole cocente. Mi avvicino e gli consiglio di mettersi sotto gli alberi, ma lui non mi ascolta e continua a urlare a bocca spalancata. Mi giro verso Lketinga e noto che sta riflettendo. Allora mi precipito da lui e gli chiedo che cosa ha in mente. Sta cercando un modo per scendere nel precipizio con il guerriero e riportare su la donna. Mi prende il panico e cerco di trattenerlo:

No, Darling, that's crazy, don't go, it is very dangerous!. Ma Lketinga mi allontana energicamente. L'uomo in lacrime si avvicina subito e mi rimprovera perch voglio impedire a Lketinga di aiutarlo, ma io gli rispondo furiosa che vivo qui e quello mio marito. Fra tre mesi sar padre, e non ci penso proprio a tirare su un figlio senza di lui. Intanto, per, Lketinga e l'altro guerriero stanno gi iniziando la pericolosa discesa da circa cinquanta metri pi in alto. L'ultima cosa che vedo sono i loro visi impassibili. I samburu evitano i morti, non osano nemmeno parlarne. Mi siedo all'ombra da sola e piango in silenzio. E' passata mezz'ora e ancora non ci sono novit. Ho sempre pi paura, non ce la faccio pi. Un italiano sta di vedetta nel punto dove hanno iniziato la discesa. A un certo punto viene da noi tutto agitato e dice di aver visto i due sull'altro lato della gola con una specie di barella. Ne viene fuori un subbuglio isterico. Passano altri venti minuti prima che i due, esausti, escano dal bush. Alcuni gli vanno subito incontro e li aiutano a portare la rudimentale barella, costruita alla bell'e meglio con un kanga di Lketinga e due lunghi rami. Dall'espressione dei masai capisco che la donna morta. Anch'io getto uno sguardo sul corpo sdraiato, molto giovane e i lineamenti del viso sono rilassati. Se non fosse per l'odore dolciastro che il corpo a queste temperature emana gi dopo tre ore, si potrebbe pensare che stia dormendo. Mio marito parla brevemente con l'accompagnatore africano del gruppo, quindi gli italiani spostano da un lato le loro jeep. Lketinga prende la chiave, vuole guidare lui. Ogni protesta da parte mia sarebbe inutile viste le condizioni in cui si trova. Promettiamo che informeremo la missione e proseguiamo tra le rocce. In macchina regna un silenzio assoluto. Quando arriviamo al primo fiume i due scendono e si lavano per quasi un'ora, una specie di rituale funebre. Finalmente proseguiamo, gli uomini scambiano solo qualche parola. Arriviamo a Barsaloi poco prima delle sei. Davanti al negozio gi stata scaricata pi di met della merce, il guerriero che era sul camion e il fratello di Lketinga controllano che tutto si svolga regolarmente. Apro il negozio, proprio sudicio. Ci sono farina di mais e cartoni vuoti sparsi dappertutto. Mentre Lketinga mette in ordine, io vado dal missionario. E' sorpreso dell'accaduto, aveva gi sentito qualcosa via radio, ma la trasmissione non era chiara e non aveva capito bene. Sale immediatamente sul suo landcruiser e parte di corsa. Vado a casa, dopo tutte queste emozioni non ce la farei a sopportare il trambusto del negozio. Mamma vuole sapere perch arrivato prima il camion di noi, ma non sono in grado di spiegarglielo bene. Preparo il chai e mi sdraio. I miei pensieri sono tutti per l'incidente e mi ripropongo di non usare mai pi quella strada, potrebbe essere pericoloso nelle mie condizioni. Verso le undici Lketinga rincasa con i due guerrieri. Preparano insieme una pentola piena di polenta e si mettono a parlare, ma l'unico argomento dei loro discorsi la terribile disgrazia. A un certo punto, non saprei dire quando, mi addormento. La mattina dopo vengono a chiamarci alcuni clienti per andare ad aprire il negozio. Vado gi presto perch sono curiosa di vedere il nostro nuovo collaboratore, che sostituisce

Anna. Mio marito mi presenta il ragazzo, che mi sommamente antipatico dal primo momento: non solo sgradevole di aspetto, ha anche l'aria di uno scansafatiche. Cerco di celare questo mio pregiudizio perch ho proprio bisogno di una mano, se non voglio perdere il bambino non posso pi lavorare tanto. Ma lui rende la met di Anna e un cliente su due chiede di lei. A questo punto Lketinga mi deve dire perch a Maralal non avevamo abbastanza denaro, basta dare uno sguardo in deposito per capire che le scorte non compensano l'ammanco. Lui tira fuori tutto fiero un quadernetto e mi fa vedere i crediti che ha concesso a diverse persone. Alcune le conosco, di altre non riesco nemmeno a decifrare il nome. Sono contraria, prima di aprire il negozio mi ero ripromessa di non farlo mai. Si immischia anche il ragazzo, dicendo che lui conosce bene tutti, non c' problema. Ma io non sono d'accordo lo stesso. Lui mi ascolta annoiato, quasi sprezzante, e questo mi fa infuriare ancora di pi. Alla fine ci si mette anche mio marito, dice che questo un negozio samburu e lui deve aiutare la sua gente. Ancora una volta mi tocca fare la figura della cattiva, avida bianca, mentre invece sto solo lottando per la sopravvivenza. Il denaro che ho in Svizzera non sufficiente nemmeno per due anni, cosa faremo quando sar finito? Lketinga lascia il negozio, non mi sopporta quando sono un po' pi energica del solito. Naturalmente ci guardano tutti, non normale che una donna alzi la voce. Quel giorno sorgono dispute interminabili con i clienti che contavano sul credito, e i pi ottusi si fermano in negozio ad aspettare mio marito. Con il nuovo commesso il lavoro molto meno divertente che con Anna. Non mi fido di lui e non oso quasi andare al gabinetto per paura di essere derubata. Mio marito ricompare solo verso sera e cos, gi il primo giorno, ho lavorato pi di quanto dovrei. Mi fanno male le gambe, e ancora una volta non ho mangiato niente fino a sera. A casa mancano acqua e legna da ardere. Se penso al periodo in ospedale con tre pasti al giorno senza dover cucinare mi viene quasi nostalgia. Mi stanco pi rapidamente di prima, dovremo prendere dei provvedimenti. Il chai la mattina e la cena non sono sufficienti a recuperare le forze. Anche Mamma pensa che dovrei mangiare molto di pi, altrimenti il bambino nascer con dei problemi. Quindi decidiamo di trasferirci al pi presto nel retro del negozio. Purtroppo dovremo lasciare la nostra bella manyatta dopo soli quattro mesi. La daremo a Mamma, che ne molto felice. Sul prossimo camion a noleggio oltre alla merce caricheremo un letto e un tavolo con le sedie per poter cambiare alloggio al pi presto. Se ci penso non vedo l'ora, dormire in terra mi fa venire il mal di schiena. E pensare che per pi di un anno non mi ha dato il minimo fastidio. Da un paio di giorni in cielo sono comparse alcune nuvole. Aspettano tutti la pioggia, la campagna completamente secca. Il terreno pieno di crepe ed duro come la pietra. I casi di leoni che attaccano le mandrie in pieno giorno aumentano. I bambini che le custodiscono in genere si fanno prendere dal panico e corrono a casa a chiamare aiuto abbandonando le bestie. Spesso anche mio marito gira per tutto il giorno con il nostro gregge, cos devo stare sempre in negozio a controllare il ragazzo e a dargli una

mano. La grande pioggia. Il quinto giorno dalla comparsa delle nuvole cadono le prime gocce. E' domenica e siamo in festa. Cerchiamo di proteggere alla svelta la manyatta con teloni di plastica, ma difficile per via del vento a raffiche. Mamma lotta per la sua capanna, noi per la nostra. A un certo punto comincia a scrosciare la pioggia. Non avevo mai visto un temporale del genere in vita mia, dopo poco tempo tutto allagato. Il vento fa penetrare aria umida da tutte le fessure, dobbiamo spegnere il fuoco perch volano scintille dappertutto. Mi copro bene e in qualche modo riesco a scaldarmi. Dopo un'ora, nonostante la plastica, da alcuni punti cominciano a entrare delle gocce d'acqua. Non oso pensare come sar da Mamma e Saguna! L'acqua sale sempre pi e sta quasi per raggiungere il nostro giaciglio. Scavo per terra con una tazza perch il livello non cresca ulteriormente. Fuori, il vento sferza i teloni di plastica fin quasi a strapparli e l'acqua scroscia come in un torrente impetuoso. A un certo punto comincia a penetrare anche dai lati. Sposto le nostre cose il pi in alto possibile e pigio le coperte nel borsone da viaggio perch almeno loro non si bagnino. Dopo circa due ore, il baccano si interrompe improvvisamente. Usciamo carponi, la campagna irriconoscibile. Alcune capanne sono state quasi scoperchiate e le capre sono allo sbando. Mamma bagnata fradicia davanti alla sua capanna completamente allagata, e Saguna seduta in un angolo che trema e piange. La porto da noi e la avvolgo in una mia maglietta asciutta. La gente abbandona i propri alloggi. L'acqua ha creato veri e propri torrentelli che ora scendono in direzione del fiume. A un certo punto sento un frastuono. Spaventata guardo Lketinga e chiedo cosa stato. Avvolto nella sua coperta rossa, risponde ridendo che l'ondata proveniente dal monte che si riversata nel fiume. Assomiglia al rumore di una grande cascata. Lketinga vorrebbe che andassimo insieme al grande fiume, ma Mamma non d'accordo e ci esorta risolutamente a lasciar perdere. Cos passiamo dall'altra parte, dove si era insabbiato il camion. Il fiume adesso largo circa venticinque metri. L'altro sar certamente almeno il triplo. Lketinga si tira sulla testa la coperta di lana mentre io indosso - per la prima volta da quando sono qui - i jeans, una maglia e la giacca. Le poche persone che incontriamo si stupiscono del mio abbigliamento, non hanno mai visto una donna che porta pantaloni. Devo tenerli su a mano, non posso abbottonarli a causa del pancione. C' un rumore cos assordante che quasi non riusciamo a sentirci. Quindi vedo il fiume impetuoso. E' molto diverso, quasi irriconoscibile. La massa d'acqua bruna strappa tutto quello che incontra sulla sua strada portando con s cespugli e pietre. La forza della natura mi lascia senza parole. A un certo punto mi sembra di percepire delle urla e chiedo subito conferma a Lketinga. Risponde di no. Di nuovo sento chiaramente qualcuno che chiama aiuto e questa volta se n' accorto anche lui. Ma da dove? Corriamo lungo la sponda superiore della riva stando ben attenti a non scivolare. Dopo alcuni metri ci troviamo di fronte alla tragedia. In

mezzo al fiume, su un gruppo di rocce, ci sono due bambini immersi nell'acqua impetuosa fino al collo. Lketinga non esita un attimo, grida loro qualcosa e intanto scende per la scarpata. E' terribile, l'acqua si sta alzando e alcune ondate ricoprono completamente le loro teste, si vedono solo le manine aggrappate alla roccia. So che mio marito ha paura dell'acqua profonda e non sa neppure nuotare. Se cade nel fiume in piena perduto, ma d'altronde non potrebbe fare altrimenti, sono fiera che rischi la vita per salvarli. Prende un lungo bastone, si spinge verso i bambini lottando contro le onde, e intanto continua a gridargli qualcosa. Io non posso fare altro che pregare. Raggiunta la roccia, afferra la ragazzina per la schiena e la riporta faticosamente verso la riva. Sconvolta, guardo il ragazzo, che sta per essere sommerso completamente. Vado incontro a mio marito per occuparmi della bambina e lasciarlo libero di tornare da lui. Pesa molto, mi costa parecchia fatica fare i due metri fino alla riva. La poso in terra e le metto subito la mia giacca, congelata. Il mio amore salva anche il ragazzino, che ha bevuto parecchia acqua. Lketinga si mette subito a massaggiarlo e io faccio la stessa cosa con la bambina. Lentamente le rigide estremit dei loro corpicini si ammorbidiscono. Ma il ragazzo scioccato, non riesce a camminare, e cos Lketinga lo porta a casa in braccio, mentre io aiuto la bambina. Se penso che si sono salvati per un pelo mi viene la pelle d'oca. Quando sente la storia, Mamma guarda male i bambini e li sgrida. Scopriamo che erano in giro con il gregge e volevano attraversare il fiume, ma sono stati sorpresi dall'ondata. Molte capre sono state portate via, alcune si sono salvate saltando sulla riva. Mio marito mi spiega che la massa d'acqua pi alta di lui e arriva dai monti cos all'improvviso e con una tale rapidit che chiunque si trovi sul fiume in quel momento spacciato. Ogni anno affogano molte persone e animali. I bambini restano da noi ma non possiamo nemmeno offrirgli del t caldo perch la legna si bagnata. Andiamo a vedere in che condizioni il negozio. La veranda coperta da uno spesso strato di fango, ma all'interno, salvo due piccole pozzanghere, tutto asciutto. Ci dirigiamo verso la casa del chai, ma neanche l troviamo del t. Lo scroscio dell'acqua fortissimo. Alla fine decidiamo di andare gi. E' incredibile. Anche Roberto e Giuliano stanno contemplando la violenza dell'acqua. Racconto brevemente l'episodio dell'altro fiume, e per la prima volta padre Giuliano va da mio marito e lo ringrazia con una stretta di mano. Sulla via del ritorno torniamo in negozio e prendiamo la stufetta e un po' di carbone di legna. Cos almeno riusciremo a preparare del t caldo per tutti. La notte difficile, c' molta umidit. Ma la mattina dopo splende gi il sole. Stendiamo vestiti e coperte al caldo sopra gli spineti. Il giorno seguente il paesaggio ancora diverso, ma questa volta la trasformazione stata lenta e silenziosa. Spuntano fiori dappertutto, cos rapidamente che quasi possibile vederli crescere, e migliaia di farfalline bianche si librano nell'aria come fiocchi di neve. E' meraviglioso poter partecipare al risveglio della vita in questo luogo cos arido. Dopo una settimana Barsaloi diventata un mare di fiori viola. Ma ci sono anche dei lati negativi. Di sera arrivano

moltissime zanzare ronzanti e dobbiamo dormire sotto la zanzariera. La situazione cos grave che sono costretta ad accendere uno zampirone nella manyatta. Sono passati dieci giorni dalla grande pioggia e siamo ancora isolati dal mondo a causa della piena dei due fiumi. Attraversarli a piedi gi possibile, ma sconsigliabile rischiare con la macchina. Giuliano mi ha detto che sono gi rimasti bloccati alcuni veicoli, e le sabbie mobili li hanno lentamente inghiottiti. Qualche giorno pi tardi ci arrischiamo a fare un viaggio a Maralal. Prendiamo la strada lunga perch quella attraverso il bosco bagnata e scivolosa. Questa volta non ci danno il camion subito, purtroppo dovremo pernottare quattro giorni. Andiamo a trovare Sofia, che sta abbastanza bene. E' diventata cos grossa che quasi non riesce a piegarsi. Di Jutta non ha pi avuto notizie. Io e Lketinga passiamo molto tempo nell'albergo turistico, particolarmente affascinante osservare la pozza d'acqua con gli animali selvatici. Abbiamo tanto tempo. L'ultimo giorno compriamo un letto e un materasso, un tavolo con quattro sedie e un piccolo armadio. Purtroppo i mobili sono meno belli di quelli di Mombasa e pi cari. L'autista non contento di dover caricare anche queste cose, ma io ho pagato una bella cifra per l'affitto del camion. Lo seguiamo, e questa volta raggiungiamo Barsaloi dopo quasi sei ore senza problemi, non stato nemmeno necessario cambiare una gomma. Per prima cosa sistemiamo i mobili sul retro, quindi scarichiamo le merci come al solito. Trasloco dalla manyatta. Il giorno seguente ci trasferiamo in negozio. C' un caldo opprimente e i fiori sono scomparsi, le capre non ne hanno risparmiato uno. Cambio la disposizione dei mobili pi volte, ma non sono capace di ricreare l'atmosfera accogliente della manyatta. D'altra parte, avr molte comodit in pi e pasti regolari, il che a questo punto assolutamente indispensabile. Dopo la chiusura Lketinga fa un salto a casa a salutare i suoi animali e io preparo un invitante stufato con patate fresche, rape e cavoli. La prima notte dormiamo male entrambi anche se siamo comodamente sdraiati su un letto. Il tetto di lamiera fa rumore e ci impedisce di prender sonno. Alle sette di mattina qualcuno bussa alla porta. Lketinga va a vedere, un ragazzino che vuole dello zucchero. Benevolmente gliene da mezzo chilo e chiude di nuovo a chiave. Adesso pi facile sbrigare la toilette mattutina perch posso lavarmi agevolmente in una bacinella. Il gabinetto dista solo cinquanta metri. Qui la vita pi comoda, ma anche meno romantica. Ogni tanto, quando Lketinga in negozio, posso sdraiarmi un po', e quando cucino posso sempre controllare se entra qualcuno. Per una settimana procede tutto a meraviglia. Ho una ragazza che mi va a prendere l'acqua alla missione. Non gratis ma cos posso evitare di andare al fiume. Inoltre, quella della missione molto pi limpida e pulita. Ben presto la notizia che viviamo in negozio si diffonde e arrivano continuamente clienti a mendicare acqua potabile. Nelle manyatta si soliti esaudire questo desiderio, ma gi a mezzogiorno di venti litri non rimasto quasi nulla.

I guerrieri entrano senza sosta e si siedono sul nostro letto ad aspettare Lketinga per bere il t e mangiare. Finch il negozio pieno di generi alimentari non posso nemmeno accampare la scusa che non abbiamo niente. Queste visite creano un grande disordine. Ovunque ci sono padelle sporche e ossa rosicchiate e le pareti sono piene di saliva marrone. La mia coperta di lana e il materasso sono macchiati del trucco rosso dei guerrieri. Mi sento sfruttata, e litigo spesso con mio marito. Talvolta mi da ragione e li manda da Mamma, ma altre volte non capisce proprio e scompare con loro. Anche per lui difficile gestire la nuova situazione. Dobbiamo trovare un modo per non infrangere le regole dell'ospitalit senza permettere a nessuno di abusarne. Ho fatto amicizia con la moglie del veterinario, qualche volta mi invita a prendere il t da loro. Cerco di spiegarle il mio problema e con mia grande meraviglia capisce subito. Dice che questo il modo di fare della gente delle manyatta, ma nella town l'obbligo dell'ospitalit molto limitato. Vale per parenti e amici intimi, non per chi passa di l per caso. Alla sera lo comunico a Lketinga e lui mi promette che in futuro si comporter di conseguenza. Nelle prossime settimane ci saranno diverse feste di nozze nel circondario. Per lo pi sono uomini anziani che prendono moglie per la terza o quarta volta. Si tratta di ragazze molto giovani, e dai loro volti si vede che non sono felici. Non raro che la differenza d'et sia di trent'anni e pi. Le pi fortunate sono quelle che si sposano per la prima volta con un guerriero. Le nostre scorte di zucchero si esauriscono rapidamente perch spesso il pagamento per la sposa comprende anche cento chili di zucchero e ne serve molto anche per la festa. Cos ci rimangono solo sacchi di farina di mais. Due guerrieri che devono sposarsi fra quattro giorni sono disperati perch non ce n' pi nemmeno dai somali. A malincuore decido quindi di partire per Maralal, e per fortuna il veterinario mi accompagna. Prendiamo di nuovo la via pi lunga. Lui va a ritirare la sua paga, io compro rapidamente lo zucchero e la miraa che ho promesso a Lketinga. Il veterinario si fa attendere. Quando ricompare sono gi quasi le quattro. Propone di prendere la strada attraverso la giungla. L'idea non mi sorride, dopo la grande pioggia non l'ho pi percorsa. Ma secondo lui tutto asciutto anche l. Quindi partiamo. Attraversiamo diverse grosse pozzanghere piene di fango, ma con la trazione integrale non c' problema. Sul pendio della morte la strada ha un aspetto molto diverso. L'acqua ha portato via molta terra e si sono formati grandi fossi. In cima alla salita scendiamo dalla jeep e facciamo il percorso a piedi per vedere da dove possiamo passare. A parte una crepa larga non meno di trenta centimetri che attraversa tutta la strada, con un po' di fortuna ce la faremo anche su questo tratto. Proviamo. Guido dove la strada rialzata sperando di non scivolare in qualche fosso, altrimenti ci bloccheremo nel fango. Per fortuna ce la facciamo, almeno le rocce non sono scivolose. La macchina procede a sobbalzi e rumorosamente sui grandi massi, ma il peggio passato, mancano solo venti metri di pietrisco. D'un tratto sento un rumore di lamiera sotto la macchina. In un primo momento faccio finta di niente, poi mi devo

fermare perch l'inquietante segnale non accenna a diminuire. Scendiamo ma da fuori non si vede niente. Allora guardo sotto, proprio un bel guaio. Da un lato si sono rotte tutte le molle salvo due, praticamente siamo senza ammortizzatori. Il rumore provocato dai pezzi rotti che strascicano per terra. Di nuovo ferma in macchina! Mi arrabbio con me stessa per essermi fatta indurre a prendere questa strada. Il veterinario suggerisce di continuare come se niente fosse, ma io lo escludo e rifletto sul da farsi. Prendo le corde dalla macchina e vado a cercare dei pezzi di legno. Quindi leghiamo insieme le molle alla bell'e meglio e le fissiamo alla carrozzeria. In mezzo mettiamo i pezzi di legno affinch le funi non si strappino. Procedo lentamente fino alle prime capanne e scarichiamo quattro sacchi su cinque nella prima manyatta che troviamo. Il veterinario si raccomanda con i padroni di non aprirli. Con grande cautela andiamo avanti fino a Barsaloi. Sono cos stanca di questo maledetto veicolo che mi viene il mal di stomaco. Per fortuna arriviamo in negozio senza ulteriori incidenti. Lketinga si infila subito sotto la macchina per accertarsi che quello che diciamo sia vero. Non capisce perch abbiamo scaricato lo zucchero e mi garantisce gi ora che non lo riavremo. Vado a sdraiarmi perch sono terribilmente stanca. La mattina dopo faccio visita a padre Giuliano per fargli vedere la macchina. Un po' seccato mi dice che lui non un meccanico. Per saldare di nuovo i pezzi dovrebbe smontarla, ma in questo momento non ha il tempo di farlo. Prima che aggiunga qualcos'altro torno a casa delusa. Mi sento abbandonata da tutti. Senza l'aiuto di padre Giuliano non raggiunger mai Maralal con la jeep. Lketinga mi chiede che cosa ha detto, e quando gli racconto che non pu aiutarci, risponde che lui l'ha sempre sostenuto che quell'uomo non veramente buono. Io non lo vedo cos male, dopotutto ci ha tirato spesso fuori dai guai. Lketinga e il ragazzo stanno in negozio, io dormo tutta la mattina. Non mi sento per niente bene. Lo zucchero finito da tempo e faccio molta fatica a trattenere mio marito dall'andare a Maralal con la macchina guasta. Verso sera arriva il guardiano di padre Giuliano e ci comunica che adesso possiamo portarla alla missione. Felice che ci abbia ripensato, mando Lketinga perch sto preparando la cena. Alle sette chiudiamo il negozio ma lui non ancora tornato. In compenso ad aspettare davanti alla porta di casa ci sono due guerrieri che non conosco. Quando finalmente arriva ho gi mangiato. E' stato da Mamma a dare un'occhiata agli animali. Sorridendo, mi porge le mie prime due uova. La mia gallina le fa solo da ieri. Cos posso arricchire la mia dieta. Preparo il chai per gli ospiti e sfinita mi infilo a letto sotto la zanzariera. I tre mangiano, bevono e chiacchierano, io sonnecchio. Durante la notte mi sveglio in un bagno di sudore, e ho sete. Mio marito non accanto a me, e non riesco a trovare la torcia tascabile. Cos scendo dal letto e mi dirigo tastoni verso la tanica dell'acqua, ma inciampo in qualcosa per terra. Prima di riuscire a capire di cosa si tratta sento il solito grugnito. Irrigidita dallo spavento dico: Darling?. Alla luce della torcia tascabile che finalmente sono riuscita a trovare riconosco i tre uomini che dormono in terra, uno di loro Lketinga. Faccio attenzione a non calpestarli e

raggiungo la tanica dell'acqua. Quando torno a letto ho il batticuore. Con questi estranei nella stanza non riesco pi a prendere sonno. La mattina dopo ho talmente freddo che rimango sotto la coperta. Lketinga prepara il chai per tutti, sono contenta di bere qualcosa di bollente, e i tre ridono con gusto dell'esperienza notturna. Il ragazzo oggi in negozio da solo perch Lketinga andato a una cerimonia e io rimango a letto. A mezzogiorno passa padre Roberto e ci porta gli altri quattro sacchi di zucchero. Vado in negozio a ringraziarlo, ma mi vengono subito le vertigini e mi devo sdraiare di nuovo. Non mi va che il ragazzo resti solo, ma mi sento troppo male per controllarlo. Mezz'ora dopo l'arrivo dello zucchero c' la solita baraonda. Sono a letto, ma con tutto quel baccano e quegli schiamazzi di dormire non se ne parla. Alla sera chiudiamo il negozio e rimango sola. Avrei proprio voglia di andare da Mamma, ma ho di nuovo freddo. Non me la sento di cucinare per me sola e cos mi metto sotto la zanzariera, anche perch le zanzare sono sempre numerose e aggressive. Durante la notte mi vengono pi volte i brividi. Batto i denti cos forte che di sicuro mi sentiranno anche nelle capanne vicine. Perch Lketinga non viene a casa? La notte non vuole passare. In certi momenti ho terribilmente freddo, in altri sudo. Dovrei andare al gabinetto ma ho paura a uscire da sola. E' urgente e cos orino in un barattolo vuoto. La mattina dopo, di buon'ora, bussano alla porta. Chiedo chi perch non ho voglia di aprire il negozio cos presto, e mi risponde la voce familiare del mio amore. Capisce subito che c' qualcosa che non va, ma lo tranquillizzo perch non voglio disturbare continuamente quelli della missione. E' su di giri, mi racconta della cerimonia nuziale di un guerriero e mi riferisce che fra due giorni circa ci sar un safari-rally, ha gi visto qualche macchina. Probabilmente oggi verranno da noi alcuni piloti a esplorare il percorso per Wamba. E' incredibile, ma nonostante le mie condizioni mi lascio contagiare. Poi Lketinga va a vedere a che punto sono con la nostra macchina ma ancora non pronta. Verso le due sento un baccano infernale, ma ci vuole un po' per raggiungere l'ingresso del negozio e cos riesco solo a vedere una nuvola di polvere che si dirada lentamente. E' sfrecciato il primo pilota, e dopo pochi minuti mezza Barsaloi per strada. Circa mezz'ora pi tardi passa a grande velocit una seconda e poco dopo una terza macchina. E' strana la sensazione di essere raggiunti dalla civilt qui, in capo al mondo, dove la vita cos diversa. Aspettiamo ancora a lungo, per lo spettacolo per oggi finito. Si trattava di veicoli di prova, fra due giorni si dice che passeranno di corsa trenta macchine e anche pi. Mi fa piacere avere questo svago, anche se devo stare a letto perch ho la febbre alta. Lketinga cucina per me, ma sto male solo a guardare il cibo. Il giorno prima del rally sto malissimo e svengo pi di una volta. Non sento pi il bambino da diverse ore, mi viene il panico e lo comunico a mio marito tra le lacrime. Atterrito, si allontana e dopo un po' ritorna con Mamma, che mi palpa la pancia e nel frattempo mi parla, scura in volto. Piangendo chiedo a Lketinga cosa succede. Ma lui rimane seduto con l'aria perplessa e parla solo con Mamma. Alla

fine mi spiega, sua madre crede che io sia stata colpita dal malocchio, continuo ad ammalarmi perch qualcuno vuole ucciderci entrambi, me e il nostro bambino. Vogliono sapere qual stata l'ultima persona anziana con cui ho parlato in negozio, se sono venuti dei vecchi somali, se uno di loro mi ha toccato o mi ha sputato addosso oppure se qualcuno mi ha mostrato la lingua nera. Mi sommergono di domande, divento quasi isterica dalla paura. E ho una frase nella testa che mi ossessiona: il mio bambino morto! Mamma ci lascia promettendo di tornare con una buona medicina. Non so per quanto tempo sono rimasta sul letto a singhiozzare, ma quando apro gli occhi intorno a me ci sono dalle sei alle otto persone anziane. Non me ne importa nulla. Mamma mi accosta alle labbra un bicchiere con un liquido che devo bere tutto in un sorso. Invocano continuamente: Enkai, Enkai. Poi ciascuno di loro massaggia la mia pancia e mormora qualcosa. Quella roba piccante brucia tanto che mi vengono i brividi. Nello stesso momento sento due, tre sussulti e un colpo nella pancia e la tocco quasi spaventata. Mi gira la testa. Non vedo altro che facce anziane chine su di me, vorrei morire. Mio figlio era ancora vivo, ma ora certamente morto, questo il mio ultimo pensiero prima di mettermi a gridare: Avete ucciso il mio bambino, Darling, now they have killed our baby!. Sento che le forze mi stanno lasciando. Di nuovo dieci o pi mani si posano sulla mia pancia, gli anziani mi massaggiano pregando o cantando ad alta voce. All'improvviso sento muovere, e dall'interno percepisco un leggero sussulto. Non oso crederci, ma si ripete un paio di volte. Sembra che l'abbiano sentito anche gli anziani, che smettono gradualmente di pregare. Quando capisco che il mio bambino vivo mi prende una grande voglia di vivere, credevo di averla perduta per sempre. Darling, please, go to padre Giuliano and teli him about me. I ivant to go to the hospital! Flying doctor. Poco dopo compare padre Giuliano. Leggo l'orrore sul suo viso. Parla brevemente con gli anziani e poi mi chiede a quale mese sono. All'inizio dell'ottavo rispondo stremata. Dice che cercher di raggiungere un flying doctor via radio e ci lascia. Se ne vanno anche gli anziani eccetto Mamma. Sudata fradicia, rimango a letto a pregare per il bambino e per me. Farei qualunque cosa per non perderlo, la mia felicit dipende dalla vita di questo piccolo essere. D'un tratto sento il rumore di un motore di aeroplano. Un velivolo sta atterrando nel bush nel cuore della notte! Fuori sento delle voci. Lketinga esce e ritorna subito agitato, proprio cos! Poi entra padre Giuliano, mi dice di portare poche cose e di salire alla svelta perch l'illuminazione della pista non durer a lungo. Mi aiutano a scendere dal letto, e Lketinga, dopo aver preparato la borsa con tutto il necessario, mi trascina verso l'aereo. Quando vedo che tutto illuminato a giorno rimango senza parole. Padre Giuliano ha messo in funzione un gigantesco faro. Ai lati della strada, lungo il primo tratto pianeggiante ci sono torce e lampade a petrolio, in quello successivo grandi pietre chiare. Il pilota, un bianco, mi aiuta a salire e fa cenno a mio marito di seguirmi. Lketinga rimane paralizzato,

vorrebbe venire ma non riesce a superare la paura. Povero amore mio! Mentre lo sportello si chiude gli urlo di restare pure a sorvegliare il negozio. Decolliamo. E' la prima volta che viaggio in un aereo cos piccolo, ma mi sento al sicuro. Dopo circa venti minuti sorvoliamo l'ospedale di Wamba. Anche qui tutto illuminato, ma in questo caso si tratta di una vera e propria pista. Quando atterriamo ci sono gi due suore con una sedia a rotelle che mi aspettano. Scendo dall'aereo a fatica, mi devo sostenere la pancia con una mano perch si abbassata di molto. Mentre mi spingono verso l'ospedale mi viene di nuovo da piangere. Le affettuose parole delle suore non servono a niente, al contrario, singhiozzo ancora di pi. Dentro mi accoglie una dottoressa svizzera. E' preoccupata anche lei, glielo leggo sul viso, ma mi consola, dice che andr tutto bene. Mi sdraio sulla poltrona per le visite ginecologiche dell'ambulatorio e attendo il primario. Solo ora mi accorgo di quanto sono sporca, e me ne vergogno profondamente. Cerco di scusarmi con il medico ma lui fa cenno che non importa e dice che in questo momento ci sono cose pi importanti a cui pensare. Mi visita attentamente ma senza strumenti, solo con le mani. Io pendo dalle sue labbra, voglio sapere come sta il mio bambino. Finalmente mi toglie ogni dubbio, vivo. Ma per essere all'ottavo mese troppo piccolo e debole. Dobbiamo fare di tutto per evitare un parto prematuro perch si trova molto in basso. Ritorna la dottoressa svizzera e mi comunica la diagnosi: ho una grave anemia dovuta a una brutta malaria, mi occorre subito una trasfusione. Ma il medico mi spiega che difficile avere il sangue, qui hanno poche riserve, e dovr trovare un donatore che sia disposto a ricostituirle. All'idea di ricevere il sangue di un estraneo a rischio di Aids mi viene male. Impaurita, gli chiedo se fanno controlli regolari. Risponde che a dire il vero questo avviene solo in parte perch normalmente per poter fare una trasfusione i pazienti anemici devono portare con s un donatore della famiglia. Qui la maggior parte della gente muore di malaria o della sua complicazione pi grave, l'anemia, e dall'estero arrivano poche donazioni. Mi sdraio sulla poltrona e cerco di mettere ordine tra i miei pensieri. Sangue significa Aids, l'idea mi fa impazzire. Tento di protestare, non voglio prendermi una malattia mortale. Il medico si fa serio e dice che posso scegliere tra il sangue e una morte certa. Quindi arriva un'infermiera africana che mi sistema di nuovo sulla sedia a rotelle e mi porta in una camera con altre tre donne. Mi aiuta a togliermi i vestiti e mi da una divisa dell'ospedale come tutte le altre. Per prima cosa mi fa un'altra iniezione, poi mi mette una flebo al braccio sinistro. Quindi entra la dottoressa svizzera con una sacca di sangue, e con un sorriso rassicurante mi comunica che ha scovato l'ultima riserva svizzera del mio gruppo. Fino a domani basta, se poi siamo compatibili quasi tutte le suore missionarie bianche sono disposte a donare il sangue per me. Sono commossa per tutta questa attenzione, e ringrazio cercando di sopprimere le lacrime. Quando mi collega la sacca di sangue al braccio destro sento molto male perch usa un ago grosso e deve bucarmi diverse volte prima che il sangue che mi salver la vita possa scorrermi nelle vene senza problemi. Quindi mi legano entrambe le braccia al

letto perch nel sonno non mi strappi gli aghi. Ho un aspetto orribile, sono contenta che mia madre non sappia quanto sto male. Anche se tutto dovesse andare bene non glielo racconter mai. Con questi pensieri mi addormento. Alle sei di mattina ci svegliano e ci misurano la febbre. Sono ancora sfinita, ho dormito solo quattro ore. Alle otto mi fanno un'altra iniezione e verso mezzogiorno ancora una trasfusione. Per fortuna il sangue quello delle suore del posto, cos almeno non rischio l'Aids. La visita ginecologica per verificare le condizioni del bambino ha luogo nel pomeriggio. Mi palpano la pancia, ascoltano i battiti del cuore del feto e mi misurano la pressione. Di pi qui non si pu fare. Ancora non riesco a mangiare, l'odore di cavolo mi fa venire la nausea anche qui. Ma alla fine del secondo giorno sto gi molto meglio. Dopo la terza trasfusione mi sento come un fiore che venga finalmente innaffiato, e di giorno in giorno il mio corpo riprende gradualmente vigore. Mi danno l'ultimo sangue e, dopo tanto tempo, mi guardo allo specchio. Non mi riconosco pi: gli occhi sono grandi e infossati, gli zigomi sporgenti e il naso lungo e appuntito. I capelli bagnati di sudore, opachi e sottili, sono appiccicati alla testa. E dire che sto gi molto meglio, penso spaventata, finora dovevo stare sdraiata e tenere costantemente la flebo contro la malaria. In tre giorni non sono mai scesa dal letto. Le suore sono molto gentili e appena possono entrano a trovarmi. Sono preoccupate perch non riesco ancora a mangiare. Una di loro particolarmente simpatica, sprigiona una bont e un calore che mi commuovono. Un giorno arriva con un tramezzino al formaggio della missione. E' tanto tempo che non ne mangio che adesso mi costa parecchio sacrificio. Da quel giorno riprendo a ingerire cibi solidi. Finalmente sono sulla buona strada, mio marito viene informato via radio che io e il bambino abbiamo superato la crisi. Sono qui da una settimana quando, durante una visita, la dottoressa mi consiglia di partorire in Svizzera. La guardo spaventata e le chiedo perch. Risponde che sono troppo debole e troppo magra per essere all'ottavo mese. Se qui non riesco a nutrirmi come si deve, il pericolo di morire a causa delle inevitabili perdite di sangue e dello sforzo durante il parto piuttosto elevato. Inoltre, qui non ci sono apparecchi per l'ossigeno e nemmeno un'incubatrice, e non possono somministrare analgesici per il semplice fatto che non ne hanno. Il pensiero di dover tornare in Svizzera in aereo mi terrorizza, e dico alla dottoressa che non ce la far mai. Dobbiamo trovare un'altra soluzione perch prima del parto devo arrivare almeno a settanta chili. A casa non posso tornare, rischierei di avere un altro attacco di malaria, cos mi viene in mente Sofia a Maralal. Ha un bell'appartamento ed una buona cuoca. La dottoressa d'accordo, ma prima che io possa lasciare l'ospedale ci vorranno altre due settimane. Durante il giorno non riesco a dormire e le ore non passano mai. Con le mie compagne di camera parlo poco, si tratta di donne samburu che hanno gi altri figli. Alcune sono state convenite dalla missione, altre sono qui per complicazioni. L'orario delle visite di pomeriggio ma in questo reparto non vengono molti parenti perch partorire cosa da donne. Probabilmente i loro mariti si stanno divertendo con le altre mogli. Col tempo comincio a preoccuparmi perch Lketinga non

ancora venuto a trovarmi. La nostra macchina sar certamente pronta e anche in caso contrario a piedi impiegherebbe circa sette ore, che non sono molte per un masai. Le suore mi portano ogni giorno i saluti che mi manda attraverso padre Giuliano, dice che sta sempre in negozio ad aiutare il ragazzo. Ma al momento non mi importa degli affari, non voglio avere ulteriori preoccupazioni. Non so proprio come fare a spiegare a Lketinga che fino a dopo il parto non potr tornare a casa. Immagino gi il suo sguardo sospettoso. L'ottavo giorno improvvisamente compare sulla soglia e, un po' insicuro ma raggiante, si siede sul mio letto. Hello, Corinne, how are you and my baby? Are you okay? Quindi tira fuori della carne arrostita, sono veramente commossa. Padre Giuliano doveva venire alla missione e si fatto dare un passaggio. Non possiamo scambiarci molte tenerezze perch le degenti ci osservano e gli fanno molte domande. Ci nonostante sono felice di vederlo e decido di non dirgli nulla della mia intenzione di andare a Maralal per un po' di tempo. Mi promette di ritornare non appena la macchina sar pronta. Si fa vedere un attimo anche padre Giuliano e poi spariscono entrambi. A questo punto i giorni mi sembrano ancora pi lunghi. L'unico svago sono le visite delle suore e dei medici. Ogni tanto mi portano un giornale. Dalla seconda settimana in poi faccio quotidianamente qualche giretto per l'ospedale, ma vedere la gravit delle condizioni degli altri pazienti mi pesa molto. La cosa pi bella stare accanto ai lettini dei neonati, non vedo l'ora di partorire. Spero con tutto il cuore che sia una bambina sana, certamente sar bellissima come il padre. Ma ci sono anche dei momenti in cui ho paura che non nasca normale a causa di tutti i farmaci che devo prendere. Alla fine della seconda settimana Lketinga viene a trovarmi di nuovo, e mi chiede preoccupato quando torner a casa. A questo punto non mi resta altro che metterlo al corrente del mio progetto. Rabbuiato, incomincia a chiedermi con insistenza: Corinne, why do you noi come home? Why you will stay in Maralal and not with Mamma? You are okay now and you gei your baby in the house of Mamma!. Cerco di spiegarglielo ma lui non mi ascolta e per concludere dice: Now I know, maybe you have a boyfriend in Maralal!. Questa frase mi colpisce come uno schiaffo, ho la sensazione di esser caduta in un buco profondo e scoppio a piangere. Ma questa per lui la conferma che il suo sospetto fondato. Furente, si mette a camminare su e gi per la stanza dicendo continuamente: I'm not crazy Corinne, I'm really not crazy, I know the ladies!. A un certo punto arriva una suora bianca. Ci guarda sgomenta e vuole sapere subito cosa successo. Glielo racconto piangendo. Lei cerca di convincere Lketinga, ma lui comincia a calmarsi solo quando chiamano il medico, che lo riprende energicamente. Alla fine, controvoglia, acconsente, ma a questo punto la mia gioia svanita, sono troppo ferita. Lui lascia l'ospedale, non so neppure se lo rivedr prima di trasferirmi a Maralal. La suora mi viene a trovare un'altra volta e parliamo. E' molto preoccupata per l'atteggiamento di mio marito, e anche lei mi consiglia di far nascere il bambino in Svizzera in modo che abbia la mia stessa nazionalit. Qui sarebbe

propriet della famiglia di Lketinga e non potr fare niente senza il consenso del padre. Spossata, le rispondo che non mi sento in grado di fare questo viaggio, e comunque mio marito non mi firmerebbe mai un permesso per lasciare il Kenya cinque settimane prima del parto. Inoltre sono profondamente convinta che quando vedr il bambino torner calmo e allegro. La terza settimana non ricevo sue notizie e cos, un po' delusa, quando mi si presenta l'occasione di andare a Maralal con un missionario lascio l'ospedale. Le suore mi salutano affettuosamente e mi promettono che faranno dire a mio marito da padre Giuliano che mi sono trasferita. Sofia. Sofia a casa ed molto felice della mia visita. Quando le spiego la situazione, dice che per quanto riguarda il cibo non c' problema, ma di notte non pu ospitarmi perch nella stanza sul retro dell'appartamento hanno allestito una piccola palestra per il suo ragazzo. Rimango un po' delusa ma loro mi aiutano a risolvere il problema. Il fidanzato esce alla ricerca di un posto dove io possa dormire e dopo alcune ore ritorna dichiarando di aver trovato una stanza. E' qui vicino, una camera come quelle degli alberghi ma con il letto pi grande e pi bello, per il resto vuota. Quando vado a vederla per farmi un'idea, veniamo subito circondati da donne e bambini. La prendo. I giorni passano lentamente, il mio unico piacere il cibo. Sofia una cuoca fantastica, aumento di peso ogni giorno, ma le notti sono tremende. C' musica fino a tardi e gente che chiacchiera ad alta voce dappertutto. Attraverso le sottili pareti si sente tutto, come se i vicini fossero tutti assiepati intorno al mio letto. Prendere sonno una vera fatica. A volte vorrei urlare anch'io per lamentarmi del baccano, ma non voglio perdere la stanza. Di mattina mi lavo in camera e ogni due giorni faccio il bucato, tanto per svagarmi un po'. Sofia litiga spesso con il suo ragazzo, cos dopo mangiato il pi delle volte li lascio soli. La mia pancia continua a crescere, ne sono davvero fiera. Sono qui gi da una settimana e Lketinga non ancora venuto nemmeno una volta. Questo mi rende triste. In compenso in paese ho incontrato James con altri ragazzi. A volte Sali, il fidanzato di Sofia, porta i colleghi a pranzo e giochiamo a carte tutti insieme. E molto divertente. Una volta siamo in casa a giocare in quattro. Di solito lasciamo la porta aperta per avere pi luce. A un certo punto vedo mio marito con le sue lance sulla soglia: ancor prima che io possa salutarlo mi chiede chi quell'uomo. Ridono tutti tranne me. Sofia gli fa cenno di entrare, ma lui resta fermo sulla porta e mi dice perfido: Corinne, is this your boyfriend?. Mi vergogno a morte per questo comportamento. Sofia cerca di calmarlo ma lui si gira e se ne va. Quando lentamente mi riprendo, mi infurio sul serio. Sono al nono mese di gravidanza, finalmente rivedo mio marito dopo quasi due settimane e mezza, e lui mi accusa di avere un amante! E' assurdo. Mentre Sofia cerca di calmarmi, Sali va a cercarlo e l'amico se la svigna. Io aspetto un bel po' e poi me ne vado nella mia stanza. Pi tardi ritorna Lketinga, che ha chiaramente bevuto e sta masticando miraa. Rimango

sdraiata sul letto immobile, sono molto preoccupata per il mio futuro. Dopo pi di un'ora finalmente si scusa: Corinne, my wife, no problem. Long time I have not seen you and the baby, so I become crazy. Please, Corinne, now I am okay, no problem!. Io cerco di sorridere e di perdonarlo. La notte del giorno seguente torna a casa a piedi, e nelle due settimane successive non lo vedo pi, ogni tanto qualcuno mi porta i suoi saluti. Finalmente arriva il gran giorno e io e Sofia ci mettiamo in viaggio in direzione dell'ospedale. Sofia dovrebbe partorire tra circa una settimana, io tra due, ma ci hanno consigliato di partire prima per via delle cattive condizioni delle strade. Quando saliamo sull'autobus siamo molto eccitate. Ci accompagna il ragazzo di Sofia e all'ospedale ci assegnano una camera tutta per noi. E' magnifico. Quando mi pesano, le suore tirano un respiro di sollievo, sono settanta chili giusti giusti. A questo punto non ci resta che attendere. Lavoro a maglia per il mio bambino quasi ogni giorno mentre Sofia legge libri sulla gravidanza e il parto. Non ho molta voglia di saperne di pi, dev'essere una sorpresa. Sali va a comprarci da mangiare nel paesello. Il tempo trascorre lentamente, nascono bambini ogni giorno. Le urla delle partorienti si sentono fin nella nostra camera. Sofia sempre pi nervosa, fra poco dovrebbe toccare a lei. Durante le visite i medici notano che il mio utero si gi un po' dilatato, e mi prescrivono di stare a letto. Ma non ce n' bisogno, appena la dottoressa lascia la stanza dopo l'ultimo controllo perdo le acque. Sorpresa e felice mi giro verso Sofia dicendo: I think my baby is coming!. Sulle prime stenta a crederci perch sono in anticipo di una settimana buona, ma poi va a chiamare la dottoressa che, appena mi vede, assume un'aria seria e dice che avr il bambino stanotte. Napirai. Sofia disperata perch lei, invece, non sente ancora niente. Io ho le prime doglie alle otto, e due ore pi tardi sono gi piuttosto forti e frequenti. Da quel momento in poi mi fanno una visita ogni mezz'ora. Verso mezzanotte il dolore si fa tanto insopportabile che vomito continuamente. Allora mi portano in sala parto, la stessa della visita ginecologica. La dottoressa e due suore africane continuano a parlarmi. E' strano, eppure non capisco pi l'inglese. Le guardo tra le doglie ma vedo solo delle bocche che si aprono e si chiudono. Mi prende il panico, non so se mi sto comportando bene. Respirare, respirare a fondo, mi dico. A un certo punto mi legano le gambe alla poltrona. Mi sento fiacca e indifesa, ma proprio nel momento in cui vorrei urlare che non ne posso pi, una suora mi tappa la bocca con la mano, ci siamo quasi. Sbigottita, guardo la dottoressa e nello stesso istante sento dire che sta gi uscendo la testolina. Ancora un piccolo sforzo. Spingo forte e avverto una specie di esplosione nell'addome, la mia bambina nata, l'una e un quarto. E' una femmina sana di 2.960 grammi. Sono felicissima, bella come suo padre, la chiameremo Napirai. Mentre la dottoressa si occupa della placenta e di ricucirmi, si apre la porta e Sofia mi salta al collo festosamente. Ha assistito al parto attraverso il vetro. Mi fanno vedere di nuovo la mia bambina, e poi la portano nella

stanza dei neonati. Mi sta bene perch in quel momento sono troppo debole per tenerla in braccio, non riesco nemmeno a reggere la tazza del t, desidero solo dormire. Mi portano nella mia stanza con la sedia a rotelle e mi danno un sonnifero. Alle cinque mi sveglio con dolori infernali in mezzo alle gambe. Sveglio Sofia, che si alza subito e va a cercare l'infermiera di turno. Mi danno degli analgesici. Alle otto mi trascino faticosamente nella sala dei neonati dalla mia bambina. Quando la vedo mi sento sollevata. Lei urla dalla fame ma un bel problema perch dal mio seno, che nel frattempo diventato enorme, non esce neanche una goccia, nemmeno applicando l'aspiratore. Verso sera non ne posso pi, ho il seno dolorante e duro come la pietra e Napirai non la smette di urlare. Una suora nera mi sgrida, devo sforzarmi di pi perch si aprano le ghiandole del latte, altrimenti mi verr un'infiammazione. Ho dei dolori atroci ma ci provo. Vengono anche due donne samburu che mi mungono per quasi mezz'ora. Finalmente esce il primo latte, e ora non si ferma pi. Ne viene cos tanto che la mia bambina non riesce a berlo comunque. La allatto la prima volta solo nel pomeriggio. Sofia ha le doglie da ore per il bambino non vuole nascere. Lei urla e strepita, vorrebbe farsi fare un taglio cesareo, ma il medico dice di no, non ce n' motivo. Non l'ho mai vista stare cos male. Col tempo il medico si stanca e minaccia di non assistere al parto se lei non prova a controllarsi. La conversazione si svolge nella loro lingua, italiano anche lui. Dopo trentasei terribili ore vede la luce anche la sua bambina. Quella sera - l'orario delle visite appena finito - arriva Lketinga. Ha saputo della nascita di nostra figlia via radio ed subito partito a piedi per Wamba. Si truccato particolarmente bene e mi saluta con affetto. Mi ha portato della carne e un bellissimo vestito. Vuole vedere subito Napirai, per le suore glielo impediscono e rimandano a domani. E' deluso, ma mi sorride fiero e felice e questo mi fa ben sperare. Quando lo invitano a lasciare l'ospedale decide di dormire a Wamba per essere qui gi all'inizio dell'orario di visita. La mattina dopo, mentre sto allattando Napirai, arriva carico di piccoli regali. E' felice, prende in braccio sua figlia e la porta al sole. Lei lo guarda curiosa e lui non la vuole pi lasciare. E' tanto che non lo vedo cos allegro. Mi commuovo, sono certa che andr tutto a posto. I primi giorni dopo il parto sono faticosi. Continuo a essere piuttosto debole, peso troppo poco e quando sto seduta i punti alla vagina mi fanno male. La mia bambina mi sveglia due o tre volte per notte, per essere allattata o per il cambio dei pannolini. Quando finalmente si addormenta si mette a urlare la figlia di Sofia. Qui usano pannolini di stoffa e i neonati vengono lavati in piccole bacinelle. Non ho ancora esperienza e non riesco a fasciarla bene. Non le metto gli indumenti che ho fatto a maglia per paura di farle male a un braccino o una gambina. Cos, salvo i pannolini, rimane nuda su una coperta. Mio marito ci osserva e poi decreta soddisfatto: She is looking like me!. Ci fa visita ogni giorno e col tempo diventa impaziente, vorrebbe tornare a casa con la sua famiglia. Ma io sono ancora debole e l'idea di rimanere da sola con la responsabilit della bambina mi preoccupa un po'. Mi sembra quasi impossibile: lavare i pannolini, cucinare, cercare la

legna e forse anche aiutare in negozio. Quest'ultimo chiuso da tre settimane perch rimasta soltanto la farina di mais e Lketinga mi riferisce che il ragazzo si rivelato tutt'altro che affidabile. Inoltre non si pu usare la macchina perch ci sono di nuovo dei problemi. Giuliano dice che questa volta il cambio. Per prima cosa Lketinga dovr tornare a casa, se la jeep pronta ci verr a prendere. Questo mi da l'opportunit di rafforzarmi un po'. Anche la dottoressa contenta che resti pi a lungo. Sofia invece lascia l'ospedale il quinto giorno dopo il parto e ritorna a Maralal. Tre giorni pi tardi arriva Lketinga con la macchina riparata, senza padre Giuliano saremmo perduti. Adesso voglio lasciare Wamba anch'io. Da quando se n' andata Sofia nella mia stanza sono gi passate altre due madri samburu. La prima, una donna emaciata apparentemente piuttosto anziana, ha partorito qui il suo decimo figlio, ed morta la notte stessa di debolezza e anemia perch non hanno fatto in tempo ad avvertire la famiglia di cercare un donatore di sangue idoneo. Le emozioni di quei momenti mi sono costate molta energia, adesso non desidero altro che andarmene. Mentre io pago il conto, il neopap aspetta alla reception tutto fiero con sua figlia in braccio. I ventidue giorni, incluso il parto, mi costano soltanto ottanta franchi, roba da non credere. Per il flying doctor invece devo proprio allargare la borsa, sono ben ottocento franchi. Ottocento franchi che ci hanno salvato la vita! Mi rimetto al volante dopo tanto tempo mentre di Napirai si prende cura suo padre. Gi dopo i primi cento metri la bambina si mette a urlare a causa del rumore infernale della macchina. Lketinga cerca di calmarla cantando, ma non serve. Cos faccio guidare lui e io mi stringo Napirai al petto per quanto possibile. Arriviamo a Maralal prima del tramonto. Devo comprare ancora dei pannolini, alcuni vestitini e delle coperte da neonato. Dobbiamo rifornirci anche di generi alimentari perch a Barsaloi non si trova niente da settimane. Non resta altro che andare in albergo. Per trovare una dozzina di pannolini mi tocca attraversare tutta Maralal. Nel frattempo Lketinga sta con nostra figlia. La prima notte fuori dall'ospedale non molto piacevole, a Maralal fa molto freddo e cambiare i pannolini a Napirai diventa problematico perch siamo congelate entrambe e non sono molto brava ad allattare al buio. La mattina dopo sono stanca, ho preso un brutto raffreddore. Ho gi consumato la met dei pannolini, e cos mi metto a lavarli. Verso mezzogiorno la macchina piena di provviste, possiamo partire. Per noi sarebbe normale fare la strada lunga, ma mio marito viene a sapere che sui monti vicino a Baragoi sta piovendo, c' il rischio che i fiumi si riempiano d'acqua e che non riusciamo ad attraversarli. Cos decidiamo di usare di nuovo la strada per Wamba, raggiungeremo Barsaloi dall'altro lato. Lketinga si mette al posto di guida, ormai perfettamente padrone della situazione anche se a volte corre troppo e va a finire nelle buche. A Napirai non piace per niente andare in macchina. Urla sempre, ma appena ci fermiamo si calma. Cos ogni tanto facciamo una pausa. Ritorno a casa in tre.

Strada facendo Lketinga carica due guerrieri, e dopo pi di cinque ore di viaggio raggiungiamo il grande fiume Wamba. E' malfamato per via delle sabbie mobili, che tornano attive appena piove anche solo un po'. Anni fa la missione ha perso una macchina qui. Spaventata, mi fermo prima del ripido pendio che porta al fiume perch c' dell'acqua. I masai sono inquieti, scendono dalla macchina e vanno gi. Non porta molta acqua, saranno due o tre centimetri, e qua e l spuntano dei banchi di sabbia in secca, ma padre Giuliano mi ha raccomandato di evitare il fiume E anche se solo umido perch largo ben centocinquanta metri e pu essere rischioso rimanere fermi in mezzo. Resto seduta al volante demoralizzata e penso che forse dovremmo ritornare a Wamba. Un guerriero gi sprofondato fino alle ginocchia mentre l'altro, a solo un metro da lui, non ha problemi. Ci prova anche Lketinga, e in certi punti va gi. Non mi fido, non voglio rischiare. Scendo per comunicarlo a mio marito, ma lui sta gi tornando. E' pronto a tutto, mi prende Napirai e mi esorta a passare a tutto gas tra i due guerrieri. Disperata, cerco di dissuaderlo, ma lui non intende ragione. Vuole andare a casa, se non ci riesce in macchina proseguir a piedi. Ma io non posso ritornare da sola in macchina con la bambina. L'acqua del fiume sta lentamente salendo, mi rifiuto di guidare. Lui si infuria, mi mette in braccio Napirai, si siede al volante e cerca di partire. Mi chiede la chiave, ma io non ce l'ho, dovrebbe essere inserita perch il motore acceso. No, Corinne, please give me the key, you have driven the car, now you have taken it that we go back to Wamba! dice seccato guardandomi male. Vado a cercarla in macchina. Che beffa, la jeep funziona senza. Cerco febbrilmente in terra e sulle poltrone, ma la chiave, l'unica che abbiamo, sparita. Lketinga da la colpa a me. Si siede in macchina furibondo ed entra nel fiume a grande velocit con la trazione integrale inserita. Di fronte a tanta irragionevolezza non riesco pi a controllarmi e scoppio a piangere. Anche Napirai urla a squarciagola. Per i primi metri va bene, le ruote affondano poco, ma a mano a mano che avanza si impantana a causa del peso. Quando poco distante da un banco di sabbia in secca, le ruote cominciano a girare a vuoto e la jeep rischia di fermarsi. Prego, piango e maledico tutti. I due guerrieri si spingono faticosamente verso la jeep, la tirano su e la spingono. Lketinga riesce a fare altri due metri e finalmente le gomme fanno di nuovo presa. Attraversa la seconda met del fiume di slancio, proprio bravo. Ma io non sono fiera di lui. E' stato irresponsabile a rischiare in questo modo. Inoltre non riusciamo ancora a trovare la chiave. Un guerriero torna indietro e mi aiuta a guadare il fiume. Anch'io sprofondo spesso fino alle ginocchia. Lketinga in piedi accanto alla macchina orgoglioso e feroce. Mi dice di mollare la chiave. I don't have it! urlo indignata. Salgo sulla jeep e cerco di nuovo dappertutto, ma invano. Incredulo Lketinga scuote la testa e ci prova lui. Dopo un paio di secondi la trova. Era scivolata tra il sedile e lo schienale, non capisco proprio come sia potuto succedere. Per lui invece chiaro, l'avevo nascosta io perch non volevo attraversare il fiume. Torniamo a casa in silenzio e quando finalmente arriviamo a Barsaloi gi notte. Naturalmente

andiamo per prima cosa nella manyatta di Mamma. Dio mio, traboccante di gioia. Prende subito in braccio Napirai e la benedice sputandole sulle piante dei piedini, sulle palme delle manine e sulla fronte, invocando Enkai. Si rivolge a me dicendo qualcosa che non capisco. Il denso fumo mi crea qualche problema e tossisce anche Napirai, ma la prima notte la passiamo da lei. La mattina dopo ci sono alcune persone che vorrebbero vedere la mia bambina, ma Mamma decreta che nelle prime settimane senza il suo permesso non devo mostrarla a nessuno. Non capisco e le chiedo: Perch, tanto bella!. Lketinga mi sgrida, non devo dire cos, porta male. Gli estranei non la devono guardare perch potrebbero farle il malocchio. In Svizzera si orgogliosi di far vedere i figli, qui devo nascondere la mia bambina o, se esco, coprirle la testa con un kanga. E' molto difficile per me. Da tre giorni sto seduta quasi ininterrottamente con la mia bambina nella buia manyatta mentre Mamma sta di guardia all'ingresso. Lketinga sta preparando una festa per la nascita di sua figlia. Per l'occasione deve essere macellato un grande bue. Sono presenti diversi anziani, che mangiano la carne e in cambio benedicono la bambina. A me da i pezzi migliori perch mi riprenda. Durante la notte alcuni guerrieri ballano con mio marito in suo onore. E' chiaro che pi tardi dovranno essere ben nutriti anche loro. Mamma mi ha preparato un liquido che emana un pessimo odore: dovrebbe proteggermi dalle malattie. Mentre lo butto gi, mi guardano tutti pregando Enkai per me. Gi dopo un sorso la brodaglia mi fa venire la nausea. Ne verso pi che posso senza dare nell'occhio. Alla festa partecipano anche il veterinario e sua moglie, ne sono molto felice. Con mia sorpresa vengo a sapere che lo chalet accanto al loro si liberato. Non vedo l'ora di avere una casa nuova con due stanze abitabili e un bagno. Il giorno seguente dal negozio esposto alle correnti d'aria ci trasferiamo nello chalet, che dista circa centocinquanta metri. Per prima cosa devo pulirlo a fondo. Nel frattempo Mamma aspetta con nostra figlia davanti alla porta. L'ha nascosta con tanta abilit sotto i suoi kanga che non la vede nessuno. Al negozio viene sempre gente. E' vuoto e trascurato, e il libretto dei crediti quasi pieno. Ancora una volta il denaro incassato non nemmeno sufficiente per pagare un camion. Ma al momento non voglio e non posso lavorare. Quindi il negozio resta chiuso. Ogni mattina sono impegnata fino a mezzogiorno a lavare i pannolini sporchi del giorno precedente, e ben presto mi si irritano le nocche delle mani e mi fanno male. Cos non pu andare avanti. Per avere pi tempo per Napirai e per cucinare cerco una donna che mi dia una mano nei lavori domestici, e che soprattutto faccia il bucato. Lketinga assume una ragazza che ha appena terminato la scuola. Per circa trenta franchi al mese pi il vitto disposta a portarci l'acqua e a lavare la biancheria. Finalmente posso godermi la mia figlioletta. E' tanto carina e allegra, e non piange quasi mai. Anche suo padre sta molte ore con lei sotto l'albero davanti allo chalet. Col tempo prendo in mano la situazione. La ragazza molto lenta nei lavori e non mi va molto a genio. Noto che il detersivo sparisce presto, e anche le scorte di riso e di zucchero si esauriscono rapidamente. Quando mi accorgo che

Napirai urla a ogni cambio di pannolini e tra le gambe arrossata e irritata veramente troppo. Parlo con la ragazza e le spiego che deve sciacquare le fasce a lungo, finch non ci sono pi residui di Omo. Ma a lei questo discorso non sembra interessare molto e, come se non bastasse, ritiene che andare a prendere l'acqua al fiume pi di una volta al giorno sia troppo per il denaro che prende. La mando a casa seccata, preferisco farmelo da sola il bucato. Fame. La gente comincia a essere impaziente perch ha fame. I negozi sono vuoti da pi di un mese e ogni giorno viene qualcuno a chiedere quando riapriamo. Mi sembra difficile potermi mettere di nuovo al lavoro. Dovrei andare a Maralal a procurarmi un camion, ma ho troppa paura di rimanere bloccata in macchina con la bambina. Il cambio stato riparato, per l'accensione non funziona ancora bene e sarebbe necessario fare altri piccoli ritocchi. Un giorno viene da noi il capo a lamentarsi che la gente ha fame. Sa che in negozio abbiamo ancora della farina di mais e ci prega di vendere almeno quella. Vado a contare i sacchi rimasti e Lketinga viene con me. Quando ne apriamo uno mi viene quasi la nausea, ci sono grassi vermi bianchi brulicanti e piccoli coleotteri neri che corrono su e gi. Controlliamo gli altri, la stessa cosa. Il capo rovista nel mais e dice che sotto il primo strato dovrebbe andar meglio. Io per mi rifiuto di vendere questa roba. Nel frattempo sembra che la notizia che abbiamo ancora della farina di mais si sia diffusa a macchia d'olio. In negozio ci sono sempre pi donne, che si dichiarano disposte a comprarla anche con gli insetti. Ne discutiamo e io propongo di dare via tutto gratis. Il capo declina la proposta dicendo che ne verrebbe fuori un putiferio, meglio vendere a prezzi ribassati. Davanti e dentro al negozio ci sono gi pi di cinquanta persone, ma io non ce la faccio a infilare la mano in questi sacchi pieni di vermi, mi fa ribrezzo, e poi ho Napirai in braccio. Vado a cercare il fratello maggiore di Lketinga a casa di Mamma. Per fortuna lo trovo e viene con me in negozio. Affido mia figlia a sua nonna e arriviamo in tempo. Il capo impedisce alla gente di assaltare l'edificio, e Lketinga sta dietro il banco. Ogni persona pu comprare al massimo tre chili di farina. Io la peso e incasso, i due uomini la travasano. Lavoriamo come pazzi, per fortuna c' il capo che in qualche modo mantiene l'ordine. Verso le otto di sera abbiamo venduto tutto e siamo esausti. Ma finalmente in cassa c' un po' di denaro. La vendita di oggi e la consapevolezza di quanto il nostro negozio sia ormai diventato indispensabile per il villaggio mi danno molto da pensare, per non ho tempo per riflettere, devo correre a casa dalla mia bambina. Preoccupata, mi precipito verso le manyatta. Mia figlia non viene allattata da pi di sei ore, non ne potr pi, ma avvicinandomi alla capanna non sento piangere, solo Mamma che canta. Entro e scopro con stupore che Napirai sta succhiando il suo grande e lungo seno nero. E' sorprendente. Mamma ride e mi porge la mia bambina nuda. Quando Napirai sente la mia voce si mette a gridare e si attacca subito al mio seno. Sono ancora senza parole, non riesco a spiegarmi come abbia potuto tenerla calma per tanto tempo con un seno vuoto.

Poco dopo arriva mio marito, a cui racconto tutto. Ridendo dice che del tutto normale qui. Per questo Saguna potuta venire da Mamma piccolissima. La tira su quasi dalla nascita solo con il suo seno e il latte di mucca. Guardo mia figlia, e anche se sporca e puzza di fumo sono molto contenta. Sono sicura che non la affider mai a nessuno. Beviamo il chai da Mamma e poi torniamo a casa. Lketinga, da fiero padre, porta Napirai. Davanti alla porta ci aspetta il capo. Naturalmente devo offrirgli del chai anche se non ne ho voglia. D'un tratto Lketinga si alza e gli porge duecento scellini. Non so perch, ma tengo la bocca chiusa. Quando se n' andato vengo a sapere che ha chiesto del denaro perch ci ha aiutato a mantenere l'ordine in negozio. Ci ha fregato di nuovo. E' stato lui a volere a tutti i costi che vendessimo la farina, ed pagato dallo stato per quello che ha fatto. Con delicatezza cerco di farlo capire a Lketinga, e alla fine per fortuna seccato anche lui e mi da ragione. Il negozio rimane chiuso, ma il ragazzo che aiutava Lketinga passa spesso. Non parla con me, il che non mi disturba affatto. Dal suo tono capisco che vuole qualcosa. Mio marito dice di non badarci, si tratta dell'ultima paga che per ha gi ricevuto. Mi tengo fuori dalla storia perch al momento dei fatti mi trovavo a Maralal o in ospedale. Non voglio saperne niente. La vita procede tranquillamente e Napirai sta diventando sempre pi paffutella. Ma ancora non posso farla vedere agli estranei. Ogni volta che si avvicina qualcuno Lketinga la nasconde sotto la coperta, il che a lei non piace per niente. Un giorno, di ritorno dal fiume, decidiamo di andare alla casa del chai: in quel momento un anziano si avvicina a Lketinga e si mettono a parlare. Mio marito mi dice di aspettare l e va alla casetta della polizia, dove si trovano il gran capo dei samburu, il guardiacaccia e il ragazzo del negozio. Io li osservo con apprensione da una certa distanza con Napirai in braccio che dorme avvolta in un kanga. Quando dopo pi di un quarto d'ora Lketinga non si decide a tornare, mi avvicino. Sta succedendo qualcosa di spiacevole, lo vedo dall'espressione di mio marito. E' furioso e discute concitatamente, mentre il ragazzo sta in disparte con un'espressione strafottente. Sento dire spesso duka e shop. Mi viene in mente che il gran capo parla inglese e gli chiedo di cosa si tratta, ma lui non mi risponde. Quindi si stringono tutti la mano e un Lketinga deluso se ne va con la coda tra le gambe. Lo raggiungo in un attimo, attiro la sua attenzione dandogli un colpetto sulla spalla e gli domando cosa sta succedendo. Lketinga si gira avvilito e mi risponde che deve dare ancora cinque capre al ragazzo per il suo lavoro in negozio, altrimenti il padre minaccia di denunciarci alla polizia, e lui non vuole andare di nuovo in prigione. Non riesco proprio a capire cosa stia accadendo. Ansiosamente gli chiedo se il ragazzo ha davvero ricevuto la sua paga ogni mese. Yes, Corinne, I don't know why they want five goats, but I don't want to go again in prison, l'm a good man. The father of this boy is a big man! Sono sicura che dice la verit. Non riesco proprio a sopportare che lo minaccino di mandarlo in carcere per un'inezia, soprattutto perch dalla parte del torto c' il ragazzo. Mi avvento su di lui infuriata e gli urlo: What do you want from me?. From you nothing, only from your husband risponde con

un sorrisino beffardo. Non riesco pi a trattenermi e mi metto a colpirlo alla cieca con mani e piedi. Tenta di scapparmi ma io lo strattono per la camicia, lo copro di insulti in tedesco e gli sputo addosso. Gli uomini presenti cercano di fermarmi e Napirai urla come una pazza. Lketinga si avvicina e mi dice seccato: Corinne, you are crazy, go home!. I'm not crazy, really not crazy, but if you give goats to this boy, I don't open again this shop! Il ragazzo viene tenuto fermo da suo padre, altrimenti mi salterebbe addosso di sicuro. Sono furiosa, mi volto e corro a casa con Napirai, che non la vuole smettere di piangere. Non capisco perch mio marito si faccia intimidire e il gran capo mi delude. D'ora in poi mi far pagare per qualsiasi sciocchezza. Nessuno salir pi sulla nostra macchina prima di aver tirato fuori i soldi! Mentre corro, la gente mi guarda con gli occhi spalancati, ma non me ne importa nulla. Ho offeso il ragazzo e suo padre molto gravemente, qui le donne non picchiano gli uomini, semmai il contrario. Poco dopo arriva Lketinga con il gran capo, e mi chiedono perch ho fatto una cosa del genere. Mio marito turbato e spaventato, il che mi fa di nuovo uscire dai gangheri. Mostro al gran capo il nostro quadernetto perch veda che siamo fuori di diverse migliaia di scellini per colpa dei crediti concessi dal ragazzo. Forse quei soldi li abbiamo addirittura persi, anche lui debitore di pi di trecento scellini. E ora arriva un tale che vuole cinque capre, l'equivalente di sei mesi di lavoro! A questo punto comincia a vederci pi chiaro anche il gran capo, e si scusa per la sua decisione, ma non sar facile mettersi d'accordo con il vecchio perch Lketinga ha accettato la sentenza con una stretta di mano. Nel rispetto delle buone maniere preparo il t. Accendo il carbone di legna nella nostra stufetta e la metto fuori perch l'aria faciliti la combustione. Il cielo stellato. Quando sto per rientrare in casa, scorgo una figura con un oggetto luccicante a un paio di metri di distanza. Avverto subito il pericolo ed entro in casa per dirlo a mio marito. Esce e io lo seguo a breve distanza, il gran capo invece resta dentro. Lketinga chiede se c' qualcuno, e poco dopo sento la voce del ragazzo e riconosco la sua corporatura, ha un machete in mano. Gli chiedo irritata che cosa vuole, e lui risponde che venuto a fare i conti con la mzungu. Io corro subito in casa e mi rivolgo al gran capo. Ha sentito tutto e a questo punto esce anche lui. Spaventato, il ragazzo vuole svignarsela ma Lketinga lo trattiene e gli prende il pericoloso machete dalle mani. Io guardo il gran capo trionfante, testimone di un tentativo di assassinio. Deve arrestarlo, e domani andremo tutti insieme a Maralal. Non voglio pi vedere questo idiota, un pericolo pubblico. Il ragazzo cerca di difendersi, ma io insisto che venga arrestato. Il gran capo lo porta via e sparisce anche mio marito. Per la prima volta chiudo la porta di casa con il chiavistello. Poco dopo bussa qualcuno. Chiedo cautamente chi e poi apro al veterinario. Ha sentito il trambusto e vuole sapere cosa successo. Gli offro il t e gli racconto l'incidente. Pensa che io abbia ragione e mi offre il suo aiuto. Non ha mai capito perch abbiamo preso quel pazzo nel nostro negozio, ne combina di tutti i colori e suo padre ha gi dovuto riparare ai suoi guai diverse volte. Mentre

parliamo torna Lketinga. Dapprima ci guarda sconcertato, poi inizia a chiacchierare con il veterinario. Io mi congedo e mi infilo sotto la zanzariera con la mia Napirai. Non riesco a togliermi dalla testa quello che successo e fatico ad addormentarmi. Pi tardi Lketinga mi raggiunge. Vorrebbe fare l'amore ma io non provo alcun desiderio, e poi c' Napirai con noi. Nonostante questo vuole fare sesso. Proviamo, mi fa un male atroce. In uno scatto di dolore lo spingo via e gli chiedo di avere pazienza, in fondo nostra figlia ha solo cinque settimane. Lketinga non comprende il mio rifiuto, e mi dice seccato che probabilmente l'ho gi fatto con il veterinario e non ne ho pi voglia. Questa accusa mi distrugge. Scoppio in lacrime, non ho pi n la forza n la voglia di parlare. Aggiungo solo che oggi non lo voglio con me nel nostro letto, non posso sopportare la sua vicinanza dopo questa terribile affermazione e tutto quello che successo oggi. Lui si alza e si prepara un giaciglio nell'ingresso. Nella notte allatto Napirai due o tre volte e devo anche cambiarla. Alle sei della mattina dopo - Napirai si appena svegliata - qualcuno bussa alla porta. Sar sicuramente il gran capo, ma dopo la nostra lite non ho pi voglia di andare a Maralal. Lketinga apre, c' anche il padre del ragazzo. Mentre mi metto la gonna sento una violenta discussione. Dopo mezz'ora mio marito rientra in casa con il gran capo. In questo momento provo orrore per gli uomini, non riesco nemmeno a guardarli in faccia. Il gran capo mi porge le scuse del ragazzo e del padre. Quest'ultimo disposto, se rinunceremo ad andare a Maralal, a darci cinque capre. Gli rispondo che non posso essere sicura che domani o dopodomani suo figlio non attenter di nuovo alla mia vita, mentre a Maralal resterebbe in prigione per due o tre anni. Il gran capo riporta le mie affermazioni al padre, il quale mi promette di portare il ragazzo da alcuni parenti per un certo tempo. Inoltre, su mia richiesta, si rende garante del fatto che suo figlio non si avvicini mai pi alla nostra casa, dovr mantenere una distanza di almeno centocinquanta metri. Accetto, ma solo dopo che il gran capo ha ratificato questa intesa con la propria firma. Dopodich Lketinga va con l'anziano a prendere le capre prima che lascino il kraal. Sono contenta che non sia presente, e verso mezzogiorno porto mia figlia alla missione. Padre Giuliano non la vede dai tempi di Wamba e padre Roberto non la conosce neanche, sono entrambi molto felici della mia visita. Padre Giuliano ammira la mia bella bambina che scruta curiosa il suo viso bianco e sono sicura che la sua gioia autentica. Quando sente che mio marito in giro mi invita a pranzo, pasta fatta in casa e insalata. E' molto che non mangio cos, mi sembra di essere nel paese della cuccagna! Durante il pranzo padre Giuliano mi racconta che prossimamente andr in ferie in Italia e ci rester per almeno tre mesi. Me ne rallegro, ma non mi sento tranquilla senza di lui, stato tante volte il mio angelo custode nei momenti difficili! Appena finito di mangiare improvvisamente spunta Lketinga e la situazione si fa subito tesa: Corinne, why do you eat here and not wait for me at home?, prende nostra figlia e va via. Io ringrazio brevemente i missionari e gli corro dietro, Napirai urla. Quando siamo a casa me la restituisce e mi chiede: What do you have made with my baby, now she cries only, when she comes to me!. Non gli rispondo e anzi

gli domando perch gi tornato. Lui ride sarcastico: Because I know you go to other men, if I'm not here!. Furiosa per le sue continue accuse gli urlo che deve essere impazzito. What do you teli me? I'm crazy? You teli your husband, he is crazy? I don't want see you again! Detto questo, afferra le sue lance e si allontana. Io rimango seduta come impietrita, non capisco perch continui a insinuare che lo tradisco. Solo perch da qualche tempo non facciamo sesso? Non colpa mia se sono stata malata e poi ho dovuto trascorrere cos tanto tempo a Maralal. Comunque, i samburu non fanno l'amore durante la gravidanza delle mogli. La nostra relazione ha gi dovuto incassare duri colpi, non si pu andare avanti cos. Disperata, prendo Napirai e vado da Mamma. Tra le lacrime cerco di raccontarle tutto. Lei non ha molto da dire, solo che normale che gli uomini siano gelosi, non devo badarci. Ma questa non una gran consolazione per me, e mi metto a singhiozzare ancor di pi. Mamma mi sgrida, non ho motivo di piangere, non mi ha picchiato nessuno. Neanche qui trovo conforto e torno a casa triste. Verso sera passa la mia vicina di casa, la moglie del veterinario, che evidentemente ci ha sentito litigare. Facciamo il chai e cerchiamo di parlare, ma non facile. E' vero che i guerrieri sono molto gelosi, dice, ma pericoloso dire al proprio marito che pazzo. Mi sembra di essere sola al mondo con la mia bambina. Non mangio da ieri a mezzogiorno, ma per fortuna ho latte in abbondanza per Napirai. La notte Lketinga non torna a casa. Incomincio a pensare che mi abbia abbandonato davvero, sono preoccupata. La mattina successiva sto malissimo, non riesco quasi a scendere dal letto. La mia vicina passa di nuovo a mezzogiorno e quando vede in che condizioni sono, si prende cura di Napirai e lava tutti i pannolini. Poi prende della carne e il mio ultimo riso e mi prepara da mangiare. Sono commossa. Per la prima volta da quando sono qui nasce un'amicizia nella quale non sono solo io, la mzungu, a dare, ma un'altra persona, senza che nessuno glielo abbia chiesto, ad aiutarmi. Mi faccio coraggio e mangio tutto quello che mi mette nel piatto. Lei non vuole niente perch ha gi pranzato. Dopo aver fatto i lavori per me, va a sbrigare le faccende domestiche a casa propria. Di sera, quando finalmente ritorna, Lketinga non mi saluta nemmeno e si mette subito a perlustrare tutte le stanze. Cerco di comportarmi nel modo pi naturale possibile e gli offro qualcosa da mangiare. Lui incredibilmente accetta il cibo, segno che rester a casa. Sono contenta e ricomincio a sperare. Ma se ne vedranno ancora delle belle. Quarantena. Verso le nove mi vengono dei terribili crampi allo stomaco. Sono a letto, e per sopportare i dolori mi ripiego su me stessa portando le ginocchia al mento. Non posso allattare Napirai in queste condizioni. E' con suo pap e strilla. Lui in questo caso paziente, la porta in giro per la casa cantando per ore. A tratti la bambina si calma, ma poi riprende a urlare. Verso mezzanotte mi sento cos male che vomito. Mi torna su tutto il cibo non digerito, e quando ho

lo stomaco vuoto continuo a rimettere un liquido giallo. Sporco tutto il pavimento, ma mi sento troppo male per pulire. Ho freddo e sono sicura di avere la febbre alta. Lketinga preoccupato, e nonostante sia molto tardi va dalla vicina. Lei arriva subito e pulisce tutto come se fosse la cosa pi naturale del mondo. Mi chiede preoccupata se ho un altro attacco di malaria. Non lo so, spero di non dover ritornare in ospedale cos presto. Dopo un po' i dolori cominciano ad attenuarsi e riesco a distendere le gambe, cos almeno posso allattare Napirai. La vicina torna a casa e mio marito si mette a dormire in terra, su un materasso accanto al letto. Il mattino dopo mi sento piuttosto bene e bevo il chai che mi ha preparato, ma dopo meno di mezz'ora ho un conato improvviso e tutto il t fuoriesce di getto dalla mia bocca. Ho di nuovo dolori atroci allo stomaco. Continuano ad aumentare, al punto che mi devo di nuovo ripiegare su me stessa. Per fortuna dopo un po' si calmano e cos posso cominciare a lavare la bambina e i pannolini. Ma anche se in questo momento non ho n dolori n febbre e non subentrano neanche i soliti brividi, mi affatico facilmente. Dubito che questa volta sia malaria, penso piuttosto a un disturbo di stomaco. Nei due giorni successivi ogni mio tentativo di mangiare o bere qualcosa fallisce. I dolori durano sempre di pi e si fanno ancora pi atroci. Dal momento che non riesco a tenere il cibo il mio seno diventa sempre pi piccolo. Il quarto giorno sono completamente stremata, non riesco neppure ad alzarmi. La mia amica viene ad aiutarmi quotidianamente. Fa quel che pu, ma l'allattamento spetta a me. Alla fine, Lketinga va a prendere Mamma, la quale dapprima mi guarda e mi preme le mani sullo stomaco provocandomi dolori infernali, poi indica i miei occhi e dice che sono gialli. Anche il mio viso ha un colore strano. Mi chiede cosa ho mangiato, ma un bel po' che non riesco a tenere niente all'infuori dell'acqua. Napirai urla, vuole essere allattata, per non riesco neanche a prenderla in braccio. Mamma la appoggia sul mio seno afflosciato, ma dubito di avere ancora latte a sufficienza e sono preoccupata per la sua alimentazione. Alla fine, dato che neanche lei conosce un rimedio per questa malattia, decidiamo di andare all'ospedale di Wamba. Lketinga guida e la mia amica tiene Napirai perch io sono troppo debole. Come al solito lungo la strada dobbiamo cambiare una gomma. Che disperazione, odio questa macchina! Mentre i due sostituiscono la ruota, mi siedo faticosamente all'ombra e allatto Napirai. Arriviamo a Wamba nel tardo pomeriggio. Mi trascino fino all'accettazione e chiedo della dottoressa svizzera. Dopo pi di un'ora arriva il medico italiano. Mi fa alcune domande sui sintomi, mi sottopone a un prelievo di sangue e dopo un po' ci dice che questa volta non si tratta sicuramente di malaria, ma ne sapr di pi solo domani. Napirai resta con me, mio marito e la mia amica ritornano a Barsaloi sollevati. Mi ricoverano di nuovo nel reparto maternit perch Napirai possa dormire in un lettino accanto al mio. Lei, per, non abituata a stare senza di me, e continua a piangere finch una suora non la mette nel mio letto. Si addormenta subito attaccata al mio seno e la mattina dopo finalmente arriva la dottoressa svizzera. Non contenta di rivedermi in questo stato.

Dopo alcuni esami pronuncia la diagnosi: epatite! In un primo momento non capisco bene cosa voglia dire. Lei mi spiega preoccupata che si tratta di un'infiammazione del fegato, che purtroppo anche contagiosa. Il mio fegato non pi in grado di assimilare i cibi, per questo ogni minima ingestione di grassi mi procura dolori terribili. Seguir da subito una dieta rigorosissima. Inoltre ho bisogno di riposo assoluto e dovr stare in quarantena. Lottando con le lacrime le chiedo per quanto tempo. Lei guarda me e Napirai con compassione e risponde: Almeno sei settimane! Allora la malattia non sar pi contagiosa, ma prima della guarigione completa ci vorr ancora del tempo. Inoltre, si dovranno fare degli esami a Napirai perch l'ho sicuramente contagiata! A questo punto scoppio a piangere. La gentile dottoressa cerca di consolarmi, non sicuro che la mia bambina sia stata colpita dal male. Anche mio marito dovr farsi controllare al pi presto. Queste notizie deprimenti mi fanno venire il mal di testa. Poco dopo arrivano due infermiere africane con una sedia a rotelle e vengo trasferita con tutte le mie cose in un'altra ala dell'ospedale. Mi danno una camera con bagno cui si accede attraverso una vetrata senza porta che da sul cortile. Non possibile aprire dall'interno, c' solo una finestrella per il cibo. Sebbene il reparto sia nuovo e la stanza confortevole, mi sembra gi di essere in prigione. Portano via le nostre cose per disinfettarle e mi fanno indossare l'uniforme dell'ospedale come la volta scorsa. Poi visitano Napirai. Quando le fanno il prelievo urla a squarciagola. Mi fa una pena infinita, ha appena sei settimane e deve gi sopportare queste sofferenze! Mi mettono la flebo e mi danno una brocca con dell'acqua dolcificata con mezzo chilo di zucchero, devo berne molta se voglio che il fegato si riprenda rapidamente, e ho bisogno di riposo, riposo assoluto. Non possono fare altro per me. Quando mi portano via la bambina piango disperatamente e mi addormento. Quando mi sveglio il sole gi alto ma non so che ore sono. Il silenzio tombale di questa stanza mi fa venire il panico, non si sente assolutamente niente e per entrare in contatto con il mondo esterno devo usare il campanello. A un certo punto dietro alla vetrata compare una suora africana, che mi parla attraverso il finestrino. Le chiedo come sta Napirai e lei mi risponde che andr a chiamare la dottoressa. Passano pochi minuti che con questa calma mi sembrano un'eternit. Poi finalmente entra nella mia stanza la dottoressa, e io le chiedo preoccupata se stando a contatto con me rischia il contagio. Mi sorride e cerca di tranquillizzarmi: Una volta fatta, l'epatite non si prende pi!, lei l'ha avuta anni fa. Poi finalmente mi da una buona notizia, Napirai sanissima ma non vuole bere latte di mucca o in polvere. Con voce tremula le chiedo se durante le sei settimane la potr vedere. Se non accetta altro nutrimento entro dopodomani, dovr allattarla io per forza anche se il rischio di contagiarla, mi spiega la dottoressa, alto, ed gi un miracolo che non abbia ancora contratto la malattia. Mi danno il primo pasto verso le cinque: riso in bianco, cavolo bollito e un pomodoro. Mangio lentamente. Riesco a non vomitare ma, anche se meno forti, mi tornano i dolori. Durante la giornata mi fanno vedere Napirai due volte attraverso la vetrata. La mia bambina urla, ha il pancino

incavato. A mezzogiorno dell'indomani le suore non ce la fanno pi e mi portano il mio tesorino color caffellatte. Mi pervade una sensazione di profonda felicit che non provavo da tempo. Cerca avidamente il mio seno e appena inizia a succhiarlo si calma. Guardando la mia Napirai capisco che per ritrovare la serenit e sopravvivere in questo isolamento ho assoluto bisogno di lei. Mentre prende il latte mi fissa con i suoi grandi occhi scuri e io devo trattenermi per non abbracciarla troppo forte. Pi tardi passa la dottoressa e dice: Vedo che voi due avete proprio bisogno l'una dell'altra, che sia per guarire o per mantenere la salute!. Finalmente riesco di nuovo a sorridere, prometto che ce la metter tutta. Ogni giorno butto gi fino a tre litri di acqua dolce, che piuttosto nauseante. Per fortuna ora mi danno anche del sale, cos i cibi sono un po' pi gustosi. Per la prima colazione prendo il t e una specie di pane integrale biscottato con un pomodoro o un frutto, a pranzo e a cena sempre le stesse cose: riso in bianco con o senza cavolo. Ogni tre giorni mi fanno un prelievo di sangue e gli esami delle urine. Dopo una settimana sto meglio, ma sono ancora debolissima. Due settimane dopo arriva un'altra batosta, dall'esame delle urine emerge che i miei reni funzionano male. Effettivamente avevo dei dolori alla schiena, ma pensavo fossero dovuti al fatto che sto sempre sdraiata. Cos non posso nemmeno pi salare i cibi. In compenso mi mettono il catetere per le urine, il che mi procura forti bruciori. Ero riuscita finalmente a racimolare le forze per fare qualche passo e adesso sono di nuovo a letto! Per fortuna con me c' Napirai, senza la mia bambina non varrebbe la pena vivere. Credo che percepisca che non sto bene perch da quando qui non piange pi. Lketinga venuto in ospedale due giorni dopo il mio ricovero per sottoporsi alla visita, ed risultato sano. Poi non si pi fatto vedere. Il mio aspetto non era certo dei migliori e non abbiamo potuto nemmeno chiacchierare. E' rimasto per mezz'ora davanti alla vetrata con lo sguardo triste e poi se n' andato. A volte mi portano i suoi saluti, dice che gli manchiamo molto, per passare il tempo porta in giro i nostri animali. Da quando a Wamba si diffusa la notizia che in ospedale c' una mzungu, vengono regolarmente degli estranei a guardarci dalla vetrata. A volte ci sono anche dieci persone. Mi sento imbarazzata e mi copro il viso con il lenzuolo. Le giornate trascorrono lentamente, gioco con Napirai o leggo il giornale. Sono qui da due settimane e mezza e non ho ancora potuto vedere un raggio di sole o respirare un po' d'aria fresca. Ho nostalgia del eri eri dei grilli e del cinguettio' degli uccellini. La depressione si sta impadronendo di me. Rifletto molto sulla mia vita, sono sicura che la mia nostalgia per Barsaloi e i suoi abitanti. Quando si avvicina di nuovo l'ora delle visite e io sono gi nascosta sotto le coperte, una suora mi dice che c' qualcuno per me. Guardo fuori, e dietro la vetrata vedo mio marito con un altro guerriero che ci sorride raggiante. E' allegro e bello, mi prende un'euforia che non provavo da molto tempo. Mi piacerebbe tanto andare da lui, toccarlo e dirgli: Darling, no problem, andr tutto a posto. Alzo Napirai in modo che possa vederle il visino e le indico suo pap. Lei sbraccia e sgambetta, di nuovo bella grassottella.

Quando degli estranei tentano di sbirciare attraverso la vetrata mio marito li intimidisce e loro se la svignano. Mi fa ridere, e anche lui sprizza felicit mentre conversa con il suo amico. Al sole il suo viso truccato proprio luminoso. Lo amo ancora, nonostante tutto! L'orario delle visite termina, ci salutiamo con la mano. Aver rivisto mio marito mi da tutta la forza di cui ho bisogno per riprendermi. Passata la terza settimana, poich i valori sono migliorati di molto mi tolgono il catetere. Finalmente posso lavarmi come si deve, faccio addirittura la doccia. Quando viene a visitarmi, la dottoressa si meraviglia, sono proprio bella. Ho tirato su i capelli, mi sono fatta la coda con un nastro rosso e ho messo il rossetto, mi sembra di rinascere. Dice che fra una settimana potr uscire per un quarto d'ora. Ne sono felicissima, comincio a contare i giorni. Alla fine della quarta settimana posso uscire dalla gabbia con mia figlia sulle spalle. L'impatto con l'aria tropicale cos forte che mi manca quasi il respiro, ma poi mi riempio i polmoni avidamente. Che meraviglia, gli uccellini cantano e i cespugli rossi emanano un profumo delizioso. Dopo pi di un mese mi godo tutto questo in modo particolare, vorrei urlare dalla gioia. Non posso allontanarmi, e cos cammino un po' lungo le altre vetrate. Quello che riesco a intravedere terribile, sono quasi tutti bambini con delle malformazioni. In una stanza ci sono anche quattro lettini. Vedo teste e corpi deformi, bambini con la schiena aperta, senza gambe, senza braccia o con piedi equini. Alla terza vetrata rimango scioccata. Dietro c' il piccolo corpo di un neonato, ha una testa gigantesca che sembra sul punto di esplodere e sta l inerte. Si muovono solo le labbra, forse sta piangendo. Non riesco a sopportare tanto orrore e torno nella mia camera. Sono molto turbata, non avevo mai visto malformazioni del genere. Solo adesso mi rendo conto di quanto sono stata fortunata con mia figlia. Quando viene la dottoressa le domando la ragione per cui questi bambini sono ancora vivi. Mi spiega che siamo in un ospedale missionario, non si pu praticare l'eutanasia. Perlopi questi neonati vengono abbandonati davanti alle porte dell'edificio e aspettano la morte qui. Sono ancora molto turbata, credo che non riuscir pi a dormire in pace e senza incubi. Affinch questo spettacolo mi sia risparmiato, la dottoressa mi consiglia di passeggiare sul retro domani. L c' un prato con gli alberi, e possiamo stare all'aperto per trenta minuti. Corro in mezzo al verde con Napirai e canto ad alta voce. Deve piacerle perch ogni tanto mi accompagna con i suoi gorgheggi. Tuttavia, ben presto la curiosit mi porta nuovamente dai bambini malformati. Stavolta so cosa mi aspetta, e quando li vedo ho una reazione diversa. Alcuni di loro percepiscono che qualcuno li sta guardando. Mentre torno nella mia camera vedo che la vetrata della stanza con i quattro lettini aperta. L'infermiera africana che sta fasciando i bambini ride e mi fa cenno di raggiungerla. Io mi avvicino esitante. Mi fa osservare le loro reazioni quando gli parla o ride. Sono sorpresa della loro gioia, veramente commovente, mi vergogno di aver messo-in dubbio il diritto alla vita di queste creature, in fondo provano dolore e gioia, fame e sete come tutti gli altri. Da quel momento vado sempre a trovarli e gli canto tre

canzonette che ricordo ancora dai tempi della scuola. Gi dopo qualche giorno mi riconoscono e quando mi sentono sono felicissimi. Persino il bambino idrocefalo smette di piagnucolare quando gli canto le mie canzoni. Finalmente ho trovato un modo per trasmettere al prossimo la mia gioia di vivere. Un giorno vado a spasso con Napirai nel passeggino, e ogni volta che sobbalza o le ruote scricchiolano lei ride allegramente. Le suore la adorano, si avvicinano e mi chiedono se possono portare in giro la bambina color caffellatte. Lei sopporta tutto con pazienza, sembra anzi che si diverta. A un certo punto mi trovo di fronte mio marito e suo fratello James. Lketinga si butta subito su Napirai e la prende in braccio, poi saluta me. Sono contentissima di questa sorpresa. Napirai sembra avere qualche problema con il viso truccato e i lunghi capelli rossi di suo padre e manca poco che si metta a urlare. James le si avvicina e le sussurra qualcosa. Anche lui incantato dalla nostra bambina. Lketinga prova anche a cantare, ma non serve a niente, Napirai vuole tornare da me. James gliela prende e lei si calma subito. Abbraccio Lketinga per consolarlo e cerco di spiegargli che ha bisogno di tempo per riabituarsi a lui, non lo vede da pi di cinque settimane. E' disperato e mi chiede quando torneremo a casa. Gli prometto di informarmi con la dottoressa appena la vedo. Durante la visita pomeridiana lo chiedo al medico, il quale mi assicura che potr lasciare l'ospedale fra una settimana, ma a condizione che non lavori e che rispetti la dieta. Solo fra tre o quattro mesi avr il permesso di riprovare lentamente a ingerire dei grassi. Mi sembra di non aver sentito bene, solo riso o patate bollite per tutto questo tempo! Ho tanta voglia di carne e latte. La sera ritornano Lketinga e James. Mi portano della carne magra bollita. Non resisto, e lentamente ne mangio un paio di pezzetti masticandoli a lungo, il resto purtroppo glielo devo restituire. Prima che se ne vadano ci mettiamo d'accordo, fra una settimana torneranno a prendermi. La notte stessa mi vengono forti dolori di stomaco. Sento un bruciore terribile, come se del fuoco mi consumasse a poco a poco le pareti dello stomaco. Dopo mezz'ora non ce la faccio pi e chiamo la suora con il campanello. Quando vede come mi contorco chiama il medico. Lui mi guarda severo e mi chiede cosa ho mangiato. Mi vergogno tanto, ma ammetto di aver consumato circa cinque pezzetti di carne senza grasso. Molto seccato mi dice che sono una stupida, e mi chiede perch sono venuta qui se non voglio attenermi alle loro prescrizioni. Ne ha abbastanza di fare il salvatore di vite, in fondo non sono certo l'unica paziente che ha! Se in quel momento non fosse arrivata la dottoressa svizzera, avrebbe continuato per un bel pezzo. Comunque sia, il suo accesso d'ira mi addolora perch finora era sempre stato molto simpatico. Napirai urla e piango anch'io. Lui lascia la stanza, la dottoressa mi tranquillizza e si scusa per il suo collega dicendo che si comporta cos perch oberato di lavoro. Non fa le ferie da anni e lotta quotidianamente, nella maggior parte dei casi invano, per salvare delle vite umane. Piegata dai dolori, chiedo perdono, mi sento una criminale. Lei se ne va. Quella notte patisco le pene dell'inferno. Attendo le mie dimissioni con trepidazione. Finalmente ci

siamo, abbiamo gi salutato quasi tutte le suore, non ci resta che aspettare Lketinga. Arriva poco prima di mezzogiorno accompagnato da James, ma non felice come mi sarei aspettata perch strada facendo ha avuto dei problemi con la macchina, ancora una volta non riusciva a cambiare marcia. Adesso la jeep si trova a "Wamba, nell'officina della missione. Nairobi. James prende in braccio Napirai e Lketinga porta la mia borsa. Finalmente sono libera! Pago il ricovero e andiamo alla missione. Sotto la jeep c' un meccanico che lavora. A un certo punto esce tutto sporco d'olio e dice che il cambio non avr vita lunga, partita la seconda marcia. Adesso basta, mi dico, non ne posso pi di questa macchina. Finalmente sto bene e la mia bambina pure, non ho intenzione di correre altri rischi. Propongo a mio marito di andare a Maralal, e domani proseguiremo per Nairobi dove compreremo un'altra macchina. James subito entusiasta. Nonostante i continui scoppiettii nella scatola del cambio arriviamo in albergo prima del tramonto. Il giorno dopo abbandoniamo la jeep e partiamo per Nairobi. Siamo in cinque, James ha insistito per portare un suo amico perch non vuole passare la notte da solo in una stanza di Nairobi. Nel nostro bagaglio ci sono dodicimila franchi svizzeri, tutto quello che abbiamo sommando i guadagni del negozio all'attuale disponibilit sul mio conto in banca. Non ho ancora le idee chiare su come trovare un'altra macchina, non posso sceglierne una usata da un concessionario. Siamo in Kenya, le auto scarseggiano. Raggiungiamo la metropoli verso le quattro del pomeriggio. Per il resto della giornata dobbiamo darci da fare a trovare una sistemazione per tutti. L'Igbol al completo, e cos proviamo di nuovo con l'altro albergo a buon mercato che conosco, in fondo dovrebbe essere solo per una o due notti. Siamo fortunati, ci danno due camere. Per prima cosa devo lavare e cambiare Napirai. Riesco a pulire la mia bambina dalla polvere e dallo sporco in una bacinella, anche se purtroppo met dei pannolini sono gi usati e non abbiamo modo di lavarli. Mangiamo e andiamo a letto presto. La mattina dopo non so proprio da dove cominciare. Cerco su un elenco telefonico se per caso esistono dei commercianti di macchine usate, ma tempo sprecato. Allora decido di fermare un tassista e glielo chiedo. Lui vuole sapere subito se abbiamo il denaro, e io per prudenza dico di no, prima voglio trovare una macchina adatta. Ci promette che si informer in giro e ci da un appuntamento per domani nello stesso posto e alla stessa ora. Va bene, ma non mi va di rimanere inattiva, cos lo chiedo ad altri tre tassisti, che ci guardano come se fossimo extraterrestri. Non ci resta altro da fare che presentarci all'appuntamento al posteggio dei taxi. Il tassista ci sta gi aspettando. Conosce un tizio che forse ha una jeep. Attraversiamo mezza Nairobi e ci fermiamo davanti a un negozietto. Il proprietario africano mi conferma di avere tre macchine, ma purtroppo senza trazione integrale. Dice che non possiamo vederle adesso, nel caso fossimo interessati chiamer gli attuali proprietari e gli chieder di mostrarci i veicoli. Di macchine usate in

circolazione non ne troveremo mai. Purtroppo devo rifiutare l'offerta, non possiamo fare a meno della trazione integrale. Disperata, gli chiedo se non conosce proprio nessun altro. Lui fa qualche telefonata e poi da un indirizzo al tassista. Arriviamo in un altro quartiere e ci fermiamo in mezzo alla strada davanti a un negozio. Un indiano col turbante ci saluta e ci chiede se siamo quelli della macchina. Io rispondo brevemente: Yes. Ci prega di seguirlo nel suo ufficio e ci comunica che al momento ci sono due occasioni. La prima una jeep ma troppo cara, e io comincio gi a scoraggiarmi. Poi parla di una Datsun di cinque anni che potrebbe darci per circa quattordicimila franchi. Anche questa cifra supera di molto le mie possibilit, e poi non so nemmeno di cosa si tratti. L'indiano continua a ripeterci quanto difficile trovare un'auto, ma nonostante questo ce ne andiamo. Lui ci raggiunge sulla strada e ci dice di passare ancora domani, ci far vedere la Datsun senza impegno. Ci da un appuntamento, ma non sono affatto disposta a spendere cos tanto denaro. Ancora una volta dobbiamo aspettare tutto il giorno. Compro dei pannolini nuovi perch quelli che avevo sono tutti sporchi. Si stanno accumulando nella stanza d'albergo e di certo non contribuiscono a migliorare l'aria. Anche se non ho intenzione di comprare, andiamo di nuovo dall'indiano. Lui ci saluta con grande cordialit e ci mostra la Datsun. Appena la vedo mi viene voglia di prenderla, se ce la faccio con i soldi non esiter. Sembra ben tenuta e dev'essere molto comoda. L'indiano mi offre un giro di prova che io rifiuto spaventata, con la guida a sinistra e tre corsie perderei sicuramente l'orientamento. Cos si limita ad avviare il motore. Gli altri sono entusiasti del veicolo, ma io mi faccio degli scrupoli per il prezzo. Entriamo in ufficio. Quando gli parlo della mia jeep di Maralal, si dichiara disposto a ritirarla per duemila franchi, un buon affare. Nonostante questo esito ancora, dodicimila franchi tutto il denaro che abbiamo e dovremo pure tornare a casa. Allora si offre di farci accompagnare fino a Maralal da un autista, che prender in consegna la nostra jeep. Ci rifletto ancora. Dice che dovr dargli solo diecimila franchi subito, per il resto far un assegno al nostro accompagnatore. La sua fiducia e la sua generosit mi sorprendono, in fondo Maralal si trova a circa quattrocentocinquanta chilometri da qui. Accetto l'offerta senza indugi, cos risolvo anche il problema dell'attraversamento di Nairobi. Quando sentono che comprer la macchina, mio marito e i ragazzi esultano. Pago e stipuliamo un vero e proprio contratto. L'indiano dice che siamo molto coraggiosi ad andare in giro per la citt con cos tanto denaro. La macchina sar pronta solo domani sera perch bisogna registrare il passaggio di propriet sul libretto di circolazione. Questo significa che dovremo trascorrere altre due notti qui, ma il pensiero dell'auto nuova mi fa sopportare di buon grado anche questo. Ce l'abbiamo fatta, torneremo con una macchina favolosa. Come deciso, la mattina del secondo giorno l'autista ci viene a prendere all'albergo con la macchina. Mi faccio mostrare i documenti ed effettivamente intestata a me. Quindi carichiamo i nostri bagagli, che comprendono diversi

chili di pannolini non lavati. In questa auto cos bella e confortevole ci sentiamo dei re, e sembra che adesso viaggiare in macchina piaccia perfino a Napirai. Arriviamo a Maralal verso sera, l'autista non c'era mai stato ed meravigliato. Ovviamente, l'arrivo di un veicolo nuovo da subito nell'occhio. Parcheggiamo all'albergo, direttamente dietro alla jeep, di cui gli elenco - anche meccanico - tutti i difetti. Lui risponde: It's okay e va a dormire. Il giorno seguente gli do l'assegno e lo congedo. Pernottiamo di nuovo a Maralal e passiamo da Sofia. Lei e sua figlia Anika stanno bene. Era sorpresa di non ricevere pi mie visite, e quando le spiego della mia epatite rimane turbata. Ci raccontiamo gli ultimi eventi e poi ce ne andiamo. La sua gatta ha avuto tre piccoli, le chiedo di tenermene uno. Prendiamo la strada via Baragoi e per raggiungere Barsaloi impieghiamo quasi un'ora in meno che con la vecchia jeep. Mamma raggiante quando ci rivede, era molto preoccupata, non sapeva che eravamo a Nairobi. Appena arriviamo la nostra macchina viene subito circondata dai primi ammiratori. Da Maralal ho scritto a mia madre pregandola di farmi un bonifico dal mio conto svizzero. Dopo il chai andiamo a casa nostra. Nel pomeriggio faccio un'altra visita a padre Giuliano e gli racconto tutto fiera della mia nuova macchina. Si congratula con me per l'acquisto e dice che se porter i ragazzi alla scuola di Maralal e ogni tanto qualche malato, finanzier generosamente i miei viaggi. Cos avr un introito in pi. Ci godiamo la vita, stiamo proprio bene. Continuo a fare la dieta, il che non facile qui. I ragazzi resteranno ancora un paio di giorni, fino alla fine delle vacanze. Mentre Napirai sta da gog, cio da sua nonna, io li accompagno a Maralal. Strada facendo discutiamo del negozio, James e io pensiamo di riaprirlo solo fra tre mesi, quando avr terminato gli studi. E' contento di collaborare con me. In paese faccio una breve visita a Sofia, che fra due settimane andr in Italia a far vedere la figlia ai suoi genitori. Sono felice per lei e al tempo stesso provo un po' di nostalgia per la Svizzera. Piacerebbe molto anche a me far conoscere mia figlia alla mia famiglia! Non posso nemmeno mandare le prime foto di Napirai perch qualcuno ha esposto la pellicola alla luce e le ha bruciate. Scelgo un gattino a strisce rosse e bianche e me lo porto via in un cartone. Il viaggio procede a meraviglia e nonostante la strada sia lunga sono a casa prima del tramonto. A Napirai hanno dato latte di mucca tutto il giorno, ma quando mi sente arrivare si mette a urlare e non si calma finch non prende il suo amatissimo seno. Lketinga ha trascorso la giornata con le sue mucche - a Sitedi si sta diffondendo una peste bovina che uccide quotidianamente molti animali - e torna a casa solo a notte fonda in preda alla depressione. Abbiamo perduto due mucche e altre tre non riescono ad alzarsi. Chiedo se c' un rimedio e lui mi spiega che esiste un vaccino, ma i capi infetti moriranno tutti. Inoltre, questo vaccino molto caro e difficile da trovare a Maralal. Va dal veterinario e si consulta con lui, cos il giorno seguente siamo di nuovo tutti e quattro in viaggio per Maralal. Per un bel po' di soldi ci danno il vaccino e una siringa per immunizzare gli animali ancora sani, dovremo farlo entro cinque giorni. Lketinga

decide di trasferirsi a Sitedi finch questa operazione non sar terminata. Riposo in Svizzera. Dopo tre giorni mi sento triste anche se Mamma e la mia nuova amica fanno i turni per venirmi a trovare. E' tutto molto monotono, e mangiare da sola non bello. Desidero ardentemente rivedere la mia famiglia e decido che far molto presto un viaggio di un mese in Svizzera, dove sar anche molto pi facile seguire la dieta. Ma sebbene i medici me l'abbiano consigliato caldamente quando ho lasciato l'ospedale, sar dura convincere Lketinga. Col passare delle ore l'idea di una vacanza in Svizzera mi entusiasma sempre di pi. Speriamo che mio marito torni presto. Mentre preparo da mangiare sul pavimento della cucina sotto la finestra aperta, a un certo punto si spalanca la porta di casa ed entra Lketinga. Non saluta, guarda subito fuori e mi chiede diffidente chi uscito dalla finestra. Dopo cinque giorni di attesa e di solitudine questo sospetto mi colpisce di nuovo come un pugno in faccia, ma cerco di controllarmi perch intendo discutere del viaggio in Svizzera. Replico pacatamente: Nobody, why do you ask me this?. Non mi risponde ed entra in camera per controllare la coperta e il materasso. Mi vergogno della sua mancanza di fiducia nei miei confronti e tutta la mia gioia per il suo ritorno svanisce. Continua a chiedermi chi venuto a trovarmi. Rispondo che come al solito - in questo caso accaduto due volte - si sono presentati alla porta dei guerrieri, ma non li ho fatti entrare. Finalmente dice qualche parola a sua figlia e la tira fuori dal lettino di vimini che ho comprato l'ultima volta a Maralal, e che durante il giorno metto sotto l'albero mentre faccio il bucato e lavo i pannolini. La prende in braccio e se ne va in direzione delle manyatta, probabilmente diretto da Mamma. E' pronto da mangiare ma non riesco a fare altro che rigirarlo svogliata. Continuo a chiedermi perch sia cos sospettoso. Dopo due ore non ancora tornato e cos vado da Mamma anch'io. La trovo seduta con altre donne sotto il suo albero. Napirai dorme accanto a lei sulla pelle di mucca e Lketinga sdraiato dentro la manyatta. Mi siedo accanto a Mamma. Mi chiede qualcosa ma io capisco solo in parte. Forse crede anche lei che io abbia un amante. Evidentemente Lketinga le ha raccontato storie terribili. Mi sorride ammiccante e dice che devo stare attenta, pericoloso. Delusa, ribadisco la mia innocenza, prendo mia figlia e me ne torno a casa. In queste condizioni mi difficile comunicare a Lketinga la mia intenzione di andare in Svizzera, ma sempre pi evidente che ho bisogno di un po' di vacanza. Al momento lo tengo per me, aspetter che torni la pace. A volte provo a buttare gi un pezzettino di carne, ma mi viene subito mal di stomaco. Meglio mais, riso e patate. Mangiando senza grassi e allattando ogni giorno, perdo sempre pi peso. Devo tenere su le gonne con la cintura per non perderle. Napirai ha gi pi di tre mesi e dobbiamo andare all'ospedale di Wamba per farla vaccinare e sottoporre a un controllo generale. Con la nuova macchina piacevole viaggiare. Viene anche Lketinga, e questa volta vuole guidare anche lui.

Non sono entusiasta di questa sua intenzione, ma d'altra parte non posso andare da sola con Napirai,- quindi in qualche modo dipendo da lui. Gli do la chiave a malincuore, e ogni volta che ingrana male una marcia mi viene una fitta. Va lento, troppo lento, e c' uno strano odore. Mi accorgo che il freno a mano tirato. Lui molto imbarazzato perch adesso non funziona pi bene e io sono molto seccata. Si deprime e non vuole pi guidare. Prende in braccio Napirai e si siede vicino a me. Io cerco di tranquillizzarlo. E' solo un freno, si pu riparare. In ospedale dobbiamo aspettare quasi due ore prima che ci chiamino. Dopo avermi visitato, la dottoressa svizzera dice che sono troppo magra e ho poche riserve. Se non voglio ritornare da lei in veste di paziente mi consiglia di andare in Svizzera per almeno due mesi. Le confesso che ci avevo gi pensato, ma non so come farlo capire a mio marito. Lei va a chiamare il medico e anche lui mi invita ad andare in Europa di corsa. Sono completamente denutrita, e Napirai, che invece scoppia di salute, mi fa consumare le poche energie che ho. Chiedo al medico se pu parlare lui con Lketinga. Mio marito cade dalle nuvole quando sente che devo allontanarmi per cos tanto tempo. Dopo lunghe discussioni si convince e ci mettiamo d'accordo per cinque settimane. Il medico mi da un certificato che mi aiuti a ottenere pi rapidamente i documenti di viaggio per Napirai. Quindi la vaccina e torniamo a Barsaloi. Lketinga triste e continua a chiedermi: Corinne, why you are always sick? Why you go with my baby so far? I don't know, where is Switzerland. What shall I make without you such a long time?. Mi spezza il cuore, dev'essere davvero difficile per lui. Anche Mamma dispiaciuta quando viene a sapere che andr in Svizzera. Ma io prometto di ritornare sana e robusta, cos potremo riaprire il negozio. Partiamo due giorni pi tardi. Parcheggio la macchina alla missione. Padre Giuliano ci da un passaggio fino a Maralal, e Lketinga prosegue con noi fino a Nairobi. Ancora una volta il viaggio molto lungo, e strada facendo devo cambiare Napirai pi volte. In compenso, ho pochi bagagli. A Nairobi andiamo in un albergo e poi ci rechiamo subito all'ambasciata tedesca a chiedere il passaporto per minorenni. I problemi cominciano all'ingresso. Non vogliono lasciar entrare Lketinga con il suo costume samburu e solo quando dimostra di essere mio marito gli danno libero accesso. Lui si innervosisce e diventa diffidente. L'ambasciata piena di gente. Comincio a compilare il modulo, ma alla voce nome prevedo gi che sorgeranno dei problemi. Scrivo Leparmorijo Hofmann Napirai, ma Lketinga si rifiuta di accettare Hofmann, dice che sua figlia una Leparmorijo e basta. Io cerco di spiegargli con calma che questo l'unico modo per avere un passaporto, e se non lo otterremo Napirai non potr venire con me. Ne viene fuori un interminabile diverbio e la gente in attesa ci guarda curiosa. Alla fine, per, riesco a convincerlo a firmare il modulo. Aspettiamo ancora. Dopo un po' mi chiamano e mi dicono di andare nella stanza in fondo al corridoio. Vuole venire anche mio marito, ma lo trattengono. Ho il batticuore perch so che esploder di nuovo. Infatti, mentre entro vedo Lketinga che va allo sportello a litigare con l'addetto. L'ambasciatore tedesco mi sta gi aspettando. Mi

comunica con gentilezza che possono emettere un passaporto solo a nome di Hofmann Napirai perch il nostro certificato di matrimonio non ancora stato vidimato e quindi secondo la legislazione tedesca non sono sposata, le mie nozze sono valide solo in Kenya. Quando aggiunge che mio marito dovr firmare la richiesta ancora una volta, gli rispondo che non ne vorr sapere e gli mostro i miei certificati medici. Ma lui non pu fare niente. Quando esco Lketinga di pessimo umore. E' seduto sulla sedia con Napirai che piange in braccio: What is wrong with you? Why you go there without mei l'm your husband!. Mi dispiace, ma devo di nuovo compilare i moduli senza il suo cognome. Quando se ne accorge, si alza e dice che non firmer pi nulla. Io lo fulmino con lo sguardo e gli sussurro decisa che se non firma me ne andr in Svizzera con Napirai e non torner mai pi, si deve ficcare in testa che si tratta della mia salute! Dopo che l'addetto dietro allo sportello gli ha assicurato ripetutamente che Napirai resta comunque sua figlia, lui si convince e firma. Torno dall'ambasciatore, che mi chiede un po' scettico se andato tutto bene. Io gli spiego che per un guerriero molto difficile capire la burocrazia. Mi consegna il passaporto per la bambina e mi fa tanti auguri. Gli chiedo se adesso finalmente posso lasciare il Kenya, e lui mi ricorda che mi servono ancora i due timbri di uscita e di entrata delle autorit e ogni volta ci vuole comunque l'autorizzazione del padre. Ho il presentimento che ci saranno di nuovo dei problemi. Lasciamo l'ambasciata di malumore e andiamo a palazzo Nyayo, dove dobbiamo di nuovo compilare moduli su moduli e aspettare. Napirai urla, neanche dandole il seno riesco a calmarla. Come al solito veniamo bersagliati da un gran numero di sguardi, e alcuni fanno dei commenti sul trucco di mio marito. Finalmente chiamano il nostro nome ad alta voce. La donna dietro allo sportello chiede con arroganza a Lketinga perch Napirai ha un documento tedesco se nata in Kenya. Siamo da capo, sono furiosa e ho voglia di piangere. Spiego all'addetta che, sebbene l'abbia chiesto gi due anni fa, mio marito non possiede ancora un passaporto su cui registrare nostra figlia. Nonostante questo io devo andare in Svizzera a riprendere le forze perch sono stata molto malata. La domanda successiva un altro colpo: perch non lascio la bambina col padre? Rispondo sdegnata che del tutto normale che una donna si porti dietro la figlia di tre mesi, e poi mia madre avr pure il diritto di vedere la sua nipotina! Alla fine timbra il documento della bambina e il mio passaporto. Sfinita e sollevata al tempo stesso raccolgo in fretta tutte le carte ed esco. Ora devo acquistare un biglietto aereo, ma questa volta porto con me una dichiarazione che documenta la provenienza del denaro. Presento i passaporti e prenotiamo un volo fra due giorni. Non ci vuole molto tempo, dopo pochi minuti l'impiegata torna con i biglietti. Me li mostra e legge ad alta voce: Hofmann Napirai e Hofmann Corinne. Lketinga chiede di nuovo per quale motivo ci siamo sposati se non sono sua moglie e la bambina di mia esclusiva propriet. I miei nervi non reggono pi. Piango dalla vergogna, metto via i biglietti, lasciamo l'ufficio e torniamo all'albergo. Mio marito lentamente si calma e si siede sul letto

perplesso e triste. In qualche modo lo capisco, per lui il nome della famiglia il dono pi grande che si possa fare alla propria moglie e ai figli, e io non l'accetto. Questo significa che non voglio essere sua. Gli prendo la mano e cerco di persuaderlo che non deve assolutamente preoccuparsi, torneremo. Mander un telegramma alla missione perch gli dicano esattamente quando. Mi spiega che si sentir solo senza di noi, ma d'altra parte vuole avere una moglie sana. Al nostro ritorno verr a prenderci all'aeroporto. Questo mi riempie di gioia, so benissimo che il viaggio gli coster non POCO sacrificio. Infine mi comunica che vuole lasciare Nairobi e tornare a casa, aspettare qui lo rende solo infelice. Lo capisco e lo accompagnamo alla stazione degli autobus. Mentre aspettiamo, mi chiede ancora una volta preoccupato: Corinne, my wife, you are sure, you and Napirai come back to Kenya?. Ridendo rispondo: Yes, darling, I'm sure e il suo autobus parte. Purtroppo non ho potuto avvisare mia madre prima dell'altro ieri. Naturalmente si stupita, ma non vede l'ora di vedere finalmente la nipotina. Per questo dobbiamo essere bellissime entrambe. Ma difficile lasciare in camera da sola una bambina cos piccola e vivace. Il bagno e le docce sono in fondo al corridoio. Se non dorme quando vado al gabinetto la devo portare per forza con me, ma nella doccia non posso. Vado alla reception e chiedo alla donna se pu badare a lei per un quarto d'ora, giusto il tempo di lavarmi. Lo farebbe con piacere, ma in questo momento mezza Nairobi senz'acqua perch si rotta una tubatura. Forse la ripareranno prima di sera. Alle sei la situazione non cambiata, al contrario, c' una puzza terribile. Non posso aspettare ancora, devo essere all'aeroporto entro le dieci. Cos vado in un negozio, compro alcuni litri di acqua minerale e li porto in camera. Dopo essermi occupata di Napirai, mi lavo i capelli e per il resto cerco di arrangiarmi. Andiamo all'aeroporto in taxi. Abbiamo pochi bagagli anche se alla fine di novembre la temperatura in Europa sar piuttosto rigida. Le hostess sono molto gentili con noi, si fermano continuamente dalla mia piccola e le dicono qualcosa. Dopo cena mi danno un lettino per bambini e poco dopo lei si addormenta. Anche a me viene sonno, e quando mi svegliano stanno gi servendo la prima colazione. Se penso che tra poco sar di nuovo in terra svizzera mi viene una grande agitazione. Visi bianchi. Mi lego Napirai sulla schiena con un kanga e passiamo il controllo dei passaporti senza problemi. Ad aspettarmi c' mia madre con Hanspeter, suo marito. Sono felice di rivederli e Napirai scruta i loro visi bianchi con grande interesse. Durante il viaggio verso POberland di Berna mi accorgo che mia madre molto preoccupata dal mio aspetto. Quando arriviamo a casa per prima cosa mi faccio finalmente un bagno caldo, mentre la mamma, che ha comprato una piccola vasca per mia figlia, si occupa di lavare Napirai. Dopo dieci minuti nell'acqua calda mi viene un prurito su tutto il corpo. Le piaghe che ho sulle gambe e le braccia si aprono ed esce del pus. Si tratta di lesioni provocate dagli ornamenti masai, che faticano a guarire in quel clima umido.

Esco dalla vasca, il mio corpo cosparso di macchie rosse. Mentre la nonna la lava, anche Napirai urla disperata, nelle mie stesse condizioni. Ho un prurito insopportabile, e poich mia madre teme che sia qualcosa di contagioso, prendiamo un appuntamento da un dermatologo per il giorno seguente. Quando capisce di cosa si tratta, il medico si meraviglia: scabbia, una malattia assai rara in Svizzera. Sono acari sotto la pelle che, al caldo, si muovono, e questo provoca il terribile prurito. Naturalmente il dottore si incuriosisce e vuole sapere dove l'abbiamo presa. Racconto dell'Africa, e quando vede anche le mie ferite aperte, profonde fino a un centimetro, mi propone di sottoporci a un test per l'Aids. Mi manca il respiro per un attimo, ma sono disposta a farlo. Mi da alcune bottiglie con un liquido contro la scabbia da usare tre volte al giorno e dice di ritornare da lui con gli esiti delle analisi fra tre giorni. L'attesa peggio di tutto quello che mi successo finora. Il primo giorno dormo molto e vado a letto presto insieme a Napirai. La sera dopo suona il telefono, il medico in persona che chiede di me. Mi prende una grande ansia quando mi passano la cornetta attraverso la quale conoscer il mio destino. Il medico si scusa per l'ora, voleva solo tranquillizzarmi, il test ha avuto esito negativo. Non riesco a dire altro che grazie! ma mi sembra di rinascere, e mi sento molto pi forte. Sono sicura che vincer anche i postumi dell'epatite. Gradatamente aumento il mio consumo di grassi e mangio tutto quello che mia madre amorevolmente mi prepara. Il tempo trascorre lentamente perch, nonostante tutto, non mi sento a casa mia. Facciamo molte passeggiate, qualche visita alla cognata Jelly e anche un'escursione con Napirai sulla prima neve. A lei la vita qui piace molto, ma non ama cambiarsi continuamente d'abito. Dopo due settimane e mezza decido di stare qui solo fino a Natale, ma il primo volo che riesco a prenotare parte il 5 gennaio del 1990, cos la mia assenza da casa alla fine durer quasi sei settimane. Mi difficile congedarmi perch so che d'ora in poi dovr di nuovo fare tutto da sola. Ritorno con quasi quaranta chili di bagagli, ho comprato o cucito qualcosa per tutti. La mia famiglia mi ha dato molti doni, per non parlare dei regali natalizi a Napirai. Mio fratello ha addirittura comprato una gerla per portarla sulle spalle. Andr tutto a posto? Quando atterriamo a Nairobi sono tesissima, spero che Lketinga sia venuto a prendermi. Se non c' sar dura con i bagagli e la bambina. Non facile trovare un albergo nel bel mezzo della notte. Salutiamo le hostess e ci avviamo al controllo passaporti. Appena passata la dogana, scorgo il mio amore e James con il suo amico, ed una gioia grandissima. Mio marito si truccato in modo meraviglioso e i suoi lunghi capelli sono molto ben acconciati. E' avvolto nella coperta rossa, e quando ci vede viene ad abbracciarci felice. Andiamo subito all'albergo che hanno prenotato, ma Napirai adesso ha difficolt con i visi scuri e si mette a urlare. Lketinga teme che non lo riconosca. Una volta in albergo vogliono subito vedere i regali, ma tiro fuori solo gli orologi perch ripartiremo gi domani e ho

stipato tutto ben bene nelle borse. I ragazzi si ritirano nella loro camera e andiamo a letto anche noi. Quella notte facciamo l'amore e non mi fa pi male. Sono felice, spero che andr tutto a posto. Sulla strada del ritorno si parla molto, pare che presto a Barsaloi verr costruita una vera grande scuola. E' arrivato da Nairobi un aereo con degli indiani che da un paio di giorni alloggiano alla missione. La sede dell'edificio dovrebbe essere sull'altra sponda del grande fiume. Verranno molti operai, tutti kikuyu, ma nessuno sa ancora quando cominceranno. Io racconto della Svizzera e ovviamente della scabbia. Anche mio marito deve farsi curare altrimenti ci contager di nuovo. Lketinga venuto in macchina fino a Nyahururu e ha parcheggiato alla missione. E' stato davvero coraggioso. Arriviamo a Maralal senza problemi, ma le distanze mi sembrano di nuovo infinitamente grandi. Il giorno successivo siamo a Barsaloi. Mamma felice, ci saluta e ringrazia Enkai che siamo ritornati sani e salvi dall'uccello di ferro, come chiama l'aereo. E' bello essere di nuovo a casa. Anche alla missione sono contenti di rivedermi. Quando gli chiedo della scuola, padre Giuliano mi conferma quello che mi hanno riferito i ragazzi, nei prossimi giorni avranno inizio i lavori. Ci sono gi alcune persone che stanno costruendo le baracche dove abiteranno gli operai. I materiali arriveranno con i camion via Nanyuki-Wamba. Sono senza parole, non mi sarei mai aspettata che avrebbero realizzato qui un progetto di questa portata. Padre Giuliano mi spiega che il governo vuole che i masai abbiano dimore stabili. La posizione non niente male perch nel fiume c' sempre acqua e sabbia sufficienti a costruire, insieme con il cemento, dei mattoni. E' per via della presenza di una missione cos moderna che le autorit si sono decise per questo luogo. Passo giornate meravigliose, durante le quali facciamo spesso delle passeggiate sull'altra sponda del fiume per seguire i lavori. Il mio gatto molto cresciuto, a quanto pare Lketinga ha mantenuto la promessa di nutrirlo regolarmente, ma sembra che gli abbia dato solo carne perch aggressivo come una tigre. Quando per si accoccola sul lettino con Napirai fa le fusa come un gatto domestico. Dopo pi di due settimane arrivano i primi operai da fuori. La domenica sono in chiesa quasi tutti, l'unico svago per la gente di citt la messa. I somali hanno aumentato drasticamente i prezzi dello zucchero e del mais, il che fa sorgere lunghe discussioni. Viene perfino convocata un'assemblea del villaggio, a cui partecipano gli anziani e il capo. Anche noi siamo presenti, e pi persone mi chiedono quando riaprir il negozio samburu. Ci sono anche alcuni operai che mi domandano se sono disposta ad andare a prendere della birra e del selz con la macchina, mi pagherebbero bene. Guadagnano molto denaro e non hanno occasione di spenderlo, anche perch i somali, in quanto musulmani, non vendono birra. La sera continuano ad arrivare operai, comincio a pensare che potrei davvero mettere su qualcosa per guadagnare di nuovo un po' di soldi. Mi viene in mente di allestire una specie di discoteca con musica kikuyu, in cui potremmo anche preparare della carne alla griglia e vendere birra e selz. Ne parlo con Lketinga e il veterinario, che adesso trascorrono molto tempo insieme. I due sono entusiasti

dell'idea, il veterinario ritiene che si potrebbe tenere anche della miraa, la gente la gradisce molto. E' deciso, faremo un primo tentativo alla fine del mese. Pulisco il negozio e preparo volantini, li appenderemo ai muri e li distribuiremo tra gli operai. L'eco enorme. Fin da subito arrivano a chiederci perch non cominciamo prima, alla fine della settimana, ma non abbiamo abbastanza tempo per preparare, e poi a Maralal non sempre si trova la birra. Facciamo il nostro solito viaggio: acquistiamo dodici cestelli di birra e dodici di selz, e Lketinga si procura la miraa. La macchina piena zeppa e il viaggio di ritorno dura di pi. Una volta a casa disponiamo la merce nella parte anteriore del negozio, mentre la pista da ballo sar nel nostro ex alloggio. Poco dopo arrivano i primi clienti a comprare la birra. Io, per, sono irremovibile, non posso vendere niente altrimenti domani non avremo pi scorte. Quindi arriva il capo e mi chiede se ho la licenza per aprire una discoteca. Naturalmente no, gli chiedo se proprio necessaria. Lketinga si mette a parlare con lui, e alla fine giungono a un accordo, domani sistemer tutto, a pagamento s'intende. Il giorno dopo emette una licenza per un po' di denaro e una birra gratis. Stasera inauguriamo la discoteca, siamo molto impazienti. Il nostro solito aiutante, che si intende un po' di questioni tecniche, toglie la batteria dalla macchina e la attacca al registratore a cassette, cos il problema della musica risolto. Nel frattempo stata macellata una capra, a cui due ragazzi rimuovono le interiora per poi farla a pezzi. Ci sono molti volontari e Lketinga si preoccupa pi di dirigere i lavori che di aiutare in prima persona. Alle sette e mezza tutto pronto. C' la musica, la carne scoppietta sulla griglia e la gente aspetta dall'entrata sul retro. Lketinga incassa i soldi dell'ingresso degli uomini. Per le donne gratis, ma loro rimangono fuori a ridacchiare e solo di tanto in tanto sbirciano dentro. Dopo mezz'ora il negozio pieno. Continuano a presentarsi operai che si congratulano con me per l'idea. Arriva persino il capomastro e mi ringrazia, dice che i lavoratori hanno bisogno di svagarsi, per molti il primo cantiere lontano da casa. A me piace molto stare tra questa gente allegra, e poi quasi tutti parlano inglese. Vengono anche i samburu del paese, e addirittura alcuni anziani, che si siedono sui cestelli rovesciati avvolti nelle loro coperte di lana e guardano i kikuyu ballare con grande meraviglia. Io non ballo, anche se ho lasciato Napirai a Mamma e potrei stare tranquilla. Alcuni mi invitano, ma io mi giro un attimo in direzione di Lketinga e mi rendo conto che meglio lasciar stare. E' nel retro che beve di nascosto le sue birre e mastica miraa, la prima merce a esaurirsi. Alle undici viene abbassata la musica e alcuni uomini tengono un discorso di ringraziamento per gli organizzatori, e in particolare per me, la mzungu. Un'ora pi tardi va via l'ultima birra, mentre la capra stata venduta a chili. I clienti sono di buon umore, resteranno qui fino alle quattro di mattina. A quell'ora finalmente ce ne possiamo andare. Vado a prendere Napirai da Mamma e mi dirigo stanca verso casa. Quando il giorno successivo conto i soldi dell'incasso, scopro con piacere che cos guadagniamo molto di pi che con il negozio. Ma la gioia presto turbata da padre

Giuliano, che arriva di corsa sulla sua moto e ci chiede furioso che razza di baccano abbiamo fatto la notte scorsa. Mogia mogia gli racconto della discoteca. Di per s, se solo due volte al mese, non gli da fastidio, ma dopo mezzanotte vuole godersi il suo riposo notturno. Non voglio farlo arrabbiare, la prossima volta star pi attenta. Diffidenza. Arrivano i primi uomini dall'altra sponda del fiume a chiedere se si pu comprare una birra da qualche parte e io rispondo di no. Spunta mio marito e domanda ai tre cosa vogliono. Glielo spiego io, ma lui si avvicina a loro e gli dice che se in futuro avranno bisogno di qualcosa, lo dovranno chiedere a lui e non a me, lui l'uomo, spetta a lui decidere cosa si deve fare. Il tono della sua voce li fa rimanere male e se ne vanno confusi. Gli domando perch si comporta cos, ma lui ride sarcastico e risponde: I know why these people come here, not for beer, I know! If they want beer, why they don't ask me?. Me lo sentivo che presto mi avrebbe fatto un'altra scenata di gelosia anche se non ho mai parlato con nessuno per pi di cinque minuti! Cerco di reprimere la mia rabbia, quello che racconteranno i tre uomini agli altri pi che sufficiente a screditarci ora che in tutta Barsaloi non si parla d'altro che della nostra discoteca. Lketinga mi guarda sempre con sospetto. Di tanto in tanto prende la Datsun e va a fare visita al suo fratellastro a Sitedi o ad altri parenti. Naturalmente potrei accompagnarlo, ma non me la sento di portare Napirai in una manyatta piena di mosche da mucche. Cos il tempo passa, non vedo l'ora che James finisca la scuola. Abbiamo urgente bisogno di soldi per comprare generi alimentari e benzina, con tutti questi forestieri potremmo farci un bel gruzzolo. Lketinga sempre in giro perch in questo periodo si sposano diversi guerrieri della sua classe d'et. Ogni giorno viene qualcuno a invitarlo a qualche matrimonio. In genere accetta, ma spesso non mi dice quando torner, se fra due, tre o cinque giorni. Padre Giuliano mi chiede se voglio andare di nuovo a prendere i ragazzi dato che oggi finisce la scuola, e io accetto con grande piacere. Decido di partire anche se mio marito non c', e lascio Napirai da Mamma. James mi saluta con gioia e mi chiede subito della nostra discoteca: non pensavo proprio che la notizia fosse arrivata fin qua. Prima di portare i cinque ragazzi a casa, facciamo la spesa e passo un attimo da Sofia. E' appena tornata dall'Italia, dice che al pi presto vuole trasferirsi di nuovo sulla costa perch vigere qui con Anika troppo faticoso e non riesce a vedere un futuro per loro. Mi dispiace molto, non avr pi nessuno da andare a trovare a Maralal, in fondo abbiamo superato molti momenti difficili insieme. Ma la capisco e la invidio anche un po', mi piacerebbe tanto tornare al mare! Il trasloco avr luogo fra pochissimo, e cos ci salutiamo gi adesso, mi comunicher il suo nuovo indirizzo pi avanti. Siamo a casa poco dopo le otto. Mio marito non c', e quindi, dopo che hanno bevuto il chai da Mamma, faccio da mangiare ai ragazzi. E' una serata allegra, ci raccontiamo molte cose e Napirai ama molto lo zio James. Continuano a chiedermi informazioni sulla discoteca. Mentre stanno seduti ad ascoltarmi hanno gli occhi che brillano, vorrebbero

partecipare anche loro. Dovremmo riorganizzare la serata fra due giorni, ma Lketinga non c' e quindi non si pu. Ci nonostante questo fine settimana gli operai ricevono la paga e continuano tutti a chiedermi di mettere di nuovo su la discoteca. Mi resta solo un giorno per decidere. Il fatto che Lketinga non ci sia mi sembra un ostacolo insuperabile, ma i ragazzi alla fine mi convincono. Devo solo comprare birra e selz, al resto penseranno loro. Non ho voglia di andare a Maralal e cos mi faccio accompagnare a Baragoi da James. E' la prima volta che visito questo villaggio turkana, grande quasi come Wamba e infatti c' un grossista di birra e di selz, che tuttavia un po' pi caro di quello di Maralal. Impieghiamo solo tre ore e mezza in tutto. Uno dei ragazzi prepara i volantini e li distribuisce insieme agli altri. Sono tutti in fibrillazione per l'apertura della discoteca. Purtroppo oggi non abbiamo la possibilit di comprare della carne perch non stata messa in vendita nessuna capra e non ho avuto il coraggio di prenderne una da casa anche se molte sono mie. Quando lascio di nuovo Napirai da Mamma mi accorgo che non le fa molto piacere, probabilmente perch Lketinga assente. Ma devo guadagnare un po' di denaro, in fondo mantengo tutti io. La discoteca di nuovo un grande successo, questa volta c' ancora pi gente perch sono presenti anche i ragazzi della scuola, e osano entrare perfino tre giovinette. Con i ragazzi e senza mio marito l'atmosfera molto pi serena, arriva anche un giovane somalo che si beve una fanta. Mi fa piacere perch Lketinga a volte parla molto male dei somali. Sento di far parte del gruppo e questa volta converso con molte persone mentre i ragazzi fanno i turni dietro al banco delle bevande. E' magnifico, ballano tutti al suono dell'allegra musica kikuyu, e molti hanno portato le proprie cassette. Dopo pi di due anni ballo anch'io, e questo mi fa sentire molto bene. Purtroppo dopo mezzanotte dobbiamo abbassare il volume, ma l'umore rimane buono. Intorno alle due chiudiamo e io mi precipito verso le manyatta con la lampada tascabile per riprendermi Napirai. Faccio fatica a ritrovare l'apertura nello spineto, e quando entro nel kraal per poco mi prende un colpo, le lance di Lketinga sono infilate in terra davanti alla manyatta! Quando entro nella capanna sono terrorizzata. Dal broncio comprendo subito che furibondo, Napirai dorme nuda accanto a Mamma. Lo saluto e gli chiedo perch non venuto al negozio. Lui sulle prime non risponde, poi d'un tratto si mette a imprecare. Mi insulta in modo orribile, davvero brutale. Qualunque cosa io dica non mi crede. Mamma cerca di calmarlo, se urla cos lo sentir tutta Barsaloi. Grida anche Napirai. Quando mi dice che sono una puttana che se la spassa con i kikuyu e con i ragazzi, prendo Napirai nuda com', l'avvolgo in una coperta e corro a casa disperata. Col tempo comincio ad avere paura di mio marito. Dopo un po' apre la porta di scatto, mi tira gi dal letto e mi chiede il nome di quelli con cui ho avuto dei rapporti. Adesso ne sicuro, Napirai non sua figlia, gli ho raccontato che nata prima a causa della malattia e invece sono stata ingravidata da un altro. Ciascuna di queste frasi si porta via un po' del mio amore ferito, non riesco proprio pi a capirlo. Alla fine se ne va urlando che non torner mai pi e si cercher una moglie migliore. In quel momento non me

ne importa niente, mi interessa soltanto recuperare un po' di pace. La mattina dopo ho gli occhi talmente rossi che non ho quasi il coraggio di uscire di casa. In molti hanno sentito la nostra lite. Verso le dieci compare Mamma con Saguna e mi chiede dov' andato Lketinga, ma io non ne ho idea. Poi viene James con il suo amico. Neanche lui riesce a spiegarsi l'accaduto: forse perch suo fratello non mai andato a scuola, i guerrieri non capiscono niente di affari. Mi racconta anche cosa ne pensa Mamma: vuole parlare con Lketinga - sicura che torner -, e dirgli che non deve essere cos cattivo. Ma io non devo piangere e non devo badare alle sue parole, gli uomini sono cos, per questo meglio che abbiano pi di una moglie. James non d'accordo, ma tutto sommato questo non mi di alcun giovamento. Padre Giuliano manda addirittura il guardiano della missione a chiedere cosa successo, e io sono terribilmente imbarazzata. Lketinga ricompare verso sera, e quasi non ci rivolgiamo la parola. Quindi riprende la vita di tutti i giorni e nessuno parla pi dell'incidente. Dopo una settimana scompare di nuovo per andare a una cerimonia. La mia ragazza dell'acqua mi pianta in asso sempre pi spesso, cos sono costretta ad andare al fiume a prendere due taniche d'acqua con la macchina, affidando Napirai ai ragazzi. Ma quando provo a ripartire non riesco a ingranare la prima, la frizione non funziona. Sono gi in panne dopo appena due mesi! Mi incammino in direzione della missione, non posso lasciare l'auto al fiume. Padre Giuliano non entusiasta, ma viene a dare un'occhiata ugualmente e scopre che effettivamente la frizione fuori uso. E' dispiaciuto, ma questa volta proprio non mi pu aiutare, i pezzi di ricambio si possono trovare solo a Nairobi e lui non ci andr di sicuro per tutto il mese. Mi viene da piangere, non so proprio come procurare da mangiare per me e Napirai. Sto cominciando a stancarmi di tutti questi problemi. Rimorchia la macchina fino a casa nostra e cerca di ordinare i pezzi di ricambio per telefono: dato che nei prossimi giorni arrivano gli indiani con l'aereo, forse ce li possono portare loro. Ma al momento non in grado di promettermi niente. Quattro giorni pi tardi arriva di corsa con la moto e mi annuncia che l'aereo atterrer stamattina alle undici perch gli indiani vogliono fare un'ispezione al cantiere, ma non sa ancora se hanno i pezzi di ricambio. A mezzogiorno atterra l'aereo. Padre Giuliano si dirige verso la pista provvisoria con la sua land-cruiser, carica i due indiani e va al fiume. Seguo la sua macchina con lo sguardo e noto che padre Giuliano prosegue, probabilmente per Wamba. Dev'essere successo qualcosa. Decido di andare subito alla scuola e porto Napirai da Mamma. In un primo momento i due indiani col turbante mi osservano stupiti, ma poi mi salutano cortesemente, mi stringono la mano e mi offrono una coca-cola. Quindi mi chiedono se faccio parte della missione. Rispondo di no e spiego che vivo qui perch ho sposato un samburu. Loro si incuriosiscono ancora di pi. Si domandano come faccia una bianca a stare nel bush, hanno sentito che i loro operai hanno grossi problemi di approvvigionamento. A questo punto gli racconto che la mia auto purtroppo guasta. Loro sono molto comprensivi e mi chiedono se la frizione era per

me. Rispondo di s, ma comincio a preoccuparmi che qualcosa sia andato storto. Malauguratamente proprio cos. Dato che esistono diversi modelli, bisogna smontare il veicolo per stabilire quali sono i ricambi giusti. Sono molto delusa, e i due se ne accorgono. Uno di loro mi domanda dove si trova la macchina e incarica il meccanico che lo accompagna di smontare i pezzi danneggiati, li useranno come campione. L'aereo riparte fra un'ora. Il meccanico lavora rapidamente e dopo soli venti minuti mi informa che i dischi della frizione e il cambio sono completamente inutilizzabili. Smonta le parti guaste e torniamo indietro. Esaminandoli, l'indiano dice che non dovremmo avere problemi a trovare i ricambi a Nairobi, ma li pagheremo cari. Quindi i due si consultano e mi chiedono se voglio andare di persona, mi accompagneranno loro in aereo. Questa richiesta mi coglie di sorpresa, balbetto che mio marito non c' e a casa ho una bambina di sei mesi. Nessun problema, dicono loro, posso portarla con me, c' posto per due persone. Sulle prime non so che pesci prendere, e dico che non sono pratica di Nairobi. No problem risponde l'altro indiano, il meccanico conosce tutti i rivenditori di ricambi, domani mattina verr a prendermi in albergo e andremo a cercarli usati, anche se per una bianca saranno molto cari comunque. La coinvolgente disponibilit di questi due estranei mi lascia senza parole. Non ho nemmeno il tempo di riflettere, mi dicono di farmi trovare presso l'aereo entro un quarto d'ora. Yes, thank you very much farfuglio eccitata. Il meccanico mi porta a casa in macchina. Corro subito da Mamma e le spiego che parto per Nairobi in aereo con Napirai. Lei confusa. Vado a casa e prendo le cose indispensabili per entrambe. Quindi comunico alla moglie del veterinario che torner al pi presto con i pezzi di ricambio e la prego di salutare mio marito spiegandogli lei perch non ho potuto chiedere il suo permesso. Poi vado di corsa all'aereo. Porto Napirai in braccio nel kanga e con l'altra mano tengo la mia borsa da viaggio. Attorno al velivolo si sono gi radunati molti curiosi, che quando mi vedono ammutoliscono. La mzungu parte in aereo, questa una notizia sensazionale considerando che mio marito non c'. So bene che potranno sorgere dei problemi, ma d'altra parte penso che sar contento se la sua amatissima macchina camminer di nuovo senza che lui debba andare a Nairobi. Gli indiani arrivano con una delle macchine degli operai, e proprio in quell'istante compare Mamma. E' scura in volto e si avvicina a passo sostenuto. Desidera che lasci qui Napirai ma per me questo fuori discussione. La tranquillizzo promettendole di tornare presto e alla fine ci da il suo Enkai per il viaggio. Saliamo, il motore va su di giri con grande fragore e la gente scappa via spaventata. Quando saluto tutti con la mano, il velivolo ha gi lasciato la pista sotto di s. Gli indiani vogliono sapere tutto di me, come sono arrivata a mio marito e perch vivo in questa zona isolata. La loro meraviglia alle mie risposte a volte mi fa ridere, mi sento lieta e libera come non sono pi da tanto tempo. Raggiungiamo Nairobi in un'ora e mezza circa, mi sembra un miracolo aver percorso tanto in fretta un tratto cos lungo. Una volta atterrati, mi chiedono dove voglio andare.

All'Igbol, rispondo, vicino al cinema Odeon. Loro inorridiscono e dicono che una signora come me non dovrebbe frequentare una zona cos pericolosa. Ma io conosco solo quel quartiere, e insisto che mi lascino l. Uno di loro, evidentemente il pi importante, mi da il suo biglietto da visita dicendomi di chiamarlo domattina alle nove, verr a prendermi il suo autista. Non so cosa mi stia succedendo, non trovo le parole per ringraziarlo. All'Igbol mi viene il dubbio di non avere abbastanza soldi per pagare, ho appena mille franchi con me. Non avevo altro a casa, tutto il guadagno della discoteca. Cambio i pannolini a Napirai e scendiamo al ristorante, ma difficile stare a tavola con lei. Strappa e butta in terra tutto e vuole girare carponi per il locale. Da quando ha imparato a farlo, scappa sul pavimento veloce come il vento, ma qui tutto talmente sudicio che non mi va di farla scendere. Lei si dimena e urla tanto che alla fine mi arrendo. Dopo poco tutta sporca, gli indigeni non capiscono perch la lascio fare. In compenso, quando si infila sotto i loro tavoli, alcuni ospiti bianchi si divertono molto. Almeno Napirai contenta, e in questo momento lo sono anch'io. In camera la lavo a fondo nel lavello, ma per potermi fare una doccia devo aspettare che si addormenti. Il giorno seguente piove a catinelle. Alle otto e mezza mi metto in coda davanti alle cabine telefoniche, ma quando una donna ci fa passare siamo gi bagnate fradice. Trovo l'indiano al primo tentativo e gli comunico che siamo vicino all'Odeon. Risponde che il suo autista arriver fra venti minuti, giusto il tempo di correre all'Igbol a cambiarci. La mia bambina molto coraggiosa, e anche se tutta zuppa non si lamenta. L'autista ci sta gi aspettando e ci porta in una zona industriale. Scesi dalla macchina, ci accompagna in un ufficio splendido. Dietro alla scrivania c' l'indiano simpatico, che ci sorride e ci chiede subito se tutto a posto. Quindi fa una telefonata e spunta subito il meccanico africano di ieri. Gli da alcuni indirizzi di rivenditori di ricambi, e gli dice di accompagnarci con la macchina a cercare i pezzi necessari. Quando mi chiede se ho con me abbastanza denaro rispondo: I hope so/. Attraversiamo Nairobi in lungo e in largo, e poco prima di mezzogiorno riusciamo a trovare i dischi della frizione per soli centocinquanta franchi. Io e Napirai rimaniamo sedute sui sedili posteriori e proseguiamo per cercare gli altri ricambi. Ha smesso di piovere ed spuntato il sole. In macchina comincia a far caldo, ma non posso aprire i finestrini perch stiamo attraversando i peggiori bassifondi di Nairobi. L'autista prova e riprova, ma non troviamo niente. Napirai suda e piange, ne ha abbastanza di stare in macchina, siamo qui dentro da ben sei ore. A un certo punto il meccanico dice che dobbiamo rinunciare perch domani venerd santo e alle cinque i negozi chiudono. Mi ero completamente dimenticata della Pasqua! Gli chiedo ingenuamente quando riaprono e lui risponde che le officine saranno chiuse fino a marted. Sono terrorizzata al pensiero di dover rimanere tanto tempo in questa citt da sola con Napirai, Lketinga impazzir se sto via per una settimana intera. Decidiamo allora di ritornare all'ufficio dell'indiano. L'indiano gentile molto dispiaciuto. Guarda l'ingranaggio del cambio danneggiato e chiede al meccanico se si pu riparare. Lui risponde di no, forse anche perch vuole

andare a casa. Allora fa un'altra telefonata. Compare un altro uomo, che ha indosso un grembiule e porta una mascherina. L'indiano gli dice di limare e saldare le parti usurate, e aggiunge con tono deciso che vuole avere tutto indietro entro mezz'ora perch deve partire e ho fretta anch'io. Poi mi sorride ammiccante per farmi capire che fra poco potr tornare a casa. Lo ringrazio di cuore e gli chiedo quanto gli devo. Lui risponde cortesemente che va bene cos e se in futuro avr dei problemi posso telefonargli, per lui un piacere aiutarmi. Quando sar a Barsaloi dovr andare dal capomastro, che si occuper di far rimontare tutto, gi stato avvisato. Non riesco a credere che d'un tratto qualcuno mi aiuti disinteressatamente e fino a questo punto! Poco dopo lascio l'ufficio. I pezzi sono molto pesanti, ma sono orgogliosa di me. Mi metto subito in viaggio e arrivo a Nyahururu la sera stessa, cos domani mattina potr prendere l'autobus per Maralal. Ma trascinarmi dietro due borse con Napirai sulla schiena non facile. Una volta a Maralal non so come raggiungere Barsaloi, cos decido di andare in albergo a mangiare e a bere qualcosa. Lavo di nuovo qualche dozzina di pannolini e poi finalmente posso pensare a me e a Napirai. Cado sul letto stanca morta. La mattina dopo chiedo in giro se qualcuno mi pu dare un passaggio fino a Barsaloi. Il mio grossista mi comunica che sta partendo un camion per i somali. Ma ritengo che sarebbe troppo faticoso per entrambe e decido di aspettare, anche perch un ragazzo di ritorno da Barsaloi mi ha detto che domani verr a Maralal padre Roberto a ritirare la posta. Il giorno successivo faccio i bagagli, lascio l'albergo e mi metto in attesa accanto alla posta piena di speranza. Dopo quattro ore intere sul ciglio della strada vedo arrivare la macchina bianca della missione. Vado da padre Roberto e gli chiedo se posso tornare con lui. Non un problema, risponde, ripartir fra due ore. Inasprimento della situazione. Quando a Barsaloi scendo dalla macchina, mi viene incontro Lketinga con passo frettoloso. Mi saluta freddamente e mi chiede perch arrivo solo adesso. Cosa intende insinuare? Sono tornata il pi presto possibile, rispondo seccata e delusa. Non vuole nemmeno sapere come andata. Perch ho dormito un'altra volta a Maralal? Chi ho incontrato? Domande su domande, solo domande. Sono imbarazzata, e non ho nessuna intenzione di rispondere a queste insinuazioni in presenza di padre Roberto. Corro a casa con Napirai, almeno Lketinga mi porta la borsa, cos pesante che la deve trascinare. Continua a farmi domande con il suo sguardo subdolo e proprio quando sono sul punto di esplodere dalla rabbia e dalla delusione entra James tutto contento con il suo amico. Lui almeno mi chiede come andata, e dice che sono stata coraggiosa a partire all'improvviso. Purtroppo quando ci ha sentito parlare era al fiume a fare il bucato, altrimenti gli sarebbe piaciuto venire con noi, tanto che desidera prendere l'aereo. Le sue parole mi fanno bene, e mi calmo. I ragazzi preparano il chai e mi raccontano molte cose, mentre Lketinga, nonostante sia gi buio, se ne va. Chiedo a James cosa ha detto suo fratello quando gli stato comunicato che ero

partita. Sorridendo mi risponde che devo cercare di comprendere, la generazione di Lketinga non sa nemmeno cosa siano le donne indipendenti e la fiducia, pensava che me la fossi svignata con Napirai e che non sarei pi tornata. Non lo capisco proprio, anche se a questo punto avrei i miei buoni motivi per scappare di corsa. Ma dove? Napirai ha bisogno di suo padre! James scaccia questi cattivi pensieri chiedendomi quando incominciamo con il negozio, ha tanta voglia di lavorare e di guadagnare un po'. E' vero, abbiamo bisogno di denaro, le spese per la macchina sono molto alte. Non appena sar a posto potremo ripartire, e questa volta in grande stile. Venderemo vestiti e scarpe oltre al selz e alla birra. Finch ci sono gli operai di Nairobi guadagneremo bene di sicuro, e poi arriveranno nuovi insegnanti con le loro famiglie. Con James dietro al banco sono sicura che abbiamo buone possibilit. Ma voglio mettere in chiaro subito che questo l'ultimo tentativo, non ho intenzione di investire altro denaro. Mi faccio contagiare dall'euforia del ragazzo, e per un attimo dimentico tutto quello che mi ha fatto passare Lketinga ultimamente. Quando lui torna a casa, i ragazzi alzano i tacchi. La mattina seguente Lketinga va spontaneamente dagli operai a comunicare che i pezzi di ricambio sono pronti per essere montati. Alla fine dell'orario di lavoro arriva un meccanico che si mette a trafficare nell'auto, ma non riesce a finire entro sera. Dobbiamo aspettare tre giorni prima che la nostra carrozza di lusso si metta di nuovo in moto. A questo punto possiamo riprendere con il negozio. Partiamo in quattro, James tiene in braccio Napirai. E' felicissimo, non si stanca mai di giocare con lei. Una volta giunti a Maralal, per prima cosa vado in banca a verificare che i miei ultimi quattromila franchi siano stati trasferiti sul conto. Il bancario dice che il denaro non c' ancora, ma giura che arriver entro domani. Allora cominciamo con gli acquisti, per prima cosa una tonnellata di mais e una di zucchero, poi verdura e frutta a volont. Il resto lo spendo in vestiti, scarpe, tabacco, bacinelle di plastica, taniche per l'acqua, insomma tutto ci da cui si pu ricavare un buon profitto. Porto con me anche venti pagnotte. Spendo fino all'ultimo scellino, sperando che si raddoppino tutti. L'inaugurazione un vero e proprio evento, viene gente da tutte le parti, anche da lontano. I kanga, i vestiti - e perfino le taniche - finiscono in due giorni. Gli operai della scuola comprano verdura, riso e patate a dieci o venti chili alla volta. C' un grande andirivieni, sembra di essere in un piccolo supermercato in mezzo al bush. Dopo i primi giorni siamo fieri e contenti, anche se stanchissimi. James talmente entusiasta che mi chiede il permesso di trasferirsi in negozio per poter aprire ancora pi presto. Non esponiamo la birra, la vendiamo di nascosto perch non voglio grane. Di solito i pochi cestelli finiscono in due giorni. Se non voglio restare senza merce per troppo tempo devo pensare a nuovi rifornimenti. Con gli introiti mi procuro subito altri vestiti, la gente della scuola ha bisogno di camicie e pantaloni in quantit. A questo scopo ogni tre settimane vado a Nanyuki, dove c' un grande mercato di capi d'abbigliamento, quelli da donna e quelli per i bambini vanno a ruba, e posso vendere anche su ordinazione. E' stupefacente che all'improvviso la gente abbia tanti soldi. Sicuramente questo dovuto in parte al cantiere della scuola,

dove hanno gi trovato lavoro molte persone. Gli affari vanno a gonfie vele e per molti operai il negozio diventato un punto di ritrovo. Va tutto bene finch a Lketinga non viene un altro attacco di gelosia. Di mattina sbrigo le faccende domestiche e non vado a lavorare, nel pomeriggio faccio una passeggiata fino al negozio con Napirai. Con i ragazzi di solito c' un'atmosfera allegra, e Napirai contenta di essere al centro dell'attenzione, arrivano sempre dei bambini che la portano in giro o giocano con lei. Ma a mio marito non fa piacere che io sia allegra, dice che con lui non rido mai e non si rende conto che solo colpa della sua diffidenza nei confronti di tutti coloro che conversano con me per pi di due minuti. Se la prende sempre pi spesso con gli operai che si incontrano da noi quotidianamente. Talora capita che non voglia far entrare qualcuno, o che mi rimproveri davanti a tutti dicendo che l'uno o l'altro venuto solo per incontrare me, sua moglie! Ogni volta me ne vado imbarazzata, e anche James impotente di fronte alle insensate scenate del fratello maggiore. Litighiamo sempre pi spesso, e a questo punto mi rendo conto che non pu andare avanti cos fino alla fine dei miei giorni. Mentre noi lavoriamo lui se ne sta l a importunare la gente o ad arrabbiarsi con me, oppure a casa con i suoi amici guerrieri a macellare capre, e quando torno stanca mi fa trovare il pavimento pieno di sangue e di ossa. Una o due volte alla settimana vado a Baragoi - che molto pi vicina di Maralal - a fare rifornimento di generi alimentari. Come al solito manca lo zucchero perch sta per sposarsi un guerriero e ci sar una grande cerimonia. Da solo il festeggiato ne ha gi ordinato trecento chili. Chiede anche - pagando un supplemento - che venga portato in un kraal fuori mano. Parto poco dopo mezzogiorno, e in un'ora e mezza raggiungo Baragoi senza problemi. Ne compro solo seicento chili perch devo attraversare due fiumi e non voglio strapazzare inutilmente la mia nuova auto. La macchina carica, mi accingo a partire. Purtroppo per il motore non si avvia. Faccio alcuni tentativi ma non funziona proprio. Poco dopo sono circondata da un gruppo di turkana curiosi. Esce il proprietario del negozio e mi chiede che problema c'. Due o tre uomini cercano di accenderla spingendomi, ma anche questo tentativo vano. Il negoziante mi propone allora di andare a chiedere a una coppia mzungu che abita in una tenda circa trecento metri pi in basso, anche loro hanno un'auto. Infatti trovo due giovani inglesi a cui spiego il problema. L'uomo tira fuori la cassetta degli attrezzi, apre il cofano e scopre subito che la batteria completamente scarica. Prova e riprova ad avviare il motore, ma senza successo. Quando spiego che devo ritornare a Barsaloi entro stasera perch a casa ho una bambina piccola, mi offre in prestito la batteria della sua auto, a condizione che gliela restituisca presto perch fra due giorni devono partire per Nairobi. Commossa dalla loro fiducia, gli assicuro che la riavranno in tempo. Lascio la mia batteria guasta da loro. A casa devo raccontare l'accaduto a mio marito, che mi chiede di nuovo sospettoso perch sono stata assente tanto tempo. Sono rammaricata anche io perch ancora una volta tutto il denaro guadagnato viene speso per la macchina, e abbiamo anche bisogno di quattro pneumatici nuovi. Che disdetta, non riusciamo mai a mettere da parte due soldi, e al

solo pensiero di dover andare di nuovo a Maralal domani mi sento male. Una volta tanto, per, sono fortunata, una delle auto degli operai scende per andare a prendere generi alimentari e birra. Chiedo a Lketinga di unirsi a loro e di portare con s la batteria. A Maralal dovr comprarne una nuova e riportare questa agli inglesi con il matatu pubblico. Loro sicuramente gli offriranno un passaggio fino a Barsaloi. Preciso pi volte che molto importante per queste persone avere indietro la batteria entro domani, e lui mi assicura che non un problema. Quindi parte per Maralal con la jeep degli operai, prenderanno la strada attraverso la giungla. Sono preoccupata. Spero che vada tutto bene, in fondo me l'ha promesso solennemente ed era anche tutto fiero di poter fare qualcosa di importante da solo. Dovr dormire l una notte, e la mattina dopo di buon'ora prender l'unico matatu per Baragoi. Io rimango a casa, e pi tardi vado in negozio a dare una mano a James con lo zucchero. Aspettiamo Lketinga da un momento all'altro. Sono gi le nove di sera quando vediamo dei fari in lontananza. Mi tranquillizzo e preparo subito il chai. Dopo circa mezz'ora la jeep degli inglesi si ferma vicino al negozio. Corro da loro e chiedo preoccupata dov' mio marito. Il giovanotto mi guarda seccato e dice che non lo sa, ma vuole riavere la sua batteria perch ha intenzione di partire stasera per Nairobi, domani hanno l'aereo per l'Inghilterra. Sto male, mi vergogno profondamente che la mia promessa non sia stata mantenuta. Mi rincresce tanto, ma devo comunicargli che la sua batteria per strada con mio marito, che sarebbe dovuto passare oggi a Baragoi per riportargliela. Naturalmente l'inglese si agita. Per il momento ha messo quella vecchia, che tuttavia non durer per molto e non ricaricabile. Sono disperata e furiosa con Lketinga. Il matatu gi passato ma lui non c'era, e sono gi le nove e mezza. Mentre beviamo il t riflettendo sul da farsi, sentiamo il rombo del motore di un camion che si ferma all'altezza della nostra casa. Subito dopo arriva Lketinga, e ansimando appoggia in terra le due pesanti batterie. Lo aggredisco chiedendogli dov' stato, queste persone dovevano partire per Nairobi. Irritato, l'inglese scambia le batterie e va via quasi subito. Sono furibonda, questa volta mi ha proprio piantato in asso. Lui dice di aver perso il matatu ma gli puzza l'alito di alcol e non ha pi un soldo, anzi, ha bisogno di altri centocinquanta franchi per pagare il conducente del camion. Il suo egoismo mi distrugge, la batteria ne gi costata trecentocinquanta. Ci mancava solo questo, per bere un po' di birra ha perso l'autobus pubblico, che molto pi conveniente. Cos se n' andato tutto il guadagno di questo mese, e anche del prossimo. Vado a letto stizzita, e dopo tutta la rabbia e le frustrazioni mio marito vorrebbe anche fare l'amore. Quando metto bene in chiaro che oggi non deve nemmeno provarci, si irrita terribilmente. E' quasi mezzanotte e, salvo il nostro litigio, regna il silenzio. Mi accusa di nuovo di avere un amante, che ho certamente incontrato la notte scorsa, e questo sarebbe anche il motivo per cui stato mandato a Maralal. Non ce la faccio pi a sentirlo, e vado a cercare di calmare Napirai che nel frattempo si svegliata.

Situazione disperata. Ho deciso, voglio andare via da qui, non posso vivere in queste condizioni. Le mie finanze calano, mio marito non fa altro che ridicolizzarmi davanti a tutti e la gente si allontana da noi perch lui convinto che dietro ogni uomo si nasconda un amante. D'altra parte, so che se lo abbandonassi mi farebbe togliere Napirai. Anche lui l'ama e per la legge appartiene a lui, anzi a sua madre. Scappare con la bambina impensabile. Rifletto disperatamente su come salvare il nostro matrimonio, non ho intenzione di andarmene senza mia figlia. Lketinga ci ronza intorno continuamente come se fiutasse qualcosa. Quando penso con nostalgia alla Svizzera se ne accorge subito, sembra che mi legga nel pensiero. Si da molto da fare con Napirai, gioca con lei tutto il giorno. Sono in un turbine di sensazioni contrastanti: la cosa che desidero di pi al mondo formare una vera famiglia con il pi grande amore della mia vita, ma d'altra parte questo stesso amore si sta esaurendo a causa della diffidenza di mio marito. Mi sono stancata di ricostruire ogni volta la sua fiducia, anche perch la nostra sopravvivenza dipende esclusivamente da me, lui se ne sta sempre seduto a preoccuparsi di se stesso o dei suoi amici. Quando vengono a trovarci degli uomini che scrutano la mia figlioletta di otto mesi, parlano con Lketinga di eventuali progetti di matrimonio, e lui accetta cortesemente le loro offerte, vado in bestia. Io cerco di impedirlo, con le buone o con le cattive: nostra figlia sceglier da sola il proprio marito e sar l'uomo che ama! Non sono disposta a venderla a un vecchio come seconda o terza moglie. Anche la questione dell'amputazione del clitoride spesso causa di litigi. Mio marito non vuole proprio capire, ma in fondo manca ancora tanto tempo. Nel frattempo James fa del suo meglio in negozio, e sarebbe di nuovo ora di farci mandare un camion, ma non ho denaro a sufficienza. Nonostante questo decidiamo di andare a Maralal, dove prelever tutti i soldi rimasti sul mio conto. La batteria ancora in casa e quando sto per rivolgermi ai missionari pregandoli di montarla, Lketinga dichiara che pu farlo lui. Provo a convincerlo del contrario, ma non serve a niente, e dato che non voglio litigare di nuovo, acconsento. Infatti la macchina si mette in moto senza problemi, ma dopo un'ora e mezza circa ci fermiamo nel bel mezzo del bush. Il motore tace, non fa pi il bench minimo rumore. All'inizio non me la prendo, pensando che si tratti di un cavo attaccato male, ma quando apro il cofano mi prende un colpo. La batteria non era fissata bene, con gli scossoni si incrinata e sta uscendo tutto il liquido da una parte. A questo punto mi prende un vero e proprio attacco isterico. Una costosa batteria nuova di zecca inutilizzabile perch non stata montata come si deve! Cerco di salvare il salvabile con la gomma da masticare, ma non serve a niente, poco dopo l'acido divora tutto. Mi metto a piangere, ce l'ho a morte con mio marito, colpa sua se siamo fermi sotto il sole cocente con la nostra bambina. Deve assolutamente tornare alla missione a piedi e chiamare qualcuno, io aspetter qui con Napirai. Ma ci vorranno parecchie ore. Grazie a Dio posso ancora allattare Napirai, altrimenti

saremmo veramente nei guai, e per fortuna ho con me dell'acqua potabile. Il tempo trascorre lentamente, l'unico svago che ho osservare una famiglia di struzzi e alcune zebre. Intanto, per, i miei pensieri corrono veloci, non investir pi nemmeno un soldo per il negozio. Voglio andarmene a Mombasa come ha fatto Sofia. Potrei vendere souvenir, molto pi redditizio e meno faticoso. Ma come spiegarlo a mio marito? Devo fare in modo che accetti, non ce la faccio a portare via Napirai da sola, senza nessuno che la tenga durante il lungo viaggio. Dopo pi di tre ore vedo una nuvola di polvere in lontananza, sembra padre Giuliano. Si ferma accanto a noi, guarda dentro la macchina e scuote la testa. Mi chiede perch non l'ho fatta montare a lui, adesso inutilizzabile. Tra le lacrime gli riferisco che nuova, ha appena una settimana di vita. Risponde che cercher di ripararla, ma non pu promettermi niente perch fra due giorni partir per l'Italia. Mi da una batteria sostitutiva e torniamo a Barsaloi. Qui tappa il buco con del catrame bollente, ma mi avverte che non terr per molto. Salutare padre Giuliano mi mette l'angoscia, perder il mio angelo custode per tre mesi, e padre Roberto piuttosto sprovveduto. La sera, come sempre, passano i ragazzi a consegnarmi l'incasso. Il pi delle volte gli preparo il chai, e quando Lketinga non c' anche la cena. Mi fa sempre bene vederli, con loro mi intendo alla perfezione. Dico a James che non ho pi intenzione di affittare il camion, mi dispiace deluderlo. Propongo di trasferirci perch stiamo per finire i soldi. Tutti tacciono, e io proseguo dicendo che il mio denaro terminato e qui non possiamo andare avanti, la macchina ci porter alla rovina. Lketinga si intromette subito affermando che non possiamo mollare proprio adesso che il negozio va cos bene, dobbiamo tenere duro, e poi questa la sua patria, non ha intenzione di lasciare la sua famiglia. Gli chiedo con quali soldi compreremo la merce, e lui risponde rilassato che dovrei scrivere a mia madre, ce li mander lei come sempre. Non comprende che quel denaro era il mio. I ragazzi invece mi capiscono, ma non riescono a far molto perch Lketinga li contraddice immediatamente. Cerco di fargli vedere Mombasa sotto una luce diversa, come se fosse il paradiso degli affari. James sarebbe disposto a trasferirsi anche subito, cos avrebbe finalmente la possibilit di vedere il mare, ma mio marito non ne vuole sapere di andar via. Per oggi tronchiamo il discorso e facciamo un'altra partita a carte. Ridiamo molto, mentre Lketinga, che non disposto a imparare a giocare, ci osserva cupo. Continuano a non piacergli le visite dei ragazzi. Di solito se ne sta seduto da una parte in segno di protesta e mastica miraa, oppure li prende in giro in malo modo finch non se ne vanno snervati. Ma sono gli unici che vengono ancora a trovarci. Ogni giorno cerco di parlare cautamente di Mombasa perch senza generi alimentari di base in negozio non si guadagna pi granch. Col tempo si allarma anche Lketinga, ma ancora non vuole cedere. Giochiamo di nuovo a carte alla luce di una lampada a petrolio che si trova sul tavolo, mentre Lketinga va avanti e indietro come una tigre in gabbia. La notte luminosa, la luna quasi piena. Tra una mano e l'altra voglio sgranchirmi un po' le gambe e mi alzo per uscire. Ma dopo qualche passo

a piedi scalzi pesto qualcosa di viscido e urlo dallo schifo. Ridono tutti salvo Lketinga, che prende la lampada dal tavolo e scruta con attenzione la strana cosa in terra. Sembra un animale schiacciato, forse un embrione di capra, anche i ragazzi pensano che sia cos. Ma lungo appena dieci centimetri ed difficile stabilire di cosa si tratta. Lketinga mi guarda e afferma che l'ho perduto io. In un primo momento non capisco cosa intende dire. Si infuria e mi chiede chi mi ha messo incinta. Adesso capisce perch i ragazzi vengono ogni giorno, ho una relazione con uno di loro. Io sono completamente paralizzata, James cerca di calmarlo. Ma lui lo scaccia con violenza e si precipita verso il suo amico. Per fortuna i due ragazzi sono pi veloci e corrono via. Lketinga viene verso di me e mi scuote, vuole sapere il nome del mio amante. Io me lo scrollo di dosso urlando: Yow are completely crazy! Go out of my house, you are crazy!. Sono pronta a farmi picchiare per la prima volta, ma lui dice soltanto che vendicher questa vergogna, trover il ragazzo e lo uccider. Con queste parole se ne va. La gente tutta davanti alle capanne con gli occhi spalancati. Quando mio marito abbastanza lontano prendo un mazzo di banconote, i nostri passaporti e Napirai e corro alla missione. Busso alla porta come una pazza e prego Dio che Roberto apra. Lui esce e ci fissa spaventato. Gli racconto brevemente l'incidente e lo prego di portarmi subito a Maralal, questione di vita o di morte. Padre Roberto si mette le mani nei capelli e dice di non poterlo fare, prima del ritorno di padre Giuliano deve rimanere qui da solo per altri due mesi buoni, non vuole rischiare di perdere la simpatia della gente. Mi consiglia di andare a casa, la situazione non certamente grave come penso. Evidentemente ha paura. Gli consegno almeno il denaro e i passaporti perch mio marito non possa distruggerli. Al mio ritorno Lketinga gi a casa con Mamma. Mi chiede cosa volevo fare alla missione, ma io non rispondo. Lui si imbestialisce e vuole sapere dov' l'embrione. Gli dico la verit, l'ha portato fuori il gatto. Ma lui non mi crede, l'avr fatto sparire io nel gabinetto. Spiega a Mamma che adesso sicuro che io abbia una relazione con un ragazzo, probabilmente il vero padre di Napirai. Sa che siamo stati insieme in un albergo a Maralal prima del mio viaggio in Svizzera. Ma chi glielo avr detto? La mia buona azione di allora la rovina di oggi. Mamma mi chiede se vero. Non posso negarlo, e loro non credono alla mia buona fede. Rimango seduta a piangere, e questo mi rende ancora pi sospetta. Sono profondamente delusa da entrambi, non desidero altro che scappare via al pi presto. Dopo interminabili discussioni Mamma decreta che Lketinga deve dormire nella manyatta, ne riparleremo domani. Ma mio marito non se ne vuole andare senza Napirai. Urlando, gli dico di lasciare in pace mia figlia, che tra l'altro non riconosce come sua. Ma lui scompare con lei nella notte. Quando rimango sola mi siedo sul letto e mi prende un pianto convulso. Naturalmente potrei scappare in macchina, ma senza la mia bambina non se ne parla nemmeno. Fuori sento delle voci e qualcuno che ride, sembra che la gente si stia godendo lo spettacolo. Dopo un po' arrivano il veterinario e sua moglie a chiedermi come sto. Hanno sentito tutto e cercano di calmarmi. Quella notte non chiudo

occhio, e prego che un giorno riusciremo ad andar via di qui. Il mio amore si trasformato in odio puro, non riesco a capire come possa essere cambiato tutto in cos poco tempo. La mattina dopo faccio un salto in negozio per comunicare ai ragazzi che Lketinga vuole vendicarsi di uno di loro. Poi vado di corsa da Mamma perch devo ancora allattare Napirai, e le trovo entrambe sedute davanti alla capanna, mio marito sta ancora dormendo. Prendo la mia bambina, l'allatto e Mamma mi chiede se Lketinga davvero il padre. Con le lacrime agli occhi rispondo soltanto: Yes. Impotenza e rabbia. Mio marito esce dalla manyatta carponi e mi ordina di andare a casa, verranno anche i ragazzi. Come sempre ci sono molti curiosi. Ho il cuore in gola, non riesco a immaginare cosa succeder. A un certo punto mi aggredisce chiedendomi davanti a tutti se sono stata a letto con quel ragazzo, vuole saperlo subito. Mi vergogno tanto, e al tempo stesso sono furiosa. Si comporta come un giudice, non si accorge nemmeno di quanto ci rende ridicoli. No, gli urlo, yow are crazy! Ancor prima che io possa proseguire mi da uno schiaffo, e io gli tiro in testa il mio pacchetto di sigarette. Allora si gira e punta il suo rungu su di me, ma il veterinario e i ragazzi reagiscono prima che possa usarlo. Lo trattengono e gli dicono sdegnati che meglio che se ne vada nel bush per un po', finch non avr le idee un po' pi chiare. Lui afferra le sue lance e si allontana. Io mi precipito in casa, voglio stare sola. Non si fa vedere per due giorni, durante i quali io rimango a casa. Non posso andar via in macchina, non mi aiuterebbe nessuno nemmeno a pagarlo. Per tutto il giorno ascolto la mia musica o leggo poesie, mi aiuta a riflettere. Mentre sto scrivendo una lettera a mia madre, inaspettatamente ricompare mio marito. Spegne la musica e mi chiede perch a casa nostra si canta e chi mi ha dato quella cassetta. Gli faccio presente il pi tranquillamente possibile che l'ho sempre avuta, me la sono portata dalla Svizzera, lui per non ci crede. Poi scopre la lettera. Gliela devo leggere, ma dubita che stia davvero traducendo quello che ho scritto, allora la strappo e la brucio. A Napirai non dice una parola, come se non esistesse. E' relativamente calmo, cerco di non provocarlo. Dopotutto devo riconciliarmi con lui per forza se un giorno voglio riuscire ad andarmene da qui. Le giornate trascorrono tranquillamente. Il ragazzo non abita pi a Barsaloi, vengo a sapere da James che si trasferito da parenti. Il negozio resta chiuso e dopo quindici giorni non abbiamo pi da mangiare. Voglio andare a Maralal, ma mio marito me lo proibisce, se le altre donne vivono soltanto di latte e carne posso farlo anch'io. Io continuo a ritornare sulla questione Mombasa. Se ci trasferiamo la mia famiglia ci dar di certo un aiuto economico, non possiamo continuare a vivere quass senza soldi. Potremmo sempre tornare se con il nuovo negozio non dovesse funzionare. Un giorno anche James gli dice che dovrebbe lasciare Barsaloi e cercarsi un lavoro, e Lketinga chiede per la prima volta che cosa faremmo a Mombasa, evidentemente sta cominciando a cedere. Ma che fatica, ha distrutto la mia musica e i libri, non scrivo pi lettere e lo lascio fare perfino nell'intimit anche se mi ripugna. Ho un solo traguardo, via da qui con Napirai!

Parlo con entusiasmo di un bel negozio masai con molti souvenir. Per recuperare i soldi del viaggio potremmo vendere ai somali tutto quello che abbiamo in casa. L'arredamento ci frutterebbe un bel po' di denaro perch qui non facile trovare un letto, una sedia o un tavolo. Potremmo anche allestire nuovamente la discoteca per la serata d'addio, cos ci congederemmo dalla gente guadagnando anche qualcosa. James ci accompagnerebbe e ci aiuterebbe a mettere su il nuovo negozio. Continuo a parlare cercando di nascondere il mio nervosismo, non deve accorgersi di quanto il suo consenso sia importante per me. Lui resta impassibile e alla fine dice: Corinne, may be we go to Mombasa in two or three months. Io gli chiedo allarmata perch vuole aspettare tanto. Risponde che allora Napirai avr un anno e non avr pi bisogno di me, potr restare con Mamma. Questa affermazione mi sconvolge. Gli comunico con calma che me ne andr da qui solo con Napirai, ho bisogno di lei, senza mia figlia non riesco a lavorare. Mi aiuta anche James, dicendo che si prender cura lui della nostra bambina. E aggiunge che dovremmo andare ora, perch fra tre mesi avr luogo la sua festa di circoncisione. Allora entrer a far parte della classe d'et dei guerrieri e mio marito di quella degli anziani. Discutiamo lungamente e alla fine riusciamo a metterci d'accordo, partiremo fra tre settimane. Il 4 giugno compir trent'anni, voglio festeggiare a Mombasa. Sono molto impaziente, vivo solo per il giorno in cui lasceremo Barsaloi. Siamo all'inizio del mese, dobbiamo allestire la discoteca al pi presto. Andiamo a Maralal per l'ultima volta a procurarci birra e altre bevande, mio marito vuole anche che telefoni in Svizzera per assicurarmi che ci mandino il denaro. Fingo di farlo e gli riferisco che va tutto bene, richiamer non appena saremo a Mombasa. La discoteca riscuote di nuovo un grande successo. Io e Lketinga abbiamo deciso che a mezzanotte faremo un discorso d'addio insieme, solo allora comunicheremo alla gente la nostra intenzione di partire. Ma dopo un po' mio marito se la svigna. Cos all'ora stabilita sono da sola e devo pregare il veterinario di tradurre le mie parole in suaheli per gli operai e in masai per gli indigeni. James interrompe la musica e si fermano tutti sbalorditi. Io vado al centro della pista e chiedo la loro attenzione, sono nervosa. Per prima cosa mi scuso per l'assenza di mio marito, poi dichiaro che sono rammaricata ma questa sar l'ultima serata di discoteca, fra circa due settimane lasceremo Barsaloi e metteremo su un altro negozio a Mombasa, qui praticamente impossibile sopravvivere con una macchina cos costosa. Inoltre, la mia salute e quella di mia figlia sono costantemente in pericolo. Ringrazio per la fedelt e auguro a tutti molta fortuna per la nuova scuola. Appena finisco di parlare scoppia una grande agitazione e si mettono a parlare tutti insieme. E' affranto persino il capo, dice che non posso andarmene proprio adesso che mi sono integrata cos bene. Altri due tessono i nostri elogi e dichiarano che soffriranno per la nostra partenza, abbiamo regalato a tutti un po' di vita e di svago, per non parlare dell'aiuto che abbiamo dato con la macchina. Le parole sfociano in un fragoroso applauso. Sono molto commossa e ti prego di riaccendere la musica perch ritorni l'allegria. Vicino a me, in mezzo alla baraonda, c' il giovane

somalo. Anche lui dispiaciuto per la nostra decisione, ha sempre ammirato quello che ho fatto. Emozionata, lo invito a prendere un selz e con l'occasione gli propongo di acquistare tutto quello che abbiamo ancora in negozio. Accetta subito. Quando avr fatto l'inventario mi pagher la merce a prezzo di costo, ritirer perfino la costosa bilancia. Chiacchiero ancora a lungo con il veterinario, neanche lui sapeva della nostra partenza, ma dopo tutto quello che successo mi capisce. Spera che mio marito diventi pi ragionevole a Mombasa. Probabilmente l'unico che intuisce il vero motivo del nostro trasferimento. Alle due chiudiamo, di Lketinga neanche l'ombra. Corro alla manyatta a prendere Napirai e lo trovo seduto a conversare con Mamma. Quando gli chiedo perch scappato mi risponde che la festa era la mia, sono io che me ne voglio andare. Ma questa volta non ci casco, non faccio discussioni e rimango, forse questa l'ultima volta che dormo in una manyatta. Appena mi capita l'occasione parlo a Lketinga dell'accordo con il somalo. Sulle prima reagisce male, sembra che non ne voglia proprio sapere, e proclama altezzoso che lui non si abbassa a trattare con loro. Cos faccio l'inventario con James. Il somalo ci prega di portargli la merce fra due giorni, quando avr il denaro necessario. La bilancia costituisce da sola un terzo della somma. Allo chalet arriva gente in continuazione, vogliono tutti acquistare qualcosa ed gi tutto prenotato fino all'ultima tazza. Siamo d'accordo che mi pagheranno il 20, e il 21 potranno ritirare tutto. Quando stiamo per portare la merce al somalo, mio marito cambia idea e viene anche lui. Contesta ogni prezzo e mette subito da parte la bilancia, la vuole portare a Mombasa. Non capisce che non ne avremo bisogno e che ricaveremo molto di pi vendendola. Dover restituire tanto denaro mi irrita oltre misura, ma sto zitta. Non dobbiamo litigare prima della partenza, manca ancora una settimana buona al 21 maggio. Le giornate si trascinano nell'attesa e con l'avvicinarsi della partenza sono sempre pi agitata. Non star qui nemmeno un'ora pi del necessario. Abbiamo ancora una notte davanti a noi, hanno portato il denaro quasi tutti. Quello che non ci serve pi stato dato via. La macchina carica e in casa sono rimasti solo il letto con la zanzariera, il tavolo e le sedie. Mamma stata da noi tutto il giorno a prendersi cura di Napirai. Le dispiace che partiamo. Verso sera si ferma una macchina dal somalo e mio marito scende subito a vedere se pu comprare della miraa. Nel frattempo io e James prepariamo l'itinerario giorno per giorno. Siamo molto tesi per il lungo viaggio, da qui alla costa meridionale ci sono quasi 1460 chilometri. Mio marito non ancora tornato e dopo un'ora mi prende l'ansia. Finalmente arriva, ma dalla sua espressione capisco subito che qualcosa non va. Annuncia: We cannot go tomorrow. Naturalmente sta masticando miraa, ma parla sul serio. Mi vengono i brividi, gli chiedo dov' stato tutto questo tempo e che cosa ci impedisce di partire. Lui mi fissa con sguardo assente e risponde che gli anziani sarebbero scontenti se ce ne andassimo senza la loro benedizione, quindi non se ne parla nemmeno. Gli chiedo agitata se questa benedizione non pu aver luogo domattina, ma James mi spiega che prima dovremo macellare

da una a tre capre e preparare la birra, solo quando saranno di buon umore ci potranno dare l'Enkai. E' comprensibile che Lketinga non voglia andare via prima di allora. A questo punto perdo la testa e aggredisco Lketinga: perch gli anziani non ci hanno pensato prima? Conoscono la data della partenza da tre settimane, abbiamo fatto una festa, abbiamo venduto tutto e la macchina gi carica. Non ho intenzione di restare nemmeno un giorno di pi. Partir anche se dovr guidare da sola con Napirai! Smanio e piango perch in un attimo mi rendo conto che questa sorpresa ci coster almeno una settimana, prima la birra non pu essere pronta. Lketinga continua a masticare la sua erba e dice solo che non partir, mentre James va a consultarsi con Mamma. Io mi sdraio sul letto, vorrei morire. Continuo a dirmi: andr domani, andr domani. Dato che dormo pochissimo, quando di prima mattina arriva James con Mamma sono distrutta. Seguono altre discussioni interminabili, ma non me ne curo e continuo imperterrita a mettere via le nostre cose. Attraverso i miei occhi gonfi di pianto la realt confusa. James parla con Mamma e intanto non smette di arrivare gente a ritirare qualcosa o a salutarci. Io, per, non me ne occupo. James viene da me e mi chiede da parte di Mamma se voglio proprio partire. Yes rispondo e stringo a me Napirai. Lei guarda a lungo la sua nipotina in silenzio. Poi dice qualcosa a James e lui si illumina. Mi annuncia felice che Mamma andr a Barsaloi a chiamare degli anziani che ci daranno la benedizione anche senza compenso. Non vuole che partiamo senza, certa che non ci rivedrebbe. Le sono davvero grata, e prego James di dirle da parte mia che ovunque mi trover mi prender cura di lei. Un buon augurio. Passa meno di un'ora, c' un sacco di gente. Mi rintano in casa, effettivamente dopo un po' arriva Mamma con tre anziani. Noi restiamo accanto alla macchina. Lei parla per prima, gli altri ripetono in coro Enkai. Dopo circa dieci minuti ci preme sulla fronte la sua saliva d'augurio. La cerimonia finita, mi sento meglio. Quando regalo ancora qualche oggetto utile agli anziani, Mamma indica Napirai e afferma scherzando che a lei basta la nostra bambina. Ho vinto solo grazie al suo aiuto, e prima di mettermi al volante la abbraccio ancora. Quindi metto Napirai dietro con James. Lketinga esita ancora un attimo a salire, ma quando metto in moto si siede in macchina tutto imbronciato. Parto di corsa, senza voltarmi. So di avere una strada lunga di fronte a me, la mia meta la libert. Chilometro dopo chilometro sento che mi stanno tornando le forze. Andr diritta a Nyahururu senza fermarmi, solo allora sar tranquilla. A circa un'ora da Maralal il nostro viaggio si interrompe per via di una gomma a terra. La macchina carica fino al tetto e naturalmente la ruota di scorta sotto il piano del portabagagli! La prendo con filosofia, questa sar sicuramente l'ultima volta che cambio una gomma in terra samburu. La sosta successiva a Rumurutti, poco prima di Nyahururu, dove inizia la strada asfaltata. Ci ferma una pattuglia della polizia, vogliono il libretto e la patente di guida internazionale. Quest'ultima scaduta da tempo, ma

per fortuna non se ne accorgono. In compenso mi invitano a far revisionare la macchina per ottenere un adesivo con il nostro indirizzo da attaccare sul parabrezza secondo la normativa in vigore. Sono sorpresa, a Maralal non ne sa niente nessuno. Dormiamo a Nyahururu e il giorno seguente chiediamo in giro dove ci possiamo procurare questo adesivo. Siamo da capo con la burocrazia. Per prima cosa dobbiamo portare la macchina in officina per la revisione, poi, pagando, potremo prenotare il collaudo. Rimane al service un giorno intero - questa sosta ci costa nuovamente molto denaro -, e il giorno dopo finalmente la presentiamo al controllo. Sono convinta che sia tutto in regola, ma quando arriva il nostro turno, il collaudatore trova da ridire sulla batteria rammendata e sull'adesivo mancante. Gli spiego che stiamo traslocando e non sappiamo ancora dove abiteremo a Mombasa, ma a lui non interessa minimamente, senza un indirizzo non mi dar l'adesivo. Ce ne andiamo, sono stufa. Non capisco perch sia tutto cos difficile, e decido di rimettermi in viaggio. Abbiamo perso due giorni e speso soldi per niente e io non ne posso pi, voglio arrivare a Mombasa. Continuiamo per alcune ore e ci fermiamo in un albergo in un paesino poco dopo Nairobi. Sono stanca morta, la guida a sinistra richiede una concentrazione notevole, e come se non bastasse devo ancora lavare i pannolini e allattare Napirai, che per fortuna su queste strade insolitamente piane riesce a dormire bene. Il giorno successivo, dopo sette ore di viaggio, arriviamo a Mombasa. Il clima tropicale. Sfiniti dal caldo, ci mettiamo in coda con le altre macchine in attesa del traghetto per la costa meridionale. Tiro fuori la lettera che mi ha mandato Sofia alcuni mesi fa, poco dopo il suo arrivo a Mombasa. La sua casa dovrebbe essere vicino a Ukunda. Tutta la mia speranza di avere un tetto stanotte riposta in lei. Dopo un'altra ora buona troviamo l'edificio dove vive Sofia, si tratta di una casa signorile. Busso ma non apre nessuno. Provo alla porta accanto ed esce una bianca che mi riferisce che Sofia sta facendo un viaggio di due settimane in Italia. Sono molto delusa, e rifletto un po' su dove potremmo trovare alloggio. Ci sarebbe Priscilla ma Lketinga non vuole, preferisce andare sulla costa settentrionale. Io non sono d'accordo, quel luogo mi evoca brutti ricordi. L'atmosfera si fa tesa, cos mi dirigo verso il nostro vecchio villaggio, dove scopriamo che delle cinque casette solo una ancora abitabile. Ma almeno ci dicono dov' Priscilla, si trasferita nel villaggio pi avanti, a cinque minuti di macchina. Arriviamo nel villaggio kamau molto presto. La planimetria a ferro di cavallo. Gli edifici consistono in stanze singole costruite l'una accanto all'altra come gli alberghi di Maralal, con al centro un grande negozio. Mi entusiasmo subito. Quando scendiamo dalla macchina arrivano i primi bambini, i soliti curiosi e fa capolino anche il proprietario del negozio. D'un tratto vedo Priscilla che ci viene incontro, non riesce a credere che siamo di nuovo qui. E' molto contenta, soprattutto quando vede Napirai. Nel frattempo anche lei ha avuto un altro figlio, che poco pi grande della mia bambina. Ci porta subito nella sua camera, prepara il t e le raccontiamo tutto. Quando viene a sapere che intendiamo restare a Mombasa felicissima. Persino Lketinga, per la prima volta da quando siamo partiti, si fa contagiare

dalla sua allegria. Ci offre la sua stanza e addirittura la sua acqua, che anche qui si deve andare a prendere alla fontana con grandi taniche. Stasera dormir da un'amica e domani ci procurer un alloggio tutto nostro. Ancora una volta vengo travolta dalla sua spontanea ospitalit. Dopo un viaggio cos estenuante andiamo a dormire presto. Il giorno dopo Priscilla ci ha gi procurato una camera all'inizio della fila, il che ci permetter di parcheggiare la macchina a un'estremit del ferro di cavallo. E' grande circa tre metri per tre, ed fatta quasi interamente di calcestruzzo, salvo il tetto che di paglia. Oggi incontreremo gli altri abitanti del villaggio. Sono tutti guerrieri samburu che in parte conoscevamo gi. Ben presto Lketinga si mette a parlare e a ridere con loro tenendo in braccio la sua Napirai tutto fiero. Nuova speranza. Quando entro per la prima volta nel negozio del villaggio mi sembra di essere in paradiso. Qui c' proprio tutto, addirittura pane, latte, burro, uova, frutta, e a soli duecento metri da casa! Il mio ottimismo per la nostra nuova vita a Mombasa sta crescendo. James vuole finalmente vedere il mare, ci incamminiamo insieme. Raggiungiamo la spiaggia a piedi in meno di mezz'ora. Sono felice e provo una grande sensazione di libert, ma non sono pi abituata ai succinti costumi da bagno dei turisti bianchi. Anche James, che non ha mai visto niente del genere, imbarazzato. Cerca di ignorarli e ammira la grande massa d'acqua. E' sgomento, proprio come suo fratello maggiore. Napirai si diverte nella sabbia sotto l'Ombra delle palme. Qui riesco di nuovo a figurarmi una vita in Kenya. Andiamo a dissetarci in un beach-bar per europei, e si mettono tutti a fissarci. Io, sotto i loro sguardi curiosi, mi sento un po' a disagio con la mia gonna rammendata anche se pulita. Quando una tedesca mi chiede se Napirai mia figlia faccio addirittura fatica a trovare le parole per risponderle. Non parlo la mia lingua da troppo tempo, n tantomeno il dialetto svizzero. Mi sento un'idiota, devo replicare in inglese. Il giorno successivo Lketinga va sulla costa settentrionale a comprare alcuni ornamenti da vendere dopo i balli masai. Mi fa piacere che anche lui cerchi di guadagnare qualcosa. Io rimango a casa a lavare i pannolini e James gioca con Napirai. Con Priscilla facciamo progetti per il futuro, e quando le rivelo che intendo aprire un negozio di souvenir lei entusiasta. Devo subito trovarne uno libero in qualche albergo perch James torner a casa fra poco per la grande cerimonia di circoncisione. Priscilla mi aiuter. I direttori dei lussuosi alberghi sono piuttosto scettici e rifiutano immediatamente. Dopo il quinto la mia gi scarsa fiducia in me stessa si dilegua, mi sembra di essere una mendicante. Naturalmente con una gonna a quadretti rossi e una bambina sulle spalle non sembro una commerciante in piena regola. Ma casualmente un indiano ci sente parlare a una reception e mi annota il numero di telefono di suo fratello. Vado a incontrarlo il giorno dopo con mio marito e James. Ha qualcosa di libero in un nuovo quartiere residenziale nelle vicinanze di un supermercato, ma al cambio

fanno settecento franchi al mese. Sulle prime vorrei rifiutare perch l'affitto mi sembra troppo alto, ma poi gli chiedo almeno di mostrarmi l'edificio. Il negozio ubicato in una zona elegante leggermente discosta dalla strada principale di Diani-Beach, ed raggiungibile in quindici minuti di macchina. Nell'edificio c' gi un enorme negozio di souvenir provenienti dall'India e di fronte un ristorante cinese appena inaugurato, per il resto ancora vuoto. Il negozio misura soltanto sessanta metri quadri circa e dalla strada non si vede, ma nonostante questo colgo l'occasione. L'ambiente completamente spoglio e Lketinga non capisce perch spendo cos tanti soldi per un locale vuoto. Lui continua a partecipare agli spettacoli per i turisti ma tutto quello che guadagna se ne va nel successivo consumo di birra o miraa e questo ci porta a sgradevoli diverbi. Gli operai del posto costruiscono le scaffalature in legno secondo il mio progetto. Vado a Ukunda con James a procurarmi la materia prima e la porto in negozio in macchina. Mentre noi lavoriamo tutto il giorno come pazzi, mio marito bazzica, i bar di Ukunda con gli altri guerrieri. Di solito la sera devo anche cucinare e fare il bucato. Poi, quando Napirai si addormenta, sto a parlare con Priscilla. Dopo il tramonto Lketinga prende la macchina e accompagna i guerrieri ai vari spettacoli. Non mi fido di lui, non ha la patente e beve sempre birra. Quando ritorna a notte fonda, mi sveglia e mi chiede con chi ho parlato. Se dei guerrieri sono tornati al villaggio prima di lui, mi accusa di essermi intrattenuta con loro. Ma io lo ammonisco energicamente di non rovinare di nuovo tutto con la sua gelosia, e anche James cerca di calmarlo. Finalmente torna Sofia, sono felice di rivederla. Non riesce quasi a credere che stiamo mettendo su un negozio, lei qui gi da cinque mesi e non ancora riuscita ad aprire la sua caffetteria. Quando, per, mi parla della burocrazia sempre in agguato, la mia euforia si smorza un po'. Al contrario di noi, lei in casa ha tutti i comfort. Ci vediamo quasi tutti i giorni, ma dopo un po' questo fatto infastidisce mio marito, che non capisce cosa abbiamo da dirci e crede che le parli di lui. Sofia cerca di calmarlo e gli consiglia di ridurre il suo consumo di birra. Dalla stipula del contratto di affitto sono passate due settimane e il negozio gi arredato. Vorrei inaugurarlo alla fine del mese, ma prima devo ottenere la licenza e il permesso di lavoro. Per quanto ne sa Sofia dobbiamo andare a Kwale. Cos ci mettiamo in marcia tutti insieme, compresa lei e il suo ragazzo. Dobbiamo di nuovo compilare dei moduli e aspettare. Sofia viene chiamata per prima. Scompare nell'ufficio con il suo accompagnatore, ma dopo cinque minuti sono gi fuori. Non andata perch non sono sposati. Noi siamo pi fortunati, incredibile. Il funzionario dice che senza permesso di lavoro non pu concedere nessuna licenza, a meno che io non intesti tutto a mio marito davanti a un notaio. Come se non bastasse, per poter aprire dobbiamo far registrare la ragione sociale a Nairobi. Col tempo ho imparato a detestare quella citt, e adesso ci dobbiamo tornare ancora una volta. Quando ci stiamo gi dirigendo verso la macchina delusi e scoraggiati, il funzionario ci corre dietro dicendo che senza licenza non mi daranno nessun permesso di lavoro. Forse, per, riflettendoci

bene, si pu anche fare a meno di andare a Nairobi. Lui alle quattro sar a Ukunda, ci incontreremo da Sofia. Naturalmente comprendiamo subito che vuole una bustarella! Divento verde ma Sofia dice che disposta a ottenere la licenza anche in questo modo. Aspettiamo a casa sua, ho una gran rabbia addosso perch sarei dovuta andare a Kwale da sola con Lketinga. Il tipo compare all'ora stabilita e si intrufola in casa senza dare nell'occhio. Viene al punto in modo molto circostanziato e alla fine promette che se ognuna di noi gli porter una busta con cinquemila scellini, la licenza sar pronta domani. Sofia accetta e a me non resta altro che fare lo stesso. Come per miracolo riceviamo la licenza senza problemi, il primo passo fatto. Mio marito potrebbe gi vendere, ma io ho solo il permesso di stare in negozio e non ho nemmeno la facolt di trattare con i clienti. Mi rendo perfettamente conto che cos non va, e persuado mio marito a venire con me a Nairobi a fare la richiesta del permesso di lavoro e a registrare il negozio. Dopo interminabili discussioni lo battezziamo Sidai-Masai-Shop. Sidai il suo secondo nome, ma lui non vorrebbe la scritta masai. Tuttavia, una volta concessa la licenza, non si pu pi tornare indietro. Dopo diverse ore di attesa nell'ufficio di Nairobi finalmente ci chiamano. Sono consapevole che la posta in gioco grande e cerco di spiegarlo bene a mio marito, un no rimarr un no per sempre. L'incaricata ci chiede per quale motivo mi serve il permesso. Io le rispondo che siamo una famiglia e, poich mio marito non andato a scuola, non mi resta altro da fare che mettermi a lavorare. Lei segue il mio ragionamento, per aggiunge che ho troppo poco denaro, ci vogliono quasi ventimila franchi in pi per avere il permesso, anche con la licenza. Prometto di fare arrivare questa somma dalla Svizzera e di tornare al pi presto. Lascio l'ufficio piena di speranza, ho comunque bisogno di soldi per acquistare la merce, e con questo pensiero comincia il lungo viaggio di ritorno. Quando arriviamo a casa stanchi morti, troviamo alcuni guerrieri che stanno preparando delle lance per la vendita. Tra loro c' anche Edy. Mi fa molto piacere rivederlo dopo tanto tempo. Ci mettiamo a discutere del passato e Napirai gli si avvicina carponi tutta allegra. Ma gi tardi e sono stanca, cos mi permetto di invitarlo a prendere il t da me domani, in fondo stato lui ad aiutarmi quando cercavo disperatamente Lketinga. Non appena i guerrieri se ne vanno, mio marito comincia a torturarmi con i suoi rimproveri e le sue illazioni su Edy. Tra le altre cose mi dice che adesso capisce perch sono stata tre mesi da sola a Mombasa e non l'ho cercato prima. Le sue accuse sono assurde. Ho voglia di scappare, non ho intenzione di sopportarlo ancora. Mi metto Napirai addormentata sulle spalle e corro via nella notte. Dopo aver vagato un po' senza meta mi ritrovo di fronte all'Africa-Sea-Lodge. Sento la necessit di telefonare a mia madre. Tra i singhiozzi le dico per la prima volta tutta la verit sul nostro matrimonio, e le racconto almeno in parte le mie miserie. Ma non facile per lei darmi un consiglio per telefono, e cos la prego di sollecitare qualcuno della nostra famiglia a venire in Kenya. Ho bisogno di un parere sensato e di appoggio psicologico, e questo forse aiuterebbe anche

Lketinga ad avere un po' di fiducia in me. Richiamer domani alla stessa ora. Dopo la telefonata sto meglio, e con passo incerto ritorno a casa. Ovviamente mio marito ancora pi litigioso e mi chiede dove sono stata, ma quando gli racconto della mia telefonata e dell'imminente visita dalla Svizzera si calma subito. Con mio grande sollievo la sera successiva vengo a sapere che verr il maggiore dei miei fratelli, sar qui fra una settimana con il denaro che mi occorre. Lketinga ansioso di conoscere un altro membro della mia famiglia, e poich si tratta del mio fratello pi anziano, gli porta rispetto gi adesso e mi tratta con pi gentilezza. Come regalo gli cuce un braccialetto masai con il suo nome di battesimo in perline di vetro colorate. L'importanza che lui e James attribuiscono a questa visita in qualche modo mi intenerisce. Mio fratello Mare allogger al Two Fishes. La mia felicit grande anche se potr restare solo una settimana. Ci invita spesso a mangiare in albergo, magnifico, anche se non oso pensare al conto che dovr pagare. Naturalmente Lketinga gli mostra il suo lato migliore, durante tutta la sua permanenza non si assenta mai per consumare birra o miraa e gli sta sempre attaccato. Quando ci fa visita a casa, Mare sorpreso che sua sorella, in passato sempre cos elegante, viva in una catapecchia del genere. In compenso entusiasta del negozio e mi da qualche buon consiglio. La settimana passa troppo in fretta. L'ultima sera fa un lungo discorso a mio marito, che James traduce con cura. Quando alla fine Lketinga promette, tutto riverente e sottomesso, di non torturarmi pi con la sua gelosia, siamo tutti convinti che questa visita sia stata un successo. Dopo due giorni deve tornare a casa anche James. Lo accompagniamo a Nairobi e andiamo un'altra volta a palazzo Nyayo per il permesso di lavoro. Siamo di buon umore, sono sicura che questa volta andr tutto per il meglio. Il negozio stato registrato, adesso abbiamo tutti i documenti necessari. Nell'ufficio troviamo la stessa signora di due settimane e mezza fa. Quando vede il denaro, dice che tutto a posto e mi da il permesso di lavoro. Per mi cancella la residenza affermando che non ne avr bisogno fino alla scadenza del permesso. Nel frattempo sul mio passaporto ci sar il nome di mio marito e Napirai dovr avere un documento keniota. Non ha importanza, quello che pi conta il permesso di lavoro per i prossimi due anni. Molti devono aspettare del tempo per questo timbro, che tuttavia mi costa ben duemila franchi. Quindi andiamo al mercato masai di Nairobi e facciamo acquisti alla grande: venuto il momento di lanciare il negozio. A Mombasa cerco dei grossisti dove poter comprare a buon mercato ornamenti, maschere, t-shirt, kanga, borse e altre cose ancora. Mio marito e Napirai mi accompagnano quasi sempre, ma raro che lui sia d'accordo sui prezzi. Quando vede il negozio Sofia sbalordita, dopo sole cinque settimane sulla costa tutto a posto, incluso il permesso di lavoro. Lei purtroppo non stata altrettanto fortunata. Faccio stampare cinquemila volantini pubblicitari con una cartina per trovarci pi facilmente. Ci rivolgiamo in particolare a tedeschi e svizzeri. Mi consentono di metterli in bella vista alle reception di quasi tutti gli alberghi, e nei due pi grandi affitto anche delle vetrine per esporre la merce,

nelle quali tra l'altro appendo anche una foto delle nostre inconsuete nozze. Siamo pronti. Apriamo la mattina alle nove. Porto con me omelette e banane per Napirai. La giornata molto tranquilla, vengono solo due persone e si trattengono per poco tempo. A mezzogiorno fa molto caldo e per strada non ci sono turisti. Andiamo a mangiare a Ukunda e riapriamo alle due. Ogni tanto qualcuno corre in direzione del supermercato pi in basso, ma nessuno nota il nostro negozio. Nel pomeriggio arriva finalmente un gruppo di svizzeri con un volantino in mano. Mi fa piacere scambiare due parole con loro. Ovviamente mi fanno un sacco di domande e alla fine quasi tutti comprano qualcosa. Per il primo giorno mi accontento, anche se ritengo che dovremmo cercare di farci notare di pi dalla gente. Il giorno dopo propongo a mio marito di distribuire i volantini ai bianchi di passaggio, lui da molto nell'occhio. Infatti, un vero successo! L'indiano accanto non sa spiegarsi perch i turisti passano dritti davanti al suo negozio ed entrano nel nostro. Oggi solo il secondo giorno e abbiamo gi venduto bene, ma a volte difficile con Napirai. Ho predisposto per lei un piccolo materasso sotto l'espositore delle t-shirt dove pu dormire in pace, ma quando capita che arrivino dei turisti mentre l'allatto l'interruzione non le piace per niente e si mette a urlare a squarciagola. Cos decidiamo di ingaggiare una bambinaia che stia tutti i giorni in negozio. Lketinga trova la giovane moglie di un masai, avr all'incirca sedici anni. Mi piace subito, indossa i vestiti tradizionali ed ben truccata, si conf proprio a Napkai e al nostro negozio masai. Di mattina viene con noi in macchina e alla fine della giornata la riportiamo a casa da suo marito. Il negozio gi aperto da una settimana e il volume d'affari cresce di giorno in giorno, adesso si pone il problema di andare a Mombasa ad acquistare la merce. Lketinga, per, non pu restare da solo tutto il giorno, a volte ci sono anche dieci persone insieme da servire. Abbiamo bisogno di un commesso che ci appoggi durante l'assenza di uno dei due, e deve essere uno del nostro villaggio perch Lketinga fra circa tre settimane torner a casa per partecipare alla cerimonia di circoncisione di James. Come membro della famiglia dovrei andare anch'io, e fatico parecchio a fargli capire che non posso chiudere cos poco tempo dopo l'inaugurazione. Accetta solo quando Sabine, la mia sorella pi giovane, annuncia una sua visita proprio per quel periodo. Meno male, non sarei tornata a Barsaloi neanche morta. A questo punto Lketinga non pu pi fare obiezioni, anzi, deve cercare di essere di ritorno prima che lei riparta per conoscerla. Per fortuna c' ancora tempo, innanzitutto dobbiamo trovare un aiuto per il negozio. Propongo Priscilla: mio marito assolutamente contrario, non si fida per niente di lei. Gli faccio presente sdegnata che ha fatto molto per noi, ma non c' modo di fargli cambiare idea. Una sera mi porta un ragazzo masai proveniente dal Masai-Mara che ha frequentato la scuola, infatti porta i jeans e una camicia. Mi sta bene, da l'impressione di essere onesto. Acconsento, e William diventa il nostro nuovo commesso. Finalmente posso rifornirmi di t-shirt e sculture lignee. I due badano al negozio, mentre la bambinaia mi accompagna con Napirai. E' faticoso passare da un grossista all'altro, e ogni volta dover scegliere la merce e trattare il prezzo. Al

mio ritorno, verso mezzogiorno, trovo Lketinga nel bar del ristorante cinese che beve la loro costosa birra. William in negozio da solo. Gli chiedo quante persone sono venute e lui mi risponde che purtroppo stato venduto solo un ornamento masai perch i turisti passano dall'altra parte. Chiedo irritata se Lketinga ha distribuito i volantini, e William scuote la testa, stato quasi tutto il tempo al bar a bere birra, e per pagarla ha preso il denaro dalla cassa. Mi arrabbio e proprio in quell'istante lo vedo venire bighellonando verso il negozio. Ha l'alito che puzza di birra e naturalmente litighiamo, finch lui si prende la macchina e sparisce. Sono delusa, abbiamo assunto un commesso e una bambinaia e mio marito sperpera i nostri soldi con la birra. Io e William mettiamo a posto la merce, e non appena scorgiamo dei bianchi lui fa un salto in strada con un volantino. Riesce a farli entrare quasi tutti, al punto che quando verso le cinque e mezza ricompare Lketinga il negozio pieno e noi due siamo impegnati nella vendita. Naturalmente tutti mi chiedono di mio marito e io faccio le presentazioni, ma lui ha lo sguardo fisso nel vuoto e non si cura nemmeno dei turisti. In compenso ci chiede che cosa abbiamo venduto e a che prezzo. Il suo comportamento mi urta. Uno svizzero compra diversi ornamenti e una maschera scolpita per le sue due figlie, davvero un buon affare! Prima di andarsene chiede se pu fare una foto alla nostra famiglia: io, Lketinga e Napirai. Ovviamente acconsento perch ha speso un sacco di soldi da noi, ma mio marito gli chiede del denaro. Il simpatico svizzero sconcertato e io sono in imbarazzo. Fa due scatti e poi gli da dieci scellini. Quando se ne va cerco di far capire a Lketinga che non si pu chiedere ai clienti di pagare per le foto. Ma lui non vuole intendere ragione e ribatte che ogni volta che cerca di guadagnare qualcosa io ho da fare delle obiezioni. Tutti i masai chiedono soldi per le foto, perch lui non dovrebbe farlo? I suoi occhi scintillano di collera e io replico stancamente che gli altri non hanno un negozio come il nostro. Arrivano dei clienti. Io mi controllo e sono molto premurosa con loro, Lketinga invece li osserva con diffidenza e non appena qualcuno tocca un oggetto insiste perch lo acquisti. Per fortuna William, con il suo modo di fare calmo, salva la situazione dirottando i clienti verso di noi. Dieci giorni dopo l'inaugurazione abbiamo gi recuperato i soldi dell'affitto mensile. Sono fiera di me e William. La maggior parte dei turisti fa pubblicit al negozio e incominciamo a essere conosciuti, anche perch i nostri prezzi sono pi bassi di quelli delle boutique negli alberghi. Ma ogni tre o quattro giorni mi tocca andare a Mombasa a rifornirmi di merce. Poich spesso ci chiedono monili d'oro cerco una vetrina adatta e sufficientemente sicura. Non tanto semplice, ma alla fine trovo un'officina dove le fanno su misura, e una settimana pi tardi posso gi ritirarla. A questo scopo infilo in macchina tutte le coperte di lana che ho e parcheggio direttamente davanti all'entrata. Quattro operai portano dentro la pesante vetrina ma, sebbene avessimo chiuso a chiave, al ritorno troviamo la serratura forzata. Dopo soli dieci minuti mi hanno gi rubato le coperte. Il proprietario mi presta vecchi sacchi e cartoni per imbottire almeno il piano del portabagagli: il suo gesto gentile, tuttavia, non basta a scacciare la rabbia che sento per essere stata

derubata in questo modo, e anche Lketinga dispiaciuto per la sua coperta rossa. Ritorno sulla costa meridionale delusa. In negozio abbiamo lasciato William, che al nostro ritorno mi viene incontro tutto contento dicendomi di aver incassato ben ottocento scellini. La notizia mi fa molto piacere. Non possiamo trasportare la vetrina in due, cos va in spiaggia a cercare degli amici disposti a darci una mano. Ricompare dopo mezz'ora con tre masai che scaricano con cura la pesante vetrina e la montano. Per ringraziarli offro un selz a tutti e do dieci scellini a ciascuno. Mentre loro bevono davanti al negozio insieme alla bambinaia e a Napirai, io espongo i monili. Come sempre, quando non c' pi niente da fare spunta Lketinga. Con lui c' il marito della nostra bambinaia, che investe subito la giovane moglie con parole crudeli. I masai se ne vanno. Io sono sbalordita e chiedo cosa sta succedendo. William dice che suo marito non vuole che lei stia seduta con altri uomini e se accadr un'altra volta non le permetter pi di lavorare qui. Purtroppo non posso immischiarmi e devo accontentarmi che non cominci a urlare anche Lketinga. Quell'uomo mi fa orrore e per lei, che se ne sta in disparte a testa bassa, provo una grande compassione. Grazie a Dio arrivano dei clienti e William li segue con grande premura. Capisco dall'accento che sono svizzeri e mi rivolgo subito a loro. Vengono da Bici, sono proprio curiosa di sapere qualcosa della mia citt natale. Chiacchieriamo un po', quindi mi invitano a bere una birra al China-Bar, Chiedo a Lketinga se d'accordo, e lui risponde magnanimamente: Why not, Corinne, no problem, if you know these people. E' chiaro che non li ho mai visti, ma hanno all'incirca la mia et e forse abbiamo degli amici in comune. Stiamo al bar un'oretta, poi ci salutiamo, ma quando torno ricomincia la solita storia, mio marito mi chiede dove ho conosciuto questa gente, perch ho riso tanto con quell'uomo, se si tratta di un amico di Marco e addirittura se stato il mio amante quando ero in Svizzera. Domande su domande, e ancora domande: Corinne, you can tell me. I know, no problem, now this man has another lady. Please tell me, before you come to Kenya, maybe you sleep with him?. Non posso pi sentirlo, mi tappo le orecchie e sul mio viso cominciano a scendere le lacrime, vorrei urlargli in faccia tutta la mia rabbia. Finalmente chiudiamo e andiamo a casa. Ma William ci ha sentito e ha raccontato tutto a Priscilla, che viene a chiederci se abbiamo dei problemi. Non riesco a trattenermi e le dico tutto. Mentre lei fa la morale a Lketinga, io vado a dormire con Napirai. Fra due settimane viene mia sorella e con un po' di fortuna mio marito non sar pi qui. I battibecchi si ripetono e dei buoni propositi fatti con mio fratello non rimane traccia. Ogni mattina mi alzo alle sette per essere in negozio prima delle nove. Adesso vengono quasi ogni giorno dei rappresentanti a offrirmi sculture lignee o monili. Questo sistema mi facilita la vita di molto, ma funziona solo se Lketinga non presente perch quando c' si comporta in modo impossibile. Non sopporta che loro si rivolgano a me e una volta addirittura li manda via esortandoli a tornare quando avranno capito chi il proprietario del negozio, sull'insegna c' scritto Sidai-Masai-Shop. William invece un aiuto prezioso. Sgattaiola fuori dal

negozio e dice ai rappresentanti di tornare nel pomeriggio, quando mio marito sar a Ukunda. Dopo un'intera settimana in queste condizioni, finalmente parte per Barsaloi anche se vuole essere di nuovo qui entro venti giorni per stare con Sabine almeno durante la sua ultima settimana di ferie. Ogni giorno io e William andiamo in negozio in macchina. La bambinaia di solito gi l oppure la incontriamo strada facendo. Ora i turisti vengono anche di mattina, si tratta soprattutto di italiani, americani, inglesi e tedeschi. Mi piace molto poter chiacchierare con tutti serenamente. William va in strada a richiamare i clienti senza che glielo debba chiedere e i volantini hanno sempre pi successo. Nei giorni migliori, tra altre cose riusciamo a vendere fino a tre collanine d'oro con lo stemma del Kenya. Per riuscire a soddisfare la domanda dobbiamo invitare un rappresentante a passare due volte alla settimana. A mezzogiorno chiudiamo regolarmente per un'ora e mezza e andiamo da Sofia, dove adesso posso mangiare spaghetti e insalata senza preoccupazioni. Anche se lei non ha ancora ottenuto il permesso di lavoro, ha aperto un ristorante con il suo compagno. E' molto contenta che le nostre due bambine giochino insieme. Naturalmente pago il pranzo anche a William perch gli costerebbe quasi la met della sua paga mensile, non potrebbe permetterselo. Quando lo faccio per la prima volta dice che non verr pi, ma senza di lui non potrei stare qui con Napirai. E poi si impegna molto, lo invito volentieri. La bambinaia invece va a mangiare a casa ogni giorno. Nel frattempo gli incassi sono cresciuti notevolmente, tanto che ogni giorno durante la pausa sono costretta a portare il denaro in banca. La macchina non crea pi problemi. Una volta alla settimana vado a Mombasa a fare acquisti, il resto lo compro dai rappresentanti. Mi piace fare la donna d'affari. Per la prima volta in negozio regna l'armonia. La seconda settimana di agosto Sabine arriva all'Africa Sea-Lodge. Vado all'albergo il giorno stesso con Priscilla e Napirai e lascio William in negozio. Rivederla una grande gioia. E' la prima volta che trascorre le ferie in un altro continente. Purtroppo non ho molto tempo perch voglio essere di ritorno in negozio al pi presto. Non c' problema, lei star sdraiata al sole tutto il giorno. Ci diamo appuntamento dopo la chiusura serale al bar dell'albergo. La porto subito al villaggio e anche lei si meraviglia del nostro modo di vivere, che per sembra piacerle. Alcuni nostri vicini guerrieri mi chiedono curiosi chi quella ragazza, e dopo pochissimo tempo fanno a gara per conquistarsi i favori di mia sorella. Anche lei sembra affascinata da loro, ma io la metto in guardia raccontandole le mie sofferenze con Lketinga. Non riesce a immaginarselo bene e le dispiace che non sia presente. Vuole tornare in albergo perch ora di cena. La accompagno in macchina, e alcuni guerrieri sfruttano l'occasione per farsi dare un passaggio. Faccio scendere tutti davanti all'Africa-Sea-Lodge e do appuntamento a Sabine per domani sera al bar. Quando mi allontano lei sta ancora conversando con i masai. Vado a cena da Priscilla, ora che Lketinga non c' facciamo da mangiare a turno. Il giorno seguente Sabine spunta in negozio con Edy, una vera sorpresa. Si sono conosciuti ieri nella Bush-BabyDisco, lei ha solo diciotto anni e vuole godersi la vita

notturna. Non mi aspetto nulla di buono anche se lui mi simpatico. Trascorrono la maggior parte del tempo in piscina. Poich devo lavorare in negozio la vedo raramente, e lei spesso in giro con Edy. A volte li incontro mentre prendono il chai nel villaggio. Vorrebbe che andassi in discoteca con lei ma non posso a causa di Napirai, e poi se Lketinga venisse a saperlo sorgerebbero grossi problemi. Mia sorella non riesce a capire, perch sono sempre stata una persona molto indipendente. Ma non ha ancora conosciuto mio marito. Amara delusione. Otto giorni dopo, la svolta. Io e William siamo in negozio. C' un caldo atroce e non viene molta gente, ma nonostante questo possiamo essere contenti del nostro fatturato, Sofia per adesso se lo sogna. Sono seduta sul gradino dell'ingresso e Napirai, nonostante abbia gi tredici mesi, prende il latte dal mio seno tutta contenta, quando d'un tratto, da dietro il negozio dell'indiano, spunta un uomo alto che viene verso di noi. Mi occorrono alcuni secondi prima di riconoscere Lketinga. Credevo che sarei stata felice di rivederlo, invece rimango di sasso, il suo aspetto mi confonde. Si tagliato i lunghi capelli rossi e sulla sua testa mancano diversi ornamenti. Questo lo potrei ancora accettare, se non fosse vestito in modo assolutamente ridicolo: porta una camicia fuori moda e jeans rosso scuro troppo stretti e troppo corti. I suoi piedi sono infilati in basse scarpe di plastica a buon mercato che rendono la sua andatura, altrimenti cos agile, legnosa e rigida. Corinne, why you not tell me hello? You are not happy I'm here? Solo adesso mi rendo conto del modo in cui devo averlo squadrato. Cerco di guadagnare tempo prendendo Napirai e facendole vedere suo pap, che la accoglie tra le braccia con gioia. Ma anche lei sembra un po' confusa, vuole scendere e tornare subito da me. Lketinga entra in negozio e ispeziona tutto. Quando vede le nuove cinture masai mi chiede dove le ho prese. Da Priscilla rispondo. Lui le mette via, gliele restituir pi tardi, da lei non vuole prendere niente in commissione. La mia rabbia cresce, mi vengono subito i crampi allo stomaco. Corinne, where is your sister? I don't know. Maybe in the hotel rispondo freddamente. Mi chiede la chiave della macchina, anche se non sa nemmeno che faccia abbia vuole andare a farle visita. Ritorna un'ora pi tardi, chiaramente non l'ha trovata. In compenso a Ukunda ha comprato della miraa. Si mette davanti all'entrata e comincia a masticare. Dopo pochi minuti ci sono foglie e gambi rosicchiati dappertutto. Gli propongo di mangiare la sua erba altrove ma lui la prende male, crede che voglia disfarmi di lui. Poi interroga William a fondo. Di casa sua e di James mi parla poco, ha atteso la circoncisione e ha lasciato la festa prima che terminasse. Gli chiedo con cautela dove sono i suoi kanga e perch si tagliato i capelli. Risponde che sono nella borsa con la sua fantastica chioma, ora che non fa pi parte dei guerrieri i kanga non gli servono pi. Gli ricordo che la maggior parte dei masai a Mombasa portano gli abiti tradizionali, gli ornamenti e i capelli lunghi,

se lo facesse anche lui sarebbe un bene per il nostro negozio. Ma lui da questo discorso deduce che gli altri mi piacciono di pi. Invece vorrei solo che al posto della camicia e dei jeans indossasse i kanga, che gli donano molto. Per il momento mi arrendo. Quando arriviamo a casa troviamo Sabine seduta con Edy e gli altri guerrieri davanti alla capanna accanto alla nostra. La presento a mio marito, e lui la saluta con entusiasmo. Mia sorella mi guarda un po' sorpresa, naturalmente anche lei si meraviglia del suo abbigliamento. Lketinga invece con tutta probabilit non ha ancora capito perch Sabine stia seduta qui. Mezz'ora pi tardi Sabine vuole tornare in albergo per la cena. Per me l'unica occasione di scambiare qualche parola con lei e cos propongo a Lketinga di prendersi cura di Napirai per dieci minuti, giusto il tempo di accompagnare mia sorella. Ma lui risponde che non se ne parla nemmeno, deve portarla lui in macchina. Sabine mi guarda spaventata e in dialetto svizzero tedesco mi fa capire che non salir mai con lui alla guida, non lo conosce affatto e non da l'impressione di saper guidare. Non so che fare e le riporto nuovamente quello che ha detto Lketinga. Lei si rivolge a lui direttamente e risponde: Thank you, but it's better I walk with Edy to the hotel. Trattengo il fiato per un momento e cerco di prevedere cosa succeder. Mio marito risponde ridendo: Why you go with him? You are sister from Corinne. So you are like my sister. Dato che ogni tentativo vano, le vuole dare l'appuntamento per la sera stessa al Bush-Baby-Bar, non pu assumersi la responsabilit di lasciarla andare da sola. Sabine replica un po' seccata: No problem, I go with Edy and you stay with Corinne or come together with her. Dall'espressione di Lketinga si direbbe che cominci a capire come stanno le cose. Sabine coglie l'occasione e sparisce con Edy. Io mi do da fare freneticamente con Napirai, Lketinga non dice una parola per diversi minuti e mastica vigorosamente miraa. Poi mi chiede cosa ho fatto sera per sera. Gli racconto delle visite a Priscilla, che abita solo a trenta metri da noi, e dico che le altre volte sono sempre andata a letto presto. Vuole sapere con chi. So bene cosa intende e rispondo in tono un po' pi duro: Only Napirai!. Lui ride e continua a masticare. Vado a letto sperando che resti fuori ancora un po', non ho nessuna voglia di farmi toccare da lui. Solo ora prendo piena coscienza di quanto si siano raffreddati i miei sentimenti nei suoi confronti. Dopo due settimane e mezza di libert mi particolarmente difficile vivere di nuovo in quest'atmosfera tesa. Dopo un po' viene a letto anche lui. Io faccio finta di dormire e me ne sto attaccata alla parete con Napirai. Lui mi parla, ma io non reagisco. Quando prova a fare l'amore con me - il che in circostanze diverse sarebbe del tutto naturale dopo un periodo di separazione - mi sento quasi male dalla paura. Semplicemente non posso, e non voglio, quest'ennesima delusione davvero troppo grande. Lo spingo via e gli dico: Maybe tomorrow, Corinne, you are my wife, now I have not seen you for such a long lime. I want love from you! Maybe you got enough love from other men! No, I have not got love, I don't want love! urlo disperata.

Mi dispiace che la gente ci senta litigare anche qui, ma non riesco proprio a controllarmi. Quando poi si sveglia Napirai e comincia a gridare scoppia una vera e propria rissa. Lketinga scende dal letto furioso, si mette i suoi ornamenti e i kanga, e sparisce. Napirai urla, non riesco pi a calmarla. A un certo punto compare Priscilla e la prende in braccio. Sono cos sfinita che non le parlo nemmeno dei nostri problemi, dico solo che Lketinga completamente pazzo. Lei cerca di calmarmi sostenendo che tutti gli uomini sono cos, e in ogni caso non si pu fare questo baccano, altrimenti ci saranno problemi con il padrone di casa. Quindi si ritira. Quando il giorno dopo vado in negozio con William, non l'ho ancora rivisto. Siamo tutti gi di corda, anche la bambinaia parla poco. Se viene qualche turista a distrarci siamo contenti, ma oggi mi astengo dalla vendita. Lketinga spunta solo verso mezzogiorno. Manda continuamente William in giro e gli affida anche il compito di distribuire i volantini sulla strada. Poi si rifiuta di portarlo a pranzo con noi a Ukunda, e a me dice che non devo pi andare da Sofia, non capisce proprio cosa abbiamo da dirci. Da alcuni giorni mi sembra che manchi del denaro in cassa, ma non riesco a tenere i conti con precisione perch non vado pi in banca quotidianamente, mio marito ogni tanto ne prende un po' e devo pagare la merce. Tuttavia, sento che c' qualcosa che non va. Ma per ora non oso parlarne con Lketinga. Le ferie di mia sorella volgono al termine e purtroppo non abbiamo trascorso molto tempo insieme. La sera del penultimo giorno andiamo in discoteca con lei ed Edy. Lo chiede lei stessa, presumibilmente perch desidera che io stia un po' in mezzo alla gente. Lasciamo Napirai da Priscilla. Lketinga e io restiamo seduti al tavolo, Sabine e Edy ballano sfrenati. Per la prima volta dopo tanto tempo bevo dell'alcol. I miei pensieri ritornano al periodo in cui ero qui con Marco: quando entrato Lketinga per poco non sono svenuta. Quante cose sono successe da allora! Cerco di trattenere le lacrime, non voglio rovinare l'ultima sera di Sabine o rischiare di litigare con mio marito. Anche lui allora era pi felice. Mia sorella torna al tavolo e capisce subito che non sto bene. Vado di corsa alla toeletta a lavarmi il viso con l'acqua fredda, lei mi segue e mi abbraccia. Restiamo l per un po', senza parlare. Quindi mi da una sigaretta dicendomi di fumarla con calma pi tardi, c' dentro della marijuana, mi far bene. Se ne voglio dell'altra basta che mi rivolga a Edy. Torniamo al tavolo e Lketinga invita Sabine a ballare. Mentre sono in pista Edy mi chiede se ho dei problemi con Lketinga, A volte s rispondo brevemente. Anche lui vorrebbe ballare ma io rifiuto. Poco dopo io e Lketinga ce ne andiamo perch la prima volta che affido Napirai a Priscilla e sono preoccupata. Mi congedo da Sabine augurandole un buon viaggio di ritorno. Nel buio della notte, ci dirigiamo verso il villaggio a passo sostenuto. Sento la mia bambina gi da lontano, ma Priscilla mi tranquillizza dicendomi che si appena svegliata, sicuramente vuole solo il seno della mamma. Mentre la porto nella nostra stanza, Lketinga si ferma a parlare con Priscilla. Quando Napirai si riaddormentata, esco, mi siedo all'afosa aria notturna, accendo lo spinello e lo aspiro avidamente.

Nell'attimo preciso in cui spengo il mozzicone arriva Lketinga. Spero che non senta l'odore. Mi sento libera. Ridacchio da sola, e quando comincia a girarmi la testa mi sdraio sul letto. Lketinga si accorge che sono cambiata, e io gli spiego che non sono abituata a bere alcol. Oggi non mi difficile assolvere ai miei doveri coniugali, perfino Lketinga si stupisce della mia disponibilit. Durante la notte mi sveglio per fare la pip. Esco e mi arrangio dietro alla casetta perch i bagni sono troppo lontani e mi gira ancora la testa. Quando rientro nel lettone mio marito, nel silenzio della notte, mi chiede dove sono stata. Gli spiego spaventata cosa ho fatto, e lui si alza, prende la lampada tascabile ed esige che gli faccia vedere il posto esatto. Io, che sono ancora un po' fatta, mi metto a ridere, in quel momento mi sembra tutto molto divertente. Ma Lketinga dalla mia ilarit desume che avevo un appuntamento con qualcuno. Non riesco proprio a prenderlo sul serio e gli mostro la pozza dietro alla casetta. Andiamo di nuovo a dormire in silenzio. La mattina seguente mi ronza la testa e sono di nuovo depressa. Dopo colazione andiamo in negozio in macchina, da soli perch per la prima volta William non rintracciabile. Quando arriviamo lo troviamo gi l. Non sono certo affari miei e quindi non gli chiedo nemmeno dov'era. E' pi nervoso del solito e se ne sta sulle sue. Quel giorno non si vende molto, e dopo la chiusura mi accorgo che qualcuno ha rubato del denaro nella mia borsa. Cosa devo fare? Tengo d'occhio William e - finch c' - mio marito, ma non riscontro niente di strano e non credo che la bambinaia potrebbe fare una cosa del genere. Mi vado a lavare e quando torno trovo Priscilla seduta con Lketinga. Gli sta raccontando che William ogni sera va a Ukunda e spende molti soldi. Non riesce a capire come possa avere tanto denaro e ci invita a fare attenzione. Al pensiero di aver subito un furto mi sento male, ma faccio finta di niente e mi ripropongo di parlare con William a quattrocchi, se lo venisse a sapere Lketinga lo licenzierebbe subito e tutto il lavoro piomberebbe addosso me. E poi finora sono stata contenta di lui. Il giorno seguente viene di nuovo a lavorare direttamente da Ukunda. Lketinga gli chiede conto del suo comportamento ma William nega tutto, e quando arrivano i primi turisti le cose procedono come sempre. Lketinga va a Ukunda, probabilmente a indagare su William. Quando rimango sola con William lo riprendo con durezza dicendogli che so bene che mi ha derubato quotidianamente. Se mi promette che in futuro si comporter come una persona seria, non dir nulla a Lketinga e non lo licenzier, anzi, fra due mesi, appena avr inizio l'alta stagione, gli dar anche un aumento. Lui mi guarda e tace. Sono sicura che dispiaciuto e che ha rubato soltanto per vendicarsi dei maltrattamenti subiti da mio marito. Quando eravamo da soli non mancava mai uno scellino. Quando Lketinga ritorna mi informa che William ha passato la notte in una discoteca e lo accusa di nuovo. Questa volta mi intrometto, spiegando che ieri ha ottenuto un anticipo. Lentamente ritorna la calma, ma l'atmosfera resta tesa. Dopo una cos dura giornata di lavoro avrei bisogno di rilassarmi con uno spinello. Penso a dove potrei incontrare

Edy, ma per oggi non mi viene in mente niente. Domani potrei andare all'Africa-Sea-Lodge a farmi fare le treccine. Ci vorranno almeno tre ore, ho buone possibilit di incontrarlo al bar. Dopo mangiato prendo la macchina e vado in albergo, ma le due parrucchiere sono occupate e mi fanno aspettare mezz'ora. Poi comincia la dolorosa procedura, mi intrecciano i capelli con dei fili di lana fin sopra la testa e fissano ogni estremit con delle perline colorate di vetro. Insisto perch me ne facciano tante e fitte, cos ci vogliono pi di tre ore. Alle cinque e mezza non hanno ancora finito. Senza via d'uscita. Improvvisamente spunta mio marito con Napirai. Non capisco cosa succede, la macchina ce l'ho io e il negozio dista alcuni chilometri da qui. Guarda il suo orologio e mi aggredisce chiedendomi dove sono stata tutto questo tempo. Gli rispondo con grande calma che lo pu vedere da s, sto finendo solo adesso. Lui mi mette in braccio Napirai tutta sudata e con le mutandine piene. Chiedo seccata cosa ci fa qui con lei e dov' la bambinaia. Risponde che ha mandato a casa lei e William e ha chiuso il negozio. Aggiunge che lui non pazzo, chiaro che avevo un appuntamento con qualcuno, altrimenti sarei tornata da tempo. Replicare sarebbe inutile, Lketinga malato di gelosia, convinto che io abbia incontrato un guerriero prima della parrucchiera. Cerco di sbrigarmi il pi possibile e andiamo direttamente a casa perch non ho pi nessuna voglia di lavorare, non riesco ad accettare di non poter stare dal parrucchiere tre ore e mezza senza che lui vada fuori di testa. Piena di ira e di odio propongo a Lketinga di andarsene a casa sua e di trovarsi un'altra moglie. Lo aiuter economicamente, ma per il bene di tutti deve allontanarsi. Non ho nessun amante e non ne voglio avere, desidero solo lavorare e vivere in pace. Se ritorner fra due o tre mesi ne potremo parlare di nuovo con calma. Purtroppo i miei ragionamenti non fanno presa su Lketinga. Dice che non vuole un'altra moglie, ama solo me. Desidererebbe che tutto ritornasse come prima della nascita di Napirai, e non capisce che stato lui a distruggere il nostro amore con la sua maledetta gelosia, riesco a respirare solo quando assente. Litighiamo ancora una volta, e io piango, non c' via d'uscita. Mi sento cos male che non ho neppure la forza di consolare Napirai. Mi sembra di essere in prigione, devo parlarne con qualcuno, forse Sofia mi capir! La situazione critica, non pu peggiorare, quindi salgo in macchina e mi lascio dietro marito e figlia. Lui prova a fermarmi mettendosi in mezzo alla strada, ma io parto di corsa. Tutto quello che riesco a sentire : You are crazy, Corinne!. Appena mi vede, Sofia sconcertata. Dato che non sono pi andata a trovarla, pensava che fosse tutto a posto. Quando le racconto i dettagli scioccata. Le dico disperata che forse ritorner in Svizzera, ho paura che un giorno possa capitare di peggio. Lei cerca di convincermi a restare ora che il negozio va benone e ho ottenuto il permesso di lavoro. Forse dovrebbe essere Lketinga ad andarsene, a Mombasa non sta bene. Discutiamo a lungo ma mi sento spenta dentro. Chiedo se ha della marijuana e il suo ragazzo me ne

da un po'. Torno a casa leggermente sollevata, ma Lketinga si sta gi preparando per la scenata successiva. Lo trovo sdraiato davanti a casa che gioca con Napirai. Non dice una parola e non vuole nemmeno sapere dove sono stata. Questa davvero una novit. Vado in camera, mi preparo di corsa uno spinello e lo fumo subito. Adesso sto meglio, mi sembra tutto pi sopportabile. Mi siedo fuori, e guardo divertita mia figlia che prova e riprova a salire su un albero, sono di buon umore. Quando la testa non mi gira pi compro riso e patate per la cena, l'erba fa venire un forte appetito. Poi faccio il bagnetto a Napirai nella bacinella, e mi dirigo verso la doccia del bush. Quindi, come sempre, metto i pannolini a bagno per poterli lavare la mattina successiva prima di andare al lavoro e finalmente vado a letto. Mio marito accompagna alcuni guerrieri a un ballo masai in macchina. I giorni passano e ogni sera non vedo l'ora di fumarmi il mio spinello. I rapporti sessuali con Lketinga sono ripresi. Non provo piacere, ma non me ne importa nulla. Sono apatica, cerco solo di tirare avanti. Apro il negozio meccanicamente e provo a vendere qualcosa insieme a William, che si fa vedere sempre meno regolarmente. In compenso Lketinga ora sta qui quasi tutto il giorno. Vengono molti turisti a immortalarci con macchine fotografiche e videocamere e mio marito continua a chiedere del denaro in cambio, il che ormai non mi turba pi. Non comprende perch la gente voglia fotografarci, non siamo mica delle scimmie. Su questo non posso dargli torto. I turisti ci chiedono spesso dov' nostra figlia. Vedendo Napirai che gioca con la bambinaia pensano che sia sua. Io spiego a tutti che la bambina, che nel frattempo ha sedici mesi, nostra. Mentre io e la bambinaia ridiamo di questi fraintendimenti, mio marito dopo un po' si insospettisce, non capisce perch equivochino tutti. Cerco di placarlo, non possiamo farci toccare da queste sciocchezze. Ma lui continua ad importunare i clienti perch non mi identificano subito come madre, tanto che alcuni lasciano il negozio spaventati. E' diffidente anche con la bambinaia. Mia sorella tornata a casa da quasi un mese, ed Edy gi venuto pi volte a chiedere se ci sono delle lettere per lui. Ma Lketinga col tempo interpreta queste visite in un altro modo, secondo lui evidente che viene per vedere me. Un giorno che mi sorprende a comprare della marijuana da lui mi investe come fossi una criminale e minaccia di denunciarmi alla polizia. Mio marito vuole mandarmi in prigione pur sapendo quanto sia terribile! Il Kenya ha leggi molto severe contro l'uso di droghe. Edy riesce a stento a dissuaderlo dall'andare alla polizia di Ukunda. Io sono paralizzata, non piango neanche pi. Dopotutto questa roba mi serve per sopportarlo. Devo promettergli di non fumare mai pi marijuana, in caso contrario mi denuncer, non vuole stare con una donna che non rispetta le leggi del Kenya. Aggiunge che la miraa consentita perch non la stessa cosa. Mio marito fruga nelle mie borse e annusa ogni mia sigaretta prima che la accenda. A casa racconta la vicenda a Priscilla e a tutti quelli che vogliono ascoltare. Naturalmente la gente inorridisce, mi sento un mostro. Mi accompagna anche al gabinetto e non mi consente pi di andare al negozio del villaggio, ormai posso stare solo nel nostro e

seduta sul letto di casa. Ma per me l'unica cosa che conta la mia bambina. Sembra che Napirai capisca che sto male. Sta con me quasi sempre e dice solo: Mamma, mamma e qualche altra parola incomprensibile. Priscilla invece si allontanata da noi, non vuole grane. Il lavoro, con Lketinga sempre intorno, non mi piace pi. Mi controlla continuamente, sia in negozio sia al China-Bar, e mi rovescia la borsa fino a tre volte al giorno. Una volta arrivano dei turisti svizzeri, ma non mi va molto di parlare con loro. Dico che non sto bene, ho il mal di stomaco. Mentre una svizzera ammira Napirai e ingenuamente constata la somiglianza con la bambinaia, arriva mio marito. Chiarisco l'equivoco anche con questa cliente e Lketinga mi chiede: Corinne, why all people know, this child is not yours?. Con questa frase distrugge le mie ultime speranze e il mio residuo rispetto per lui. Rimango di stucco e vado al ristorante cinese senza rispondere pi a nessuno, in uno stato di trance. Il proprietario mi fa telefonare. Mi collego con l'ufficio della Swissair di Nairobi e chiedo se ci sono due posti, uno per me e uno per la mia bambina di un anno e mezzo, sul prossimo volo per Zurigo. Dopo qualche minuto mi comunicano che la prima disponibilit fra quattro giorni. So che i privati non possono fare prenotazioni telefoniche ma prego la signora di tenermi i posti, potr pagare e ritirare i biglietti solo il giorno prima della partenza, ma molto importante, verr di sicuro. Quando ricevo il suo okay ho il cuore in gola. Torno lentamente in negozio e dichiaro senza cerimonie che sto per andare in ferie in Svizzera. Sulle prime Lketinga ride nervosamente e dichiara che non e e problema, ma senza Napirai, cos sicuro che torner. Gli rispondo stancamente che la mia bambina viene con me, aggiungendo che non intendo fuggire, ma ho bisogno di riprendermi dallo stress del negozio prima dell'inizio dell'alta stagione, a dicembre. Lketinga non d'accordo, non vuole nemmeno firmarmi il permesso d'uscita. Nonostante questo due giorni pi tardi faccio i bagagli. Priscilla e Sofia cercano di convincerlo, sono convinte che torner. Fuga. L'ultimo giorno mi lascio tutto alle spalle. Mio marito vuole che porti poche cose per Napirai. Gli consegno come pegno tutte le carte di credito della banca. Deve credermi, torner, e chi potrebbe mai rinunciare deliberatamente a cos tanto denaro, a una macchina e a un negozio avviato? Indeciso se credermi o meno, ci accompagna a Mombasa, ma pochi minuti prima della nostra partenza per Nairobi non ha ancora firmato. Lo prego di farlo per l'ultima volta, intanto partir in ogni caso. Interiormente sono cos spenta e cos priva di sentimenti che non mi esce pi nemmeno una lacrima. Il conducente avvia il motore. Lketinga accanto a noi sull'autobus e si fa tradurre per l'ennesima volta il foglio di permesso da un passeggero. C' scritto che mio marito, Lketinga Leparmorijo, mi consente di lasciare il Kenya con nostra figlia Napirai per trascorrere tre settimane di ferie in Svizzera. Quando il conducente suona il clacson per la terza volta, Lketinga fa uno scarabocchio sul documento e dice: I don't

know, if I see you and Napirai again!, salta gi dall'autobus e noi partiamo. Solo adesso mi metto a piangere. Guardo fuori dal finestrino e mi congedo dai paesaggi familiari che scorrono davanti ai miei occhi. Caro Lketinga, spero che mi perdonerai per quello che sto per comunicarti. Non torner pi in Kenya. In questo periodo ho riflettuto molto su di noi. Quasi quattro anni fa ti amavo tanto da essere disposta a vivere a Barsaloi con te, e ti ho dato anche una figlia. Ma dal giorno in cui hai dubitato di essere il vero padre non ho pi provato gli stessi sentimenti, l'hai capito anche tu. Non ho mai desiderato nessun altro e non ti ho mai mentito. Ma in questi anni non mi hai capito, forse anche perch sono una mzungu. Apparteniamo a due mondi molto diversi, ma pensavo che un giorno ne avremmo costruito uno solo nostro. Adesso, dopo l'ultima chance che abbiamo avuto a Mombasa, capisco che tu non sei felice e io meno ancora. Siamo giovani, non possiamo continuare a vivere cos. Sulle prime forse non capirai, ma dopo un po' di tempo potrai rifarti una vita con un'altra. Sar facile per te trovare una nuova moglie appartenente al tuo stesso mondo. Ma questa volta cercati una donna samburu, non una bianca, siamo troppo diverse da te. Un giorno avrai molti figli. Ho portato con me Napirai perch l'unica cosa che mi rimasta. Non voglio avere altri figli, e senza di lei non potrei vivere! Ti prego, Lketinga, perdonami! Non ho pi la forza di vivere in Kenya. Durante questi anni sono sempre stata molto sola. Io non avevo nessuno e tu mi hai trattato come se fossi una criminale, anche se non puoi rendertene conto perch in Africa cos. Te lo confermo ancora una volta, non ho mai fatto niente di male. Adesso devi decidere cosa fare con il negozio. Scriver anche a Sofia, ti aiuter. Ti regalo tutto, se vuoi vendere qualcosa dovrai trattare con Anil, l'indiano. D'ora in poi far del mio meglio per aiutarti, non voglio tagliare i ponti con te. Se hai dei problemi dillo a Sofia. L'affitto del negozio pagato fino a met dicembre, ma se non vuoi pi lavorare devi assolutamente parlare con Anil. Ti regalo anche la macchina, allego una dichiarazione di cessione. Se vuoi venderla fatti dare almeno ottantamila scellini. Trova qualcuno che ti aiuti a trattare e sarai un uomo ricco. Per favore, Lketinga, non essere triste, sei giovane e bello, troverai una moglie migliore. Con Napirai parler sempre bene di te. Ti prego, cerca di capirmi! In Kenya morirei e non penso che tu voglia questo. La mia famiglia non ce l'ha con te, ti vogliono ancora bene, ma siamo troppo diversi. Tanti saluti da Corinne e famiglia Caro James, spero che tu stia bene. Sono in Svizzera e sono molto triste. Ora sono certa che non torner mai pi in Kenya. Oggi ho scritto a Lketinga che non sono pi abbastanza forte per vivere con lui. Mi sono sentita molto sola come bianca, tu hai fatto parte della nostra vita e sai cosa voglio dire. Gli ho dato un'ultima chance a Mombasa, ma le cose non sono andate meglio, anzi, sono peggiorate. L'ho amato

tanto, ma dopo la lite per Napirai questo amore si gravemente incrinato. Da quel giorno non abbiamo fatto altro che litigare dalla mattina alla sera. Lui molto negativo, non credo che sappia cos' l'amore, quando si vuole bene a una persona non si possono dire quelle cose. Mombasa era la mia ultima speranza, ma le cose non sono cambiate. Mi sembrava di essere in prigione. Abbiamo aperto un bel negozio, per non credo che riuscir a lavorarci da solo. Per questo ti prego di andare al pi presto a Mombasa a parlare con lui! Ora non ha pi nessuno, solo al mondo. Se vuole vendere il negozio pu telefonare ad Anil, fammi sapere come andr a finire. Pu tenersi anche la macchina. Per favore, James, va' a Mombasa il pi presto possibile, Lketinga avr bisogno di te quando ricever la mia lettera. Per quanto posso lo aiuter dalla Svizzera, se vende tutto sar un uomo ricco. Ma deve essere guardingo, altrimenti i parenti spenderanno il denaro in poco tempo. Non so come sar il negozio senza di me, finora gli affari andavano bene. Ti prego di controllare, ho investito parecchio denaro in monili d'oro ed altre cose e non voglio che Lketinga venga truffato. Spero che possiate perdonarmi tutti per quello che ho dovuto fare. Se tornassi in Kenya morirei. Ti prego di spiegare tutto a Mamma. Le voglio bene, non la dimenticher mai, purtroppo non sono in grado di dirglielo di persona. Raccontale che ho provato in tutti i modi a vivere con Lketinga. Ma il suo un altro mondo. Ti prego, rispondimi presto. Anch'io ho molti problemi, non so se potr restare in Svizzera, forse mi dovr trasferire in Germania. Per i prossimi tre mesi star dalla mia mamma. Cari saluti da Corinne Caro padre Giuliano, sono in Svizzera dal 6 ottobre 1990, e non torner in Kenya. Non sono pi abbastanza forte per vivere con mio marito. Gliel'ho comunicato due settimane fa in una lettera, sono in attesa della sua risposta. Sar un duro colpo per lui, gli avevo fatto credere che il mio viaggio in Svizzera sarebbe stato solo per le ferie, altrimenti non mi avrebbe mai permesso di lasciare il paese con Napirai. Come sapr, abbiamo aperto un negozio fantastico sulla costa meridionale, e gli affari sono andati bene fin dal primo giorno. Ma con mio marito le cose non sono migliorate, e anche se parlavo solo con i turisti lui era molto generoso. In questi anni non si mai fidato di me. A Mombasa mi sembrava di essere in prigione. Non abbiamo fatto altro che litigare tutto il tempo e questo non era giusto nemmeno nei confronti di Napirai. Mio marito ha un cuore buono, per nella testa ha qualcosa che non va. E' molto duro per me dirlo, ma non sono la sola a pensarlo. Gli amici ci hanno abbandonato e ha perfino spaventato qualche turista. Non era sempre cos, ma negli ultimi tempi accadeva quasi quotidianamente. L'ho lasciato con negozio, macchina ecc. Pu vendere tutto e tornare a Barsaloi da uomo ricco, sarei felice se trovasse una buona moglie e avesse molti figli. Nella busta metto qualche scellino del Kenya che pu dare alla madre di mio marito. Alla Barclays Bank ho ancora un po' di denaro. Potrebbe occuparsi Lei di farlo avere a Mamma? Gliene sarei molto grata. La prego di farmi sapere qualcosa.

Le scrivo questa lettera affinch, se un giorno qualcuno dovesse parlarle di queste vicende, Lei mi possa capire. Mi creda, ho cercato di fare del mio meglio. Spero che Dio possa perdonarmi. Tanti saluti da Corinne e Napirai Ciao Sofia, ho appena ricevuto la telefonata tua e di Lketinga. Sono molto triste, non riesco a smettere di piangere. Ti ho appena detto che non torner, la verit. Avevo le idee chiare gi prima di arrivare in Svizzera. Tu conosci un po' mio marito. L'ho amato come nessuno in vita mia! Per lui ero disposta a fare una vita da vera samburu. Mi sono ammalata tante volte a Barsaloi, ma restavo perch l'amavo. Da quando nata Napirai, per, sono cambiate molte cose. E' arrivato addirittura a dirmi che la bambina non sua. Da quel giorno il mio amore si incrinato. La vita andava avanti tra alti e bassi, e spesso mi trattava male. Sofia, te lo dico di fronte a Dio, non ho mai avuto un altro uomo, mai!, e malgrado questo dovevo sopportare le sue accuse dalla mattina alla sera. Mombasa stata l'ultima chance, per lui e per me. Ma non ce la facevo pi a vivere cos. E lui non se ne accorgeva nemmeno! Ho abbandonato tutto, perfino la mia patria. Certo, sono cambiata anch'io, ma penso che sia normale in certe condizioni. Mi dispiace tanto per entrambi. Non so ancora dove potr vivere in futuro. Il mio problema pi grande Lketinga. Adesso non ha pi nessuno per il negozio e non in grado di gestirlo. Per favore, fammi sapere se lo vuole tenere. Sarei contenta se ci riuscisse, altrimenti venda pure tutto. La stessa cosa vale per la macchina. Ma Napirai resta con me, pi felice qui. Ti prego Sofia, cerca di occuparti un po' di Lketinga, avr molti problemi. Purtroppo io non posso fare molto, se venissi in Kenya non mi consentirebbe di tornare in Svizzera. Spero che suo fratello James venga da voi a Mombasa, gli ho scritto per questo. Ti prego, dagli dei buoni consigli. So che hai molti problemi anche tu e spero per te che si risolvano presto. Ti auguro tutto il bene possibile e sono certa che troverai una nuova amica bianca. Io e Napirai non vi dimenticheremo mai. Saluti cari Corinne FINE.

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