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CANTO 6 Ressa delle anime e efficacia delle preghiere (vv.

1-57) [modifica] Dante apre il canto facendo un paragone tra un vincitore a zara (gioco di dadi) che dona parte della vincita alla folla che lo circonda per liberarsene e se stesso che ascolta le preghiere delle anime solo per farle allontanare. Poi Dante chiede al suo maestro la funzione delle preghiere per i defunti, il tema era stato gi affrontato da Virgilio nell'Eneide, nella quale aveva affermato che le preghiere dei vivi non avevano alcun effetto nell'aldil. Nel canto, invece, Virgilio afferma che le preghiere abbreviano il periodo di pena delle anime, ma non confuta la tesi da lui espressa nel suo poema, in quanto le preghiere hanno valore solo in un mondo in cui riconosciuta l'esistenza di Dio, mentre nel mondo pagano non davano alcun effetto perch il destino dei defunti non era controllato dagli dei ma dal fato. Abbraccio tra Sordello e Virgilio (vv. 58-75) [modifica] Virgilio indica a Dante un'anima solitaria che guarda verso di loro: essa potr insegnare loro la via. I due pellegrini si avvicinano, e Dante colpito dall'aspetto dignitoso ed austero di quell'anima, che seguiva i loro passi solo con lo sguardo. Virgilio si accosta chiedendo indicazioni sul cammino, ma l'anima invece di rispondere chiede chi siano essi e di che origine. La risposta di Virgilio inizia con la parola "Mantua" ovvero Mantova; sufficiente questa sola parola perch l'anima esca dal suo atteggiamento di severo distacco: balza in piedi esclamando di essere concittadino di chi gli sta dinanzi. Subito Sordello da Goito e Virgilio si abbracciano. Apostrofe di Dante all'Italia (vv. 76-151) [modifica] L'imprevisto abbraccio tra Sordello e Virgilio, nato dalla sola consapevolezza di venire dalla stessa terra, suscita nel poeta un'energica ed amara apostrofe all'Italia del presente (definita serva, luogo di dolore, nave senza guida, bordello): in essa dominano guerre e contese anche fra gli abitanti di una stessa citt. Dante esorta l'Italia a cercare lungo le sue coste e poi nell'entroterra se vi sia qualche luogo in cui regni la pace. Eppure Giustiniano aveva dotato l'Italia di leggi appropriate, ma nessuno esercita il giusto potere per farle applicare. Invece si appropriano abusivamente del potere temporale gli uomini di chiesa che non sanno guidare l'Italia, divenuta ormai un destriero ingovernabile. Manca l'autorit dell'imperatore, dato che Alberto I d'Asburgo e suo padre Rodolfo, tutti presi dalle lotte politiche in Germania, hanno trascurato il giardino dell'impero. Dopo aver invocato una giusta punizione sul loro successore Arrigo VII di Lussemburgo, Dante con una violenta anafora invita l'imperatore a venire in Italia e a vedere citt per citt la devastazione portata dalle lotte civili. Giunge infine a interpellare Cristo stesso, chiedendogli se per caso il suo sguardo non sia rivolto altrove; o forse, aggiunge subito il poeta, in tutti questi mali nascosto il seme di un futuro bene che per ancora non comprensibile. Dante conclude l'appassionata invettiva rivolgendosi direttamente a Firenze. Con sarcasmo presenta la sua citt come se fosse immune da questi mali; in realt in essa dominano la superficialit e l'irresponsabilit di cittadini che fanno a gara per avere cariche pubbliche senza capacit o preparazione. Firenze pu vantarsi di superare Atene e Sparta, poich fa leggi tanto sottili da durare a mala pena un mese. Il passato di Firenze caratterizzato da continua instabilit fa apparire la citt simile ad un'ammalata che non riesce a trovare una posizione adatta al suo riposo. Quest'immagine di doloroso e costante movimento verr poi ripresa da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi [non chiaro].

Analisi [modifica]

Come gi nell'Inferno e come poi nel Paradiso, il sesto canto dedicato al tema politico. Mentre nel sesto canto dell'Inferno Dante presenta, in un breve dialogo con Ciacco, Firenze divisa in fazioni e oggetto delle mire di papa Bonifacio VIII, il sesto canto del Purgatorio allarga la considerazione a tutta l'Italia, vista per di pi in rapporto con le due massime istituzioni, Impero e Chiesa. Sar il sesto canto del Paradiso a coniugare l'attenzione sempre viva e polemica ai fatti contemporanei con un ampio excursus storico in cui si inserisce, a darne il significato autentico, la prospettiva provvidenzialistica. Nucleo fondante di tutto il sesto canto del Purgatorio l'invettiva all'Italia, la pi lunga della Commedia nelle sue venticinque terzine. In questa, pronunciata dallo stesso Dante in seguito all'incontro con Sordello da Goito, l'Italia paragonata ad una nave priva di guida (questo paragone presente anche nel De Monarchia e nelle Epistole) e ad un cavallo privo di cavaliere (citando il Convivio) in quanto l'Imperatore non si cura di essa concentrando tutta l'attenzione sulla Germania. Per questo motivo sulla stirpe imperiale deve scendere la pena divina. Dante coglie l'occasione per attaccare anche la Chiesa, che interferisce nelle vicende politiche pi che occuparsi della materia spirituale che dovrebbe competerle. Alla fine dell'invettiva Firenze viene citata come esempio di corruzione e povert morale. Non bisogna trascurare il fatto che l'apostrofe inizia quasi alla met del canto, dopo una preparazione graduale: dalla scena affollata dei morti violentemente che chiedono di essere ricordati nel mondo dei vivi, alla spiegazione dottrinale affidata a Virgilio, alla raffigurazione di un misterioso ed altero personaggio, all'improvviso incontro tra due "concittadini" divisi da circa tredici secoli di storia e tuttavia uniti dal semplice nome della loro citt. L'invettiva all'Italia (nonch al papa, all'imperatore, a Firenze) trae il suo vigore espressivo dall'uso intenso di figure retoriche: dalle numerose metafore che connotano l'Italia, alle esclamazioni, alle anafore dei vv. 106,109,112,115 e 130,133. Frequenti anche le personificazioni (Italia, Roma, Firenze) sulle quali si innestano domande o esortazioni. Evidente l'uso dell'ironia e del sarcasmo nelle terzine dedicate a Firenze, ma il canto, con l'immagine dell'inferma che cerca invano di calmare le sue sofferenze, si chiude su una nota dolente.

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