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di Andrea Bajani Ho sempre pensato ai romanzi come a maglioni di lana fatti a mano, costruiti con pazienza sferruzzando giorno dopo giorno, uncinando a gomiti stretti ora dopo ora, mattina dopo mattina, pomeriggio dopo pomeriggio, sera dopo sera. Ho sempre visto gli scrittori come gente che sta seduta dove capita, che porta avanti il lavoro guardando per met al maglione che sotto i ferri prende forma, e per laltra met il mondo davanti, come se confrontasse le due cose, come se mettesse insieme in unico gesto il disordine del mondo e lordine dellordito, la contingenza dei fenomeni e la metodica costruzione di qualcosa (il maglione di lana) pensato per aderire a una persona, per fasciare le curve di un uomo o di una donna, per fare corpo a corpo con il corpo e trasformarsi in definitiva in una sintesi in cui corpo e maglione fanno la persona. Della costruzione dei maglioni mi hanno sempre affascinato le stazioni intermedie. Vederli riversi su una sedia, la notte, nel loro essere forme potenziali. Prima sono semplici sezioni, bandierine monocrome appese a un ferro, abbandonate come vessilli di stati tirati via dal planisfero, trapassati per decorrenza dei termini. Poi sera dopo sera diventano organismi pi complessi, in cui facile intuire un progetto, a cui possibile indovinare un futuro, in cui traspare sempre di pi, giorno dopo giorno, lallusione al corpo che li vestir. Nelle stazioni intermedie, quando il maglione non ancora diventato tale, c sempre un filo che dalla forma in costruzione va a pescare pi lontano, che parte solitario e va a infilarsi in una borsa, poco pi in l. dentro quella borsa che comincia a dipanarsi la matassa, che il grumo comincia a farsi linea, per poi risalire il corso e andare a raggiungere la forma in costruzione. Centimetro dopo centimetro, raggiungendo il centimentro precedente, andando a capo alla fine della riga e a poco a poco costruendo una cortina. Dei maglioni finiti mi affascina lidea della simulazione del corpo. La simulazione li trasforma in qualche modo in una convenzione che assegna ai corpi uno statuto, che legge gli uomini e le donne per sommi capi, per busti e braccia, che allude a tutto il resto, del corpo, semplicemente
disegnando dei vuoti, evidenziando delle assenze. Le voragini del collo, dei polsi e della vita sono una la simulazione di tutto il resto, e di contemporaneamente richiesta daiuto, lammissione
uninsufficienza. Senza un corpo che si faccia largo dentro quelle maglie, che vada a prendere posto forzando su una forma definita, il maglione resterebbe privato della sua funzione, uscirebbe in qualche modo dalla sfera sociale, smetterebbe di essere terra di mezzo tra uomo e uomo, smetterebbe di essere mondo animato. Senza un corpo rimarrebbe abbandonato al suolo, sarebbe pelle di serpente. Gli si potrebbe concedere al limite una qualche forma di nostalgia, data dal suo stesso essere allusivo del corpo. Senza il corpo il maglione resterebbe lettera morta, resterebbe convenzione. Senza il corpo lordine razionale costruito in laboratorio incrociando i ferri riga dopo riga, curva dopo curva, mancherebbe il suo incontro con il caos, con il disordine del mondo. Resterebbe campionariato utile per gli archeologi del futuro. Dei maglioni finiti mi affascinano per anche le imperfezioni, mi colpiscono le debolezze, i punti in cui entra in crisi la loro finitezza, la totalit della loro forma. E se da un lato quindi sono colpito dalla linee che vanno a costruire trame, dallaltra mi piace vedere le storie ritornare indietro, le forme che si sfilano. per questo che sono attratto anche dalle escrescenze dei maglioni, dallinsolenza di quelle teste di filo che si spingono oltre la superficie conclusa del maglione, che finiscono in fuorigioco e rivelano la provvisoriet di una forma data per conclusa. per questo che quelle teste di filo, quelle escrescenze, io non resisto a non prenderle tra pollice e indice e cominciare a tirarle via. E poco a poco il maglione, riga dopo riga, si ritira, come il mare quando torna indietro. l che nasce la vertigine della linea, di una linea che si riprende centimetro dopo centimetro la forma che ha creato. Eppure quella che ha tutta laria di una ritirata, di una dissoluzione, in realt non che una forma messa in fila, con tutte la parole messe sulla riva ad asciugare. In qualche modo un po come un catalogo del mondo, una sfilata di parole in passerella. in quella vertigine del tirare il filo, del tirare via la linea, che paradossalmente avviene la creazione. Indice e pollice, col semplice gesto di tirare a s, vedono a poco a poco la forma venire meno, accorciarsi, erodersi inesorabilmente, e infine dissolversi in ununica linea. quando il maglione non c pi che nasce la vertigine. quando ritorna linea che
tutto pu succedere, che comincia la zona in cui le cose nascono. Tirare via il filo delle storie, sfilarle aggrappandosi a quegli appigli non previsti la pi affascinante delle avventure. Distendere le parole una a una sulla riva, senza curarsi degli spazi bianchi, distribuendo centimetro dopo centimetro il vocabolario, e ancora pi a monte mettendo in parata lalfabeto. da quella linea distesa che si parte, da quel filo che non ha n capo n coda, che comincia e finisce da una forma allaltra in un sistema di vasi comunicanti senza fine. Da quel filo comincia tutto. Da quel gesto di tirar via con lindice e col pollice. L tutto pu succedere.