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Gaia Carboni / T-yong Chung / Davide Tranchina

CASABIANCA

gaia c arboni

Paesaggio I e II Incisioni su alluminio Lithops IV Gesso e carta 2011

Le incisioni su lastre di alluminio di Gaia Carboni si dividono tra la volont dellartista di non abbandonare la rigida geometria del disegno progettuale e la necessit di aggiungere a questo tratto ulteriori esiti. Ci che inizialmente si distingue come un paesaggio montano diventa progressivamente pi organico fino a smarrirsi nella sfumatura, trattando cos le forme iniziali come un punto dal quale limmagine si protende verso una propria trasformazione. Queste lastre sono accompagnate da una scultura di piccole dimensioni composta da carta e gesso. I due diversi materiali, uniti in modo da mimetizzarsi completamente luno con laltro, vanno a costituire una figura organica che si avvicina a una forma vegetale. Il passaggio da un materiale a un altro nella scultura stessa, cos come il divenire del paesaggio nellincisione, spiegano come sia linteresse verso il tema della metamorfosi e del suo sviluppo allinterno di un processo temporale, a portare lartista verso pratiche di manipolazione che accompagnano il suo lavoro da tempo.
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t - yong c hung

Senza titolo Ascia Senza titolo Aste di ferro 2011

Il lavoro di T-yong Chung costituito essenzialmente da processi che lartista mette in atto su oggetti di uso quotidiano per ridefinirne lidentit e conferire loro una nuova vitalit. La sua modalit di azione prevede spesso una vera e propria ricerca di questi oggetti negli stessi luoghi dove andranno poi collocati, con una particolare attenzione per i manufatti ereditati da un passato pi o meno lontano. Lopera realizzata per Casabianca segue queste stesse ispirazioni: il lavoro infatti si sviluppato a partire da due vecchi ferri e unascia che T-Yong ha recuperato nei pressi della galleria. Questi pezzi sono stati quindi levigati in alcuni punti fino a rimuovere del tutto lo strato di tempo che si era sedimentato sulla loro superficie, e successivamente sono stati assemblanti in uninstallazione. Lartista in questo modo non solo si pone come ponte tra un passato che appartiene intimamente alloggetto e un presente svelato dalla sua nuova identit, ma ci rivela anche una serie di qualit che, apparentemente, non sembravano riguardare loggetto.
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davide t ranchina

In Altro Mare Stampe fotografiche

Il soffio dellimmaginazione -Breve lettura di In Altro Mare di Davide Tranchina Nelle caverne dellera paleolitica, in particolare a Lascaux, gli uomini hanno lasciato le prime testimonianze dellarte rupestre. Una fra le tecniche pi usate era la soffiatura, proprio quella che ancora oggi praticano molte trib aborigene dellAustralia meridionale. Consisteva nellintrodurre una piccola quantit di polvere colorata allinterno di un tubicino cavo e, letteralmente, soffiarla contro la parete scelta per la raffigurazione. Quando i pittori primitivi volevano ottenere disegni dai contorni pi precisi, ricorrevano a delle mascherature. Le impronte di mani, che ogni anno continuano ad affascinare migliaia di visitatori con i loro misteri insolvibili, furono realizzate con questa semplice procedura. Il palmo aperto della mano si attaccava alla superficie rocciosa, mentre il colore veniva spruzzato intorno alle dita sfiorandone delicatamente il dorso, come un fiato leggero. Una volta terminato il lavoro appariva una traccia vuota, non-dipinta, circoscritta dal profilo della mano coronato da una nuvola di polvere luminosa. Proprio come una maschera tattile la mano tesa aveva perfettamente aderito alla sua ombra, laveva protetta dallo strato di colore, provocandone per loccultamento, lirrimediabile cancellazione delle sue fattezze. Questa forma di rappresentazione risalente alla notte dei tempi contiene in s delle chiare implicazioni proto-fotografiche: c uno schermo (la parete), una proiezione (il soffio) e una materia (la polvere) da cui trae origine un immagine impressa e fissata in permanenza. Unimmagine, in sostanza, provocata da unombra assente, da unombra in negativo. Migliaia di anni pi tardi gli artisti delle avanguardie storiche avrebbero ricalcato questo procedimento arcaico quasi alla lettera. E, infatti, non sono poi tanto dissimili dai loro antenati preistorici certe sperimentazioni radicali che Man Ray chiam rayografie e Lszl Moholy-Nagy, fotogrammi. Anche queste immagini, in definitiva, scaturivano da un contatto materiale (offcamera, senza macchina fotografica) fra corpi.

Alcuni oggetti di varia natura, sia piani che solidi, venivano collocati sopra una carta preparata con sali dargento e poi venivano irradiati da un fascio istantaneo di luce che, non potendo penetrare nelle masse opache, andava a posarsi (come un soffio appunto) tuttintorno, nello spazio libero, vergine, alterandone laspetto superficiale. Proprio come era accaduto a Lascaux dove la sostanza cromatica spruzzata dalluomo aveva alterato, in maniera analoga, soltanto la porzione di spazio scoperto intorno alle dita della mano. In entrambi i casi loggetto reale perdeva peso, spessore, corpo. Perdeva la sua ombra. Di essa rimanevano solo vaghe tracce, pochi residui. A volte certi oggetti resi traslucidi permettevano di assorbire una dose discreta di raggi luminosi tale per da generare impronte a densit variabile, forme sfumate e trasparenti con qualche accenno di volume, ma, ciononostante, limmagine finale continuava a denotare un appiattimento, un azzeramento dei corpi, una trasformazione in chiave astratta della realt fisica. Moholy-Nagy la chiamava l impronta luminosa per contatto, cio per contiguit con loggetto (il referente) di cui era il derivato. Dentro questa definizione cera ben scritta la genesi chimica del dispositivo fotografico. Tuttavia la fotografia, come labbiamo conosciuta nel corso della sua storia, ha voluto a tutti i costi farsi visione oggettiva delle apparenze come sono percepite dai nostri occhi: ha insistito, cio, per farsi specchio della realt. Lintimo desiderio di William Henry Fox-Talbot, inventore, fra laltro, del disegno fotogenico, il calco fotochimico di oggetti reali, quasi un secolo prima delle prodezze delle avanguardie, era quello di descrivere, con infallibile precisione e ricchezza di particolari, la variegata fisionomia della Natura per migliorarne lanalisi e la conoscenza. Ma per esaudire tale vocazione modernista egli doveva implementare la sua tecnica e rivestire la labile nudit delle sue tracce (chiam i suoi esperimenti sciagrafie dal greco skia ombra). Alla chimica doveva congiungersi lottica, i materiali fisici dovevano strutturarsi allo scopo di recuperare il valore plastico delle proprie ombre. Solo con lausilio di una camera oscura in grado di fornire unorganizzazione prospettica dello spazio visivo (sul modello fisiologico della percezione oculare), limmagine poteva vedere ricomporsi il naturale equilibrio di luci e di ombre, la solida illusione del realismo speculare. Davide Tranchina oggi reinterpreta con grande acutezza la lezione del maestro vittoriano. Anchegli manifesta lindomito desiderio di tramutare la chimica della visione in visione della chimica, ma senza per sottostare, come il suo illustre predecessore, al dominio scientifico-razionalistico della realt sensibile. Certo le sue immagini, nella fattispecie i due grandi vascelli in mare aperto, mantengono il riflesso mimetico degli oggetti che le hanno generate; restano proiezioni speculari, forme riconoscibili in modo inequivocabile. Purtuttavia come vestigia esangui, diafane e impalpabili di un mondo scomparso sembrano allontanarsi dalla contingenza. Il mare, quella sconfinata, inesauribile distesa immateriale in cui sono sospesi, un altro mare: altrove. Lontologia dellimmagine fotografica, per noi garanzia della verit del qui e ora, continua a farcele sentire, a percepire psicologicamente, come presenti ma al tempo stesso rivolte oltre il limite della finestra da cui si sporgono, immemori delle luci, delle ombre, dei volumi e dei colori che si formano nellesperienza concreta della realt. Ma se ci lasciassimo contagiare, anche solo per un attimo, dal gioco ambiguo e paradossale di tali suggestioni, chiss quali mirabili scoperte, quali magnifiche avventure ci attenderebbero al di l del visibile. E forse basta appena un soffio per raggiungere la meta. Pier Francesco Frillici

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Zola Predosa, 27 novembre 2011

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