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La tirannia dell'individuo

di Tzvetan Todorov *

in “Le Monde” del 27 marzo 2011 (traduzione: www.finesettimana.org)

Perché un potere sia legittimo non basta sapere come è stato conquistato (ad esempio con elezioni
libere o con un colpo di stato), bisogna anche vedere in che modo viene esercitato. Circa trecento
anni fa, Montesquieu aveva formulato una regola per guidare il nostro giudizio: “Ogni potere
illimitato non potrà essere legittimo”, scriveva.
Le esperienze dei totalitarismi del XX secolo ci hanno resi particolarmente sensibili ai misfatti del
potere illimitato dello Stato, capace di controllare ogni atto di ogni cittadino. In Europa, questi
regimi appartengono al passato ma, nei paesi democratici, restiamo sensibili alle interferenze del
governo nelle faccende giudiziarie o nella vita dei media, perché ciò ha l'effetto di sopprimere ogni
limite posto al suo potere. I ripetuti attacchi condotti dal presidente francese o dal primo ministro
italiano contro i magistrati e i giornalisti mostrano molto bene questo pericolo.
Tuttavia, lo Stato non è il solo detentore di poteri in una società. All'inizio del XXI secolo, in
Occidente, lo Stato ha perso una buona parte del suo prestigio, mentre il vasto potere detenuto da
certi individui, o gruppi di individui, è a sua volta diventato una minaccia. Eppure passa
inosservata, perché questo potere si orna di un bel nome, a cui tutti fanno riferimento: quello della
libertà. La libertà individuale è un valore in crescita, i difensori del bene comune oggi appaiono
arcaici.
Si vede facilmente come è avvenuto questo capovolgimento nei paesi ex comunisti dell'Europa
dell'est. L'interesse collettivo oggi in quei paesi è sempre visto con sospetto: per nascondere le sue
turpitudini, il regime precedente lo aveva invocato così spesso che ora più nessuno lo prende sul
serio, lo si vede solo come una maschera ipocrita. Se comunque il solo movente per un certo
comportamento è la ricerca del profitto e la sete di potere, se la lotta senza quartiere e la vittoria del
più forte sono le dure leggi dell'esistenza, tanto vale smettere di fingere e accettare apertamente la
legge della giungla. Questa rassegnazione spiega perché quelli che erano gli uomini dell'apparato
comunista hanno saputo rivestire, con una facilità sconcertante, gli abiti nuovi
dell'ultraliberalismo.
A migliaia di chilometri di distanza, negli Stati Uniti, in un contesto storico totalmente diverso, si è
sviluppato da poco il movimento del Tea Party, il cui programma si rifà a sua volta alla libertà
illimitata degli individui e rifiuta ogni controllo governativo; esige di ridurre drasticamente le
imposte e ogni altra forma di ridistribuzione delle ricchezze. Le sole spese comuni che trovano
grazia agli occhi dei suoi sostenitori sono l'esercito e la polizia, quindi ancora la sicurezza degli
individui. Chiunque si opponga a questa visione del mondo viene trattato da criptocomunista! Ciò
che è paradossale, è che essa si richiami alla religione cristiana, mentre quest'ultima, come le altre
grandi tradizioni spirituali, raccomanda l'attenzione ai più deboli e miseri.
In questo caso si passa da un estremo all'altro, dal solo-Stato totalitario, al solo-individuo
ultraliberale, da un regime liberticida ad un altro, di tipo “sociocida”, se così si può dire. Ma il
principio democratico vuole che tutti i poteri siano limitati: non solo quelli degli Stati, ma anche
quelli degli individui, anche quando rivestono gli orpelli della libertà.
La libertà delle galline di attaccare la volpe è una barzelletta, perché non ne hanno la capacità; la
libertà della volpe è pericolosa perché è la più forte. Attraverso le norme e le leggi che stabilisce, il
popolo sovrano ha il diritto di restringere la libertà di tutti. Questa limitazione non tocca la
popolazione allo stesso modo: idealmente, restringe coloro che hanno già molto potere e protegge
coloro che ne hanno molto poco.
Il potere economico è il primo dei poteri che sono nelle mani degli individui. L'impresa ha lo scopo
di produrre dei profitti per i suoi proprietari, altrimenti è condannata a scomparire. Ma al di fuori
dei loro interessi privati, gli abitanti del paese hanno anche degli interessi comuni, ai quali le
imprese non contribuiscono spontaneamente. Spetta allo Stato ottenere le risorse necessarie per
occuparsi dell'esercito e della polizia, ma anche dell'istruzione e della salute, dell'apparato
giudiziario e delle infrastrutture. O anche della protezione della natura: la famosa mano invisibile
attribuita ad Adam Smith non serve granché in questo caso. Lo si è visto in occasione della marea
nera nel golfo del Messico, nella primavera del 2010: lasciate senza controlli, le compagnie
petrolifere scelgono i materiali di costruzione meno cari e quindi poco affidabili.
Di fronte al potere economico smisurato detenuto dagli individui o dai gruppi di individui, il potere
politico si rivela spesso troppo debole. Negli Stati Uniti, in nome della libertà d'espressione
illimitata, la Corte suprema ha autorizzato il finanziamento da parte delle imprese dei candidati alle
elezioni; concretamente, ciò significa che coloro che dispongono di più soldi possono imporre i
candidati di loro scelta.
Il presidente del paese, certamente uno degli uomini più potenti del pianeta, ha dovuto rinunciare a
promuovere una riforma giusta dell'assicurazione malattia, a regolamentare l'attività delle banche, a
diminuire i danni ecologici causati dal modo di vivere dei suoi concittadini.
Nei paesi europei, succede frequentemente che i governi si mettano a servizio di poteri economici,
dando luogo a una nuova oligarchia politico-economica che gestisce gli affari comuni nell'interesse
di alcuni privati. O anche che i ministri in carica si comportino come individui interessati,
accettando che terzi paghino le loro vacanze...
La libertà d'espressione è presentata talvolta come il fondamento della democrazia, che, per questa
ragione, non deve conoscere alcun freno. Ma si può dire che essa sia indipendente dal potere di cui
si dispone? Non basta avere il diritto di esprimersi, bisogna anche averne la possibilità; se questa
manca, la “libertà” è una parola vuota. Tutte le informazioni, tutte le opinioni non sono accettate
con la stessa facilità dai grandi media del paese. La libera espressione dei potenti può avere delle
conseguenze funeste per coloro che sono senza voce: viviamo in un mondo comune. Se si ha la
libertà di dire che tutti gli arabi sono degli islamisti inassimilabili, questi ultimi non avranno più la
possibilità di trovare un lavoro e neanche di poter camminare per strada senza essere controllati.
La parola pubblica, un potere tra gli altri, deve talvolta essere limitata. Dove trovare i criteri che
permettano di distinguere le limitazioni “buone” da quelle “cattive”? Anche tenendo conto del
rapporto di potere tra colui che parla e colui di cui si parla. Non si ha lo stesso merito se ce la si
prende con i potenti del giorno o se si indica al risentimento popolare un capro espiatorio. Un
organo di stampa è infinitamente più debole dello Stato, non c'è alcuna ragione di limitare la sua
libertà di espressione quando lo critica, purché metta tale libertà a servizio della verità.
Quando il sito Mediapart rivela una collusione tra potenze finanziarie e responsabili politici, il suo
gesto non ha nulla di “fascista”, qualunque cosa ne dicano coloro che si sentono attaccati. Le “fughe
di notizie” di WikiLeaks pubblicate da Le Monde non hanno nulla di totalitario: i regimi comunisti
rendevano trasparente la vita di deboli individui, non quella dello Stato. Invece, un organo di
stampa è più potente di un individuo, e il “linciaggio mediatico” è un abuso di potere.
I difensori della libertà d'espressione illimitata ignorano la distinzione tra potenti e impotenti, il che
permette loro di coprire se stessi di allori. Il redattore del giornale danese Jyllands-Posten, che
aveva pubblicato nel 2005 l'insieme delle caricature di Maometto, torna a parlare della faccenda
cinque anni dopo e si paragona modestamente agli eretici del Medio Evo bruciati sul rogo, a
Voltaire nemico giurato della Chiesa onnipotente o ai dissidenti repressi dalla politica sovietica.
Decisamente, la figura della vittima esercita oggi un'attrazione irresistibile! Il giornalista dimentica,
così facendo, che i coraggiosi assertori della libertà d'espressione si battevano contro i detentori del
potere spirituale e temporale del loro tempo, non contro una minoranza discriminata.
Mettere dei limiti alla libertà d'espressione significa non sostenere l'instaurazione della censura, ma
fare appello alla responsabilità dei detentori dei media. La tirannia degli individui è certamente
meno sanguinosa di quella dello Stato; tuttavia anch'essa è un ostacolo ad una vita comune
soddisfacente. Niente ci obbliga a rinchiuderci nella scelta tra “tutto-Stato” e “tutto-individuo”:
abbiamo bisogno di difendere entrambi, facendo in modo che ciascuno limiti gli abusi dell'altro.
(traduzione: www.finesettimana.org)

* Tzvetan Todorov, storico delle idee e saggista. Nato nel 1939 a Sofia, è direttore di ricerca
onorario al CNRS. Dapprima teorico della letteratura, si è poi occupato del problema della memoria
e del totalitarismo. La sua opera ha ricevuto il premio del Principe delle Asturie nel 2008. La sua
ultima opera in ordine di tempo è “Le Sècle des totalitarismes” (Robert Laffont 2010).

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