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Brand Care magazine • ISSN: 2036-6213 • Anno III numero 008 • marzo-febbraio 2011 - N°008 | Poste Italiane SpA

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MARZO-MAGGIO 2011 - N°008
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Direttore responsabile
Sergio Brancato
Contributors n° 008
Tonia Basco, Davide Bennato, Vincenzo Bernabei, Claudio Biondi, Sergio Brancato, Massimo Caiati,
Anna Maria Carbone, Alessandra Colucci, Giacomo De Biase, Patrizio Di Nicola, Elena Franco, Emi Guarda,
Pasquale Napolitano, Francesca Pellegrini, Nadia Riccio, Giovanni Scrofani, Alessandro Vitale,
Emanuela Zaccone.
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Alberto Abruzzese, Alfonso Amendola, Davide Bennato, Claudio Biondi, Sergio Brancato, Ciriaco Campus,
Gabriele Caramellino, Giulio Como, Fabrizio Contardi, Vanni Codeluppi, Patrizio Di Nicola, Francesco Fogliani,
Carlo Forcolini, Francesco Maria Gallo, Viviana Gravano, Paolo Iabichino, Ilaria Legato, Zaira Maranelli,
Gabriele Moratti, Mario Morcellini, Vincenzo Moretti, Gianfranco Pecchinenda, Luca Peroni, Marco Pietrosante,
Daniele Pittèri, Alberto Prase, Roberto Provenzano, Guelfo Tozzi, Davide Vasta.
Cover
“8”, un omaggio a BCm da parte di Ciriaco Campus
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Niko Demasi
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ISSN
2036-6213
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editoriale

UN TEMA
PER NUMERO,
UN NUMERO
PER TEMA

C
di Sergio Brancato
os’hanno in comune il sistema organizzativo della catena di
ristorazione più famosa al mondo, una zona montuosa della
Guinea, il matematico dei frattali Benoit Mandelbrot e la
caméra-stylo di Alexandre Astruc? Sono tutti elementi di una
trama sottile, diradata, a tratti solo ipotizzata, che in filigrana
lascia trasparire un numero. Una semplice cifra, l’otto,
che è anche un nome proprio, una prospettiva archi-
tettonica, un’idea regolativa intorno alla quale si raccol-
gono persino performances meditative e percorsi spirituali.
Parliamo insomma di una suggestione, un elemento che ha
ispirato correnti di pensiero, intellettuali e strategie economiche di importanti attori
di mercato in grado di incidere quotidianamente sui nostri consumi.

Uno degli argomenti trattati nel numero 008 di Brand Care magazine riguarda
la cosiddetta “macdonaldizzazione” dei contesti di produzione e
delle relazioni sociali tout court. Aziende che assumono una rigida proce-
dura volta a controllare in modo capillare la produttività dei propri dipen-
denti, franchising che distribuiscono esattamente gli stessi prodotti e servizi
in tutto il Globo, tanto da spingere la prestigiosa rivista The Economist a
sviluppare un indice di prezzi basato sul costo del famoso Big Mac nelle
diverse aree geografiche, così da calcolarne i tassi di inflazione.

Si parla inoltre del tempo, sia in quanto concetto fondativo della nostra
civiltà, sia come rara e preziosa risorsa alla cui costante ricerca si dedi-
cano i lavoratori contemporanei, tanto i dipendenti (spesso vincolati alle
classiche otto ore lavorative) quanto i liberi professionisti, in uno spazio di
privatezza che risulta sempre più difficile da progettare e organizzare. Si analizza
l’architettura di una affascinante e misteriosa costruzione ottago-
nale del Mezzogiorno: Castel del Monte, eretto da Federico
II di Svevia, e si prosegue affrontando i temi del ritorno e della
citazione, che in questo periodo storico assumono spesso le
sembianze del vintage (declinato in vari accessori, film, gadget
o format audiovisivi) e risvegliano lo spirito di appartenenza di una
generazione, quella nata a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta,
bramosa di riconoscersi in prodotti culturali cult come gli arcade
games. Un fenomeno del tutto simile, del resto, a quello che
emerge nel momento in cui un gruppo di imprenditori campani
decide di rilevare e rivalorizzare un marchio storico dell’industria
beverage italiana: il Chin8Neri, riportandone alla luce i fasti
conosciuti a partire dagli anni Cinquanta del Novecento.

Il primo nome del chinotto

newck
pa

Oggi come ieri


è sempre Chin8Neri.
Naturalmente non poteva mancare un contributo su quel mera-
viglioso codice espressivo che ha a lungo caratterizzato l’im-
maginario privato di tante famiglie, influenzando al contempo la
poetica di cineasti sognatori e l’iniziativa di pragmatici produt-
tori: il Super8. Certi che apprezzerete le peculiarità di uno
dei “numeri magici” per eccellenza, in questa uscita abbiamo
insomma deciso di promuovere l’otto a vera e propria
cifra di lettura dei fenomeni che ci circondano, con la
speranza di ridurne (o esaltarne, a seconda dei punti di vista:
parliamo pur sempre del simbolo dell’infinito e dell’eterno
ritorno sul punto di partenza) la complessità.
profili SERGIO VINCENZO PATRIZIO
BRANCATO BERNABEI DI NICOLA
In s e g n a S o ciolo gia Laureato in Scienze In s e g n a S o ciolo gia
della Comunica zione della Comunica zione dell’Organizzazione a La
(Università di Salerno) e (La Sapienza, Roma) Sapienza e si diverte a
Sociologia dell’Industria pubblica la sua tesi dal coordinare progetti inter-
Culturale (“Federico II” di Napoli). Si occupa titolo Cinema: Evasione, strategie di fuga nel nazionali. Esperto di mercato del lavoro, nuove
di media, società e cultura di massa. Ha pubbli- più invasivo dei media con Tilapia. Titolare di tecnologie e, tra i primi in Italia, di telelavoro
cato tra gli altri: Fumetti (Datanews); Sociologie Queimada – Brand Care, dal 2008 si divide tra e Internet, fonda Futuribile srl con l’obiettivo
dell’immaginario (Carocci); Introduzione alla l’ufficio e l’Università di Salerno, dove è dotto- di produrre idee pazze e tentare di realizzarle.
Sociologia del cinema (Sossella); La città delle rando di ricerca e studia i media e la sociologia Ogni anno porta gruppi di studenti in America
luci (Carocci); Senza fine (Liguori), Il secolo del dei processi culturali. a frequentare corsi e summer school. Ha una
fumetto (Tunué). moglie e tre figli.

NADIA ALESSANDRA ELENA


RICCIO COLUCCI FRANCO
Dottore di ricerca in Scienze Laureata in Scienze M eglio not a c om e
della Comunicazione. della Comunica zione DelyMyth, da sempre
Borsista post-doc all’U- (La Sapienza, Roma) appassionata di informa-
niversità di Salerno si con una te si sul tica e tecnologia, approda
occupa dell’evoluzione dei sistemi televisivi Product Placement. Oltre a essere titolare di su Internet nel 1997 ed apre il blog nel 2003.
nella convergenza digitale, di forme narrative Queimada – Brand Care, insegna produzione Attualmente svolge attività di consulenza in
televisive, di cultura e letteratura di massa. audiovisiva, comunicazione e marketing in ambito Internet e Web 2.0 ma non dimentica
diversi master universitari. Adora cinema, mai il suo blog: http://www.delymyth.net/
design e pubblicità in qualsiasi forma.
Viaggiare, connettere e organizzare le sue
passioni. Ha un blog che porta il suo nome:
www.alessandracolucci.com.

GIACOMO DAVIDE GIOVANNI


DE BIASE BENNATO SCROFANI
Regista, Avid editor. Dal In s e g n a S o ciolo gia Giurista d’impresa presso
2002 è responsabile dei processi culturali e un primario Gruppo
della postproduzione in comunicativi (Università produttivo, si occupa di
DBvideo. Ama viaggiare, di Catania). Studioso dei aspetti normativo/conta-
ultimi reportage in Corea del Sud e Mongolia. rapporti tra innovazione e tecnologia, è consu- bili legati al mondo degli investimenti. Dedica
Vive e lavora a Pietralata (Roma) in una casa di lente aziendale di formazione, social media e il proprio tempo libero alla sua grande passione
pasoliniana memoria. strategie di ricerca sociale in ambiente web 2.0. per le nuove tecnologie. Ha collaborato con
Ricercatore per la Fondazione Einaudi (Roma), pubblicazioni per il CAFI e master per Terotec.
co-fondatore e vicepresidente di STS Italia. Fondatore del Progetto DaDaista Gilda35, ne
Scrive su: “Internet Magazine”, tecnoetica.it, cura il nonBLOG: http://jovanz74.splinder.com/
processiculturali.it, puntobeta.net.

FRANCESCA TONIA PASQUALE


PELLEGRINI BASCO NAPOLITANO
33 anni, laurea in Scienze Mi laureo in Scienze Cultore in Comunicazione
della Comunicazione, è della Comunica zione Visiva e dottorando in
responsabile marketing e con una tesi in Sistemi Scienze della Comuni-
comunicazione della new Organizzativi Complessi cazione all’Università di
media agency MEDITA. Si occupa, tra l’altro, che porta alla realizzazione di un sito dedi- Salerno, collabora con la cattedra di Disegno
di social media e web marketing, pr online, cato al telelavoro. Mentre sogno di diventare Industriale ed è curatore dei Laboratori
eventi. È assistente del Prof. Pittéri alla LUISS “cittadina romana”, vivo in un paese grazioso Didattici di Comunicazione Visiva. Artista
di Roma. È web editor e blogger free lance. Ha ma piccino piccino, consolandomi con tanti bei multimediale, performer ed esperto di design
collaborato a “La grande sorella due” di C. libri, buona musica e cari amici. Ho un figlio e comunicazione visiva, insegna in vari istituti
Sartori (2009) e “L’intensità e la distrazione” bellissimo che colora ogni giornata con un ed è cultore in Analisi dell’Opera Multimediale
di D. Pittéri (2006).. pastello diverso. (Università Orientale - Napoli).
CLAUDIO MASSIMO EMI
BIONDI CAIATI GUARDA
Entra nel mondo dello Copywriter dal 2002, Laureata in storia dell’arte
spettacolo come attore; prima per DDB Milano e contemporanea con tesi
aiuto regista in circa Saatchi & Saatchi Roma, in semiologia culturale
30 tra film, inchieste e ora in Saatchi & Saatchi su Iconicità e Ferita prima
serie TV; per oltre 20 titoli ricopre il ruolo Ginevra. Rappresentante italiano dei creativi e Riviste Italiane d’Avanguardia degli anni ‘60
di produttore esecutivo o produttore, uno under 28 a Cannes 2007, vincitore dell’Antenna dopo, ha lavorato come assistente all’orga-
su tutti I misteri della giungla nera. Autore d’Argento al Radiofestival nel 2008 e Bronzo nizzazione eventi alla Fondazione Baruchello
di diversi saggi, tra cui Come si produce un all’Art Directors Club Italia nel 2008. e fatto una breve tappa al Castello di Rivoli a
film (4 volumi, Dino Audino Editore), è ora Torino. Scrive di eventi/spettacoli e di arte su
docente di tematiche legate alla produzione Teknemedia.com. Si sostenta lavorando con
audiovisiva in numerosi master universitari. l’energia (elettrica…).
http://hstrial-cbiondi.homestead.com/

ANNA MARIA EMANUELA ALESSANDRO


CARBONE ZACCONE VITALE
Ex Marketing & Commu- La sua specialità sono
nication Manager alla i social media, l’user Titolare di DBATrade di
Yves S aint L aurent engagement e gli UGC. Bologna, si occupa da
Parfums SpA, da Lavora come community più di un decennio dello
vent’anni è consulente e formatrice in marke- manager e social media strategist, oltre ad sviluppo e della realizzazione di programma-
ting e comunicazione strategica, comunica- essere blogger ed editor della sezione Social
zione applicata al web marketing per il posi-
zione interpersonale, gestione dei conflitti e Media per NinjaMarketing.
negoziato, creazione d’impresa e business Al momento sta terminando un Dottorato zionamento nei motori di ricerca. Esperto di
planning. Per arricchire il suo bagaglio perso- di Ricerca con un progetto su audiovisivi e SEM, di SEO e DAO, è stato tra i primi a credere
nale e professionale quando non lavora studia social network marketing. Come borsista agli standard Web, applica strutture XHTML
le tradizioni spirituali e le medicine alternative. Working Capital, si occupa di ricerca anche logiche e semantiche per l’applicazione digitale
per Telecom Italia Lab.
dei contenuti in internet

NIKO
DEMASI
Lo sguardo schizzato di
Jack che chiama Danny
inseguendolo nella neve è
tra i suoi ricordi d’infanzia
più limpidi. Laureato in Comunicazione
(Sapienza, Roma), esperto di progettazione
multimediale, la voglia di “cucinare” nella
stessa pentola musica, grafica e video lo fa
diventare un motiongrapher. Il mistero dei suoni
e delle immagini è la sua passione. Da ottobre
2009 è l’art director di Queimada – Brand Care.
indice

NON È CHINOTTO, SE NON C’È L’8


26 di Alessandra Colucci
8 TECNICHE DI WEB MARKETING
42
94 PER I PROFESSIONISTI DEL SETTORE
di Alessandro Vitale

80 NOSTALGIA
14 Oggetti e umori dal passato, tra vintage ed evergreen
di Vincenzo Bernabei
DAL TEMPO AGLI INFINITI TEMPI
38 Ovvero come si è giunti a declinare il tempo al plurale
di Giacomo De Biase
WWF: “L’ORA DELLA TERRA… E OLTRE”
58 Il più grande spegnimento globale
HIGHLIGHT
VIDEO SESSANT8
64 Appunti sull’espressione all’ombra del grande numero
di Pasquale Napolitano

OTTO. TUTTO E IL CONTRARIO DI TUTTO


54 di Francesca Pellegrini
CHI SA FARE 8XMILLE?
76
44 FOCUS ON: Un creativo ha sempre bisogno di un book
di Massimo Caiati

8°8’8’’N – 8°8’8’’W
24 di Nadia Riccio
LA BIBLIOTECA DI BABELE 2.0
48 Un’altra avventura di #Gilda35
di Giovanni Scrofani
IL CINEMA A OTTO
70 Considerazioni semi-autobiografiche di un cinefilo dilettante
di Claudio Biondi
“INTEROTTIVITÀ” PER UN VIAGGIO
90 NELL’USER ENGAGEMENT
di Emanuela Zaccone
L’OTTO DEL FAST FOOD GLOBALE
18 FOCUS ON: Estratto dal Regolamento di McDonald’s
di Patrizio Di Nicola
3X8… 24 (ORE)
32 Elena Franco

BREVI CENNI DI INFINITO


44 di Davide Bennato
OTTO, UN NOME DA GUERRIGLIERO
60 di Tonia Basco
IL NUMERO OTTO NELL’ENIGMATICA SACRALITÀ
80 DI CASTEL DEL MONTE
di Emi Guarda

L’OTTAVA SEPHIRA DELL’ALBERO DELLA VITA


84 Il valore dell’empatia nell’evoluzione dell’uomo
(e nella crescita delle aziende)
FOCUS ON: Kabbalah: il sentiero dello spirito - L’albero della vita
- Il Sephirot - Hod: splendore, intelligenza assoluta e perfetta
di Anna Maria Carbone
comunicazione

Oggetti e umori dal passato,


tra vintage ed evergreen
di Vincenzo Bernabei

I
ntrattenere raccontando di altre epoche è da sempre una delle attività retoriche
più efficaci, talvolta per motivi di credibilità, dato che le storie impregnate
di esperienze condivise tendono a risultare più fondate (proprio in
quanto circostanziate), in altri casi grazie al particolare senso di fascina-
zione che la ripetizione del noto suscita in chi assiste.
La citazione, ad esempio, è un artificio coinvolgente perché parla inevitabil-
mente di noi: stimola il nostro ricordo e ci accompagna in un percorso a ritroso
in cui ci ritroviamo e ci riconosciamo, anche solo per confutarla o rifiutarla.

Vintage o evergreen?
Agli oggetti che richiamano il passato spesso attribuiamo un aggettivo, vintage,
che trae origine dal gergo enogastronomico (lat.”vindemia”, vendemmia) e sotto-
linea la natura sensoriale di questo viaggio all’indietro. Vintage è il vino d’annata,
reso più prezioso proprio dal suo processo di invecchiamento, e per estensione è
l’elemento suggestivo in quanto “millesimato”, collocato in un orizzonte temporale
specifico e tanto remoto da non poter essere più nemmeno scaduto, démodé.

Dire che un accessorio, un capo d’abbigliamento o un segno sono vintage corri-


sponde a riaccoglierli nell’alveo dell’usabilità, dell’indossabilità, dell’attualità,
riconoscendogli un attributo “magico”. In questo il vintage è diverso anche
dall’evergreen : nel primo campo collochiamo oggetti retro che a lungo
abbiamo relegato nel purgatorio del desueto, nel secondo inseriamo arti-
coli buoni per tutte le stagioni, funzionali, inossidabili ed eterni (e
per questo spesso meno preziosi, perché meno ricercati). Un Piaggio Boxer degli
anni ‘70 è senza dubbio vintage, mentre le polacchine Clarks sono un evergreen;
la Polaroid 35mm, l’Olivetti Lettera 32 progettata da Marcello Nizzoli, l’insegna di
latta litografata del gelato Mottarello e il Chin8 Neri (cfr. più adulto e un adulto anziano (fino a tutto il Medioevo e alla
avanti l’articolo dedicato) sono vintage; il Campari, la Coca prima Modernità l’infanzia e la senescenza spettavano soli-
Cola, l’agenda Moleskine, i blue-jeans e l’Aluminum Chair tamente a pochi fortunati).
di Charles Ray Eames sono decisamente degli evergreen.
(Chi scrive nutre qualche dubbio sulle All-Star Converse di Tralasciando ulteriori considerazioni sull’accelerazione dei
Ritorno al futuro, per la cui esatta collocazione servirebbe la transiti generazionali, fenomeno tipico de nostro tempo, non
consulenza di un esperto: sono mai “passate di moda” prima occorrono particolari esercizi di metodo per richiamare alla
di comparire ai piedi dei “nostri” teen-agers?). memoria un baffuto Gianni Minà che, nella pienezza del
mood colorato e cotonato degli anni Ottanta rievocava i fasti
Certo, c’è vintage e vintage, evergreen ed evergreen. Il dei “Favolosi Anni Sessanta”; né per ricordare un giovane
romanzo storico, i film-peplum o i grandi classici della Fabio Fazio che, insieme a Claudio Baglioni e a quegli
musica e del teatro sono riferimenti di tipo universale, instancabili simulacri viventi che erano – e sono – i Cugini
“ontogenetico”, perché parlano di Storia, di sfondi di Campagna, ripercorreva entusiasta la sua adolescenza
fissati, immutabili; mentre la minigonna, le spalline, i “seventy” in Anima mia (1997).
remake come La cosa di John Carpenter e La guerra dei
mondi di Steven Spielberg, ma anche i recenti spot della Seguendo questa logica dovrebbe essere il momento di
Barilla musicati con i grandi successi italiani reinterpretati celebrare in un grande, catartico (quanto meno perché serve
da Mina si riferiscono a storie di consumo, a trame ad anestetizzare gli effetti indesiderati del tempo che passa)
“filogenetiche”, generazionali, vissute e riportate rito collettivo il Decennio 1980, e difatti da ormai qualche
consapevolmente alla luce per una comunità di fruitori. anno l’industria culturale non smette di sfornare riferimenti,
citazioni, remake, gadget, format, speciali, blog, forum e
Vent’anni dopo tanto altro sull’epoca in cui milioni di bambini, di fatto,
Se i classici sono per definizione senza tempo, qual è il scoprirono il pop, soprattutto attraverso l’esordio e
“tempo medio” in cui i fenomeni citazionistici vengono l’affermazione delle tv commerciali. Stilare un elenco
elaborati rispetto ai loro referenti originari? Naturalmente soddisfacente di esempi sarebbe impossibile, ma la rievo-
non c’è una regola, ma in accordo con Dumas padre e con il cazione di alcuni prodotti dell’epoca [http://bit.ly/exXO6S]
suo Vent’anni dopo, in cui si riprende il filo del discorso sulle fa letteralmente eccitare i trentenni di oggi. Memorabili le
vite di D’Artagnan, Athos, Porthos e Aramis dopo la morte del serie tv come Supercar, Hazzard, A-Team, Arnold, I Robinson,
Cardinale Richelieu e l’ascesa al trono del Re Sole, potremmo Saranno famosi, Charlie’s angels, Miami Vice e Magnum P.I.;
sbilanciarci affermando che nella cultura moderna gli oggetti e i giocattoli (ora) di culto come il Super Santos, le
occorrono almeno un paio di decenni affinché le Micro Machines, Forza 4, i timbri di Poochie, il Crystal Ball,
storie, i temi e le simbologie si sedimentino dive- l’orologio Casio con calcolatrice incorporata; la sterminata
nendo “vintage”. In altri termini, occorre un intervallo offerta di cartoni animati, dai “robottoni” con capostipite
compatibile con un passaggio di stato, in cui ragionevol- Mazinga Z (Daitarn, Vultus V, Jeeg Robot d’acciaio, Goldrake)
mente un bimbo ha il tempo di diventare ragazzo, un ragazzo agli altri giapponesi, quali Calendar Men, Candy Candy,

© Queimada Brand Care


comunicazione

© Flickr-by Loren Javier


© Flickr-by Hachimaki

Capitan Harlock, Forza Sugar, Gigi la trottola, Holly e Benji, quale fosse la top ten dei giocatori virtuosi e indirettamente
Lamù...[http://bit.ly/h2EyNq]. potevano misurarsi con loro.

Insert coin I videogiochi da sala iniziarono a diventare “uffi-


Qualche considerazione a parte meritano quei fenomenali cialmente” vintage nel 2001, quando fu rilasciata la
prodotti tecnologici che esordirono nei luoghi pubblici alla prima versione del MAME (Multiple Arcade Machine
fine degli anni Settanta, e che presero il nome di arcade Emulator) Windows-based. Il MAME permette ai pc (e
games, perché senza dubbio in termini di linguaggio ora anche ai tablet) di emulare le vecchie tecnologie
essi rappresentarono la vera svolta per i giovani arcade, che consistevano in una scheda a circuiti elettronici
e i giovanissimi di allora. Sotto il profilo culturale gli su cui erano memorizzate tutte le informazioni riguardanti
arcade costituirono il vero e proprio spartiacque tra un game. Tale scheda veniva montata nel tipico chassi ad
l’epoca analogica e quella digitale. Infatti da un lato si arco, che era dotato di comandi solitamente molto resistenti
inserirono nel solco di un consumo di massa già collaudato, e spartani (quasi sempre due o tre pulsanti e un joystick per
fatto di dispositivi meccanici o elettromeccanici – il calcio postazione). Tramite la trasposizione in files ottenuta attra-
balilla, il biliardo, il flipper stesso, il juke-box – che popola- verso il MAME da circa dieci anni è possibile ri-giocare i
vano da tempo bar e sale ricreative; dall’altro introdussero prodotti degli anni Ottanta, simulando con un semplice tasto
una pratica ludica inedita e gettarono le basi per quella l’inserimento delle monete (il fastidiosissimo “Insert coin”) e
estrema individualizzazione del divertimento che in seguito conferendo alle comuni tastiere o al touch screen la funzione
ritroveremo coi pc, le console e gli smartphone. Tra le carat- di controller.
teristiche dei media digitali, insomma, siamo giustamente
abituati a inserire la tendenza alla fruizione personalizzata Visto che negli ultimi anni l’estetica vintage è particolar-
e, conseguentemente, della virtualizzazione dei rapporti tra mente diffusa (come a dire che è di moda “tornare di moda”)
gli utenti. Nel caso degli arcade non fu propriamente così. al MAME si sono aggiunte varie altre tipologie di rivisita-
zione dei giochi arcade: gadgettistica, fandom legate a
Le sale giochi degli anni Ottanta erano ancora dei singoli titoli o a stili di gioco e communities tema-
luoghi di socializzazione diretta, face to face, in cui tiche sono all’ordine del giorno sul web. Da segnalare
i giocatori intrattenevano relazioni e scambi immediati. Le persino un progetto di arte contemporanea concepito
sfide erano in presenza (a turno o in modalità multiplayer) sull’idea del modernariato digitale, coordinato dal
e talvolta per conquistarsi il diritto a una partita ai giochi franco-svizzero Guillaume Reymond. Reymond ha
più – è il caso di dirlo – gettonati bisognava attendere ore curato delle performance riprese in stop-motion in cui degli
affrontando file chilometriche o, ahimè, dando la precedenza individui in carne e ossa danno vita al remake di famosissimi
ai più grandi. Le prime forme di competizione in remoto games come Pac-Man, Tetris, Pole Position, Space Invaders
rese possibili dagli arcade games consistevano al più nel e Pong. Non sempre si emula il linguaggio digitale arcaico
lasciare le propria sigla (di solito di tre caratteri) alla fine di attraverso tecnologie digitali più complesse. In certi casi per
una partita nel caso si totalizzasse un punteggio rilevante: in ottenere l’effetto pixelato è sufficiente un apparato analogico:
questo modo gli avventori successivi sapevano esattamente il corpo umano [http://bit.ly/fuqhp2].
business

1.
di Patrizio Di Nicola

Qualche anno fa, vicino Los Angeles, entrai in un locale di una


famosa catena di fast food, e la mia attenzione fu colpita da un
ragazzo – in perfetta uniforme – che puliva in terra. Armato
di scopettone e strofinaccio bagnato, cercava di sistemare una
zona del ristorante reduce di una animata festa di compleanno
di bambini. Per farlo si muoveva tra i tavolini disegnando in
terra degli ampi otto, facendo oscillare il bastone a destra e
sinistra con un movimento aggraziato e veloce. Sembrava, più
che pulire, che stesse danzando con una partner immaginaria.
In una pausa del lavoro chiesi al giovane dove avesse imparato a usare lo scopet-
tone in quel modo. La risposta fu semplice: nel “ manuale operativo” destinato ai
dipendenti della catena di fast food. In quel locale (e in tutti gli altri esistenti nel
mondo) le pulizie si facevano soltanto in quel modo, in quanto così si mascherava
la fatica del lavoro: doveva sembrare che le persone si divertissero a passar lo
straccio in terra, impegnati in una sorta di balletto. Indeciso se chi avesse avuto tale
pensata fosse un genio o un diavolo, decisi di approfondire la questione, studiando
meglio i sistemi organizzativi della ristorazione veloce.
2. fa la prestigiosa rivista The Economist, che ha sviluppato l’in-
Ogni giorno un americano su quattro mangia in un dice Big Mac: la comparazione tra i prezzi del famoso panino
fast food, consumando tre hamburger e quattro in varie nazioni può essere usata per calcolare perfettamente
porzioni di patatine fritte la settimana. La McDonald’s le differenze di potere d’acquisto.
Corporation è diventata un simbolo dell’economia americana
dei servizi, dove sono stati creati il 90% dei nuovi posti di Per ironia della sorte, un’industria così conformista è stata
lavoro dell’ultimo decennio. L’azienda dell’Arco Dorato nel fondata da iconoclasti self-made man, imprenditori decisi a
1968 aveva un migliaio di ristoranti; oggi ne ha trentamila sfidare il pensiero convenzionale. Pochi tra coloro che hanno
e ne apriva, prima della crisi, duemila nuovi ogni anno. È il costruito gli imperi del fast food hanno studiato all’università
brand più conosciuto al mondo, anche più della Coca Cola: o hanno ottenuto un Master. Hanno invece lavorato sodo,
il 96% degli adulti e dei bambini lo conosce. seguendo la propria strada in maniera spesso anarchica.
Per molti aspetti, l’industria del fast food incarna il
L’eccezionale successo dell’industria del fast food ha inco- meglio e il peggio del capitalismo americano: da
raggiato altre industrie ad adottare metodi produttivi simili; una parte, il flusso creativo e costante di nuovi
ne è derivata la “macdonaldizzazione della vita degli prodotti e innovazioni, e dall’altra, la standardiz-
individui”, la distruzione di milioni di piccole aziende, zazione di un mondo da rappresentare e costruire a
l’azzeramento delle differenze locali nei gusti e nei consumi. propria misura, con un crescente divario tra ricchi
Negozi, ristoranti e bar sempre identici si sono sparsi per il manager e lavoratori poveri. L’industrializzazione della
mondo come un virus. I franchising puntano a offrire cucina ha infatti consentito a catene di ristoranti come
esattamente gli stessi prodotti e servizi in luoghi McDonald’s di utilizzare forza lavoro a basso costo e non
diversi, tanto che sul costo di un hamburger si può facil- specializzata, occupando la maggioranza dei lavoratori con
mente calcolare il costo della vita e anche l’inflazione, come contratti a termine e a tempo parziale, senza benefit ed
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business

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esercitando uno scarso controllo sul luogo di lavoro. Chi Così i due fratelli decisero di apportare profonde modifiche
lavora in queste aziende se ne va dopo qualche mese e passa al loro business.
da un impiego all’altro. L’industria della ristorazione attual-
mente è il maggior datore di lavoro privato in America e i Anzitutto licenziarono tutti i dipendenti e chiusero il
salari che paga sono tra i più bassi. ristorante per tre mesi, introducendo un modo radi-
calmente nuovo di preparare il cibo, progettato per
3. aumentare la velocità, ridurre i prezzi e aumentare
Richard “Dick” e Maurice “Mac” McDonald’s le vendite. I due terzi dei piatti del vecchio menu venne
si erano trasferiti nella California del sud all’i- eliminato mettendo al bando tutto ciò che doveva essere
nizio della grande depressione nella speranza di mangiato con le posate e che richiedesse un piatto. La prepa-
trovare lavoro. Avevano dapprima aperto un chiosco razione del cibo fu suddiviso, sull’esempio della catena di
di hot dog; poi nel maggio del 1940, inaugurarono montaggio adottata nelle industrie automobilistiche, in molte
a San Bernardino il McDonald’s Brothers Burger mansioni eseguite da lavoratori diversi. In base a questa
Bar Drive-in, ove vendevano, per soli 15 centesimi, delle nuova organizzazione del lavoro, ogni dipendente doveva
polpette cotte ai ferri. Gli affari crescevano velocemente, imparare soltanto un’operazione, e non erano più necessari
ma alla fine degli anni ’40 i McDonald decidono di ristruttu- costosi cuochi specializzati nella cottura rapida dei cibi. Tutti
rare completamente l’azienda: bisognava infatti risolvere il gli hamburger (che erano ormai il piatto quasi unico) veni-
problema dell’alto turn-over del personale; cuochi e vano serviti con i medesimi condimenti.
camerieri, non appena diventavano esperti, se ne andavano
alla ricerca di ristoranti che pagassero di più. E il numero di Anche l’estetica del ristorante dei fratelli McDonald
piatti e bicchieri che i giovani inservienti (e anche i era rivoluzionaria. Richard progettò un nuovo edificio
giovani clienti) rompevano aumentava in continuazione. che doveva rendere il ristorante ben visibile dalla strada:

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business
sui lati del tetto posizionò due archi dorati illuminati al è quasi sconosciuta. Di ciò è complice sia il continuo
neon, che visti da lontano formavano la lettera M. Nel giro ricambio di manodopera, l’impiego part time e lo status
di qualche mese, man mano che si diffondeva la voce dei sociale marginale dei dipendenti, ma anche l’impegno con
prezzi convenienti e dei buoni hamburger, il nuovo ristorante cui le catene di fast food hanno combattuto i sindacati.
divenne un successo. A questo punto bisognava allargare la
clientela e aprire nuovi punti vendita, utilizzando un sistema La McDonald’s Corporation insiste affinché i suoi
di franchising ideato da Ray Kroc, un venditore di frullatori affiliati seguano direttive centralizzate in materia
professionali che nel 1955 entrò in società con i due fratelli di preparazione degli alimenti, acquisti, design
McDonald’s. del locale, e innumerevoli altri dettagli (vedi box).
Le specifiche aziendali riguardano qualsiasi cosa, dalle
4. dimensioni delle fette di cetriolo alla circonferenza dei
L’introduzione della divisione del lavoro nella ristorazione si bicchieri di carta. In materia di salari, invece, l’azienda è
deve ai McDonald’s, ma fu il dirigente aziendale Fred notevolmente deregolata, e consente ai gestori dei singoli
Turner a creare il sistema di produzione mac-taylor- ristoranti sparsi nel mondo di fissare gli stipendi a seconda
fordista. Nel 1958 scrisse per la compagnia un manuale del mercato locale del lavoro, spesso senza contratta-
di settantacinque pagine dove si spiegava come svolgere zione con il sindacato. Tra gli anni ’60 e ’70 i lavoratori dei
qualsiasi mansione. Gli hamburger dovevano essere messi McDonald’s negli Stati Uniti tentarono di sindacalizzarsi, ma
sul grill sempre in sei file precise; le patatine dovevano con poco successo: l’azienda fece di tutto per tenere fuori
avere sempre uno spessore di sei millimetri. Oggi il manuale i sindacati dai suoi ristoranti, sia con premi e adulazioni,
operativo ha moltiplicato il numero delle pagine e pesa quasi sia con minacce e licenziamenti. Nel 1973 a San Francisco,
due chili, contiene istruzioni precise su come vanno usate nel mezzo di una vertenza sindacale, un gruppo di giovani
le varie apparecchiature, sull’aspetto che deve avere ogni dipendenti di un fast food affermò di essere stato costretto
prodotto del menu, su come i dipendenti debbano accogliere dai manager a sottoporsi al test della verità e a diversi inter-
i clienti e come abbiamo visto anche su come si passa lo rogatori a proposito delle loro attività sindacali. Negli anni
strofinaccio in terra. più recenti le cosa sono un po’ cambiate, ma non sempre in
meglio: nel 2007 ad esempio la Filcams di Roma proclamò
La cucina di McDonald’s è sempre piena di cica- uno sciopero per protestare contro il licenziamento di un suo
lini e luci lampeggianti che dicono ai dipendenti delegato; il quell’occasione il sindacato lamentò il pessimo
cosa bisogna fare, in una sorta di script da operatore di “clima dei rapporti tra direzione e rappresentanti sindacali e
call center. Al banco i registratori di cassa computerizzati in generale con tutti i lavoratori che pongono delle questioni”.
comandano l’operatore. Ricevuta l’ordinazione si accendono
alcuni pulsanti che suggeriscono quali altre voci del menu Il Big Mac, quindi, rischia di rimanere un piatto indigesto
potrebbero essere aggiunte. Chi lavora al banco deve cercare per chi ci lavora.
di aumentare le vendite consigliando le offerte speciali, invi-
tando a prendere il dessert, suggerendo che è più conve-
niente acquistare una bevanda di grande dimensione. Mentre Per approfondire
fa ciò il dipendente deve essere allegro e cordiale. “Salutate »» E.Schlosser, Fast Food Nation,il lato oscuro del
con un sorriso e date una prima impressione positiva” cheeseburger globale, il Saggiatore, Milano 2008.
suggerisce un manuale di addestramento di un fast food. »» George Ritzer, Il mondo alla McDonald’s, Bologna,
“Mostrate che siete felici di vederli; mentre salutate affabil- Il Mulino, 1997.
mente il cliente, guardatelo negli occhi”. Il rigido inquadra- »» E. Reiter, Out of the Frying Pan and Into the Fryer: A
mento crea prodotti standardizzati, aumenta il rendimento study of the organization of work in the fast food industry,
e dà alle aziende un enorme potere sui propri dipendenti. Montreal, McGill- Queen’s University Press, 1991
Ogni lavoratore può essere sostituito con estrema facilità, e »» FILCAMS-Cgil - Federazione lavoratori commercio turismo
da anni il grosso della forza lavoro è composta di teenager servizi, Ufficio Stampa, Comunicato del 28/6/2007.
e studenti.

5.
Ester Reiter, dell’università canadese di York, sostiene che
nei lavoratori dei fast food la qualità più apprezzata
è l’obbedienza. A differenza che in altre industrie della
produzione di massa governate dalla catena di montaggio,
dove i sindacati hanno ottenuto salari più alti e migliori
condizioni di lavoro, nei fast food l’organizzazione sindacale
Estratto dal Regolamento di McDonald’s (dal sito http://www.filcams.cgil.it)
[...] L’uniforme dovrà essere indossata solo in servizio e dovrà essere pulita e in ordine. La pulizia delle
uniformi sarà cura e spese del dipendente. Fa parte dell’uniforme la targhetta indicante il nome del dipendente.
La mancanza di tale accessorio fa incorrere il dipendente in una contestazione disciplinare. In caso di cessa-
zione del rapporto di lavoro tutti i capi che compongono l’uniforme dovranno essere restituiti alla Direzione
e nel caso di smarrimento, sarà addebitato al dipendente il costo dei capi mancanti. I dipendenti dovranno
usare scarpe fornite da loro stessi. Esse dovranno essere di colore scuro, lucidabili, a tacco basso e munite
di suola antisdrucciolo. È vietato l’uso di scarpe da tennis. L’inosservanza di tali disposizioni comporta una
contestazione disciplinare.

Al fine di garantire la sicurezza di tutti i dipendenti, ed in ottemperanza alle norme sull’igiene, durante la
propria attività lavorativa il personale in servizio non potrà portare anelli, orecchini pendenti, collane vistose
o di grandezza inusuale. La Direzione non accetterà la prestazione da parte di quei lavoratori che si presen-
tassero al lavoro con il viso non rasato, la divisa sporca, scarpe non regolamentari, aspetto trasandato e,
comunque, non conforme al decoro e all’immagine degli esercizi McDonald’s. Le infrazioni alle disposizioni
del presente articolo saranno oggetto di contestazione disciplinare.

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tecnologie e web

8
di Nadia Riccio
°8’8’’N – 8°8’8’’W
Questa stringa di cifre (oltre ad essere un pretesto edito-
riale) è un luogo. È un’area montuosa e disabitata, senza
traccia apparente d’attività umana, in Guinea, verso il
confine con la Costa d’Avorio. Un luogo che solo trent’anni
fa non avremmo esitato a definire “sperduto”, per raggiungere il
quale avremmo dovuto avanzare dotati di bussola e carta geogra-
fica, col rischio di perdersi in agguato…
Oggi chiunque sia dotato di un terminale connesso
può ottenere facilmente varie vedute di questo luogo,
a distanze diverse, finanche dallo spazio. Eppure questo tipo di immagini, con cui
interagiamo familiarmente, è il frutto di una incredibile sedimentazione tecnologica
che, dall’invenzione della fotografia a quella degli aeroplani, passando poi per
veicoli spaziali, satelliti e reti digitali, rende oggi possibile una forma di esplo-
razione degli spazi fisici radicalmente nuova. La novità tecnologica porta
con sé mutamenti decisivi a livello sociale, cognitivo, antropologico.

La nostra nozione di spazio, e l’esplorazione di esso, in precedenza


erano fortemente segnate dal dato della presenza fisica. I luoghi erano
primariamente attraversati, percorsi da uno sguardo “in soggettiva”, nella durata
di un tempo proporzionalmente lungo.
La prima straordinaria possibilità di tele-presenza (presenza nella distanza)
offerta dalla riproduzione fotografica non eliminava la priorità del punto di vista,
non prescindeva dalla specificità di un occhio che, attraverso l’apparecchiatura
tecnica, guardava. Anche più tardi, nel caso della fotografia aerea dei luoghi, non
andava perso il carattere umano dell’esperienza del vedere, del sorvolare. In buona
misura potremmo considerare queste forme di visione intrinsecamente analogiche,
© Google Maps
ben aldilà degli aspetti tecnologici della loro realizzazione: vista difficilmente realizzabile per qualsiasi automobilista.
la corrispondenza tra i luoghi e le loro immagini era infatti Le apparecchiature satellitari svolgono un ruolo fondamen-
garantita dallo sguardo osservante. tale nella nostra percezione dello spazio. Se, da un lato,
è possibile osservare che alla posizione dell’osser-
Oggi le straordinarie navigazioni degli strumenti digi- vante si sostituisce la funzione della telepresenza,
tali intervengono ad alterare la nostra cognizione dello dall’altro è evidente che, a partire dalla diffusione dei tele-
spazio. Sempre più spesso alla rappresentazione frontale foni cellulari, la presenza è diventata sempre più una
della visione in prossimità si sostituisce l’orizzontalità questione di reperibilità. Il nostro dislocarci è funzione
della mappa. Alle rappresentazioni spaziali definite della rete che ci individua. La divisione dello spazio in celle
route (ovvero “entro il percorso”) si sostituiscono operata dalle comunicazioni satellitari ha un’altra importante
rappresentazioni survey (“dall’alto”) e numerosi implicazione: in base ad essa lo spazio non è più perce-
studi di psicologia mettono in evidenza le relazioni pito come un continuum ma è soggetto a frammen-
che sussistono tra le forme di rappresentazione tazioni e a salti. Siamo davvero di fronte ad uno spazio
spaziale e le strategie d’azione che gli individui digitalizzato, scomposto in unità minime, tecnologicamente
realizzano . codificato.
Conosciamo i luoghi per mezzo di apparecchiature che ci
offrono punti di vista “impossibili”, movimenti dello sguardo Volendo individuare un’origine dei processi in atto nella
illimitati. Gli spazi restituiti dalle nuove tecnologie sono in diffusione dei media elettrici potremmo sostenere che,
genere degli spazi aumentati, poiché la mappa (in realtà in una prima fase, lo spazio fisico si è ripiegato su
qualsiasi mappa) è sempre carica di informazioni che vanno stesso: l’accorciamento delle distanze (ma anche il loro
a sovrapporsi e a modificare il territorio descritto; la bidi- dilatarsi, in casi estremi) prodotto dalle tecnologie telema-
mensionalità grafica cela la multidimensionalità tiche ha dato vita ad inattese topologie, portando a zero i
semantica. tempi di attraversamento (condizione sulla quale ha ampia-
mente riflettuto Virilio). Oggi la presenza, l’esserci nella
Le applicazioni che intervengono a modificare le nostre sua complessità si configura come esperienza pienamente
percezioni spaziali sono innumerevoli. Un servizio accessi- e inevitabilmente tecnologica.
bile e intuitivo come Google maps consente di far comba- Non solo le bussole digitali orientano il nostro movimento, sia
ciare foto satellitari e indicazioni stradali, aggiungendo fisico che virtuale, ma noi stessi, oltre ad agire a distanza
eventualmente riferimenti commerciali, per poi precipitarsi negli innumerevoli modi possibili, ci sentiamo
all’interno di una zoomata fin sui marciapiedi delle città spinti a ratificare tecnologicamente anche la nostra
per una passeggiata virtuale… presenza fisica, la nostra azione nei luoghi (pensiamo al
Negli ormai diffusissimi navigatori satellitari invece la compulsivo aggiornamento degli status sulle piattaforme dei
prospettiva di visualizzazione del percorso presenta un’an- social network o alla dimensione solo apparentemente ludica
golazione di circa 45° rispetto al fondo stradale, punto di di applicazioni come Foursquare o Places di Facebook ).
marketing

I
di Alessandra Colucci
mpossibile dedicare un’uscita di Brand Care magazine al numero 8 senza
parlare della marca che lo “incorona”, Chin8Neri: un marchio elegante
nella sua semplicità che mette in risalto l’8 sin dall’inizio della
sua storia ponendolo in rilievo sulle bottiglie in vetro da 20 cl. della famosa
bevanda e dando vita a un brand storico del Made in Italy.
Ma andiamo con ordine...

Cos’è il Chin8? Un agrume


Sulle origini del chinotto non c’è una versione ufficiale: c’è chi dice che
deve il suo nome alla Cina, sua terra “natale”, dalla quale venne importato
tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600 da un livornese o savonese; c’è chi
lo vede originario del Mar Mediterraneo a seguito di una mutazione
gemmaria dell’arancio amaro, anche perché attualmente non v’è notizia di
alcun “avvistamento” di chinotti nei Paesi asiatici, ma solo in Liguria, Toscana,
Sicilia, Calabria e, in qualche raro punto della Costa Azzurra francese.
Quel che è certo è che il Citrus Myrtifolia, per gli amici chinotto, ha
l’aspetto di un alberello che può raggiungere al massimo i 2 o 3
metri di altezza, senza spine (contrariamente agli altri citrus), con pochi
rami carichi di foglie piccole, folte e scure che ricordano quelle del mirto
(da qui il nome latino myrtifolia).
Quando la pianta fiorisce si riempie di candidi fiori molto

© Chin8Neri
profumati simili alle zagare del limone o ai fiori d’arancio.
I frutti del chinotto sono simili a quelli del mandarino per
forma, dimensioni e colore, crescono a grappolo e matu-
rano intorno a metà giugno, ma pare che possano rima-
nere attaccati al ramo anche per due anni. I chinotti sono
famosi per il loro succo amaro e acido che fa ritenere ad
alcuni che non siano commestibili.

Cosa si fa con il Chin8?


Se pensiamo al chinotto solitamente pensiamo a una
bevanda gassata, ma durante la mia ricerca ho scoperto
che tutte le parti della pianta possono essere
utilizzate in modi diversi: facendo bollire due grammi
di fiori di chinotto essiccati in un litro d’acqua per 10 minuti
e aggiungendo un po’ di miele per dolcificare il tutto pare
si ottenga un ottimo rimedio per l’insonnia; versando
dell’acqua calda sulle foglie essiccate e lasciando ripo-
sare l’infuso per alcuni minuti sembra invece si possa
creare, dopo averlo reso “bevibile” aggiungendo miele
o zucchero, un buon digestivo da consumare appena
dopo i pasti; lasciando macerare in cento grammi di
vino bianco tre grammi di scorza di chinotto essiccata,
filtrando e servendo il risultato fresco di frigo, qualcuno
dice si possa assaporare un originale aperitivo per
stimolare l’appetito dei commensali.

© Wikimedia.org
marketing
Il primo utilizzo del chinotto, però, pare sia presenti anche in Italia dal dopoguerra, ma
stato come dolce: i frutti venivano scelse per il suo prodotto un sapore
messi in salamoia e venduti originale, quello del particolare
in mastelli di legno pronti agrume per l’appunto.
per essere canditi. Con
l’affermarsi di una Nacque così il Chin8Neri
vera e propria indu- e venne commercia-
stria per trattare tale lizzato in maniera
agrume sulla riviera del tutto innova-
di ponente tra ‘800 e tiva incontrando sin
‘900, dai fiori, dalle da subito i favori del
scorze e dalle foglie pubblico: distribuito
si iniziò a estrarre in una bottiglietta
anche un olio usato di vetro che non
in profumeria e, nel presentava etichetta
1932 la San Pellegrino pare affinché mostrasse intera-
sia stata la prima azienda a mente il liquido scuro che conte-
trasformare l’agrume dal gusto neva, era contraddistinto dalla
amarognolo in bevanda. © scritta “Chin” seguita da un grosso
C hin
8Ner “8” in rilievo sul vetro. Il lancio della nuova
i
Il brand storico del Chin8: Neri bevanda venne supportato da una campagna di pubblicità
I fasti del chinotto in forma di bibita li dobbiamo però a Pietro dinamica: bellissime automobili americane – Cadillac,
Neri che, appena trentenne, nel 1949 decise di fondare Chrysler e Plymounth – sovrastate da enormi riproduzioni
un’azienda a Capranica (in provincia di Viterbo) per 3D in plastica delle bottiglie di Chin8Neri solcavano le strade
produrre una bevanda dissetante che somigliasse delle città italiane. Il successo fu tale che al Chin8 seguirono
per colore alle bevande Made in USA (leggi Coca Cola) immediatamente l’Aranciosa, la Gassosa e il Limoncedro.

© Chin8Neri
Quando non c’era ancora la televisione in Italia, il cinema, settore (già produttori in Italia di Pepsi Cola e altre bevande)
la radio, i manifesti e gli altoparlanti urlavano lo slogan che che si ripromettevano, ricominciando ad investire, di riper-
appoggiava tutti i prodotti dell’azienda “Se bevi Neri, Ne correre le glorie del passato, forti della tradizione di qualità
ribevi”, frase di grande effetto e suggestione che i consu- che ancora persisteva (e persiste) nel vissuto dei consuma-
matori iniziarono a utilizzare e a scambiarsi l’un l’altro come tori e continuando a mantenere il Chin8Neri completamente
un innovativo “cin-cin”. Made in Italy, cioè prodotto esclusivamente con sostanze
Con l’avvento della TV i quattro prodotti vennero presentati provenienti dal territorio nazionale.
tutti insieme all’interno di Carosello, famigerato contenitore
pubblicitario di quel periodo, con lo spot che lanciò un altro La ricetta e la filiera produttiva di Chin8Neri
claim che ha fatto la storia (e anche il titolo di questo articolo) A quanto pare i nuovi proprietari del marchio e dello stabi-
“Non è Chinotto, se non c’è l’8” [http://bit.ly/5v73k]. limento di Capranica non hanno voluto variare la ricetta
“Classiche” scene di italiani, adulti e bambini, ritratti originaria dell’analcolico scuro, frizzante e amarognolo. “La
durante i propri momenti di relax – in piscina, al mare, in ricetta è la stessa di allora – garantisce Vincenzo Franchini
feste danzanti, in campagna – mentre bevono le bibite Neri, – con acqua, zucchero, anidride carbonica, estratto
il tutto condito dalla presenza di tre finti uomini di colore e del frutto del chinotto, aromi. […] Non è una bevanda
da un’orecchiabile canzoncina. “colorata” densa di aromi ma un estratto di chinotto, frutto che
Fu così che il Chin8Neri conseguì, dal dopoguerra e per tutti appartiene alla famiglia degli agrumi originario della Cina ma
gli anni ‘50 e ‘60, una grandiosa notorietà e diffusione lungo ancora oggi coltivato anche in Italia, nella zona di Savona in
tutto lo Stivale, facendosi beffa del suo principale concor- Liguria – dove è Presidio Slow Food dal 2004 – e in Sicilia”
rente – nonché precursore – San Pellegrino. [fonte nuovoconsumo.it]

Successivamente la corona Neri perse la sua lucentezza, Leggendo qui e là scopro su nuovoconsumo.it anche come
soprattutto per la mancanza di investimenti industriali, sino viene prodotto il Chin8Neri. Cito:
a quando, nel 2000, l’azienda, il marchio e lo stabili- Tra tini, torchi e alambicchi si snoda il lungo processo di
mento di produzione vennero rilevati da un gruppo produzione del chinotto. A cominciare dall’estrazione per
di imprenditori campani dotati di notevole know-how del infusione in soluzione idroalcolica del frutto proveniente

© Chin8Neri
marketing
© Chin8Neri

dalla riviera ligure (presidio di Savona) e delle erbe offici- agitazione ad elica che mantengono l’omogeneità del semi-
nali rabarbaro, genziana, china, cannella, chiodi di garofano, preparato prima che venga miscelato ad acqua trattata e
arancio dolce e amaro, quassio, timo, tamarindo in appositi gassata e infine imbottigliato. Di certo non mancano i controlli
tini. Dopo lunga miscelazione si procede al recupero della di qualità, igiene e sicurezza. [...]
parte liquida dai tini, mentre le erbe, sempre per recupe- Un processo produttivo completamente automa-
rare il liquido, vengono pressate in torchi idraulici simili tizzato che avviene ancora all’interno dello storico
a quelli utilizzati per spremere l’uva o distillate a bassa stabilimento di Capranica (VT) – dove il Chinotto
pressione in veri e propri alambicchi. Neri è nato nel 1949 – sotto la supervisione di una
Si lascia poi decantare il liquido recuperato, si filtra e s’im- dozzina di dipendenti, se si escludono gli stagionali, che
merge, con gli altri ingredienti, in una soluzione neutra di tengono costantemente sotto controllo la produzione di una
acqua e zucchero per ottenere lo sciroppo. “Lo zucchero è il delle bevande analcoliche di maggior seguito tra le giovani
tradizionale saccarosio, non utilizziamo dolcificanti sintetici, generazioni degli Anni Cinquanta-Sessanta.
né conservanti”, puntualizza Enzo Fabbrizi, responsabile di
produzione del Chinotto Neri. Lo sciroppo viene poi sotto- Il brand Chin8Neri
posto al trattamento termico della “flashpastorizzazione” Dopo aver tentato, per qualche anno, di rilanciare il
tramite innalzamento della temperatura fino a 90° C per 45 Chin8Neri con un nuovo marchio che metteva in risalto,
secondi seguito da repentino raffreddamento fino a circa 20 oltre all’8 anche il frutto a cui la bibita deve il suo sapore
gradi centigradi; una doccia scozzese che assicura il neces- amaricante, nel 2010, anche Chin8Neri non ha saputo
sario abbattimento microbiologico. Il concentrato pastorizzato resistere al richiamo del vintage e del heritage
o sciroppo finito è, infine, stoccato in serbatoi provvisti di marketing che già aveva colpito numerose aziende italiane,
così la bevanda gassata preferita dai giovani degli anni ‘50 Un vero peccato perché si potrebbe veramente rendere
e ‘60, torna al suo marchio originario, ovviamente la storia del brand elemento centrale della sua
sapientemente reso più moderno e accattivante comunicazione traendone enormi vantaggi in
grazie a un restyling: termini di riconoscibilità, visibilità e fidelizza-
“Abbiamo fatto un restyling del marchio nel rispetto di quello zione. Per fare un piccolo esempio, si potrebbe costruire
originario, un po’ come ha fatto Vespa – spiega Massimiliano un archivio di materiale storico da cui gli appassionati del
Maione che si occupa dello sviluppo del brand. La ricetta prodotto possano attingere immagini storiche, video e
del chinotto è quella di un tempo, l’immagine è rinnovata, per podcast dei vecchi jingle, basterebbe costruire e ricostruire
andare incontro a un pubblico giovane, sempre più attratto in maniera coerente e strutturata la narrazione delle vicende
dallo stile vintage” [fonte gamberorosso.it] di questo tanto amato prodotto e della sua casa produttrice.
“Abbiamo affidato il restyling della linea a una nota agenzia
di design che ha riproposto il nuovo marchio, sobrio e raffi- Soprattutto in un periodo di crisi economica e valoriale
nato con la scritta giallo oro sullo sfondo scuro della bibita – come quello che molti soggetti di mercato stanno attual-
spiega Vincenzo Franchini, direttore commerciale di IBG SpA mente attraversando, questo approccio al marketing pare
– riappropriandosi dell’immagine storica con l’otto e la corona stia avendo notevole successo dato che offre alle aziende
che identificava il prodotto negli anni Cinquanta-Sessanta” come Chin8Neri la possibilità di: far riferimento a periodo
[fonte nuovoconsumo.it] storico più positivo per loro; “significare” forza, tenacia,
A quanto pare se una cosa funziona è meglio non abilità nel superare le difficoltà; garantire qualità e originalità
cambiarla: c’è l’8 bene in vista nel nuovo marchio, per i propri prodotti; sottolineare la “crescita”, il progresso,
anche se riprodotto su un’etichetta, e riappare l’utilizzo delle tecnologie; evidenziare il proprio modo di
anche la scritta “Chinotto per davvero. Dal 1949”. innovare e rinnovarsi senza perdere riconoscibilità; costruire
Il recupero della storia di prodotto e dell’azienda, degli sinergie con i propri consumatori utilizzando i mezzi che
elementi di design che contribuivano a determinarne l’imma- oggi offre il marketing relazionale.
gine e la percezione nella mente dei consumatori, sempre più Le strategie di heritage marketing che si possono
spesso, infatti, vengono utilizzati per testimoniare ill mante- creare sono molteplici e il riesaminare il proprio
nimento della promessa fatta dal brand all’inizio: sinonimo trascorso storico può condurre alla creazione di
di qualità, di trasparenza, di affidabilità, il passato un proprio percorso di storytelling e alla scoperta
viene riscoperto come uno dei valori aggiunti o di nuove connessioni e contaminazioni, elementi
addirittura come vantaggio competitivo di marca. quanto mai importanti nella riaffermazione o ridefinizione
del proprio valore aggiunto.
Peccato che il resto dell’impianto comunica-
tivo non sembra sia stato curato quanto il
restyling del marchio... Per approfondire
Il sito chinottoneri.it è in linea con la nuova identità coordi-
nata, ma presenta pochissimi contenuti rispetto a quelli che Chin8Neri
ci si aspetterebbe di trovare in relazione ad un prodotto che »» http://www.chin8neri.it/
esiste da così tanto tempo. »» http://www.youtube.com/user/ChinottoNeri
Per quanto riguarda le altre risorse online, la situazione »» http://www.facebook.com/pages/Chinotto-Neri/29707147608
appare ancora più trascurata: il Canale YouTube del brand »» http://www.chin8neri.it/
ha un solo aggiornamento risalente ormai al lontano 2008;
la pagina Facebook ufficiale (a cui non è stata neppure Fonti:
“ripulita” la url dopo il venticinquesimo contatto) presenta »» http://www.chinotto.com/
ancora il marchio precedente ed è ferma del 31 dicembre »» http://www.cpenti.it/chinotto/
del 2009; nessuna presenza – per quanto ho potuto vedere »» http://www.chinotto.net/
– su altri social network. Eppure su Facebook sono molte »» http://it.wikipedia.org/wiki/Chinotto_Neri
le FanPage che sono state create spontaneamente »» http://www.nuovoconsumo.it/made-chinotto
dagli amanti del Chin8Neri e dai sostenitori della marca,
un potenziale che andrebbe gratificato e supportato con delle
azioni comunicative mirate.
Di campagne pubblicitarie, eventi o simili per dare visibilità
alla nuova veste grafica del brand, a parte qualche intervista
e post, non ho trovato nulla e non ne ho neppure memoria,
pur avendo seguito le vicende Chin8Neri negli ultimi anni
(sono una consumatrice anch’io, seppur sporadica).
business

di Elena Franco

L
e nostre giornate possono ritenersi spaccate in tre “tronconi” da 8 ore,
lo dice la teoria: 8 ore dedicate al lavoro, 8 ore per dormire
(la quantità di tempo necessaria al nostro corpo per rigene-
rarsi completamente) e le restanti 8 ore per poter coltivare
i nostri interessi e svagarci.
Ma questa suddivisione della giornata funziona?
Per capirlo, osserviamo una giornata tipo di una persona che lavora
in città dal lunedì al venerdì.

Lavoro
Il tempo da dedicare al lavoro sarebbe un terzo della nostra giornata, infatti in
ufficio il lavoratore full time deve rimanere 8 ore per contratto. A queste però va
aggiunta mediamente almeno mezz’ora per arrivare in sede, altrettanto per tornare,
e un’ora minimo da dedicare alla pausa pranzo.
A conti fatti, dunque, anche considerando i tempi al minimo, le 8 ore da dedi-
care al lavoro diventano improvvisamente 10 (nel migliore dei casi, ma
molto più spesso 11 se non addirittura 12).

Svago
Svagarsi, staccare dal lavoro, è una cosa necessaria. Secondo lo schema di cui
sopra, teoricamente allo svago si dovrebbe dedicare lo stesso tempo che
al lavoro, ma in questo tempo rientra anche la colazione, la pulizia
personale e la cena (come minimo).
Facendo il solito conto spannometrico, per fare colazione

© SXC
in modo “decente” (quindi non limitandosi a un caffè-latte
bevuto di corsa) dovremmo spendere una mezz’oretta
(che comprende la preparazione della colazione stessa e
il riordino della cucina subito dopo averla consumata) e
un’altra ora (abbondate, direi) va via per la cena.
Alla pulizia personale, invece, tra mattina e sera, si dedica
almeno un’ora (o anche di più, dipende dai giorni e dalle
persone) a cui dovremmo aggiungere anche le doverose
“tappe” in bagno che, escludendo quelle in ufficio che rien-
trano comunque nell’orario di lavoro, possiamo stimare
in una media di mezz’ora al giorno (conto pessimistico
ovviamente).
Un’altra oretta quotidiana la possiamo inserire in questa
categoria come “jolly”, comprendendo compere, telefo-
nate di amici, e tutte quelle cose che non facciamo
ogni giorno ma che comunque prendono prezioso tempo.

A questo punto, possiamo dire che 4 delle teoriche 8 ore

© SXC
da dedicare quotidianamente allo svago vengono
spese per attività che svago proprio non sono. Ne
resterebbero così ulteriori 4 in cui guardare un film,
leggere un libro, o anche semplicemente rilassarci
senza pensare a nulla.

Sonno
In uno scenario di questo genere, se ammettessimo
di voler dedicare 8 ore al giorno al sonno, la
nostra giornata sarebbe praticamente finita, e solo
“tagliando” minuti – o più facilmente mezz’ore – al riposo
quotidiano possiamo quindi riuscire a ritagliarci qualche
momento extra per divertirci veramente (o per far fronte a
qualche “emergenza”).

A conti fatti
Se consideriamo giornate particolarmente stancanti, in
cui usciamo di casa alle otto del mattino per tornarci solo

© SXC
alle otto di sera (situazione comune a molte persone), ci
restano solo 12 ore per sonno e svago, quindi, seguendo
la precedente schematizzazione, il tempo da dedicare a
veri e propri passatempi risulta essere variabile da
zero al numero di ore che decidiamo di togliere al
prezioso sonno ristoratore.

La spesa e le commissioni
I precedenti conteggi si riferiscono ovviamente a giornate
infrasettimanali, e sembrano presupporre che difficil-
mente si possa riuscire a trovare il tempo per “fare
la spesa” nelle giornate lavorative: alle 19:00 i negozi
sono pieni e alle 20:00 addirittura chiusi (se escludiamo i
centri commerciali, che però difficilmente sono vicini a casa
o al nostro ufficio), per non considerare il fatto che trovare
la voglia di fare compere dopo una giornata di lavoro pare
essere altrettanto arduo. Se quindi accettiamo di fare
business
© SXC
la spesa nel fine settimana ci troveremo a dedicare a
questa attività del tempo che andrà ad erodere quelle 32 ore
di “non-sonno” del week-end.
Fare la spesa nel fine settimana, si sa, è un delirio. I centri
commerciali sono pieni, e non sempre è sufficiente una
visita al supermercato, dato che ci potrebbe essere bisogno
di comprare anche altro.
Se, per ottimizzare i tempi, decidiamo di andare al centro
commerciale più vicino per comprare il necessario, difficil-
mente ce la caveremo con meno di 4 ore, comprensive
di carico/scarico, e di passeggiata per il centro
commerciale per rilassarci.

Il Fine Settimana
Anche il sabato e la domenica, ovviamente, abbiamo neces-
sità di dedicare tempo alle nostre necessità principali:
spenderemo un paio d’ore al giorno nella stanza da bagno
(un bagno più lungo nel fine settimana è rilassante), un’o-
retta al giorno alla colazione, e il tempo dedicato a pranzi
© SXC

e cene spesso aumenterà, dato che usciremo con gli


amici e, magari, andremo a pranzo dai parenti.
Sempre per essere spannometrici e volendo generalizzare,
il pranzo del sabato potrà prendere un’ora e mezza, la cena
del sabato con amici comprenderà anche l’aperitivo e un
dopocena (arrivando a 4 ore, forse anche di più), mentre il
pranzo della domenica sarà dedicato ai parenti, togliendoci
la bellezza di 3 ore (tra spostamenti, pranzo e debite chiac-
chiere con i persone che si aspettano di essere aggiornate
sulla nostra settimana lavorativa). Fortunatamente si torna
quasi alla norma con un’ora circa per la cena.
Totale: 15 ore e mezza.
Restano quindi (per ora) 12 ore e mezza nel fine settimana,
tutte per noi. Forse.

Panni sporchi e pulizie domestiche


Siamo arrivati ad avere 16 ore, concentrate nel fine setti-
mana, per fare quello che più ci piace, ma non abbiamo
© SXC

ancora pensato alla casa, che deve essere pulita,


né ai panni da lavare, stendere e stirare, azioni
che probabilmente releghiamo al week-end proprio
perché durante la settimana lavorativa vogliamo rilassarci
un po’ almeno la sera.
Pulire i pavimenti e spolverare è qualcosa che dobbiamo
cercare di fare con una certa regolarità e, per un apparta-
mento “medio”, possiamo prevedere un minimo di 3 ore
da dedicare nel week-end a rassettare, pulire il bagno e la
cucina, e lavare i pavimenti.
Il tempo necessario per una lavatrice si limita (fortuna-
tamente) al tempo per caricarla e stendere i panni, dal
momento che la lavatrice non ha bisogno della nostra assi-
stenza per funzionare, ma stirare una lavatrice può prendere
anche un’ora, e i minuti necessari per caricare la lavatrice,
scaricarla, stendere e mettere via i panni dopo la stiratura si
può “arrotondare”, diciamo, a mezz’ora.
© Flickr-by ryantron
Siamo così arrivati ad avere solo 8 ore per noi, 8 ore Se non tutto è fattibile, resta comunque possibile leggere
da dedicare esclusivamente alla nostra persona. un libro o fare telefonate quando ci troviamo sull’autobus
per andare in ufficio o tornare a casa; possiamo guardare
8 Ore per Noi! un film mentre stiriamo (cosa che fa pesare anche meno
Penso di aver inserito in questo schemino tutto quello che l’attività); possiamo ascoltare musica o cantare mentre
una persona che lavora in ufficio può fare nella sua settimana facciamo le pulizie domestiche (oppure, perché no, assu-
e, anche se i conti non sono perfetti (sono calcoli approssi- mere una donna delle pulizie per prenderci davvero tutto il
mativi, basati sulle attività che bene o male facciamo tutti) nostro tempo). Oltretutto una buona quantità di commissioni
quello che sembra risultare è che di svago vero e proprio, in e spese varie si può effettuare, risparmiando tempo, utiliz-
una settimana, restano solo 8 ore. zando internet per i nostri acquisti (grazie a Esselunga. o
8 ore come quelle che dedichiamo quotidianamente al lavoro… altri brand simili, è anche possibile farsi recapitare la spesa
8 ore come quelle che dovremmo dedicare quotidianamente comodamente a casa).
al sonno… Ma non bisogna disperare.
Ma… e i Liberi Professionisti?
Ottimizzazione Durante la stesura di questo articolo, ho ovviamente
Come per andare al cinema possiamo approfittare del pensato anche a chi lavora in proprio, ma per loro è
multisala del centro commerciale per risparmiare il più difficile generalizzare. Queste persone spesso non
tempo necessario ad arrivarci, possiamo ottimiz- hanno un vero e proprio ufficio, ma lavorano a casa o presso
zare varie altre attività della nostra giornata e diversi clienti nell’arco della settimana. Il libero professio-
della nostra settimana. nista, inoltre, non ha un orario lavorativo fisso e facilmente
Se ad esempio viviamo o lavoriamo vicino a un supermer- si troverà a lavorare più di otto ore nell’arco della singola
cato o a un centro commerciale, possiamo fare la spesa giornata. In questi casi il problema non è solo ottimizzare,
dopo l’ufficio, risparmiando parte del tempo necessario agli ma soprattutto cercare di non andare troppo oltre le normali
spostamenti e, magari, evitando la “folla” del fine settimana. 8 ore lavorative giornaliere, o quantomeno di non farlo per
Possiamo fare alcune commissioni anche durante la pausa troppe giornate consecutive.
pranzo dell’ufficio o utilizzarla per incontrare qualche amico Il vero vantaggio, però, lavorando a casa propria, è che è
che lavora dalle nostre parti o passa di là. possibile utilizzare più spesso il multitasking e risparmiare,
E questi sono solo alcuni esempi. quantomeno in alcune giornate, sui tempi di spostamento.

Multitasking E voi, che ne pensate? Riuscite a ricavare più di 8


Un’ultima cosa che può aiutarci a dedicare più tempo a noi ore di “vero svago” nella vostra “settimana tipo”?
stessi è il “Multitasking”, ovvero la possibilità di fare più Se sì, come?
cose nello stesso momento.
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OVVERO COME SI È GIUNTI A


DECLINARE IL TEMPO AL PLURALE

I
di Giacomo De Biase
l tempo è da sempre un concetto indagato e notevolmente considerato nelle
diverse discipline scientifiche. Insieme allo spazio risulta essere una delle
due variabili fondamentali per definire e determinare le dinamiche di fenomeni
fisici, ambientali e sociali. Può essere interpretato, infatti, sia in chiave crono-
logica (e quindi come successione di eventi), sia in una prospettiva ambientale
(ossia come dimensione climatica e meteorologica).
Da un punto di vista etimologico, il termine tempo deriva dal latino
tempus, che taluni ravvicinano al sanscrito “tàpas”, che significa
calore, attribuendo quindi al termine la nozione primitiva di atmosfera;
altri però accostano il termine al lituano “tempti, tampyti”, ovvero al
significato di distendere, con un’evidente richiamo alla nozione di esten-
sione o durata; ed altri ancora, infine, si riferiscono alla stessa radice del greco
tem-no, che significa separo, divido e che di fatto conduce all’idea di
sezione, periodo, epoca, stagione.

Al di là di ogni definizione, è senza dubbio vero che sono stati in molti a domandarsi
quale ruolo abbia il tempo e come effettivamente si possa definire.
Anche Sant’Agostino si interrogò senza indugi: “Che cos’è dunque il tempo? Se
nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so
più”. A significare, quindi, che il tempo è una dimensione complessa e
sfaccettata: leggibile da diverse prospettive, assume una dimensione
individuale, ed anche sociale.
Da una prospettiva sociale il tempo appare sin dal principio come una dimen-
sione condivisa e vissuta nella pratica umana da un preciso gruppo storicamente
e culturalmente determinato.
La categoria tempo assume allora una funzione di coordinamento e di inte-
grazione: è un vero e proprio accordo per determinare i rapporti stabiliti tra i
membri di un dato gruppo sociale. Ma la sua natura e le sue la scena filosofica fino in epoca moderna. La sua critica si
funzioni sociali mutano secondo il contesto di riferimento, rivolge alla caratteristica della filosofia della conoscenza di
con la conseguente necessità di una declinazione plurale, “dare per scontato che vi sia un universale punto di partenza
potenzialmente infinita di questo concetto. che si ripete costantemente, che vi sia una specie di punto
d’inizio della conoscenza. Ogni individuo si presenterebbe
Si deve alla filosofia un’importante primo contributo nella completamente solo al mondo, soggetto davanti all’oggetto,
definizione della natura del tempo riconducibile a due posi- ed inizierebbe a conoscere”. Assunto questo che porterebbe
zioni polari e contrapposte. le due teorie sopracitate a essere figlie della stessa visione
Da una parte una concezione oggettivistica che defi- che scinde uomo e natura come due realtà irriducibili: da
nisce il tempo come un dato oggettivo, che si distingue dagli una parte la soggettività dell’uomo e dall’altra l’oggettività
altri oggetti naturali solo per il fatto di non essere percepibile della natura.
a livello sensibile. È Isaac Newton l’esponente di riferimento La sua ricerca sul tempo invece fornisce un’immagine
di questa corrente di pensiero. diversa: non più contrapposizione uomo/natura,
Dall’altra una visione soggettivistica che ha visto nel soggettivo/oggettivo, bensì uomo nella natura,
tempo una sorta di sguardo unitario sui fenomeni, dipen- idea che ridefinisce la realtà come frutto della rela-
dente dalla particolarità della coscienza umana, dello spirito zione umana e che non esiste in mancanza di essa.
umano, della Ragione.
Hanno seguito questa direzione prima Cartesio e poi A questo punto si potrebbe obiettare che il tempo esiste
soprattutto Kant, al quale si deve la definizione di a prescindere dall’uomo e che a testimonianza di ciò egli
spazio e tempo come forme innate dell’esperienza e dati attinge “al tempo” attraverso la sua misurazione.
immutabili della natura umana. Se rispetto al singolo individuo questo è relativamente vero,
Norbert Elias, con il suo Saggio sul tempo, offre un punto così come, ad esempio, risultano relativamente vere le mede-
di vista alternativo ai due paradigmi che hanno dominato sime considerazioni relative ai concetti di cultura e di
© Wikimedia.org
comunicazione
linguaggio, diversa è la questione se le stesse considerazioni In questo senso il tempo è un mezzo di orientamento
vengono fatte riguardo alla società in generale. che viene appreso e che si è evoluto dalle origini
Infatti tempo, cultura e linguaggio sono concetti dell’umanità ad oggi e quello che si è visto nelle società più
che acquistano significato solo in quanto condi- industrializzate è stato che, crescendo complessità e varietà
visi, realizzati all’interno di una comunità di esseri umani. di relazioni tra uomini, è aumentata l’importanza della deter-
E se il linguaggio ha la funzione di far comunicare (condi- minazione del tempo come funzione di sincronizzazione tra
videre significati) gli uomini e la cultura quello di creare un le diverse attività. Oggi il calendario appare come naturale,
immaginario collettivo condiviso, la funzione del tempo per in realtà la sua storia (il primo a istituirlo fu Giulio Cesare)
la società è quella di sincronizzare tra loro gli uomini nello mostra come si sia ricorsa a questa forma di determinazione
svolgimento delle loro attività. temporale per rispondere al bisogno di sincronia che cresce
Il tempo diventa così “il quadro di riferimento che consente al crescere dalla complessità di una società.
agli uomini di un certo gruppo, e poi da ultimo all’intera Così da una forma che a noi appare “grezza” come l’osser-
umanità, di erigere, all’interno di una serie continua di vazione degli astri che dava il tempo ai nostri antenati di
cambiamenti del gruppo di volta in volta preso a riferimento, quando seminare un campo si è giunti ai giorni nostri
delle riconosciute pietre miliari, oppure consente di confron- all’orologio, cioè ad un tempo più parcellizzato e
tare una certa fase di un tale flusso di avvenimenti con le fasi continuo, strumento fondamentale di orientamento
di un altro e molte altre cose ancora” (Elias). e sincronizzazione. E come noi non ce ne facciamo nulla
La sua determinazione riposa sulla capacità dell’uomo con la luna, in un passato remoto non avrebbe avuto senso
di collegare tra loro due o più sequenze di cambiamenti l’esistenza dell’orologio.
continui, di cui uno funge da unità di misura. E così oggi
viene misurato dai comuni orologi come in passato Il non tenere conto di questo, afferma Franco Ferrarotti, è
veniva determinato dalle clessidre. stato per esempio un fattore determinante nel fallimento del
percorso di modernizzazione dei paesi emergenti, infatti Nella cultura contadina le cose stanno ben diversamente.
spesso le società occidentali non hanno consi- Diversi resoconti socio-antropologici hanno evidenziato che
derato la particolarità “temporale” dei contesti in quelle società non esiste il concetto di fretta, il tempo
dove hanno promosso la diffusione di pratiche viene speso (o “buttato” secondo il nostro punto di vista)
socio-economiche. senza viverlo come una risorsa rara, da conservare. Non
È importante evidenziare come l’ambiente urbano-industriale esiste alcuna autocostrizione a riguardo poiché è il tempo
e il mondo contadino siano due contesti profondamente della natura, esterno all’uomo, che tutto regola e indirizza.
diversi, che vivono tempi diversi. Nella nostra società L’individuo non deve sincronizzarsi né con i suoi simili, né
il tempo è considerato una merce rara che l’uomo con la natura perché fa parte di essa e con la quale è un
gestisce grazie a calendario e orologio. In mancanza di tutt’uno. Come già accennato non ha bisogno dell’orologio e
questi sarebbe impossibile compiere la maggior parte delle non ne capirebbe neanche il significato.
attività che facciamo nell’arco della giornata e della vita. La
divisione del lavoro e l’interdipendenza delle varie attività Nella modernità la diffusione capillare dell’orologio
svolte sono possibili grazie alla sincronizzazione che viene (inteso come strumento condiviso dalla comunità di misu-
attuata dall’orologio. L’uomo della modernità fa un’opera di razione del tempo) nei luoghi pubblici come nel più intimo
autocostrizione nel piegarsi alla “dittatura dell’orologio” al privato è insieme un vincolo e una risorsa. Vincolo
fine esistere/resistere nel suo contesto. Si è per esempio perché la divisione del lavoro porta con sé l’interdipendenza
osservato che più una società è tecnicamente progredita, della forza lavoro e quindi opera una pianificazione produt-
meno è contemplato il concetto di ritardo a un appunta- tiva al fine di ottimizzare le risorse (forza coercitiva). Risorsa
mento. Se a New York non esiste presentarsi con più di un in quanto al singolo si aprono nuove possibilità. Emerge,
quarto d’ora di ritardo, da noi in Italia se ci si tiene sotto l’ora quindi, il tempo privato. Questa dimensione fino all’avvento
spesso la cosa passa quasi come normale. del mondo moderno è stata sostanzialmente negata

© SXC
comunicazione
all’uomo comune: il tempo privato era un’appendice del essere considerata un’opera di sincronizzazione in fieri, è una
tempo che l’uomo dedicava alle attività per il sostentamento delle chiavi del successo degli Antichi Romani nel gestire
di sé e della sua famiglia, un tempo residuale, mai determi- terre spesso lontane e nel sottomettere popoli profonda-
nato, lacerato continuamente dalle diverse necessità/attività. mente diversi.
La situazione cambia proprio nel momento in cui il tempo Nel secondo la regola benedettina “Hora et labora” anti-
del lavoro (pubblico) viene a essere regolato rigidamente cipa le forme di organizzazione temporale delle moderni
da calendario e orologio. Poiché se da una parte subisce complessi industriali odierni. Grazie ad un preciso orario
la costrizione dell’orario di lavoro, dall’altra ha la possibilità che fissa e dà ordine alle diverse attività giornaliere la vita
di strutturare e organizzare il proprio tempo individuale per dei monasteri si scinde da quello che si può chiamare “tempo
dedicarsi a se stesso, sincronizzarsi con gli altri, prevedere naturale” rendendo possibile pianificazione e coordinamento
e programmare le proprie azioni, il proprio futuro. produttivo, e attuando un marcato e nuovo (per i tempi)
Il futuro appunto. controllo sociale e personale.
Nella cultura arcaico-contadina praticamente non esiste, o
meglio: non è cosa di cui si deve occupare l’uomo. Il tempo è Nelle società industriali la natura istituzionale del tempo
dettato dalla natura e l’uomo è guidato nel suo agire dall’alter-
conduce all’interiorizzazione nell’individuo di pratiche e
consuetudini della temporalizzazione delle attività che,
narsi delle stagioni, del giorno e della notte, la pianificazione
non è possibile, manca la continuità, non ci sono riferimenti. agendo nel profondo dell’io, relega alla marginalità il fatto
che gli attori si rendano conto coscientemente della sincro-
Non bisogna però credere che la sincronizzazione nizzazione che stanno attuando.
degli individui e la “minuziosa” regolazione del La sincronizzazione risponde a una necessità funzionale, oltre
tempo sia una prerogativa della società industriali che come fattore di orientamento e coordinamento, anche
moderne. Fa notare Ferrarotti, infatti, come siano diverse le come elemento normativo. Eviatar Zerubavel si concentra
circostanze nella storia che vanno in questa direzione: l’Im- proprio su questo, indagando in che misura le norme
pero Romano e la gestione del proprio territorio o la Regola temporali determinano il comportamento umano.
benedettina, ad esempio. La durata prestabilita delle azioni sociali è necessaria non
Nel primo caso l’espansione dell’Impero dovuta alle solo per motivi di carattere funzionale, ma in quanto quadro
conquiste di terre straniere fu accompagnata dalla costru- di significati socialmente condivisi in grado di permettere
zione di strade, acquedotti, infrastrutture e dalla diffusione all’individuo di agire all’interno della realtà stessa. Centrale
del diritto romano tra i popoli sottomessi. Questa, che può è la natura coercitiva della temporalizzazione che solo una

© geograph.org
volta introiettata assume per il singolo il significato di abitu-

© geekandpoke
dine. Non c’è spazio per la contrattazione tra uomo e norma
temporale e anche il senso comune non affronta criticamente
i capisaldi della vita organizzata.

La realtà cambia nel passaggio dalla società industriale alla


società post-industriale.
Accanto alla sincronizzazione, infatti, sembrano emer-
gere processi di de-strutturazione e de-sincronizzazione
e si assiste così alla frantumazione della concezione
monolitica di tempo a favore della comparsa di una
pluralità infinita di tempi.
Il fenomeno dipende innanzitutto dalla necessità di avvi-
cendamento temporale dovuto alla crescente complessità e
interdipendenza dei diversi aspetti delle attività umane. Si
basa su una logica che intende il tempo come una succes-
sione integrata dove lo svolgimento di un lavoro di una data
struttura dipende dal lavoro svolto da un’altra. Il tempo del
lavoro si svincola da tempi e ritmi biologici a favore di una
maggiore integrazione produttiva. Nel mondo industriale la
possibilità di far lavorare i macchinari a ciclo continuo dà la
possibilità di articolare maggiormente gli orari di lavoro al
fine di sfruttare più tempo possibile.
Altro elemento di de-sincronizzazione è costituito dalle
forme di contratto di lavoro che hanno cominciato a diffon-
dersi dagli anni 70. Forme di lavoro flessibile nascono, oltre
che per venir incontro alle esigenze produttive, anche a
seguito della maggiore attenzione ai servizi per la persona,
che ha incoraggiato il diffondersi di ritmi temporali di lavoro
più variegati e sicuramente più frammentati. Riguardo la
diffusione del lavoro flessibile è interessante accennare
brevemente che la precarizzazione del mercato del lavoro alla
quale si assiste oggi, in tempi di crisi economica mondiale,
come risposta delle organizzazioni produttive alla riduzione Per approfondire
dei profitti, rimanda alla centralità del tempo, “dei diversi »» Chiesi A., Sincronismi sociali, il Mulino, Bologna, 1989
tempi”, anche come terreno di contrattazione sociale. »» Elias N., Saggio sul tempo, il Mulino, Bologna, 1986
La de-sincronizzazione investe anche gli altri aspetti della »» Ferrarotti F., Il ricordo e la temporalità,
vita degli uomini non legati all’attività produttiva. La diffe- Laterza, Roma-Bari, 1987
renziazione sociale fa sì che l’individuo si trovi a ricoprire »» Giddens A., Il mondo che cambia. Come la globalizzazione
diversi ruoli contemporaneamente e questo presuppone la ridisegna la nostra vita, il Mulino, Bologna, 2000
creazione di un’agenda di tempi personali atta a rispondere »» Leccardi C., Sociologie del tempo. Soggetti e tempo nella
alle diverse esigenze di ogni specifico ruolo. società dell’accelerazione, Laterza, Roma-Bari, 2009
»» Luhmann N., Il tempo scarso e il carattere vincolante della
Sembra dunque emergere oggi una doppia tendenza. Il scadenza, in S. Tabboni (a cura di), Tempo e società, Franco-
processo di globalizzazione, se per un verso tende ad Angeli, Milano, 1986
abbattere la categoria tempo (come d’altronde lo spazio) »» Schops M., Zeit und Gesellschaft, F. Enke, Stuttgart, 1980
grazie alla tecnologia “protesa all’istantaneità”, per un »» Zerubavel E., Ritmi nascosti. Orari e calendari nella vita
altro questo processo di compressione temporale ha sociale, il Mulino, Bologna, 1985
come conseguenza la genesi di altri tempi che il singolo
individuo - come cittadino globale - è chiamato a
organizzare/sincronizzare sia nello spazio d’azione
privato che in quello pubblico, avendo la possibi-
lità di gestire potenzialmente in prima persona
un’infinità di diversi tempi.
culture

S
di Davide Bennato
i prenda il numero otto e i suoi innumerevoli significati
numerologici.
È simbolo dell’equilibrio cosmico in Cina, tanto da aver
fatto si che l’inaugurazione delle olimpiadi di Pechino fosse
organizzata in modo tale che avesse luogo l’otto agosto del
2008, ovvero 08.08.08. Sempre per restare in Cina, le tradi-
zione simbolica e filosofica vuole che le otto forze della
natura siano frutto dell’interazione di Yin e Yang. Che
due entità diano vita a otto forze non deve stupire: è un’idea
facilmente traducibile nella cultura matematica occidentale.
Basti pensare che otto è il cubo di 2 (2 3). E sempre per motivi simbolici, astro-
logici in questo caso, ottagonale è la forma di Castel del Monte, miste-
riosa costruzione dei pressi di Andria – nonché effige rappresentata sulla moneta
italiana da 1 centesimo di euro – fatta edificare da Federico II di Svevia, il re
normanno amante della cultura e delle scienze. L’ipotesi più accreditata vuole che
la forma ottagonale sia un tributo al passaggio dalla terra – simboleggiata dal
quadrato – al cielo – rappresentato dal cerchio, poiché l’ottagono è una figura
intermedia tra il quadrato e il cerchio.
Ma il numero otto ha anche la proprietà di ricordare il

© Flickr-by m_p_king
simbolo dell’infinito se lo si immagina capovolto
di 90°, infinito che nella visualizzazione grafica dà vita a
diverse strane rappresentazioni.
Gli oggetti matematici che più si avvicinano alle forme di
rappresentazione dell’infinito sono sicuramente i frattali.
Dotati della proprietà dell’autosimilarità, proprietà piuttosto
rara fra gli oggetti geometrici, i frattali devono il loro nome
al latino fractus – spezzato, rotto – attribuito loro da Benoit
Mandelbrot, il matematico francese che nel suo libro del
1975 Gli oggetti frattali. Forma, caso e dimensione, li intro-
dusse alla comunità scientifica e che li ha resi famosi anche
presso il grande pubblico.
La caratteristica dei frattali è quella di avere sempre la
stessa forma qualunque sia la scala a cui si guarda:
sia se vengono guardati nel loro complesso o se vengono
osservati nella loro più piccola parte, avranno sempre la
stessa forma (la cosiddetta autosimilarità, appunto). I frat-
tali sono celebri in quanto capaci di rappresentare le forme
della natura: una montagna o un albero sembrano ripetizioni
ricorsive di uno stesso modello di base. Anche se l’oggetto
biologico più frattale in assoluto (almeno secondo il sotto-
scritto) è senza dubbio il cavolo romano: ortaggio che della
sua struttura frattale ha fatto la base della propria eleganza.
Infatti pochi organismi biologici rivelano la propria natura
matematica in maniera così sfacciata.

©Flickr-by Syntopia
culture
Gli oggetti frattali devono la loro notorietà anche al L’infinito però nella sua rappresentazione dà vita
fatto che sono stati spesso citati congiuntamente ad un altro oggetto, topologico questa volta, ovvero
alla teoria del caos, ovvero quella teoria che vuole che che fa riferimento a quella branca della matematica che
in un sistema stabile, piccole variazioni iniziali possono dar studia le superfici e le relazioni fra superfici. Di solito per
vita a profondissime conseguenze successive. Caratteristica rendere comprensibile la topologia si usa l’espressione
spesso resa in maniera metaforica con la famosa immagine secondo cui questa disciplina studia le trasformazioni delle
secondo cui un battito di ali di una farfalla può provocare figure geometriche e delle forme come se fossero oggetti di
un tornado negli Stati Uniti (il cosiddetto Effetto Farfalla). gomma. L’oggetto topologico a cui si fa riferimento
I frattali sono oggetti geometrici le cui dimensioni sono è il misteriosissimo anello (o nastro) di Möbius,
esprimibili attraverso frazioni. In pratica noi classifichiamo misterioso per via delle sue proprietà arcane.
gli oggetti geometrici in monodimensionali, (ovvero dotati di L’anello di Möbius è piuttosto facile da costruire: basta
dimensione 1), come il punto. Poi abbiamo oggetti bidimen- semplicemente prendere un nastro di carta e incollarne le
sionali (dimensione 2), come le figure geometriche piane, sue due estremità dopo aver fatto fare un giro di 180° ad
ed infine abbiamo gli oggetti tridimensionali (dimensione 3) una di esse. All’apparenza si ottiene un anello dalla forma
come i solidi geometrici. I frattali consentono di descrivere a “otto” appunto, ma a ben vedere è un oggetto strano. Per
matematicamente oggetti geometrici intermedi, ovvero con esempio, pur stando nello spazio tridimensionale è dotato
dimensione fra 1 e 2, oppure con dimensione fra 2 e 3. di una sola dimensione, ovvero ha una faccia sola. Per
Per questo motivo i frattali sono in grado di descri- dimostrare questa sua proprietà, basta semplicemente
vere gli oggetti della natura, perché la natura è più tracciare una linea sulla sua superficie con un pennarello:
complessa della semplicità formale di un punto, di se fosse un oggetto a due facce, per scrivere su entrambe
un quadrato o di un cubo. I frattali sono una famiglia bisognerebbe staccare il pennarello da una faccia e poi trac-
di oggetti molto diversi fra loro. Come la curva di Koch, ciare la linea sull’altra.
ovvero una curva che nasce dalla ripetizione ricorsiva di un Nell’anello di Möbius invece la punta del pennarello ritor-
triangolo equilatero e che ha una lunghezza praticamente nerà al suo punto di partenza senza aver staccato per un
infinita. Un altro oggetto frattale è l’insieme di Mandelbrot, momento la punta dal foglio. Non ha due facce, ne ha una
che si presenta come un otto disposto in orizzontale, forse sola, anche se all’apparenza non sembrerebbe. Un’altra
un po’ sfrangiato per via della granularità delle figure frat- proprietà dell’anello di Möbius la rivela quando viene ad
tali, quasi a ricordare la proprietà che lo rende tipico, ossia essere tagliato lungo la sua linea mediana. Al primo
il suo stretto rapporto con l’infinito. taglio, si trasforma in un super anello di Möbius, ovvero

© Wikimedia.org
diventa più grande, anche se più sottile. Se l’ope-

© Flickr-by centralasian
razione viene ripetuta una seconda volta, si ottengono due
anelli indissolubilmente legati fra di loro, come una sorta di
anelli borromei (altro oggetto topologico che ha una lontana
parentela con l’anello di Möbius).
Queste sue proprietà gli hanno permesso un ruolo interes-
sante nel mondo dell’arte. Famose le incisioni con prota-
goniste enormi formiche che danzano su anelli di Möbius
reticolari, ad opera di M. C. Escher, l’artista olandese celebre
per le sue scale infinite ispirate alle carceri partorite dalla
fantasia di Giambattista Piranesi e per le sue figure a metà
tra la matematica e il sogno. Meno celebre, ma altrettanto
interessante, è il film Möbius, del regista Gustavo Mosquera
(Argentina 1996). La storia narra di un giovane matematico
che viene incaricato dal direttore della metropolitana di
Buenos Aires di indagare sulla scomparsa di un treno.
La storia, che si sviluppa secondo le regole del racconto
giallo, rivelerà che la scomparsa del treno è dovuta ad una
tratta del percorso della metropolitana che si sviluppa come

© Wikimedia.org
un anello di Möbius, facendo sì che la il tessuto dello spazio-
tempo si alteri, spiegando così la scomparsa del convoglio.
Per non dimenticare che è proprio l’anello di Möbius la meta-
fora che serve per rappresentare l’avaria del di HAL 9001 in
2010 – L’anno del contatto (Peter Hyams, 1984), sequel di
2001 – Odissea nello spazio (Stanley Kubrick, 1968).
Ma l’anello di Möbius è presente anche in alcuni marchi
piuttosto celebri, per esempio è la forma che ispira il logo
della pura lana vergine (opera del designer italiano Franco
Grignani), oppure il simbolo del consorzio che si occupa di
riciclaggio dei rifiuti, proprio a simboleggiare la possibilità
di usare in maniera infinita le materie prime.

Che l’infinito sia qualcosa di visualizzabile è sicuramente un


tema affascinante, soprattutto se si pensa che è un argo-
mento che sfida l’intelligenza umana e per questo motivo
intercetta competenze diverse: la filosofia, la matema-
tica, l’arte. L’infinito è un esercizio di creatività, in

© Flickr-by flickrnospam
cui l’immaginario – inteso sia come la proprietà
di immaginare, sia l’appartenenza ad una speci-
fica cultura dello sguardo – è chiamato a rendere
concreto quello che, solo all’apparenza, è un
concetto astratto. Per questo diventa improvvisamente
affascinante che sia la stessa scienza, e per di più la geome-
tria, scienza che studia le forme e le figure, deva confrontarsi
con quello che potrebbe essere considerato un vero ossi-
moro: rappresentare l’infinito con strumenti finiti.
A questo punto però propongo un piccolo gioco così da
stuzzicare i miei lettori. Pertanto chiedo: secondo voi – ad
esclusione del titolo e della firma del sottoscritto – la vostra
curiosità, che vi ha portato a proseguire nella lettura fino a
questo punto, quante battute vi ha fatto leggere?
Un piccolo aiuto a rispondere a questo non-indovi-
nello: la soluzione alla domanda deve molto al tema di
questo numero di BrandCare.
tecnologie e web

Un’altra avventura di #Gilda35

O
di Giovanni Scrofani
tto!
Se cercate 8 su Google o Wikipedia verrete a cono-
scenza di tante meravigliose proprietà relative a questo
simpatico numeretto.
Infatti 8 è uno di quei numeri importanti: è un numero
composto, è il cubo di 2, è il sesto numero della succes-
sione di Fibonacci (per la gioia di Illuminati, Rosacroce,
Complottisti e Dan Brown), è un numero ottagonale (chi
l’avrebbe mai detto!), è un numero di Friedman, per i Cinesi
è il numero fortunato per eccellenza, è il “numero magico”
della fisica nucleare, è il numero dell’equilibrio cosmico, è il numero della trasfi-
gurazione cristiana, è il numero dell’ossigeno, nell’I-Ching rappresenta le 8 forze
risultanti dall’interazione di Yin e Yang, i Grandi della Terra sono 8 (G8), è uno dei
Numerotti di Playohouse Disney, 8 è il passerotto dei Latte e i suoi Derivati, e poi
si sa, vincere al superenal-8 può cambiare la vita…
Insomma il numero 8 è un numero di quelli che rivestono un’importanza capitale
sotto qualunque punto di vista lo si affronti.

Essendo per la contraddizione continua, il numero 8 tendo a immaginarmelo cori-


cato, che dorme, pressappoco così: ∞.
Me lo immagino felice che sogna spazio e tempo infinito, senza stres-
sarsi con Fibonacci e soci.
In verticale il numero 8 non ha mai suscitato molto alcuni casi sporadici generando anche frasi, pagine o testi
il mio interesse, mentre coricato mi suscita infinite interamente intellegibili).
suggestioni. Quando penso a quel meraviglioso e sognante
Nastro di Möbius, il mio cervello steampunk e un po’ DaDa In un forum su internet [http://bit.ly/ezO39U] un matematico
subito mi rievoca quella fantastica allegoria che compose ha calcolato che il numero dei testi della Biblioteca di Babele,
Jorge Louis Borges nel 1941 con La Biblioteca di Babele… generato secondo il meccanismo testé illustrato sarebbe pari
Un’allegoria terribile, che ho rivissuto giocando con Twitter a 25 elevato alla 656.000, ossia un numero con 917.049 cifre.
insieme ai folli Sabotatori Dadaisti di #Gilda35. Una terribile Ma poiché la Biblioteca è “periodica” i testi si ripetono in
profezia su ciò che potrebbe divenire la produzione dei testi modo apparentemente casuale andando ben oltre lo spaven-
in un futuro neppure troppo lontano. Un’ipoteca sui testi che tevole numero da quasi un milione di cifre.
lasceremo alle future generazioni… Nulla si sa sul Creatore della Biblioteca, né sugli autori dei
testi, né sul fine ultimo di questo universo.
La Biblioteca di Babele di Jorge Louis Borges
Borges disegnò un universo costituto da una “Biblioteca Il racconto descrive anche la vita miserabile dei
illimitata e periodica”, strutturata come un Bibliotecari, che si aggirano, preda di disperazione, fana-
immenso frattale composto da moduli esagonali tismo e frustrazione, cercando tra gli innumerevoli testi
tra loro identici. Ogni esagono contiene 5 scaffali privi di senso il “Libro ”, un testo che dia una svolta alla
contenenti ciascuno 2 libri, ciascun libro è di 410 loro esistenza. Il racconto si conclude con l’immagine
pagine, ciascuna pagina è di 40 righe, ciascuna riga spaventosa della Biblioteca che continuerà ad esistere
è di 40 caratteri. Il numero dei simboli ortografici è eterna e immutabile, dopo la fine del genere umano.
25 (22 lettere, spazio, punto e virgola). Un curioso incidente accaduto durante i sabo-
I libri contengono ogni possibile combinazione dei taggi di #Gilda35 ha riportato alla mia mente questa
venticinque caratteri, generando ogni possibile mostruosa biblioteca, cui diventano ogni giorno più
testo (per la maggior parte ovviamente non sense, ma in simili le Nuvole Computazionali…

© 2.bp.blogspot.com
tecnologie e web
Lo strano caso del tweet scomparso
Tutto è nato, quando, per festeggiare la nascita
del “Nuovo Twitter” (una versione più multime-
diale del noto Social Network), elaborammo uno
dei “Sabotaggi” di Gilda35 ai danni del povero
Algoritmo dei TopTweet di Twitter [cfr. #Gilda35 – La
fase beta del progetto su Brand Care magazine n° 007 [http://
bit.ly/i0OKCl]. Uno dei Ricercatori del Progetto propagò
in Rete un irriverente messaggio nonsense: “domani, 16
settembre Santa Innocenza vergine e martire, nasce il nuovo
Twitter”. Il messaggio ricevette circa 75 retweet in una
manciata di minuti, tuttavia l’Algoritmo dei Toptweet non lo
fece salire in homepage.

Pareva che nel frattempo Twitter avesse aggiornato il proprio


Algoritmo in modo da fornire un ranking più basso ai retweet
di utenti che si seguivano a vicenda, sfavorendo sia gruppi
come #Gilda35, sia agenzie di marketing virale, sia agguerriti
gruppi di “bimbiminkia”, che approfittavano della tendenza al
retweet compulsivo dei BOT delle Major dell’intrattenimento.
Ovviamente polemizzammo in modo giocoso con Twitter,
inscenando una farsa sulla “censura” che avevamo subito.
Ciò sebbene in segreto apprezzassi la virata del nuovo
Algoritmo dei Top Tweet verso un marketing più esplicito
e sotto il profilo contenutistico decisamente più valido della

© geekandpoke
precedente versione pseudogiovanilistica (ora Top Tweet
era saldamente presidiato da account ufficiali di grosse
realtà produttive, topblogger, giornalisti, ma anche qualche
comune utente con una bella trovata virale e qualche fesseria
ogni tanto).

Qualche giorno dopo il “sabotaggio coccoloso” venni però


contattato dall’autore (Proponente nel nostro gergo) del
tweet “censurato”. Il Proponente si lamentò di un fatto per
lui sconcertante: il messaggio di sabotaggio non solo
non era salito tra i TopTweet, ma era stato anche
cancellato dal registro dello “storico” dei propri
messaggi. Tra tutti solo quel tweet era stato cancellato
dalla cronistoria dei pensieri del Proponente. Era come se
non fosse mai stato emesso e di conseguenza come se noi
non l’avessimo mai retwittato e fatto nostro.

Vi risparmio la narrazione della serie di dadaistiche provoca-


zioni che inscenammo: accorate lettere aperte [http://bit.ly/
boJ353], sottoscrizioni via retweet, sit-in virtuali contro @
toptweets_it… Ovviamente il DADA che è in noi si scatenò
furibondo e trasformammo la vicenda in una assurda farsa
per dileggiare i continui appelli contro la censura, che circo-
lavano in quei giorni su Twitter (“no al bavaglio” su tutti).

Dal Libro alla Nuvola


Questa surreale vicenda, comunque ascrivibile ad un banale
“fail whale”, mi ha suscitato alcune riflessioni in merito a
come le nuove tecnologie stanno cambiando il nostro
rapporto con la produzione, la conservazione e la
lettura dei testi.
Una frase che piace spesso ai tecnologi è: “Il gior- CR48
nale dopo tre giorni è buono per incartare il pesce,
mentre un testo su internet è permanente”. Nei giorni scorsi Google ha presentato un nuovo
Onestamente non mi sembra una frase così vera. tipo di portatile, il CR48.
Anzi, a essere veramente onesti direi che “Il gior- In pratica questo gioiellino della tecnologia delle
nale dopo tre giorni è buono per incartare Computing Cloud non sfrutta altro software che
il pesce, ma magari anche finire in un’e- un internet browser.
meroteca e fornire ai posteri una testimo- Il CR48 utilizza le Nuvole Computazionali per
nianza documentale su un periodo storico, la totalità delle funzioni di un PC tradizionale:
un testo su internet è assolutamente imper- storage/archiviazione file, posta elettronica, pacchetto
manente, soggetto a cancellazione, riediting, Office, visualizzare foto, film ecc…
confutazione, interpolazione, manipolazione, Il CR48 ha ovviamente il 3G incorporato perché necessita
adulterazione”. come l’aria di una connessione a internet potente e stabile.
Questo per la semplice ragione che un testo pubbli- Il CR48 costituisce il primo passo per trasferire
cato su internet non viene ancorato a un supporto nelle Computing Cloud la totalità delle informazioni
fisico “statico”, come ad esempio un foglio di carta, che produciamo. Perché il cloud computing è perfor-
un papiro, una tavola assiro-babilonese. E neppure su mante, gratuito (o a prezzi contenutissimi), affidabile,
un supporto “dinamico”, ma in possesso dell’autore, costantemente aggiornato…
come un hard disk. Un testo su internet finisce dritto in Immaginate un futuro in cui tutti siamo passati ai nipotini
una bella Computing Cloud (Nuvola Computazionale), del CR48. Immaginate un futuro in cui abbiamo comple-
mirabile definizione che sta a indicare in ultima analisi tamente dematerializzato l’informazione, in cui è tutta
che il testo per finire su internet, il più delle volte (direi insediata in server completamente sottratti ad ogni nostro
pure la quasi totalità delle volte per i comuni utenti), deve potere di verifica e controllo.
essere trascritto e registrato su server di proprietà di un
soggetto diverso dall’autore.

Sto rincorrendo le suggestioni sul numero 8 coricato che


dorme, così non mi avventuro in un’approfondita disamina

© Wikimedia.org
sugli aspetti giuridici del rapporto testé descritto…
Però due paroline le spendo lo stesso. Quando accet-
tiamo i c.d. “Termini di Utilizzo” dell’erogatore dei servizi di
Computing Cloud, sottoscriviamo un contratto nel 99% dei
casi molto sbilanciato in favore dell’erogatore del servizio,
piuttosto che verso l’autore dei testi.
La quasi totalità dei fornitori di Social Network, siti internet,
Blog, servizi di posta elettronica, archiviazione remota di
documenti, ecc… hanno nei propri “Termini di Utilizzo”,
anche quando il servizio offerto è a carattere oneroso, una
serie di clausole che consentono di sospendere in ogni
momento il servizio a loro insindacabile giudizio.
Peraltro, a ben leggere i “Termini di Utilizzo” di molti
fornitori di servizi connessi al Computing Cloud,
la proprietà di testi e documenti in molti casi non
è dell’autore, ma dell’erogatore del servizio, che
pertanto può cancellarli a proprio piacimento per
tutelare i propri interessi.

Un esempio lampante di quanto sopra è stato il caso


Amazon/Wikileaks. Com’è noto Amazon ospitava il sito
di Wikileks sui propri server, tuttavia, in assenza di qualsi-
voglia denuncia da parte delle pubbliche autorità, ha potuto
sospendere il servizio sulla base della violazione dei
tecnologie e webtermini di utilizzo inerenti il c.d. “uso improprio” del servizio
di web-hosting. Il resto è cronaca.
Insomma a fronte dello strapotere di quelli che Jaron
Lanier con una felice espressione chiama i “Signori delle
Cloud”, gli autori dei testi, delle foto, dei video, dei mate-
riali immessi nelle Computing Cloud ne escono sempre
più depotenziati e sminuiti.

Come diciamo noi di #Gilda35: “Viva le polpette!”


A questo va associata la tendenza sempre più insistita a
trasferire nelle Nuvole Computazionali la totalità dello scibile
umano. Esperienze come il Progetto Gutenberg, Google
Libri e l’espansione del mercato degli ebooks tendono a una
“dematerializzazione” dei testi scritti con una sempre più
© geekandpoke

forte eliminazione di quel “limite fisico” costituito dai libri


di analogica memoria.
Se a ciò si collega il ricorso sempre più insistito nel web 2.0
al c.d. “mash-up”, ossia alla produzione di testi che
in ultima analisi non sono che il “collage” di altri
testi reperiti in rete, spesso a loro volta frutto di mash-
up, il quadro diviene ancora più fosco.

Nel web 2.0 tutti sono scrittori, tutti sono autori, tutti sono
SEO, tutti sono esperti di marketing. Il Cloud Computing
ha aperto la possibilità a tutti di esprimersi con uno sforzo
minimo. Si è passati dai siti personali del web anni ’90,
che erano espressione di una vivace creatività, ai blog dei
primi anni 2000, agli attuali microblog frutto del mash-up
più furibondo e spesso insensato. Ne sono stato testimone
involontario io stesso: Il Ragazzo che Giocava con gli UFO

© Flickr-by Checiàp
[http://bit.ly/9nGVxi], un mio post sul caso Gary McKinnon cosa circolerà nell’infinita Infosfera generata dal
ebbe un inspiegabile successo in Gran Bretagna, nel periodo Computing Cloud. L’immagine che ho in mente è
in cui alcuni attivisti si battevano per impedire l’estradizione quella di un immenso, infinito ipertesto, privo di
a Guantanamo di questo hacker affetto da disabilità mentale. autore, generato quasi casualmente.
Il testo venne fatto proprio da parecchie centinaia di persone E non mi avventuro a ragionare su cosa potrebbe accadere
in Gran Bretagna che riproposero sui propri blog personali tra cento anni, in una società che ha completato il processo
il mio testo in italiano. Produssi anche una versione del post di dematerializzazione del sapere, laddove si arrivi ad una
in lingua inglese, ma non ebbe il successo della versione in svolta totalitaria o oscurantista.
italiano, che era del tutto incomprensibile per la quasi totalità Oggi i Signori delle Cloud guardano alla quotazione in borsa…
dei blogger che l’avevano riproposta. Domani chi sarà proprietario della Cloud potrà riscrivere
il passato. Tutto il passato. E come diceva Orwell: “Chi
Non mi voglio avventurare sul tema Wikipedia, dove siamo controlla il presente, controlla il passato. Chi controlla il
davvero dalle parti della Biblioteca di Babele più pura. passato controlla il futuro.”
“Wikipedia è una aberrazione fondata sulla leggenda Oppure no.
che il sapere collettivo sia inevitabilmente superiore
alla conoscenza del singolo esperto e che la quan-
tità di informazioni, superata una certa soglia, sia
destinata a trasformarsi automaticamente in qualità” GLOSSARIO
[Jaron Lanier,You Are Not a Gadget: a Manifesto, 2010].
#Gilda35 - progetto collettivo sviluppato su Twitter,
Eppure Wikipedia, uno strumento basato sul folle assunto che promuove una riflessione critica sull’antropologia
che a botte di riediting si giungerà alla “Verità”, ha sosti- post-umana introdotta dalle nuove tecnologie. Spesso
tuito presso la totalità degli utenti di internet le enciclopedie il progetto effettua delle performance dadaiste chiamate
tradizionali. Se dietro l’informazione che stiamo cercando c’è “sabotaggi carini e coccolosi”. Per maggiori informazioni:
un serio Istituto Enciclopedico composto da esperti di ogni http://gilda35.com/ e http://jovanz74.splinder.com/
disciplina, o un simpatico “dilettante” (come il sottoscritto),
che nel tempo libero mette a fattor comune le proprie compe- Bimbominkia - giovane utente di Social Network, sprov-
tenze, per noi ormai non fa alcuna differenza. L’importante visto della minima netiquette e spesso molesto (gergo
è che la Nuvola Computazione ci spari l’informazione che degli internauti italiani).
cerchiamo in modo efficiente.
Fail Whale - i server di Twitter talvolta vanno in “soffe-
La Fine dei Tempi renza” quando il volume dei tweet mondiali per massa
In effetti quello che vedo circolare nel web 2.0 odierno mi e frequenza è eccessivamente elevato. Ciò comporta
sembra un embrione della Biblioteca di Babele di Borges. blocchi temporanei, improvvise sparizioni di followers/
Come le “stanze esagonali” della Biblioteca di Babele quella following, cancellazione di tweet vecchi.
che una volta era una “Web/Rete” sta divenendo una “Grid”
in cui tutto è connesso. Ogni singolo smartphone, PC, Cloud computing - un insieme di tecnologie infor-
laptop, console è connesso alla Cloud fornendo e restituendo matiche che permettono l’utilizzo di risorse hardware
informazioni di continuo. La struttura è modulare come nella (storage, CPU) o software distribuite in remoto”
Biblioteca di Babele, che nel racconto si sviluppa come (Wikipedia). In pratica tutto quello che fate tramite posta
un infinito frattale di moduli tutti identici a sé stessi. E la elettronica, social network, Google, ecc… avviene tramite
Cloud/Biblioteca si espande di continuo con server l’utilizzo delle nuvole computazionali.
capaci di generare ogni giorno maggiore memoria
fisica, come un universo in continua espansione: Jaron Lanier (New York, 3 maggio 1960) è uno svilup-
dal byte, al kylobyte, al megabyte, al gigabyte, al patore, artista e compositore statunitense. È considerato
terabyte… il padre della Realtà Virtuale. Autore tra l’altro del libro Tu
E come nella Biblioteca di Babele i testi ogni giorno di più non sei un Gadget, una riflessione critica sull’evoluzione
paiono autogenerati da qualche misteriosa Entità (la Mente del web 2.0.
Alveare di Lanier, o come lo chiamiamo noi di #Gilda35
Tecnonucleo, riprendendo una felice definizione di Hyperion
di Dan Simmons). Il ruolo dell’autore è depotenziato,
si è smarrito nel passaggio dal Libro alla Nuvola.
Mi chiedo, dopo 50 anni di mash-up, di riediting,
di interpolazioni, di “quote”, di cancellazioni,
creatività

I
di Francesca Pellegrini
l numero otto fa venire alla mente diverse suggestioni: innanzitutto è un
numero esteticamente affascinante, un giro di curve ripiegate su
se stesse, che creano un infinito ripetersi di movimento.
Decisamente bello. Anche il suono non è niente male: “otto” è imme-
diato, diretto, perentorio. Come nome proprio, poi, richiama atmosfere
nordiche e personalità imponenti, dal politico tedesco Otto Von Bismarck
all’architetto austriaco Otto Wagner.
Poi c’è il fascino della simbologia legata al numero otto: in Cina è il numero degli
immortali, per i buddisti è un numero sacro perché otto sono i petali del loto.
Un elemento che colpisce solo a un secondo livello di analisi (pur essendo
evidentemente davanti ai nostri occhi!), e che poco ha a che fare con simboli e
bellezza del suono, è la natura palindromica della parola otto.

Innanzitutto, cos’è un palindromo? Dicesi palindromo ogni “parola, frase,


verso o cifra che possono essere letti da sinistra a destra e anche
viceversa”. Ovvero, otto da qualunque verso lo si legga, rimane un otto. Anna
è un nome palindromo, ossesso è una parola palindroma.
Il 2002 è stato un anno palindromo, e ancora meglio, il
01/02/2010 è stato un giorno palindromo! Se iniziamo a
ragionare su quanto ci sia di palindromico nel mondo che
ci circonda, c’è da rimanere davvero sorpresi.
È un esercizio divertente, ai limiti dello straniamento:
se ci si immerge nella ricerca di parole, cifre o anche
immagini perfettamente specchiabili e identiche a se
stesse da qualunque punto di vista le si guardi, c’è da
perdere giornate intere!
Si comincia dal ricercare nelle targhe delle automobili in
coda nel traffico elementi palindromi, poi si cerca di far
cadere – casualmente o no – l’occhio sull’orologio per
sorprendere un orario palindromo (le 12:21? Le 20:02?),
poi ci si ritrova a scervellarsi per ideare la frase palindroma
più lunga del mondo.
Per la cronaca, pare che la parola palindroma più
lunga del mondo sia finnica: Saippuakivikauppias,
ovvero “venditore di sapone”.
C’è anche un illustre neologismo palindromo che, come

© FIAT
riporta lo stesso Oxford Dictionary, è stato ideato da James
Joyce nell’Ulysse (1922): un “tattarrattat” che indica una
sonora bussata alla porta.
Quanto alle frasi più lunghe, la lista sembra essere assai più
folta di quanto si possa immaginare. Tra i casi più estremi
ci sono le creazioni di un tal Peter Norvig, autore di un
paio di “non-sense sentences” composte rispettivamente
da 15.139 e 17.259 parole, accostate tra di loro senza un
senso compiuto ma assolutamente leggibili dall’inizio alla
fine o dalla fine all’inizio (le frasi non vengono riportate
per ovvi motivi di spazio!).

Al fascino di utilizzare – o far ritrovare più o meno casual-


mente – termini, cifre o anche immagini palindrome nel
mondo che ci circonda non poteva certo rimanere immune
chi con le parole gioca costantemente, con l’obiettivo di
destare l’attenzione del suo pubblico e di innescare mecca-
nismi di memorizzazione sempre più potenti e originali.
Si parla di pubblicitari: quei creativi che si divertono a
manipolare il linguaggio per stupire, prima di tutto il cliente
di turno e, conseguentemente, il target di riferimento. applicati all’automobile. Nei diversi soggetti realizzati per
Gironzolando qua e là, sono venuti fuori dei casi di adver- la campagna, troneggiava una stentorea frase palindroma al
tising palindromo davvero interessanti. centro della pagina, apparentemente poco legata al settore
Non sono, a dire il vero, molto numerosi: ma, del resto, se automotive, ma logicamente ben connessa all’obiettivo della
fossero quantitativamente rilevanti, forse perderebbero il loro campagna. Ciò che va bene in un senso, va bene anche all’in-
fascino e desterebbero meno curiosità di quanto non riescano verso. La Fiat Idea offre le medesime prestazioni di sicurezza
a fare. Vale, in un certo senso, il detto: pochi ma buoni. sia che la si guidi nel senso di marcia, che nel senso opposto.
Missione compiuta.
C’è una campagna realizzata dall’agenzia Leo Burnett Brasil
di San Paolo nel settembre 2009 per l’italiana Fiat. Il brand Proprio perché i casi di advertising palindromo, puramente
da lanciare era la Fiat Idea, nello specifico un modello basati sul copy e sui giochi di parole, non siano numerosis-
della Idea dotato di sensori di parcheggio. L’headline della simi, ha destato non pochi dubbi il fatto che, praticamente
campagna stampa recitava (nella traduzione inglese): nello stesso periodo, due creativi dell’agenzia svizzera Jung
“Going forward or backward, it’s all the same”, von Matt/Limmat, Zurich, abbiano partorito una campagna
a indicare l’estrema sicurezza del sistema di sensori per Mercedes Benz assolutamente gemella della
creatività
© Mecedes Benz

campagna di Leo Burnett per Fiat. Headline molto simile copy a essere strutturato in modo “specchiato”, è comunque
(“Backwards as well as forward”), significato altret- interessante il legame tra il concetto di reversibilità testuale
tanto affine. Il fascino del palindromo ha colpito ancora. e l’obiettivo della campagna: la promozione di un servizio
di trasferimento internazionale di denaro. Headline: “The
E per concludere questa mini-carrellata nel mondo della fastest, most reliable way to receive money from
pubblicità, cambiando settore merceologico e allonta- abroad is now also the fastest, most reliable way to
nando, in questo caso, potenziali accuse di plagio, ecco una send money abroad”. Chiaro ed efficace.
campagna realizzata nel 2008 dall’agenzia dentsuINDIO nelle
Filippine per Western Union. Anche se in questo caso non Rimanendo nel settore dell’immagine e tornando all’uso
viene realizzato un vero palindromo, ma è la resa grafica del più puro dei palindromi, ci sono nel mondo alcuni
© Western Union
brand e marchi famosi che devono in un certo senso il

© YamamaY, Elle, Honda, Axa, Aviva, Tnt, Xanax


successo del loro nome anche alla sua natura palindro-
mica, che li rende di facile memorizzazione e armonici e
musicali alla vista. Qualche esempio?

YamamaY, brand di biancheria intima


Elle, rivista femminile
Honda Civic, automotive
Axa e Aviva, settore assicurazioni
Tnt, express courier
Xanax, antidepressivo (settore medicale)

Insomma, a guardarci intorno sembra che il mondo che ci


circonda sia popolato da elementi perfettamente specchiabili
e replicabili da qualunque punto di vista li si osservi. Date, una parola che non esiste, nata per gioco (essendo essa
nomi di persona (chi non ha mai conosciuto una ragazza di stessa un palindromo) sul web dalla tastiera e dalla mente
nome Ada, non ha sentito nominare l’intellettuale Asor Rosa di qualche creativo. Bene, dopo 7 anni pare che il termine,
o ascoltato un disco di Bob Dylan?), marchi, orari, targhe ormai citato su autorevoli riviste di psicologia e entrato a
automobilistiche, persino località dal nome palindromo. E pieno titolo nell’universo della conoscenza condivisa grazie
sembra che il potere comunicativo di questo gioco realizzato a Wikipedia, sia in lizza per essere inserito nel dizio-
con le parole sia estremamente interessante e ancora poco nario Zingarelli. Più viral di così si muore! (Per approfon-
“stressato” in termini di advertising. In un momento come dire la vicenda, http://bit.ly/hR1ju7)
questo, poi, in cui ciò che è comunicativamente
efficace è solo (o prevalentemente) ciò che più Che i palindromi, dunque, proprio come il numero otto, siano
facilmente e velocemente passa di bocca in bocca, ammalianti e pieni di fascino, non è in discussione. Forse la
diventando virale, potrebbe risultare interessante loro seduzione è insita nell’estremo equilibrio che
un ritorno al potere della parola (scritta o parlata) rappresentano, quell’equilibrio di cui siamo alla
sull’immagine. Se poi questa parola ha in sé un forte continua ricerca. È la distinzione tra ciò che è reversibile
elemento di mistero e un alone criptico – enigmatico, l’effi- e ciò che non lo è, proprio come il palindromo “I topi non
cacia potrebbe essere amplificata e amplificata e amplificata. avevano nipoti” che la piccola Claudia spiega al padre Pietro
in una scena intensa del film “Caos Calmo”.
Tanto per rimanere in tema di palindromi e per dimostrare
il forte potere virale che la parola può assumere sul web,
ecco un piccolo ma esemplificativo racconto molto para-
digmatico. L’enigmista e scrittore Stefano Bartezzaghi
(maestro dei giochi di e con le parole), nella sua rubrica su
La Repubblica dal titolo “Lessico e Nuvole”, racconta che
inconsapevolmente è diventato, grazie alla rivista di enig-
mistica Penombra, il progenitore di un neologismo
solo perché, nel 2003, l’aveva citato in un suo articolo (su
suggerimento, tra l’altro, di un lettore). Il termine, guarda
caso, è aibofobia, ovvero la paura dei palindromi:
WWF
“L’ORA DELLA TERRA…
E OLTRE”
Il più grande
spegnimento globale

S
abato 26 marzo torna l’Ora della scegliendo e “inventando” stili di vita che fanno bene al
Terra del WWF, la più grande mobi- pianeta, e partecipando alle moltissime iniziative che la sera
litazione per il pianeta mai organiz- del 26 marzo saranno organizzate in tutta Italia: eventi di
zata, che nel 2010 ha spento le luci di piazza nelle principali città, cene a lume di candela, visite
1200 tra i monumenti più famosi del notturne nelle Oasi WWF, osservazioni delle stelle, concerti,
mondo, da Fontana di Trevi e Tour spettacoli e iniziative di ogni genere. Appuntamento quindi
Eiffel, fino alle Piramidi egiziane e alla per il giro del mondo a luci spente il 26 marzo, dalle
Città Proibita di Pechino, coinvol- 20.30 alle 21.30, in tutta Italia. Se vivi su questo
gendo oltre un miliardo di persone, pianeta non può mancare!
migliaia di imprese, istituzioni e
comunità in 4500 città e 128 Paesi, testimonial come All’Ora della Terra 2011 ha già aderito l’Associazione
Francesco Totti, Gisele Bundchen e il Nobel per la Nazionale Comuni Italia (ANCI), mentre Ikea rilancerà
pace Desmond Tutu, e ricevendo il plauso del segretario negli store e nelle piazze italiane la “bulb box”, speciale
generale delle Nazioni Unite Ban ki Moon. scatola promossa in collaborazione con il WWF Italia e il
consorzio RAEE Ecolight, per raccogliere le lampadine a
Dopo aver spento praticamente il mondo intero, l’edizione basso consumo usate e procedere al loro corretto smal-
2011 vuole andare oltre, e sotto il segno del nuovo timento e recupero. All’iniziativa speciale per le imprese
logo “60+” chiede a tutti non solo di spegnere simbolica- “Una candela per il pianeta” ha aderito anche Electrolux,
mente le luci per un’ora, ma di intraprendere azioni “verdi” Epson, Sofidel, Sony e Tetra Pak che distribuiranno
che durino una vita intera, rendendo sempre più concreto ai propri dipendenti, partner e clienti delle candele con cui
il messaggio che la comunità globale dell’Ora della Terra illuminare la propria “ora di buio”.
lancia ogni anno con più forza: se vogliamo dare al mondo
un futuro migliore, dobbiamo trasformare le nostre
società, tagliare le emissioni inquinanti per vincere la sfida
dei cambiamenti climatici, e perseguire un’economia nuova,
rispettosa degli equilibri del pianeta e di gran lunga vantag- IDENTIKIT DELL’EVENTO
giosa anche per il benessere dell’uomo.
Quando: il 26 marzo dalle 20.30 alle 21.30
Ci sono scuole che installano pannelli solari, Comuni che Dove: in tutto il mondo, in decine di piazze italiane, nelle
rendono efficienti gli edifici pubblici e ripensano il sistema case, negli uffici, nelle sedi istituzionali
dei trasporti, famiglie che rinunciano all’auto o alla carne Chi: centinaia di milioni di persone
almeno un giorno a settimana e riducono i propri rifiuti a Cosa: spengono le luci di monumenti e luoghi simbolo + si
pochi sacchetti all’anno, imprese che cambiano filiera per impegnano a “cambiare vita” per il pianeta
ridurre le proprie emissioni. Ogni piccola o grande azione Perchè: per dire a gran voce che il mondo vuole un futuro
in più, moltiplicata per centinaia di milioni, ha il potere di sostenibile ed è pronto a realizzarlo
cambiare il mondo e in molte realtà, anche italiane, questo
cambiamento sta già avvenendo.

Per questo il WWF invita tutti, cittadini, istituzioni,


imprese, scuole, a unirsi a questo grande movimento
globale, aderendo sul sito www.wwf.it/oradellaterra,
culture

S
di Tonia Basco
ebbene sia la Germania la nazione che conta il maggior
numero di signor Otto, anche nel nostro bel paese può
capitare di incontrarne uno. Popolo di “Giuseppe” e “Maria”,
gli italiani amano prendere in prestito i nomi stranieri per il
gusto di esibire “un’aria internazionale” e, tra le alternative, non
poteva mancare quest’opzione tipicamente tedesca. Tuttavia,
se è vero che ci piace portare il nome di un grande artista di
Hollywood o del nostro fiore preferito, è probabile che siamo
ancora restii a chiamarci con quello che da noi è pur sempre il
numero compreso tra il sette e il nove. Le stime ne sono una
prova: secondo il portale nomix, i signor Otto, residenti soprattutto nel
Nord e nel Centro, rappresentano solo lo 0,0014% della popolazione
italiana (pari a circa 840 persone). Dovremmo aggiungere anche coloro che
hanno preferito una variante e che pertanto si chiamano Oddo, Oddone, Odino o
Ottone, ma la sostanza non cambia: ad apprezzare di più il nome resterebbero
comunque gli olandesi, gli americani, i canadesi e i danesi.

Diverse tradizioni e motivazioni si celano dietro la diffusione dell’Otto e delle


sue versioni. Oddo e Oddone devono la loro fama al culto di S. Oddone abate
di Cluny, Ottone al prestigio di quattro Imperatori di Germania, Odino alla vene-
razione dell’omonima divinità. Di origine tedesca, Otto deriva dall’antico
sassone athad, che vuol dire “proprietario, colui che possiede”: signi-
fica, pertanto, ricco, potente. Se volessimo stilarne un simpatico “identikit”
scopriremo che il suo numero portafortuna è il 3 e che gli vengono
associati il rosso, il rubino e il mercurio. Ma le interpretazioni dei nomi
scavano più a fondo, fino a individuare i tratti distintivi della
personalità di chi, certo non per scelta, si trova a portarne il
fardello: una sorta di “dimmi come ti chiami e ti dirò chi sei”.
Se pensiamo al signor Otto possiamo allora immaginare un
uomo “dolce ma anche arrogante, scaltro ma anche
violento…un miscuglio intrigante”. Ho deciso di diver-
tirmi a scoprire quanto ci sia di vero dietro questo “stereo-
tipo”, a rintracciare nei personaggi del passato la sua radice.

Sfogliando i capitoli della storia, molte pagine vedono tra


i protagonisti herrgott Otto che si sono fatti notare per le
loro “performance belliche”. Questo nome sembra cioè
accomunare veri e propri guerriglieri: pensiamo, ad
esempio, al pluridecorato tenente tedesco Otto Carius,
famoso per aver distrutto più di 150 carri armati nemici
durante la Seconda Guerra Mondiale. Nato nel 1922, iniziò la
sua brillante carriera militare come fante e nel ’43 fu alla guida
dell’unità Panzer “Tigre”, prima a Leningrado e poi in Estonia.
Il Tigre era il carro armato tedesco più famoso, simbolo della
supremazia tecnologica raggiunta dalla Germania nel campo
delle truppe corazzate. Riconoscibile per la sua potenza e la
sua sagoma inconfondibile, è stato uno dei mezzi militari che
ha terrorizzato di più gli Alleati, tanto da meritarsi il titolo di
“Re del campo di battaglia”. E Otto Carius fu così abile nel
“domare le tigri” da collocarsi in terza posizione nella
classifica degli assi dei Panzer tedeschi. Il suo libro
di memorie, “Tiger in schlamm” (Tigri nel fango), ha ispi-
rato la realizzazione di un manga di Hayao Miyazaki, che,
in sei episodi disegnati ad acquerello, ricostruisce minuzio-
samente le imprese in Estonia della compagnia capitanata
da Carius. Tuttavia non credo che sia possibile riproporre
con altrettanta cura le sensazioni che agitavano l’animo di
chi udiva arrivare il tenente e le sue tigri: “il rumore prodotto
dal Tigre, dal suo motore e dai suoi cingoli, era qualcosa che successo superiore alle loro stesse aspettative e costrinsero
ti gelava il sangue nelle vene. Quando sapevamo che nella i nostri soldati a una ritirata che assunse l’aspetto di una fuga
nostra zona c’erano mezzi di questo tipo semplicemente ci disordinata: dall’Isonzo fino al Tagliamento e poi al Piave,
ritenevamo già morti” (dal racconto di un carrista britannico). prigionieri, munizioni e viveri finirono nelle mani di von
Below e dei suoi alleati. Tuttavia anche il successo ha il suo
Anche durante la Prima Guerra Mondiale ritroviamo le gesta lato oscuro: quando la fama della sua impresa iniziò
di un herrgott Otto che ha fatto storia. E questa volta la storia a precederlo, le sue tattiche non ebbero più l’esito
ci riguarda molto da vicino, perché è quella che porta il titolo sperato. Quando, infatti, al comando della 17ª Armata, fu
della “disfatta di Caporetto”. La sanguinosa ritirata oltre incaricato di sconfiggere le truppe britanniche nella grande
il Piave dei nostri soldati sotto l’attacco dell’esercito austro- offensiva di primavera, ci si aspettava un nuovo Caporetto,
ungarico rappresenta, infatti, il maggior successo militare del ma l’eco della disfatta italiana servì a mettere in allarme i
generale tedesco Otto von Below. Classe 1857, partecipò a soldati britannici e a dare loro la possibilità di mettere a
diverse battaglie della prima grande guerra fino a diventare punto un adeguato piano difensivo.
comandante supremo sul fronte italiano. Al comando della
14ª Armata, l’abile generale introdusse nuovi procedimenti Numerose sono state le onorificenze conquistate sia da
tattici sconosciuti all’esercito italiano: sfruttando l’effetto Carius, sia da von Below a testimonianza della loro capacità
sorpresa e la tattica dell’infiltrazione, guidò quell’offensiva nel dirigere i conflitti. Non è da meno Otto Gille, generale
che, denominata “Waffentreue” (“Fedeltà d’Armi”), rappre- tedesco che si distinse per il suo coraggio durante la Prima
sentò una vera catastrofe per gli uomini di Cadorna. Con un Guerra Mondiale e che fu il membro più decorato del Waffen
attacco “silenzioso” - basato su un ampio uso di gas venefici SS durante la Seconda. Ammirato dai suoi uomini e rispet-
piuttosto che di armi da fuoco – i nostri nemici ottennero un tato per le sue abilità tattiche, la sua carriera militare gli
culture

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è valsa la consegna di importanti onorificenze, quali la Croce

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di Ferro, la Croce d’Onore, la Croce di Cavaliere. Anche Otto
Skorzeny decorò la sua divisa con la Croce di Cavaliere: la
ottenne per aver partecipato alla liberazione di Mussolini.
Inviato dal comandante Himmler ad aiutare il generale
Student nella cosiddetta Operazione Eiche, ne assicurò la
riuscita sfruttando un’idea astuta: portò con sé il generale
Soleti che, fattosi riconoscere dai carabinieri che presidia-
vano la fortezza del Gran Sasso, garantì la liberazione del
duce senza alcun ostacolo.

Tra i personaggi che ho incontrato in questo piccolo viaggio,


c’è anche chi ha fatto “la guerra alla guerra”. È il caso di Otto
Dix, che, spinto da una idea romantica del conflitto, partì
con entusiasmo come volontario durante la Prima Guerra
Mondiale. Si arruolò con l’esercito tedesco in qualità di
sottoufficiale e combatté sia sul fronte occidentale, sia su
quello orientale, ricevendo onorificenze; tuttavia l’esperienza
bellica vissuta in prima persona si rivelò tutt’altro che un

© Wikimedia.org
gioco, segnando a tal punto l’animo di Dix da farlo tornare da
convinto pacifista. Ha iniziato così un’altra battaglia, questa
volta ideologica, senza l’uso di fucili: una battaglia anti-
militarista, combattuta con la forza delle immagini.
Con un realismo crudo e impietoso, uno stile narrativo e
carico di significati simbolici, ha usato l’arte per denun-
ciare la crudeltà della guerra e la degenerazione
di molti ambienti sociali. Una violenta critica che ha
espresso raffigurando soldati sfigurati e mutilati nelle trincee
e nei campi di battaglia, cinici cabaret e bordelli, volti cupi
e perversi: “Otto Dix, ovvero quando l’ arte risponde con la
violenza del segno e delle immagini alla violenza della guerra
e della società”. La sua “tattica” gli è costata anni di prigionia
durante il nazismo e il titolo di “artista degenerato”, con la
conseguenza di non poter più esporre le sue opere, alcune
delle quali furono addirittura bruciate.

Dunque: Otto, un nome da guerriglieri? Forse si, ma a questo


punto possiamo considerare “armi” diverse. C’è chi lotta
con i carri armati, chi usa il potere delle immagini. © forbes.com
Ma la forza, la determinazione pare una costante:
come spiegare altrimenti ben tre circumnavigazioni del globo
effettuate dall’ufficiale russo Otto von Kotzebue? Un nome
forte, in sostanza, per uomini altrettanto forti.

Astuti e belligeranti, questi signor Otto sono indubbiamente


abili nei campi di battaglia, ma non dimentichiamo il “lato
ricco” del nome. Si chiama Michael, ma di cognome
fa Otto l’uomo che occupa la 23ª posizione nella
classifica dei più ricchi del mondo: a capo della
Otto Gmbh e con un patrimonio pari a circa 13,2
milioni di dollari, corrisponde senza dubbio all’im-
magine di “colui che possiede”. Se fosse sufficiente
anche solo il cognome, non ci penserei due volte: farei un
salto all’anagrafe!
comunicazione

appunti sull’espressione
all’ombra del grande numero

S
di Pasquale Napolitano
ul ‘68 in quanto temperie politico-culturale regna una insoppor-
tabile retorica piccolo-borghese del genere “come eravamo”,
esercitata senza scampo e in ogni sede dall’establishment
piccola e grande del paese.
Vedere la classe egemone, quella che ha deciso di non rispet-
tare alcun patto sociale né generazionale, mitizzare i propri
piccoli e talvolta grandi riti giovanili rende – agli occhi di un
trentenne di formazione provinciale fuori dai salotti – questo un
periodo elitario e odioso, una palestra di conservazione.
Fortunatamente, il ‘68 invece è stato anche moltissimo
altro, un periodo davvero fertile, come spesso accade quando cova un reale senso
di cambiamento. Mi limito, tra le “n” possibili, ad individuare tre categorie rela-
tive alla sperimentazione audio-visiva sviluppatesi in quel mitico anno.

1. Concetti e Moduli
Profetico il titolo della Triennale di Milano a cura di Giancarlo De
Carlo: Il grande Numero, a voler testimoniare una rinnovata attenzione del
mondo del progetto alle masse, intese nuovamente come soggetto
sociale, a tal proposito una delle innovazioni più affascinanti scaturite dalla
Triennale fu l’introduzione della modularità nella costruzione degli oggetti quoti-
diani, per consentire un alto grado di personalizzazione e contemporaneamente un
abbattimento dei costi, in particolare grazie all’opera di designer come il napole-
tano Enzo Mari oppure Piero Gatti, Cesare Paolini e Franco Teodoro, autori della
leggendaria poltrona Sacco.

L’importante, in questi progetti, risulta essere “la matrice”, l’insieme di regole che
permettono di generare l’opera o più semplicemente di pensarla. Ne deriva che in
tal modo il linguaggio, la descrizione, il documento possono sostitu-
irsi all’oggetto, dissolvendo al tempo stesso la complessa e discussa
nozione di “originale”. Aspetto questo di particolare interesse nell’ambito
dell’arte. È il caso degli artisti del movimento concettuale “L’arte è per sua natura “interattiva” in quanto comporta
come Sol Lewitt, Joseph Kosuth e Joseph Beuys per cui l’arte sempre una relazione che si stabilisce tra artista opera e spet-
non può che essere concettuale, in quanto la sua vera natura tatore; l’opera è sempre un rapporto e crea rapporti” [Silvana
sta proprio nella sua definizione. Vassallo e Andreina Di Brino, 2003]
Ciò ha portato Kosuth all’atteggiamento radicale dell’elimi-
nazione di ogni manifestazione sensibile dell’oggetto d’arte Situazioni, azioni, eventi, ricerche di nuove e diverse modalità
a vantaggio delle sole “proposizioni”. della comunicazione estetica, passando per i mondi dell’hap-
Tale atteggiamento è il culmine di un processo tendente alla pening, della performance, della “body art”, l’installazione,
dematerializzazione dell’oggetto. Scrive Kosuth: “Con impongono un’interazione di tipo nuovo che avviene
l’unassisted ready-made di Duchamp, l’arte ha cambiato il in diretta e in tempo reale e che configura un’espe-
suo obiettivo dalla forma del linguaggio a ciò che è detto. Ciò rienza sinestetica sempre più complessa e totale.
ha significato spostare la natura dell’arte da un problema di La molteplicità di rimandi tra il corpo dell’artista e quello dello
morfologia a un problema di funzione. Questo cambiamento, spettatore, si propone nella videoarte, in molti modi diversi.
dall’apparenza al concetto, ha significato l’inizio dell’arte Non a caso tra gli iniziali impieghi della telecamera emerge
moderna e dell’arte concettuale. Il valore dei singoli artisti la registrazione di azioni e performance, sia tradizionalmente
dopo Duchamp può essere stabilito in base a quanto essi si svolte di fronte al pubblico, che quelle pensate e condotte
interrogarono intorno alla natura dell’arte; il che equivale a in un solipsistico rapporto con l’occhio artificiale della
dire cosa essi aggiunsero al concetto di arte, o cosa mancava telecamera: “la ripresa di azioni concepite espressamente
prima che essi iniziassero. Qual è la funzione dell’arte o la per essere registrate, mentre trasfonde l’evento performativo
natura dell’arte? Se noi manteniamo la nostra analogia nel linguaggio fluido del videotape, realizza un processo di
fra le forme che l’arte assume e il linguaggio si può modificazione delle relazioni tra osservato e osservatore”
comprendere come un’opera d’arte sia una specie (Vassallo, Di Brino, 2003).
di ‘proposizione’ presentata nel contesto dell’arte
come un commento sull’arte” (Kosuth,1968). La molteplicità di sollecitazioni sensoriali impostate sull’al-
terazione della percezione del proprio essere nello spazio e
2. Interazioni e documentazioni del tempo si incontra inoltre nelle prime video-installa-
Una questione cruciale, che serpeggia non solo zioni all’interno delle quali lo spettatore è coinvolto
all’interno della temperie politica è quella relativa fisicamente, costretto a reagire e a modificare il proprio
al coinvolgimento, alla condivisione, alla parteci- comportamento. Video Corridors di Bruce Nauman, è la
pazione e alle pratiche dal basso. Tutto questo chiara- prima video-installazione interattiva che la storia si ricorsi
mente invade le pratiche artistiche ed espressive. [siamo proprio nel 1968].

© Flickr-by procsilas
comunicazione
© Flickr-by access.denied
comunicazione In essa lo spettatore entra all’interno di un corridoio e vede
la sua immagine di schiena e rimpicciolita man mano che
si avvicina alla telecamera, trovandosi catapultato in una
situazione di spaesamento); basata su una dislocazione di
tecnologie televisive varie nello spazio espositivo, la video-
installazione mette in gioco come elemento fondamentale
dell’opera il luogo fisico in cui essa si svolge.
In virtù del potere illusionistico dell’immagine televisiva,
le coordinate spazio temporali dell’ambiente subiscono
profonde modificazioni, si trasformano cosi’ le regole tradi-
zionali della rappresentazione, sovvertendole dall’interno.

Numerose altre opere hanno poi adottato una serie di


varianti sul tema dello spiazzamento dell’osserva-
tore tra un “dopo” o un “prima”, tra vicino e lontano,
tra interno e esterno, tra presenza e assenza.
Tra le più celebri gli ambienti di Les Levine, di Frank Gillette
© Flickr-by 16 Miles of String
e Ira Schneider e di Peter Campus e numerose altre esal-
tanti esperienze di pochi anni successive. Nel 1968 è
anche presentata alla Biennale di Venezia Il Grande Vetro,
ultima istallazione di Duchamp, composta da due enormi
lastre di vetro (277 x 176 cm) che racchiudono lamine
di metallo dipinto, polvere, e fili di piombo. Un work in
progress enigmatico manifesto dell’opera aperta. “Il Grande
Vetro è la più importante opera singola che abbia mai
fatto” (Marcel Duchamp).
BOX: Nam June Paik crea, nel 1974, la video-installazione
“TV Garden”, all’interno della quale numerosi televisori con lo
schermo rivolto verso l’alto diffondono immagini montate in
modo da generare un mix disorientante di astratto e concreto.
Lo spazio virtuale creato dai monitor funziona soltanto
nel momento in cui lo spettatore ne varca la soglia, egli
è quindi determinante per la riuscita di un’opera che si
presenta “in fieri”. L’opera vera e propria consiste perciò
nella situazione che si viene a configurare, via via differente
© Wikimedia.org a seconda delle reazioni dello spettatore, che viene perciò

© Wikimedia.org
utilizzato dall’artista come “materiale” del proprio lavoro. collezione privata, o nel museo, aveva una circolazione solo
L’inserimento del corpo dello spettatore all’interno delle attraverso la riproduzione (Salvatori 1977).
video-installazioni, infine, offre la possibilità di un confronto “Con le pratiche della Land Art e la visione “minima-
tra il tempo reale e quello registrato. lista” dell’arte di questo tempo questa visione di tesau-
Sempre il fruitore dell’opera è il protagonista nella video- rizzazione dell’opera va in crisi. L’evento artistico deve
installazione “Present Continuous Past” (1974) di Dan sottostare a quello che Duchamp ha chiamato l’“effetto
Graham,qui si sperimenta lo smarrimento di vedersi attra- istantaneo”, l’incontro simultaneo tra l’artista e le condizioni
verso lo sguardo dell’altro tramite un gioco di monitor e oggettive del suo lavoro”.
specchi che determinano una sorta di sdoppiamento del
corpo dello spettatore. Il movimento degli anni ’60 Earthwork, o Land art, portò
questo interessamento alla terra su nuove strade. Placid
3. Ambienti: Land Art e Earthwork Civic Monument (1967) di Claes Oldenburg, un buco nel
Un aspetto spesso ingiustamente relegato all’impronta terreno scavato in Central Park a New York, è considerata
“freak” del ‘68 è quello di una sorta di primitivismo che si la prima opera di Earthwork; poi venne l’opera di Robert
traduce concretamente in una riscoperta del rapporto tra Smithson A Non-site nel 1968 in cui egli collocò della sabbia
uomo e ambiente. Il 1968 in termini artistici è l’anno proveniente da un sito di Pine Barrens, nel New Jersey, in una
dell’arte ambientale. galleria, e continuò la sua opera in serie, sistemando cumuli
L’espressione, così come i sinonimi Earth Art o Earth Work, si di suolo proveniente da vari luoghi all’aperto come installa-
afferma negli Usa alla fine del decennio 1960-1970 per desi- zioni in gallerie. Hans Haacke fece crescere dell’erba nella
gnare le ricerche “operative” impegnate in diretti interventi galleria di un museo in Grass Grows (1969) in Fog Flooding
sul paesaggio e sulla natura. Erosion, inondò dell’erba con degli aspersori a voler replicare
La sua consacrazione ufficiale avviene nel 1968 in occasione il processo d’erosione del suolo.
della mostra alla Cornell University di Ithaca in cui vengono Degna di nota anche l’opera dell’italiano De Maria Two
esposte le tracce di un’idea di intervento sul paesaggio dal Parallel lines (fatta di gesso, che correva per un miglio lungo
carattere fortemente concettuale. È dal principio che l’esi- il deserto del Nevada, realizzata fino nel 1968).
stenza di tale forma espressiva è strettamente collegata Earthwork divenne la logica estensione della ricerca dell’arte
al video, in quanto quasi sempre gli interventi sono stati oltre le mura delle gallerie e dei musei, e della ricerca di altri
soggetti a forme di documentazione. materiali oltre la tela. L’arte poteva essere “ambiente”
piuttosto che oggetto.
La Land Art, si propone di agire con intenzioni estetiche
sul paesaggio per produrre un mutamento nella sua strut-
tura, estetizzandone i risultati, assumendo come materiale Per approfondire
di lavoro quei luoghi in cui instaurare una con-fusione tra »» Dorfles, G. (2001), Ultime tendenze nell’arte d’oggi. Dall’in-
naturale e artificiale. Al fondo delle motivazioni della Land formale al neo-oggettuale, Feltrinelli, Milano
Art si trovano spesso istanze ecologiste. »» Kosuth, J., (1968), “Art after Philosophy”, in Studio
Secondo Dorfles essa interviene sulla natura “non in International
modo edonistico e ornamentale ma per quello che »» Vassallo, S., Di Brino A., (2003) in “Arte tra azione e
potremmo definire una presa di coscienza dell’in- contemplazione. L’interattività nelle ricerche artistiche”, ETS,
tervento dell’uomo su elementi che presentano Pisa
un ordine naturale e che, da tale intervento, sono »» Salvadori F., (a cura di) (1977), “Gli art/tapes dell’ASAC.
sconvolti ed incrinati” [Dorfles, 2001 p. 46]. Rassegna di videotapes d’arte su grande schermo, con una
sezione di videointerventi di gruppi autonomi”, La Biennale
Un altro aspetto rilevante, è rappresentato dal fatto che in di Venezia, Venezia
questo periodo gli artisti iniziano a sentire il bisogno di »» Celant G., (2008) “Artmix. Flussi tra arte, architettura, cine-
divincolarsi dagli oppressivi limiti dettati dallo ma, design, moda, musica e televisione”, Feltrinelli, Milano
spazio urbano, ciò determina un diverso rapporto
con il mercato dell’arte.
Come fa notare Salvadori: l’avvento della Land Art porta un
elemento nuovo nel sistema della distribuzione del prodotto
artistico: in un mercato da sempre condizionato dall’ide-
ologia borghese della tesaurizzazione, della ricchezza e
dello spettacolo l’opera d’arte era considerata come bene
di lusso, aveva come punto di riferimento l’oggettività e la
mercificazione del pezzo unico, e, una volta incamerato nella
tecnologie e web

Considerazioni semi-autobiografiche
di un cinefilo dilettante

A
di Claudio Biondi
Napoli, per far fronte alla perenne crisi economica che –
dall’unità d’Italia in poi – affligge quella splendida e dolente
città, alcuni pizzaioli inventarono la “pizza a otto”.
Si trattava di una semplice pizza fritta (la pizzella) che costava
molto meno di quella con mozzarella, olio e pomodoro cotta al
forno e che si poteva pagare anche dopo otto giorni sperando,
nel frattempo, di guadagnare di che onorare il debito.
Ma che cosa hanno in comune la “pizza a otto” e
il “cinema a otto” (a parte l’otto, tema fondamentale di
questo numero di Brand Care)? Apparentemente nulla se
non fosse per le possibilità di facilitazioni economiche che entrambi
consentivano e per un comune, paradossale destino di cui si dirà alla fine.

Con il termine “cinema a otto” ci si riferisce, infatti, al formato 8mm che fu


introdotto sul mercato nel 1932 dalla Kodak, con lo scopo di proporre una
pellicola più economica del 16mm o del “professionale” 35mm. In realtà si trattò,
almeno nei primi tempi, di poco più di un espediente. La pellicola vergine era a
passo 16mm ma, utilizzata in una cinepresa 8mm, consentiva di impressionarne
prima una metà per poi - rivoltando la stessa bobina - impressionare l’altra. Il labo-
ratorio di sviluppo e stampa provvedeva a tagliare il film per tutta la sua lunghezza
così da ottenere un’unica bobina di 8mm. Insomma, una specie di doppio otto,
come si chiamò allora.

Il fatto importante, e in un certo senso rivoluzionario, fu che grazie alla riduzione


dei costi di approvvigionamento della pellicola e di sviluppo e stampa,
il “fare cinema” diventò possibile anche per chi non possedeva ingenti
risorse economiche, così come la pizza a otto napoletana

© Flickr-by dags1974
consentiva di sfamarsi anche a chi non possedeva nemmeno
il soldo per una pizza normale.
Dal mondo della professione, l’attenzione si spostava
al mondo dei consumatori inducendoli a diventare
essi stessi “cineasti”.
Divenne possibile un “fare cinema” casalingo. Nozze, nascite,
primi passi e sorrisi, compleanni e scherzi, il gatto di casa
o il criceto che ruota nel cerchio, furono i soggetti preferiti.
Le vacanze, specialmente se fatte in posti esotici, divennero
una sorta di soggetto must, cui non ci si poteva sottrarre
senza perdere un po’ di prestigio sociale.
Nacque così quel genere di film detto “a passo ridotto”
che, per un verso ebbe importanza fondamentale per la
formazione di tanti autori cinematografici (Monicelli, Moretti,
Farina, Ragazzi, Ragona, per citarne solo alcuni e solo
italiani) e per l’altro contribuì alla delusione di una marea di
dilettanti allo sbaraglio che avevano sognato di raggiungere
la gloria bypassando le pesanti corvée della professione.

Il passaggio dal filmino casalingo all’aspettativa di potersi


“esprimere” (oggi, si direbbe “realizzarsi”) con il

© SXC
tecnologie e web nuovo dispositivo tecnologico fu poi facilitato e nobi-
litato da un articolo di Alexandre Astruc pubblicato nel
marzo del 1948 sull’Ecran Française e intitolato: Naissance
d’une nouvelle avant-garde: la caméra-stylo, che è coram
populi considerato l’antesignano della “politique des
auteurs ” di Truffaut che, a sua volta, diventò il grido
teorico della Nouvelle Vague francese.
L’idea-profezia di Astruc, riassumibile nella possi-
bilità d’esprimere “uno stile flessibile e personale,
in grado di rendere il mondo mentale del regista
come la penna era in grado di rendere il mondo
mentale dello scrittore o del poeta” (da qui l’espres-
sione caméra-stylo cioè cinepresa-penna), affascinò il
mondo eterogeneo – e a suo modo raffinato – delle centinaia
di cinefili, di appassionati spettatori che avevano morso il
freno e storto il naso durante tutti gli anni del fascismo e dei
© SXC famosi “telefoni bianchi”.
Che cosa si aspettavano i fautori della caméra-stylo?
Corrado Farina, uno degli esempi del passaggio dal cinema
amatoriale al professionale, lo confessa apertamente: “Come
passare il tempo tra una sessione di esami e l’altra con un
gruppo di amici, una Paillard a 8 millimetri e un proiettore
Cirse Sound; e soprattutto con l’impudenza di rifare “in casa”
Bergman e Antonioni, 007 e Trilussa, San Francesco e Mickey
Spillane, Dracula e Garcia Lorca, le favole, la fantascienza e
vent’anni di storia italiana”.
Alcuni esempi illustri come l’esordio di Mario Monicelli
che, assieme al cugino Alberto Mondadori, gira in 16mm il
mediometraggio I ragazzi della via Paal (1935) premiato alla
Mostra di Venezia dello stesso anno, sembrano aprire ancor
di più il cuore alla speranza. Bisognerà, però, attendere altri
trent’anni per ritrovare un evento di eguale forza e portata con
Io sono un autarchico di Nanni Moretti (1976).

La realtà è che, a parte i pochi esempi citati – e non tutti dello


© SXC stesso valore emblematico – il mondo dell’8mm resta
confinato tra le mura domestiche, come “album” di
ricordi in movimento. Allo sfogliare pesanti album con la
copertina di cuoio finemente istoriata in basso rilievo in cui
erano appiccicate le foto della figliolanza o del fidanzamento,
si sostituì il rito della proiezione in casa corredato dal rumore
tipico che facevano i “proiettorini” usati allora.
Un rito che fu presto aborrito, perché non solo promet-
teva la noia mortale di guardare per decine e decine di
minuti i padroni di casa intenti a fotografarsi reciproca-
mente sullo sfondo di monumenti di solito fuori fuoco, ma
perché invariabilmente condito dall’invidia di quelli, tra gli
astanti, che non potevano nemmeno sognare di andare a
farsi fotografare di fronte a quei monumenti. Un rito, per
dirla tutta, che assomigliava all’altro – non casalingo ma
dopolavoristico –, quello di assistere a una proiezione de La
corazzata Potëmkin di Sergej Mikhajlovic Ejzenštejn seguita
dall’inevitabile quanto scontato dibattito che terrorizzava i
© Wikimedia.org vari Fracchia dei nostri ministeri.
Siamo a metà del secolo scorso. L’Europa è uscita dalla

© Wikimedia.org
Seconda Guerra Mondiale con le ossa rotte. Un vento nuovo
agita gli animi e la forza della speranza diventa d’obbligo.
Sperare significava anche saper superare ciò che rivestiva le
parvenze dell’impossibile. Sperare significava anche osare,
ribaltare le regole - qualunque esse fossero - visto e conside-
rato che proprio ad alcune di quelle regole poteva imputarsi
la catastrofe appena trascorsa.
Gli anni ’50 hanno avuto – almeno nella mia
memoria – un senso quasi magico, dove tutto
sembrava possibile e a portata di mano. Anche fare
un film. Bastava la fantasia, si diceva. E, soprattutto,
bastava avere il coraggio di disfarsi delle regole. Di qualsiasi
tipo: estetiche, grammaticali, economiche, commerciali.
D’altra parte, anche il cinema-cinema tendeva a disfarsi
delle regole: il neo-realismo, gli attori presi dalla strada,
il fare a meno dei teatri di posa, il racconto della “realtà”
erano elementi tutti che provavano la voglia e la necessità
di sovvertire – o anche solo d’interpretare in altro modo –

© Wikimedia.org
quelle “regole” che sembravano soffocare un desiderio di
libertà pienamente giustificato dopo la prigionia ideologica
sofferta nei decenni precedenti.

Ma il cinema fatto in casa (le film de famille, come lo chiama


Roger Odin) ebbe presto voglia di una platea più vasta e
socialmente più importante dei quattro amici della domenica
o dei parenti stretti, spettatori obtorto collo della “genialità”
di un loro congiunto. Nacquero da questa esigenza tutte
quelle iniziative tese a dare visibilità a quanti s’ingegnavano
a esprimersi con i pochi mezzi che avevano. Primo tra tutti
quel Festival del cinema a passo ridotto organizzato
a Salerno, mia città natale, nel 1946 da un medico salerni-
tano, Ignazio Rossi, cinefilo di razza e di grande cultura, lui
stesso con il pallino del “fare cinema”. Seguirono a ruota: la
nascita (1947) della Parva Film (distaccamento delle Edizioni
Paoline) che, oltre ai filmini amatoriali, iniziò a riciclare e
distribuire film a 35mm riducendoli a 16mm con lo scopo di

© Biondi
allungarne la vita commerciale e allargarne la base di frui-
zione; il Festival del cinema d’amatore a Montecatini (1949);
la FEDIC Federazione Italiana dei Cineclub (1949) sorta dalla
fusione dell’Ente Italiano Cineamatori con la Federazione
Italiana Cineamatori; il Concorso nazionale di Cinematografia
Alpina a passo ridotto a Trento (1952).

Ricordo ancora le discussioni che avevamo, negli anni che


seguirono, con Ignazio Rossi e altri amici cinefili, quando
io, ormai “romano” e “cinematografaro”, tornavo – sempre
più di rado – a Salerno per rivedere mia madre e gli amici
più cari che sentivo sempre più lontani. In genere, queste
discussioni avevano inizio al Vicolo della Neve sotto gli occhi
un po’ faustiani dei personaggi che Clemente Tafuri (1903-
1971) aveva affrescato sulle pareti di quella gloriosa taverna
per – tra noi si spettegolava – pagare i pasti consumati.
Proseguivano poi sul Lungomare avendo come temi
tecnologie e web
principali il cinema “popolare” (Matarazzo e Totò) guardato illusione, cioè che una larga applicazione della caméra-stylo
con sdegno dai miei amici e difeso con inutile fervore da me, di Astruc potesse affrancare in buona parte il cinema dalle
ormai additato come “avvelenato” dai miasmi della Capitale regole economiche e organizzative che ne sorreggono la
e l’8mm, con tutti i suoi addendi tecnici: super8 e 16mm produzione. Per me restava un controsenso quello
e i suoi corollari ideologici quali il montaggio in di voler costruire un grattacielo (così mi appariva
macchina, il piano sequenza, la libertà dalle strut- la realizzazione di un film “vero”) con i fiammiferi
ture e l’evitare le strettoie economiche e soprattutto svedesi usati per accendere il fuoco. E, a distanza di
i dettami del “mercato”. tanti anni, non sono poi tanto sicuro che proprio quell’idea
Parole d’ordine che – a ben vedere – ruotavano tutte attorno di un facile cinema fai-da-te non abbia contribuito a creare
alla maniera di evitare le difficoltà intrinseche presen- tutte quelle condizioni – culturali, ma anche legislative – che
tate dal cinema professionale e che spesso si rifacevano in fin dei conti hanno condannato una cinematografia come
a soluzioni e novità di linguaggio introdotte da grandi quella italiana, geniale nelle idee ma priva di quei mezzi che
autori come Orson Welles (Quarto potere, 1941) e Alfred soltanto un mercato ampio può dare, a un ruolo secondario.
Hitchcock (Nodo alla gola, 1948), soluzioni che con l’8mm Tutto da rifare, come diceva il buon Gino Bartali? Certamente
avevano ben poco a che vedere. no. Il cinema a otto ha indubbiamente contribuito
Montare il film normalmente in moviola costava troppo? molto a diffondere la discussione sul linguaggio
Allora si monti il film in macchina ovvero si girino le cinematografico e a renderla “terreno comune” non
inquadrature che compongono la scena non secondo riservato ai pochi specialisti che scrivevano sulle riviste di
le esigenze di luce o di opportunità, ma già organizzate allora: Bianco e Nero, Cineforum, Filmcritica, ecc.
secondo la successione logica del racconto, così come Oggi, a più di mezzo secolo di distanza, il cinema a otto
nasce abitualmente dopo il lavoro in sala di montaggio. E è considerato giustamente come una riserva documen-
poco importa se per “montare in macchina” si era costretti taria inesauribile, preziosa per la ricostruzione storica
a ritornare più volte nello stesso luogo o più volte filmare del costume di un’epoca e strumento valido ai fini
dallo stesso punto di vista. di una cronaca iconografica.
Il tempo, per questi cineasti improvvisati ma per nulla
ignoranti delle tecniche e del linguaggio cinemato- C’è però un altro aspetto, un altro effetto e non certamente
grafico, aveva poco valore. Era la sola risorsa che secondario, che il cinema a otto ha avuto e che possiamo
possedevano in abbondanza. riscontrare proprio in questo nostro tempo denso di reality. A
ben pensarci, tutti questi Grandi Fratelli, queste Isole
Io, che intanto avevo cominciato i primi passi nel mondo della e Fattorie, non sono altro che una sorta di prolunga-
celluloide dal gradino più basso della scala gerarchica (aiuto mento di quel cinema a otto fatto in casa dai nonni.
macchinista) e che avevo avuto esperienza diretta del tanto Ne sono il prolungamento certo più sguaiato e volgare ma
lavoro che ci voleva per fare qualcosa di decente, restavo che, in fondo, prende vita dallo stesso tipo di materiale
un po’ perplesso di fronte a quella che mi sembrava una pia teorico un po’ guardone e un po’ invidioso dove si mischiano

© United Artist
© Artisan

speranze e incapacità, ignoranza ed esibizionismo contri- più svariate, impiegando metri e metri di pellicola d’immagini
buendo, a mio personale parere, alla stessa noia mortale di amatorialmente “sgrammaticate” nel tentativo (a dire il vero,
quelle proiezioni in casa di amici di ritorno dalle vacanze. spesso riuscito) di assomigliare quanto più possibile al film
Ma c’è di più, come ci fa osservare Roger Odin. Quello “stile” “involontario”, a quello che chiunque di noi sarebbe capace
amatoriale ha, in fondo coniugato una sorta di paradigma di registrare, con tutto il bagaglio di sfocature e traballa-
percettivo per il quale ciò che è fatto male è veritiero. menti, di tempi morti e dialoghi alla buona, di dettagli anato-
In altre parole, alla primitiva opposizione tra cinema mici e salti d’immagine.
professionale (la fiction) e cinema amatoriale
(il reality) si è andata sostituendo una sorta di Alcuni studi attuali s’ingegnano anche a dimo-
commistione che produce film professionali come strare come il cinema amatoriale sia, in verità,
se fossero amatoriali. Così, costosissime pubblicità di il vero cinema adducendo che esso fu inventato
prodotti casalinghi sono sempre più spesso realizzate con il proprio come film de famille, citando quel Le repas
linguaggio povero (e per questo più immediatamente perce- de bèbè, di Louis Lumière che, nel 1895, costituì
pito come “vero”) del cinema amatoriale. Fenomeno che non l’atto di nascita della Settima Arte. A me pare che
si è fermato alla sola pubblicità. Film come Toro Scatenato, di dare a esperimenti scientifici (tali furono i primi filmini
Martin Scorsese (1980), JFK di Oliver Stone (1991) e Legge impressionati dai Lumière) una valenza “teorica” diversa sia
627 di Bertrand Tavernier (1992), costituiscono un chiaro una forzatura, oltretutto in ritardo di un secolo, ma la neces-
esempio degli effetti che la mescolanza tra stile amatoriale sità di difendere un punto di vista teorico induce spesso
povero e contenuto diegetico profondo può provocare e di a scambiare fischi per fiaschi.
come tale mescolanza possa acuire la percezione dello spet- Resta comunque il fatto che sembra diventata una parola
tatore di trovarsi di fronte ad una “realtà” rafforzando conte- d’ordine paradossale il concetto: “Se quel film è fatto come
nuti squisitamente fiction con materiale artatamente reality. se l’avessi fatto io, allora è vero”, utilizzato dall’industria
È ovvio che tutti gli apparati comunicativi si prestino a cinematografica per richiamare a sé spettatori dal suo sen
commistioni e a imbastardimenti. Fa parte della natura fuggiti. Ma per fare veramente bene questo cinema “povero”
stessa della comunicazione; dunque non c’è da scandaliz- sono necessari molti più mezzi e risorse economiche di
zarsi troppo se il “cinema professionale” si sia servito e si quanti non ne bastino a fare un buon film professionale stili-
serva sempre più di stilemi e moduli di linguaggio presi a sticamente corretto: il film-reality forse è più “vero”
prestito dal “cinema amatoriale”. del film-fiction, ma è certamente più caro.
Capita così di assistere a film che si rifanno allo stile amato- Così come la “pizza a otto”, nata per i poveri e ai poveri desti-
riale proprio per avallare la loro “veridicità”. Insomma, la nata, oggi, nelle botteghe dei Tribunali, diventa una specialità
fiction che – per essere più fiction possibile – diventa, tenta a volte addirittura più cara della normale pizza (soprattutto
di diventare, reality. Cannibal Holocaust (1979), The Last se si va consumarla nelle friggitorie che espongono le foto di
Broadcast (1998), The Blair Witch Project (1999), Cloverfield Clinton o Maradona intenti a gustarle), altrettanto il “cinema
(2007), Rec (2007) sono horror (e dunque fiction che più a otto”, destinato ai dilettanti, diventa “stile” del più costoso
fiction non si può) che hanno usato le tecniche amatoriali cinema professionale hollywoodiano.
creatività

Q
di Massimo Caiati
uando si inizia a fare il creativo si sogna di fare campagne
per Nike e Apple, o si ha l’incubo di lavorare per una
marca di sabbia per gatti o per aumentare l’awareness
di prodotti contro l’incontinenza.
Ma nessuno pensa che uno degli attori principali nel
mondo della comunicazione in Italia sia la CEI, la
Conferenza Episcopale Italiana.
Non è rilevante sotto l’aspetto creativo conoscere perfetta-
mente quali siano i sistemi di sostentamento della Chiesa
Cattolica, ma è comunque bene sapere che la CEI ha
esigenza di promuovere sé stessa e le sue attività per ricevere più
fondi sia con l’8xmille (il che significa più firme), sia con le offerte
deducibili alla Chiesa Cattolica.

L’errore più comune quando si approccia un cliente della categoria


social è quello di pensare che, trattandosi spesso di associazioni no profit,
occorra affrontare il discorso sotto un profilo solo emotivo.
La cosa più importante è invece scongiurare un approccio non profes-
sionale e puntare diritto a una visione di advertising: ogni campagna deve
incentrarsi su un prodotto, il quale a sua volta deve poter offrire qualcosa al target.

Secondo questa logica, il pubblico deve percepire i fondi dell’8xmille


e le offerte deducibili non come un atto dovuto o di fede, bensì
© 8xmille Chiesa Cattolica
creatività
come fondi necessari per poter offrire un servizio. Ogni spot o pubblicità stampa racconta sempre
Chiaramente non sempre si parla di beni materiali (come le storie e le opere di uno dei sacerdoti sparsi
le mense per i poveri, ad esempio), ma anche di “servizi” per l’Italia, per poi dire che attraverso il proprio
spirituali, come potrebbe essere l’opera di un prete in zone contributo, ognuno può aiutare e sentirsi partecipe
disagiate o la semplice confessione. In entrambi i casi, il di questa storia comune.
discorso non cambia: la maggior parte delle persone Naturalmente il mood delle campagne è sempre emotivo e
è disposta a devolvere parte del proprio denaro spirituale, ma l’argomento principale è la concretezza.
solo se è sicura che i suoi soldi vengano utilizzati
per qualcosa di concreto. Questo approccio dovrebbe anche essere quello dei compe-
titor della CEI: ognuno dovrebbe incentrare la propria
Il ruolo del creativo, in questo caso, è principalemnte comunicazione sulle opere offerte, seguendo uno stile di
quello di trovare il modo migliore di mostrare queste atti- narrazione in linea con i propri valori, e questo può essere
vità. È solo in questa fase che ci si deve ricordare che si un esercizio estremamente stimolante per i creativi, anche
ha a che fare con la Chiesa Cattolica, e quindi con i suoi per quelli meno coinvolti nelle attività delle onlus.
valori e tradizioni. In quest’ottica, il valori e le tradizioni
non saranno più il “prodotto”, ma il modo nel quale il Quando si inizia a fare questo mestiere si sogna di
prodotto viene proposto, cioè la brand identity. lavorare per prodotti giovani e “cool”, ma quando si
Spulciando tra le campagne CEI degli ultimi anni, è conosce davvero la creatività ci si accorge che ci si può
facilissimo notare questa impostanzione. divertire davvero con tutto.

UN CREATIVO HA SEMPRE BISOGNO DI UN BOOK

In pubblicità i titoli di studio contano


come il colore dei calzini quando si
va a pesca (questo discorso non vale per
gli account, ma solo per copy e art). La cosa
in assoluto più importante nel giudicare un
giovane creativo è, come dice il nome stesso,
la sua capacità di creare.
Per avere un book competitivo è bene
capire il prima possibile se si vuole
diventare art o copy. Queste due figure
professionali, seppur nate per lavorare in
simbiosi, devono comunque avere peculia-
rità tipiche e distinguibili. Di conseguenza
anche il portfolio di un art sarà diverso dal
portfolio di un copy. Chiaramente quando ci si propone
per un primo lavoro, nessun direttore creativo si © SXC
aspetta di vedere campagne uscite realmente in
tv o stampa; quindi buttate giù le vostre idee su Questo discorso legato all’importanza di un book funziona
prodotti esistenti, e fate venire la bile al vostro futuro capo perfettamente anche al contrario. Nessun direttore crea-
per non aver avuto quell’idea prima di voi. tivo che si rispetti assumerà mai un junior senza
Se vi proponete come copy, non importa che i vedere il suo portfolio, il che significa che nessun
layout siano ben fatti, quello sarà lavoro per il vostro art junior dovrebbe perdere il suo tempo con un’agenzia
director. Concentratevi su headline brillanti e insight che vi che non lo richiede. Se il vostro futuro capo è disposto ad
permettano di creare l’idea più pazza ma allo stesso tempo assumervi non perché siete i più bravi o brillanti, ma perché
in linea con i valori del prodotto. Viceversa, se volete fare siete i figli di un suo amico di infanzia o perché il cane di
l’art, il vostro book dovrà essere un pezzo d’arte vostra cugina gioca al parco con il suo, beh… lasciate stare.
di per sé. Ponete estrema cura nella selezione delle font, Non ha nessun senso investire il proprio tempo lavorando
nell’esecuzione del layout ma sentitevi liberi di esprimere a gratis per un’agenzia che non investe in qualità. Un direttore
360° la vostra visione, anche a rischio di avere alcuni pezzi creativo che lavora in questo modo non avrà mai niente di
del vostro portfolio che non sono di advertising e che non interessante da insegnarvi, e il vostro tempo è troppo più
comunicano nient’altro se non bellezza pura. importante del suo cane.
culture

U
di Emi Guarda
scendo dal comune di Andria in direzione sud lungo la strada
statale 170, inoltrandosi nella Murgia occi­dentale, attraverso
percorsi brulli e pietrosi in cui la scarsa vegetazione bruciata dal
sole si alterna improv­visamente a distese verdeggianti di ulivi
e vigne, lungo quella che è conosciuta come la Strada dell’Olio,
non si può non rimanere rapiti da tutto ciò che nell’immaginario
collettivo è l’esaltazione della “pugliesità”. Uli­veti sterminati a
perdita d’occhio, vigneti, campi di grano accarezzati dal vento,
muretti a secco fretto­losamente abbozzati che delimitano stra-
dine sterrate di campagna, masserie in pietra bianca che si
stagliano contro l’azzurro del cielo, e su tutto, maestoso e fiero, il troneggiare
dall’alto di una collina appena accen­nata, della tozza mole di un edificio del XIII
secolo, passato alla storia con il nome di Castel del Monte, il più singolare,
enigmatico, misterioso fra i castelli eretti dall’imperatore Federico
II di Svevia.
Un edificio che si compone di elementi architettonici dalle evidenti influenze
arabo-normanne, ma anche classiche, romaniche e gotiche, la
cui muratura è in semplice pietra calcarea, le cui modanature, i portali e i rari
elementi decorativi sono in breccia corallina: spoglio di particolari orna-
menti, ma dal fascino indiscuti­bile e ricco di teorie, segreti, misteri,
stranezze dal sapore esoterico.
La posizione isolata del castello ha dato infatti adito a basi sull’aspetto mistico, esoterico, simbolico del castello.
una serie di interrogativi tuttora irrisolti circa la Le ipotesi sono le più varie, la più intrigante vuole che
fun­zionalità dell’edificio. Da sempre è stato identificato l’edificio sia stato eretto per custodire il Sacro Graal.
come una fortezza difensiva medievale, ma quest’ipo- Federico II avrebbe infatti portato con sé il famoso calice,
tesi stride fortemente con l’assenza di fossati, di aperture e peraltro mai ritrovato, al ritorno dalla sesta cro­ciata, e per
di spazi adatti a possibili combatti­m enti, con la presenza nasconderlo avrebbe fatto ergere, in una spazio geomantico
di feritoie sparse in maniera asimmetrica e senza apparente e secondo rigide regole architetto­niche che richiamano un
disposizione logica, con la posizione stessa del castello, forte simbolismo religioso, l’imponente castello.
posto su una collina piuttosto bassa con il nulla attorno. Questa affascinante interpreta­zione trova riscontro nelle fonti
secondo cui l’edifico sarebbe stato sede di esperimenti
Col tempo ha preso piede l’idea che potesse trattarsi di di magia alchemica, da qui la presenza di numerosi
una residenza estiva o un maniero per la caccia, piccoli camini inutili al riscaldamento ma ideali per portare
ma la vastità dell’edifico e l’assenza di requisiti fonda- ad ebollizione i grandi calderoni al cui interno i metalli si
mentali come cucine, forni, stalle e cantine, hanno mi­nato sarebbero dovuti trasformare in oro.
l’attendibilità di questa tesi.
L’ipotesi che potesse trattarsi di un luogo di rappresen- Lì dove la leggenda del Sacro Graal non ha trovato sosteni-
tanza per l’imperatore non ha invece trovato terreno tori, si sono via via affermate teorie astronomiche che vedono
fertile, in quanto il castello è estremamente spartano, privo nel Castel del Monte un tempio solare. L’edificio è stato
di spazi di accoglienza e di corti in­terne. infatti costruito in modo che la luce del sole giocasse con
le sue aperture, andando a formare le figure geometriche
Vista la mancanza di interpretazioni utilitaristiche sufficien- più stupefacenti, come avviene ad esempio nei solstizi,
temente comprovate e la scarsa documentazione rinvenuta quando la luce solare crea rettangoli secondo progressioni
per spiegare la funzione dell’edificio, hanno inevitabilmente geometriche tradizionali, le stesse che furono alla base della
preso piede teorie di altro genere, che poggiano le proprie costruzione del Partenone di Atene. Sulle due colonne

© Wikimedia.org
culture

© Guarda

che fiancheggiano il portale d’ingresso sono inoltre accovac- in una struttura dove nulla sembra essere stato lasciato al
ciati due leoni: quello di destra guarda verso sinistra, quello caso, non può essere una fatalità il suo continuo ripetersi.
di sini­stra guarda verso destra, entrambi sono rivolti verso i Otto sono le torri a loro volta di forma ottagonale, otto le
punti in cui il sole sorge nei due solstizi d’estate e d’inverno. sale al piano superiore e otto al piano inferiore, otto i lati
dell’ormai scomparsa vasca del cortile, otto i fiori quadrifogli
A fare da contraltare al tempio del Sole, è andata delinean- sulla cornice sinistra del portale d’ingresso, i fiori quadrifogli
dosi la teoria secondo cui il Castello sia stato un tempio del sulla cornice inferiore, le foglie di vite sulla chiave di volta
Sapere e della Cultura, dimora di umanisti, insigni della prima sala, le foglie di girasole sulla chiave di volta
matematici e astrofisici, dediti allo studio e alla della seconda sala, le foglie e i petali sulla chiave di volta
ricerca. Il castello è stato infatti edificato come un enorme della quinta sala, le foglie di acanto nell’ottava sala del primo
congegno matematico ed è intriso di una forte simbologia piano, le foglie di fico nell’ottava sala del piano superiore.
astrologica. La struttura rispetta in ogni sua parte la legge Infine, il castello è costruito su due piani che richiamano i
dei numeri e in essa trovano ri­s contro svariate sequenze due anelli sovrap­posti di un otto scomposto.
numeriche, tra le quali quella dei numeri magici di Fibonacci,
matematico forte­m ente attratto dalla cultura araba, a quel Come si evince, non è dunque possibile dare un’inter-
tempo alla corte dello stesso Federico II. pretazione della funzione del castello senza far ricorso
alla numerologia, ai significati esoterici sia della simbo-
I numeri si rincorrono costantemente nell’archi- logia cristiana-medievale che di quella orientale-isla­
tettura dell’edificio, giocano fra loro, si scompon- mica. E, a seconda della tradizione cui attingiamo, un
gono e ri­compongono andando a formarne di nuovi, numero dal profondo e antico significato simbolico
ma fra tutti, quello che più di ogni altro ricorre in qual è l’otto trova pieno riscontro.
numerose forme – dal semplice dettaglio all’intera Universalmente riconosciuto come il numero
planimetria ottagonale – contribuendo a infittire il dell’equilibrio cosmico ma anche del conflitto
mistero del ca­s tello, è il numero otto. E certamente, fra materia e spirito, l’otto identifica sia la Rosa dei
© Flickr-by e://Dantes

Venti che l’Horologion ateniese, la famosa Torre dei la rappresentazione del riflesso del mondo creato, dell’inde-
Venti. Fu definito da Pitagora il numero “luce ed ombra” finito e della trascen­denza.
e, nel corso dei secoli, attraversando le varie culture, Infine, considerati i rapporti che Federico II ebbe con la
ha subìto di­verse interpretazioni. cultura dell’Oriente, non si può prescindere dal ruolo
Nella simbologia cristiana se il sette, il giorno del compi- centrale occupato dal numero otto nella cultura
mento della creazione, incarna la perfezione, l’ottavo giorno cinese ed indiana, il cui significato prende forma dall’in-
apre la via della Nuova Creazione, della vita dopo la vita, cioè treccio delle concezioni numerologiche, cosmologiche e
della vita eterna. L’otto rap­presenta la Trasfigurazione e il divinatorie. Otto sono le forze della natura risultanti
Nuovo testamento, è dunque il Simbolo della Resurrezione. dall’interazione cosmica di Yin e Yang e che, combi-
Secondo il me­d esimo principio di collegamento tra finito nate, danno origine ai sessantaquattro esa­grammi dell’I-
e infinito, tra il terreno e l’ultraterreno, l’ottagono in Ching, libro-oracolo della tradizione cinese.
quanto in­tersecarsi di un quadrato, simbolo della terra,
e di un cerchio, immagine del cielo, rappresenta Ovviamente, essendo tuttora ignote le finalità del castello,
l’incontro tra Dio e l’uomo. risulta difficile individuare la cultura numerolo­gica e
È il motivo per cui i battisteri, su proposta del simbolistica cui fare riferimento per spiegare, anche solo
vescovo di Milano Ambrogio, acquisirono da un certo parzialmente, il costante ripetersi del nu­mero otto nella sua
momento in poi la tipica e nota forma ottagonale. struttura. È l’ennesimo interrogativo che contribuisce a infit-
L’otto appare dunque da sempre legato ai concetti tire l’alone di mistero e di enigmaticità di Castel del Monte.
di trascendenza e di trapasso. Legame riscontrabile Eppure il fascino mistico che lo contraddistingue
an­che nelle antiche religioni pagane in cui era chiamato a e gli ancor irrisolti mi­s teri che l’avvolgono, nulla
rappresentare l’infinito. Da qui l’utilizzo in matema­tica di un tolgono alla sua l’innegabile sacralità. Una sacra-
otto coricato per indicare il medesimo concetto. Nella cultura lità che, pur continuando a ri­m anere indefinita, pervade
esoterica l’otto, precedendo il nove, simbolo della nascita, il luogo in ogni suo aspetto e alimenta il perseguire delle
raffigura la morte come passaggio e transizione. È dunque ricerche attraverso i secoli.
formazione

il valore dell’empatia
nell’evoluzione dell’uomo
(e nella crescita delle aziende)

I
di Anna Maria Carbone
n questi ultimi anni si parla sempre più spesso del valore delle buone rela-
zioni tra aziende e clienti come risorsa immateriale in grado di fare
la differenza sul mercato. Questa considerazione appare come l’esito di un
processo di evoluzione, ma a ben guardare le relazioni umane sono al centro
di tutte le tradizioni spirituali in ogni parte del mondo.
È, quindi, più esatto parlare di una crescente consapevolezza del valore
della “variabile uomo” in ambiti tradizionalmente governati da
meccanismi spersonalizzati e spersonalizzanti. Sotto a qualsiasi teoria
economica o modello di business si trova l’umanità che tutti condividiamo, fatta
di emozioni, sentimenti e potenzialità spirituali che ci appartengono ma non
sempre riusciamo a esprimere bene. Nella tradizione esoterica occidentale,
la Kabbalah, rappresentata nell’Albero della Vita, la Sephira n. 8, la
Hod, corrisponde, per l’appunto, all’empatia.

La pratica di Hod: l’ascolto empatico


Hod è una pratica che si basa più sul comportamento che sulle parole, più sull’at-
teggiamento profondo che sulle azioni formali. Hod è la Sephira della buona comu-
nicazione, dello scambio autentico e sincero basato sull’empatia.
Praticare Hod significa non soltanto vedere l’altro, ma accoglierlo mettendoci nei
suoi panni e condividendo i nostri sentimenti piuttosto che il nostro sapere. Hod
richiama alla pratica dell’ascolto empatico come fulcro delle relazioni
umane autentiche e utili per la crescita personale.
Hod è lo spazio sicuro in cui l’altro può entrare perché è il benvenuto, il luogo
del silenzio partecipe di chi ascolta con tutta l’attenzione, la partecipazione e il
tempo del mondo. La qualità spirituale di Hod sottolinea gli attributi di umiltà
e riconoscimento, smantellando le maschere di comunicazione non violenta secondo Marshall Rosembreg,
facciata e promuovendo l’espressione autentica allievo di Carl Rogers, che la assume come fondamento del
che porta in modo naturale all’empatia, cioè l’at- costruire relazioni umane significative superando gli aspetti
titudine a offrire la propria attenzione a un’altra disfunzionali che preludono ai conflitti.
persona mettendo da parte se stessi. La richiesta di ascolto è connaturata ad ogni essere
La qualità della relazione si basa sull’ascolto non valutativo umano: chiunque ha bisogno di essere riconosciuto dagli
e si concentra sulla comprensione dei sentimenti e bisogni altri nella propria identità, nel proprio io e nelle proprie
fondamentali dell’altro. Sull’empatia si fonda il processo di esigenze e difficoltà e aspirazioni.

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formazione

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KABBALAH:

© Carbone
IL SENTIERO DELLO SPIRITO
La Kabbalah è parte della tradizione esote-
rica della mistica ebraica che spiega le leggi
eterne secondo le quali l’energia spirituale
si muove nel Cosmo.
Fino a poco tempo fa l’insegnamento della
Kabbalah era pressoché inaccessibile. Scritta
in lingue antiche, ebraico e aramaico, era
anche codificata, preclusa in modo categorico
a chi non era seguito da una guida esperta.
Oggi la forte spinta verso il recupero della
spiritualità ha dato nuova linfa a questi inse-
gnamenti che forniscono una chiave di “lettura
con il cuore” delle umane vicende quotidiane.

L’ALBERO DELLA VITA


L’Albero della Vita è la sintesi dei più noti e importanti
insegnamenti della Kabbalah. È un diagramma, astratto e
simbolico, costituito da dieci Sephirot, (entità), disposte
lungo tre pilastri verticali paralleli: tre a sinistra, tre a destra
e quattro nel centro. È il programma secondo cui si è svolta
la creazione dei mondi, la discesa lungo la quale le anime e
le creature hanno raggiunto la loro forma attuale.
È anche il sentiero di risalita, attraverso cui l’intero creato
può ritornare all’unità del “grembo del Creatore”, secondo
una famosa espressione cabalistica. L”’Albero della Vita” è
la “scala di Giacobbe” (Genesi 28), la cui base è appoggiata
sulla terra e la cui cima tocca il cielo.
Lungo di essa gli angeli, cioè le molteplici forme di consa-
pevolezza che animano la creazione, salgono e scendono in
continuazione. Lungo di essa sale e scende anche la consa-
pevolezza degli esseri umani.

LE SEPHIROT della vita materiale illuminata dallo Spirito che in essa


Le Sephirot corrispondono sia importanti concetti metafisici discende e si incarna.
sia alle situazioni pratiche ed emotive della vita quotidiana. La Sephira che precede la Hod, la n. 7 Netzach (Vittoria),
Sono dieci principi basilari, capaci di darle senso e pienezza è relativa all’impulso di aiutare gli altri oltrepassando la
alla disordinata e complessa vita umana. barriera dell’ego per aprirsi allo spazio di un’altra persona.
Sul piano psicologico, le dieci Sephirot sono dieci stati della Il superamento dell’ego e la percezione dell’altro di Netzach
psiche umana. Il più alto, la Corona, è la condizione di totale trova piena realizzazione in Hod, che concretizza questo
trasfigurazione nel trascendente. impulso a partire dalla consapevolezza della scintilla divina
Vi sono poi due tipi diversi di conoscenza intellettuale, corri- presente nell’altro e nell’accoglienza incondizionata.
spondenti ai due emisferi cerebrali: la prima più artistica e Netzach è sul lato destro dell’albero, quello dell’energia attiva
intuitiva, la seconda più logica e razionale. e maschile del dare misericordioso, mentre Hod si trova sul
Sul piano spirituale le dieci Sephirot diventano le “Dieci lato sinistro, connesso con l’energia passiva femminile,
Potenze dell’Anima” che aiutano costantemente la crescita ricettiva e rigorosa.
di coloro che sanno connettersi con esse nel loro cammino Insieme rappresentano rispettivamente la gamba destra e
di ritorno all’Albero della Vita. la gamba sinistra, ciò su cui poggia tutto il corpo. Mentre
Netzach è connessa con il fare, Hod ha a che fare con l’essere.
HOD:
SPLENDORE, INTELLIGENZA ASSOLUTA E PERFETTA
Nell’Albero delle Sephirot la Sephira numero 8, la Hod, si
trova nel quadrante inferiore, quello connesso alle funzioni
formazione Ascoltare empaticamente, in concreto, significa:
• assumere il punto di vista dell’altro sia pure tempo-
raneamente e provvisoriamente prestando attenzione alle
sue parole e cercando di comprendere i significati che
hanno nella sua visione del mondo;
• sintonizzarsi profondamente con lo stato emotivo
dell’altro e lasciarsi coinvolgere e interrogare da
quello che ci proviene da lui;
• fare spazio dentro di sé per accogliere l’altro, ovvero
accettare di farsi cambiare dal dialogo instaurato e far
tacere se stessi per dare la precedenza all’altro.
L’arte di ascoltare può essere imparata a partire dal realizzare
un’apertura profonda che permette di accettare l’altro com’è,
semplicemente ascoltandolo, dimostrandogli che si va oltre
l’ascolto e si punta alla comprensione.

La verbalizzazione di Hod è “grazie”


È la parola che apre le porte dell’accoglienza e crea una zona
di conforto per l’altro. “Grazie” contiene l’umiltà di chi
riceve e il riconoscimento dell’assoluta preziosità
dell’altro, visto e vissuto come essere unico e irri-
petibile, con una funzione ed uno scopo altrettanto
unici ed irripetibili. La figura di Aronne, nella Bibbia, è
quella del grande mediatore per eccellenza ed è associata a
Hod. Si dice che Mosè era balbuziente, cosa che gli rendeva
difficile parlare con chiarezza. Per questo il Signore, quando
gli ordinò di andare a parlare con il Faraone d’Egitto, gli
raccomandò di farsi accompagnare da suo fratello Aronne
che, invece, aveva grandi doti di eloquenza e la capa-
© Flickr-by erix! cità di ascoltare con il cuore quello che dicevano gli altri.

© Wikimedia.org
L’accogliere l’altro contiene anche l’accoglienza per

© Flickr-by geofones
se stessi, pratica tutt’altro che scontata. Spesso alla
base delle relazioni difficili c’è proprio il mancato ricono-
scimento della propria preziosa individualità, che impe-
disce di riconoscerla negli altri. La pratica di Hod si realizza
comprendendo che ognuno di noi è pienamente degno di
vivere in questo momento e in questo luogo.

La pratica di Hod nella vita: tutto è un’occasione


La scarsa consapevolezza del proprio valore è spesso
alla base di tutti i tentativi di controllare gli eventi esterni
indirizzandoli secondo la propria miope visione di “come
dovrebbero andare le cose”. Molti insegnamenti spirituali,
orientali ed occidentali, concordano invece sul conside-
rare gli eventi della vita come occasioni attraverso cui
sperimentare la nostra natura divina.
In questo senso Hod è il modello dell’accettazione
significativa delle avversità, che aiuta a rimanere
curiosi ed aperti verso ciò che ci si para davanti e

© Carbone
verso i successivi sviluppi.
Accettare non significa essere passivi o rassegnati ma, al
contrario, vivere totalmente ogni istante, mettersi in ascolto
e seguire il flusso degli eventi con il cuore fiducioso e aperto
di chi conosce il proprio valore e affronta le prove della vita
con l’intima convinzione della sua unicità.

Questa storia ci può aiutare a capire il senso profondo


della pratica di Hod:
“C’era una volta in un lontano paesetto un povero conta-
dino che traeva di che vivere da un campicello che lavorava
assieme alla moglie e al figlio e con l’aiuto di un cavallo.
Un giorno il recinto venne lasciato inavvertitamente aperto
e il cavallo fuggì. I vicini, appresa la notizia, esclamarono:
“Poveretto, che sfortuna, e adesso come farai a lavorare?”.
Il contadino rispose: “Sfortuna, fortuna, e chi può dirlo!”.
I vicini restarono perplessi nel sentire quella strana risposta.
Dopo qualche settimana il cavallo che era scappato tornò
portandosi dietro una mandria di cavalli selvaggi che furono
rinchiusi nel recinto. I vicini, vedendo tutti quei cavalli,
esclamarono: “Che fortuna!” E il contadino ancora una volta
rispose: “Fortuna, sfortuna, e chi può dirlo!” I vicini resta-
rono ancora più perplessi nel sentire quella risposta. Dopo
qualche giorno, mentre il figlio stava domando uno dei cavalli,
cadde a terra e si ruppe un piede. I vicini subito esclamarono:
“Che sfortuna, e adesso come fai?!” E il contadino ancora L’evoluzione di Hod: altruismo e compassione
una volta rispose: “Sfortuna, fortuna, e chi può dirlo!”. I vicini La Sephira successiva alla Hod è la n. 9 Yesod, in cui si
non sapevano più che cosa pensare del vecchio. “Forse è concentrano tutte le emozioni, la base della propria persona-
matto!”, pensarono. Dopo qualche settimana comparvero in lità, le aspirazioni nascoste, gli ideali, le attrazioni emotive.
paese alcuni soldati che reclutavano i giovani validi per la Yesod governa anche il riuscire a fondere insieme tutto ciò
guerra. Quando entrarono nella capanna trovarono il giova- che si ha da dare e l’indirizzarlo verso la persona giusta
notto zoppicante e naturalmente lo scartarono, mentre tutti gli nel momento giusto. Il flusso d’amore di Yesod riguarda
altri giovani furono reclutati. I vicini non ci videro più: “Che l’impegno verso il vero e proprio essere della persona
fortuna!” E il vecchio contadino ancora una volta rispose amata, attraverso cui si realizza la nostra natura altruistica e
imperturbabile: “Fortuna, sfortuna, e chi può dirlo!”. compassionevole. Ci arriveremo.
tecnologie e web

N
di Emanuela Zaccone
el febbraio 2010 la francese Quantic Dream ha rilasciato in
esclusiva per Playstation 3 Heavy Rain, videogame basato su
una forte trama narrativa, innovative modalità di interazione
con il gioco e il ruolo centrale dell’utente nel determinare l’an-
damento della storia. Per acquisire familiarità con il gameplay
stavo seguendo le azioni quotidiane di uno dei personaggi
principali e a un certo punto fa il suo ingresso un nuovo
personaggio: la moglie di ritorno dalla spesa. È nel preciso
momento in cui posa i pacchi sul tavolo della cucina che mi
giunge – come un’epifania – la risposta al topic di questo
numero: 8 è il numero dell’interazione, anzi dell’”interottività”. I pacchi
della spesa provengono dall’8 Shop.

Come, in realtà, gli utenti e le loro aggregazioni “volatili” in forme neo-


tribali nell’online sono insiemi di singoli che operano secondo logiche
di intelligenza collettiva in un contesto di economia partecipativa; allo
stesso modo il numero 8 è la risultante di più numeri, di cui costituisce il multiplo e
per i quali è divisibile/sommabile/sottraibile, in un intreccio di possibili operazioni
e relazioni che, nell’insieme, ci portano a dire che 8 è il numero dell’interattività.
Così ho individuato le otto dinamiche che, a mio John’s Pizza che ha lanciato un contest via Facebook per
parere, conducono a un effettivo coinvolgimento elaborare la ricetta di una nuova pizza; il “Create Your Pizza
degli utenti, quattro coppie di elementi che individuano le Challenge” promosso da Pizza Express in Gran Bretagna e
quattro coordinate dell’interattività. che consentiva di votare i finalisti attraverso le piattaforma
MePlease e Facebook; Dunkin’ Donuts che nel 2009 e nel
1 e 2. Co-creazione e crowdsourcing, il brand 2010 ha lasciato che fossero gli utenti a proporre i nuovi tipi
dentro la vita degli utenti di ciambella da mandare in produzione (qualcosa di analogo
A differenza del crowdsourcing, che tende a esternaliz- al nostro Il Mulino che vorrei).
zare il processo creativo degli utenti, la co-creazione Cambiando settore, nel maggio 2010 ABC stessa ha
si basa su una maggiore presenza del brand, in una logica delegato ai suoi utenti addirittura la creazione del
di peer production che, non distinguendo più tra produzioni promo per l’episodio finale dell’ultima stagione di
top-down e bottom-up, mira al raggiungimento di un Lost, riconoscendo loro un’expertise e un “possesso” della
risultato che provenga da uno sforzo congiunto. serie probabilmente più elevato (e più a basso costo) di
In entrambi i casi, l’apporto degli user generated contents quello dei suoi stessi realizzatori.
costituisce un aspetto fondamentale.
Negli ultimi tempi, inoltre, si è assistito sempre più spesso a
Ne sono esempio alcuni casi significativi legati al casi di user generated ads: Peeperami, storico brand di
cibo e ai social networks: la catena americana Papa Unilever, ha “delegato” ai fan il compito di costruire una

© burtonstory.com
tecnologie e webnuova pubblicità; nel 2008 la pubblicità Doritos fatta in casa
da due giovani a costi davvero minimi grazie alla campagna
dell’agenzia Abbott Mead Vickers BBDO “You make it, we
play it!”; più di recente in Italia, UserFarm (piattaforma
crowdsourcing, nata in seno a TheBlogTV) ha lanciato un
contest per la user generated ad dell’acquavite Prime Uve
di Bonaventura Maschio.
Così sono nate iniziative come IdeaBounty (utilizzata anche
nel caso Peeperami), una piattaforma collaborativa pensata
© geekandpoke

proprio con l’intento di raccogliere i “problemi” dei brand che


cercano nell’aiuto degli utenti la loro soluzione (un successo,
dato che numerosi sono stati i marchi – tra cui Chevrolet,
BMW, WWF e Red Bull – che si sono affidati alla piattaforma).

Per fare ancora un esempio, Twitter si è rivelato un


efficace strumento di co-creazione, soprattutto in
termini narrativi. Nell’agosto del 2009 è stato lanciato
@YourOpera, un’iniziativa promossa dalla Royal Opera
House di Londra per il festival Deloitte Ignite che mirava a
costruire, insieme agli utenti, un libretto d’opera e a farne
uno spettacolo da realizzare e mettere in scena tra il 4 e il
6 settembre: a partire da una frase iniziale i followers erano
invitati a continuare la storia utilizzando Twitter ed effet-
tuando la mention all’account.
Tra il 24 novembre e il 6 dicembre 2010, invece, è stato
possibile partecipare a Tim Burton - Cadavre Esquis in
cui l’utente poteva contribuire a una storia, avviata sull’ac-
count Twitter @BurtonStory, sperando che i propri tweets
fossero tra quelli selezionati per diventare parte del racconto
finale: lo scopo in questo caso era quello di generare buzz
in vista del Toronto International Film Festival (TIFF), che
avrebbe ospitato la rassegna del MoMA “Tim Burton”.

© Flickr-by Fred of Brazil


3 e 4. Geotagging e user generated contents già al suo secondo capitolo. Il primo capitolo del platform
Anche i social network che si basano sulla geolo- game prodotto dall’inglese Media Molecule per PlayStation
calizzazione stanno spingendo alla creazione di 3 fu lanciato nel 2008 e l’innovazione era evidente: accanto
user generated contents al proprio interno: a un alla classica modalità di gioco era possibile creare
livello assolutamente basico, sappiamo tutti (o quasi) che è anche degli user generated levels e il giocatore
possibile aggiungere nuove venues e luoghi su FourSquare, si trasformava così in game designer potendo,
Facebook Places e Gowalla, ma è anche vero che ci sono oltretutto, condividere la propria creazione,
una serie di altre azioni che è possibile fare come inserire votare e giocare quelle altrui.
dei tips (suggerimenti per chi effettuerà il check in in quel Il successo è stato straordinario: a fine 2009 si conta-
luogo), taggare gli amici che sono con noi, sincronizzare i vano già 1,5 milioni di user generated levels, tanto che
propri check in su tutti questi servizi (è quanto promette di Media Molecule organizzò anche dei Sackies Awards (da
fare Gowalla con la sua versione numero 3). Sackboy, protagonista del gioco) per premiare i migliori
Il vantaggio per le aziende è evidente in termini di livelli creati dai modders.
segmentazione e di raccolta di dati socio-statistici,
dall’altra parte è sfruttabile anche in termini di offerta di 7 e 8. Generated knowledge top-down e generated
deal, sconti o altre facilities (vedi caso Coin Italia o knowledge bottom-up
Google HotPot) che vanno a beneficio dell’utente e Accanto a tutti i casi analizzati, emerge con evidenza un’ul-
giovano alla sua fidelizzazione. tima categoria, quella della user generated knowledge,
Quello che manca, forse, è un’apertura verso gli user gene- riportabili ad una doppia origine: top-down (notizie
rated badges, una possibilità di re-design da parte riprese e rimaneggiate dagli utenti) e bottom-up
degli utenti che darebbe ai brand un ulteriore motivo per (creazione dal basso che può trovare poi attenzione
stabilire un legame più forte con i propri fan. nei canali tradizionali).
Da Wikipedia al citizen journalism e a Wikileaks, il potere
5 e 6. Dinamiche ludiche (videogames) e interazione della Rete e la centralità degli utenti nella creazione
Se da un lato va riconosciuto che PlayStation Network e condivisione della conoscenza non ha mai cono-
e i sevizi di rete di Xbox contribuiscono a creare sciuto eguali nella storia dei media.
una community che si traduce, non solo in possibilità di
trovare un “compagno di gioco”, ma anche in possibilità di Otto categorie, quattro coppie di elementi che ci consentono
dialogo con i propri contatti (letteralmente di chat), è vero di riportare tutto a soli due termini: gli users con la loro capa-
anche che in quest’ambito troviamo un esempio davvero cità di creare contenuti e la Rete. Nell’interattività di questi
virtuoso di user generated content e interazione: due poli si gioca il futuro dei brand e la costante ridefinizione
Little Big Planet [cfr. BCm n°004 pagg. 94-97], giunto del nostro ruolo nel mercato.

© Flickr-by bastique
marketing

I
di Alessandro Vitale
nternet, un mondo discusso, discutibile, che piace, che non piace che... è parte
della nostra vita, utilmente o inutilmente. Ma la Rete può essere un veicolo utile
alle aziende, alla Piccola e Media Impresa (PMI), al branding reputazionale
aziendale?
Ci sono, a mio avviso, molti buoni motivi per intraprendere un
percorso di web marketing per la propria azienda, ditta o impresa
familiare, ma occorre comprendere cos’è e quando usare il web marke-
ting, nonché saperne identificare le figure professionali che possono
ritenersi incluse in tale settore e che devono avere specifiche caratteri-
stiche e professionalità finalizzate ad accrescere e trasferire il traffico di
utenti “interessati” a siti web, blog, portali, al core business di PMI, aziende,
profili professionali, prodotti, blog personali ecc…
Le attività di search engine marketing sono, ad esempio, incluse nel web marketing
che studia anche i motori di ricerca sfruttandone alcune caratteristiche come la
possibilità di rivolgersi ad un target che esplicita direttamente le proprie necessità
attraverso un’interrogazione (query di ricerca) ai vari Bing, Yahoo!, Google ecc…

Non è facile indicare univocamente quali siano gli strumenti migliori da utilizzare
in una strategia di web marketing e quando vadano usati poiché ogni progetto
ha una sua particolarità, tradizione, storia, evoluzione... ma le 8 tecniche di
seguito elencate possono essere ritenute, a mio parere, le più importanti in
quanto più frequentemente applicate nel web marketing professionale:
• Branding e Benchmarking Online, ovvero l’incre-

© geekandpoke
mento della notorietà del marchio attraverso i risultati
presenti negli indici dei motori di ricerca e lo studio dei
competitors presenti sui motori di ricerca (sia in termini
di saturazione del canale che in termini qualitativi dei
messaggi/contenuti proposti);
• CopyWriting, cioè la scrittura di contenuti di qualità e
originali al fine di determinare un buon posizionamento
sui motori di ricerca;
• Microblogging che consiste nella pubblicazione
costante di piccoli testi in Twitter, Google Buzz e simili;
• Brand Monitoring che si occupa del m onito-
raggio del sentiment nei risultati dei motori di ricerca
e dei social network;
• Online customer support, nient’altro che l’assistenza
clienti online (utilissimo può essere l’utilizzo di Facebook
e Twitter nell’implementazione di questa tecnica);
• Pay per click o Search Engine Advertising (SEA),
cioè la modalità di acquisto e pagamento della pubblicità
online che prevede la gestione di campagne di link a paga-
mento su siti e portali che maggiormente consentono di
raggiungere il target d’impresa;
• KeyWords Advertising, molto simili alle precedenti
(vedi AdWords di Google o il Serch Advertising di Bing);
• Digital Asset Optimization (DAO) la quale assicura
che i motori di ricerca raccolgano tutti i contenuti: video,
animazione, podcast, bacheche, mappe, immagini e altri
file non basati su testi scritti. finalizzando l’azione di marketing e di advertising
nella Rete. Il SEM è un professionista capace di immagi-
Quello che le aziende dovrebbero capire è che, se una nare la strategia necessaria per prodotti, servizi, brand da
sponsorizzazione tradizionale, una campagna basata su presentare all’utenza online e la loro diffusione e crescita nel
spot televisivi o delle inserzioni su editoria cartacea sono tempo anche attraverso i social media.
azioni limitate nel tempo, un sito web aziendale, studiato da In Italia, questa figura professionale viene spesso confusa
professionisti del settore e che preveda azioni mirate di web con quella di un consulente di marketing generico in quanto
marketing è uno strumento duraturo, che si arricchisce man capita sovente di ricevere richieste di consulenza per affi-
mano con i commenti diretti degli utenti, che può divenire nare strategie e, qualche volta, anche tattiche di advertising
una fonte di ricchezza enorme per l’azienda stessa. offline. Tale pratica, in realtà, se non fosse basata sul puro
Deriva anche da questo la necessità di far chiarezza e misunderstanding, su un errore di definizione del ruolo
distinguere chi si occupa di web design da chi è professionale specifico, a mio modo di vedere potrebbe dive-
specializzato in Search Engine Marketing o Search nire anche un modello vincente in cui più realtà riescono ad
Engine Optimization: tali professionalità sono interagire con il massimo profitto.
enormenmente differenti tra loro, pur se estrema-
mente complementari in quanto occorre che lavorino in La funzione del SEO (Serch Engine Optimizator),
team al fine di poter raggiungere e utilizzare tutte le compe- invece, consiste nell’immaginare la tipologia di
tenze professionali necessarie ad analizzare il progetto piattaforma web da impiegare, studiare la strategia
da strutturare, l’azienda e i suoi prodotti, i punti di forza pianificata dal SEM, guardare i contenuti fornita dal
come quelli di carenza... per poi sviluppare un prodotto copywriter, nonché “ottimizzare” al meglio tutto
web in grado di conseguire obiettivi e risultati specifici, il materiale a disposizione. Il SEM ha “analizzato” i
che possa essere misurato e corretto, che sia in grado di competitors e le saturazioni degli indici dei motori, dei testi,
evolvere con il passare del tempo. delle valenze, le ridondanze, la densità ecc… il SEO rende
“leggibile” e appetibile quei contenuti ai motori di ricerca al
La figura professionale, ancora poco conosciuta, del fine di ottenere il miglior posizionamento possibile per tutti
SEM (Search Engine Marketer) fornisce supporto i contenuti, prodotti e servizi, puntando al massimo dei risul-
ai brand, ai copywriter, ai SEO, ai web designer tati negli indici dei motori di ricerca. Monitora i risultati e
marketing

© geekandpoke
i miglioramenti, apporta modifiche per accrescere o affinare di ricerca. Si sta andando verso un web sempre più
l’efficacia delle strategie e cerca di aumentarne la pertinenza interattivo, che dia delle risposte, e sempre più
in base alle query di ricerca che tutti i giorni si ricevono. influenzato dai contenuti, dalla rappresentazione
e dall’ottimizzazione (a partire dal codice di scrit-
Il web designer è colui che lavora a stretto contatto con tura). Dunque si dovrebbe abbandonare del tutto la pratica
il programmatore (che trasforma in linguaggio tecnico le di costruire spazi online statici, che non prendono in consi-
idee per la Rete), il SEM, il SEO e il copywriter in modo derazione questi fattori, che si reggono ancora sulla quan-
da rendere un sito web, un blog, un portale o un tità di link pubblicati, sulla densità e ridondanza oscena di
negozio e-commerce gradevole e usabile, con parole chiavi nei titoli ecc…
l’obiettivo di creare interesse senza mai complicare È possibile immaginare che si arriverà alla creazione di un
la navigazione all’utente. motore di ricerca che valuti la bontà tecnica, l’originalità e
la corrispondenza dei link interni verso contenuti attinenti.
Il copywriter, colui che si occupa della stesura Google Instant è forse la prova effettiva dell’affermazione
dei testi scritti, è probabilmente diventato il vero della Digital Asset Optimization (DAO), dove tutti i contenuti
“core” del web marketing. Se un tempo il web e i risultati sono ottimizzati per determinare dei risultati.
erano influenzati dalla popolarità dei link che puntavano a un Il web contemporaneo, il web marketing, i motori di ricerca,
determinato sito web o pagina, da keyword ridondanti ecc… hanno bisogno di qualità, di professionisti che rendano i siti
oggi la differenza la fanno i contenuti: i motori di ricerca si web delle risorse uniche. Devono essere “utili” agli internauti
sono evoluti e non bastano più i pacchetti di parole chiave per determinarne l’esigenza di ricerca, l’acquisto, l’informa-
inseriti nei testi, le valenze, la popolarità ecc. Tutti fattori zione. Se ciò si realizzasse tutti ne trarrebbero giovamento: i
che non possono essere più confusi con modelli di ottimiz- professionisti, i motori di ricerca, la Rete e le aziende.
zazione standard (Pay Per Click o KeyWords Advertising).

Personalmente sono sempre più convinto che la seman-


tica, la qualità e l’originalità dei contenuti, la pulizia di
un progetto web, debbano essere considerati come una
“risorsa” per l’utente e per l’azienda quanto per i motori
ogni giorno una

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