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Essere, non essere...
Alla ricerca di se stessi
di
Paolo Toso
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Premessa
L'autore ha volutamente usare uno pseudonimo affinché il lettore non sia influenzato o
meno dalla conoscenza dello scrittore e nel corso di questi testi sarà sempre più chiaro
perché lo pseudonimo richiama qualcosa di conosciuto. Un punto fondamentale per
avvicinarsi a questi testi è quello di comprendere, secondo il proprio metro ed
esperienza, il contenuto fine a se stesso senza l'identificazione con l'autore.
Scopo di questi testi, una volta presenti sui diversi siti e oggi qui riproposti in formato
PDF, è quello di instillare la curiosità su se stessi, sulla vita e sulla morte, cercando di
proporre una ricerca interiore che nasca dal personale interesse a migliorarsi e non
dall'appartenenza ad un gruppo, ad una religione o ad una qualsiasi cosa, fosse anche
semplicemente un simbolo. Per questo motivo il lettore è responsabile personalmente e
davanti alla società, civilmente e penalmente, di qualsiasi cosa metterà in pratica e dirà
dopo aver letto questi testi. La persona ha l'obbligo morale e pratico di approfondire gli
argomenti qui presenti ed evitare il fai da te nel caso di pratiche o consigli che
richiedano, in caso di problemi personali, il consiglio di uno specialista.
Se un lettore vorrà riproporre questi concetti sotto simboli, bandiere, etichette o altre
forme significa che non avrà capito nulla di ciò che è stato scritto e coloro che potranno
imbattersi in questa persona avranno la possibilità di riconoscerne il gioco di potere
per andare oltre, perché questi concetti hanno il solo scopo di iniziare la persona ad
una personale ricerca interiore per liberarsi dagli schemi mentali e riconoscere la
limitatezza del loro io.
Questa prima riflessione sull'essere e sull'essere gruppo nasce nel 2009 in relazione
all'incontro con un movimento: un gruppo di persone alla ricerca di un pensiero unico
collegato al “Noi” e che potesse essere sostitutivo all' “Io”, meglio espresso nel
concetto di un “essere” piuttosto di un “apparire”. Pensando di poter contribuire con
le sue idee e una propria visione, l'autore ha creato queste diverse riflessioni che
potranno ora essere utili a qualsiasi persona che intenda realizzare un gruppo di
carattere etico partendo dalla crescita interiore.
G. Cavasino
.
Buona lettura
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Indice generale
Essere e non violenza........................................................................4
Essere e non vedere...........................................................................6
Essere e non sentire...........................................................................8
Essere e non parlare.........................................................................10
Essere e non fare.............................................................................12
Essere, non essere, essere oltre........................................................14
Riflessione conclusiva.....................................................................21
Note.................................................................................................25
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1.1 Essere e non violenza
Un aspetto contraddittorio dell’attuale società è quello legato alla violenza. Ci sono
comitati e università che trattano di bioetica, dove studiosi discutono continuamente su
cosa è etico e cosa non lo è. Costruiscono nuovi concetti e valori, mentre fuori dalle loro
piccole stanze la società segue una sua personale strada segnata non certo da valori
etici, ma dalla pubblicità e dagli interessi di parte, dove la furbizia è di casa. La
televisione che un tempo doveva educare, oggi, sta rivelandosi un pessimo esempio: non
c’è serata dove non ci sia un film di violenza o giochi di potere o, falsamente, dove non
ci sia un gruppo di cosiddetti amici che criticano delle persone che conoscono, facendo
finta di voler aiutare attraverso il dialogo. Questo sistema è ancora più fuorviante, e
segno del degrado sociale, nei cartoni animati per i bambini.
Ma il problema non è se le discussioni di questi programmi siano pilotati, quanto il fatto
che alle persone piacciono queste cose: diciamolo chiaramente, amiamo farci gli affari
degli altri purché nessuno si faccia gli affari nostri. Perché dentro ogni persona c’è una
profonda rabbia che si alimenta della violenza, virtuale o meno, di ciò che vede in
televisione. Queste sono alcune delle tante forme di violenza che noi tutti accettiamo
senza reagire. Altre, meno visibili, sono piccole e insignificanti azioni che compiamo
ogni giorno senza accorgerci e che ci portano a vivere la violenza come una cosa
normale. Ci stiamo forse abituando alla violenza? Oppure possiamo essere qualcosa di
diverso da quello che crediamo di essere? Qual'è la nostra preferenza e vantaggio?
La violenza, se volessimo analizzarla, è così sfaccettata che sarebbe difficile esprimere
tutte le sue diverse espressioni e ancora più difficile sarebbe dire cosa essa non sia.
Possiamo sperimentare la non violenza solo quando l’essere umano è in reali difficoltà,
(vedi il terremoto in Abruzzo di questi giorni) quando le persone porgono aiuto senza
chiedersi se è bene o male e lo fanno in base alla loro intima sensibilità. Non ci si pone
dubbi o pensieri, si agisce e basta: la volontà, apparentemente uguale ad un pensiero, è
in questo caso più potente del pensiero. Attenti però, di volontà ce ne sono due: una
agisce e l'altra decide.
La non violenza, quella di Gandhi, è un’altra forma: è una posizione interiore che può
essere solo delineata da una profonda conoscenza di se stessi e del mondo. È sempre
una scelta e da sola non basta per accettare quello che accade. C’è un detto,
probabilmente di Confucio, che dice più o meno così: “Fa' del bene solo se sarai in
grado di accettare il male che ne deriva.”
Il moto di accettare ciò che accade, non passivamente, è un altro problema insieme a
quello di conoscere se stessi, perché attraversa la conoscenza della propria violenza.
Nulla è così scontato e semplice. Perché si tende a fuggire da questo nostro personale
lato, in quanto fa paura e ferisce profondamente il nostro orgoglio. Quando l’orgoglio è
ferito sale l’arroganza e con essa la rabbia di ferite che non abbiamo mai sanato, ma che
abbiamo lasciato dentro di noi a putrefarsi.
La violenza che subiamo da piccoli è un segno che non si cancella e che ci portiamo
fino nell’età adulta con riflessi assai cupi. Non pensiamo solo alla violenza fisica, ci
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sono violenze che non si vedono: quelle psicologiche e legate ai ricatti, quelle di un
padre che non è stato presente, quelle di una madre troppo presente, quelle dell’assenza
di regole, quelle determinate dalla falsità, dall'ipocrisia e dall'imposizione autoritaria.
Anche non insegnare le regole è una violenza, perché la società è fatta di regole e non
conoscerle significa sbagliare di continuo e scontrarsi senza nessun costrutto. Anche il
lasciar correre continuamente un comportamento errato è una violenza, perché così i
bambini non comprenderanno i limiti della libertà personale e li porterà a credere che
tutto sia lecito. Non insegnare a parlare correttamente è una violenza, perché i bambini
non sapranno esprimersi correttamente e avranno difficoltà a rapportarsi con il
prossimo. Piccole cose di ogni giorno, che anno dopo anno, costruiranno la struttura di
una grande piramide che sarà la tomba dell'adulto.
Violenza. Una parola con milioni di sfumatura. Una parola, uno sguardo, un pensiero.
Quanti di noi stanno attenti alle parole che usano? Quanti si accorgono dei propri
sguardi? Quanti sono coscienti dei propri pensieri? Piccole sfumature che ci riportano
ad un solo attore: il nostro ego. Crediamo di conoscerci bene? Non so voi, ma io sto
ancora imparando e fatico ogni giorno nello scoprire i miei lati più oscuri. Quanta
violenza abbiamo dentro? Se scaviamo dentro di noi scopriamo che la violenza spesso
nasce da una rabbia e sotto di questa c’è un dolore. Qual è l’origine di quel dolore?
Un’incomprensione? Un nostro errore oppure qualcosa che ci ha ferito? Domande a cui
possiamo rispondere solo noi.
Scoprendo giorno dopo giorno il nostro passato possiamo scoprire cosa ci fa male e
riusciremo a superarlo solo nella comprensione di ciò che è stato realmente. Ricostruire
il nostro passato non è solo onorare il padre e la madre, ma mettere pace dove pace non
c’è. Se in un gruppo le persone si confrontano e accettano le critiche quale strumento di
crescita, c'è in seme la possibilità anche di una società migliore e queste persone
potrebbero guidare la nazione al di là della loro provenienza politica. Non è più tempo
di ideologie politiche o sociali, è tempo di lavorare su se stessi. Sono un sognatore? È
una utopia? Sì, può essere. Però, vi prego, lasciatemi sognare un po’. Perché dai sogni
che possono nascere le grandi cose.
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1.2 Essere e non vedere
La vista è il senso che usiamo più dell’udito, del tatto, la usiamo più della stessa parola.
Attraverso lo sguardo si esprimono le emozioni e i pensieri più svariati. Se non è
strutturato in una rigida maschera, il volto esprime a nostra insaputa quello che siamo,
quello che pensiamo, quello che desideriamo, quello che viviamo. È un televisore
attraverso il quale anche una persona non troppo preparata può intravvedere ciò che
siamo, ma tutti facciamo finta di non vedere e abbassiamo gli occhi.
Gli occhi, forse non tutti lo sanno, funzionano in modo diverso: con uno puntiamo e
guardiamo il particolare, mentre con l’altro guardiamo l’insieme di ciò che abbiamo
avanti. Questo processo non avviene sempre con lo stesso occhio, ma cambia in
rapporto all’interesse di quel momento. Cosa c’entra tutto questo con il movimento?
C’entra nella capacità di comprendere il significato di trasparenza.
La vista, come ogni altro senso, è capace di percepire oltre l’apparenza, tuttavia va
rieducata e, come è per qualsiasi strumento, si deve imparare ad usarla in modo corretto.
Un primo passo è riconoscere il giudizio che nasce dal guardare: troppo spesso non
diamo il tempo alla mente di comprendere una situazione, o una persona, e tendiamo a
formulare un giudizio a prima vista.
Molti conoscono il detto: “la prima sensazione è quella che conta” Vero, spesso però
non è così, perché la prima sensazione è volata via ed ha lasciato posto al nostro primo
pensiero. Quel pensiero è stato formulato dal nostro caro io che elabora la sensazione,
attraverso le nostre strutture mentali e abitudini, quello che abbiamo visto e sentito.
Come si fa a non formulare un giudizio? Non è facile, soprattutto quando è diventata
un’abitudine da molto tempo. Anche quando poniamo molta attenzione, ci renderemo
conto del nostro giudizio sempre tardi. Tuttavia, quando c’è un intento vero di crescere
come persone, il tempo che passa dal momento in cui si emette un giudizio a quello in
cui ci accorgiamo di averlo emesso, sarà sempre più breve, fino al giorno che
percepiremo dentro di noi non più il giudizio quanto la sensazione che ci porta poi ad
esprimere il giudizio. Non è questo un processo semplice, ci vuole pazienza e molta
attenzione. Tuttavia è possibile.
Anche se il volto è l’espressione di mille pensieri, non prendiamo subito per buono ciò
che vediamo o percepiamo. Per capire meglio questo processo, soprattutto se riguarda
gli altri, è quello di guardare prima a noi stessi. Per prima cosa dobbiamo verificare se
ogni cosa che pensiamo di una persona in qualche piccolo modo possa riguardarci in
qualche modo. Non fermiamoci se crediamo che non sia così, quando magari qualcuno
afferma il contrario. In questo modo avremo fatto il 70% del lavoro. Non dimentichiamo
che nulla è scontato e così facile da riconoscere, la mente è ben educata all’inganno,
anche quando, in certi casi, afferma la verità a tutti i costi. Ogni eccesso nasconde un
problema. Man mano che riusciremo a riconoscere noi stessi, nel confronto con gli altri,
riusciremo a riconoscere i moti degli altri e a livello di sensazione sapremo distinguerli
da quelli nostri. Non dobbiamo avere fretta in questa difficile ricerca personale, ma
prendiamoci il tempo che ci serve.
Con il tempo risulterà semplice comprendere, per esempio, quando una persona veste in
un modo appariscente perché vuole essere notata e quando, invece, lo fa perché fa ha dei
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gusti particolari oppure quando una persona mostra di voler parlare e quando non lo
vuole, sebbene lanci segni di voler essere contattata. Non dobbiamo sottovalutare la
vista, perché essa ci impedisce di utilizzare gli altri sensi. Non dobbiamo cadere
nell’errore di cercare gli spettacoli forti, ad esempio vedere le energie, perché sono
specchi per le allodole, come si dice, per far perdere tempo: è necessario tenere i piedi
ben ancorati a terra.
È noto che un cieco utilizza l’udito e il tatto molto di più di quanto noi facciamo
normalmente: prendiamoci del tempo per scoprire quale percezione abbiamo
dell’ambiente e delle persone. Non è usando il sesto senso, come molti credono, che si
impara a riconoscere chi abbiamo di fronte, ma è usando tutti sensi. La mente, il nostro
io, in questo modo dovrà scendere nel corpo ed entrare in contatto con quello che spesso
non conosce o non vuol conoscere o, peggio, ritiene un peso o una bruttura. Impareremo
così a prenderci cura di noi non per quello che appaiamo, ma per quello che siamo
realmente.
Anche i modi di dire possono aiutarci a comprendere: “Occhio che non vede, cuore che
non duole”, ad esempio, oppure “Non avere più occhi per piangere”. Gli occhi hanno la
stessa importanza degli altri organi di senso, tuttavia, non dimentichiamolo, sono lo
specchio della nostra anima: per due persone guardarsi negli occhi può essere molto
invasivo o molto coinvolgente. Si può essere violenti anche con un semplice sguardo.
Tutto dipenderà dalle intenzioni. Da uno sguardo si può percepire le vere intenzioni di
una persona, da uno sguardo può esserci il sostegno, un’approvazione o una
disapprovazione. Tutto dipende, come sempre, da noi e dalla conoscenza delle nostre
reali intenzioni. Intenzioni di cui spesso non conosciamo l'origine.
Quello che è importante, per me, è comprendere quali siano le nostre reali intenzioni,
perché da esse si svilupperà o meno il gruppo che vorremmo costruire. La base, simile
al terreno, è importantissima perché determinerà la crescita o meno di quello che è il
progetto comune. Noi tutti siamo la terra da cui crescerà il movimento e sta a noi, da
buoni contadini, prepararla ad accogliere il seme di tutti.
Non credo ad un movimento politico nel senso stretto del termine, ce ne sono stati
troppi in questi anni e non hanno portato a nulla perché non sapevano trovare i punti in
comune tra i loro membri. Credo invece in un movimento di buon senso e di sviluppo
della libertà , che trova un senso nelle regole, del giusto e, anche se a qualcuno la parola
può sembrare inutile o retorica, dell’onore.
L’onore è una luce che brilla nella notte come una stella: è il valore che ogni persona da
alla sua vita, l’espressione del rispetto, della dignità e dell’onestà. Questi tre elementi
compongono, a mio parere, l’onore. E nel firmamento non c’è una stella, ma un insieme
di stelle che formano una galassia. Un galassia visibile, ma così lontana da risultare
sconosciuta, invisibile eppure lì davanti agli occhi di tutti. Ecco, cosa è per me il
movimento: lo vedi, c’è, esiste, ma non puoi toccarlo perché l’unico modo di entrare a
farne parte è quello di essere.
I termini hanno sempre un chiaro e storico significato, se nel corso degli anni sono stati
usati male, questo non deve impedirci di usarli in modo corretto e se il significato
dovesse essere diverso, allora ben vengano altri e migliori termini. Tutto dipende da noi.
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1.3 Essere e non sentire
Cosa significa sentire e ascoltare? Perché per me sono due cose distinte: ascoltare fa
parte del senso dell’udito, mentre il sentire, collegato letteralmente all’udito, è per me
invece legato alla percezione. Cercherò quindi di spiegare al meglio questi due concetti.
Quanti di noi fanno finta di sentire? Perché ci sono diversi modi di far finta. Nel dialogo
tra due persone può capitare che un ascoltatore stia facendo finta di ascoltare, annuisca
con la testa o faccia gesti per dire che è presente, senza che ciò sia vero. Sebbene ciò
possa accadere per vari motivi, che al momento esulano dal mio discorso, ciò che ci
interessa capire ora è se nella nostra vita ci è capitato di essere in questa situazione. Sia
dal punto di vista di chi ascolta che di chi parla. Questi miei interventi non vogliono
collegarsi con ciò che accade nel mondo, ma con ciò che accade dentro il nostro piccolo
e personale mondo.
Per quanto possiamo essere superficiali, insicuri, insensibili a tutti è capitato di notare
l’atteggiamento di chi, pur mostrando interesse per quanto diciamo, in realtà non ci stia
ascoltando. I tanti modi di rendersi trasparenti in questa situazione dipendono dalla
situazione stessa: cambiamo discorso, annuiamo, troviamo una scusa per allontanarci,
guardiamo lontano o abbiamo lo sguardo perso nel vuoto.
Vi ricordate ciò che avevo detto sul valore delle parole? (ne parlerò nei prossimi testi)
La chiave di lettura dell’ascolto non si discosta poi molto da quel discorso, visto che
parola e ascolto sono intimamente legate: se ciò che ascoltiamo non è di interesse, non
solo per la mente, ma anche per il nostro interiore, l’attenzione si perde. Questo
meccanismo è ancora più evidente quando una persona non parla per raccontare una sua
storia, ma per sfogare una sua pressione interna: ci sono persone che caricano la mente
non solo intellettualmente, ma anche a livello esperienziale, di un argomento ed hanno il
bisogno di scaricarlo parlandone ad un’altra persona. Non solo per scaricare questa
pressione, ma, a volte, anche per ricevere un’approvazione o un segno di condivisione.
Questo dialogo spesso è a senso unico, porta ad essere al centro dell’attenzione e alla
lunga, stanca e annoia prendendo non solo tempo, ma anche energie: le energie
dell’attenzione.
Capita, a volte, che chi deve esprimere un concetto, non sia in grado di farlo in modo
corretto e finisca per fare un lunghissimo discorso, talvolta frammentato, facendo
perdere all’ascoltatore il filo e il senso. Capita, a volte, che per dare peso ad un concetto
si infarcisca di dati e nomi altisonanti quanto viene detto. Capita, a volte, che mancando
la percezione e l’esperienza relativamente a un fatto, non si sappiano trovare le parole
giuste e questo accade perché non ci diamo il tempo di far sedimentare l’esperienza
attraverso una riflessione personale, che richiede sempre tempo, pazienza e apertura.
A volte non perdiamo neppure tempo ad interpretare quanto sentiamo perché quello che
non va bene alla nostra mente viene, quasi inconsciamente e automaticamente,
censurato. Per questo motivo ho preso l’abitudine di registrare i discorsi, non solo quelli
degli altri, ma anche i miei, perché riascoltandomi capisco non solo il modo con cui ho
espresso le mie parole, ma posso immaginare l’effetto che posso avere avuto sul mio
ascoltatore, soprattutto se lo conosco bene.
Cosa c’entra tutto questo con il movimento? Come è importante usare le parole migliori
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in un discorso è bene che l’ascoltatore sia attento a quanto viene detto. Ogni parola ha
un’eco dentro di noi e muove le strutture che abbiamo costruito negli anni della nostra
crescita. A volte questo movimento interno non è una semplice sensazione, ma è un vero
e proprio terremoto che ci ferisce, ci altera e ci fa nascondere dietro mura altissime. A
volte queste mura sono composte da diversi elementi: un atteggiamento archetipo, una
maschera, un modo di esprimerci, un modo di respirare, un modo di guardare, un modo
di stare in piedi, un modo di vestire. Diventa uno stile di vita che si radica dentro di noi
senza lasciarci via di uscita.
Allora, che fare? Cerchiamo di essere dei samurai giapponesi, non solo per quanto
riguarda la determinazione nel voler crescere e nell’essere aperti ad ampliare la nostra
personale verità (processo di trasformazione), ma anche coraggiosi e pronti
nell’affrontare i numerosi terremoti. Sì, ci saranno terremoti e ci saranno diverse
occasioni, nelle quali dovremo non difendere le nostre convinzioni ponendoci come
controparte, come se dovessimo combattere un nemico, ma rendere esplicito il valore
delle nostre scelte di vita. Perché la vita è fatta così e noi non possiamo fare nulla, se
non adeguarci. Vi è piaciuta questa immagine? Un samurai… dovremmo cercare di
liberarci gradualmente anche di questi archetipi ed “essere” noi stessi.
Fino a questo momento si è parlato di ascolto, ma cosa significa sentire? Il sentire è per
me parte della percezione e quest’ultima è il processo di sintesi che il corpo fa attraverso
tutti i sensi che utilizza, anche quelli di cui la mente non è cosciente. Quanti di noi si
accorgono dello sguardo di una persona che ci sta dietro e ci osserva? Il pensiero è più
presente di ciò che tocchiamo con mano, non si vede, non si sente, ma si percepisce.
Spero che capiate ciò che voglio dire. Esistono tanti livelli di percezione e dipendono
dalla nostra capacità di aprirci al nostro interiore. Non ci sono tecniche o preghiere per
questo processo perché ogni tecnica è una forzatura legata dalla volontà di potere della
mente.
Dobbiamo essere trasparenti, diventando pressoché invisibili, a noi stessi, per scorgere
ciò che siamo realmente. Non sto cercando di fare, come alcuni crederanno, del
semplice spiritualismo; ma solo di ampliare la veduta sulla vita e, per quanto sarà
possibile, sulla morte. Un percorso personale dove ognuno deve trovare le sue chiavi di
lettura; alcune potranno essere comuni, altre no.
Tutto questo per dire di non ascoltare? No, ascoltando dentro di noi ciò che si muove,
amplieremo ciò che ascoltiamo normalmente fuori. Essere è ascoltare in entrambe le
direzioni comprendendo il giusto senso della lettera di ciò che abbiamo sentito e non
quello che abbiamo creduto che fosse.
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1.4 Essere e non parlare
Parlare. Cosa significa parlare? Tutti parlano. Qualcuno con rigore e in modo letterato,
altri in modo popolare, altri in modo disordinato o errato, altri per dare, come si dice,
aria ai denti. Come è per il respiro che può essere più o meno profondo, anche le parole
hanno una loro profondità. Questa profondità non viene dal concetto espresso o dai
termini utilizzati, ma da chi la esprime. Tuttavia qualcuno dissentirà su questo. Io leggo
un testo di uno scrittore e mi emoziono. Ciò potrebbe significare che le parole hanno
smosso qualcosa dentro di me. Vero, ma solo parzialmente. Quando leggo o ascolto una
frase, io inconsciamente mi collego al sentire (preferite: inconscio?) di quella persona e
percepisco il senso che essa voleva dare alle sue parole. Questo sottile collegamento
avviene mentre noi siamo impegnati a leggere, poi la nostra mente frulla i concetti, li
collega, li stira, li ribalta, li rende più consoni a quello che la nostra mente crede e
quindi accetta o rifiuta quanto ha capito. O forse, si dovrebbe dire meglio: quanto ha
creduto di capire.
Cosa è accaduto? Nel frullatore della mente si è perso gran parte di quello che la nostra
corporeità in toto ha invece percepito. Riteniamo che tutto il nostro mondo sia racchiuso
nel nostro piccolo io, mentre è continuamente collegato non solo alla natura, ma ad ogni
essere umano. Questi sottili fili o canali ci portano a percepire ogni cosa che ci accade,
vicina o lontana.
Se per un neonato è naturale e per un bambino è semplice percepire quello che per
l’adulto è illogico e inesistente, è possibile ampliare la propria coscienza in merito a
questi moti interiori senza cadere però nei giochi di luce o nelle esplosioni di fantasia
che la New Age ci ha offerto negli anni passati. Potrebbe essere identificato nel “noi” di
cui si parlava nel movimento. Tuttavia, prima dobbiamo comprendere la forza e
l’importanza della parola.
Se trasmetto insieme alle parole quello che ho acquisito emotivamente, coscientemente
e incoscientemente in quanto sono trasparente e privo di giudizio chi mi ascolta
percepirà meglio la mia esperienza. Se trasmetto solo parole, come un registratore, non
trasmetterò nulla e l’interlocutore non comprenderà il senso del mio messaggio. Posso
anche avere ragione su quello che dico, ma se la verità è scarica del mio vissuto, quelle
parole non avranno nessun valore e così si perderanno. Nel suo insieme le parole sono lo
strumento maestro di comunicazione e il loro corretto uso è tanto importante quanto la
comprensione del contesto della loro nascita e storia.
In questo momento io sto usando le parole e non mi è certo facile esprimere quello che
vorrei, un po’, come ho già detto, perché non sono uno scrittore e un po’ perché ritengo
di dover ancora assimilare bene questo concetto. Da piccolo mi dicevano saggio perché
non parlavo molto e quando dicevo qualcosa era di solito una cosa importante, ma vi
dico che la questione era più semplice: non sapevo che parole usare ed ero terrorizzato
di essere frainteso o ripreso perché mi ero espresso in modo sbagliato.
Quando usiamo la volontà in modo oggettivo, per ottenere uno scopo, le parole si
caricano della forza psichica ed entrano di forza nelle persone, lacerandole. Ci sono
persone che usano questa forza senza rendersene conto. Risultato? Nessuno, le persone
si turbano, non comprendono ciò che accade loro e continuano a non sapersi difendere
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dalle influenze esterne. Nella comunicazione, secondo me, un obiettivo importante è
quello di non voler cambiare gli altri con le parole, ma offrire la propria esperienza
come un dono. Perché è questo il senso e il modo con cui offro ogni esperienza che ho
accumulato, sebbene io sia consapevole che le mie parole possano essere fraintese,
facendomi passare per quello che il pregiudizio di un ascoltatore poco aperto decide che
sono.
Quando le persone parlano dietro la schiena, seminano, talvolta senza fine, pensieri
quasi sempre negativi nelle persone. Pensieri che comporteranno prima o poi una
crescita e un raccolto. Sembrerà ai più che questo non intacchi queste persone, ma in
realtà ogni cosa accade secondo una qualche funzione matematica e il suo risultato
tornerà nell’interiore della stessa. Questo è uno dei misteri della vita che potrà trovare
soluzione in futuro attraverso una funzione matematica, ma poi? Che ci facciamo? La
verità è semplice ed è dentro di noi. Qualcuno si domanderà come mai non sia stata
ancora scoperta, visto che è così semplice. Qualcuno chiama questa funzione “karma” ,
qualcuno “destino”: ciò che importa è che ancora nessuno ha trovato una risposta
accettabile da tutti, perché è più comodo cercare all’esterno di noi piuttosto che in un
interno che spesso fa male.
Ci sono persone che sono artisti nella capacità di utilizzare parole volgari senza però
risultare triviali. Perché accettiamo una parola volgare da un attore, da uno scrittore, da
un artista? Spesso è il tono con cui viene detta, molte volte è il contesto e praticamente è
sempre l’intenzione con cui si dicono. L’intenzione non dovrebbe avere secondi fini, ma
spesso accade il contrario. Un buon esercizio è quello di conoscere i propri lati nascosti
e le nostre vere intenzioni attraverso il confronto. Ma siamo poi aperti al dialogo? A
cambiare noi stessi così radicalmente e profondamente? Non è un sì che farà la
differenza. Pensiamoci intanto.
Questo è solo l’ennesimo lavoro del singolo, dove la parola diventa “essere” o per chi
può comprendere il senso profondo di un termine così complesso: “Verbo”.
Buona parola a tutti.
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1.5 Essere e non fare
Il gruppo. Partiamo da quello che non è. Prima di tutto ritengo che lo scopo di questo
movimento non sia di creare l’ennesimo movimento politico, perché ce ne sono già
tanti. Visto come vanno le cose in Italia, potrebbe essere normale aderire al desiderio
comune di dover fare qualcosa per cambiare la società e per poterlo fare, come spesso è
stato richiamato dalle forze politiche in questi anni, lo si può solo attraverso la
partecipazione attiva in qualche gruppo politico.
È facile cadere in questo ambiguo gioco, perché è tendenza comune dividere ogni cosa
in bene e in male, in destra e in sinistra, in buoni e in cattivi, coprendo però il vero
problema: le persone non pensano con la propria testa e ogni cosa ha sempre al suo
interno entrambi gli aspetti.
Non sto dicendo che non sia possibile e che non sia giusto partecipare alla politica, ma è
farlo con quello scopo che non è del tutto corretto. Quando vogliamo entrare in politica
ci sono già i partiti a cui aderire e se nessuno dovesse essere di nostro gradimento,
insieme ad altre persone, si fonderà un nuovo partito su basi ben chiare. Penso che
ognuno di noi desideri trasmettere un modello di studio diverso, dove le persone
possano ampliare la propria conoscenza senza arroccarsi nei termini, in valori o in
simbolismi assoluti. Perché questi moti possono solo portare ad estremismi e alla
violenza, magari non fisica, ma sicuramente ideologica e verbale.
Vedo un movimento che parte dalla base della società, che incontra le persone, ci parla,
porta cultura, porta “essere”. Strumenti? A seconda delle proprie possibilità e
sensibilità: la televisione, la radio, i giornali, internet, chi ci circonda. Perché anche il
passa parola può essere uno dei tanti strumenti e per certi versi, secondo me, il più
potente.
Lo vedo come un vento, invisibile, che si sposta tra le persone e la società, che non
appare, ma lo si sente. Se appare, lo fa ogni tanto qui e là sfiorando le persone come una
brezza del mare in una giornata di primavera, senza lasciare tracce, perché queste tracce
sono dentro le persone. E come il vento porta alcuni semi in giro per il mondo facendoli
diventare alberi e frutti, anche i nostri semi un giorno fioriranno in altrettanti esseri
invisibili.
Ma andiamo avanti. Per poter realizzare tutto questo si deve “essere”. Cosa significa?
Quante volte noi parliamo alle persone? Spesso. Esse ascoltano, ma ascoltano
veramente? Spesso le persone danno valore alle parole non perché ascoltano e riflettono,
ma perché mettono su un piedistallo la persona e quando cade per un suo errore, perché
siamo umani ed è normale commettere errori, la buttano giù con disprezzo.
L’idealizzare una persona è una delle cose pericolose di questo mondo, perché in quel
momento noi trasferiamo le nostre responsabilità su un soggetto e diventiamo passivi
credendoci non responsabili delle nostre azioni, tuttavia siamo sempre responsabili di
“essere”. È fin troppo evidente come questo perverso meccanismo venga oggi usato per
dirigere il pensiero comune.
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Essere significa vivere. Significa fare proprie le parole dell’interlocutore, trovarci i punti
di contatto, darsi il tempo per capire quello che non ci è chiaro. Dobbiamo metterci nella
condizione di comprendere in quale contesto si trova l’interlocutore, quale sia la sua
storia e del perché parla in un certo modo. Solo in questo modo si può fare proprie le
conoscenze degli altri e se riusciamo a collegarle con quello che già conosciamo, senza
farci prendere dalla fretta del momento, potremo ampliare le nostre piccole verità. In
questo modo scopriremo che non ci sono contraddizioni, ma solo incomprensioni
nell’uso dei termini e scelte di vita diverse.
In quel momento il nostro pensiero assumerà non solo la connotazione di una serie di
parole, ma avrà la forza interiore di una conoscenza propria. Sarà carico di quel quid
misterioso che è la vita e affonderà nel cuore delle persone oltre che nella loro mente.
Non ci saranno trucchi psicologici, oggi troppo usati per vendere, o tecniche per imporre
la propria volontà, ma sarà la chiarezza e la forza interiore della persona a fare breccia.
Essere significa essere veri, anche se non lo saremo mai in assoluto, visto la relatività
del mondo, ma di certo potremo tendere ad esserlo sempre di più.
Il non fare è legato intimamente alla mancanza di desiderio. Mi spiego, se io faccio una
cosa perché desidero qualcosa, brucio in qualche modo la forza che lo accompagna.
Cosa vuol dire? Vuol dire che quando parlo non lo faccio per convincere, ma per offrire
una maggiore comprensione.
Questo moto non viene dalla volontà, da un psichismo, ma dal cuore. Qui, non facciamo
l’errore di confondere il cuore con l’emotività, perché nel mio discorso non c’entra. Il
cuore è un’energia ben più complessa ed è legata anche al coraggio e al senso di
giustizia, non al farsi giustizia, come alcuni pensano.
Sarà naturale scontrarsi con il giudizio e i confronti che le persone faranno di noi, sarà
facile trovarsi in situazioni nelle quali ci si troverà su un piedistallo, sarà facile trovare
l’affetto smisurato delle persone, così come il contrario di tutto questo. Quello che è
importante è non farci prendere da tutto ciò, bello o brutto che sia. Cercheremo invece di
metterci da parte e di dare spazio a tutti. Oppure ci saranno altre scelte, ma di questo
potremo parlarne personalmente.
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1.6 Essere, non essere, essere oltre
Non è solo una classica citazione del vecchio William Shakespeare e non è neppure un
controsenso. È un punto di arrivo per chi cerca se stesso. Viviamo la vita con la paura di
perderci e contemporaneamente ogni giorno facciamo di tutto per mescolarci tra le
persone e conformarci agli ideali vuoti del mercato.
Il nostro amato io, dolore e piacere della nostra vita, è il soggetto di questo essere e non
essere. Diamo per scontato che la nostra esistenza sia legata tutta ad esso ed è così
quando diciamo di avere una sola vita a disposizione. Uno dei problemi delle persone è
l’incapacità di unire due concetti apparentemente contrari: prendiamo la questione della
vita.
Alcuni dicono che ce ne è una, altri dicono che ce ne sono molte. Ognuno avvalla la
propria tesi con diversi argomenti: testi, fede, esperienze, casi. Avevo iniziato a dire che
la verità è qualcosa che unisce e non divide: come la mettiamo ora? Se prendiamo in
considerazione la nostra vita, quella che viviamo adesso, sì, è unica, è irripetibile. Non
ci sono, per quanto simili, due vite uguali con scelte ed esperienze identiche. Allo stesso
tempo ci sono persone che ricordano vite precedenti, di cui poi trovano riscontri pratici.
A una prima occhiata, queste sembrano due verità contrastanti. Ma proviamo a vedere
se esiste un modo sensato di integrare queste due verità.
Possiamo pensare che la nostra vita sia unica e gli errori che facciamo possano essere
rimediati solo in questa vita, visto che non è scontato ricordare una vita precedente. Allo
stesso tempo possiamo immaginare che qualcosa sopravviva dopo la morte: forse non
proprio il mio io, forse un’essenza, qualcuno la chiama anima. L’anima potrebbe
incarnarsi, prendere forma in questa realtà e manifestare un io. Potremmo perfino
pensare che un’anima possa manifestare più di un io, tanto da dire che effettivamente, in
certi casi, davanti a noi abbiamo noi stessi. Accidenti, se fosse così, sai che fregatura!
Ma come il caro dualismo ci insegna possiamo interpretare la situazione in un’altra
maniera: le persone ricordano non le proprie vite, ma le vite di altri. Ciò significherebbe
cosa? Che possiamo collegarci a qualcosa che ci informa di ciò che altri hanno fatto.
Questa seconda visione non ci aiuta a dare una spiegazione di cosa ci sia dopo la vita,
ma ci fornisce una indicazione di come ogni persona sia intimamente collegata agli altri.
Non voglio addentrarmi troppo nel problema, quanto far notare come entrambe le
riflessioni possano essere vere e che, invece di contraddirsi, ampliano ciascuna il
concetto di vita che offre l’altra. Sicuramente anche voi troverete ulteriori modi di
interpretare questi esempi togliendo, ovviamente, i rifugi mentali della categoricità,
dell’impossibilità e dello scientismo puro. E andiamo avanti.
La questione è: chi siamo? Siamo un soggetto, un oggetto del mercato? Siamo un
numero? Siamo una massa informe? Nel concetto di “noi” è bene chiarire l’importanza
del singolo e della sua unicità perché, quando si tratta di trasmettere delle conoscenze, è
solo nella diversità che amplia una coscienza. A volte il noi è confuso nella
omologazione senza volontà, tipo come accade nei paesi totalitari. Se fossimo omologati
in questo modo si perderebbe quella diversità che invece è la vera e propria forza
dell’essere umano e di una società sana.
Non cadiamo nell’inganno di sentirci diversi, siamo esseri umani con una grande
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ricchezza interiore e tutto sta dentro di noi. Non cadiamo neppure nell’errore di pensare
agli altri in termini di “loro” o “voi” perché quei pronomi sono facce dello stesso io,
prima persona singolare, quella che divide, non quella plurale, che unisce. Vedere nel
prossimo un te stesso riflesso non è così scontato e semplice, difficile quanto accogliere
chi ti potrebbe ingannare o uccidere. Per ora non pensiamo troppo a quest'ultimo
concetto, perché vedremo nel tempo il suo reale significato.
Per non essere si deve prima essere e l’unico modo per essere veramente è quello di
conoscersi, in modo da conoscere anche il mondo che ci circonda. Non sarà mettendoci
in un gruppo che noi avremo realizzato il nostro essere, non sarà affermando un
principio che lo faremo vivo, non sarà decidendo che realizzeremo i nostri scopi.
Quando abbiamo raggiunto il nostro essere qui, non essere sarà solo una questione di
poco conto. Morire, vivere sarà la stessa cosa.
Turbati? Immagino di sì, la morte è uno di quegli argomenti che si cerca di cancellare in
tutti i modi eppure è la morte che da valore alla vita. Ma cosa è la morte? La fine di
tutto come alcuni sostengono? Vero, è la fine del nostro io. Ma per altri è l’inizio di una
nuova esperienza. Molte delle persone che hanno avuto esperienze di premorte
ricordano immagini felici e non la temono più. Cosa sentiamo noi, cosa facciamo noi
rispetto alla morte? Facciamo finta di nulla, neghiamo violentemente ogni cosa, ci
diamo all’ippica, ci chiudiamo in un credo religioso, filosofico o politico? Resta un
fatto: alla fine moriremo. La morte è uno dei tanti momenti dell’essere umano e
prepararsi ad essa è uno dei tanti compiti. Da sempre i sacerdoti hanno avuto il compito
di accompagnare i defunti, ma purtroppo tanti di loro oggi non sanno più in cosa
credere.
Non possiamo ignorare una cosa solo perché ci fa paura, affrontarla significa diventare
più forti. Essere più forti non significa non morire, ma vivere. Io ho molti dubbi in
merito al concetto di morte che viene affermato di recente dalla scienza, in relazione,
per esempio, ai trapianti, e cerco di informarmi e trovare una mia risposta in merito: ciò
che troverò sarà mio e suonerà strano a molti, ma sarà una nuova possibilità per altri, se
la accoglieranno e la faranno propria giorno dopo giorno.
Perché la questione è ancora e sempre la stessa: chi siamo? E la risposta è varia, in
relazione al contesto che vogliamo prendere in considerazione. Il nostro dualismo ci fa
pensare in termini di essere e non essere, facendoci identificare l’essere con la vita
terrena e il non essere con la vita intima, con la vita dell’anima, dell’oltemorte. Possibile
che tutto si risolva in opposizioni? Possibile che non possa esistere una terza possibilità,
più vasta e matura, che colmi il divario tra i dati sensibili di questa esistenza e i dati
esperienziali dell’aldilà? In fondo, si tratta sempre di due realtà che appartengono al
regno dell’esperibile, per quanto difficile possa essere. E la spiritualità, il lato oscuro
della luna, il regno oltre le colonne d’Ercole, dove li mettiamo? Non potrebbe essere che
i dati da mettere insieme siano tre, due sperimentabili con la totalità del nostro essere
uomini e un’altra che esula, che sfugge, ma che è tuttavia presente come un altro da
tutto ciò che è e non è?
Fosse così, l’unica possibilità che avremmo per metterci in contatto con la terza realtà,
quella Altra, è quella di vivere in pieno l’essere e il non essere. Altro non ci è dato fare:
non abbiamo termini, non abbiamo concetti, non abbiamo mappe né descrizioni. Solo il
silenzio infinito, oltre.
Essere oltre è quello che possiamo essere nella nostra massima espressione, se non
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fossimo troppo legati alle nostre strutture mentali, quello che siamo in potenza. Superato
il limite dell’essere, quello indicato nelle mie diverse riflessioni, quello dell’essere se
stesso in se stesso, il nostro sguardo scruta oltre l’orizzonte e vede il mondo come è.
Il mondo è un sistema ordinato di regole, non certo inventate da noi, a cui dobbiamo
sottostare anche se ciò non ci piace. Ci sono regole materiali, che si chiamano leggi
della fisica e devono ancora essere scoperte nella loro interezza, e ci sono leggi non
materiali. La principale di queste è la legge di causaeffetto: se c’è una cosa, ci sarà un
effetto. Se faccio una cosa, questo qualcosa produrrà un altro qualcosa. Sempre. In
oriente questa legge ha preso il nome di karma, ma l’idea che abbiamo del karma in
occidente assomiglia più alla vendetta del destino che al meccanico riproporsi del terzo
principio della dinamica. Eh, sì, funziona anche in fisica: ad ogni azione ne consegue
una uguale e contraria. Tuttavia, tutto nella società in cui viviamo sembra volerne
negare l’evidenza.
Prendiamo l’amministrazione della giustizia: si commettono reati e poi, tra processi
lunghi, indulto e sconti di pena, si grida allo scandalo se pochissimi scontano la loro
condanna in pieno. Prendiamo la sanità: si vive una vita sregolata e poi ci si meraviglia
di essere colpiti da malattie gravissime anche in giovane età oppure siamo coinvolti in
un caso di malasanità ma non facciamo nulla. Prendiamo l’informazione: ci si
disinteressa di ciò che succede intorno e poi ci si lamenta perché tutto va male,
continuando a seguire passivamente il pensiero di altri. Prendiamo l’ambiente: si
inquina, si sfrutta e si violenta il nostro pianeta e poi ci si ritrova di fronte a catastrofi
che sembrano insensate. Ancora, ed è più grave: si crede che la morte sia la fine di tutto
e ci si sente autorizzati a comportarsi in modo strafottente, ricorrendo poi a qualunque
possibilità offerta dal mercato per sedare i sensi di colpa. Si vuole confondere la libertà
con la mancanza di responsabilità, ma attenzione, la coscienza non è un optional, anzi è
sempre lì, sia che sia ammantata di un credo bigotto, sia che sia nutrita di sano rispetto,
sia che sia dopata da soldi, pigrizia e potere.
Prendiamo i discorso dei piedistalli. Le persone amano, desiderano, vogliono qualcuno
da seguire e da imitare. Qualcuno da mettere su un piedistallo, perché ogni volta che
seguiamo qualcuno, noi, per quanto grandi conoscitori di noi stessi, stiamo facendo la
brutta copia di quel personaggio. Se applichiamo questo concetto a Gesù, è facile
renderci conto che basta spogliarlo degli allori che il Vaticano gli ha messo addosso, per
trovare una serie di indicazioni verso un essere qualcosa di più, e lo stesso capita per
altri grandi della Storia. Cosa significa essere oltre? Possiamo forse essere oltre i
grandi? Possiamo andare oltre le categorie mentali del grande e del piccolo? Dobbiamo
andare oltre, non vi pare?
Ecco che quell’oltre rappresenta il mondo, ciò che appare sotto i nostri sensi e in
specifico il futuro. È la legge di causaeffetto: ciò che io faccio nel mondo di oggi, avrà
un effetto sul mondo di domani. Cosa è il futuro se non i figli, i giovani che oggi si
arrabattano a seguire mille idoli di carta e non capiscono la parola valore? Già sento i
commenti di sottofondo. Sto parlando in modo generale, perché non è giusto
generalizzare, tuttavia è bene capire cosa è che non funziona. La difficoltà principale
dell’essere umano è la solitudine, nessuno ama essere sempre solo e così si aggrega a
gruppi grandi o piccoli, perché l’unica alternativa che conosce è la depressione e le sue
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conseguenze sulla salute. Ma il gruppo è la soluzione? Ve lo domando perché per molti
che si avvicineranno ad un movimento, questa sarà l’ennesima occasione per sentirsi
parte di qualcosa, per dare un senso al vuoto che hanno dentro. Vogliono ascoltare delle
parole buone da parte di chi, come è stato per Krishnamurti, non vuole essere maestro o
leader ma vuole capire se ci sono persone che vogliono essere vere.
Cosa lasciamo ai nostri figli o a quelli degli altri? Perché non ha nessuna importanza di
chi sono, i figli di tutti sono anche i figli nostri. Cosa stiamo seminando oggi? Non ieri
o domani, ma oggi. È importante. Di argomenti ce ne sono tanti, ho preparato una lista
per un promemoria che mi auguro potremo discutere all’interno di ciò che fonderete.
Dobbiamo avere le idee chiare per non rischiare di disperdere i nostri tentativi in mille
direzioni inutili. Il che non vuol dire che dobbiamo pensare tutti la stessa cosa, ma che
abbiamo delle posizioni da prendere e dobbiamo essere informati perché le nostre
posizioni abbiano senso oggi e domani. Sebbene io abbia accumulato molti dati per
alcuni di questi argomenti, scrivo spunti generali, volutamente privi di commenti e sono
sicuro di aver scordato qualcosa: per questo faccio riferimento a voi.
IL SECONDO PUNTO È LA TERRA, perché è il mondo che ci ospita, quello che
lasceremo ai nostri figli. Non possiamo fare finta che i comportamenti individuali non
abbiano una ricaduta a livello dell’ambiente e non possiamo nasconderci che la somma
dei comportamenti individuali più la somma delle scelte economiche fa la differenza tra
un futuro e l’assenza di un futuro:
1. inquinamento: tipi e caratteristiche
2. tutela dell’ambiente
3. energie rinnovabili
4. uso degli OGM
5. tecniche di coltivazione
6. salvaguardia della biodiversità
7. caccia, la pesca come sport anche per i minori, aree e specie protette.
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IL TERZO PUNTO È LA SALUTE, perché si tratta del nostro corpo, di cui abbiamo
la prima e ultima responsabilità. Noi tutti, prima o poi, abbiamo fatto l’esperienza,
diretta o indiretta, con la malattia, e conosciamo bene la fragilità fisica, la vulnerabilità
emotiva, la scarsa resistenza alla manipolazione ideologica, la disperata volontà di
dimenticare che prendono in un momento grave. Ecco quindi degli argomenti di
riflessione colossali, da affrontare da diverse prospettive, perché in questo campo la
rigidità spesso fa rima con la connivenza, magari involontariamente, con le
multinazionali del farmaco:
1. concetto di malattia
2. unitarietà del corpo VS parcellizzazione
3. medicine “altre” e libertà di cura
4. morte cerebrale
5. trapianto di organi
6. trasfusioni
7. vaccini
8. eutanasia
9. aborto
10. eugenetica
11. fecondazione assistita e clonazione
12. trattamenti sanitari obbligatori
13. elettroshock
14. cambio di sesso
15. soglie di inquinanti, sostanze nocive, OGM in cibi, bevande e ambiente
16. nuovi farmaci: procedure per l’ammissibilità.
IL QUARTO PUNTO È L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA, perché se
non è certa, rapida, rieducativa, non si tratta né di giustizia né di diritto ma di sopruso
legalizzato. Se abbiamo il diritto di esser tutelati, abbiamo anche il dovere di non
offendere altri esseri umani nel loro diritti fondamentali, anche se hanno sbagliato ad
agire, macchiandosi magari di delitti orribili. Se in uno stato la giustizia è ingiusta,
nessuno può invocarla e tutto diventa confuso e privo di senso:
1. come garantire la reale indipendenza della magistratura dagli interessi di parte
2. struttura ottimale del sistema giudiziario
3. segreto di stato
4. impunità dei politici
5. intercettazioni, privacy
6. lavoro carcerario come produzione di beni per ripagare la carcerazione
7. pene sostitutive
8. requisiti strutturali e organizzativi di un carcere auspicabile
9. prostituzione
10. droga: consumo, spaccio.
IL QUARTO PUNTO SONO LE REGOLE DELLA PARTECIPAZIONE ALLA
GESTIONE DELLA COSA PUBBLICA, perché, anche se sembra una cosa di altri
tempi, lo stato siamo noi. Giusto per ricordare, “repubblica” vuol dire “cosa pubblica” e
ciò che è pubblico è di tutti, cioè è nostro e non di “altri” generici. Vivere in comunità
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vuol dire avere ben chiari i principi e i meccanismi di questo vivere insieme, utilizzarli
ognuno al livello che crede e rendersi conto che il proprio voto ha un peso enorme.
Perciò, la prossima volta che si vota a qualsiasi livello, teniamo d’occhio il programma
elettorale di chi votiamo e cosa è stato effettivamente realizzato, lamentandoci con chi ci
ha deluso e lodando chi è stato all’altezza delle nostre aspettative. Sappiamo di volere,
ad esempio, uno stato laico: ma cosa fa uno stato laico in faccende quali la
regolamentazione del matrimonio, la legislazione sulla morte e sulla vita, il destino del
corpo dopo la morte, la professione di fede in credi altri da quelli storicamente attestati
in Italia, la sessualità, il senso del pubblico pudore? Ecco, allora, qualche idea:
1. regole per la rappresentanza e la partecipazione
2. chi governa deve pagare per gli errori
3. leggi che abbiano sempre un regolamento attuativo
4. limite della ripetibilità del mandato
5. necessità di competenza dimostrabile per occupare una carica politica
6. necessità di una fedina penale pulita
7. incompatibilità tra mandato politico e posizioni finanziarie di monopolio
8. benefici economici dei politici, pensioni, gettoni di presenza
9. possibilità delle leggi di iniziativa popolare
10. voci ineludibili di bilancio di uno stato e spese inutili
11. la prolificazione delle leggi e l’eliminazione di quelle inutili
12. programmi Open Source e GPL nella P.A. come contrasto allo spreco di denaro
pubblico.
IL SESTO PUNTO È IL MONDO DEL LAVORO, perché è la realtà in cui viviamo
tutti i giorni e che, volenti o nolenti, ci condiziona la vita. Credo che, tranne pochi
fortunati, nessuno sia contento del suo lavoro, non solo perché si trova a contato con
persone antipatiche o violente, ma perché è vincolato a una serie di situazioni che trova
prive di senso: spesso, infatti, non abbiamo scelto un lavoro per vocazione ma per
necessità. E, con i tempi che corrono, temo sia già tanto avercelo, un lavoro:
1. lavoro: diritto o dovere?
2. sicurezza nei posti di lavoro
3. durata della settimana lavorativa
4. forme contrattuali ammissibili
5. come calcolare il giusto compenso
6. valorizzazione del ruolo di tutti
7. l’aggiornamento: diritto o dovere?
8. sciopero: diritto e regolamentazione
9. età pensionabile, buonuscita, pensioni di anzianità
10. il ruolo del sindacato nella contrattazione e nella difesa dei lavoratori.
IL SETTIMO PUNTO È L’ECONOMIA, perché ha una ricaduta diretta sulla nostra
vita, a partire dalla spesa quotidiana. Per non pensare che il mercato siano un’entità viva
che si gestisce da sé, dobbiamo capire se le scelte attuali in materia economica siano
consone al nostro sentire. Non sono meccanismi facili da capire e non sempre c’è libero
accesso alle informazioni, ma fortunatamente le cose si ripetono e ciò che la storia
racconta può servire da modello per comprendere in parte il mondo moderno:
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1. signoraggio
2. sistema bancario italiano, europeo e mondiale
3. libero accesso ai beni di primaria necessità
4. educazione alla produzione dei beni di prima necessità nei paesi del III mondo
5. sistema euro VS valute nazionali
6. ruolo delle multinazionali
7. sviluppo di modelli alternativi al libero mercato
8. microeconomia VS macroeconomia
9. indipendenza della ricerca scientifica
10. rapporti economici con i paesi che non rispettano i diritti umani.
L’OTTAVO PUNTO È LA POLITICA ESTERA, perché dobbiamo renderci conto
che non viviamo da soli su questo pianeta che diventa ogni giorno più stretto e
sovraffollato e che è necessario sapere come comportarci nell’avere rapporti con gli altri
stati:
1. regolamentazione dell’immigrazione
2. status di rifugiato
3. ruolo degli stranieri in Italia: diritti, doveri
4. soluzione dei conflitti internazionali
5. partecipazione dell’Italia alle missioni militari all’estero
6. ammissibilità dell’idea di “ ingerenza umanitaria”
7. necessità di far parte della UE
8. ruolo dell’Europa, suoi limiti e prerogative
9. ruolo dell’ONU.
E così via. Difficile? Certo. Faticoso? Certissimo. Inutile? Non sta a noi dirlo. Qui il
lavoro è grande: stiamo tentando di costruire un’etica nuova su antiche tracce di buon
senso. Ho detto niente… Questa riflessione ha lo scopo di farci capire che il potere è
una questione assai complessa e non è semplice e riducibile solo, ad esempio,
all'ecologia e al mercato.
Nota: questi sono solo appunti per iniziare una propria riflessione personale.
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1.7 Riflessione conclusiva
Dopo aver esposto a 360° gli aspetti di "essere" e "non essere", a questo punto sento la
necessità di chiarire due concetti: teoria e conoscenza di se stessi. Una è la serratura e
l'altra è la chiave di comprensione di ciò che ho espresso fino a oggi. La teoria è una
serratura statica che si serve di regole e concetti rigidi, la conoscenza è una chiave,
sempre diversa che però fa girare sempre la stessa serratura e apre la porta all'interiore.
Sulla base di questo concetto possiamo immaginare che l'uomo stia, attraverso le
filosofie e la scienza, costruendo mille serrature diverse senza però neppure una chiave
che le apra. Capite? Tutto ciò che fa l'uomo è uno strumento che richiama in senso lato
la ricerca di se stesso. Ogni sperimentazione porterà, in un complesso gioco di specchi,
solo ad altre sperimentazioni.
È stato detto che quanto ho scritto era solo teoria: è vero, quanto è stato detto nei diversi
interventi è solo teoria se chi legge non trova il modo di applicarlo nel quotidiano.
Questo concetto è vero per qualsiasi pensiero. Il passaggio di una teoria da serratura a
chiave, quasi fosse un'operazione alchemica, sta proprio in questo: dobbiamo prendere
un concetto che sta fuori di noi e, giorno dopo giorno, espanderlo e dirigerlo dentro di
noi. Fate attenzione che, trattandosi di una regola, di un insieme di regole o di una
tecnica, quello che viene chiesto dal vostro interiore è l'intima comprensione di quanto
sta alla base, comprensione che non è legata alla mente e ai suoi limitati processi, ma
all'intelligenza che si produce in un sistema assai più complesso, che coinvolge tutto il
corpo.
Questo processo è molto differente da quanto normalmente crediamo, visto che, per
esempio pensiamo che ripetere una litania all'infinito diano luogo a una qualche forma
di meditazione. Questo errore di valutazione nasce dal fatto che tutte le tecniche
esprimono una qualche forma di potere potere: potere sulla vita, sul corpo, sulla mente,
sugli altri, sul mondo. Nascono e vengono praticate anche con buoni propositi, ma sono
e restano strumento, al pari di un'arma. Puoi usarla per difenderti o per fare
volontariamente, sempre di un'arma si tratta. Nella realtà in cui viviamo la nostra mente
è un'arma e sebbene facciamo di tutto per non rendercene conto e pensiamo che i nostri
pensieri non abbiano effetto solo perché non ne vediamo risultati materiali, le cose
stanno così. Seminiamo pregiudizi, pensieri negativi, superbia e non sarà con una
tecnica, fosse anche una preghiera o una candela accesa, che potremo cambiare questo
stato di cose.
La teoria assomiglia a un eterno dibattito, possiamo discutere per decenni su cosa sia il
bene e cosa sia male, trovandoci anche ottime ragioni per il nostro punto di vista, ma
non produrremo nessun risultato perché le nostre resteranno nozioni senza costrutto.
Anche la redazione di un testo, per quanto chiaro e accurato non è altro che la creazione
di nuove regole e principi senza però quel quid utile al cambiamento. La differenza la fa
il portare fuori di noi quello che abbiamo dentro. Ma cosa abbiamo dentro?
Domandiamocelo, perché questo è solo il punto di partenza.
La teoria diventa realtà solo attraverso la comprensione del singolo ed è viva solo
quando costui se ne l'avrà fatta sua: solo allora sarà in grado di esprimerla con parole
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sue. Vi è chiaro? So di essere ripetitivo, ma so anche che non è facile capirsi. Quante
volte noi, ascoltando un discorso siamo d'accordo con quanto abbiamo ascoltato ma poi
non siamo capaci di ripetere nulla? È chiaro che ci sono persone molto portate ad usare
la lingua, ma non è questa capacità che ci manca: manca invece la consapevolezza di
quanto accade intorno a noi, nella società e così non siamo in grado di collegare gli
eventi.
La verità è personale: può solo essere ampliata comprendendo il contesto del nostro
interlocutore. Non esiste un bene o un male assoluti, esiste solo una rigidità mentale
determinata da una volontà di potere o da una limitazione provocata dall'ignoranza. La
prima si deve scoprire in se stessi attraverso una profonda analisi di sé e lo scambio con
gli altri, la seconda si elimina gradualmente aprendosi alle verità degli altri. Dobbiamo
imparare a non aggiungere giudizi alle nostre considerazioni ed a aprirci al pensiero
degli altri senza pensare di sapere subito cosa vogliono dire.
La libertà è interiore: non è possibile pensare di essere liberi perché ci è permesso fare
quello che ci pare o perché siamo nella posizione di infrangere le regole o perché
nessuno ci vede. Dobbiamo sempre rispondere alla nostra coscienza, che non ci lascia
certo abbindolare dalle nostre scuse, non possiamo di certo ricorrere a ragioni morali se
crediamo che l'essere si riduca alla sola vita materiale. A quanti pensano che il mondo
dello spirito non esiste, che Dio non esista, ricordo che quando non è provato neppure il
contrario, c'è sempre l'ombra del dubbio e una possibilità in questo senso resta. Un salto
qualitativo in questo pensiero sta nella comprensione delle proprie percezioni, non solo
dei sensi, ma anche interiori.
Il mondo è illusorio: che siamo credenti o non credenti, partiamo sempre dal
presupposto che il mondo sia stato creato da Dio – o dal caso, se pensiamo che Dio no
possa permettere tutto il dolore che sperimentiamo ogni giorno. Non avrebbe più senso
dire che questo mondo è figlio del Demonio? Un Demonio che opera con il consenso e
con l'aiuto di Dio perché l'esperienza di ciascuno di noi non vada persa e si giustifichi
ogni vicenda dolorosa alla luce di un progetto molto più grande di noi tutti? Ricorrerò a
un esempio: la pellicola di un film produce su uno schermo delle immagini. Le
immagini sono di violenza o di amore, o di tutti e due. Lo schermo è un dono di Dio, la
luce che sprigiona le immagini è l'anima, la pellicola è la conoscenza del bene e del
male, diciamo così. E l'operatore? È quel quid che io chiamo Spirito. Lo schermo
manifesta ciò che non potrebbe manifestarsi nel mondo dell'anima, ma grazie allo
schermo l'anima che è anche spettatrice di questo gioco impara e, paradossalmente,
migliora se stessa. Quello che ho fatto è un esempio retorico che resterà una favola
sciocca se non saprete andare oltre le parole.
Il corpo è molto di più di un aggregato di organi chimicamente determinati: di fatto ciò
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è vero se non si va oltre quello che si percepisce: il limite non è nei sensi, ma nella
mente. Fate particolarmente attenzione a questo ultimo concetto. Non dimenticate che
togliere i limiti alla mente non è facile e significa ma ampliare, espandere, accogliere.
L'uomo può anche andare oltre l'immaginabile scoprendo l'antimateria, i viaggi spaziali,
anche nuove civiltà, tuttavia resta sempre legato al limite della sua percezione e dell'idea
che si fa della realtà. La vita come la conosciamo esiste perché sia vissuta nel migliore
dei modi. Quando ci facciamo prendere dal desideri di potere, dall'avidità, dal senso del
possesso, dal bisogno di apparire noi perdiamo il meglio di quello che possiamo
ricevere dalla vita e saremo sempre scontenti. Non culliamoci nell'illusione di essere
buoni: ciascuno di noi, nel suo piccolo, è capace di desideri terribili; il fatto è che non
ce ne rendiamo conto.
Se avete già compreso i punti sopra indicati e li avete fatti vostri, possiamo dire che
avete fatto più della metà della strada per arrivare alla prima porta. Che l'io sia oggi
imperante è chiaro: perché? L'io è parte di noi, il più grande rischio che possiamo vivere
è quello di perdere la nostra identità, il nostro io, la nostra storia. Così facciamo di tutto
per radicarci in quello che per noi è la verità, nascondendo giorno dopo giorno la nostra
vera natura, che sperimentiamo, ad esempio, nei momenti di grande difficoltà, quando
scopriamo di avere risorse impensabili.
La soluzione non si trova nell'estremizzare le situazioni, che raccolgono il dolore e la
rabbia che nascono dalla finzione dell'io, che finge di non sentire i messaggi che
nascono dal suo interiore, dalla sua anima. Dobbiamo andare oltre, quando crediamo di
essere arrivati in fondo, dobbiamo andare ancora oltre, porta dopo porta, serratura dopo
serratura, scoprendo sempre nuove chiavi. Temo che, a causa dei termini usati, molti di
voi confonderanno la percezione con i sensi, ma questo è naturale perché non usiamo la
mente come dovremmo. Le abitudini fanno da padrone nella nostra vita e non ne siamo
consapevoli. Ad esempio, avete mai usato gli occhiali neri bucherellati tipo
VisionLight? Dopo un primo momento di smarrimento inizierete ad usarli normalmente
e scoprirete dopo un po' di poter migliorare la vostra vista. Si tratta forse di un migliore
uso dell'occhio oppure di esercizio del muscolo oculare? No, si tratta del fatto che la
mente deve usare l'occhio in modo diverso. Non è l'occhio il problema, ma la mente.
Noi diciamo che l'occhio ha perso la capacità di vedere, in realtà la mente ha smesso di
vedere: quante sono le cose che non vogliamo, metaforicamente parlando, vedere?
Pensateci.
A questo punto molti diranno che non sanno percepire oltre i sensi tradizionali, eppure
anche questa è una scusa che continuiamo a raccontarci per non essere responsabili di
ciò che siamo, perché la verità è che spesso ci accorgiamo se qualcuno dietro di noi ci
sta guardando insistentemente. Tuttavia ci fermiamo in superficie perché abbiamo paura
di percepire, perché se dovessimo farlo e dovessimo rendercene conto, rimarremmo in
imbarazzo di fronte a un nuovo potere, che qualcuno potrebbe usare contro di noi,
facendoci sentire inermi.
La verità è che lo siamo sempre ed è inutile far finta che non ci siano queste capacità.
Sicuramente sono assopite, ma di certo non cancellate o inesistenti. Abbiamo solo paura
di noi stessi. Renderci conto di ciò significa mettere in gioco tutto, soprattutto la propria
vita: una persona che ha compreso ciò va oltre l'apparenza e non teme più la morte e
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vive ogni giorno come fosse l'ultimo. E se è l'ultimo sarà, avrà sicuramente assaporato e
vissuto quasi al 100% la sua esperienza e non avrà bisogno di diversivi o paradisi
artificiali.
Il prossimo testo “Atto II” conterrà il concetto delle cinque chiavi: una visione più
approfondita di questi ultimi concetti.
Paolo Toso
Buona ricerca
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Note sul copyright e copyleft
Le riflessioni ivi contenute sono sotto la licenza Creative Commons e possono essere
utilizzate liberamente secondo tale licenza, ci piacerebbe però che fossero comprese e
vissute dal lettore attraverso la sua presa di coscienza ed esperienza personale, in modo da
poterle esprimere con le sue parole e non riportando voci di altri.
–.–
Paolo Toso
L'autore è nato in Friuli (Italia) nel 1963 e
dal 1980 ha iniziato la sua ricerca interiore.
Ancora oggi è alla ricerca non solo di
conoscere se stesso, ma anche i
collegamenti tra le diverse filosofie e
pensieri sulla vita e la morte.
In questi anni ha accumulato un bagaglio considerevole, che
attraversa le tematiche dell'esoterismo, delle religioni e delle
filosofie, sperimentando anche diverse tecniche e meditazioni
quali la Meditazione Trascendentale e le Shiddi di Maharishi
M.Yogi, il KryaYoga di Yoganada, la radionica con M.Frisari, lo
Shiatzu e la M.T.C. con M.Boato, C.Liansheng e W.Ohashi, il
Buddismo a Pomaia, le danze sacre e i giochi non competitivi con
istruttori di Findhor, il Cristianesimo con Don Nicolino Borgo e
Don Candido Maffei e tanti altri. Mai contento dei risultati, ha
sperimentato anche tecniche da lui stesso elaborate.
Una lunghissima storia che non è possibile raccontare in poche
righe e che lo ha portato a riconsiderare le sue concezioni di
realtà e di essere. Nel 1993 ha iniziato a portare la sua visione e
ricerca attraverso conferenze, stage e corsi che gli hanno fatto
ottenere nel 1997 la laurea honoris causa da un'antica accademia
italiana, da cui in seguito ha ricevuto anche il titolo di Reggente
esecutivo per la sua regione. Tenendo lui stesso e insegnando nei
suoi incontri il principio di autonomia e responsabilità della
persona verso la vita e la spiritualità ha ottenuto anche il titolo di
diacono della Chiesa Syro Antiochena Missionaria Autocefala
d'Europa. Oggi, si è ritirato per terminare un punto focale della
sua ricerca.
Per informazioni:
http://paolo.toso.noguide.it
pa2002 (at) libero (dot) it
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