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CENSIS

IL CONDIZIONAMENTO DELLE MAFIE


SULL’ECONOMIA, SULLA SOCIETA’ E SULLE ISTITUZIONI
DEL MEZZOGIORNO

Roma, settembre 2009


 

 
INDICE

Premessa Pag. 1
1. La forza pervasiva della criminalità organizzata “ 7
2. La crescita dei luoghi e dei reati della criminalità
organizzata di stampo mafioso “ 13
3. La paura delle imprese “ 42
3.1. I fattori ostativi allo sviluppo “ 42
3.2. Il peso della criminalità organizzata “ 44
3.3. I tradizionali sistemi di controllo del territorio “ 47
3.4. La filiera “lunga” della criminalità organizzata “ 52
3.5. La percezione della sicurezza “ 57
3.6. Quali gli interventi richiesti e in quali settori “ 58
4. Trasparenza della Pubblica Amministrazione e cultura della
legalità “ 61
4.1. Le frodi ai danni dell’Unione Europea “ 70
4.2. La spesa in sanità “ 79
5. Il deficit di fiducia e di coesione all’interno della società “ 91
6. Il divario socio-economico tra il Sud della mafia e il resto
del paese “ 100
7. Spesa pubblica e fondi europei: Troppi soldi o troppo
pochi? " 120
Conclusioni “ 133
Allegato - I principali indicatori demografici “ 135
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PREMESSA

Il testo che si presenta nelle pagine che seguono è il risultato del lavoro
realizzato dal Censis in adempimento all’incarico di consulenza affidatogli
dalla “Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e
sulle altre associazioni criminali, anche straniere” e relativo a “Il
condizionamento delle mafie sull’economia, sulla società e sulle istituzioni
del Mezzogiorno”.

Il testo è così articolato:

Capitolo 1 – La forza pervasiva della criminalità organizzata

All’interno del capitolo si presenta una stima che il Censis ha effettuato a


fine 2006 relativa all’incidenza della criminalità organizzata sui comuni e
sulla popolazione delle quattro regioni in cui è maggiore la presenza delle
organizzazioni criminali. Tale stima è stata messa in relazione ai principali
indicatori economici e sociali, per verificare quanto la presenza della
criminalità organizzata influisca sui livelli di sviluppo economici e sociali.
La stima è stata effettuata considerando, per ciascuno dei comuni delle
quattro regioni del Meridione sede delle più temibili organizzazioni
mafiose:
1) La presenza di clan (Fonti: Relazioni e Rapporti al Parlamento del
Ministero dell’interno e Rapporto dell’ Osservatorio anticamorra della
regione Campania);
2) Il numero dei comuni sciolti per mafia (Fonte: Ministero dell’Interno);
3) La presenza di beni confiscati (Fonte: Libera, Ufficio beni confiscati).

Capitolo 2 – La crescita dei luoghi e dei reati di criminalità organizzata

In questo capitolo sono stati analizzati la presenza e l’andamento dei reati di


criminalità organizzata in Italia.
I reati di criminalità organizzata sono stati selezionati considerando
esclusivamente quegli illeciti per cui le risultanze delle indagini condotte da
magistratura e forze dell’ordine dimostrano che vi è una partecipazione
consistente da parte dei gruppi di criminalità organizzata di stampo mafioso.

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Per ciascun reato considerato sono stati analizzati i dati di delittuosità


relativi alle denunce pervenute alla Forze dell’ordine e inseriti nella Banca
dati interforze SDI situata presso il Ministero dell’Interno.
I dati sono presentati con dettaglio provinciale per l’ultimo anno disponibile
(2007), e in serie storica a partire dal 2004, anno di attivazione della Banca
dati SDI.
I dati sono considerati in valore assoluto e attraverso la costruzione di
indicatori; in ogni tabella è sempre disponibile un confronto tra le quattro
regioni del Meridione a maggiore presenza di criminalità organizzata di
stampo mafioso, il resto del Sud, il Centro-Nord ed il totale Italia.
I dati relativi ai beni immobili sequestrati alla criminalità organizzata, di
fonte Agenzia del demanio, sono aggiornati al 31/12/2008.

Capitolo 3 - La paura delle imprese

Il capitolo intende rappresentare qual è il sentiment prevalente degli


imprenditori meridionali rispetto alla presenza della criminalità e quanto
questa influisca sullo svolgimento della loro attività economica.
All’interno del capitolo si fa riferimento ai dati di due indagini effettuate dal
Censis su di un campione di imprenditori meridionali:
- Indagine sulle imprese, effettuata nel 2006 per il progetto “Valutazione
di impatto degli interventi realizzati nell’ambito del Programma
operativo nazionale “Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno-
2000/2006”, commissionato dal Ministero dell’Interno.
L’indagine è stata realizzata su di un campione di 800 imprenditori di
imprese medio - piccole (max. 200 addetti) che operano nelle regioni
dell’Obiettivo 1 (Campania, Puglia, Calabria, Basilicata, Sardegna,
Sicilia).
Il campione è stato stratificato in base alla regione di attività, al numero
di addetti dell’azienda, e al settore di attività (industria, commercio,
servizi).
Lo strumento di rilevazione adottato per la realizzazione della ricerca è
consistito in un questionario a risposte chiuse.
- Indagine sulle imprese, effettuata nel 2003 nell’ambito del progetto
“Impresa e criminalità nel Mezzogiorno” realizzato per la Fondazione
BNC.

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L’indagine è stata realizzata su di un campione di 763 imprenditori di


imprese con al massimo 250 addetti che operano nelle otto regioni del
Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Basilicata, Campania, Calabria, Puglia,
Sicilia e Sardegna).
Il campione è stato stratificato in base alla regione di attività, al numero
di addetti dell’azienda, e al settore di attività (industria, commercio,
servizi).
Lo strumento di rilevazione adottato per la realizzazione della ricerca è
consistito in un questionario a risposte chiuse.

Capitolo 4 - Trasparenza della pubblica amministrazione e cultura


della legalità

Il capitolo intende- attraverso dati strutturali e indagini di campo- fare il


punto sul funzionamento e la trasparenza della pubblica amministrazione,
con particolare riferimento alle quattro regioni in cui è più forte la presenza
della criminalità organizzata.
All’interno del testo viene citata l’indagine Doing Business della Banca
Mondiale, volta a misurare alcuni parametri del contesto in cui si fa impresa
in 183 diverse economie nazionali, ed il Terzo Rapporto della Fondazione
Promo PA sulla soddisfazione delle piccole e microimprese nei confronti
della Pubblica Amministrazione.
Si fa riferimento, poi, ai risultati di uno studio condotto dalla CGIA di
Mestre sul costo della Pubblica Amministrazione in Italia.
Nel capitolo sono riportati, inoltre, dati relativi alle opinioni delle famiglie
sui servizi pubblici tratti dall’indagine Multiscopo dell’Istat (anno 2007),
dati relativi alle denunce di corruzione tratti dal “Primo Rapporto al
Parlamento del servizio anticorruzione e trasparenza” (anno 2008); dati
della Guardia di Finanza relativi alle frodi ai danni dell’Unione europea
(anno 2009); dati dell’Arma dei Carabinieri relativi alle frodi alimentari ai
danni della UE (anno 2008); dati sulla spesa sanitaria tratti dalla “Relazione
generale sulla situazione economica del paese” (anno 2008) del Ministero
dell’Economia e delle Finanze, dati sulla spesa sanitaria, sulle strutture,
sulla mobilità interregionale del Ministero della salute (2007).

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Inoltre nel testo sono citate due indagini realizzate dal Censis:
- La ricerca svolta nell’ambito del progetto Karma - Knowledge,
accompagnamento, ricerca, monitoraggio e assistenza per la pubblica
amministrazione, realizzato per il Ministero dell’Istruzione.
L’indagine ha coinvolto 386 soggetti appartenenti ad amministrazioni
pubbliche delle regioni del Sud (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria,
Sicilia e Sardegna).
La rilevazione è stata effettuata nel mese di aprile 2008, tramite
compilazione on line di un questionario strutturato.
- Motivazioni e contenuti delle scelte di voto nelle elezioni politiche 2008,
per la quale sono stati intervistati 2.047 elettori all’uscita del seggio
elettorale.
Per la scelta dei comuni si sono utilizzate come variabili di stratificazione
l’area geografica e l’ampiezza demografica; la scelta dei seggi è avvenuta
sulla base della localizzazione e l’individuazione degli intervistati sulla
base di quote campionarie per sesso ed età. Successivamente è stata
effettuata una ponderazione per titolo di studio e area geografica.
La rilevazione è stata effettuata tramite intervista diretta e compilazione
di un questionario strutturato.

Capitolo 5 - Il deficit di fiducia e di coesione all’interno della società

Il capitolo intende analizzare quali sono le caratteristiche prevalenti della


società meridionale e se queste possono influire sulla presenza e la forza
delle organizzazioni criminali.
All’interno del capitolo si riportano dati relativi alle persone che svolgono
attività sociali tratti all’indagine Multiscopo dell’Istat (anno 2008); dati sul
numero e la percentuale di votanti alle elezioni politiche di fonte Ministero
dell’Interno e dati inerenti alle seguenti indagini realizzate dal Censis:
- Indagine sulla popolazione, effettuata nel 2006 per il progetto
“Valutazione di impatto degli interventi realizzati nell’ambito del
Programma operativo nazionale Sicurezza per lo sviluppo del
Mezzogiorno-2000/2006” per il Ministero dell’Interno.
L’universo di riferimento è costituito dalla popolazione di età superiore
ai 18 anni, residente nelle regioni Obiettivo 1 (Campania, Puglia,
Basilicata, Sardegna, Calabria e Sicilia). L’indagine è stata realizzata

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attraverso 1.500 interviste effettuate su un campione stratificato per


sesso, età, regione di residenza, ampiezza del comune di residenza.
Lo strumento di rilevazione adottato per effettuare l’indagine è consistito
in un questionario a risposte chiuse.
- Indagine sulla popolazione calabrese, effettuata nel 2008 nell’ambito del
progetto “ Sicurezza e legalità nelle società calabrese”, su commissione
della Fondazione BNC.
L’universo di riferimento è costituito dalla popolazione di età superiore
ai 18 anni, residente in Calabria.
Il campione di 1.500 individui è stato stratificato in base al sesso, l’età, la
provincia e l’ampiezza del comune di residenza.
Lo strumento di rilevazione è consistito in un questionario a risposte
chiuse.
- Indagine sulla popolazione campana, effettuata nel 2007 nell’ambito del
progetto “Osservatorio regionale sulla sicurezza urbana” su commissione
della regione Campania.
L’universo è costituito dalla popolazione residente in Campania di età
superiore ai 18 anni.
Il campione di 2.000 individui è stato stratificato per provincia, fascia di
età, sesso, e ampiezza demografica del comune di residenza.
Lo strumento di rilevazione adottato per effettuare l’indagine è consistito
in un questionario a risposte chiuse.

Capitolo 6 - Il divario socioeconomico tra il Sud della mafia ed il resto


del paese

Il capitolo presenta ed analizza i principali dati strutturali di carattere


socioeconomico di fonte Istat, tratti da diverse rilevazioni.
I dati sono considerati con dettaglio regionale per l’ultimo anno disponibile
(generalmente il 2007), e in serie storica a partire dal 2000, anno nel quale
sono stati introdotti nuovi metodi di stima per i dati di contabilità nazionale.
I dati sono considerati in valore assoluto e attraverso la costruzione di
indicatori; in ogni tabella è sempre disponibile un confronto tra le quattro
regioni del Meridione a maggiore presenza di criminalità organizzata di
stampo mafioso, il resto del Sud, il Centro-Nord ed il totale Italia.

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Capitolo 7 - Spesa pubblica e fondi europei

Il capitolo presenta i principali dati di spesa pubblica nazionale ed europea.


All’interno del capitolo sono stati presentati ed analizzati dati di fonte
Ministero dello Sviluppo Economico relativi ai Conti pubblici territoriali e
dati sui finanziamenti europei tratti dalla rendicontazione del Quadro
comunitario di sostegno 2000-2006.
I dati sono considerati con dettaglio regionale per l’ultimo anno disponibile
(2007).

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1. LA FORZA PERVASIVA DELLA CRIMINALITÀ


ORGANIZZATA

La crescita di reati che per la loro visibilità, destano particolare allarme


sociale e disturbo dell’ordine pubblico; la recrudescenza di alcuni atti
criminali di cui si sono fatti protagonisti i cittadini stranieri; la richiesta di
maggiori poteri da parte dei sindaci hanno riportato ai primi posti
dell’agenda politica la domanda di sicurezza e di controllo sociale, facendo
emergere le prime crepe nei percorsi di integrazione degli immigrati.
L’attenzione rivolta alla criminalità comune, che avvicina le nostre città alle
più grandi metropoli del mondo, dove da tempo si stanno affrontando, con
politiche e strategie diverse, le contraddizioni insite nei processi di sviluppo
e di globalizzazione; rischia di far dimenticare quello che, ancora oggi,
rappresenta il vero problema del nostro paese, che è la presenza della
criminalità organizzata.
Tale presenza, che è contrassegnata da una strategia di silenziosa
mimetizzazione con il tessuto sociale ed economico circostante e da una
grande capacità di trasformazione e di innovazione dei modelli operativi,
condiziona pesantemente la vita di una parte significativa della popolazione
e ne limita le possibilità di sviluppo economico e sociale.
Le risultanze giudiziarie e i dati a disposizione mostrano come oggi si sia di
fronte:
- ad un radicamento del tessuto criminale nei territori di tradizionale
appartenenza;
- all’estensione dei traffici e dei luoghi di interesse della criminalità
organizzata, per cui aumentano i settori e le modalità di intervento, non
sempre immediatamente riconoscibili né come criminali né come illegali;
e si estendono anche a territori esterni alle quattro regioni
tradizionalmente colpite;
- al comparire di cartelli stranieri specializzati nei business criminali da
globalizzazione, quindi in tutti i traffici internazionali da quelli di droga,
a quelli di armi, a quelli di persone.
Queste trasformazioni finiscono per avvicinare alla criminalità organizzata
strati sempre più ampi di popolazione, che, pur non appartenendo alle
famiglie mafiose e non volendo condividere nulla degli affari dei boss, sono

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in qualche modo condizionati da una presenza che trae la sua forza dalla
capacità di esercitare un capillare controllo del territorio.
Riportiamo di seguito l’analisi condotta dal Censis due anni orsono1 di
alcuni indicatori che possono essere usati come proxi della presenza di
criminalità organizzata nei comuni delle quattro regioni in cui le
organizzazioni criminali sono più radicate (Campania, Calabria, Puglia e
Sicilia) mostra chiaramente la criticità della situazione:
- in base alle relazioni del Ministero dell’Interno, i comuni del Sud in cui
sono presenti sodalizi criminali sono 406 su 1.608;
- gli enti locali in cui risultano presenti beni confiscati alle organizzazioni
criminali sono 3962;
- mentre i comuni sciolti negli ultimi tre anni sono 25; di questi 8 si
trovano sul territorio della provincia di Napoli, 4 in quella di Palermo e 3,
rispettivamente, a Reggio Calabria e Vibo Valentia (tab. 1).
Complessivamente 610 comuni delle quattro regioni meridionali (il 37,9%
dei 1.608 comuni totali) hanno un indicatore manifesto della presenza di
criminalità organizzata (clan mafioso o bene confiscato o scioglimento negli
ultimi tre anni); tra questi, 195 presentano due indicatori e 11 tutti e tre. Se
si considerano separatamente le singole Regioni, è la Sicilia ad avere la
maggior quota di comuni coinvolti (195, pari al 50% del totale); seguita
dalla Puglia, ove 97 comuni, pari al 37,6% del totale registrano presenza di
organizzazioni criminali, Campania (203 comuni, pari al 36,8%) e Calabria
(115 comuni, pari al 28,1%). Tra le province meridionali, si segnala in
negativo la situazione della provincia di Agrigento, ove 37 comuni, pari
all’86% del totale, evidenziano almeno un elemento di criticità, quella di
Napoli, ove i dati segnalano come nel 79,3% dei comuni vi sia un indicatore
di presenza di criminalità organizzata e quella di Caltanisetta, in cui i
comuni che registrano un’indiscussa presenza di mafia sono il 77,3% del
totale. Mentre emergono in positivo le situazioni di Avellino e Cosenza, ove
la criminalità organizzata sembra essere circoscritta ad alcune aree.
Ma è solo quando si passa a quantificare la popolazione che vive nei comuni
in cui si registra almeno un indicatore della presenza di organizzazioni
criminali che il dato sulla forza pervasiva della criminalità organizzata
emerge in tutta la sua drammaticità: si tratta di 13 milioni circa di individui
su di un totale di 16.874.969, vale a dire il 77,2% del totale della
                                                            
1
   Per questo come per gli altri lavori del Censis citati, si veda la premessa
2
I dati sono al 31.12.2006, mentre nel cap. 2 si riportano i dati più recenti del Demanio

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popolazione residente nelle quattro regioni e circa il 22% della popolazione


italiana con quote che superano abbondantemente il 50% in ciascuno dei
contesti regionali analizzati (per cui si va dall’82% della Sicilia, all’81,3%
della Campania, al 72,5% della Puglia, al 62,5% della Calabria). Questo
significa che la mafia si insedia soprattutto nei contesti abitativi di maggiori
dimensioni, dove ci sono maggiori occasioni di fare affari e di influenzare il
potere locale. Le province che hanno quasi la totalità degli abitanti che
convivono con le organizzazioni criminali sono quelle di Napoli (95,0%),
Agrigento (95,9%), Caltanisetta (95,2%), Trapani (91,0%) e Palermo
(90,9%). La provincia ove, invece, vi è la minor quota di popolazione
coinvolta è quella di Avellino, in cui, comunque il 38,2% degli abitanti
convive con le organizzazioni mafiose.
Conferma la considerazione relativa alla dimensione medio-grande dei
comuni in cui si registra l’insediamento delle famiglie mafiose anche il dato
relativo alla superficie complessivamente occupata dalle amministrazioni
locali che fanno registrare almeno un indicatore di criminalità: 37.458 kmq,
pari al 50,8% dei 73.740 kmq delle quattro regioni.
Se si allarga l’angolo visuale all’interno territorio nazionale, e si
considerano accanto ai dati demografici, alcuni indicatori economici, si ha
che nei 610 comuni del Mezzogiorno dove vive il 22,0% della popolazione
italiana viene prodotto il 14,6% del Pil nazionale e si registra il 12,4% dei
depositi bancari e il 7,8% degli impieghi (tab. 2).
Di fronte a dati così rilevanti, e considerando l’obiettivo del massimo
profitto perseguito dai sodalizi criminali, diventa difficile immaginare che
questi non finiscano per influenzare il funzionamento del sistema
economico, sociale e politico, incidendo pesantemente sulle performance
del nostro Mezzogiorno.
Nella figura 1 sono riportati insieme tre indicatori che misurano la presenza
di criminalità organizzata, la ricchezza individuale e il tasso di
disoccupazione nelle diverse aree del Paese. Ebbene, nelle regioni dove la
criminalità organizzata è più forte, è minore il Pil procapite ed è maggiore
il tasso di disoccupazione. Viceversa, nelle regioni del Centro-Nord,
l’aumento del PIL e il minore tasso di disoccupazione si combinano con una
presenza meno incisiva della criminalità organizzata.
E non è un caso se le quattro regioni a rischio siano proprio quelle che sono
rimaste nell’Obiettivo Convergenza, che ha sostituito l’Obiettivo 1 nella
programmazione dei Fondi strutturali 2007-2013, e in cui rientrano i territori
della Ue che hanno un Pil procapite inferiore al 75% della media europea. A

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questi territori è destinata la fetta più consistente delle risorse della nuova
programmazione.

Tab. 1 - Diffusione e incidenza della criminalità organizzata in Campania, Calabria,


Puglia e Sicilia

Provincia e regione Comuni coinvolti (*) Popolazione Superficie dei comuni


v.a. val. % appartenente ai coinvolti (% su totale)
comuni coinvolti
(% su totale)

Avellino 19 16,0 38,2 13,4


Benevento 28 35,9 56,2 31,1
Caserta 49 47,1 77,9 50,2
Napoli 73 79,3 95,0 86,4
Salerno 34 21,5 69,5 24,9
Totale Campania 203 36,8 81,3 33,7
Bari 27 56,3 79,8 66,9
Brindisi 12 60,0 80,2 79,9
Foggia 15 23,4 70,0 50,9
Lecce 26 26,8 52,2 46,6
Taranto 17 58,6 78,5 71,5
Totale Puglia 97 37,6 72,5 59,9
Catanzaro 20 25,0 65,3 32,2
Cosenza 18 11,6 41,7 16,2
Crotone 11 40,7 72,6 55,8
Reggio Calabria 51 52,6 85,3 58,7
Vibo Valentia 15 30,0 59,7 32,3
Totale Calabria 115 28,1 62,5 33,4
Agrigento 37 86,0 95,9 93,8
Caltanissetta 17 77,3 95,2 91,4
Catania 32 55,2 79,7 56,7
Enna 12 60,0 73,8 59,4
Messina 16 14,8 57,1 21,8
Palermo 46 56,1 90,9 55,9
Ragusa 6 50,0 57,5 47,5
Siracusa 13 61,9 88,7 77,1
Trapani 16 66,7 91,0 81,8
Totale Sicilia 195 50,0 82,0 63,2

Totale 4 regioni 610 37,9 77,2 50,8

(*) Con almeno un elemento di contiguità: clan, beni confiscati, sciolti negli ultimi tre anni
Fonte: elaborazione Censis su Rapporti e Relazioni al Parlamento del Ministero dell'Interno,
Osservatorio Anticamorra Regione Campania, Libera "Ufficio beni confiscati"

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Tab. 2 - Il peso della criminalità organizzata sulla società e sull’economia italiana

Indicatori v.a. % sul totale nazionale

Comuni coinvolti 610 7,5

Popolazione 2007 13.059.042 21,9

Superficie territoriale 2004 (kmq) 37.458 12,4

Pil (mln euro) 2007(1) 224.223 14,6

Depositi (mgl euro) 2007 (2) 93.247.957 12,4

Impieghi (mgl euro) 2007 117.548.667 7,8

 
(1) Stima Censis
(2) Stima dei dati relativi ai comuni con meno di tre sportelli bancari

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Banca d'Italia

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Fig. 1 - Criminalità organizzata (*), distribuzione della ricchezza e disoccupazione -


Anni 2007/2008 (numeri indice - media nazionale =100) 

 
(*) Comprende: attentati, omicidi di tipo mafioso, estorsioni, usura, associaz. mafia,
riciclaggio e impiego di denaro, incendi, contrabbando, associazioni per produzione o
traffico di stupefacenti , associazioni per spaccio di stupefacenti

Fonte: elaborazione Censis su dati Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica


Sicurezza - Banca Dati Interforze - SSD - mod StatDel 2

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2. LA CRESCITA DEI LUOGHI E DEI REATI DELLA


CRIMINALITÀ ORGANIZZATA DI STAMPO MAFIOSO

La criminalità organizzata rappresenta senza ombra di dubbio una zavorra


che grava pesantemente sullo sviluppo sociale ed economico del Meridione:
- dal punto di vista economico scoraggia la libera iniziativa; altera il
mercato e i meccanismi della concorrenza; crea monopoli basati
sull’intimidazione e l’interesse privato; dissemina paura; determina
sprechi, inefficienze, scelte sbagliate;
- dal punto di vista sociale genera il consenso di pochi e l’acquiescenza di
molti che, per quieto vivere, per interesse o per paura, preferiscono far
finta di non vedere e perfino sottostare alle richieste dei criminali,
piuttosto che denunciare e schierarsi apertamente contro di essi.
Che la criminalità organizzata sia tutt’altro che sconfitta- nonostante i colpi
pesantissimi che le sono stati inferti dalle Forze dell’ordine e dalla
magistratura- lo si deduce anche da una semplice analisi dei dati disponibili,
seppure limitati a quei reati scoperti e per cui si può stabilire una
connessione diretta con le attività delle organizzazioni criminali.
Dall’analisi che si presenta nelle pagine successive emerge molto bene
come negli ultimi anni si sia vissuta un’emergenza Campania, anzi
un’emergenza Napoli e Caserta, che ha visto fare un passo in avanti a queste
province per tutti i reati di criminalità organizzata, in particolare quelli più
efferati e violenti (+61,5% in Campania negli ultimi quattro anni).
Meno chiara la situazione delle altre regioni dove, comunque, i reati di
criminalità organizzata aumentano, nonostante la strategia di
“inabissamento” e di basso profilo che si sono date le mafie siciliane e
calabresi.
Di seguito sono stati presi in considerazione e analizzati i dati relativi ai
reati che risultano direttamente ascrivibili al crimine organizzato denunciati
nelle regioni e nelle province delle quattro regioni più gravemente colpite
dal fenomeno: si tratta di usura ed estorsioni, associazioni di tipo mafioso,
reati di contrabbando, di riciclaggio di denaro, i reati legati alla vendita e al
consumo di sostanze stupefacenti, gli omicidi di stampo mafioso, gli incendi
dolosi e gli attentati. I dati sono stati analizzati da una duplice prospettiva:
considerando la situazione nell’ultimo anno disponibile e considerando

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l’andamento nel decennio, ove possibile, o, quantomeno, negli ultimi


quattro anni.
L’analisi delle denunce per tutti i reati di criminalità organizzata nelle
diverse regioni italiane fa emergere il gap tra le quattro regioni a
tradizionale presenza mafiosa e il resto del paese.
Nel complesso, nelle quattro regioni nel 2007 sono stati denunciati 13.150
reati di criminalità organizzata, pochi meno che in tutte le altre regioni
d’Italia dove ne sono stati denunciati 13.819, 12.254 dei quali al Centro-
Nord (tab. 3).
Ne risulta che, mentre in Italia in media si denunciano 45,2 reati di
criminalità organizzata ogni 100.000 abitanti, nelle quattro regioni del Sud
la cifra sale a 77,7 ogni 100.000 residenti.
La Calabria risulta essere la regione in cui la densità di reati è più elevata,
con ben 160,8 reati denunciati ogni centomila abitanti, e 3.228 in valore
assoluto.
Segue, sorprendentemente, il Molise, che nell’ultimo anno ha avuto una
crescita straordinaria degli incendi dolosi, e che fa registrare 101,3 reati per
100.000 residenti.
Al terzo posto per incidenza sulla popolazione (80,2 denunce ogni centomila
abitanti), ma prima per numero di reati in valore assoluto è la Campania,
con 4.575 reati denunciati.
In Puglia il totale delle denunce è di 2.848, con un’incidenza di 69,9 reati
ogni 100.00 residenti.
Infine, in Sicilia i reati denunciati sono stati 2.411, pari a 47,9 per 100.000
abitanti.
Se questa è la situazione nelle quattro regioni maggiormente colpite dal
fenomeno, occorre però soffermarsi sul dato relativo alle denunce nelle altre
regioni, che confermano come la mano della criminalità organizzata si sia
spinta ben oltre i confini del Meridione, andando ad interessare tutte le aree
del paese. In particolare, un numero consistente di denunce risulta in
Lombardia e nel Lazio, dove si contano, rispettivamente, 2.796 e 2.535 reati
ascrivibili al crimine organizzato.
Non solo: se nelle quattro regioni del Sud nel breve periodo le denunce
registrano un aumento del 34,2%, in Italia la crescita è del 29%, con
situazioni particolarmente critiche in quelle aree che confinano con i
territori sede delle organizzazioni criminali: nel Molise i reati di criminalità

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organizzata crescono dell’82,6%, nel Lazio del 61,5%, in Abruzzo del


48,6%.

Tab. 3 - Totale reati di criminalità organizzata(*) - Anni 2004-2007 (v.a., val. per 100.000
abitanti, var.% e differenze)

Province v.a. Per 100.000 abitanti Variazione 2004-2007


(del/ ab.) var. % Diff. per
2007 100.000 abitanti

Campania 4.663 80,2 61,5 30,4


Puglia 2.848 69,9 26,5 14,5
Calabria 3.228 160,8 26,3 33,6
Sicilia 2.411 47,9 14,4 5,9
Totale quattro regioni 13.150 77,7 34,2 19,6

Piemonte 1.384 31,4 11,0 2,6


Valle D'Aosta 20 15,9 -20,0 -4,5
Lombardia 2.796 29,0 20,2 4,2
Trentino-Alto Adige 185 18,4 -8,9 -2,5
Veneto 919 19,0 11,5 1,5
Friuli-Venezia Giulia 253 20,7 24,0 3,8
Liguria 953 59,2 25,4 11,5
Emilia - Romagna 1.157 27,1 19,9 3,8
Toscana 1.202 32,7 10,3 2,4
Umbria 361 40,8 47,3 12,3
Marche 489 31,5 33,2 7,3
Lazio 2.535 45,6 61,5 15,8
Abruzzo 615 46,5 48,6 14,6
Molise 325 101,3 82,6 46,0
Basilicata 171 28,9 0,0 0,3
Sardegna 451 27,1 -12,3 -4,1

Mezzogiorno 14.712 70,6 32,8 17,2

Centro-Nord 12.254 31,6 24,7 5,5

Italia 26.969 45,2 29,0 9,5

(*) Comprende: attentati, omicidi di tipo mafioso, estorsioni, usura, associaz. mafia, riciclaggio e
impiego di denaro, incendi, contrabbando, associazioni per produzione o traffico di
stupefacenti, associazioni per spaccio di stupefacenti.
Fonte: elaborazione Censis su dati Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza -
Banca Dati Interforze - SSD - mod StatDel

15
935_08

Se dall’analisi del totale dei reati di criminalità organizzata, si passa


all’analisi della presenza e dell’andamento delle singole fattispecie, si ha
che gli omicidi per mafia camorra e ‘ndrangheta nel 2007 sono stati 119 in
tutta la penisola, e di questi 117 sono stati commessi nelle quattro regioni a
tradizionale insediamento di organizzazioni criminali (tab. 4).
L’analisi dell’andamento nel medio periodo rivela una diminuzione che in
Italia è del 42,8%, per cui si passa dai 208 omicidi denunciati nel 1998 ai
119 del 2007, mentre nelle quattro regioni la diminuzione è del 41,8% in
quanto gli omicidi passano da 201 a 117, con un’incidenza che da 1,2 ogni
100.000 abitanti è passata a 0,7.
Questa diminuzione- cui non necessariamente corrisponde un arretramento
del potere mafioso- è sicuramente determinata dalla strategia di basso
profilo che la criminalità organizzata (soprattutto quella siciliana e
calabrese) si è data negli anni più recenti, e che si basa sulla convinzione
che se si evitano azioni particolarmente violente si ottiene meno visibilità e,
quindi, si incorre anche in meno controlli.
Considerevole, nell’ultimo decennio è stato soprattutto il decremento degli
omicidi in Puglia (passati da 31 a 4), Sicilia (da 35 a 12) e Calabria (da 28 a
16).
La Campania, pur registrando una diminuzione, mantiene il drammatico
primato con 85 omicidi di camorra nel 2007 (erano 107 dieci anni prima),
80 dei quali sono stati commessi nella sola provincia di Napoli. Si tratta di
una cifra che non è paragonabile, per entità, a quella di nessuna altra
provincia italiana, se solo si pensa che seconda è Catania con 9 omicidi e
terza Reggio Calabria con 8.
A Napoli, oltre che il valore assoluto, anche l’incidenza sulla popolazione
risulta allarmante: 2,6 omicidi ogni centomila abitanti, a fronte di una media
di 0,7 nelle quattro regioni del Sud e di 0,2 in Italia.

16
935_08

Tab. 4 - Omicidi di tipo mafioso denunciati alle Forze di Polizia - Anni 1998-2007 (v.a., val. per
100.000 abitanti, var.% e differenze)

Province 2007 1998 1998-2007


v.a. Per 100.000 v.a. Per 100.000 var. % Diff. per
abitanti abitanti 100.000 ab.

Caserta 1 0,1 18 2,1 -94,4 -2,0


Benevento 2 0,7 0 0,0 100,0 0,7
Napoli 80 2,6 88 2,9 -9,1 -0,3
Avellino 0 0,0 0 0,0 - 0,0
Salerno 2 0,2 1 0,1 100,0 0,1
Campania 85 1,5 107 1,9 -20,6 -0,4
Foggia 3 0,4 8 1,2 -62,5 -0,7
Bari 1 0,1 17 1,1 -94,1 -1,0
Taranto 0 0,0 0 0,0 - 0,0
Brindisi 0 0,0 2 0,5 -100,0 -0,5
Lecce 0 0,0 4 0,5 -100,0 -0,5
Puglia 4 0,1 31 0,8 -87,1 -0,7
Cosenza 1 0,1 0 0,0 100,0 0,1
Crotone 4 2,3 6 3,4 -33,3 -1,1
Catanzaro 2 0,5 5 1,3 -60,0 -0,8
Vibo Valentia 1 0,6 0 0,0 100,0 0,6
Reggio di Calabria 8 1,4 17 3,0 -52,9 -1,6
Calabria 16 0,8 28 1,4 -42,9 -0,6
Trapani 0 0,0 1 0,2 -100,0 -0,2
Palermo 3 0,2 5 0,4 -40,0 -0,2
Messina 0 0,0 2 0,3 -100,0 -0,3
Agrigento 0 0,0 3 0,7 -100,0 -0,7
Caltanissetta 0 0,0 3 1,1 -100,0 -1,1
Enna 0 0,0 2 1,1 -100,0 -1,1
Catania 9 0,8 18 1,7 -50,0 -0,9
Ragusa 0 0,0 1 0,3 -100,0 -0,3
Siracusa 0 0,0 0 0,0 - 0,0
Sicilia 12 0,2 35 0,7 -65,7 -0,5

Totale quattro
117 0,7 201 1,2 -41,8 -0,5
regioni

Resto del Sud 1 0,0 1 0,0 0,0 0,0

Mezzogiorno 118 0,6 202 1,0 -41,6 -0,4

Centro-Nord 1 0,0 6 0,0 -83,3 0,0

Italia 119 0,2 208 0,4 -42,8 -0,2

Fonte: elaborazione Censis su dati Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza

17
935_08

Le denunce per associazione di tipo mafioso sono, oltre che una spia della
presenza del fenomeno, anche un segnale tangibile della capacità delle forze
dell’ordine e della magistratura di intercettarlo: in Italia negli ultimi dieci
anni il numero delle denunce è passato da 187 del 1998 a 140 del 2007-
25,1%; mentre nelle quattro regioni “a rischio” è sceso dalle 157 del 1998
alle 123 di dieci anni dopo (-21,7%) (tab. 5) .
Nell’analisi delle quattro regioni emerge come, a fronte di un calo delle
denunce in Sicilia (da 83 a 39 in dieci anni) e Calabria (da 38 a 19), e di un
numero rimasto sostanzialmente invariato per la Puglia, la Campania
raddoppi il numero delle denunce, passando dalle 26 del 1998 alle 54 del
2007; di queste 39 si sono verificate in provincia di Napoli e 10 a Caserta.
Le province nelle quali si registra l’incidenza più alta sulla popolazione
appartengono però alla Sicilia: in particolare a Caltanissetta si registrano 2,6
denunce ogni centomila abitanti e ad Agrigento 1,8 (si consideri che la
media delle quattro regioni è pari a 0,7 e la media nazionale 0,2). Anche per
Reggio Calabria l’incidenza sulla popolazione è alta: 1,9 denunce di
associazione di stampo mafioso ogni centomila abitanti.

18
935_08

Tab. 5 - Associazioni di tipo mafioso denunciate alle Forze di Polizia - Anni 1998-2007 (v.a., val. per
100.000 abitanti, var.% e differenze)

2007 1998 1998-2007


v.a. Per 100.000 v.a. Per 100.000 var. % Diff. per
abitanti abitanti 100.000 ab.

Caserta 10 1,1 4 0,5 150,0 0,6


Benevento 0 0,0 1 0,3 -100,0 -0,3
Napoli 39 1,3 17 0,6 129,4 0,7
Avellino 0 0,0 1 0,2 -100,0 -0,2
Salerno 4 0,4 3 0,3 33,3 0,1
Campania 54 0,9 26 0,5 107,7 0,5
Foggia 3 0,4 0 0,0 100,0 0,4
Bari 3 0,2 5 0,3 -40,0 -0,1
Taranto 2 0,3 0 0,0 100,0 0,3
Brindisi 3 0,7 4 1,0 -25,0 -0,2
Lecce 0 0,0 1 0,1 -100,0 -0,1
Puglia 11 0,3 10 0,2 10,0 0,0
Cosenza 2 0,3 5 0,7 -60,0 -0,4
Crotone 1 0,6 3 1,7 -66,7 -1,1
Catanzaro 2 0,5 11 2,9 -81,8 -2,4
Vibo Valentia 2 1,2 1 0,6 100,0 0,6
Reggio di Calabria 11 1,9 18 3,2 -38,9 -1,2
Calabria 19 0,9 38 1,9 -50,0 -0,9
Trapani 4 0,9 6 1,4 -33,3 -0,5
Palermo 11 0,9 17 1,4 -35,3 -0,5
Messina 2 0,3 3 0,5 -33,3 -0,1
Agrigento 8 1,8 1 0,2 700,0 1,5
Caltanissetta 7 2,6 1 0,4 600,0 2,2
Enna 1 0,6 2 1,1 -50,0 -0,5
Catania 4 0,4 27 2,6 -85,2 -2,2
Ragusa 1 0,3 23 7,8 -95,7 -7,5
Siracusa 0 0,0 3 0,7 -100,0 -0,7
Sicilia 39 0,8 83 1,7 -53,0 -0,9

Totale quattro
123 0,7 157 0,9 -21,7 -0,2
regioni

Resto del Sud 0 0,0 3 0,1 -100,0 -0,1

Mezzogiorno 123 0,6 160 0,8 -23,1 -0,2

Centro-Nord 17 0,0 27 0,1 -37,0 0,0

Italia 140 0,2 187 0,3 -25,1 -0,1

Fonte: elaborazione Censis su dati Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza

19
935_08

Altra espressione tipica della presenza mafiosa è l’estorsione, che


rappresenta da sempre uno dei principali strumenti di arricchimento da parte
della criminalità organizzata ed insieme un efficace sistema di controllo e di
pressione sul territorio.
Occorre qui specificare che il dato relativo alle estorsioni è controverso e
non immediatamente interpretabile, in quanto il timore di subire ritorsioni
difficilmente porta ad una denuncia della pressione estorsiva da parte della
vittima. Per questo motivo spesso le denunce aumentano in quei territori in
cui si realizzano azioni di “accompagnamento” da parte degli enti locali o
delle associazioni. Un ulteriore fattore che può portare ad evitare il ricorso
alla denuncia è la paura, da parte di imprenditori e commercianti, di attirare
i controlli dello Stato sulle proprie attività e di subire sanzioni per
irregolarità di natura fiscale o contrattuale.
Alla luce di quanto detto si possono interpretare i dati sulle estorsioni
denunciate negli ultimi anni alle Forze di Polizia considerando che
l’aumento complessivo dell’85% registrato tra il 1998 ed il 2007, per cui le
denunce in Italia sono passate da 3.534 a 6.545, può essere il segnale della
crescita della pressione estorsiva da parte delle organizzazioni criminali, ma
anche di una maggiore sensibilità e propensione alla denuncia che i
movimenti, le iniziative di risarcimento ad opera dello Stato centrale, le
associazioni antiracket hanno incentivato (tab. 6).
A testimonianza della maggiore presenza del fenomeno nelle regioni del
Sud ad alta presenza di gruppi criminali, si nota come il numero delle
denunce nelle quattro regioni sia pari a quello di tutte le altre regioni del
Centro-nord messe insieme.
Nel 2007, infatti, si hanno 3.082 denunce in Campania, Puglia, Calabria e
Sicilia, e 3.091, quindi appena 9 denunce in più, in tutte le altre regioni.
Ne deriva che l’incidenza percentuale di tale reato sulla popolazione sia
molto più elevata al Sud dove si contano 18,2 denunce per centomila
abitanti rispetto alle 8 delle altre regioni.
Più nel dettaglio, in Campania nel 2007 risultano 1.230 denunce per
estorsione, con un’ incidenza di 21,2 reati estorsivi ogni centomila abitanti;
e la quota più alta si registra nelle province di Caserta (28,2) e di Napoli
(22,3).
In Sicilia le denunce sono state 811 nel 2007, con incidenza pari a 16,1 per
100.000 abitanti, con punte massime a Siracusa (24,2 reati ogni centomila
abitanti), Messina (23,2) e Catania (21,3).

20
935_08

Tab. 6 - Estorsioni denunciate alle Forze di Polizia - Anni 1998-2007 (v.a., val. per 100.000
abitanti, var.% e differenze)

Province 2007 1998 1998-2007


v.a. Per 100.000 v.a. Per 100.000 var. % Diff. per
abitanti abitanti 100.000 ab.

Caserta 253 28,2 64 7,5 295,3 20,7


Benevento 46 15,9 44 15,2 4,5 0,7
Napoli 689 22,3 263 8,6 162,0 13,8
Avellino 73 16,6 18 4,2 305,6 12,5
Salerno 166 15,1 86 8,0 93,0 7,1
Campania 1.230 21,2 475 8,3 158,9 12,9
Foggia 171 25,1 102 14,7 67,6 10,4
Bari 253 15,8 124 8,0 104,0 7,8
Taranto 78 13,4 45 7,7 73,3 5,8
Brindisi 61 15,1 59 14,5 3,4 0,7
Lecce 104 12,8 48 6,0 116,7 6,8
Puglia 667 16,4 378 9,4 76,5 7,0
Cosenza 131 17,9 47 6,3 178,7 11,6
Crotone 26 15,0 5 2,8 420,0 12,2
Catanzaro 94 25,6 109 29,0 -13,8 -3,4
Vibo Valentia 38 22,7 24 13,7 58,3 8,9
Reggio di Calabria 84 14,8 54 9,5 55,6 5,3
Calabria 374 18,6 239 11,7 56,5 6,9
Trapani 71 16,3 17 4,0 317,6 12,3
Palermo 92 7,4 62 5,0 48,4 2,4
Messina 152 23,2 147 22,3 3,4 1,0
Agrigento 80 17,6 26 5,6 207,7 11,9
Caltanissetta 42 15,4 26 9,4 61,5 6,0
Enna 17 9,8 16 8,8 6,3 0,9
Catania 230 21,3 187 17,7 23,0 3,6
Ragusa 30 9,6 50 16,9 -40,0 -7,3
Siracusa 97 24,2 60 15,0 61,7 9,2
Sicilia 811 16,1 591 11,8 37,2 4,3

Totale quattro
3.082 18,2 1.683 10,0 83,1 8,2
regioni

Resto del Sud 372 9,5 236 6,2 57,6 3,4

Mezzogiorno 3.454 16,6 1.919 9,3 80,0 7,3

Centro-Nord 3.091 8,0 1.615 4,5 91,4 3,5

Italia 6.545 11,0 3.534 6,2 85,2 4,8

Fonte: elaborazione Censis su dati Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza

21
935_08

In Puglia le 667 estorsioni denunciate, pari a 16,4 ogni centomila abitanti,


presentano l’incidenza più alta nella provincia di Foggia (25,1).
In Calabria dei 374 reati di estorsione, pari a 18,6 per centomila abitanti,
hanno risentito maggiormente i cittadini delle province di Catanzaro (25,6
estorsioni ogni centomila abitanti) e Vibo Valentia (22,7).
Da notare che in tutte e quattro le regioni considerate si è evidenziata una
variazione percentuale positiva nel numero delle denunce tra il 1998 ed il
2007, ma per la Campania tale variazione si attesta su un valore più alto
(+158,9%), probabilmente anche per la convincente azione di
sensibilizzazione e di sostegno alle vittime svolto dai comitati antiracket,
che hanno potuto anche usufruire dei finanziamenti stabiliti da apposita
normativa regionale.
Preoccupante anche l’aumento del racket nel resto del Sud (+57,6% di
denunce negli ultimi quattro anni) e nel Centro-Nord (+91,4%).
Da segnalare, infine, il maggiore impegno dello Stato a sostegno delle
vittime, attraverso l’attività del Comitato di solidarietà per le vittime
dell’estorsione e dell’usura.
Dopo un anno di relativa stasi, determinata dall’attesa per il rinnovo delle
cariche, nel 2007 il Comitato si è riunito regolarmente, smaltendo anche
parte dell’attività arretrata. Come si desume dalla tabella 7, nel 2007 (ultimo
anno per cui si dispone di una Relazione) il Comitato ha disposto
l’accoglimento di 304 istanze, di cui 161 presentate dalle vittime
dell’estorsione per l’ottenimento di elargizioni ex lege 44/99 e 143 dalle
vittime di usura per l’ottenimento di mutui ex art. 14 lege 108/96.
Complessivamente sono state erogate somme per 26.086.753 euro, di cui
16.572.890 in favore delle vittime di estorsione e 9.513.863 a favore delle
vittime di usura.
Nelle quattro regioni a rischio sono state accolte 144 domande da parte di
vittime di estorsione e deliberate somme per 15 milioni e 100.000 euro e 64
domande di vittime di usura con 4.627.000 euro deliberati.
Complessivamente alle vittime delle quattro regioni sede delle
organizzazioni criminali maggiori sono andati 19.728.092 euro (il 75,6% del
totale).

22
935_08

Tab. 7 - Bilancio delle attività del Comitato di solidarietà per le vittime dell'estorsione e dell'usura. Anno 2007 (v.a. e
val.%)
 

Estorsione Usura Totale somme % sul


Domande Somme % sul Domande Somme % sul deliberate totale
accolte deliberate totale accolte deliberate totale

Calabria 42 5.875.645,72 35,5 9 1.237.061,32 13,0 7.112.707,04 27,3


Sicilia 62 5.777.201,21 34,9 26 1.011.421,86 10,6 6.788.623,07 26,0
Campania 24 1.763.743,03 10,6 17 1.367.704,80 14,4 3.131.447,83 12,0
Puglia 16 1.684.164,43 10,2 12 1.011.150,15 10,1 2.695.314,58 10,3
Totale 4 regioni 144 15.100.754,39 91,1 64 4.627.338,13 48,6 19.728.092,52 75,6
Totale Resto del
Sud 6 367.102,02 2,2 6 395.447,96 4,2 762.549,98 2,9
Mezzogiorno 150 15.467.856,41 93,3 70 5.022.786,09 52,8 20.490.642,50 78,5
Centro-Nord 11 1.105.034,27 6,7 73 4.491.076,97 47,2 5.596.111,24 21,5
               
ITALIA 161 16.572.890,68 100,0 143 9.513.863,06 100,0 26.086.753,74 100,0

 
Fonte: elaborazione Censis su dati Comitato di solidarietà per le vittime dell'usura e dell'estorsione

23
935_08

Il dato sulle estorsioni viene solitamente analizzato accanto a quello sugli


incendi, in quanto questi ultimi rappresentano una delle azioni intimidatorie,
difficilmente occultabile da parte della vittima, messe in atto nei confronti di
chi si rifiuta di sottostare al ricatto estorsivo.
Forse non è un caso, quindi, se nella stessa misura in cui aumentano le
estorsioni nell’arco di tempo considerato aumenta anche il numero di
incendi dolosi denunciati.
Si tratta di cifre che quasi raddoppiano, per cui in Italia si va dai 9.552
incendi denunciati nel 1998 ai 16.716 del 2007(+75%), mentre nelle quattro
regioni di criminalità organizzata le denunce passano da 4.243 a
8.441(+98,9%) (tab. 8).
Negli ultimi anni in Campania gli incendi crescono del 322,8% (a Salerno
+730,9%; ad Avellino + 727,3%; a Benevento +652,9%); in Calabria del
238,7% (con una punta massima di + 768,8% a Cosenza); ed in Puglia del
112,1% (ma +275,1% a Foggia). In Sicilia, e in controtendenza con quanto
avviene altrove, gli incendi subiscono ovunque una drastica riduzione
(-32,6%), con l’unica eccezione di Catania, dove aumentano del 94,2%.
Dal punto di vista dell’incidenza sulla popolazione, la situazione è
particolarmente allarmante in Calabria dove gli incendi denunciati sono
133,9 per centomila abitanti, con punte massime a Cosenza (182,8) e
Crotone (165,5).
Per gli attentati è valido allo stesso modo, e forse in misura anche maggiore,
il ragionamento fatto per gli incendi dolosi: si tratta di reati perpetrati dalla
criminalità organizzata prevalentemente a scopo intimidatorio, per
fluidificare l’azione estorsiva nel caso in cui si verifichino delle resistenze.
In Italia nel 2007 le denunce di attentato sono state 544, in crescita del 19%
rispetto al 2004, quando risultavano essere 458 (tab. 9). L’incidenza sulla
popolazione risulta essere pari a 0,9 reati denunciati ogni centomila abitanti
Duecento denunce si registrano nelle quattro regioni interessate da una
radicata presenza di organizzazioni criminali, con la prevalenza di
Campania (88 attentati denunciati nel 2007, soprattutto in provincia di
Napoli, 47) e Puglia (61 denunce, di cui 35 a Bari), regioni nelle quali
l’incidenza sulla popolazione risulta essere più alta (1,5 per centomila
abitanti) della media dei quattro territori (1,2).
Un numero inferiore di attentati è stato invece denunciato in Sicilia (29 in
tutto, concentrati soprattutto a Catania, 12) ed in Calabria (22, di cui 13 a
Reggio Calabria), dove l’incidenza sulla popolazione è pari, rispettivamente,
ad 1,1 e 0,6 denunce ogni centomila abitanti.

24
935_08

Tab. 8 - Incendi denunciati alle Forze di Polizia - Anni 1998-2007 (v.a., val. per 100.000 abitanti,
var.% e differenze)

Province 2007 1998 1998-2007


v.a. Per 100.000 v.a. Per 100.000 var. % Diff. per
abitanti abitanti 100.000 ab.

Caserta 265 29,5 81 9,5 227,2 20,0


Benevento 384 132,9 51 17,6 652,9 115,3
Napoli 648 21,0 321 10,5 101,9 10,6
Avellino 455 103,6 55 12,7 727,3 90,9
Salerno 806 73,1 97 9,0 730,9 64,1
Campania 2.558 44,0 605 10,6 322,8 33,4
Foggia 664 97,3 177 25,4 275,1 71,8
Bari 596 37,3 274 17,6 117,5 19,7
Taranto 191 32,9 139 23,7 37,4 9,2
Brindisi 123 30,5 134 32,9 -8,2 -2,3
Lecce 297 36,6 158 19,8 88,0 16,8
Puglia 1.871 45,9 882 21,8 112,1 24,1
Cosenza 1.338 182,8 154 20,7 768,8 162,1
Crotone 286 165,5 64 36,4 346,9 129,0
Catanzaro 465 126,5 102 27,1 355,9 99,3
Vibo Valentia 113 67,4 146 83,5 -22,6 -16,1
Reggio di Calabria 487 85,8 328 57,5 48,5 28,4
Calabria 2.689 133,9 794 38,9 238,7 95,0
Trapani 67 15,4 141 33,0 -52,5 -17,6
Palermo 387 31,1 427 34,3 -9,4 -3,2
Messina 129 19,7 312 47,3 -58,7 -27,6
Agrigento 123 27,0 155 33,6 -20,6 -6,6
Caltanissetta 98 36,0 253 91,2 -61,3 -55,2
Enna 69 39,7 75 41,4 -8,0 -1,7
Catania 266 24,6 137 13,0 94,2 11,6
Ragusa 41 13,2 186 62,9 -78,0 -49,8
Siracusa 143 35,7 276 68,9 -48,2 -33,2
Sicilia 1.323 26,3 1.962 39,2 -32,6 -12,9

Totale quattro
8.441 49,9 4.243 25,2 98,9 24,6
regioni

Resto del Sud 1.050 26,9 1.141 29,8 -8,0 -2,9

Mezzogiorno 9.491 45,6 5.384 26,1 76,3 19,5

Centro-Nord 7.225 18,6 4.168 11,5 73,3 7,1

Italia 16.716 28,0 9.552 16,8 75,0 11,3

Fonte: elaborazione Censis su dati Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza

25
935_08

 
Tab. 9 - Attentati denunciati alle Forze di Polizia - Anni 2004-2007 (v.a., val. per 100.000 abitanti, var.% e differenze)

2007 2004 2004-2007


v.a. Per 100.000 v.a. Per 100.000 var.% Diff. per
abitanti abitanti 100.000 ab.

Caserta 9 1,0 13 1,5 -31 0


Benevento 4 1,4 2 0,7 100 1
Napoli 47 1,5 28 0,9 68 1
Avellino 3 0,7 1 0,2 200 0
Salerno 24 2,2 42 3,9 -43 -2
Campania 88 1,5 87 1,5 1 0
Foggia 4 0,6 7 1,0 -43 0
Bari 35 2,2 17 1,1 106 1
Taranto 8 1,4 2 0,3 300 1
Brindisi 10 2,5 7 1,7 43 1
Lecce 2 0,2 4 0,5 -50 0
Puglia 61 1,5 38 0,9 61 1
Cosenza 0 0,0 2 0,3 -100 0
Crotone 1 0,6 5 2,9 -80 -2
Catanzaro 7 1,9 5 1,4 40 1
Vibo Valentia 1 0,6 0 0,0 100 1
Reggio Calabria 13 2,3 24 4,2 -46 -2
Calabria 22 1,1 37 1,8 -41 -1
Trapani 2 0,5 3 0,7 -33 0
Palermo 8 0,6 9 0,7 -11 0
Messina 2 0,3 5 0,8 -60 0
Agrigento 0 0,0 1 0,2 -100 0
Caltanissetta 4 1,5 2 0,7 100 1
Enna 0 0,0 0 0,0 - 0
Catania 12 1,1 9 0,8 33 0
Ragusa 1 0,3 2 0,7 -50 0
Siracusa 0 0,0 0 0,0 - 0
Sicilia 29 0,6 31 0,6 -6 0

Totale quattro regioni 200 1,2 193 1,1 4 0

Sud e Isole 220 1,1 219 1,1 0 0

Totale resto del Sud 20 0,5 26 0,7 -23 0

Centro-Nord 324 0,8 239 0,6 36 0

Italia 544 0,9 458 0,8 19 0

Fonte: elaborazione Censis su dati Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza - Banca Dati Interforze
- SSD - mod StatDel

26
935_08

Tra il 2004 e il 2007 non si evidenzia, per le quattro regioni, una crescita in
termini numerici di questo reato paragonabile a quella nazionale,
fermandosi infatti al +4%, con l’eccezione della Puglia, che vede crescere il
numero degli attentati del 61%, e con particolare gravità soprattutto nelle
province di Bari (da 17 a 35) e Taranto (da 2 a 8, praticamente
quadruplicati).
Altra provincia che registra una preoccupante escalation di attentati,
nonostante a livello regionale si registri complessivamente una situazione
stazionaria, è quella di Napoli (nella quale si registra anche il più alto
numero di denunce per estorsione) che passa dai 28 del 2004 ai 47 del 2007.
In un’economia come quella meridionale, caratterizzata da una componente
di sommerso significativa, con attività economiche e commerciali precarie e
con un tasso di abusivismo particolarmente alto, l’usura funge da vera e
propria supplenza al mercato legale del credito. In alcuni casi il ricorso al
credito usuraio è così diffuso ed accettato come normale da essere vissuto
dalla cittadinanza come un vero e proprio sistema bancario parallelo, con le
sue leggi e i suoi codici, mai scritti, ma rispettati da tutti.
Fino a qualche anno fa gli interessi della criminalità organizzata sul mercato
dell’usura erano limitati ed il mercato era gestito per lo più da individui
singoli, spesso con il volto rassicurante del vicino di casa o del pensionato.
In epoca più recente, come è evidenziato da numerose risultanze
investigative, le mani dalla criminalità organizzata si sono allungate anche
sul mercato dell’usura per ottenere alti profitti, riciclare denaro di
provenienza illegale ed estendere ulteriormente il controllo sul tessuto
economico.
Come nel caso delle estorsioni, il numero dei reati di usura denunciati non
fornisce una misura attendibile della reale entità del fenomeno, poiché la
maggior parte dei casi continua a rimanere sommersa, non tanto per la paura
di denunciare, quanto per il complesso rapporto di dipendenza che si viene a
creare tra usurato ed usuraio. Non bisogna dimenticare, infatti, che l’usura
deve essere considerato come un reato “a domanda”, che per essere
perpetrato ha bisogno di un cliente disposto a qualsiasi cosa pur di ottenere
un prestito. Per questo motivo, più ancora che per l’estorsione, è
fondamentale il lavoro di accompagnamento e di aiuto dei soggetti usurati,
spesso devastati nella psiche oltre che nel portafoglio, svolto sui territori da
associazioni, istituzioni locali, fondazioni.

27
935_08

Stando ai dati disponibili, e non senza sorpresa considerando le attuali


difficoltà economiche, negli ultimi anni il numero delle denunce sul
territorio nazionale risulta, addirittura, in lieve diminuzione (-4% tra il
2004- primo anno per cui si dispone di un dato- ed il 2007, per cui si passa
da 398 denunce a 382) (tab. 10).
Nelle quattro regioni in cui si registra una forte presenza di criminalità
organizzata si evidenzia un calo complessivo del numero delle denunce di
usura dell’1,9% (da 156 a 153 denunce in tre anni), più evidente in Calabria
(dove si passa dalle 30 denunce del 2004 alle 18 del 2007) e in Puglia (dalle
38 del 2004 alle 27 del 2007). In Sicilia le denunce nel 2004 erano 42 e
diventano 35 nel 2007.
Solo in Campania si verifica un aumento consistente dei reati commessi, che
vede passare il numero delle denunce dalle 46 del 2004 alle 73 del 2007. In
questa Regione si registra anche l’incidenza più elevata sulla popolazione:
1,3 denunce di usura ogni centomila abitanti, che arrivano a 2,8 a
Benevento, e a 1,8 a Caserta.
Il riciclaggio rappresenta una vera e propria necessità per le organizzazioni
criminali che, attraverso l’immissione nel circuito ordinario del denaro
proveniente da attività delittuosa lo ripuliscono e lo rendono spendibile.
Tra le modalità maggiormente praticate di riciclaggio vi è l’acquisizione,
direttamente o tramite prestanome, di imprese e attività commerciali; si
tratta di un’attività che è molto cresciuta in questi anni e che è
particolarmente difficile da scoprire, in quanto rappresenta il punto di snodo
tra la finanza criminale e la finanza legale nella quale le organizzazioni
criminali entrano in contatto con il tessuto economico legale. Per questa
attività la criminalità organizzata allarga i suoi interessi all’intera economia
nazionale.

28
935_08

Tab. 10 - Reati di usura denunciati alle Forze di Polizia - Anni 2004-2007 (v.a., val. per 100.000
abitanti, var.% e differenze)

Province 2007 2004 2004-2007


v.a. Per 100.000 v.a. Per 100.000 var. % Diff. per
abitanti abitanti 100.000 ab.

Caserta 16 1,8 4 0,5 300,0 1,3


Benevento 8 2,8 1 0,3 700,0 2,4
Napoli 37 1,2 32 1,0 15,6 0,2
Avellino 0 0,0 2 0,5 -100,0 -0,5
Salerno 9 0,8 6 0,6 50,0 0,3
Campania 73 1,3 46 0,8 58,7 0,5
Foggia 3 0,4 10 1,5 -70,0 -1,0
Bari 16 1,0 9 0,6 77,8 0,4
Taranto 1 0,2 4 0,7 -75,0 -0,5
Brindisi 3 0,7 1 0,2 200,0 0,5
Lecce 4 0,5 13 1,6 -69,2 -1,1
Puglia 27 0,7 38 0,9 -28,9 -0,3
Cosenza 11 1,5 11 1,5 0,0 0,0
Crotone 1 0,6 1 0,6 0,0 0,0
Catanzaro 4 1,1 9 2,4 -55,6 -1,4
Vibo Valentia 1 0,6 1 0,6 0,0 0,0
Reggio di
1 0,2 5 0,9 -80,0 -0,7
Calabria
Calabria 18 0,9 30 1,5 -40,0 -0,6
Trapani 1 0,2 3 0,7 -66,7 -0,5
Palermo 6 0,5 8 0,6 -25,0 -0,2
Messina 10 1,5 4 0,6 150,0 0,9
Agrigento 1 0,2 5 1,1 -80,0 -0,9
Caltanissetta 1 0,4 5 1,8 -80,0 -1,4
Enna 2 1,2 1 0,6 100,0 0,6
Catania 4 0,4 12 1,1 -66,7 -0,7
Ragusa 3 1,0 3 1,0 0,0 0,0
Siracusa 6 1,5 0 0,0 100,0 1,5
Sicilia 35 0,7 42 0,8 -16,7 -0,1

Totale quattro
153 0,9 156 0,9 -1,9 0,0
regioni

Resto del Sud 18 0,5 46 1,2 -60,9 -0,7

Mezzogiorno 171 0,8 202 1,0 -15,3 -0,2

Centro-Nord 211 0,5 196 0,5 7,7 0,0

Italia 382 0,6 398 0,7 -4,0 0,0

Fonte: elaborazione Censis su dati Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza

29
935_08

Le denunce complessive per riciclaggio e impiego di denaro proveniente da


attività illecita in Italia nel 2007 sono state 1.209, segnando una crescita del
15,3% rispetto al 2004 (tab. 11).
Nelle quattro regioni del Meridione maggiormente colpite dalla criminalità
organizzata, invece, le denunce sono passate dalle 373 del 2004 alle 412 del
2007, con un aumento del 10,5%.
Nell’ultimo anno considerato le denunce registrate nelle quattro regioni
rappresentano il 34% delle denunce a livello nazionale e riguardano
soprattutto la Campania (165 denunce, cresciute del 31% rispetto al 2004 e
concentrate soprattutto a Napoli, 88) e la Puglia (124 denunce, cresciute del
24%, numerose soprattutto a Bari, 57, e Foggia, 43).
Sono, invece, meno numerose le denunce per riciclaggio ed impiego di
denaro “sporco” in Sicilia (75) e Calabria (48), regioni nelle quali si registra
addirittura una variazione percentuale negativa nel corso dei quattro anni
considerati, rispettivamente del 13,8% e del 20%.
L’incidenza percentuale sulla popolazione risulta particolarmente elevata
nelle province di Foggia (6,3 denunce ogni centomila abitanti), Caserta (4,9)
e Reggio Calabria (4,4), soprattutto se confrontata con la media delle quattro
regioni (2,4 denunce ogni centomila abitanti) e con quella nazionale (pari a
2).
Da segnalare l’aumento preoccupante di questo reato nelle quattro regioni
del Sud in cui il crimine organizzato è meno presente, a conferma di come la
criminalità organizzata stia estendendo gli ambiti territoriali di interesse: in
Basilicata, Abruzzo, Molise e Sardegna nei quattro anni considerati le
denunce passano da 44 a 81 in valore assoluto, facendo segnare un aumento
dell’84,1%.

30
935_08

Tab. 11 - Riciclaggio e impiego di denaro proveniente da attività illecita denunciati alle Forze di
Polizia - Anni 2004-2007 (v.a., val. per 100.000 abitanti, var.% e differenze)

Province 2007 2004 2004-2007


v.a. Per 100.000 v.a. Per 100.000 var. % Diff. per
abitanti abitanti 100.000 ab.

Caserta 44 4,9 17 1,9 158,8 3,0


Benevento 1 0,3 3 1,0 -66,7 -0,7
Napoli 88 2,9 75 2,4 17,3 0,4
Avellino 2 0,5 6 1,4 -66,7 -0,9
Salerno 22 2,0 22 2,0 0,0 0,0
Campania 165 2,8 126 2,2 31,0 0,7
Foggia 43 6,3 43 6,3 0,0 0,0
Bari 57 3,6 22 1,4 159,1 2,2
Taranto 10 1,7 13 2,2 -23,1 -0,5
Brindisi 11 2,7 12 3,0 -8,3 -0,3
Lecce 2 0,2 10 1,2 -80,0 -1,0
Puglia 124 3,0 100 2,5 24,0 0,6
Cosenza 13 1,8 13 1,8 0,0 0,0
Crotone 1 0,6 5 2,9 -80,0 -2,3
Catanzaro 3 0,8 12 3,3 -75,0 -2,4
Vibo Valentia 6 3,6 6 3,6 0,0 0,0
Reggio di Calabria 25 4,4 18 3,2 38,9 1,2
Calabria 48 2,4 60 3,0 -20,0 -0,6
Trapani 6 1,4 4 0,9 50,0 0,5
Palermo 9 0,7 23 1,9 -60,9 -1,1
Messina 5 0,8 14 2,1 -64,3 -1,4
Agrigento 3 0,7 3 0,7 0,0 0,0
Caltanissetta 6 2,2 5 1,8 20,0 0,4
Enna 0 0,0 2 1,1 -100,0 -1,1
Catania 32 3,0 25 2,3 28,0 0,6
Ragusa 5 1,6 3 1,0 66,7 0,6
Siracusa 8 2,0 7 1,8 14,3 0,2
Sicilia 75 1,5 87 1,7 -13,8 -0,2

Totale quattro
412 2,4 373 2,2 10,5 0,2
regioni

Resto del Sud 81 2,1 44 1,1 84,1 0,9

Mezzogiorno 493 2,4 417 2,0 18,2 0,4

Centro-Nord 713 1,8 632 1,7 12,8 0,2

Italia 1.209 2,0 1.049 1,8 15,3 0,2

Fonte: elaborazione Censis su dati Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza

31
935_08

Da ultimo, l’analisi della presenza e dell’andamento di reati che si basano


sulla richiesta, da parte dei consumatori della merce illecita: innanzitutto il
contrabbando, reato che negli ultimi 10 anni ha subito una notevole
contrazione dovuta alla combinazione di più fattori quali una parziale
depenalizzazione, il potenziamento dei controlli, la contrazione delle
domanda, e l’interessamento- da parte della criminalità organizzata- ad altri
business maggiormente redditizi, per cui si è passati dalle 54.903 denunce
del 1998 alle 1.096 del 2007 (-98%).
La stessa contrazione si è verificata nelle quattro regioni del Sud, nelle quali
le denunce per reato di contrabbando sono scese del 99% (da 49.710 a 510)
(tab. 12).
Il dettaglio delle quattro regioni del Sud mostra come tale reato sia
particolarmente diffuso in Campania, con 358 denunce (6,2 ogni centomila
abitanti, mentre nelle quattro regioni la media è pari a 3 e in Italia a 1,8), a
fronte delle 64 della Puglia, le 54 delle Sicilia e le 34 della Calabria.

32
935_08

Tab. 12 - Reati di contrabbando denunciati alle Forze di Polizia - Anni 1998-2007 (v.a., val.
per 100.000 abitanti, var.% e differenze)

Province 2007 1998 1998-2007


v.a. Per 100.000 v.a. Per 100.000 var.% Diff. per
abitanti abitanti 100.000 ab.

Caserta 29 3,2 4.737 556,7 -99,4 -553,5


Benevento 0 0,0 37 12,8 -100,0 -12,8
Napoli 319 10,3 31.445 1.023,9 -99,0 -1.013,6
Avellino 0 0,0 263 60,7 -100,0 -60,7
Salerno 4 0,4 1.333 123,7 -99,7 -123,3
Campania 358 6,2 37.815 660,8 -99,1 -654,7
Foggia 2 0,3 275 39,5 -99,3 -39,2
Bari 41 2,6 5.045 324,3 -99,2 -321,7
Taranto 1 0,2 3.976 679,0 -100,0 -678,9
Brindisi 20 5,0 1.252 307,0 -98,4 -302,1
Lecce 0 0,0 270 33,9 -100,0 -33,9
Puglia 64 1,6 10.818 267,6 -99,4 -266,1
Cosenza 2 0,3 65 8,7 -96,9 -8,5
Crotone 0 0,0 5 2,8 -100,0 -2,8
Catanzaro 0 0,0 15 4,0 -100,0 -4,0
Vibo Valentia 6 3,6 0 0,0 100,0 3,6
Reggio di Calabria 26 4,6 18 3,2 44,4 1,4
Calabria 34 1,7 103 5,0 -67,0 -3,4
Trapani 3 0,7 5 1,2 -40,0 -0,5
Palermo 30 2,4 612 49,2 -95,1 -46,8
Messina 2 0,3 9 1,4 -77,8 -1,1
Agrigento 0 0,0 7 1,5 -100,0 -1,5
Caltanissetta 0 0,0 2 0,7 -100,0 -0,7
Enna 0 0,0 0 0,0 - 0,0
Catania 17 1,6 311 29,4 -94,5 -27,9
Ragusa 0 0,0 5 1,7 -100,0 -1,7
Siracusa 2 0,5 23 5,7 -91,3 -5,2
Sicilia 54 1,1 974 19,5 -94,5 -18,4

Totale quattro
510 3,0 49.710 295,7 -99,0 -292,7
regioni

Resto del Sud 9 0,2 207 5,4 -95,7 -5,2

Mezzogiorno 519 2,5 49.917 241,9 -99,0 -239,4

Centro-Nord 577 1,5 4.986 13,7 -88,4 -12,3

Italia 1.096 1,8 54.903 96,5 -98,0 -94,6

Fonte: elaborazione Censis su dati Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza

33
935_08

Per quanto riguarda i reati di associazione legati agli stupefacenti, anche


questi risultano in diminuzione: in particolare, le denunce per associazione
a delinquere per la produzione o il traffico delle sostanze stupefacenti
diminuiscono, a livello nazionale da 247 a 156 (-36,8%), mentre nel
complesso delle quattro regioni del Sud sotto la sfera di influenza della
criminalità organizzata questi reati passano da 89 a 79, con una contrazione
dell’11,2%. Questo dato è frutto della riduzione delle denunce in Calabria,
Puglia e Sicilia, mentre in Campania le denunce aumentano da 15 a 39 (tab.
13).
Complessivamente la Campania risulta essere la Regione che presenta il
numero più alto di denunce sia in valore assoluto che per incidenza sulla
popolazione (0,7 ogni centomila abitanti, con punta massima a Napoli, 0,9,
a fronte di una media per le quattro regioni dello 0,5 e nazionale dello 0,3).

34
935_08

Tab. 13 - Associazioni per produzione o traffico di stupefacenti denunciate alle Forze di Polizia - Anni
2004-2007 (v.a., val. per 100.000 abitanti, var.% e differenze)

Province 2007 2004 2004-2007


v.a. Per 100.000 v.a. Per 100.000 var.% Diff. per
abitanti abitanti 100.000 ab.

Caserta 6 0,7 0 0,0 100,0 0,7


Benevento 0 0,0 2 0,7 -100,0 -0,7
Napoli 29 0,9 10 0,3 190,0 0,6
Avellino 1 0,2 0 0,0 100,0 0,2
Salerno 2 0,2 3 0,3 -33,3 -0,1
Campania 39 0,7 15 0,3 160,0 0,4
Foggia 1 0,1 15 2,2 -93,3 -2,0
Bari 6 0,4 10 0,6 -40,0 -0,3
Taranto 1 0,2 0 0,0 100,0 0,2
Brindisi 2 0,5 0 0,0 100,0 0,5
Lecce 1 0,1 12 1,5 -91,7 -1,4
Puglia 12 0,3 38 0,9 -68,4 -0,6
Cosenza 2 0,3 3 0,4 -33,3 -0,1
Crotone 0 0,0 3 1,7 -100,0 -1,7
Catanzaro 0 0,0 4 1,1 -100,0 -1,1
Vibo Valentia 1 0,6 0 0,0 100,0 0,6
Reggio di Calabria 1 0,2 8 1,4 -87,5 -1,2
Calabria 4 0,2 18 0,9 -77,8 -0,7
Trapani 2 0,5 2 0,5 0,0 0,0
Palermo 1 0,1 1 0,1 0,0 0,0
Messina 5 0,8 3 0,5 66,7 0,3
Agrigento 1 0,2 0 0,0 100,0 0,2
Caltanissetta 3 1,1 0 0,0 100,0 1,1
Enna 1 0,6 0 0,0 100,0 0,6
Catania 6 0,6 7 0,7 -14,3 -0,1
Ragusa 2 0,6 1 0,3 100,0 0,3
Siracusa 3 0,7 0 0,0 100,0 0,7
Sicilia 24 0,5 18 0,4 33,3 0,1

Totale quattro
79 0,5 89 0,5 -11,2 -0,1
regioni

Resto del Sud 5 0,1 11 0,3 -54,5 -0,2

Mezzogiorno 84 0,4 100 0,5 -16,0 -0,1

Centro-Nord 72 0,2 147 0,4 -51,0 -0,2

Italia 156 0,3 247 0,4 -36,8 -0,2

Fonte: elaborazione Censis su dati Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza

35
935_08

Tra il 2004 ed il 2007 le denunce per il reato di associazione per spaccio di


sostanze stupefacenti a livello nazionale salgono leggermente, passando da
60 a 62, effetto dell’aumento registrato nelle quattro regioni del Sud, dove le
denunce passano da 30 a 33 (tab. 14).
In particolare, emerge in negativo la situazione della Campania dove, nei
quattro anni considerati, le denunce passano da 5 a 13, mentre la Sicilia
registra una flessione (da 14 a 9) e in Puglia e Calabria la situazione rimane
stazionaria.

36
935_08

Tab. 14 - Associazioni per spaccio di stupefacenti denunciate alle Forze di Polizia - Anni
2004-2007 (v.a., val. per 100.000 abitanti, var.% e differenze)

2007 2004 2004-2007


v.a. Per 100.000 v.a. Per 100.000 var. % Diff. per
abitanti abitanti 100.000 ab.

Caserta 2 0,2 0 0,0 100,0 0,2


Benevento 0 0,0 1 0,3 -100,0 -0,3
Napoli 11 0,4 3 0,1 266,7 0,3
Avellino 0 0,0 0 0,0 - 0,0
Salerno 0 0,0 1 0,1 -100,0 -0,1
Campania 13 0,2 5 0,1 160,0 0,1
Foggia 2 0,3 0 0,0 100,0 0,3
Bari 2 0,1 3 0,2 -33,3 -0,1
Taranto 0 0,0 1 0,2 -100,0 -0,2
Brindisi 1 0,2 0 0,0 100,0 0,2
Lecce 2 0,2 2 0,2 0,0 0,0
Puglia 7 0,2 6 0,1 16,7 0,0
Cosenza 1 0,1 1 0,1 0,0 0,0
Crotone 0 0,0 2 1,2 -100,0 -1,2
Catanzaro 1 0,3 2 0,5 -50,0 -0,3
Vibo Valentia 0 0,0 0 0,0 - 0,0
Reggio di Calabria 0 0,0 0 0,0 - 0,0
Calabria 4 0,2 5 0,2 -20,0 0,0
Trapani 1 0,2 0 0,0 100,0 0,2
Palermo 0 0,0 5 0,4 -100,0 -0,4
Messina 0 0,0 0 0,0 - 0,0
Agrigento 1 0,2 0 0,0 100,0 0,2
Caltanissetta 2 0,7 1 0,4 100,0 0,4
Enna 0 0,0 2 1,1 -100,0 -1,1
Catania 2 0,2 1 0,1 100,0 0,1
Ragusa 1 0,3 1 0,3 0,0 0,0
Siracusa 2 0,5 1 0,3 100,0 0,2
Sicilia 9 0,2 14 0,3 -35,7 -0,1

Totale quattro
33 0,2 30 0,2 10,0 0,0
regioni

Resto del Sud 6 0,2 3 0,1 100,0 0,1

Mezzogiorno 39 0,2 33 0,2 18,2 0,0

Centro-Nord 23 0,1 27 0,1 -14,8 0,0

Italia 62 0,1 60 0,1 3,3 0,0

Fonte: elaborazione Censis su dati Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza

37
935_08

Un ulteriore segnale della pervasività e della potenza delle organizzazioni


criminali è data dal valore dei patrimoni da esse accumulati, che
rappresentano il capitale necessario per realizzare i traffici da esse
perpetrati.
Sottrarre ai mafiosi i loro patrimoni e riutilizzarli in attività sociali o
produttive ha dunque un valore insieme operativo e simbolico, in quanto
impedisce ai boss di continuare le loro attività, consente di liberare energie
economiche indispensabili per aree che sono in deficit di sviluppo socio
economico e, insieme, dimostra che è possibile mettere in piedi, anche in
territori pesantemente condizionati dalla presenza delle mafie, iniziative
vantaggiose, pulite e indipendenti.
Al 31 dicembre del 2008 risultano confiscati complessivamente 8.446 beni
immobili: di questi 4.372 sono stati destinati ai comuni o allo Stato centrale,
(ma non vuol dire che siano stati effettivamente riutilizzati); altri 644
risultano destinati ma non ancora consegnati, e una grande parte, 3.430 in
tutto, risultano ancora in gestione al Demanio (tab.15).
Dei 8.446 beni totali, 7.057 (pari all’83,5%) sono stati confiscati nelle
quattro regioni tradizionalmente interessate dai fenomeni di tipo mafioso,
con una netta prevalenza della Sicilia, sul cui territorio si trovano 3.930 beni
(il 46,5%), seguita dalla Campania, con 1.259 beni sequestrati (il 14,9%),
dalla Calabria, con 1.202 beni (il 14,2%), e dalla Puglia, con 666 beni
sequestrati (il 7,9%) (figg. 2 e 3).
Nel resto del Sud i beni sequestrati sono 122, mentre tra le regioni del
Centro e del Nord si concentrano i rimanenti 1.267 sequestri, in particolare
nella Lombardia e nel Lazio, dove se ne contano, rispettivamente, 610 (il
7,2% del totale) e 328 (il 3,9%).

38
935_08

 
 
 
 
 
 
 
 
Tab. 15 - Beni immobili confiscati alla criminalità organizzata- Dati aggiornati al 31.12.2008 (v.a.)

Beni in Beni destinati ma non Beni destinati e consegnati Totale Val. %


gestione consegnati beni
Aree al Trasferiti Mantenuti Totale Trasferiti Mantenuti Totale confiscati
demanio ai allo Stato ai allo Stato
Comuni Comuni

Campania 356 78 45 123 703 77 780 1.259 14,9


Calabria 257 161 27 188 707 50 757 1.202 14,2
Puglia 226 67 15 82 329 29 358 666 7,9
Sicilia 2.243 169 28 197 1.300 190 1.490 3.930 46,5

Totale 4 regioni 3.082 475 115 590 3.039 346 3.385 7.057 83,5

Resto del Sud 28 7 0 7 66 21 87 122 1,4

Mezzogiorno 3.110 482 115 597 3.105 367 3.472 7.179 84,9

Centro Nord 320 26 21 47 691 209 900 1.267 15,1

Italia 3.430 508 136 644 3.796 576 4.372 8.446 100,0

 
Fonte: Agenzia del Demanio 

39
935_08

Fig. 2 - Numero dei beni confiscati, per Regione al 31.12.2008

 
Fonte: elaborazione Censis su dati Agenzia del Demanio

Fig. 3 - Prime sei Regioni per percentuale di beni confiscati sul totale al 31.12.2008

Fonte: elaborazione Censis su dati Agenzia del Demanio

40
935_08

Dai dati sulla destinazione e assegnazione dei beni emerge chiaramente


come le procedure siano affette da eccessive lungaggini e soggette a una
tempistica che rischia di compromettere l’intento del legislatore di
restituzione al territorio e al riuso da parte della collettività.
La normativa attualmente in vigore, che risale al 1996, e che è stata il
risultato di una battaglia congiunta dello Stato, delle amministrazioni locali
e delle associazioni (Legge n.109 del 7 marzo 1996 “Disposizioni in materia
di gestione e destinazione di beni sequestrati e confiscati”), inizialmente si è
rivelata efficace, ma con il passare degli anni ha mostrato i suoi limiti che si
possono individuare:
- da un lato, nella difficoltà a procedere in tempi brevi alla confisca,
destinazione e all’assegnazione dei beni;
- dall’altro, nella difficoltà di gestione del bene da parte dei comuni
assegnatari, che spesso sono poco solidi sia in termini di bilancio che di
capacità operative, oltre ad essere soggetti al ricatto delle organizzazioni
criminali che hanno interessi su quel territorio.
Per evitare che le operazioni di riuso dei beni si trasformino in una grave
sconfitta materiale e simbolica, e capovolgano, di fatto, il significato e gli
obiettivi da cui è nata la legge, era stata avanzata, nella scorsa legislatura, la
proposta di costituire un’Agenzia nazionale deputata alla gestione di tutte le
fasi del processo di sottrazione del bene immobile alla mafia. Tale nuova
struttura sarebbe andata a sostituire l’Agenzia del Demanio in tutte le
competenze che ora essa esplica, in collegamento diretto con gli uffici
territoriali del Governo e garantendo l’effettività dei provvedimenti adottati
in riferimento a ciascun bene.
Anche la legislatura attuale ha messo nella propria agenda azioni
migliorative per quanto concerne le procedure di sequestro, confisca ed
assegnazione dei beni appartenuti alla criminalità organizzata.
Tra l’altro, la legge 94 del 15 luglio 2009 prevede il conferimento al
Prefetto del luogo in cui si trovano i beni o l’azienda della competenza sulla
destinazione dei beni (precedentemente affidata all’Agenzia del Demanio).

41
935_08

3. LA PAURA DELLE IMPRESE

3.1. I fattori ostativi allo sviluppo

Nonostante gli sforzi compiuti dalle Forze dell’ordine e dalla Magistratura e


nonostante da oltre dieci anni il Mezzogiorno sia interessato da un
Programma operativo nazionale sulla sicurezza e lo sviluppo cofinanziato
con fondi europei ed unico al mondo, permane, da parte degli imprenditori,
una scarsa propensione ad investire, anche per la paura dei condizionamenti
imposti dalla criminalità organizzata.
Tali oggettivi condizionamenti logorano ulteriormente una realtà nella quale
le aziende denunciano gravi problemi sui versanti dei servizi di base, delle
infrastrutture, del funzionamento della pubblica amministrazione,
dell’approvvigionamento creditizio; ostacoli che nel tempo hanno
pregiudicato lo sviluppo economico e sociale di intere regioni del Sud.
Questo atteggiamento è evidente se si considerano anche soltanto i dati
relativi al numero di imprese attive, che nelle quattro regioni sono
1.367.060, pari a 80,7 per 1.000 abitanti, a fronte delle 3.577.123 imprese
del Centro Nord, ovvero 91,5 sulla stessa quota di popolazione.
Da un’indagine condotta dal Censis nel 2006 su di un campione di 800
imprenditori delle sei regioni che rientravano nell’“Obiettivo1” della
programmazione dei Fondi strutturali 2000-2006, emergono con chiarezza
quali sono i fattori che impediscono lo sviluppo sociale ed economico
dell’area in cui svolgono la propria attività economica.
In primo luogo gli imprenditori denunciano l’incapacità progettuale e di
gestione degli organismi pubblici e privati (tab. 16): la maggiore
preoccupazione si registra nei confronti dello scarso dinamismo delle
associazioni di categoria (cui viene attribuito un punteggio pari a 3,87 in una
scala che va da 1-minima importanza a 5-massima importanza),
dell’incapacità progettuale degli Enti locali (3,84) e dell’inefficienza della
Pubblica Amministrazione (3,74).
Gli Enti Locali, in particolare, all’interno del quadro particolarmente
problematico del Mezzogiorno, rivelano inefficienze sia nella loro
interazione con le aziende locali che, più in generale, nella loro azione per lo
sviluppo del territori. Si è ancora molto lontani dal possesso di una capacità

42
935_08

progettuale che si affranchi, nella visione dei problemi del Mezzogiorno e


nella pianificazione della loro risoluzione, da una mentalità incentrata
principalmente sull’emergenza; e la situazione si presenta ancora più grave
quando al malfunzionamento dell’amministrazione pubblica si somma la
corruzione o, comunque, la collusione con gli interessi dei potenti, non
ultimi quelli dei gruppi criminali.
Segue, come ulteriore fattore ostativo dello sviluppo del Mezzogiorno, un
fenomeno che, almeno in parte, risulta collegato alla presenza di criminalità,
che è quello del lavoro nero e, più in generale, di economia sommersa (cui
gli imprenditori intervistati attribuiscono un punteggio pari a 3,74).
Si aggiunge a questo la maggiore difficoltà per le aziende meridionali di
accedere al credito rispetto a quelle del Centro-nord (con punteggio 3,64): il
contesto socioeconomico più difficile determina una maggiore cautela da
parte del sistema bancario ad accordare fiducia e questo rende più probabile
il ricorso a canali di credito paralleli, spesso di dubbia affidabilità.
Rilevanti per gli imprenditori sono anche la carenza di manodopera
qualificata (3,56), la scarsa disponibilità di aree attrezzate per le imprese
(3,50) e l’insufficiente rete di trasporti e collegamenti (3,20). Si riconoscono
in queste segnalazioni altri innegabili punti deboli del Mezzogiorno, dove
persiste una carenza di servizi di base ed innovativi per le aziende (dal
supporto informativo all’alloggiamento tecnologico organizzativo) e non si
è ancora intervenuti in maniera risolutiva per l’adeguamento delle
infrastrutture e della rete di trasporti.
Il sistema delle comunicazioni delle regioni meridionali non può
paragonarsi a quello del Centro-nord: autostrade mai completate o in uno
stato di conservazione carente, linee ferroviarie ad un solo binario e
sovraffollate di convogli, estrema insicurezza di alcune arterie fondamentali
per il transito dei Tir, porti con infrastrutture insufficienti per il carico-
scarico delle merci. Inoltre, molte delle strade secondarie di collegamento
alle arterie principali non sono in buone condizioni ed in alcune aree le reti
idriche ed elettriche sono a tutt’oggi inadeguate.
In questo quadro denso di emergenze gli intervistati sembrano focalizzare
meno l’attenzione sui temi più immediatamente connessi alla sicurezza: la
scarsa presenza delle Forze dell’ordine nel territorio ottiene un punteggio di
3,37 e ancora più basso è quello sulla presenza di criminalità organizzata
(3,13), che si colloca all’ultima posizione della graduatoria.

43
935_08

Tab . 16 - Importanza di alcuni fattori che impediscono lo sviluppo sociale ed economico


nell'area in cui svolge l’attività

Ostacoli Punteggio medio

Scarso dinamismo delle Associazioni di categoria 3,87


Scarsa capacità progettuale degli Enti Locali 3,84
Inefficienza della Pubblica Amministrazione 3,74
Presenza di lavoro nero/economia sommersa 3,74
Difficoltà di accesso al credito 3,64
Carenza di manodopera qualificata 3,56
Scarsa disponibilità di aree attrezzate per le imprese 3,50
Insufficiente presenza di Forze dell'ordine sul territorio 3,37
Rete dei trasporti e collegamenti insufficienti 3,20
Presenza di criminalità organizzata 3,13

(1) ad ogni voce è stato assegnato un punteggio da 1, minima importanza, a 5, massima


importanza

Fonte: indagine Censis, 2006 “Valutazione di impatto degli interventi realizzati


nell’ambito del Programma operativo nazionale Sicurezza per lo sviluppo del
Mezzogiorno 2000-2006- Indagine sulle imprese”

3.2. Il peso della criminalità organizzata

Nonostante la presenza di diversi fattori che impediscono lo sviluppo


economico e sociale del Mezzogiorno, è fuor di dubbio che la presenza della
criminalità organizzata agisca come un ulteriore importante ostacolo.
Le organizzazioni mafiose, infatti, scoraggiano gli investimenti produttivi
da parte dei privati; contribuiscono al mantenimento di un’immagine
negativa a livello nazionale ed internazionale; costituiscono un incentivo
alla fuga di risorse umane qualificate; esportano i proventi delle loro attività
illecite in altre zone tramite reinvestimenti e riciclaggio di denaro;
provocano un’allocazione non razionale delle risorse sostituendo le loro
logiche alle logiche di mercato e, non da ultimo, alimentano la crescita
dell’economia illegale e sommersa.
Gli stessi imprenditori ammettono, nell’indagine citata in precedenza, che la
presenza della criminalità organizzata influisce sul libero svolgimento delle

44
935_08

attività imprenditoriali: secondo il 30,9% degli imprenditori, infatti, è


abbastanza (13,5%) o molto (17,4%) difficile portare avanti la propria
attività, contro un 24,1% che dichiara che l’ingerenza della criminalità nella
realtà imprenditoriale non crea alcun problema e il 27,8% che è convinto
che crei pochi problemi (fig.4).

Fig. 4 - Opinioni su quanto influisce la criminalità organizzata nel libero svolgimento


dell'attività imprenditoriale nella propria zona

Fonte: indagine Censis 2006 “Valutazione di impatto degli interventi realizzati nell’ambito
del Programma operativo nazionale Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno
2000-2006- Indagine sulle imprese”

Allo stesso tempo il 42,1% degli imprenditori dichiara che il fatturato della
propria azienda sarebbe maggiore se potesse svolgere la propria attività in
un contesto territoriale più sicuro e libero: di questi, il 9% stima che
potrebbe aumentare del 5%, il 15,4% del 10%, il 10% del 15%, il 7,7% di
oltre il 20%.

45
935_08

Tali risposte possono costituire un valido parametro per misurare la portata


delle attività criminali sul mancato sviluppo economico delle regioni del
Sud e rivelano una situazione non omogenea: mentre in Campania e Puglia
quasi la metà degli imprenditori afferma che potrebbe migliorare il proprio
fatturato (il 49,5% ed il 48,9%, rispettivamente), più basse risultano essere
le percentuali per Sicilia (43,2%), Calabria (32,6%) e ancora inferiori in
Basilicata e Sardegna (17,8%) (tab. 17).

Tab. 17 - Opinioni sul danno causato alla propria azienda dalla presenza di
criminalità per regione (val. %)
 

Ripercussioni sul fatturato Campania Puglia Basilicata/ Calabria Sicilia Totale


Sardegna

Potrei aumentare il fatturato del 5% 9,4 12,9 5,0 7,5 7,7 9,0
Potrei aumentare il fatturato del 10% 13,9 22,5 5,8 11,3 17,5 15,4
Potrei aumentare il fatturato del 20% 12,7 9,6 4,0 10,0 10,3 10,0
Il fatturato potrebbe crescere di oltre
il 20% 13,5 3,9 3,0 3,8 7,7 7,7
La criminalità non ostacola la
crescita del fatturato 50,5 51,1 82,2 67,4 56,8 57,9
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: indagine Censis, 2006 “Valutazione di impatto degli interventi realizzati


nell’ambito del Programma operativo nazionale Sicurezza per lo sviluppo del
Mezzogiorno 2000-2006- Indagine sulle imprese”

Per quanto riguarda le modalità di intervento sul territorio, da alcuni anni le


organizzazioni criminali hanno adottato una strategia di penetrazione nel
tessuto economico e finanziario più discreta e a tutto campo, affiancando
strumenti più sofisticati alle tradizionali modalità di controllo del territorio e
delle attività imprenditoriali come le estorsioni, l’usura, le minacce, gli
incendi dolosi, le aggressioni, le violenze.
Le organizzazioni criminali sono infatti entrate nella più subdola fase
simbiotica, che le vede affacciarsi sui mercati legali con la faccia pulita del
libero imprenditore. In questa fase, accanto alle consuete attività illecite
(che sono sempre meno improntate alla platealità ed alla violenza, e sempre
più ad una strategia silenziosa e “di basso profilo”, che garantisce meno
controlli) quali le intimidazioni, il racket, le minacce, la violenza; le

46
935_08

organizzazioni criminali si dedicano ad un certo numero di attività lecite,


che vengono gestite con i proventi delle attività criminali e con i consueti
metodi criminali.
La loro vocazione per l’imprenditoria le porta, tra le altre cose, ad
affacciarsi su diversi mercati (appalti pubblici, edilizia, servizi del
commercio e della ristorazione, settori della finanza), acquisendo
direttamente aziende o esercitando su di esse pressioni dall’esterno
(imponendo subappalti, assunzioni, acquisti di materiali a prezzi
maggiorati), ad acquisire quote finanziarie, a formare cartelli con aziende
non controllate direttamente, a fare credito usuraio.
Due diverse indagini realizzate dal Censis negli ultimi anni fotografano
molto bene questa situazione, dando un’idea di come la situazione sia via
via peggiorata.
La prima indagine è stata realizzata nel 2003 su un campione di
imprenditori appartenente a tutte e otto le regioni del Mezzogiorno; la
seconda è l’indagine, cui si è fatto riferimento anche in precedenza, sugli
imprenditori delle sei regioni che rientravano nell’“Obiettivo1” della
precedente programmazione dei Fondi Strutturali.

3.3. I tradizionali sistemi di controllo del territorio

Se si guarda alla tabella 18, in cui sono riportati i risultati delle due indagini,
si ha che:
- nel 2003 il 14,3% degli imprenditori riteneva che il racket a danno delle
aziende fosse molto diffuso, mentre nel 2006 tale percentuale è più che
raddoppiata, passando al 33,1%; parallelamente, nel 2003 il 35% del
campione riteneva che tale reato non fosse per niente diffuso, mentre nel
2006 tale convinzione riguarda solo il 16,7%;
- nel 2003 l’usura era molto diffusa secondo il 12,3% del campione,
mentre nel 2006 è quasi il 40% degli imprenditori a segnalarne un’ampia
presenza; indicativo è anche che nel 2003 ben il 29,7% riteneva che
l’usura non fosse affatto diffusa, mentre nell’indagine più recente appena
l’8,7% del campione ha la stessa opinione.

47
935_08

Tab. 18 - Diffusione dei reati di racket e usura nel Mezzogiorno. Confronto 2003 e 2006
(val. %)
 

Opinioni 2003(1) 2006(1)

Racket
Molto diffuso (2) 14,3 33,1
Poco diffuso 50,6 21,1
Per niente diffuso 35,1 16,7
Non so - 29,1
Totale 100,0 100,0

Usura
Molto diffusa (2) 12,3 39,2
Poco diffusa 58,0 14,1
Per niente diffusa 29,7 8,7
Non so - 38,0
Totale 100,0 100,0

(1) Nel 2006 il campione comprendeva imprenditori intervistati in Sicilia, Puglia,


Calabria, Campania, Basilicata e Sardegna e nel 2003 in Sicilia, Puglia, Calabria,
Campania, Basilicata, Sardegna, Molise e Abruzzo
(2) La risposta Molto diffuso, per l’anno 2006, comprende le risposte Molto +
Abbastanza diffuso

Fonte: indagini Censis 2003 “Impresa e criminalità nel Mezzogiorno” e 2006


“Valutazione di impatto degli interventi realizzati nell’ambito del Programma
operativo nazionale Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno 2000-2006-
Indagine sulle imprese”

Dall’ultima indagine è emerso inoltre che, in contrasto con la visione


comune che vede i commercianti come le vittime principali degli estorsori,
il fenomeno interessa trasversalmente tutti i settori imprenditoriali:
industria, commercio e servizi, dove, rispettivamente, il 31%, il 32,6% ed il
34,7% degli intervistati ritiene che le estorsioni siano abbastanza o molto
diffuse (tab.19).

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935_08

Tab. 19 - Opinioni sulla diffusione del taglieggiamento ai danni delle imprese nella
propria zona di attività, per settore di attività (val. %)

Diffusione taglieggiamento Industria Commercio Servizi Totale

Molto diffuso 8,3 10,2 8,9 9,4


Abbastanza diffuso 22,7 22,4 25,8 23,7
Poco diffuso 21,0 20,1 21,8 21,1
Per niente diffuso 15,5 16,0 18,8 16,7
Non so 32,5 31,3 24,7 29,1
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: indagine Censis, 2006 “Valutazione di impatto degli interventi realizzati


nell’ambito del Programma operativo nazionale Sicurezza per lo sviluppo del
Mezzogiorno 2000-2006- Indagine sulle imprese”

A fronte di tali risultati, che evidenziano una preoccupante e crescente


presenza del fenomeno estorsivo nelle regioni meridionali, si riscontra negli
intervistati un buon livello di conoscenza dell’esistenza di possibilità di
aiuto alle vittime.
Il 59,4% degli intervistati dichiara, infatti, di essere a conoscenza
dell’esistenza di strumenti economici per aiutare le vittime delle estorsioni.
L’associazionismo antiracket non sembra invece essere ritenuto dagli
imprenditori una modalità di risposta efficace alle vessazioni perpetrate
dalle organizzazioni criminali: il 69% non ha mai sentito il bisogno di
iscriversi ad un’associazione, il 19% ritiene che non sia utile a risolvere i
problemi, l’8,4% ha paura di esporsi ad eventuali ritorsioni, il 2% vorrebbe
iscriversi ma ne denuncia la mancanza nella propria zona. Soltanto l’1,6%
degli imprenditori dichiara di essere iscritto ad una delle associazioni
antiracket presenti sul territorio (fig. 5).

49
935_08

Fig. 5 - Imprenditori iscritti ad associazioni antiracket (val.%)

Fonte: indagine Censis, 2006 “Valutazione di impatto degli interventi realizzati


nell’ambito del Programma operativo nazionale Sicurezza per lo sviluppo del
Mezzogiorno 2000-2006- Indagine sulle imprese”

Se si passa a considerare l’usura, che permette alle organizzazioni mafiose


di controllare in maniera stretta e coercitiva le aziende debitrici, fino
all’acquisizione dell’impresa “strozzata” ed insolvente, i risultati
dell’indagine risultano essere altrettanto preoccupanti.
Come precedentemente evidenziato, la diffusione di tale reato risulta essere
percepita dagli imprenditori in misura maggiore nel 2006 rispetto al 2003,
ma non solo: le opinioni sull’andamento dell’usura negli ultimi cinque anni
sembrano segnalare un fenomeno che è tendenzialmente in crescita.
Infatti, considerando solo l’ultima indagine, a fronte di un 32% degli
intervistati che giudica stazionaria la diffusione del reato e di un 45,9% che
non è a conoscenza di casi specifici, vi è un 18,5% che ne rileva un
incremento mentre soltanto il 3,6% ritiene che l’usura sia in diminuzione
(fig. 6).

50
935_08

Fig. 6 - Opinioni sull'andamento dell'usura nella propria zona di attività negli ultimi
cinque anni (val. %)

Fonte: indagine Censis 2006 “Valutazione di impatto degli interventi realizzati


nell’ambito del Programma operativo nazionale Sicurezza per lo sviluppo del
Mezzogiorno 2000-2006- Indagine sulle imprese”

Se si considerano i differenti settori di attività, il comparto dei servizi


sembra essere quello che risente maggiormente della presenza di questo
reato (per il 41,8% degli imprenditori l’usura è molto o abbastanza diffusa),
seguito dal commercio (39,3%) e dall’industria (34,2%) (tab. 20).

51
935_08

Tab. 20 - Opinioni sulla diffusione dell'usura ai danni delle imprese nella propria
zona per settore di attività (val. %)

Diffusione usura Industria Commercio Servizi Totale

Molto diffusa 13,8 16,0 14,4 15,0


Abbastanza diffusa 20,4 23,3 27,4 24,1
Poco diffusa 17,1 12,0 15,2 14,2
Per niente diffusa 12,2 6,1 9,6 8,7
Non so 36,5 42,6 33,4 38,0
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: indagine Censis, 2006 “Valutazione di impatto degli interventi realizzati


nell’ambito del Programma operativo nazionale Sicurezza per lo sviluppo del
Mezzogiorno 2000-2006- Indagine sulle imprese”
 

Per quanto riguarda l’informazione sull’esistenza di strumenti economici di


supporto alle vittime dell’usura, la maggior parte degli imprenditori (il
58,3%) dichiara di esserne a conoscenza.

3.4. La filiera “lunga” della criminalità organizzata

Se si passa ad analizzare la presenza dei meccanismi più complessi che la


criminalità organizzata mette in campo per controllare il mercato ed
alterarne i meccanismi, prendendo in esame i dati delle indagini 2003 e
2006, emerge che (tab. 21 e fig. 7):
- nel 2006 quasi la metà degli imprenditori segnala la nascita improvvisa
nell’ultimo anno di imprese concorrenti, mentre nel 2003 erano il 36,3%;
mentre scendono al 30% (dal 36,1% del 2003) coloro i quali ritengono
che il fenomeno non sia presente;
- nel 2006 risulta triplicata rispetto a tre anni prima la percentuale di
imprenditori che ritengono che sia in aumento il fenomeno delle
imposizioni di manodopera alle imprese (erano il 5,8% nel 2003, sono il
15,1% nel 2006); mentre scendono al 58,6% (dal 73,8% del 2003) coloro
i quali considerano il fenomeno non presente nella propria zona;

52
935_08

- è poi significativo che l’imposizione di forniture di beni alle aziende


venga segnalata in crescita dal 13,2% del campione dell’indagine più
recente e dal 4,1% di quello dell’indagine del 2003; anche in questo caso
diminuisce la percentuale (dal 73,5% del 2003 al 58,6% del 2006) di
coloro i quali considerano il fenomeno non presente nella zona in cui
svolgono la propria attività;
- anche la segnalazione di assegnazioni non regolari di appalti pubblici
aumenta nei tre anni: nel 2006 è il 45,3% del campione a ritenere non del
tutto trasparenti le gare di appalto, mentre nell’indagine precedente la
percentuale era molto più bassa (20%). Infine, nel 2006 non arriva al
20% la percentuale di chi ritiene che le gare vengano effettuate
correttamente, mentre nel 2003 era il 32,8% ad aver fiducia nel
funzionamento trasparente degli appalti pubblici.

53
935_08

Tab. 21 - Diffusione di alcuni fattori di distorsione della concorrenza nel


Mezzogiorno, anni 2003 e 2006 (val. %)
 

Opinioni 2003(1) 2006(1)

Nascita improvvisa imprese concorrenti


In aumento 36,3 48,9
Stazionario 27,6 21,1
Il fenomeno non è presente 36,1 30,0
Totale 100,0 100,0

Imposizione di manodopera
In aumento 5,8 15,1
Stazionario 20,4 26,3
Il fenomeno non è presente 73,8 58,6
Totale 100,0 100,0

Imposizione di forniture di beni


In aumento 4,1 13,2
Stazionario 22,4 28,2
Il fenomeno non è presente 73,5 58,6
Totale 100,0 100,0

Gestione gare per appalti pubblici(2)


Spesso le assegnazioni non sono regolari (niente affatto + 20,0 45,3
poco trasparenti)
Qualche volta le assegnazioni non sono regolari 47,2 -
Le assegnazioni sono effettuate correttamente (molto + 32,8 19,4
abbastanza trasparenti)
Non so - 35,3
Totale 100,0 100,0

 
(1) Nel 2006 il campione comprendeva imprenditori intervistati in Sicilia, Puglia, Calabria,
Campania, Basilicata e Sardegna e nel 2003 gli imprenditori provenivano da Sicilia,
Puglia, Calabria, Campania, Basilicata, Sardegna, Molise e Abruzzo
(2) La domanda differiva nelle due indagini: nel 2003 è stato chiesto se le gare d’appalto si
svolgevano in modo regolare, nel 2006 è stata chiesta un’opinione sulla trasparenza
delle gare d’appalto

Fonte: indagini Censis 2003 “Impresa e criminalità nel Mezzogiorno” e


2006“Valutazione di impatto degli interventi realizzati nell’ambito del
Programma operativo nazionale Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno 2000-
2006- Indagine sulle imprese”

54
935_08

Fig. 7 - Imprenditori che considerano in aumento alcuni fenomeni di distorsione della


concorrenza nel Mezzogiorno . Anni 2003 e 2006 (val.%)

Fonte: indagini Censis 2003 “Impresa e criminalità nel Mezzogiorno” e 2006


“Valutazione di impatto degli interventi realizzati nell’ambito del Programma
operativo nazionale Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno 2000-2006-
Indagine sulle imprese”

Risulta chiaro come i perversi meccanismi di condizionamento criminale


delle attività economiche si stiano diffondendo in maniera allarmante nel
Mezzogiorno, come anche sta crescendo la consapevolezza da parte degli
imprenditori dell’esistenza di tali fenomeni di distorsione del mercato.
Se si analizzano i fenomeni per regione si nota una situazione preoccupante
soprattutto per la Calabria, seguita dalla Campania e dalla Puglia, mentre se
ne rileva una presenza meno pervasiva in Sicilia, oltre che in Basilicata e
Sardegna.
Se si guarda alla tab. 22, la nascita improvvisa di imprese di grandi
dimensioni sembra essere largamente diffusa soprattutto in Calabria, dove il

55
935_08

52,4% degli intervistati dichiara che il fenomeno è in aumento, seguita dalla


Sicilia (51%) e dalla Campania (49,8%).
Anche l’imposizione di manodopera, risulta essere un fenomeno allarmante
soprattutto in Calabria, dove si registra un 23,2% di operatori economici che
percepisce il fenomeno in aumento, un 37,8% che lo giudica stazionario e
soltanto un 39% che ne afferma l’inconsistenza; seconda è la Campania
dove il 18,9% degli imprenditori lo percepisce come in aumento.
Anche nel caso dell’imposizione nelle forniture di beni e di servizi le
regioni maggiormente colpite sono Calabria e Campania, rispettivamente
con il 61,0% ed il 49,4% degli intervistati che individua la presenza di tale
pratica criminale come in crescita o stazionaria.

Tab. 22 - Diffusione di alcuni fattori di distorsione della concorrenza nel Mezzogiorno, per regione
(val. %)

Campania Puglia Calabria Sicilia Basilicata Totale


/Sardegna
Opinioni

Nascita improvvisa imprese concorrenti


In aumento 49,8 44,7 52,4 51,0 47,1 48,9
Stazionario 22,0 25,1 24,4 16,5 17,6 21,1
Il fenomeno non è presente 28,2 30,2 23,2 32,5 35,3 30,0
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Imposizione di manodopera
In aumento 18,9 13,4 23,2 11,9 8,9 15,1
Stazionario 30,9 24,6 37,8 23,2 14,9 26,3
Il fenomeno non è presente 50,2 62,0 39,0 64,9 76,2 58,6
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Imposizione di forniture di beni


In aumento 18,6 14,6 18,3 7,7 4,0 13,2
Stazionario 30,6 25,8 42,7 26,8 17,8 28,2
Il fenomeno non è presente 50,8 59,6 39,0 65,5 78,2 58,6
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: indagine Censis 2003 “Impresa e criminalità nel Mezzogiorno” e 2006“Valutazione di impatto
degli interventi realizzati nell’ambito del Programma operativo nazionale Sicurezza per lo
sviluppo del Mezzogiorno 2000-2006- Indagine sulle imprese”

56
935_08

3.5. La percezione della sicurezza

Una certa eterogeneità delle valutazioni da parte degli imprenditori, a


seconda della regione di residenza, si riflette anche sulle percezioni della
sicurezza nell’area in cui si svolge la propria attività. L’indagine del 2006 ha
permesso di individuare tre aree ben distinte.
La prima zona è quella della sicurezza percepita e comprende Basilicata e
Sardegna. Qui gli imprenditori riconoscono di operare in un contesto quasi
totalmente privo di fenomeni di criminalità e le due regioni sembrano
costituire un’isola felice all’interno di un contesto meridionale sul quale
grava pesantemente la presenza mafiosa.
La seconda area, quella dell’insicurezza diffusa, accomuna gli imprenditori
della Campania e della Puglia. Nelle due regioni emerge la situazione
maggiormente critica, caratterizzata da una elevata percezione di insicurezza
(ritengono di vivere in una zona insicura il 54,5% degli imprenditori
campani ed il 44,4% di quelli pugliesi) e dalla percezione di un incremento
negli ultimi anni di attività criminali a danno delle imprese (lo pensa il
56,3% degli imprenditori campani ed il 41% di quelli pugliesi).
Un livello più basso di allarme, rispetto a Campania e Puglia, si avverte da
parte degli imprenditori di Calabria e Sicilia: le due regioni rappresentano,
infatti, l’area che è stata definita dell’insicurezza latente, dove la maggior
parte degli imprenditori (il 49,4% dei calabresi ed il 54,4% dei siciliani)
dichiara di svolgere la propria attività in una zona abbastanza o molto sicura
e solo una piccola percentuale (l’8,5% in Calabria ed il 7,8% in Sicilia)
ritiene che si verifichino spesso reati a danno delle aziende. Inoltre, la
stragrande maggioranza degli intervistati calabresi (77,9%) e siciliani (73%)
ritiene che tali reati negli ultimi cinque anni siano rimasti invariati.
Questo scarso allarmismo, già rilevato nell’indagine del 2003, sembra
rivelare la presenza di una sorta di assuefazione che condiziona le
percezioni degli imprenditori calabresi e siciliani, per i quali l’insieme delle
attività vessatorie nei confronti delle aziende, dal racket all’usura, dagli
incendi dolosi alle rapine, fino ai meccanismi più sofisticati di infiltrazione
nel mercato, sembrano ormai costituire un sottofondo latente, uno scenario
inevitabile delle loro attività.
A dire il vero qualcosa in Sicilia è cambiato, se a fine 2007 la Confindustria
siciliana ha approvato un Codice etico, che prevede “l’incompatibilità tra
l’iscrizione all’associazione degli industriali e forme di collusione o di

57
935_08

assoggettamento al potere delle cosche”. In base a questo codice nel corso


del 2008 sono stati avviati 51 provvedimenti contro altrettanti imprenditori,
di cui 10 espulsioni, 30 richieste di sospensione e 10 allontanamenti
volontari.

3.6. Quali gli interventi richiesti e in quali settori

E’ di fondamentale interesse conoscere quali sono secondo gli imprenditori,


gli interventi e le iniziative che si potrebbero mettere in atto per aumentare il
livello di sicurezza ed attrarre investimenti nel Mezzogiorno.
Se si guarda alla tabella 23, tratta dall’indagine effettuata nel 2006, si nota
che i maggiori consensi convergono sugli interventi di ammodernamento dei
dispositivi di controllo del territorio (con un punteggio pari a 4,28 su un
massimo di 5) e su quelli di miglioramento delle sinergie tra i diversi
soggetti che, nello stesso territorio, operano per la legalità (con punteggio
pari a 4,24).
Leggermente inferiore, seppur ugualmente significativa, è l’utilità attribuita
ad iniziative come la semplificazione dei canali di accesso al credito (4,23) e
l’inasprimento delle pene (4,19). Agli imprenditori non sfugge l’importanza
del rapporto con il sistema bancario nel processo di sviluppo economico del
territorio.
Mediamente importanti sono considerati anche l’aumento del numero di
Forze dell’ordine presenti sul territorio (4,08), il rapido ricambio della
classe dirigente (3,99) ed il coinvolgimento della popolazione in iniziative
sulla cultura della legalità e sulla prevenzione della marginalità (3,88).
Non sembrano invece riscuotere opinioni particolarmente favorevoli le aree
attrezzate per le imprese, già sperimentate in alcuni contesti meridionali
(3,88), mentre un’utilità ancora minore viene attribuita ad iniziative meno
direttamente collegabili con il concetto di sicurezza come la costruzione di
infrastrutture, quindi ponti, strade, ferrovie (3,81) ed il contenimento dei
flussi migratori di cittadini extracomunitari (3,81).  
Quest’ultima risposta potrebbe sorprendere, ma è solamente una conferma
di come, nelle regioni del Sud, la scarsa consistenza della presenza
immigrata non crei quelle situazioni di allarme sociale che, invece, sono
assai più diffuse nel Nord del paese.

58
935_08

Tab. 23 - Opinioni sull'utilità di alcune iniziative per aumentare il livello di sicurezza ed


attrarre investimenti nel Mezzogiorno per regione (val. %)

Iniziative Punteggio medio


Campania Puglia Basilicata/ Calabria Sicilia Totale
Sardegna

Ammodernare e rendere più


efficienti i dispositivi di controllo del
territorio 4,32 4,37 4,09 4,27 4,26 4,28
Garantire una maggiore sinergia tra i
diversi soggetti che, all'interno dello
stesso territorio, operano per la
legalità 4,26 4,34 4,12 4,11 4,23 4,24
Semplificare i canali di accesso al
credito 4,12 4,13 4,21 4,15 4,50 4,23
Inasprire le pene 4,21 4,18 4,14 3,99 4,30 4,19
Aumentare il numero di Forze
dell'ordine presenti sul territorio 4,29 4,20 3,54 3,77 4,11 4,08
Procedere ad un rapido ricambio
della classe dirigente 4,04 3,99 3,88 3,77 4,09 3,99
Coinvolgere la popolazione in
iniziative sulla cultura della legalità e
sulla prevenzione della marginalità 3,98 3,79 3,93 3,96 4,19 3,98
Costruire aree attrezzate e vigilate
per le imprese 3,91 3,79 3,54 3,88 4,09 3,88
Costruire strade, ponti, ferrovie 3,62 3,82 3,85 3,83 4,04 3,81
Limitare gli ingressi degli
extracomunitari 3,84 3,68 3,63 4,00 3,92 3,81

(*) ad ogni voce è stato assegnato un punteggio da 1, minima utilità, a 5, massima utilità

Fonte: indagine Censis, 2006 “Valutazione di impatto degli interventi realizzati


nell’ambito del Programma operativo nazionale Sicurezza per lo sviluppo del
Mezzogiorno 2000-2006- Indagine sulle imprese”

Alla richiesta di indicare quali fossero, a giudizio degli imprenditori, i tre


settori in cui lo Stato dovrebbe investire maggiori risorse finanziarie
pubbliche, le risposte si sono concentrate prevalentemente sulle iniziative
per la creazione di nuovi posti di lavoro (indicate dal 61,1% degli
intervistati) e sull’assistenza delle famiglie con gravi problemi economici

59
935_08

(44,1%); al terzo posto si trova la creazione di strutture e servizi sanitari


(importante per il 33,7% degli imprenditori) (tab. 24)
Ciò evidenzia quanto le tematiche relative al lavoro ed al benessere
economico vengano percepite come più urgenti rispetto a quelle connesse
con la sicurezza e con la lotta alla criminalità, per cui il contrasto alla
criminalità deve essere necessariamente supportato da politiche di sviluppo
per l’economia locale e per il welfare; sono infatti indicati solo al quarto
posto, con il 30,8% delle risposte, gli investimenti pubblici per la
costituzione di strutture e servizi per l’ordine pubblico e la sicurezza.

Tab. 24 - Opinioni riguardo ai settori in cui andrebbero investite maggiori risorse


finanziarie pubbliche (*) (val. %)

Settori Val. %

1. Interventi per creare nuovi posti di lavoro 61,1


2. Assistenza alle famiglie con problemi di povertà o disagio 44,1
3. Strutture e servizi sanitari 33,7
4. Strutture e servizi per l'ordine pubblico e la sicurezza 30,8
5. Strutture ed iniziative per riqualificare le aree degradate 30,0
6. Infrastrutture (strade, ferrovie, ecc.) e servizi pubblici (trasporti, raccolta
rifiuti, ecc.) 29,1
7. Pensioni e previdenza 22,4
8. Ricerca e sviluppo di nuove tecnologie 17,4
9. Difesa dell'ambiente e del territorio 15,7
10. Strutture e servizi di istruzione 15,3

* il totale è superiore a 100 poiché erano possibili tre risposte

Fonte: indagine Censis, 2006 “Valutazione di impatto degli interventi realizzati


nell’ambito del Programma operativo nazionale Sicurezza per lo sviluppo del
Mezzogiorno 2000-2006- Indagine sulle imprese”

60
935_08

4. TRASPARENZA DELLA PUBBLICA


AMMINISTRAZIONE E CULTURA DELLA LEGALITÀ

Un approccio burocratico fondato sul mero rispetto delle procedure a


discapito dell’efficienza rimane ancora il modello di riferimento prevalente
all’interno della Pubblica Amministrazione del nostro paese, e questo
determina da sempre un gap di produttività rispetto al settore privato,
contribuendo a condannare il comparto pubblico ad un’ inefficienza che
incide profondamente sull’economia complessiva.
Tutti i tentativi di riorganizzare la macchina amministrativa avviati negli
ultimi decenni sono rimasti finora largamente disattesi, e le conseguenze di
un modello di funzionamento poco efficiente e poco trasparente risultano
chiare se si considerano, ad esempio, gli ostacoli cui vanno incontro gli
imprenditori.
Secondo Doing Business, un progetto della Banca Mondiale che ogni anno
stila una graduatoria sulle condizioni di contesto del fare impresa nei diversi
paesi del mondo, l’Italia occupa una posizione di coda, a confronto non solo
delle più consolidate economie vicine, ma anche dei nuovi paesi emergenti.
Del resto, le difficoltà cui vanno incontro le imprese italiane emergono
chiaramente dall’ultimo Rapporto della Fondazione Promo P.A. sulla
soddisfazione delle piccole imprese nei confronti della Pubblica
Amministrazione: il grado di soddisfazione espresso dalle aziende, su una
scala da 0 a 10, si ferma a 4,4 (a 4,2 al Sud), perdendo oltretutto mezzo
punto rispetto ai tre anni precedenti, e numerosi aspetti vengono messi in
luce come disincentivanti per l’attività imprenditoriale.
In primo luogo risulta un costo elevato della burocrazia sull’economia
aziendale, in termini di tempo e di denaro: gli imprenditori segnalano una
crescita del 7% tra il 2006 ed il 2008 del numero delle giornate-uomo
necessarie per assolvere tutti gli adempimenti amministrativi (la media è di
25,8 giornate-uomo l’anno, ma al Sud la quota sale a 28,6), come cresce
anche, del 22,7% nel triennio, la stima dell’incidenza media complessiva dei
costi sostenuti dall’azienda per l’espletamento degli obblighi amministrativi.
Le formalità amministrative da assolvere hanno le proprie ricadute anche
sulle scelte aziendali riguardanti il personale: quasi la metà delle piccole
aziende dichiara di non assumere personale a tempo indeterminato,

61
935_08

scoraggiata dai costi troppo elevati, o di assumerne meno di quanto


necessario, preferendo, all’occorrenza, forme di collaborazione.
Eppure, come messo in evidenza da uno studio effettuato qualche anno fa
dalla CGIA- Associazioni di artigiani e piccole imprese di Mestre, i
contribuenti italiani pagano per il funzionamento della macchina
amministrativa più di quanto paghino i cittadini dei principali paesi europei,
ad eccezione della Francia.
Rilevanti sacche di inefficienza percepita e di insoddisfazione si
concentrano in particolare nelle regioni meridionali, e questo risulta anche
da alcuni dati Istat relativi al 2007, dai quali risulta che:
- se in Italia 55,1 famiglie su cento dichiarano difficoltà a raggiungere il
Pronto Soccorso, al Sud sono 62,7 e nelle isole 63,7 (tab. 25); e se per
43,7 famiglie italiane su cento la fila allo sportello dell’Azienda sanitaria
dura più di 20 minuti, la stessa cosa accade per una percentuale più alta
di famiglie residenti al Sud (51,8%) e nelle isole (57,1%);
- l’inefficienza del sistema sanitario è un problema prioritario per il 34%
delle famiglie calabresi e per il 33,1% delle famiglie siciliane, mentre la
media nazionale si ferma al 25,9%;
- mentre in Italia il 35,6% delle famiglie non riesce a raggiungere
agevolmente gli Uffici Comunali, al Sud la quota è del 41,6% e nelle
isole del 43,2%;
- per quanto riguarda le scuole elementari, in Italia il 17,5% delle famiglie
dichiara di raggiungerle con difficoltà, mentre al Sud tale disagio
riguarda il 23,9% dei nuclei familiari e nelle isole il 24,4%;
- infine, la difficoltà di collegamento con i mezzi pubblici è un problema
del 30,5% delle famiglie italiane, ma al Sud tale percentuale sale al
35,4% (con punte massime in Campania, 46,1% e Calabria, 37%) e nelle
isole al 33,4%.

62
935_08

Tab. 25 - Difficoltà segnalate della famiglie, per regione e ripartizione. Anno 2007 (val.%)

Ripartizioni Difficoltà nel raggiungere Durata della fila alla Problemi


territoriali ASL (b)
Pronto Uffici Scuola File File per Difficoltà di Inefficienza
soccorso comunali elementare fino a 10 più di 20 collegamento del sistema
(a) minuti minuti con i mezzi sanitario
pubblici

Piemonte 54,3 32,1 13,1 20,8 41,9 26,8 24,6


Valle d'Aosta 46,6 19,6 8,5 34,3 27,8 21,9 21,8
Lombardia 48,4 28,5 12,3 23,1 36,4 31,1 21,8
Trentino-Alto
Adige 44,8 22,3 16,8 51,3 19,1 25,1 15,5
Bolzano 35,1 23,6 14,4 49,6 20,3 22,7 13,3
Trento 53,4 21,2 19,3 52,8 18,0 27,3 17,5
Veneto 53,2 28,5 11,6 27,0 31,5 28,2 25,8
Friuli-Venezia
Giulia 52,6 32,4 11,3 24,2 38,2 24,7 25,2
Liguria 50,7 35,4 19,0 13,8 48,6 28,2 29,5
Emilia-
Romagna 49,8 32,1 13,7 24,9 36,7 22,9 23,8
Toscana 53,4 33,7 12,2 24,5 38,5 30,2 23,2
Umbria 54,2 37,8 19,4 26,0 37,7 33,5 25,0
Marche 56,7 35,4 12,7 29,6 32,2 25,7 30,7
Lazio 51,4 42,4 16,2 9,6 61,3 31,1 29,1
Abruzzo 59,3 32,4 17,5 16,1 49,9 23,6 28,5
Molise 66,2 35,4 23,1 16,5 51,7 23,7 27,3
Campania 63,5 46,1 28,4 9,8 48,7 46,1 21,0
Puglia 59,0 39,2 21,8 13,2 53,1 26,1 29,6
Basilicata 68,6 37,8 30,5 13,2 56,0 30,5 25,1
Calabria 67,9 42,6 14,7 10,9 58,1 37,0 34,0
Sicilia 64,5 48,4 26,4 14,1 56,3 35,5 33,1
Sardegna 61,3 27,6 17,0 11,3 58,5 26,8 26,5

Nord-ovest 50,4 30,2 13,1 21,5 39,3 29,5 23,4


Nord-est 51,1 29,9 12,8 27,8 33,3 25,4 24,1
Centro 53,0 38,3 14,8 19,0 47,3 30,3 27,1
Sud 62,7 41,6 23,9 12,0 51,8 35,4 26,4
Isole 63,7 43,2 24,4 13,2 57,1 33,4 31,5

Italia 55,1 35,6 17,5 19,7 43,7 30,5 25,9

(a) Per 100 famiglie della stessa zona in cui è presente almeno un iscritto al corrispondente tipo di scuola
(b) Per 100 utenti di 18 anni e più della stessa zona

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat , Indagine Multiscopo

63
935_08

Questi dati sono confermati dalla percezione della Pubblica


Amministrazione che hanno gli stessi dipendenti pubblici: in base ad
un’indagine condotta dal Censis nell’ambito del progetto Karma risulta che
più del 60% dei funzionari ritiene che l’amministrazione per la quale presta
servizio sia raramente efficiente o non lo sia affatto, e per quasi la metà che
non sia efficace, ovvero che non raggiunga, o lo faccia di rado, gli obiettivi
prefissati.
E il quadro viene dipinto a tinte ancora più fosche dai funzionari di Sicilia
(l’ente di appartenenza è inefficiente secondo il 71,6% degli intervistati e
inefficace secondo il 58,1%) e Calabria (l’ente di appartenenza è inefficiente
secondo il 63,3% degli intervistati e inefficace secondo il 50%).
Ma un altro dato della stessa indagine risulta ancora più preoccupante:
interrogati su quali siano i fattori che ispirano l’azione amministrativa del
proprio ente di appartenenza, al primo posto i funzionari collocano le
pretese dei referenti politici, mentre sono messi in secondo piano altri
aspetti come le attese degli stakeholder di riferimento (cittadini, imprese,
altre amministrazioni, etc.), l’attuazione di politiche pubbliche, il rispetto di
adempimenti e di procedure amministrative.
Anche in questo caso in alcune regioni le indicazioni dei politici di
riferimento sembrano ispirare più che altrove l’operato della Pubblica
amministrazione: in Campania addirittura il 40% indica questo come
principio guida dall’azione ed in Sicilia il 33,1%.
Del resto, è innegabile che il malfunzionamento dei servizi pubblici si fondi
anche sull’esistenza di un meccanismo perverso di reciproca utilità tra
società e amministrazione pubblica.
La società, di fronte all’inefficienza del sistema, ricerca un “canale
preferenziale” di accesso ai servizi, ed il settore pubblico ne trae vantaggio
utilizzando il controllo dell’accesso ai servizi come leva per accrescere e
consolidare il potere di alcuni e rendere la fruibilità dei servizi condizionata
da meccanismi del tutto discrezionali.
Si pensi che, secondo una ricerca Censis sulle Motivazioni e i contenuti
delle scelte di voto nelle elezioni politiche 2008 , circa un quarto degli
italiani dichiara di essersi rivolto ad un politico per la soluzione di un
problema. Un dato significativo, considerato che a questo valore andrebbe
aggiunta la quota di quanti non hanno ritenuto opportuno rivelare un
comportamento di questo tipo (tab. 26).

64
935_08

Sembra delinearsi un quadro nel quale, di fronte ad un’amministrazione


inefficiente, il cittadino si sente legittimato, pur di ottenere il servizio di cui
ha bisogno, ad utilizzare tutti gli strumenti in proprio possesso, ricorrendo
anche a raccomandazioni e a mezzi illeciti.
Ed il binomio che vede la logica dell’interesse proprio ( sia quello del
funzionario che del cittadino) superare quella dell’interesse pubblico. ha la
propria massima manifestazione nelle regioni del Mezzogiorno, dove il
soggetto pubblico è percepito come un importante erogatore di risorse e
dove da sempre sono più labili il senso dello Stato e la coesione sociale.
Non a caso i dati precedentemente citati sulla tendenza a far ricorso alla
raccomandazione da parte di politici, assumono valori ancora più
significativi se si considerano solo le Regioni del Sud. Infatti, se in Italia,
come detto, circa un quarto degli intervistati afferma di aver ricercato
l’intercessione di un politico per la risoluzione di un problema, nelle regioni
del Sud è ben un terzo (32,4%) ad averlo fatto, ed il confronto si fa ancora
più significativo se effettuato con gli intervistati residenti nelle regioni del
Nord Ovest, che dichiarano di avervi fatto ricorso solo nel 12,9% del casi.

Tab. 26 - Ricorso alla raccomandazione da parte di un politico per la soluzione di un


problema per ripartizione territoriale (val.%)

Ricorso Ripartizione
Totale
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e isole

Sì, per accelerare la pratica della


pensione 1,4 0,0 5,7 7,0 3,5
Sì, per la ricerca di un lavoro per un
figlio/parente 1,5 7,7 7,5 6,7 5,2
Sì, per una emergenza di salute 5,6 5,9 6,0 7,0 6,1
Sì, per garantire i miei diritti sul posto di
lavoro 3,6 4,8 7,2 1,9 4,4
Sì, per l'iscrizione di un figlio a scuola 2,5 2,7 1,9 6,2 3,2
Sì, per la realizzazione di un servizio
pubblico nel quartiere 2,4 5,2 2,2 5,4 3,4
Sì, per accelerare una procedura
amministrativa 1,2 2,1 3,9 6,4 3,2
No 87,1 78,1 70,0 67,6 76,9

Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte

Fonte: indagine Censis 2008 “Motivazioni e contenuti delle scelte di voto nelle elezioni
politiche 2008”

65
935_08

Tutto questo nel Mezzogiorno si combina con la presenza della criminalità


organizzata, che trova nel condizionamento delle istituzioni e dell’apparato
pubblico una delle espressioni del radicamento del proprio potere sul
territorio ed una delle modalità di accumulazione di enormi ricchezze.
Le risultanze giudiziarie dimostrano che l’offensiva verso il mondo degli
appalti, dei servizi e dei finanziamenti pubblici si esplicita in maniera
differente a seconda delle organizzazioni criminali, che possono far uso
della violenza e dell’intimidazione o, piuttosto, di forme di collusione più
striscianti; ma in ogni caso è evidente che la capacità di lubrificare gli
ingranaggi della macchina burocratica da parte delle mafie si incontra
proficuamente con l’estrema permeabilità della Pubblica Amministrazione.
Per avere un quadro del fenomeno della corruzione, gli unici dati certi che si
possono utilizzare sono quelli relativi alle denunce pervenute alle Forze
dell’ordine: si tratta di dati da utilizzare con cautela, in quanto
rappresentano solo la punta di un iceberg che rimane per gran parte
nascosto, ma forniscono comunque un quadro indicativo della situazione,
che si rivela preoccupante in particolare per le regioni del Sud.
Come riportato nel Primo Rapporto al Parlamento del Servizio
Anticorruzione e Trasparenza (SAeT), le denunce complessive di reati
contro la Pubblica Amministrazione nel periodo 2004-2008 sono rimaste
pressoché costanti, pari a poco più di 3.000 l’anno, per un totale di 19.019
denunce nel quinquennio, ad eccezione del 2006, quando le denunce sono
state 5.499 (fig. 8).
Anche il numero delle persone denunciate, che nei cinque anni sono state
71.189, subisce un brusco aumento nel 2006 (19.976 denunciati), seguito da
una flessione tra il 2007 ed il 2008, anno in cui tocca il valore minimo, pari
a 10.846.

66
935_08

Fig. 8 - Denunce di reato connessi al fenomeno corruttivo e persone denunciate -


Anni 2004-2008 (v.a.)

 
* i dati sono stimati per l'ultimo trimestre 2008

Fonte: Elaborazione Censis su dati Primo rapporto al Parlamento del Servizio


Anticorruzione e Trasparenza

Analizzando la distribuzione delle denunce per regione emerge come ben il


42,2% (8.017 in valore assoluto) riguarda reati avvenuti nelle quattro
regioni del Sud più interessate da fenomeni di criminalità organizzata: il
13,2% delle denunce è stato registrato in Sicilia (2.486 denunce in valore
assoluto), l’11,5% in Campania (2.179), il 9,4% in Puglia (1.795) e l’8,2%
in Calabria (1.557) (tab. 27). Calabria, Puglia e Sicilia sono anche regioni
con un tasso di denunce di reati collegati alla corruzione ogni mille
dipendenti superiore alla media nazionale (rispettivamente 11,2, 7,7 e 7,5 a
fronte di una media nazionale di 7,3).

67
935_08

Tab. 27 - Denunce di reati collegati alla corruzione, per Regione. Anni 2004-2008 (v.a.
e val.%)

Regione V.a. reati Val.% sul totale Numero reati ogni Numero reati ogni
nazionale 10.000 ab.* 1.000 dip. pubblici**

Sicilia 2.486 13,1 5,0 7,5


Campania 2.179 11,5 3,8 6,0
Puglia 1.795 9,4 4,4 7,7
Calabria 1.557 8,2 7,8 11,2
Lombardia 1.786 9,4 1,9 4,3
Veneto 1.277 6,7 2,7 5,5
Lazio 1.269 6,7 2,4 2,8
Piemonte 1.263 6,6 2,9 5,6
Toscana 963 5,1 2,7 4,3
Emilia
636 3,3 1,5 2,7
Romagna
Abruzzo 509 2,7 3,9 6,1
Basilicata 488 2,6 8,2 12,0
Sardegna 465 2,4 2,8 4,0
Marche 418 2,2 2,7 4,7
Umbria 408 2,2 4,7 7,1
Trentino Alto
405 2,1 4,1 28,7
Adige
Friuli Venezia
395 2,1 3,3 4,6
Giulia
Molise 234 1,2 7,3 9,9
Valle d’Aosta 95 0,5 7,7 7,8
Italia 19.019 5,0 4,11 7,3

(*) media pop. residente anni 2004-2008


(**) Istat Statistiche delle amministrazioni pubbliche, Personale effettivo in servizio al 31
dicembre 2003

Fonte: elaborazione Censis su dati Primo rapporto al Parlamento del Servizio


Anticorruzione e Trasparenza
 

Analizzando la composizione delle denunce per fattispecie di reato, risulta


evidente come nella maggior parte dei casi si tratti di fattispecie criminose
che, per essere perpetrate, richiedono la partecipazione di più individui
organizzati. Si pensi, ad esempio, alla truffa per il conseguimento di
erogazioni pubbliche, (art. 640-bis del C.P.) e all’indebita percezione di
erogazioni a danno dello Stato (art.316-ter del C.P.), che, insieme,

68
935_08

rappresentano ben il 45,1% dei 19.019 reati denunciati complessivamente


nel quinquennio, e si trovano, insieme al reato di abuso di ufficio, nelle
prime tre posizioni della graduatoria per numero di reati denunciati (fig.9).
Si tratta, tra l’altro, di reati che provocano una deviazione dei finanziamenti
pubblici dalle finalità e dai destinatari cui sarebbero naturalmente
indirizzati, provocando notevoli danni all’integrità economica ed al
patrimonio della Pubblica amministrazione, con forti ricadute sul sistema
Stato e sul bilancio pubblico.
 
   
Fig. 9 – Denunce di reato riferibili al fenomeno corruttivo - Anni 2004-2008 (v.a. )

Fonte: elaborazione Censis su dati Primo rapporto al Parlamento del Servizio


Anticorruzione e Trasparenza

Le risultanze delle indagini e delle attività processuali dimostrano come la


capacità di infiltrazione e di condizionamento della criminalità organizzata
sulla Pubblica Amministrazione si eserciti prevalentemente a livello locale,
dove la contiguità è maggiore, su quelle attività che garantiscono una
maggiore redditività economica, dunque gli appalti pubblici, i finanziamenti

69
935_08

comunitari, lo smaltimento dei rifiuti, e in quei settori (in primis quello


sanitario) dove si concentra maggiormente la spesa pubblica in capo alle
Regioni.
Nei paragrafi che seguono l’analisi si concentra sul tema delle frodi
comunitarie e sulle dinamiche e le conseguenze dell’insinuarsi della
criminalità organizzata in un settore vitale per la società come quello della
sanità, altamente appetibile per il potenziale di occupazione che assicura e il
ricco indotto che genera.

4.1. Le frodi ai danni dell’Unione Europea

Le frodi all’Unione Europea recano danni non solo al tessuto economico e


sociale locale in termini di mancata crescita economica, perdita di posti di
lavoro, perdita di credibilità delle istituzioni, ma influiscono anche sui livelli
di sicurezza, in quanto le risorse accumulate illecitamente alimentano i
circuiti criminali.
In base al art.280 del Trattato istitutivo della Comunità Europea
costituiscono principi fondamentali per la lotta contro le frodi e le
irregolarità quello di assimilazione, in base al quale le misure di
prevenzione e di contrasto messe in campo dai diversi Stati membri per
tutelare gli interessi della Comunità devono essere le stesse previste per la
tutela dei propri interessi finanziari; e quello di cooperazione, per cui gli
Stati membri devono cooperare con la Commissione per assicurare una
convergenza degli sforzi di tutte le autorità nazionali e delle istituzioni
preposte alla prevenzione.
A livello comunitario è stato istituito un organismo che ha il compito di
tutelare gli interessi economico finanziari dell’Unione contro la frode
l’OLAF, che, tra l’altro, si occupa di raccogliere le segnalazioni sui casi di
irregolarità provenienti dai diversi Stati membri e di pubblicarle in un
Rapporto annuale.
In base al Rapporto relativo all’anno 2007, complessivamente nell’Unione
europea sono stati segnalati 5.321 casi di irregolarità, ovvero3 di violazioni
alle disposizioni comunitarie che abbiano o possano avere come
conseguenza un pregiudizio al bilancio comunitario attraverso la
diminuzione o soppressione di entrate provenienti da risorse proprie
                                                            
3
Vedi Reg. 2988/1995 della CE

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935_08

percepite direttamente per conto della Comunità o a causa di una spesa


indebita, per un importo totale stimato di 1.048 milioni di euro. Di questi,
circa 208 milioni sono attribuibili a frodi sospette, ovvero- come specificato
all’interno della Convenzione PIF4 del 26 luglio 1995- a irregolarità
commesse intenzionalmente e che, nei casi più gravi (importi superiori ai
50.000 euro), costituiscono un illecito di carattere penale.
Nello stesso anno il nostro paese si trova al quinto posto per numero di
segnalazioni notificate (1.170), ma al primo per importi irregolari segnalati;
che sono pari a 232milioni e 500.000 euro. Questo dato, oltre a segnalare la
presenza del fenomeno, testimonia anche di una forte sensibilità dell’Italia
ai profili e alle finalità comunitarie, ed è il risultato dell’ efficace sistema
normativo e di controlli che è stato messo in campo. Ad esserne convinto
per primo è l’attuale direttore dell’OLAF, Franz Hermann Bruner, che nel
maggio scorso ha fatto visita in Italia per approfondire le strategie e gli
apparati messi in campo in questo settore.
In Italia esiste, sin dal 1992 (art.76 della L.19/2/1992 n.142) un’autorità di
governo appositamente designata per combattere le frodi: il Comitato per la
lotta contro le frodi comunitarie (COLAF) presso il Dipartimento delle
Politiche Comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Questo
organismo è stato rivitalizzato e ricostituito con il DPR del 14 maggio 2007
n.91 con cui gli è stato conferito un mandato triennale con funzioni
consultive e di indirizzo per il coordinamento di tutte le attività di contrasto
delle frodi e delle irregolarità e di indirizzo sulle frodi inerenti al settore
fiscale e a quello della politica agricola comune e dei fondi strutturali. Al
termine del mandato, sulla base delle risultanze di una Relazione al
presidente del Consiglio, si deciderà se fargli proseguire o meno le attività.
Per quel che riguarda la repressione di questi crimini, tutte le forze di polizia
se ne occupano attraverso i propri apparati, ma la Guardia di finanza ha un
proprio nucleo dedicato al controllo della spesa pubblica e alla repressione
delle frodi comunitarie. Inoltre, per quel che riguarda il settore agricolo e
alimentare, dal 1994 è attivo il Comando Carabinieri politiche agricole e
alimentari.
                                                            
4
La Convenzione stabilisce che costituisce frode “qualsiasi azione o omissione
intenzionale relativa all’utilizzo o alla presentazione di documenti falsi, inesatti o
incompleti cui consegua il percepimento o la ritenzione illecita di fondi provenienti dal
bilancio generale delle Comunità Europee…”o “alla mancata comunicazione di una
informazione in violazione di un obbligo specifico..” o alla “ distrazione di tali fondi per
fini diversi da quelli per cui sono stati concessi..o alla distrazione di un beneficio
lecitamente ottenuto cui consegue lo stesso effetto…”.

71
935_08

Relativamente all’anno 2008, i dati che concernono i soli interventi


effettuati dalla Guardia di finanza sul territorio nazionale rivelano come, a
fronte di 1.008 interventi, siano state verbalizzate 1.193 persone e
denunciate 686 (di queste 47 sono state poi arrestate), per una cifra di 509
milioni di aiuti indebitamente percepiti e scoperti e 610 milioni frodati
(tab.28). 350 interventi sono relativi alle risorse europee per
l’agricoltura(FEAOG) e 658 ai fondi strutturali; per un totale di 277 milioni
di aiuti indebitamente ricevuti in agricoltura e 223 nei fondi strutturali. Per
quel che riguarda l’anno in corso, a giugno 2009 erano già stati effettuati
541 interventi e accertate frodi per un importo pari a 213 milioni di euro.

Tab. 28 - Attività della Guardia di Finanza relativa alle frodi comunitarie - Anni 2008 e 2009

Attività Anno 2008 Anno 2009 (al 30 giugno)


Aiuti Fondi Aiuti Fondi
Totale Totale
all'agricoltura strutturali all'agricoltura strutturali

Interventi effettuati n. 350 658 1.008 271 270 541


Persone verbalizzate n. 303 890 1.193 335 392 727
Persone denunciate n. 173 513 686 41 257 298
di cui in stato d'arresto n. 33 14 47 0 3 3
Aiuti indebitamente mln
percepiti € 277 232 509 77 83 160
Aiuti indebitamente mln
richiesti e bloccati € 12 89 101 3 50 53
     

Fonte: elaborazione Censis su dati Guardia di Finanza

72
935_08

L’analisi dell’insieme delle attività della Guardia di finanza per gli anni
2007-2009 evidenzia come nelle quattro regioni “a rischio” siano stati
eseguiti complessivamente 1.192 interventi, pari al 42,9% del totale; per un
complesso di 1.019 soggetti denunciati e 850.759.355 euro di finanziamenti
illeciti individuati ( pari al 72,2% del totale nazionale). (tab.29) Di questi, il
41,4% è relativo a fondi agricoli ed il restante 58,2% a fondi strutturali.
Tutte e quattro le regioni analizzate presentano importi di gran lunga
superiori a quelli di qualsiasi altra regione italiana: in Calabria sono stati
scoperti dalla Guardia di Finanza finanziamenti illeciti per un valore
complessivo di quasi 279milioni euro, in Sicilia per 262 milioni di euro, in
Campania per oltre 178 milioni di euro e in Puglia per circa 130 milioni.
Focalizzando l’analisi esclusivamente sulle province delle quattro regioni in
cui si registrano la presenza della maggiori organizzazioni criminali e i più
alti flussi di finanziamenti illeciti, si ha che, nel periodo di tempo
considerato, gli importi più elevati sono stati riscontrati in provincia di
Napoli (circa 166 milioni di euro); seguita da Palermo e Catanzaro (tab. 30).

73
935_08

Tab. 29 - Attività della Guardia di Finanza relativa alle frodi comunitarie – Totale Anni 2007-
2009 (v.a. e val.%)

Regioni: Interventi Soggetti di cui Finanziamenti illeciti (€) di cui


eseguiti denunciati in Percepiti Richiesti e Totale PAC
stato bloccati (% sul
arresto totale)

Calabria 310 314 14 216.961.697 61.989.163 278.950.860 30,0


Campania 78 84 1 172.141.344 6.536.387 178.677.731 83,5
Puglia 336 308 31 96.847.759 33.639.702 130.487.461 13,4
Sicilia 468 313 10 201.563.342 61.079.961 262.643.303 38,7
Totale quattro
regioni 1.192 1.019 56 687.514.142 163.245.213 850.759.355 41,4

Emilia Romagna 82 10 - 22.665.629 176.868 22.842.497 98,9


Friuli V.G. 66 61 - 36.029.309 988.962 37.330.521 92,6
Lazio 192 26 - 28.853.622 13.596.553 42.450.175 17,4
Liguria 98 24 - 7.017.631 197.225 7.214.856 45,4
Lombardia 194 32 - 42.123.847 2.701.767 44.825.614 77,1
Marche 54 22 - 1.407.178 670.123 2.077.301 46,2
Piemonte 130 52 3 11.149.649 14.287.810 25.437.459 1,2
Toscana 62 36 - 3.748.244 440.679 4.188.923 7,0
Trentino A.A. 50 23 - 5.991.052 6.355.663 12.346.715 38,5
Umbria 11 20 - 1.904.771 356.584 2.261.355 -
Valle d'Aosta 11 2 - 169.743 70.085 239.828 -
Veneto 312 27 - 12.482.992 5.121.923 17.604.915 9,6
Abruzzo 173 152 - 51.276.653 7.773.659 59.050.312 -
Basilicata 41 26 - 15.855.077 2.245.341 18.100.418 55,7
Molise 26 9 - 327.664 - 327.664 -
Sardegna 83 36 - 18.620.287 12.963.135 31.583.422 1,5

Mezzogiorno 1.515 1.242 56 773.593.823 186.227.348 959.821.171 37,8


Centro Nord 1.262 335 3 173.543.667 44.964.242 218.820.159 50,4
Italia 2.777 1.577 59 947.137.490 231.191.590 1.178.641.330 40,1

 
Fonte: Elaborazione Censis su dati Guardia di Finanza

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Tab. 30 - Attività della Guardia di Finanza relativa alle frodi comunitarie nelle
quattro regioni “a rischio” – Totale Anni 2007-2009 (v.a. e val.%)
 

Comando provinciale Interventi eseguiti Soggetti Finanziamenti % sul totale


denunciati indebitamente Italia
percepiti e/o richiesti
(€)

Napoli 44 38 166.751.954 14,1


Avellino 7 - 11.167 0,0
Benevento 5 5 3.770.697 0,3
Caserta 7 6 1.894.696 0,2
Salerno 15 35 6.249.217 0,5
Totale Campania 78 84 178.677.731 15,2

Catanzaro 102 57 109.115.802 9,3


Cosenza 41 87 29.494.888 2,5
Crotone 51 31 8.658.609 0,7
Reggio C. 107 132 125.672.099 10,7
Vibo Valentia 9 7 6.009.462 0,5
Totale Calabria 310 314 278.950.860 23,7

Bari 148 203 59.431.362 5,0


Brindisi 69 26 8.860.856 0,8
Foggia 53 24 25.861.880 2,2
Lecce 33 40 30.541.577 2,6
Taranto 33 15 5.791.786 0,5
Totale Puglia 336 308 130.487.461 11,1

Palermo 75 83 129.711.059 11,0


Agrigento 71 30 3.142.892 0,3
Caltanissetta 31 16 2.019.609 0,2
Catania 52 21 26.952.734 2,3
Enna 115 6 4.794.891 0,4
Messina 33 42 43.753.952 3,7
Ragusa 22 9 65.301 0,0
Siracusa 22 81 34.368.752 2,9
Trapani 47 25 17.834.112 1,5
Totale Sicilia 468 313 262.643.302 22,3

Totale 4 regioni 1.192 1.019 850.759.354 72,2

Totale Italia 2.777 1.577 1.178.641.330 100,0

Fonte: Elaborazione Censis su dati Guardia di Finanza

75
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I Carabinieri del Comando politiche agricole e alimentari, che si occupano


di verificare l’erogazione e il percepimento dei contributi comunitari nei
settori agroalimentari, della pesca e dell’agricolatura, nel triennio 2006-
2008 hanno controllato 2.248 imprese agricole e verificato oltre 193 milioni
di euro di contributi (tab. 31). Tale attività ha portato all’accertamento di
irregolarità in 245 aziende, per un totale di 485 violazioni amministrative e
437 violazioni penali, con l’arresto di 45 persone e la segnalazione
all’Autorità giudiziaria di altre 1.274. L’importo complessivo delle frodi
commesse risulta di 49.112.754,40 euro.
Tra le quattro regioni maggiormente colpite dal fenomeno della criminalità
organizzata, si segnala il dato della Calabria, ove 30 aziende sono state
proposte per la sospensione degli aiuti comunitari, per un totale di 51
violazioni penali accertate e 34 persone in stato di arresto.

76
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Tab. 31 - Attività operativa del Comando dei Carabinieri- Politiche agricole ed alimentari. Anni 2006-2008
 

Regioni Imprese Agricole Violazioni accertate Persone deferite


Controllate Proposte per Contributi Penali Amministrative In stato Segnalate
sospensioni verificati di in stato di
di aiuti (euro) arresto libertà
comunitari all'A.G.

Calabria 276 30 52.128.317,72 51 10 34 517


Campania 279 1 1.064.500,00 20 42 0 106
Puglia 160 1 30.050.000,00 32 23 10 41
Sicilia 42 0 3.086.000,00 18 1 0 37

Totale quattro regioni 757 32 86.328.817,72 121 76 44 701

Emilia Romagna 214 22 23.372.004,93 21 36 0 25


Friuli V.G. 61 4 4.472.118,18 2 3 0 3
Lazio 192 10 6.127.054,22 9 14 0 39
Liguria 54 21 3.488.693,24 0 24 0 4
Lombardia 146 8 17.163.196,47 45 28 0 25
Marche 36 2 622.709,75 4 0 0 7
Piemonte 87 6 9.157.102,55 5 13 0 12
Toscana 25 0 120.000,00 0 0 0 1
Trentino A.A. 0 0 189.236,08 0 0 0 0
Umbria 94 3 7.969.555,78 11 3 0 45
Valle d'Aosta 5 0 185.477,78 0 0 0 0
Veneto 317 121 23.243.891,29 171 286 0 169
Abruzzo 83 2 41.741,46 2 0 0 5
Basilicata 169 12 9.028.027,51 43 2 1 226
Molise 0 0 - 0 0 0 0
Sardegna 8 2 2.219.705,00 3 0 0 12

Mezzogiorno 1.017 48 97618291,69 169 78 45 944


Centro Nord 1.231 197 96.111.040,27 268 407 0 330

Italia 2.248 245 193.729.331,96 437 485 45 1.274

Fonte: elaborazione Censis su dati Carabinieri – Comando politiche agricole e alimentari

77
935_08

La mancata corrispondenza tra capacità di contrasto, settore nel quale


l’Italia registra il costante apprezzamento delle istituzioni comunitarie, e
capacità di recupero dei contributi indebitamente ricevuti emerge
chiaramente dalle relazioni predisposte annualmente dalla Commissione
europea. I recuperi, stabiliti con Regolamento CE 1681/94, modificato con
Regolamento CE 2035/2005 costituiscono l’anello debole anche degli altri
Stati, ma in particolare del nostro paese per tante ragioni, che vanno dai
ritardi nelle segnalazioni delle irregolarità all’eccessiva durata dei
procedimenti amministrativi e giudiziari. Sta di fatto che nel 2008, anno nel
quale siamo riusciti a recuperare ben 77 milioni di euro, restano 409 milioni
di somme da restituire all’Unione europea che si sono accumulate negli anni
precedenti.
Ora è evidente che le frodi sono violazioni di natura finanziaria complesse,
che spesso implicano la commissione anche di altri reati contro la Pubblica
Amministrazione e richiedono un livello organizzativo ed una capacità di
infiltrazione nell’amministrazione pubblica che, nelle regioni in cui si
registra la presenza di criminalità organizzata possono essere garantiti
soprattutto, se non esclusivamente, dalle organizzazioni criminali.
Ciononostante, come segnala lo “Studio sui pericoli di condizionamento
della Pubblica Amministrazione da parte della criminalità organizzata”
prodotto nell’anno 2006 dal soppresso Alto Commissariato per la lotta alla
corruzione, non sono numerose le evidenze statistiche che dimostrino in
maniera inequivocabile infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore
dell’erogazione dei fondi europei. D’altro canto, l’incidenza che le frodi
hanno nelle quattro regioni in cui si registra la presenza della criminalità e le
ingenti somme a disposizione suggeriscono un inevitabile interessamento,
che i gruppi criminali riescono a ben mimetizzare.
Esistono, a dire il vero alcuni casi di indagini, alcune piuttosto datate che
dimostrano il coinvolgimento dei clan in truffe finalizzate a percepire
contributi su prodotti ortofrutticoli mai conferiti o a produrre false
fatturazioni finalizzate ad evitare di pagare l’IVA, o ancora ad ottenere
finanziamenti per operazioni insistenti.
Nel settore agricolo i carabinieri riferiscono di tre operazioni condotte con
successo negli ultimi tre anni nel Meridione: si tratta dell’operazione
Apocalipse, conclusasi l’11 gennaio 2006 a Bari, che ha portato all’arresto
di 10 soggetti, ritenuti responsabili di associazione a delinquere finalizzata
alla truffa aggravata, estorsione e falsità ideologica. Gli indagati si
appropriavano di terreni ubicati in aree del parco d’Alta Murgia e, con la

78
935_08

compiacenza di funzionari pubblici che attestavano false destinazioni d’uso,


percepivano contribuzioni comunitarie per seminativi.
Nel 2007 in provincia di Potenza è stata individuata un’organizzazione
responsabile di truffa aggravata alla UE e falso ideologico. Tale
organizzazione aveva percepito indebitamente 2 milioni di euro, attraverso
false richieste di sovvenzione confezionate dai dirigenti e funzionari
dell’Agenzia regionale per le erogazioni in agricoltura.
Nel 2008 nelle province di Crotone, Reggio Calabria, Catanzaro e Cosenza
sono state arrestate 25 persone, responsabili di associazione a delinquere
finalizzata alla truffa aggravata nonché corruzione e falsità in atto pubblico.
L’inchiesta ha dimostrato l’esistenza di un sodalizio criminale con base a
Rosarno (RC) che tra il 2000 e il 2006 ha percepito contributi per 26 milioni
di euro nel settore ortofrutticolo costituendo cooperative ad hoc, con la
compiacenza di funzionari della Regione Calabria e del Comune di
Catanzaro.

4.2. La spesa in sanità

Una spesa sanitaria elevata, soprattutto per personale e servizi ospedalieri,


cui non corrisponde un livello di prestazioni adeguato: è questo, in estrema
sintesi, il quadro che si ricava da una analisi dei dati sulla sanità nel
Meridione, e, in particolare, nelle quattro regioni in cui è più forte la
presenza della criminalità organizzata. Si tratta, evidentemente, di una
situazione che è comune anche ad altri settori della spesa pubblica, ma che
viene analizzata in questo testo in quanto il decentramento della spesa
sanitaria in capo alle regioni lascia la possibilità di maggiori margini di
manovra per quanti, individui od organizzazioni criminali, intendano trarre
illecito profitto dai finanziamenti destinati alla salute ed al benessere della
popolazione.
Come emerge dalla Relazione della Corte di Conti, la spesa per la sanità
dello Stato italiano è stata nel 2008 pari a 106,650 miliardi di euro, di cui
106,104 miliardi per regioni e province autonome, in crescita del 2,9%
rispetto all’anno precedente.
Molto differenziata è la articolazione della spesa a livello regionale,
soprattutto se si considera il valore procapite, che vede ai primi posti le
regioni del Centro-Nord, la cui popolazione presenta caratteristiche peculiari

79
935_08

(tab. 32). La struttura per età della popolazione assume infatti una
particolare importanza nel dimensionamento e nella programmazione dei
servizi socio-sanitari, data la maggiore esposizione alle malattie gravi,
croniche ed invalidanti da parte degli anziani.
La struttura più giovane della popolazione del Mezzogiorno determina
invece una domanda di servizi sociosanitari diversa, e, teoricamente, più
contenuta, e, conseguentemente, una minore spesa procapite: mentre nel
Nord ciascun cittadino ha a disposizione per la propria salute una cifra che
supera i 2.000 euro; in Calabria, Sicilia, Campania e Sardegna la spesa
sanitaria pubblica è inferiore ai 1.700 euro procapite.

Tab. 32 - La spesa del SSN, per regione (spesa totale e procapite, in miliardi di euro,
anno 2008)

Regioni Spese per Regione del SSN Spesa procapite

Provincia Autonoma Bolzano 1.110,55 2.263


Valle d’Aosta 260,749 2.097
Molise 651,373 2.033
Lazio 11.092,91 2.007
Liguria 3.179,04 1.976
Prov. aut. Trento 993,526 1.948
Friuli Venezia Giulia 2.328,09 1.912
Emilia Romagna 7.937,44 1.868
Piemonte 8.067,65 1.843
Toscana 6.642,30 1.816
Abruzzo 2.337,79 1.775
Umbria 1.556,79 1.772
Veneto 8.425,67 1.754
Lombardia 16.677,81 1.738
Puglia 7.022,01 1.724
Basilicata 1.012,20 1.712
Marche 2.636,85 1.707
Sardegna 2.816,25 1.694
Campania 9.689,16 1.670
Sicilia 8.344,96 1.661
Calabria 3.320,89 1.658
Totale Italia 106.104,10 1.787

Fonte: Ministero dell’Economia e delle Finanze- Relazione generale sulla situazione


economica del paese, 2008

80
935_08

Tali valori non sono, ovviamente, dettati solo dalla struttura demografica
della popolazione, poiché la spesa sanitaria chiama in causa una pluralità di
fattori: oltre agli aspetti oggettivi (l’invecchiamento, le aspettative più alte
sulla salute,), vi sono quelli strutturali, relativi alla diversa tipologia
dell’offerta (più ospedali al Sud, più servizi territoriali al Nord;) e alla
dislocazione delle apparecchiature che implicano l’utilizzo delle nuove
tecnologie. Ci sono, però, alcuni indicatori, che sembrano indicare la
presenza di forme di clientelismo e di sprechi in un settore che convoglia un
enorme quantità delle risorse regionali: per le regioni a statuto ordinario la
sanità costituisce il 76,5% della spesa corrente complessiva (90 miliardi su
117, secondo i dati al 2007, con una crescita del 16,8% in un anno), mentre
per le regioni a statuto speciale rappresenta circa la metà della spesa
corrente totale (15 miliardi sul 30, con una variazione del +11,4% tra il 2006
ed il 2007).
In relazione a questo è opportuno intraprendere una riflessione su alcuni dati
ed indicatori che delineano, anche in questo settore, le distanze che esistono
tra il Nord ed il Sud d’Italia nella spesa e nelle prestazioni.
Il dato sul rapporto tra la spesa sanitaria corrente regionale ed il PIL5, tratto
dal Rapporto CEIS Sanità, presenta una forte discrepanza tra le tre
ripartizioni geografiche: le regioni del Nord denunciano una percentuale di
spesa sanitaria pubblica media rispetto al Pil pari al 5,7%; per le regioni del
Centro tale valore sale fino al 6,4%, ma raggiunge una quota ancora più alta
per le regioni del Mezzogiorno, toccando il 9,4% (tab. 33). In particolare
Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Valle d’Aosta spendono per
l’assistenza sanitaria meno del 6% del reddito prodotto internamente,
mentre regioni come Puglia, Calabria, Sicilia, Campania e Molise più del
9%.

                                                            
5
Nella lettura dell’indicatore non va dimenticato che per l’attuale sistema di
finanziamento del sistema sanitario una parte dei fondi destinati alla sanità non proviene
dal gettito fiscale della regione ma da trasferimenti definiti in sede di accordo Stato-
Regioni. Il valore dell’indicatore esprime quindi il carico che la regione si assumerebbe
se si assumesse in toto l’onere del finanziamento.

81
935_08

Tab. 33 - Spesa sanitaria pubblica corrente in rapporto al PIL, per regione (per 100).
Anno 2007

Regioni Spesa sanitaria /PIL *100

Piemonte 6,36
Valle d'Aosta 5,89
Lombardia 5,11
Bolzano-Bozen 6,44
Trento 6,09
Veneto 5,77
Friuli-Venezia Giulia 6,20
Liguria 7,30
Emilia-Romagna 5,76
Toscana 6,28
Umbria 6,99
Marche 6,36
Lazio 6,34
Abruzzo 8,27
Molise 9,68
Campania 9,73
Puglia 9,36
Basilicata 8,74
Calabria 9,55
Sicilia 9,52
Sardegna 8,01
Italia 6,72

Fonte: elaborazione CEIS sanità su dati Ministero della salute

Certamente le differenze dipendono dal fatto che mediamente il Sud ha un


PIL significativamente inferiore a quello del Centro-Nord, oltre al fatto che
il meccanismo perequativo tra le regioni fa sì che la spesa sanitaria
complessiva sia poco o nulla legata ai livelli di reddito. Ma non si può
escludere che, come sottolinea il Rapporto Osserva salute 2008, quote di
spesa sul Pil troppo diverse possono essere la spia di inefficienze gestionali
o di cattivi funzionamenti del sistema nel complesso. Soprattutto, si potrebbe
aggiungere, se a tali spese non corrispondono prestazioni eccellenti e
nemmeno sufficienti.
Se si guarda, poi, ad alcuni indicatori di tipo strutturale, come quelli relativi
al numero di ambulatori e laboratori pubblici e privati convenzionati, o ai

82
935_08

dati sul personale sanitario, si notano alcune particolarità che caratterizzano


le quattro regioni che si stanno analizzando.
Gli ambulatori ed i laboratori pubblici e privati convenzionati risultano
essere nel Mezzogiorno 23,92 ogni centomila abitanti, mentre la media
nazionale si ferma a 16,92. La Sicilia presenta il valore più alto, 34,14
ambulatori e laboratori per centomila abitanti, ma anche in Campania ed in
Calabria queste strutture risultano avere un’incidenza molto alta sulla
popolazione (tab. 34).
Dalla tabella si evidenzia uno scarto soprattutto per quanto riguarda le
strutture private convenzionate, mentre per quelle pubbliche i valori sono
più in linea con la media nazionale. Per le prime si rileva in particolare il
valore della Sicilia, 27,88 ambulatori e laboratori tecnici privati
convenzionati per 100.000 abitanti, a fronte dei 9,93 di media nazionale, e
della Campania, che ne ha 19,95 ogni centomila abitanti.

83
935_08

Tab. 34 - Ambulatori e laboratori pubblici e privati convenzionati, per regione (per


100.000 abitanti) - Anno 2006

Regioni Totale Pubblici Privati


per 100.000 per 100.000 convenzionati
abitanti abitanti per 100.000
abitanti

Piemonte 10,14 8,24 1,91


Valle d'Aosta 2,41 0,80 1,61
Lombardia 8,66 3,50 5,16
Trentino-Alto Adige 21,31 17,17 4,14
Bolzano-Bozen 36,28 30,09 6,18
Trento 6,93 4,75 2,18
Veneto 9,67 4,21 5,47
Friuli-Venezia Giulia 10,82 7,52 3,30
Liguria 22,93 15,66 7,27
Emilia-Romagna 10,84 6,35 4,49
Toscana 24,80 15,18 9,62
Umbria 11,72 9,08 2,64
Marche 13,18 6,46 6,72
Lazio 16,78 5,59 11,19
Abruzzo 11,85 3,59 8,26
Molise 14,98 4,99 9,98
Campania 25,25 5,30 19,95
Puglia 16,58 7,22 9,36
Basilicata 18,90 10,97 7,93
Calabria 22,74 10,14 12,59
Sicilia 34,14 6,26 27,88
Sardegna 20,87 10,32 10,56
Nord 10,82 6,25 4,57
Nord-ovest 10,50 6,05 4,44
Nord-est 11,27 6,52 4,75
Centro 18,46 9,02 9,44
Mezzogiorno 23,92 6,83 17,10
Sud 20,64 6,62 14,02
Isole 30,85 7,27 23,58
Italia 16,92 6,99 9,93

Fonte: elaborazioni Istat su dati Ministero della salute

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935_08

Anche i dati sul personale sanitario (che comprende medici, infermieri,


personale tecnico e con funzione di riabilitazione) mettono in evidenza delle
peculiarità riguardanti il Mezzogiorno in generale e, in particolare, le
quattro regioni.
Ad esempio, per quanto concerne il personale dipendente del Servizio
sanitario nazionale su 10.000 abitanti per l’anno 2006, in Calabria si ha
un’incidenza maggiore rispetto al dato medio nazionale (114,91 operatori
sanitari in Calabria contro i 110,72 della media nazionale), e questo si
conferma anche in riferimento al solo personale medico: infatti in Calabria
vi sono 21,58 medici ed odontoiatri ogni diecimila abitanti, a fronte dei
17,96 di media nazionale; superati anche da Sicilia (19,61 medici ogni
diecimila abitanti) e Campania (18,72).
Se si considera il personale presente su 100 posti letto disponibili nel
servizio sanitario pubblico e privato accreditato, si segnala, soprattutto in
Campania, un valore elevato (280,93 addetti a fronte dei 277,66 a livello
nazionale), che dipende per gran parte da un’incidenza di medici molto
superiore alla media (63,85 medici contro i 53,68 di media nazionale).
Se si considerano i soli istituti pubblici, è la Calabria a far registrare
un’incidenza di personale sanitario su 100 posti letto disponibili molto alta,
con 338,75 addetti al settore a fronte dei 306,79 presenti a livello nazionale,
e lo scarto si rivela molto alto sia per il personale medico (71,24 medici a
fronte di 57,24 in Italia, ogni 100 posti letto nelle strutture pubbliche), che
infermieristico (146,58 infermieri a fronte dei 133,81 di media).
I dati presentati, per quanto limitati e circoscritti, di per sé non significano
niente, e, anzi, potrebbero essere rivelatori della buona capacità del servizio
sanitario pubblico di rispondere ai bisogni del territorio. In realtà basta
analizzare alcune evidenze sulla mobilità ospedaliera infraregionale e sulla
valutazione che gli utenti forniscono delle performance del sistema sanitario
della propria regione per comprendere quale sia la situazione effettiva.
Un primo dato da segnalare riguarda il risultato di esercizio del servizio
offerto, dato dalla differenza tra costi e ricavi: in questo caso la media
italiana è in passivo, e ci sono anche regioni del Centro-Nord (prima di tutto
il Lazio) ad evidenziare risultati di esercizio in perdita. E’ comunque da
segnalare come tutte le Regioni del Sud segnalino una situazione di forte
disavanzo (tab. 35).

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Tab. 35 - Risultati di esercizio regionali. Valore assoluto e pro-capite – Anni 2006-


2007

Regione 2006 2007


v.a. (mln €) Pro-capite v.a. (mln €) Pro-capite
(€) (€)

Piemonte -23,54 -5,42 -116,01 -26,65


Valle d’Aosta -12,64 -101,93 -13,38 -107,22
Lombardia 93,97 9,92 58,84 6,16
Trentino Alto Adige -10,04 -10,19 15,92 16,00
Veneto 64,39 13,59 -46,63 -9,77
Friuli Venezia Giulia 50,28 41,61 24,18 19,94
Liguria -97,41 -60,50 -129,48 -80,53
Emilia Romagna -48,11 -11,49 -9,74 -2,31
Toscana -134,69 -37,21 52,03 14,30
Umbria -43,44 -50,06 12,77 14,62
Marche -34,97 -22,87 11,18 7,28
Lazio -2.001,53 -377,31 -1.600,35 -291,33
Abruzzo -170,19 -130,38 -141,95 -108,38
Molise -59,15 -184,34 -53,26 -166,41
Campania -680,78 -117,56 -528,65 -91,30
Puglia -254,82 -62,59 -127,21 -31,26
Basilicata -19,47 -32,77 -8,51 -14,40
Calabria -104,25 -52,01 -76,22 -38,15
Sicilia -842,60 -167,94 -538,53 -107,35
Sardegna -117,61 -71,03 3,75 2,26
Italia -4.446,60 -75,69 -3.211,27 -54,31

Fonte: elaborazione CEIS Sanità su dati Ministero della Salute e Istat

La tabella che segue evidenzia come le Regioni del Centro Nord abbiano un
saldo attivo della mobilità sanitaria: in queste regioni sono di più le persone
non residenti che vengono a farsi curare nelle strutture della Regione,
rispetto ai residenti della Regione che vanno a farsi curare altrove. La
mobilità sanitaria passiva è invece nettamente superiore a quella attiva
nelle regioni del Sud. E’ questo un chiaro segnale della mancanza di fiducia
della popolazione in un sistema sanitario che non viene ritenuto in grado di
fornire prestazioni di eccellenza.

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Tab. 36 - Saldi mobilità sanitaria interregionale. Milioni di euro - Anno 2006


 

Regioni 2006

Piemonte -11,938
Valle d’Aosta -17,270
Lombardia 430,993
P.A. Bolzano 5,862
P.A. Trento -17,182
Veneto 111,263
Friuli Venezia Giulia 12,057
Liguria -16,662
Emilia Romagna 308,164
Toscana 106,566
Umbria 15,918
Marche -43,914
Lazio 70,157
Abruzzo 8,362
Molise 19,163
Campania -283,153
Puglia -183,881
Basilicata -40,751
Calabria -213,984
Sicilia -200,507
Sardegna -59,261

(*) per il 2007 vengono utilizzati i dati 2006 come stima in quanto i dati definitivi,
derivanti da accordi tra le Regioni, non sono ancora disponibili

Fonte: Ministero della Salute

Una conferma viene anche dall’Indagine multiscopo dell’Istat, che


intervista pazienti dimessi interrogandoli su alcuni aspetti come l’assistenza
medica, infermieristica ed i servizi igienici delle strutture pubbliche.
È molto indicativo come al Nord la percentuale dei pazienti che si
dichiarano soddisfatti delle cure ricevute è del 46,25%, al Centro del
37,95%, nel Mezzogiorno tale quota si ferma al 22,28%; e percentuali
addirittura inferiori si trovano tra i pazienti ricoverati in strutture ospedaliere
pugliesi (il 20,70%), siciliane (il 19,96%) e campane (il 19,35%) (tab. 37).
La stessa evidenza emerge in riferimento all’assistenza infermieristica, che
soddisfa il 33,56% dei ricoverati in Italia, ma il 19,46% nel Mezzogiorno

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(in Campania il 14,81 e il 15,24 in Sicilia), ed ai servizi igienici, di cui si


dichiarano soddisfatti 28,88 ricoverati su 100, ma solo il 15,12% nelle
regioni del Sud, con un’insoddisfazione addirittura plebiscitaria in
Campania (dove solo il 9,34% degli utenti si dichiara soddisfatto di questo
aspetto) ed in Sicilia (12,36%).

Tab. 37 - Persone molto soddisfatte dei servizi ospedalieri per regione - Anno 2007
(rapporti per 100 ricoverati)

Regioni e ripartizioni Assistenza Assistenza Servizi


medica infermieristica igienici

Piemonte 41,70 38,84 38,68


Valle d'Aosta 37,32 38,76 35,83
Lombardia 43,71 40,09 36,08
Trentino-Alto Adige 56,23 59,27 50,47
Bolzano-Bozen 53,25 56,37 46,74
Trento 59,36 62,31 54,38
Veneto 47,23 44,14 40,19
Friuli-Venezia Giulia 43,54 51,86 31,43
Liguria 43,08 38,68 18,25
Emilia-Romagna 56,08 51,87 58,84
Toscana 43,47 41,87 35,94
Umbria 36,49 43,22 26,43
Marche 32,17 27,30 19,64
Lazio 35,50 35,44 29,28
Abruzzo 26,92 20,20 17,44
Molise 32,07 19,47 36,54
Campania 19,35 14,81 9,34
Puglia 20,70 20,70 15,39
Basilicata 13,82 15,99 12,12
Calabria 26,23 27,84 27,29
Sicilia 19,96 15,24 12,36
Sardegna 35,83 34,83 20,87
Nord 46,25 43,64 39,73
Nord-ovest 43,16 39,67 34,97
Nord-est 50,99 49,73 47,02
Centro 37,95 37,12 30,17
Sud 21,67 19,39 15,54
Isole 23,51 19,62 14,26
Italia 35,89 33,56 28,88

Fonte : elaborazione Censis su dati Istat, Indagine Multiscopo

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Da tutti i dati presentati emerge, quindi, una situazione critica dell’intero


sistema sanitario nazionale, che nel Sud presenta la combinazione peggiore,
in quanto produce sprechi di risorse e scarse prestazioni.
Le evidenze investigative, giudiziarie ed i fatti di cronaca forniscono una
lettura di tale realtà che fa risaltare il ruolo che la criminalità organizzata
gioca anche in questo settore delicato ed importantissimo, arrivando, in
alcuni casi, ad assoggettarlo al proprio condizionamento e controllo ed
alterandone in maniera radicale il normale funzionamento.
Le strutture sanitarie spesso divengono i mezzi che la criminalità
organizzata utilizza per perseguire i propri scopi illeciti, per cui:
- politici ad essa collegati vengono collocati alla guida degli apparati
istituzionali;
- il forte potenziale di occupazione del settore viene sfruttato per
assicurare posti di lavoro attraverso rapporti di tipo clientelare;
- i fondi per le spese sanitarie vengono intercettati dalle organizzazioni
criminali;
- gli appalti per i servizi sono oggetto dell’aggressione delle cosche.
Casi emblematici di collusioni, connivenze e complicità tra le istituzioni
locali e la nuova mafia dei “colletti bianchi”, si sono verificati in ciascuna
delle quattro regioni.
E’ d’obbligo ricordare l’episodio drammatico dell’omicidio avvenuto nel
2005 dell’allora vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria,
Francesco Fortugno, che ha dato il via ad un lavoro investigativo che ha
fatto chiarezza su un radicato sistema politico- affaristico- mafioso nella
regione e sulla penetrazione delle organizzazioni criminali nei gangli vitali
delle istituzioni pubbliche, prime tra tutte quelle sanitarie.
Ne è un esempio anche lo scioglimento della ASL Napoli 4 con sede a
Pomigliano d’Arco, la prima Azienda sanitaria Locale sciolta per la
presenza di “concordanti elementi di condizionamento camorristico”:
significative risultarono le vicende amministrative della ASL, con
particolare riferimento agli appalti ed ai contratti di fornitura e alle
autorizzazioni ed accreditamenti rilasciati indebitamente alle strutture
sanitarie private.
Anche il comune di Gallipoli, in Puglia, è stato sciolto in seguito alla
dimostrazione del condizionamento del Consiglio comunale da parte di

89
935_08

cosche mafiose locali, che aveva portato, tra l’altro, all’assegnazione di


appalti di servizi per l’USL Lecce 13 alle ditte del clan Capoti.
Infine, la capacità della mafia siciliana di infiltrarsi in tutti i settori della vita
pubblica, anche in ambito sanitario, è confermata dall’indagine
convenzionalmente nota come ”Processo delle talpe” che ha portato allo
scoperto alcune condotte criminose, tra cui quella di truffa aggravata in
danno della ASL 6 di Palermo per l’illecita riscossione di rimborsi non
dovuti per circa 80 miliardi di lire e la collusione con alti esponenti di Cosa
Nostra del magnate della sanità di Bagheria, Michele Aiello, che avrebbe
ottenuto esorbitanti finanziamenti pubblici per le sue aziende, soprattutto
per la clinica privata Villa Santa Teresa.

90
935_08

5. IL DEFICIT DI FIDUCIA E DI COESIONE


ALL’INTERNO DELLA SOCIETÀ

Ovviamente la società civile meridionale è, nella stragrande maggioranza


dei casi, completamente estranea alle pratiche ed alla mentalità della
criminalità organizzata; ma non è difficile rintracciare in essa disposizioni di
pensiero e comportamenti che, sebbene non si possano definire mafiosi,
contribuiscono a creare e a mantenere vivo il brodo di coltura grazie al quale
si afferma il controllo delle organizzazioni criminali sul territorio e si rende
difficile la costruzione dei presupposti indispensabili per lo sviluppo sociale
ed economico.
Sarebbe limitativo, infatti, ricorrere ai soli temi dell’economia, della
sicurezza e della buona amministrazione come fattori che favoriscono la
crescita di un territorio e che spiegano lo sviluppo “al rallentatore” del Sud.
Il quadro della situazione meridionale va invece ricostruito anche
riconoscendo le particolari condizioni culturali e ambientali e le attitudini e
gli atteggiamenti della popolazione che vi risiede e che in questi territori
detiene i propri interessi e le proprie attività.
Un primo elemento che va considerato, e che risulta fondamentale per
decifrare un territorio e la sua capacità di sviluppo, è quello dell’adesione a
valori comuni e della partecipazione sociale, ovvero della capacità degli
individui di cooperare e contribuire a scopi comuni per il bene dell’intera
società: una tale attitudine – che è stata efficacemente racchiusa nel concetto
di capitale sociale – non riesce ad affermarsi e radicarsi nel Mezzogiorno.
Nel Sud d’Italia i rapporti di reciprocità tra gli individui e la partecipazione
si mantengono e si saldano su un piano prevalentemente orizzontale, interno
ai gruppi di appartenenza, per cui vi è una forte condivisione e
collaborazione tra pari (gli amici, i parenti, i vicini di casa) che, però, non si
eleva oltre gli interessi privati e particolari.
Prevale un atteggiamento che alcuni studiosi del Mezzogiorno hanno
definito come “familismo amorale”, che porta a ricercare i massimi vantaggi
materiali e immediati per il proprio nucleo familiare di appartenenza, dando
per scontato che tutti gli altri componenti della società si comportino allo
stesso modo, e non si occupino di quello che rappresenta il bene comune.
Il senso di appartenenza alla comunità dei pari e lo spirito di collaborazione
(non accompagnato, però, da una significativa partecipazione a reti

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935_08

strutturate di socialità guidate da un impegno comune e da valori di più


ampio respiro) emerge chiaramente da due indagini realizzate dal Censis nel
2008 in Campania ed in Calabria: in Campania il 73,8% della popolazione
dichiara che, in situazioni di bisogno sa di poter contare sui vicini per
ottenere aiuto; mentre la stragrande maggioranza della popolazione
mantiene rapporti frequenti con il gruppo dei pari (l’82% dichiara di
recarsi spesso a far visita ad amici che abitano in zona e l’80,4% va spesso
a trovare parenti). Quando però si chiede ai campani se la gente sia
interessata ai problemi comuni, se sia giusto fare i propri affari, se vi sia
senso di appartenenza e di identità, la popolazione appare divisa, con un
50% che è ancora pronto a spendersi per il bene comune ed un 50% che è
ormai ripiegato completamente sugli interessi individuali.
In Calabria la popolazione sembra essere maggiormente rinserrata in se
stessa e sui propri interessi, con un 55% di residenti che ritengono che sia
giusto pensare più ai propri interessi e a quelli della propria famiglia
piuttosto che a quelli degli altri; anche se, poi, è solo il 18,4% della
popolazione a dichiarare di sentirsi solo e di non avere qualcuno con cui
passare del tempo, condividere interessi e parlare, a conferma dell’esistenza,
sul territorio, di una rete sociale fatta di relazionalità minute e quotidiane.
Quello che manca, invece, nel Sud è quell’impegno personale che vada
oltre gli interessi individuali, e che dovrebbe essere utilizzato per il
perseguimento di obiettivi comuni e per coadiuvare le istituzioni nel
garantire la disponibilità ed il funzionamento dei servizi pubblici e la
presenza di luoghi in cui esercitare le funzioni di rappresentanza.
Un dato che fornisce supporto a tali evidenze viene dall’Indagine
Multiscopo dell’Istat sulla partecipazione ad attività associative, che
evidenzia che le persone di età superiore ai 14 anni che svolgono attività
sociali nelle regioni meridionali sono sempre in percentuale inferiore
rispetto alla media italiana e delle altre zone del paese (tab. 38).
Se, ad esempio, vi sono circa 9 persone su 100 in Italia che partecipano a
riunioni di associazioni culturali, nel Mezzogiorno sono 6, e 5,4 nelle
quattro regioni oggetto di approfondimento.
Le attività di volontariato presso associazioni riguardano 9 persone su 100
in Italia, ma 11 nel Nord, 8,8 nel Centro, 5,8 nel Sud e 5,2 nelle quattro
regioni; anche per le attività gratuite prestate a favore di associazioni non di
volontariato si evidenzia una disparità tra il Nord (le svolgono 4,4 persone
su 100), il Centro (2,5 su 100) ed il Sud (2,2 su 100, ma solo 2 se si
considerano esclusivamente le quattro regioni). Questo si traduce anche in

92
935_08

una quota significativamente minore di persone che hanno destinato soldi a


favore di un’associazione.

Tab. 38 - Persone di 14 anni e oltre che hanno svolto attività sociali nei 12 mesi precedenti l'intervista,
per regioni e ripartizioni - Anno 2008 (val.%)

Aree Riunioni in Riunioni in Attività gratuita Attività gratuita Attività Soldi versati
associazioni associazioni per associazioni per associazioni gratuita a una
ecologiche culturali di volontariato non di per un associazione
eccetera volontariato sindacato

Campania 1,6 4,3 4,9 1,8 1,2 6,6


Puglia 1,2 6,1 6,1 2,3 1,3 9,9
Calabria 1,0 6,0 5,6 2,5 1,3 9,5
Sicilia 1,0 5,8 4,8 1,7 1,3 5,7

Totale 4 regioni* 1,3 5,4 5,2 2,0 1,3 7,5

Resto del Sud* 2,0 8,6 8,1 3,1 1,4 13,8

Mezzogiorno 1,4 6,0 5,8 2,2 1,3 8,7

Nord 1,8 11,0 11,9 4,4 1,5 21,2

Centro 1,6 8,8 7,8 2,5 1,4 15,9

Italia 1,6 8,8 9,0 3,3 1,4 15,8

(*) Dati stimati

Fonte: Elaborazione Censis su dati Indagine multiscopo "Aspetti della vita quotidiana"

La prevalenza delle logiche interne a ciascuno e a ciascun gruppo diviene


anche un vero e proprio ostacolo per lo sviluppo di una civicness condivisa,
riferendosi con questo termine a quell’insieme di comportamenti - rispetto
delle norme, adesione a valori condivisi, senso di responsabilità - che
costituiscono i codici propri di una comunità.
Questo scarso senso civico risulta direttamente collegato ad un distacco
dalle istituzioni e dalla politica, percepite esclusivamente come luoghi in cui
esercitare il potere (tranne poi ricercare il rapporto personale e privilegiato
per la risoluzione di uno specifico problema). Dall’indagine svolta in
Campania nel 2008 emerge che ben l’83% della popolazione pensa che
normalmente in politica e nelle attività pubbliche non ci si possa fidare degli

93
935_08

altri; quasi all’unanimità (93,2%) gli intervistati concordano, poi, sul fatto
che i politici pensino più al loro interesse o a quello del loro partito che
all’interesse pubblico. Oltre a ciò, i soggetti politici sono quelli ai quali gli
intervistati campani attribuiscono i livelli di fiducia più bassi (al primo posto
si trovano sempre le Forze dell’Ordine), ad indicare una crisi profonda della
politica: in una scala da 1 (minima fiducia) a 5 (massima fiducia), il
Comune, la Regione, i politici locali e nazionali raccolgono tutti punteggi
che vanno dall’1,7 al 2.
Dall’indagine svolta in Calabria si confermano bassi i livelli di fiducia e di
partecipazione da parte della cittadinanza. Solo il 20% della popolazione
ritiene che in politica e nelle attività pubbliche ci si possa fidare degli altri e
il 90% è d’accordo sul fatto che spesso i politici pensino più al proprio
interesse o a quello del proprio partito che all’interesse pubblico.
Anche in Calabria alla categoria dei politici, locali e nazionali, e degli
amministratori locali non vengono assegnati punteggi che vanno oltre il 2,2
su cinque (si ferma a 1,8 il livello di fiducia attribuito ai politici nazionali).
E’ inoltre severo il giudizio sull’impegno profuso dalle istituzioni per
risolvere i gravi problemi che affliggono la Regione: il 57% dei calabresi
ritiene che negli ultimi cinque anni l’impegno del Governo e della Regione
sia diminuito, mentre poco più stabile viene ritenuto l’impegno del Comune
e della Provincia.
Quanto detto finora va solo a confermare quanto emerse in un lavoro che il
Censis ha svolto nel 2006 sulle 6 regioni dell’allora “Obiettivo 1”
(Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia) nell’ambito del
PON Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno 2000-2006.
Dalle interviste ad un campione di 1.500 residenti, risultava che i Sindaci, il
Governo e il Parlamento sono le figure istituzionali meno apprezzate al Sud
(con un livello di fiducia basso, fermo a 2,2 su 5), contrariamente a quanto
accade per le Forze dell’Ordine, che ottengono i punteggi più elevati (tab.
39).

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Tab. 39 - Fiducia nei confronti dei soggetti preposti alla salvaguardia e alla tutela
della sicurezza (*)

Soggetti Punteggio medio

Vigili del fuoco 4,1


Polizia 3,6
Carabinieri 3,5
Esercito 3,5
Guardia di Finanza 3,3
Magistratura 2,9
Servizi segreti 2,8
Vigili urbani 2,5
Sindaci 2,2
Governo – Parlamento 2,2

(*) ad ogni voce è stato assegnato un punteggio da 1 (min fiducia) a 5 (max fiducia)

Fonte: indagine Censis, 2006 “Valutazione di impatto degli interventi realizzati


nell’ambito del Programma operativo nazionale Sicurezza per lo sviluppo del
Mezzogiorno 2000-2006- Indagine sulla popolazione”

È evidente come questo sentimento di sfiducia dominante costituisca un


ulteriore capitale simbolico su cui possono far leva le organizzazioni
criminali per accreditarsi come gli unici soggetti affidabili.
Va a sostegno di quanto finora sostenuto anche il dato sulla partecipazione
elettorale che, come evidenziato dalla tabella 40, che riporta la percentuale
dei votanti alle ultime due tornate di elezioni politiche, risulta essere più
contenuta al Sud.
Se, infatti, nel 2008 l’affluenza al voto è stata in Italia dell’80,5%, nelle
quattro regioni si sono avute percentuali inferiori, ed, in alcuni casi,
considerevolmente più basse, come per la Calabria (71,4% degli aventi
diritto alla Camera e 71,2% al Senato), la Circoscrizione 1 della Campania
(73,6% alla Camera) e della Sicilia (73,9% alla Camera) (tab. 40).
Questo comportamento si iscrive nella generalizzata disaffezione
dell’elettorato, che ha visto diminuire di circa tre punti la percentuale dei

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935_08

votanti tra le ultime due elezioni politiche in Italia e che ha interessato tutte
le regioni ad esclusione della Sicilia, dove la percentuale è rimasta invariata.
 
Tab. 40 - Elezioni politiche in Italia , 2006-2008 (*)

Regioni Elezioni Politiche 2008 Elezioni Politiche 2006


% votanti/ elettori % votanti/ elettori
Camera Senato Camera Senato

Campania circoscrizione 1 73,6 76,7


75,8 78,3
circoscrizione 2 79,1 81,2
Puglia 76,2 76,3 79,4 79,5
Calabria 71,4 71,2 74,6 74,4
Sicilia circoscrizione 1 73,9 73,8
74,7 74,8
circoscrizione 2 76,1 76,1

Italia 80,5 80,5 83,6 83,6

(*) Non comprende il dato estero


Fonte: dati Ministero dell'Interno

Nell’ambito dell’indagine citata in precedenza è stato chiesto agli


intervistati di esprimere un giudizio (attribuendo un voto da 1 -per niente
utili- a 5 -molto utili-) sull’importanza di alcune iniziative finalizzate a
contrastare la criminalità nel Mezzogiorno (tab. 41).
In generale, tutte le iniziative proposte vengono giudicate utili dagli
intervistati. Tuttavia, osservando la distribuzione dei punteggi sembrerebbe
che la popolazione dia priorità al mettere in campo iniziative
immediatamente correlate ad un miglior presidio e controllo del territorio.
Infatti, l’intervento più segnalato è quello di aumentare il numero delle
Forze dell’ordine presenti sul territorio (voto medio 4,4); si tratta della
proposta più “immediata”, che viene invocata ogni qualvolta accadono
episodi che turbano l’ordine pubblico, in quanto è quella i cui effetti
risultano più visibili e apprezzabili nell’immediato. Leggermente inferiore,
ma comunque elevata, è l’importanza attribuita all’ammodernamento ed al
miglioramento, in termini di efficienza dei dispositivi di controllo del

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935_08

territorio (4,3) e della capacità investigativa delle Forze dell’ordine e della


magistratura (4,2).
Immediatamente dopo questi interventi, gli intervistati richiamano
l’importanza di garantire ai colpevoli una pena certa e consistente, e perciò
chiedono di inasprire le pene (4,2); segue, in ordine di importanza, la
necessità di trovare gli strumenti per garantire una “sicurezza partecipata”
cui contribuiscano i diversi soggetti che, all’interno dello stesso territorio,
operano per la legalità (4,1) e di limitare l’ingresso degli extracomunitari in
Italia (4,0). Minore importanza viene, invece, attribuita al coinvolgimento
della popolazione in iniziative sulla cultura della legalità (3,8), quasi che la
cultura delle legalità fosse relativamente importante per garantire la
sicurezza di una determinata area. Nelle ultime posizioni della graduatoria si
trovano iniziative che sono percepite come meno direttamente connesse con
il fenomeno della criminalità, quali il ricambio della classe dirigente (3,8),
la semplificazione dei canali di accesso al credito (3,6) e la costruzione di
strade, ponti e ferrovie (3,3).
Si è cercato, infine, di capire quali sono i settori dell’intervento pubblico in
cui, secondo l’opinione degli intervistati, andrebbero investite maggiori
risorse finanziare (tab. 42). Lo scopo della domanda era di misurare
l’importanza relativa attribuita alla sicurezza presentandola unitamente ad
altri importanti problematiche che interessano il Paese.
Tre sembrano essere i settori in cui si richiedono impegni economici
maggiori:
1. Al primo posto, coerentemente con la priorità assegnata alla problematica
del lavoro, vengono richiesti interventi per creare nuovi posti di lavoro
(59,2% delle risposte);
2. il secondo settore individuato è, comunque, associato al primo. Il 54,2%
del campione, infatti, investirebbe risorse per migliorare i servizi di
assistenza alle famiglie con gravi problemi di povertà o disagio
economico;
3. il terzo settore cui destinare risorse, segnalato dal 53,0% degli
intervistati, è quello della sanità.
La tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico con il 27,3% delle risposte
si trova in una posizione intermedia rispetto alle altre problematiche.

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935_08

Tab. 41 - Utilità di alcune iniziative per contrastare la criminalità (*)

Iniziative Punteggio
medio

Aumentare il numero di forze dell'ordine presenti sul territorio 4,4


Ammodernare e rendere più efficienti i dispositivi di controllo del territorio 4,3
Migliorare la capacità investigativa delle Forze dell'ordine e della
magistratura 4,3
Inasprire le pene 4,2
Garantire una maggiore sinergia tra i diversi soggetti che, all'interno dello
stesso territorio, operano per la legalità 4,1
Limitare gli ingressi degli extracomunitari 4,0
Coinvolgere la popolazione in iniziative sulla cultura della legalità e sulla
prevenzione della marginalità 3,8
Procedere ad un rapido ricambio della classe dirigente 3,8
Semplificare i canali di accesso al credito 3,6
Costruire strade, ponti, ferrovie 3,3

(*) ad ogni voce è stato assegnato un punteggio da 1 (niente affatto utile) a 5 (molto utile)

Fonte: indagine Censis, 2006 “Valutazione di impatto degli interventi realizzati


nell’ambito del Programma operativo nazionale Sicurezza per lo sviluppo del
Mezzogiorno 2000-2006- Indagine sulla popolazione”

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Tab. 42 - Settori in cui andrebbero investite maggiori risorse (*) (val. %)

Settori Val. %

Interventi per creare nuovi posti di lavoro 59,2


Assistenza alle famiglie con gravi problemi di povertà o disagio 54,2
Strutture e servizi sanitari 53,0
Pensioni e previdenza 30,3
Strutture e servizi per l'ordine pubblico e la sicurezza 27,3
Infrastrutture e servizi pubblici 19,2
Strutture e servizi di istruzione 15,5
Strutture ed iniziative per riqualificare le aree degradate 14,4
Ricerca e sviluppo delle nuove tecnologie 10,4
Difesa dell'ambiente e del territorio 8,3

(*) il totale è superiore a 100 poiché erano possibili tre risposte nel 2006 e due nel 2000

Fonte: indagine Censis 2006 “Valutazione di impatto degli interventi realizzati


nell’ambito del Programma operativo nazionale Sicurezza per lo sviluppo del
Mezzogiorno 2000-2006- Indagine sulla popolazione”

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6. IL DIVARIO SOCIO-ECONOMICO TRA IL SUD


DELLA MAFIA E IL RESTO DEL PAESE

La situazione preoccupante che descrivono i dati sui reati di criminalità


organizzata nelle quattro regioni dove questa è tradizionalmente presente
risulta assumere contorni ancora più foschi allorquando si analizzano alcuni
indicatori che misurano il livello di ricchezza e di sviluppo del territorio.
Anche in questo caso, come per la criminalità, i dati sono stati analizzati per
l’ultimo anno disponibile e considerando l’andamento temporale, in genere
a partire dal 2000, anno dal quale sono stati introdotti nuovi metodi di stima
per i dati di contabilità nazionale.
I dati su tessuto produttivo, situazione occupazionale, redditi e consumi
danno conto delle distanze che ancora percorrono il nostro Paese da Nord a
Sud e di come il Mezzogiorno d’Italia risulti essere permanentemente in
ritardo sui processi di sviluppo. Che uno dei principali fattori che
concorrono a spiegare tale divario sia dato dalla forte presenza della
criminalità organizzata, lo dimostra il fatto che a rimanere più indietro sono
proprio le quattro regioni nelle quali la criminalità risulta avere una forza
più pervasiva ed esercitare un condizionamento più diretto; sono queste le
regioni che nella programmazione 2007-2013 dei Fondi Strutturali ricadono
nell’Obiettivo Convergenza in quanto presentano un PIL pro capite inferiore
al 75% della media europea a 25 paesi membri (tab. 43).

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Tab. 43 - Prodotto interno lordo procapite in alcuni Paesi Europei, negli USA ed in
Giappone - Anno 2008* (val. espressi a parità di potere d'acquisto pro capite)

Paesi PIL pro capite


(PPS / ab.)
2008

Lussemburgo 67.700
Irlanda 36.400
Paesi Bassi 34.400
Austria 32.100
Svezia 31.500
Danimarca 30.200
Finlandia 30.000
Belgio 29.800
Germania 29.800
Regno Unito 29.400
Francia 27.500
Spagna 26.000
Grecia 25.700
Italia 25.200
Slovenia 24.500
Cipro 24.300
Repubblica Ceca 22.700
Malta 20.400
Slovacchia 19.700
Portogallo 19.300
Estonia 16.500
Ungheria 16.100
Lituania 15.300
Polonia 15.200
Lettonia 14.000
Romania 12.600
Bulgaria 11.200

EU (27 countries) 25.100


United States 38.000
Japan 28.200

(*) Previsioni Eurostat al 2008 ad eccezione del dato relativo alla Francia relativo al 2007
Fonte: Eurostat

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Sono queste le regioni che presentano condizioni di problematicità più


rilevanti per il paese, sono il vero Sud ancora indebolito dal monopolio
criminale di attività economiche e di quote di territori, in cui la presenza di
aree metropolitane estese non si tramuta in occasione di sviluppo come
invece accade in altri contesti, ma accentua la condizione di marginalità di
una parte importante della popolazione, il progressivo degrado e un
consumo incosciente del territorio, l’inerzia rassegnata di buona parte della
cittadinanza e dei rappresentanti delle istituzioni locali.
Se si parte con l’analizzare i dati sul valore aggiunto- misura quantitativa
della ricchezza prodotta da un sistema economico- confrontando le quattro
regioni in cui la criminalità organizzata ha una forza maggiore con le
rimanenti regioni del Sud e con il resto d’l’Italia, si nota che il valore del
valore aggiunto procapite nel 2007 è di 27.084 euro nel Centro-nord, di
17.780 nelle regioni del Sud meno interessate dalla grande criminalità,
mentre si ferma a 14.749 euro nelle regioni più colpite, più di 8mila euro
sotto il valore nazionale (23.009 euro) (tab. 44).
Scomponendo tale valore per i principali settori di attività economica, si ha
un quadro delle caratteristiche della produzione, che al Sud è maggiormente
legata al settore primario e ai servizi di tipo tradizionale.
Infatti, nelle quattro regioni il settore industriale produce il 19,4% (ma in
Puglia il 23,1%) del valore aggiunto totale, a fronte del 24,9% del resto del
Sud e del 28,9% del Centro-nord. Nelle stesse quattro regioni il 3,4% del
valore aggiunto deriva da attività nel settore agricolo e della pesca (in
Calabria il 4,3%), in linea col resto del Mezzogiorno (3,5%) ma non con il
Centro-nord ove la percentuale è ferma al 2%.
Ancora più evidente lo scarto nel settore dei servizi, le cui attività generano
il 77,1% del valore aggiunto della quattro regioni più arretrate (in Sicilia il
79,2%), il 71,7% di quello del resto del Sud e il 70,9% di quello registrato in
Italia (70,9%). Si tratta, evidentemente, per la gran parte di servizi di tipo
tradizionale e non di servizi caratterizzati da una forte innovazione
tecnologica.
L’andamento del valore aggiunto tra il 2000 ed il 2007 segnala una crescita
generalizzata (+8,2% in Italia), che nelle quattro regioni risulta più bassa di
quella italiana (+5,4%), ma comunque superiore a quella che si registra nel
resto delle regioni del Sud (+4,3%).

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(1)
Tab. 44 - Valore aggiunto ai prezzi di mercato - Anni 2000- 2007 (val. in milioni di
euro, val. in euro pro capite, val.% e var.% reale)

Aree Valore aggiunto 2007 (mln €) Var.% reale


Totale Pro capite Agricoltura Industria Servizi 2000-2007
(€) e pesca (%) (%)
(%)

Campania 84.800,0 14.592,0 2,6 19,8 77,7 5,4


Puglia 61.785,4 15.156,3 3,6 23,1 73,3 5,0
Calabria 29.537,9 14.712,3 4,3 17,3 78,3 6,3
Sicilia 74.184,7 14.749,4 3,8 16,9 79,2 5,6

Totale 4 regioni 250.308,1 14.789,0 3,4 19,4 77,1 5,4

Resto del Sud 69.371,2 17.780,9 3,5 24,8 71,7 4,3

Mezzogiorno 319.679,3 15.349,4 3,4 20,6 76,0 5,2

Centro-Nord 1.050.680,7 27.084,6 1,6 28,9 69,4 9,1

Italia (3) 1.371.833,4 23.009,9 2,0 27,0 70,9 8,2

(1) Stime provvisorie Istat 2007 dei principali aggregati economici


(2) Il prodotto interno lordo consiste nel valore aggiunto prodotto, più l'iva, le imposte
indirette nette sui prodotti e le imposte sulle importazioni
(3) Il dato nazionale non è identico alla somma dei dati territoriali poiché contiene l'extra
regio

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Conti economici regionali

Passando ad analizzare il PIL – attua la misura della ricchezza di un


territorio e del suo benessere materiale- e confrontando i valori procapite, si
nota che nelle quattro regioni più critiche del Meridione tale valore
rappresenta appena il 65,7% del Pil procapite nazionale (16.915,4 euro
contro i 25.755,8 euro di media nel paese, ben 8.840 euro sotto la media
nazionale) (fig. 10).
Rispetto alle regioni del Centro-nord, il confronto è ancora più allarmante,
perché il valore delle quattro regioni rappresenta poco più della metà (il
56,1%) di quello riferibile alle regioni del Centro-nord, che è pari a 30.138,5
euro.

103
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Molto basso in particolare il Pil procapite di Campania (16.656,5 euro) e


Calabria (16.770,4 euro), mentre leggermente migliore è la situazione di
Sicilia (17.001,4 euro) e Puglia (17.249,8 euro).

Fig. 10 - Pil procapite in euro. Anno 2007 (v.a.)

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Conti economici regionali

Né il passare degli anni, né la spesa pubblica, né gli investimenti europei


hanno colmato il divario, per cui nel 1991 il Pil pro-capite del Mezzogiorno
era pari al 59,9% di quello del Centro-Nord, nel 2001 scendeva al 57,5%;
per rimanere anche nel 2007 pari al 58,1%.
Al di sotto del livello nazionale, ma con valori che segnalano comunque un
tentativo di aggancio alle aree centro settentrionali si trovano invece proprio
quelle regioni del Sud, come l’Abruzzo, il Molise, la Sardegna che hanno
già superato o stanno superando la fase di sostegno transitorio e devono o
dovranno nell’immediato dimostrare di saper crescere con meno risorse
rispetto al passato e di saper attivare nuove risorse complementari rispetto a
quelle che hanno ricevuto finora dall’esterno (20.152 euro il Pil procapite
medio di queste regioni).

104
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La variazione percentuale del Pil tra il 2000 ed il 2007 fornisce una ulteriore
conferma della distanza tra il Sud, protagonista di una crescita frenata, ed il
resto del Paese: se in Italia il Pil cresce nell’arco di tempo considerato del
7,9% (con una media di circa l’1% annuo), nelle quattro regioni la crescita
si ferma al 5,9%, dunque è di circa lo 0,7% annuo (fig. 11) (con la
performance più negativa per la Puglia, +5%, e migliore per la Calabria,
+7,1%).

Fig. 11 - Variazione del Pil. Anni 2000-2007 (val. %)

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Conti economici regionali

Sul versante del mercato del lavoro, il tasso di occupazione ed il tasso di


attività rimangono pesantemente sotto la media italiana, e tale situazione è
ancora più accentuata se ci si focalizza sulle categorie tradizionalmente più
fragili ovvero i giovani e le donne.
Il tasso di occupazione medio delle quattro regioni (35,5%) è difatti
inferiore di ben 10,4 punti percentuali a quello nazionale (pari al 45,9%) ed
è significativo anche il gap rispetto al tasso registrato nelle rimanenti regioni
meridionali (42,5%), che evidenzia il persistere di una problematicità grave

105
935_08

ed intrinseca non solo al Sud ma, in forma più grave, nelle regioni a più
elevata densità di criminalità organizzata (tab. 45).
Desta preoccupazione, anche per le conseguenze in termini di potenziale
manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali locali, il basso
tasso di occupazione giovanile, che è pari al 16,5%, a fronte di un tasso
nazionale del 24,7% (-8,1 punti percentuali).
Anche in questo caso c’è uno scarto tra le quattro regioni ed il resto del Sud,
che, pur restando ben lontano dalla situazione del Centro-nord (dove il tasso
di occupazione giovanile supera il 30%), si avvicina maggiormente, con il
suo 20,7% alla media nazionale.
Per la popolazione femminile di Calabria, Sicilia, Campania e Puglia la
situazione occupazionale non è migliore rispetto a quella dei giovani: anche
in questo caso c’è un notevole divario rispetto al dato nazionale, perché le
donne che lavorano nelle quattro regioni sono il 22,6%, mentre nella
penisola risultano essere il 35,4%.
Sintomatico di una certa disillusione nei confronti delle possibilità che offre
il mercato del lavoro locale è il tasso di attività, più basso di 9 punti
percentuali nelle quattro regioni meridionali rispetto al dato nazionale
(40,7% contro 49,3%); è interessante effettuare un confronto con il dato
delle altre regioni del Sud, che hanno invece un tasso più vicino a quello
nazionale (47,2%), segnale questo di maggiore fiducia nella possibilità di
trovare un’occupazione e, quindi, di maggiore propensione ad entrare nel
mondo del lavoro.
Lo scarto col dato nazionale è soprattutto evidente per la popolazione
femminile, che nelle quattro regioni solo per il 27,1% si affaccia sul mercato
del lavoro, mentre a livello nazionale il tasso di attività è pari al 38,7%.
Tale disillusione trova il suo motivo anche nell’alto tasso di disoccupazione
che contraddistingue le quattro regioni e che per le donne (16,5%) è circa il
doppio del dato nazionale (8,5%).
Anche per i giovani fino a 24 anni si evidenzia un forte disagio: partecipano
alle forze lavoro, nelle quattro regioni, in misura largamente inferiore
rispetto al resto del paese (24,9%, contro il dato nazionale del 30,9%) e
soffrono di un tasso di disoccupazione (33,6%) di 13,3 punti percentuali più
alto rispetto al dato nazionale (20,3%).
La disoccupazione è in generale una piaga per il Meridione ma ancora più
per l’ampio e popoloso territorio appartenente alle quattro regioni

106
935_08

condizionate dalle criminalità organizzata: infatti, se, a fronte di una media


nazionale di disoccupazione del 6,7%, il resto del Sud si attesta su un tasso
pari a 9,8%, le sole quattro regioni raggiungono il 12,8% di disoccupati.

Tab. 45 - Il mercato del lavoro - Anno 2008 (val.%)

Area Anno 2008


Tasso di di cui: di cui: Tasso di di cui: di cui: Tasso di di cui: di cui:
attività (1) tasso di tasso di occupazione(2) tasso di tasso di disoccupazione tasso di tasso di
attività attività occupazione occupazione (3) disoccupazione disoccupazione
donne giovanile donne giovanile donne giovanile
(15-24 (15-24 anni) (15-24 anni) (4)
anni) (4) (4)

Campania 39,9 26,1 23,2 34,9 21,7 15,7 12,6 16,8 32,5
Puglia 42,2 27,8 29,3 37,3 23,4 20,0 11,6 15,8 31,8
Calabria 39,7 28,1 20,7 34,9 23,7 14,2 12,1 15,7 31,6
Sicilia 40,6 27,2 25,3 35,0 22,5 15,9 13,8 17,3 37,2

Totale 4
40,7 27,1 24,9 35,5 22,6 16,5 12,6 16,5 33,6
regioni

Resto del Sud 47,2 36,2 28,3 42,5 31,5 20,7 9,8 12,9 26,8
41,9 28,8 25,5 26,9 24,3 17,2 12,0 15,7 32,3
Mezzogiorno

Centro-Nord 53,1 43,9 35,1 50,7 41,2 30,3 4,5 6,1 13,7

Italia 49,3 38,7 30,9 45,9 35,4 24,7 6,7 8,5 20,3

(1) Persone appartenenti alle forze di lavoro / popolazione di 15 anni e più * 100
(2) Occupati in complesso / popolazione di 15 anni e più * 100
(3) Persone in cerca di occupazione / forze lavoro * 100

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Rilevazione delle Forze Lavoro (RCFL)

107
935_08

Fig. 12 - Tasso di disoccupazione giovanile (di cui femminile). Anno 2007 (val. %)

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat


Fig. 13 - Tasso di occupazione e di disoccupazione. Anno 2008 (val. %)

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Rilevazione forze lavoro

108
935_08

Anche i dati relativi all’andamento del mercato del lavoro tra il 2004 (anno
da cui è possibile partire per operare dei confronti) ed il 2008 non
evidenziano particolari avanzamenti per i territori sotto l’influenza della
criminalità organizzata: il tasso di attività scende più che nel resto del Paese
(-2,3% nelle 4 regioni; -0,5% in Italia) ed il tasso di occupazione subisce
una variazione percentuale negativa contrariamente a quanto accade negli
altri territori (-0,8% nelle quattro regioni, +0,5% in Italia) (fig. 14).
Anche il fatto che il tasso di disoccupazione diminuisca più che nel resto
del Paese potrebbe essere interpretato come un dato non completamente
positivo, in quanto è senza dubbio riconducibile anche alla minore
partecipazione al mercato del lavoro da parte di una popolazione sfiduciata.

Fig. 14 - Differenza del tasso di occupazione e di disoccupazione tra il 2004 ed il 2008


(var. ass.)

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Rilevazione forze lavoro

Altro indicatore del divario che c’è tra il Sud, ed, in particolare, le quattro
regioni che sono patria delle organizzazioni criminali, ed il resto del Paese,

109
935_08

è dato dal reddito disponibile per le famiglie, che è misura del benessere
economico, e quindi delle diverse condizioni di vita che caratterizzano i
residenti in differenti zone del Paese.
Nel 2006 il reddito totale disponibile per le famiglie italiane, che è di
1.014.659 euro, si concentra per il 74% al Centro-nord e per il 26% circa al
Sud (263.984 milioni di euro disponibili). In particolare, 209 milioni sono
ascrivibili alle quattro regioni, di cui circa 70 milioni di euro competono alle
famiglie campane, 62 a quelle siciliane, 51 alle pugliesi e 24 alle calabresi
(tab. 46).

Tab. 46 - Reddito disponibile delle famiglie - Anni 2001-2006 (v.a. in milioni di euro, val. in
euro per famiglia, val.% e var.% reale)

Aree Reddito disponibile delle famiglie


Var.% reale
v.a. (1) Per famiglia
% totale Italia 2001-2006
mln € €

Campania 70.269 6,9 34.667,2 0,0


Puglia 51.944 5,1 35.079,3 3,3
Calabria 24.996 2,5 33.614,6 2,6
Sicilia 62.045 6,1 32.020,3 -0,1

Totale 4 regioni 209.253 20,6 33.810,6 1,1

Resto del Sud 54.734 5,4 36.360,8 2,5

Mezzogiorno 263.987 26,0 34.309,5 1,4

Centro-Nord 750.672 74,0 46.300,3 5,4

Italia 1.014.659 100,0 42.441,2 4,4

(1) Il dato Italia non comprende l'extra regio

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Conti regionali delle famiglie

Dall’analisi per territorio emerge una condizione estremamente


diversificata: a fronte dei 42.000 euro circa di reddito medio disponibile per
ciascuna famiglia italiana (e 46.000 euro per le famiglie del Centro-nord), i
nuclei familiari delle quattro regioni non arrivano a 34mila euro
(precisamente 33.810,6), ma il valore è ancora più basso in Calabria
(33.614,6 euro) e in Sicilia (32.020,3 euro), mentre Campania e Puglia

110
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registrano cifre leggermente superiori (rispettivamente 34.667,2 euro e


35.079,3 euro).
Il reddito disponibile mediamente per famiglia nelle quattro regioni è quindi
circa il 79% di quello delle famiglie italiane e il 73% di quelle del Centro-
Nord (fig. 15).

Fig. 15 - Reddito disponibile per famiglia, in euro. Anno 2006 (v.a.)

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Conti regionali delle famiglie

Tra il 2001 ed il 2006, inoltre, la crescita del reddito disponibile è stata del
4,4% per le famiglie italiane (dato comunque basso, che indica una crescita
annua dello 0,7%), ma ha raggiunto appena l’1,1% per le famiglie residenti
nelle quattro regioni sotto l’influenza della criminalità organizzata
(equivalente a meno dello 0,2% annuo).
Si tratta di una differenza notevole, e ancora più evidente in Sicilia, dove,
addirittura, il reddito scende nei cinque anni dello 0,1%, ed in Campania,
dove nel 2006 rimane fisso ai valori del 2001. Solo la Puglia registra un
incremento degno di nota, pari al 3,3%.
A rafforzare quanto detto sono i dati relativi al valore della spesa delle
famiglie e alla variazione percentuale registrata negli ultimi anni per questo
indicatore.

111
935_08

L’ammontare delle spese effettuate nel 2007 da ciascuna famiglia residente


nelle quattro regioni è pari, in media, a 32.015,7 euro, quasi 6 mila euro in
meno di quanto speso dalla media dalle famiglie italiane (37.729,7 euro) e
oltre 8.000 euro in meno di quanto si spende al Centro-Nord (tab. 47 e fig.
16).

Tab. 47 - La spesa delle famiglie - Anni 2000-2007 (*) (v.a. in milioni di euro, val in
euro per famiglia e var.% reale)

Aree Spesa delle Per famiglia Spesa Var.% reale Var. %


famiglie € famiglia su 2000-2007 spesa/PIL
2007 PIL 2000-2007
(mln €)

Campania 66.623,1 32.472,7 68,8 2,3 -2,3


Puglia 48.435,4 32.425,8 68,9 2,5 -1,7
Calabria 24.282,8 32.152,4 72,1 2,7 -3,0
Sicilia 60.898,5 31.169,5 71,2 2,9 -2,5

Totale 4 regioni 200.239,8 32.015,7 69,9 2,6 -2,3

Resto del Sud 49.241,7 32.123,6 62,6 3,6 -0,4

Mezzogiorno 249.481,5 32.037,0 68,4 2,8 -1,8

Centro-Nord 666.689,4 40.417,2 57,02 6,3 -1,3

Italia 916.170,9 37.729,7 59,7 5,3 -1,4

Stime provvisorie Istat 2007 dei principali aggregati economici

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Conti economici regionali

112
935_08

Fig. 16 - Spesa per famiglia, in euro. Anno 2007 (v.a.)

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Conti economici regionali

Tra il 2002 ed il 2007 la spesa delle famiglie risulta essere salita in Italia del
5,3% (e nel Centro-nord ben del 6,3%) mentre nelle quattro regioni del Sud
la variazione è ben più bassa (+2,6%), e inferiore a quella registrata nel
resto delle regioni del Sud (+3,6%) (fig. 17).

113
935_08

Fig. 17 - Variazione nella spesa delle famiglie. Anni 2000- 2007 (val. %)

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Conti economici regionali

Nonostante le regioni del Sud si mantengano su livelli di spesa inferiori a


quelli del Centro-Nord, la loro capacità di risparmio, data dall’incidenza
della spesa sul reddito, è comunque minore. Nelle 4 regioni mediamente la
spesa “erode” il 94,7% del reddito delle famiglie (ma in Sicilia il 97,3%);
mentre al Centro Nord la quota è dell’87,3%, per una media Italia
dell’88,9% (fig. 18).

114
935_08

Fig. 18 - Incidenza media della spesa sul reddito familiare (val. %)

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Conti economici regionali

Gli indicatori relativi ai risparmi e alle attività finanziarie forniscono


ulteriore supporto ai dati che descrivono l'esistenza di un profondo divario
territoriale tra il Nord ed il Sud del Paese e di una situazione particolarmente
critica in Campania, Sicilia, Calabria e Puglia.
I dati sulle attività finanziarie segnalano come la minore disponibilità
economica e i maggiori rischi di insolvenza del Meridione influiscano anche
sul dinamismo e sulla propensione al rischio delle banche, per cui al Sud si
ha una quota complessiva di 144.948 milioni di euro di depositi bancari,
pari al 19,2% del totale nazionale, per una popolazione che è 34,9%. Se si
circoscrive il dato alle regioni maggiormente interessate dalla criminalità
organizzata, i depositi bancari complessivi scendono a 112.678 euro, il 15%
del totale nazionale (per una popolazione che è il 28,4%). Se dai depositi
complessivi si passano ad analizzare i depositi procapite, si ha una quota che
in Italia è di 12.571 euro, che salgono a 15.570 a Centro-nord e scendono a
6.953 al Sud (6.653 nelle quattro regioni; 8.251 nel resto del Mezzogiorno).
Dunque i depositi bancari procapite nelle quattro regioni sono poco più della
metà di quelli mediamente registrati in Italia (12.689,7 euro) e poco più del
40% di quelli delle regioni del Centro-nord (fig. 19).

115
935_08

Fig. 19 - Depositi bancari procapite, in euro. Anno 2008 (val. %)

Fonte: elaborazione Censis su dati Banca d’Italia

Anche gli impieghi bancari, che rivelano la propensione al finanziamento da


parte delle banche, al Sud sono significativamente più bassi rispetto al resto
d’Italia, tanto in valore assoluto (dato abbastanza scontato, vista la quota
assai più bassa di depositi), quanto come tasso di utilizzo, dato dalla
percentuale degli impieghi sui depositi, che in Italia è mediamente del
205,1%, al Centro-nord sale al 216,5%; nel Meridione scende al 157,2% e
nelle quattro regioni oggetto dell’analisi al 155,0%. Particolarmente basso, è
pari al 148,9% risulta il tasso di utilizzo in Campania (fig. 20).

116
935_08

Fig. 20 - Tasso di utilizzo raccolta bancaria. Anno 2008 (v.a.)

Fonte: elaborazione Censis su dati Banca d’Italia

Unica nota positiva viene dalla differenza nell’utilizzo della raccolta


bancaria negli ultimi otto anni, che evidenzia una crescita più spiccata nel
Meridione (+38,2%), e in particolare nelle quattro regioni (+ 40,5), rispetto
alla media nazionale (+ 30,0%).
La situazione appena delineata determina la presenza di una quota elevata di
famiglie che vivono al di sotto dei livelli di povertà relativa secondo i
parametri stabiliti dall’Istituto Nazionale di Statistica.
Negli ultimi cinque anni la percentuale di famiglie definite povere dall’Istat
non ha subito grandi modificazioni: a livello nazionale, nel 2002 erano
l’11% (circa 2 milioni e 653 mila in valore assoluto), nel 2007 sono passate
ad essere l’11,1%. Allo stesso modo, nelle quattro regioni del Sud si
riscontra una variazione minima tra i due anni considerati (+0,1%), ma
comunque il dato segnala una situazione preoccupante per cui ben il 23,2%
delle famiglie risulta povero, con una punta massima del 27,6% in Sicilia,
dove la percentuale è cresciuta del 6,3% in cinque anni (fig. 21).
Sono valori significativi, soprattutto se si considera che al Nord le famiglie
classificate dall’Istat come povere sono il 5,5% ed al Centro il 6,4% del
totale.

117
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Fig. 21 - Incidenza della povertà relativa. Anno 2007 (val. %)

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Indagine sui consumi delle famiglie

Una percentuale così significativa di famiglie povere determina segni di


disagio particolarmente marcato che si manifestano anche nell’impossibilità
di far fronte alle spese necessarie.
Dai dati Istat risulta che nelle quattro regioni a maggiore presenza di
criminalità organizzata ben 8 famiglie su 100 non riescono a far fronte alle
spese alimentari (10 in Sicilia); circa 21 famiglie su 100 dichiarano di non
avere sufficiente denaro per sostenere le spese mediche (24 in Sicilia), e
circa 29 non riescono a fronteggiare le spese per il vestiario (32 in Sicilia,
dove il quadro particolarmente critico) (tab. 48).
Tali percentuali sono ben più basse in tutte le altre zone d’Italia, compreso il
resto del Sud (che registra valori di poco superiori alla media italiana), dove
il 4,2% delle famiglie dichiara di non avere denaro sufficiente per le spese
alimentari, l’11,5% per le spese mediche, il 18,6% per l’abbigliamento.

118
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Tab. 48 - Famiglie che lamentano mancanza di denaro per spese necessarie – Anno 2007 (val.
per 100 famiglie)

Aree Lamentano mancanza di soldi per :


alimentari spese mediche vestiti necessari

Campania 6,9 20,2 28,5


Puglia 8,1 17,7 28,0
Calabria 5,8 22,8 22,3
Sicilia 10,1 24,6 32,4

Totale 4 regioni (*) 8,0 21,2 28,8

Resto del Sud (*) 4,2 11,5 18,6


7,3 19,4 26,9
Sud e Isole

Nord 4,1 6,4 11,5


Centro 5,1 9,3 14,1

Italia 5,3 11,1 16,9

(*) Dati stimati attraverso i dati d'indagine regionali e ripartizionali.

Fonte: Istat, Indagine "Reddito e condizioni di vita 2006-2007"

119
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7. SPESA PUBBLICA E FONDI EUROPEI: TROPPI SOLDI


O TROPPO POCHI?

A partire dal secondo dopoguerra la questione meridionale fu affrontata con


un massiccio intervento dall’alto, centrato sull’azione della “Cassa per le
opere straordinarie di pubblico interesse nell’Italia meridionale”, meglio
conosciuta come Cassa per il Mezzogiorno. Ad essa fu assegnata la
funzione di promuovere il progresso economico e sociale delle regioni del
Sud finanziando opere straordinarie, funzionali alla formazione di un tessuto
infrastrutturale che favorisse l’insediamento dell’industria e lo sviluppo
dell’agricoltura e della commercializzazione dei prodotti.
La Cassa fu istituita con la legge n. 646 del 1950 che prevedeva un
programma di investimenti per oltre 1.200 miliardi di lire per il periodo che
inizialmente andava dal 1950 al 1962, ma che fu poi prorogato, in un primo
momento fino al 1965, poi fino alla fine del 1980, quindi fino al 1984.
Nel 1986, con la legge n. 64, si è sancita la svolta nelle modalità di
intervento dello Stato nel Mezzogiorno, con l’istituzione, in luogo della
Cassa, di un'Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno
(Agensud), con funzione di erogare finanziamenti per progetti localizzati nel
Sud, stipulare convenzioni con enti locali, gestire i completamenti delle
opere iniziate grazie ai finanziamenti della Cassa.
Tale operazione più che trentennale di accompagnamento delle regioni del
Sud verso condizioni economiche e sociali più simili a quelle del resto del
paese ha però conseguito risultati deludenti e certamente non all’altezza
degli ingentissimi capitali pubblici impiegati.
In parte questo è avvenuto per un difetto di programmazione che ha
accompagnato tutta la durata dell’intervento straordinario, con
un’elargizione di finanziamenti a pioggia sulle regioni meridionali non
sorretta da un valido disegno degli obiettivi di intervento specifici che si
intendeva perseguire; in parte, per quanto riguarda in particolare il
potenziamento dell’industrializzazione, è dovuto invece all’investimento in
industrie pubbliche a bassa produttività che si sono trasformate in inutili e
costose “cattedrali nel deserto”.
Si aggiunga a tutto ciò che la Cassa è stata accompagnata da numerose
polemiche sulla reale efficacia dei suoi interventi poiché accusata di avere
una natura principalmente assistenzialistica e di incentivare la dipendenza

120
935_08

delle attività economiche delle regioni più arretrate dall’intervento statale


nonché di favorire lo sviluppo di clientelismi politici.
E’ infatti innegabile che la classe politica dell’epoca abbia fatto anche un
uso strumentale dei finanziamenti, in molti casi utilizzati per riempire canali
che portavano unicamente al consenso elettorale, trascurando le finalità
ultime per le quali tali risorse erano state stanziate.
Nel 1992, la legge n. 488 ha soppresso anche l’AgenSud, lasciando al
Ministero dell'Economia e Finanze il compito di coordinare e programmare
l'azione di intervento pubblico nelle aree economicamente depresse del
territorio nazionale, senza però ottenere risultati degni di rilievo, come i
precedenti capitoli hanno ampiamente illustrato e come dimostra anche il
fatto che, alle soglie del 2010, il governo attualmente in carica si trovi a
dover ragionare della necessità di un nuovo Piano per il Mezzogiorno.
Occasioni di svolta si sarebbero potute avere con l’avvio dei finanziamenti
da parte dell’Unione Europea veicolati dai Fondi Strutturali, partiti con il
ciclo 1989/93, proseguito con la programmazione 1994-1999 e 2000-2006 e
che hanno continuità in quella 2007-2013.
Altro nodo che poteva spingere verso l’alto o condannare verso il basso il
Sud è quello del decentramento delle decisioni di spesa su alcune specifiche
materie alle Regioni. Il titolo V della Costituzione è stato modificato dalla
Legge costituzionale 3 del 18 ottobre 2001, che ridefinisce le competenze
rispettive delle Regioni e dello Stato e delinea l’architettura fondamentale
delle relazioni finanziarie fra i diversi livelli di governo.
Evidentemente questa riforma, nel ridisegnare la mappatura dei poteri e
delle responsabilità dal vertice alla periferia, seppure nata con gli obiettivi di
avvicinare la spesa alle sedi della programmazione e di dare maggiore
efficienza alla gestione delle macchine amministrative locali soddisfacendo
maggiormente i bisogni di cittadini; presenta i rischi di una maggiore
permeabilità della spesa pubblica legati all’attribuzione alle regioni di
responsabilità dirette in termini di indirizzo e controllo della spesa regionale
per alcuni specifici settori.
Questo capitolo intende analizzare i dati di finanza pubblica, per scoprire
quanti soldi sono andati al Sud, come sono stati spesi e per quale motivo
questi non hanno contribuito in maniera significativa allo sviluppo del
territorio meridionale.
Nel dibattito attuale emergono due posizioni. Quella tradizionale (che
rischia di essere la più innovativa, dopo tanti anni di “congelamento” della
questione meridionale) lamenta una progressiva riduzione dei trasferimenti

121
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e degli investimenti al Sud. Una tesi più critica evidenzia, invece, come le
risorse spese nelle regioni meridionali non solo hanno contribuito
debolmente al riequilibrio territoriale, ma hanno rafforzato i circuiti meno
trasparenti e congelato l'iniziativa imprenditoriale con incentivi senza
obbligo di risultato e progetti estranei alle esigenze delle economie locali.
Non c’è dubbio che entrambe le posizioni siano fondate e in questo capitolo
si cerca di motivarle, rimandando al resto del testo per tutto quello che
riguarda i “circuiti poco trasparenti” e i loro effetti sulla pubblica
amministrazione.
I dati di finanza pubblica denunciano una progressiva riduzione negli ultimi
anni dei trasferimenti e degli investimenti al Sud, solo in parte
controbilanciata dai finanziamenti provenienti dall’Unione Europea. Da più
parti è stato segnalato6 come, allo stato attuale, nel Mezzogiorno la spesa
complessiva della Pubblica Amministrazione (tanto quella corrente quanto
quella in conto capitale) sia più bassa che nel resto del Paese e come si sia
ben lontani dall’obiettivo che era presente nei DPEF fino allo scorso anno di
portare la spesa del Mezzogiorno al 45% del totale. Sta di fatto che, invece,
la spesa in conto capitale è scesa dal 41,1% del 2000 al 36,8% del 2006 al
35,4% del 2007.
Se si considerano i dati relativi alla spesa in conto capitale del cosiddetto
settore pubblico allargato, che include tutte le entità ricadenti sotto il
controllo pubblico e impegnate nella produzione di servizi destinabili alla
vendita, nel confronto fra il 2000, anno di partenza dell’analisi, e il 2007, si
evidenzia la tendenza che nel periodo ha portato un incremento più
contenuto nelle regioni meridionali rispetto al Centro Nord, per cui
quest’ultimo è cresciuto di oltre 40 punti percentuali contro i 16 del
Mezzogiorno e i 23 delle quattro regioni oggetto dell’analisi in profondità.
Tra di esse, solo la Sicilia si colloca al di sopra del valore medio nazionale
(con un aumento del 33,8%), mentre tutte le altre regioni hanno conosciuto
un incremento in termini di valori di spesa che va da un minimo di 11 punti
percentuali in Puglia, ai 12,7 della Calabria, ai 26 della Campania (tab. 49).
In termini assoluti l’ammontare della spesa è stato, per il 2007, pari a
76miliardi e 773 milioni di euro; di questa, circa il 68% è stata indirizzata
alla regioni centro settentrionali, mentre il terzo restante ha riguardato le
regioni del Mezzogiorno, per un ammontare che ha superato i 24 miliardi
miliardi di euro.

                                                            
6
Da ultimo si segnala il Rapporto Svimez,2009

122
935_08

Se si osservano parallelamente i dati relativi alla spesa media pro capite nel
2007– fatto 100 il valore medio nazionale –; le regioni del Mezzogiorno si
fermano a 91,9, ma le quattro regioni con maggiore presenza di criminalità
all’84,7%; mentre le altre regioni hanno conosciuto un incremento di 4,4
punti percentuali rispetto al 2000 .

Tab. 49 - Spesa complessiva e spesa media pro capite in conto capitale del Settore Pubblico
Allargato in Italia, al Centro-Nord e Mezzogiorno (n.i., comp.%)

Regioni Spesa in conto Composizione % Spesa media


capitale nel 2007 della spesa 2007 pro capite nel 2007
2000=100 a livello nazionale n.i.Italia= 100
(pari a 76.773 mln €) (pari a 1.287,73 €)

Campania 126,0 8,4 86,0


Puglia 111,0 4,5 65,5
Calabria 112,7 3,6 107,6
Sicilia 133,8 7,6 89,5

Totale quattro regioni 123,0 24,0 84,7

Piemonte 139,7 6,7 90,5


Valle D'Aosta 132,2 0,7 324,7
Lombardia 149,2 13,6 84,3
Trentino-Alto Adige 130,4 5,0 294,4
Veneto 152,9 7,4 91,0
Friuli-Venezia Giulia 164,7 3,2 157,3
Liguria 124,3 3,0 111,3
Emilia - Romagna 128,9 7,3 101,5
Toscana 118,2 5,8 93,3
Umbria 118,3 1,9 128,2
Marche 110,8 2,3 87,2
Lazio 167,2 11,1 119,1
Abruzzo 109,6 2,1 93,4
Molise 79,8 0,7 125,4
Basilicata 96,7 1,7 166,9
Sardegna 102,3 3,7 131,0

Mezzogiorno 116,4 32,1 91,9

Centro-Nord 140,7 67,9 104,4

Italia 131,9 100,0 100,0

Fonte: elaborazione Censis su dati MISE – DPS- Conti Pubblici Territoriali

123
935_08

Se si osserva l’andamento fra il 1997 e il 2007 della spesa del cosiddetto


settore pubblico allargato connessa allo sviluppo (beni mobili e immobili;
trasferimenti in conto capitale alle famiglie e alle imprese, spese correnti in
formazione) e considerata dall’Unione Europea per la verifica del principio
di addizionalità, essa è cresciuta in termini reali del 18,5%, passando da
circa 54 ad oltre 78 miliardi di euro; per un valore medio procapite che, nel
2007, è pari a 1.324,7euro.
Tale crescita della spesa va però attribuita prevalentemente al Centro-nord,
dove, nei 10 anni considerati, si è avuto un aumento complessivo del 25,6%;
nel Sud, invece, la spesa è aumentata solo del 5,9%. Addirittura nelle
regioni del Sud meno interessate dai fenomeni mafiosi, dove la spesa
pubblica partiva da valori assai elevati, si è ridotta in termini reali del 4,6%.
Nelle quattro regioni che hanno costituito l’oggetto precipuo della presente
analisi, negli ultimi dieci anni la spesa pubblica in termini reali, già molto
bassa, è aumentata del 9,9% (tab. 50).

124
935_08

Tab. 50 - Spesa del settore pubblico allargato (SPA) (*) connessa allo sviluppo (**) per regioni,
2007 (v.a. in milioni di euro correnti, val. pro capite in euro correnti, var.% reale)

2007 Pro capite Var. % reale


Regioni e circoscrizioni (mln €) (€) 1997-2007

Piemonte 5.326,6 1.210,2 29,6


Valle d'Aosta 541,9 4.301,5 -18,1
Lombardia 10.750,9 1.115,0 20,8
Liguria 2.389,6 1.484,4 -14,9
Trento 1.973,5 3.844,3 9,2
Bolzano 1.964,8 3.978,0 32,9
Veneto 5.804,5 1.201,2 39,9
Friuli Venezia Giulia 2.569,1 2.102,3 36,6
Emilia Romagna 5.796,2 1.355,6 35,6
Toscana 4.534,5 1.233,2 15,4
Umbria 1.483,2 1.677,0 48,6
Marche 1.786,5 1.150,3 29,4
Lazio 8.674,5 1.559,9 38,0
Abruzzo 1.612,6 1.218,0 -10,4
Molise 520,8 1.623,4 -28,7
Campania 6.502,0 1.118,8 -0,2
Puglia 3.615,1 886,8 16,3
Basilicata 1.298,5 2.197,2 6,0
Calabria 2.812,8 1.401,0 8,0
Sicilia 6.141,2 1.221,0 19,7
Sardegna 2.877,8 1.727,8 0,5

Totale 4 regioni 19.071,19 1.126,8 9,9

Resto del Sud 6.309,83 1.617,3 -4,7

Mezzogiorno 25.381,02 1.218,7 5,9

Centro-Nord 53.595,93 1.381,6 25,6

Italia 78.976,95 1.324,7 18,5

(*) Il Settore Pubblico Allargato (SPA) trae origine dalla definizione utilizzata dalla Unione Europea
per la verifica del principio di addizionalità, includendo anche tutte le entità ricadenti sotto il
controllo pubblico e impegnate nella produzione di servizi destinabili alla vendita, a cui la Pubblica
Amministrazione ha affidato la mission di fornire agli utenti alcuni servizi di natura pubblica, come
le telecomunicazioni, l’energia, ecc.
(**) L’aggregato di Spesa Connessa allo Sviluppo, utilizzato con fonte Conti Pubblici Territoriali fa
riferimento alla definizione adottata dall’Unione Europea ai fini della verifica del principio di
addizionalità da parte degli Stati membri. Esso è composto dalle seguenti voci: (Beni immobili +
Beni mobili) + Trasferimenti in conto capitale a famiglie + Trasferimenti in conto capitale a imprese
private + Trasferimenti in conto capitale a imprese pubbliche + Spese correnti di formazione
Fonte: elaborazione Censis su dati MISE DPS - Conti Pubblici Territoriali

125
935_08

Il risultato è che nel 2007 la spesa pubblica procapite connessa allo sviluppo
del Mezzogiorno, che è di 1.218,7 euro, è l’88,2% di quella del Centro-
Nord, che è di 1.381,6 euro; ma se si considerano unicamente le quattro
regioni del Sud che, oltre ad essere la patria delle più temibili organizzazioni
criminali sono anche le più in ritardo in termini di sviluppo, la spesa
procapite scende a 1.126,8 euro, e rappresenta l’81,5% di quella del Centro-
Nord. Addirittura, in Puglia la quota procapite è di 886,8 euro.
In questa situazione, le risorse comunitarie destinate allo sviluppo, anziché
essere utilizzate come addizionali, sono diventate sostitutive di quelle
ordinarie andando a colmare, anche se solo in parte, la carenza di risorse
pubbliche. Ne è una riprova l’elevata quota (per una spesa nell’ordine di
circa 20 miliardi di euro) di progetti “coerenti”, ovvero di progetti che
avevano già copertura in altre risorse nazionali o regionali e che sono stati
finanziati con risorse comunitarie.
Un ulteriore tassello alla formazione di un quadro di maggiore certezza su
ciò che è accaduto negli ultimi anni nel Mezzogiorno e su ciò che ha
funzionato e su ciò che non ha funzionato – può essere individuato
dall’analisi dei diversi settori di destinazione degli oltre 50 miliardi di euro
che hanno rappresentato nella programmazione 2000-2006 l’ammontare di
riferimento per gli interventi di politica di coesione, il cosiddetto Quadro
Comunitario di Sostegno (QCS) comprensivo della parte di finanziamento
nazionale.
Su un totale dei costi ammessi, al 31 agosto 2008, pari a 57,6 miliardi di
euro, sono stati realizzati circa 259mila progetti di intervento, di cui la quota
più rilevante in termini di risorse è spettata al settore dell’industria,
commercio e artigianato e servizi (in sostanza si è trattato di aiuti diretti alle
imprese, per un valore di 11 miliardi, pari al 19,5% del totale). A seguire
una quota importante, di poco inferiore al 18% (10 miliardi di euro) ha
invece interessato interventi infrastrutturali destinati al sistema dei trasporti,
mentre il settore agricolo ha assorbito circa l’8% per un valore vicino ai 5
miliardi.
L’estrema frantumazione degli interventi ha in buona parte interessato il
sistema dell’istruzione (48.513 progetti ammessi per circa 1 miliardo di euro
impegnati), delle imprese (55.698 progetti) e il sistema agricolo (64.750
progetti).
Al di là del numero in termini assoluti di interventi, la scarsa concentrazione
ha prodotto un volume di attività dedicato alla gestione di questi che ha
necessariamente condizionato l’attività della macchina amministrativa

126
935_08

locale, e questo già costituisce un risultato non voluto da parte di una


programmazione il cui potenziale di impatto è risultato deludente (tab. 51).
Gli enti locali hanno scontato la propria incapacità di fare rete tra i diversi
soggetti e di condurre una programmazione di ampio respiro, capace di
guardare ai problemi veri del Meridione, e non agli interessi dei singoli.

Tab. 51 - Volume di risorse impegnate dal QCS Ob. 1 2000-2006 e dei progetti ammessi al 31
agosto 2008 per settore di intervento del QCS (v.a. e %)

Settori QCS Risorse Val. % Progetti Val. %


impegnate ammessi (v.a.)
(costi ammessi
in mln €)

Risorse idriche 4.327 7,5 2.293 0,9


Rifiuti 1.344 2,3 2.496 1,0
Energia 582 1,0 7.617 2,9
Difesa del suolo 2.823 4,9 3.820 1,5
Rete ecologica 711 1,2 2.636 1,0
Monitoraggio ambientale 208 0,4 471 0,2
Miglioramento delle competenze ambientali 63 0,1 498 0,2
Risorse culturali 2.922 5,1 4.439 1,7
Politiche attive del lavoro 2.595 4,5 13.491 5,2
Istruzione 1.214 2,1 48.513 18,8
Formazione superiore e permanente 562 1,0 11.455 4,4
Inclusione sociale 1.230 2,1 7.651 3,0
Altri interventi per risorse umane 83 0,1 642 0,2
Ricerca 3.500 6,1 4.700 1,8
Industria, commercio, artigianato e servizi 11.196 19,5 55.698 21,5
Turismo 2.124 3,7 4.523 1,7
Sistemi agricoli e sviluppo rurale 4.773 8,3 64.750 25,0
Pesca e acquacoltura 650 1,1 3.159 1,2
Città 2.592 4,5 2.672 1,0
Trasporti 10.327 17,9 1.867 0,7
Società dell'Informazione 1.268 2,2 8.527 3,3
Sicurezza 1.259 2,2 839 0,3
Internazionalizzazione 126 0,2 757 0,3
Capacity building e Assistenza tecnica 1.075 1,9 5.125 2,0
Totale 57.554 100,0 258.639 100,0

Fonte: elaborazione Censis su dati MISE-DPS- QCS 200-2006-Stato di attuazione al 31/8/2008

Alla base di ogni processo di sviluppo è la qualità del capitale umano che
segna il passaggio da un tessuto sociale emarginato, a un reticolo di energie
vitali e competenti, in grado di risalire la china.

127
935_08

Può essere interessante considerare l’utilizzo delle risorse comunitarie, nel


periodo 2000-2006, dedicate allo sviluppo del capitale umano e della
ricerca: esse hanno rapprsentato il 13,7% delle risorse impegnate, ovvero
7,9 mld su 57,6 mld di € complessivi spesi.
Per un terzo si è trattato di politiche attive del lavoro, centrate in gran parte
sul sostegno occupazionale e sulle attività formative.
All’istruzione è andato il 15,4% delle risorse di questo ambito. Si noti che
alla dispersione scolastica, ancora presente nelle regioni meridionali, sono
stati dedicati in sei anni 400 milioni di €, ovvero appena lo 0,7% dell’intero
ammontare di risorse comunitarie spese nel Sud.
Per quanto attiene alla ricerca, la parte più significativa delle risorse spese
ha riguardato l’aiuto alle imprese per progetti di R&S di interesse
industriale. A tale attività sono andati 1,9 miliardi di € sui 3,5 miliardi di €
spesi per incentivare la ricerca.
Il quadro delle risorse impiegate non da conto sull’esito effettivo che tale
spesa ha sortito nel migliorare le condizioni di sviluppo del Mezzogiorno.
La formazione è, spesso, stata al centro di critiche in merito all’efficacia
nell’impatto occupazionale, rilevando i pericoli di interventi basati sulle
istanze degli operatori del sistema formativo più che dei beneficiari.
Il successo della nuova programmazione non potrà che misurarsi anche sulla
base dell’impegno e dell’efficacia degli interventi mirati ad elevare la
qualità del capitale umano e la presenza di innovazione e ricerca (tab. 52).

128
935_08

Tab. 52 - Volume di risorse impegnate dal QCS Ob. 1 2000-2006 al 31 agosto 2008
orientate allo sviluppo del capitale umano e della ricerca (v.a. e %)

Settori QCS Risorse %


impegnate
(costi ammessi in
mln €)

Politiche attive del lavoro 2.595 33,0


di cui.
- interventi per il reinserimento lavorativo 407 5,2
- work experience 231 2,9
- attività formative, incentivi per la formazione e servizi
alle persone 1.217 15,5

Istruzione 1.214 15,4


di cui.
- progetti contro la dispersione scolastica 400 5,1
- attività per le donne adulte 61 0,8
- attività di aggiornamento culturale per gli adulti 54 0,7

Formazione superiore e permanente 562 7,1


di cui.
- istruzione e formazione tecnica superiore 249 3,2
- post obbligo formativo 53 0,7
- alta formazione 128 1,6

Ricerca 3.500 44,5


di cui:
- potenziamento infrastrutture e attrezzature di università e
ricerca 313 4,0
- trasferimento tecnologico e cooperazione pubblico-
privato 331 4,2
- aiuti alle imprese per progetti R&S di interesse
industriale 1.850 23,5

Totale quattro settori 7.871 100,0

Fonte: elaborazione Censis su dati MISE-DPS

129
935_08

Nel nuovo ciclo di programmazione 2007-2013 il nostro paese potrà


disporre di altri 124 milioni di euro, considerando congiuntamente le risorse
dei fondi strutturali comunitari (28,7 miliardi), il cofinanziamento nazionale
(31,6 miliardi) e le risorse aggiuntive nazionali specificamente destinate allo
sviluppo territoriale. Gran parte di queste risorse andranno al Meridione
(101,6 miliardi di euro); e in particolare alle quattro regioni maggiormente a
rischio, le uniche rimaste all’interno dell’Obiettivo1. Anche in questo ciclo
è poi previsto il finanziamento del Programma operativo nazionale
“Sicurezza per lo sviluppo”, unico al mondo, cui sono destinate risorse per
complessivi 1.158.080.874 Euro e che, nella nuova versione, ha l’obiettivo
di elevare gli standard di sicurezza dei cittadini e delle imprese
contribuendo, da un lato a riqualificare quei contesti territoriali ove si
riscontri una maggiore infiltrazione dei fenomeni criminali, dall’altro, ad
attuare azioni di diffusione della legalità che possano accrescere la certezza
degli operatori economici e la fiducia da parte dei cittadini.
Rispetto a quanto già realizzato in passato, quando la programmazione è
stata tesa soprattutto a contrastare la criminalità attraverso un investimento
aggiuntivo negli apparati tecnologici per il presidio del territorio; l’attuale
programmazione attribuisce un maggior peso agli interventi che mirano alla
diffusione della legalità in tutti i settori della vita pubblica (dalla Pubblica
Amministrazione, al mercato del lavoro, alla civile convivenza) e alla
riutilizzazione dei patrimoni confiscati ai mafiosi ricercando maggiori
sinergie con il partnerariato socioeconomico ed istituzionale.
Colpire i patrimoni e lavorare sulla legalità e sulla coesione sociale insieme
alle “forze buone” della società locale per assottigliare i margini delle
possibili infiltrazioni sono certamente due ingredienti fondamentali per
ridurre il potere delle cosche mafiose e per sottrarre almeno una parte del
territorio alla loro influenza.
Inutile dire che si tratta dell’ultima, grande, opportunità per avvicinare il
Sud più arretrato al resto del Paese e all’Europa e insieme per tentare di
contrastare efficacemente la grande criminalità.
Allo stato attuale, se è senza dubbio prematuro esprimere delle valutazioni
su quanto sta accadendo, si può, quanto meno, registrare, per quel che
riguarda l’insieme delle risorse comunitarie, la scarsa incidenza di
assegnazioni sulle disponibilità dell’anno, valida un po’ per tutti i settori: si
tratta di un fenomeno che è comune a tutte le fasi di avvio di
programmazione, ma che insieme segnala come le macchine amministrative
regionali e nazionali, lungi dall’essere rodate dalla passata esperienza,

130
935_08

presentino ancora lungaggini burocratiche e insufficienti capacità di


programmazione.
Per quanto riguarda il PON Sicurezza, si è assistito ad una buona capacità di
programmazione e di spesa sull’Asse 1, destinato ad interventi tecnologici
di potenziamento delle attività delle forze dell’ordine, mentre si rileva un
forte ritardo per le progettualità relative all’Asse 2, finalizzato alla
diffusione di condizioni di legalità e giustizia a cittadini e imprese.

131
935_08

132
935_08

CONCLUSIONI

L’Italia, pur non avendo goduto di un’economia drogata dalla bolla


finanziaria, nell’attuale periodo di crisi ha visto, contemporaneamente,
aumentare le distanze interne fra i territori e allentarsi le maglie della
coesione sociale interna, con le conseguenze di una crescita della
disuguaglianza fra le diverse componenti della popolazione.
Oggi le differenze nei livelli di distribuzione della ricchezza, delle
opportunità, del reddito tra il Sud ed il Nord del Paese sono più evidenti che
mai, con il rischio che un’inefficace redistribuzione della ricchezza attenui
le opportunità di crescita in generale e, nello stesso tempo,che la bassa
crescita, o l’assenza di crescita, riducano gli spazi di redistribuzione,
lasciando sempre più indietro le parti più deboli della popolazione.
Divari territoriali crescenti ci confermano che qualcosa non ha funzionato
sul piano delle politiche regionali. Le differenze nella distribuzione del
reddito e della ricchezza ci segnalano che qualcosa non ha funzionato nelle
leve dedicate alla redistribuzione. Entrambi i fenomeni ci impongono di
riflettere su ciò che dovrà essere improrogabilmente cambiato.
A pesare sul Meridione oltre alla debolezza del sistema imprenditoriale, alla
scarsa coesione interna, all’assenza di una classe dirigente all’altezza di
governare i processi amministrativi, si aggiunge la presenza delle
organizzazioni criminali che si sono inserite, spesso mimetizzandosi, in tutti
i settori della vita economica e sociale e che condizionano fortemente le
possibilità di sviluppo e di crescita del territorio.
Su tutti questi aspetti non si può non riconoscere la versione aggiornata di
una “questione meridionale” che continua a riprodursi e continua a
condizionare la vita di un terzo dei cittadini italiani.
La fase attuale non si caratterizza, quindi, solo per la condizione di forte
crisi dell’economia; questo momento per l’Italia sta diventando forse
l’ultima opportunità per affrontare, una volta per tutte e definitivamente, il
tema del Mezzogiorno. E non è un caso che proprio in questo periodo si
stiano alzando le voci di politici, amministratori locali, istituti di ricerca
autorevoli ( da ultimo lo Svimez) per rilanciare il dibattito sullo sviluppo del
Mezzogiorno e chiedere interventi di sistema per risollevare l’attuale
situazione.
Senza dubbio, la nuova programmazione nazionale, europea e regionale –
con i suoi modelli, i suoi obiettivi, i suoi risultati attesi - ci ha già

133
935_08

consegnato il disegno di una possibile Italia e di un possibile Mezzogiorno


dopo il 2013. Resta il problema del “fare” e di rendere effettive e praticabili
almeno quanto si è prefigurato nei documenti programmatici. Al momento
sembra però di essere in una situazione di immobilità, in cui non si riescono
a fare programmi per impegnare le risorse disponibili; salvo poi lamentarsi
per quelle sottratte per destinarle ad usi ordinari o al Nord del paese.
E’ giusto che il Sud chieda maggiori attenzioni, ma nella consapevolezza
che non può che trovare al suo interno le energie e le strategie indispensabili
a risollevarsi.
Criminalità e affarismo costituiscono la principale zavorra per lo sviluppo
meridionale perché, oltre a deprimere l'etica e la legalità collettiva
inducendo i cittadini a pensare che esistono scorciatoie illegali attraverso le
quali è possibili raggiungere qualsiasi fine, distorcono i mercati (delle
merci, del lavoro...) creando monopoli di fatto e bloccano l'iniziativa di chi
opera nella regolarità.
Non esiste, evidentemente, una ricetta vincente per sconfiggere la
criminalità; senza dubbio un sistema normativo e di contrasto che si
prefigga, in primo luogo, di sottrarre ai mafiosi i patrimoni illecitamente
accumulati è fondamentale per ridurre il potere e la pervasività mafiosa; ma
è anche fondamentale un’azione di rinnovamento profondo della classe
dirigente locale e di forte sensibilizzazione della popolazione ai temi della
legalità e del rispetto delle regole: perché nei territori dove c’è la criminalità
organizzata bisogna intervenire presto sulle coscienze quando ancora non si
sono formate, perché dopo potrebbe essere troppo tardi.

134
Allegato

I PRINCIPALI INDICATORI DEMOGRAFICI


935_08

Al Sud risiedono 20.826.000 italiani, più di un terzo del totale, mentre in


Campania, Sicilia, Calabria e Puglia vivono 16.925.326l persone, pari all’
81,3% della popolazione meridionale (tab. 53).
Le quattro regioni sede delle organizzazioni criminali più temibili sono
caratterizzate, con l’unica esclusione della Calabria, da una densità abitativa
piuttosto elevata, da tassi di natalità che superano la media nazionale (anche
in questo caso fa eccezione la Calabria), da una quota significativa di minori
e da un numero di anziani che è decisamente più basso che altrove.
Gli stranieri, seppure in crescita negli ultimi anni, rappresentano ancora una
esigua minoranza della popolazione (la media delle quattro regioni è
dell’1,9%, contro una media Italia del 5,8%), in quanto preferiscono
dirigersi verso le più ricche regioni del Nord, che offrono anche maggiori
opportunità occupazionali.
La Campania, con 5.811.390 residenti, è caratterizzata da una densità
abitativa molto elevata, di 427,6 abitanti per kmq (nelle quattro regioni la
media è di 229,5, e in Italia di 197,8) e da un tasso di natalità (dato dal
numero dei nati ogni mille abitanti) più alto che nelle altre quattro regioni
(in un anno si hanno 10,7 nati per mille abitanti, mentre la media delle
quattro regioni è 9,9 e in Italia è 9,5).
La popolazione sotto i 14 anni di età costituisce il 17% del totale dei
residenti, mentre i residenti di età superiore ai 65 sono il 15,7% del totale (si
consideri che in Italia la media è del 20%).
Un’indicazione rilevante sulla struttura della popolazione proviene
dall’indice di dipendenza, che misura il rapporto tra la popolazione che non
è in età lavorativa, quindi bambini sotto i 14 anni ed anziani sopra i 65, e
quella potenzialmente attiva (le persone tra i 15 ed i 64 anni), che nella
regione Campania assume un valore assai basso, e pari al 48,4% ( il valore
nazionale è 51,7%).
I residenti stranieri rappresentano circa il 2% della popolazione regionale e
sono 114.792.
In Sicilia, dove vivono 5.029.683 abitanti, si registra una densità più bassa,
rispetto alla Campania, della popolazione residente (195,6 abitanti per kmq).
Considerando la struttura della popolazione, si evidenzia una percentuale
inferiore di giovani rispetto agli anziani (il 15,6% contro il 18,2% degli
anziani); questi due sottogruppi pesano sul resto della popolazione (quella
potenzialmente attiva), in maniera più rilevante che nelle altre quattro
regioni, come testimonia l’indice di dipendenza, che fra le quattro regioni a

137
935_08

tradizionale presenza di criminalità organizzata è il più alto ed è pari a


51,3%.
Gli stranieri sono 98.152, pari al 2% della popolazione siciliana.
In Puglia vivono 4.076.546 persone e si registra una densità abitativa non
molto superiore a quella della Sicilia (210,6 abitanti per kmq); anche in
questo caso la percentuale di anziani supera quella dei più giovani: gli oltre
4 milioni di abitanti hanno, infatti, per il 17,8% un’età che supera i 65 anni e
per il 15,6% un’età inferiore ai 14. L’indice di dipendenza è pari a 49,4%.
Gli stranieri in Puglia sono l’1,6% dei residenti (la percentuale più bassa tra
le quattro regioni oggetto di approfondimento), 63.868 in valore assoluto.
La Calabria, infine, avendo territorio esteso e un numero di residenti
inferiore alle altre tre regioni (2.007.707), presenta una densità abitativa
molto più bassa , pari a 133,1 abitanti per kmq.
I giovani sono il 14,7% del totale dei residenti (la percentuale più bassa tra
le quattro regioni considerate) e il tasso di natalità è basso, a significare una
scarsa propensione da parte della popolazione locale ad investire sul futuro;
più numerosi risultano, invece, gli ultrasessantacinquenni, che sono il 18,5%
della popolazione: ne deriva un indice di dipendenza del 49,8%.
Gli stranieri sono 50.871, il 2,5% dei residenti; da segnalare che in questa
regione gli immigrati dal 2000 al 2007 sono aumentati in misura più
imponente (+160,5%) che nelle altre tre regioni (in cui la media è +79,2%)
e, addirittura più che in Italia (+134,4% nel periodo considerato).

138
935_08

Tab. 53 - Principali indicatori demografici. Anno 2007 (v.a., val.% e var.%)

Area Popolazione Densità % pop 0- Indice di Indice di Tasso di Tasso di Stranieri Stranieri Var.%
abitativa 14 invecchiamento dipendenza natalità mortalità per Stranieri
(ab/kmq) 100 ab. 00-07

Campania 5.811.390 427,6 17,0 15,7 48,4 10,7 8,5 114.792 2,0 104,3
Puglia 4.076.546 210,6 15,3 17,8 49,4 9,4 8,5 63.868 1,6 72,3
Calabria 2.007.707 133,1 14,7 18,5 49,8 9,0 9,0 50.871 2,5 160,5
Sicilia 5.029.683 195,6 15,6 18,2 51,3 9,8 9,6 98.152 2,0 40,0

Totale 4 regioni 16.925.326 229,5 15,9 17,3 49,7 9,9 8,9 327.683 1,9 79,2
Resto del sud 3.901.443 79,2 13,0 19,9 49,0 8,3 9,5 100.721 2,6 135,8

Nord-Ovest 15.779.473 272,3 13,2 21,4 52,9 9,4 9,9 1.223.363 7,8 150,2
Nord-Est 11.337.470 182,9 13,6 21,0 52,7 9,7 9,9 923.812 8,2 178,2
Centro 11.675.578 200,0 13,2 21,4 52,9 9,2 10,0 857.072 7,3 105,1
Sud e Isole 20.826.769 169,3 15,4 17,8 49,5 9,6 9,0 428.404 2,1 89,9

Italia 59.619.290 197,8 14,0 20,0 51,7 9,5 9,6 3.432.651 5,8 134,4

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat

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