Sei sulla pagina 1di 29

MOSTRA DI QUADRI

STEFANO BUDICIN 2010


PROLOGO

Altro volto può


scolpire,
chi animato pensa
ad altro,
e per casi sommi
ed alti,
presta fede al prefissato
e l’operato riottoso
non ribelle protesta
per la sua
avvenuta genesi,
e pare causa di fiumi
d’applausi;
Colui che il mare,
la mente e l’estro
sa sfruttare a pien
regime,
asporta ansie
e rimorsi, dando
vita a ciascun
di essi,
e per certo
la fatica, viene
presto superata,
da clamori di
fama e gloria,
ma il talento non si compra,
non inganni il suo
nome,
che per anni fu impiegato,
per pagar triremi
in tempi bellicosi,
nella decantata terra
ove alte rime
giocarono maestose,
e grandi le
consegnarono
ai posteri i classici
cantori d’arme,
amor e virtute,
narrando gesta d’Eroi Ateniesi.

Prepara l’ispirazione,
donna sapiente,
al che l’ardita
storia saggiar
io
possa...
MOSTRA DI QUADRI

Vi era un tempo
in cui si soleva
narrare miti
o presunte leggende
all’aperto, in
gare e feste,
fiere e giochi,
ed uno dei villaggi splendenti
per essi stava
celebrando la festa dei
colori di fine
grigiore, evento
culminante con l’arrivo
della primavera
e la morte temporanea
del gelo invernale.
A tal festa
partecipavano artisti,
letterati, saggi
eruditi e semplici
campagnoli.

Era appena terminata


la competizione delle
“ Opere d’avorio”
e tutti erano attoniti
attorno tre
scultori che scolpivano banali
statue classicheggianti
e dietro ad essi,
lontano dalla folla,
un pittore era
intento ad esporre
dieci quadri di una
bellezza angelica, struggente,
sognante, che suscitavano
però poco interesse,
ed egli intento
lavorava ad una nuova opera,
incurante del circostante.

Ma un bambino,
a cui passerei
con volontà la parola,
s’avvicinò peregrino
e mosso da commozione,
così fece..

“ Aizzano nuove
vie emozionali,
gentil signore,
questi quadri così
intensi,
paion intessere una
storia.”

“ La coscienza onora
i tuoi riflessi, arguto
ragazzino, e se
altro vuoi sia
narrato, sfoga
il dubbio ed
entro il dipinto tu sarai.”

PRIMO QUADRO

Quando il bel talento bastò alla ribalta

Nel Dipinto: Una lussureggiante distesa verde descrive calanti timori e deporta i guardoni nel vivo della
scena...

Un intenso blu,
cielo cilestrino,
ed opposto ad esso un verde rigoglioso,
ondulato dall’età,
livellato da giochi tonali,
strumento di passione
fedele sosteneva un contadino
intento a riposar le stanche
membra.

La gentil brezza leniva


la pena
e sorridente il giovane
smarriva le lagne
contemplando l’orizzonte
ermetico.

E dal bordo del dipinto


degli accesi capelli castani
parevano notarsi,
e l’ozioso contadino,
fece cenno a quella massa di
condividere tale
momento.

“ Jarval,
mio amato,
quale ozio vai gioendo?
Non noti forse le
nubi d’oro che
chi ci sostiene
verrà presto a reclamare?
Per qual motivo
intrecci sospiri
distesi all’ombra di questo
platano che invoglia
al riposo?
Son forse già in fiore
le sementi a noi vitali?

E se così fosse,
perchè non le
cureresti con acqua
e sudore?

Tale calma
attira anche chi
non ha cuore per portare
pace e sicurezza con sè,
per mille martiri costretto
al lamento e piegato al lavoro,
ed io crogiolo sotto l’aureo manto
e deturpo la
serenità con angosce di
false promesse..

“ Cara moglie,
guarda il cielo sorridente,
esamina l’erba
tenera che taglia scudi
e lame di chi le si oppone
invitandolo ad abbracciarla,
mira il celeste orizzonte,
non ti ispira forse gioia?

I campi possono riposare,


così come io,
all’ombra di tale
impavido platano,
smarrisco dolori ed esprimo
pensieri dolci e leggeri.”

“ Rammenterai forse
dell’imminente siccità,
per la quale i raccolti mai
più tali saranno,
e pace e quiete
uniche compagne nella terra che
verrà, e da cui non
torneremo.

Bada a tuo
figlio, al piccolo
Steluin, che già grande,
e grande non è
per somigliarti nel lavoro.

Il tempo è dittatore,
il suo consenso dobbiamo
aizzare con fatica
e sofferenze, ora vieni,
sposo mio, e ritorna
al dovere a te dovuto.”

Jarva “ Possa il
vento dei ben pensieri cullare
il tuo spento sorriso..”

Al di là del platano
stavvi una rossa ritta
cascina, decorante il
sottinteso prato chiaro
che nulla aveva più per sè.

Passavan i meriggi,
solcavano acque
malsane l’infantili
albe,
e sempre più nero il raccolto diveniva.

Non bastò il duro


impiego, che Kalina,
sposa di Jarva,
dedicò per anni ed anni.

Forse lento fu il marito,


nel mescolar le carte
vittoriose, ma il destino
aveva preteso il proprio compenso.

Abbandonano i campi verdi,


salpano gli avventurieri,
non in tre, ma padre e
figlio, verso nuove terre
di speranza.

Steluin, attonito,
due lustri portava in spalla,
e scrutava il profilo della
sua creatrice.

Parole pie,
che sogliono sgorgare
da chi ha il petto gonfio d’oro,
puro ed umile,
e non teme di disturbar,
con vocaboli inadeguati,
se ha sete di proclamar il vero.

Parole che il bimbo


scagliava come frecce
cercando un
motivo valido della
loro partenza.

Oh Jarval, prode
animo sensibile,
provvedi a consolare
questo onesto fanciullo tremante.

“ Conserva le lacrime,
meraviglia del creato,
che in futuro ti serviranno,
più avanti imparerai,
non si vince con sogni
e specchi idilliaci,
il sol che può
infrange le illusioni
di perdenti.

Non sfruttare malumori,


rabbia ed odio,
che la colpa non fu tua,
e tieni a mente
che il domani non sempre
sarà rigoglioso, ma serberà
rigoglio, impedendo
buoni frutti.”

E Steluir lo
guardava rapito,
e si poteva facilmente
interpretare il
suo sguardo,
occhi di chi ricerca il
volto materno
ed è in punto di scoppiare;

Dolce luce divina,


potè il tuo neonato
sguardo farsi portavoce
di commozione
e nostalgia al punto che
si riusciva quasi ad udir
cantare gli occhi
“ Mamma, dove sei?”
“ Mamma
deve rimanere,
così è stato
stabilito da chi ci protegge,
un nuovo marito
è in servo per lei
e la città attende i nostri
lamenti.”

Ed in tale primo dipinto


fu scolpito il grande
infarto che minò
l’equilibrio del povero fanciullo,
il volto silente,
la mente sapiente,
lo sguardo a ponente,
là dove, oltre
al Sole,
tramontò per sempre
il legame
con sua madre..

SECONDO QUADRO

Nel Dipinto: Una città valente e tremante di toni accesi e grigi, esperte mani intessero emozioni su tale
tela dipinta.

Nuovo corso lento ed irto


fu serbato in loro
onore,
ai due aitanti lavoratori.

Insigni d’aspetto,
feriti nel core,
erranti pastori,
nell’ombra si muore.

Cresceva Steluir
in mezzo al dolore, aizzava
il piacere
leggendo misteri.

Cresceva libero,
indagava l’ignoto,
stimolato febbrilmente
dal padre sempre presente.

Cresceva Steluir,
e maturava fantasie,
sogni et astute baldanzerie.

Cresceva lui solo,


spandendo credenze,
estinguendo la sete,
e presto fu tosto,
al tempo d’errore,
si resse d’albore
e mosse all’Amore.

TERZO QUADRO

Nel Dipinto:
Nero e grigio,
toni piatti e spaventati dominano nella tela, riproduzione di una fabbrica in cui lavorano senza sosta schie-
re di figure in abiti verde olivastro,
tutte uguali, recanti sul viso i segni della fatica.
Accanto ad uno dei lavoratori emergono Jarva e Steluir, il cui viso è segnato, sì, ma speranzoso.

Sette, Otto
Nove, Dieci

Ecco il turno
dei superuomini.

Undici, Dodici
Tredici, Quattordici

E chi li ferma più?

Intrepidi stacanovisti,
nulla frena il loro operato.
Impegno e costanza per
monete sparse in giro,
anche a costo della vita.

Intrepidi stacanovisti,
nulla frena il loro operato.
Sì, l’industria può funzionar,
anche l’avvoltoio potrà mangiare.

Intrepidi stacanovisti,
nulla frena il loro operato.
E muoiono cotti
dal calore della stanchezza.

Jarva e Steluin,
sommessi sommossi,
roteano gli arti,
sforzano i muscoli,
stringono i lacci,
si strappano i vestiti,
e le ore si confondono
tra loro, come
i colori espressi dalla tela.

“ Spera figliolo, viaggia


et spera, un giorno
sarai davanti a
banchi e lavagne, per
ora in mezzo a fumi e calore.
rinforza tuttavia i tuoi
bei pensieri, e protettori
alati migreranno per salvarti.”

E Steluir ubbidì,
da pargolo fedele
di illuminato estro,
scandendo ai più
non posso raccontarvi,
flemmatici desii
a lungo incastonati nell’animo
suo solo.

Migrava in nuove
lande, solcava
mari di cristallo dorati,
lambiva mari di trasparenza
decorati, vestiva
se stesso di miraggi,
donandosi nuovi volti
per soddisfar capricci
esistenziali,
e volava, valeva,
voleva, va l’uva
incespicando nel recipiente
ubi spremuta sarà,
e drogata bevanda ella genererà.

Sogna sapiente
e sarai memoria per noi
avvoltoi,
o carcassa per noi cari.

Vele nere increspavano


però i suoi solidi
viaggi,
e nella dura salita
che i suoi coevi stavano
intraprendendo,
egli appartato notava
vibrazioni,
il richiamo di gesta
sepolte ed il
suono della Natura,
meccanicamente lo
ipnotizzavano,
ed intento le
studiava, bizzarre
realtà manifeste,
festose festanti
pestando piede
su un terreno poco
solido per sfiorare
nuvole e tersi
bagliori,
e la magia della fantasia
era il simbolo del giovanotto.

QUARTO QUADRO

Rose e Rosei contorni prevalgono sul legno. Sullo sfondo un mare che pare cordiale, ma segnato dalla
corrente, sapientemente tratteggiata da linee nere leggere leggere, e verso il Sole,
uno stormo di rondini plasma il tono col suo calore.
Ed in basso due figure, lui rosso vivo, lei giallo chiaro, si studiano in un riuscito gioco di sguardi
bene impresso sulla tela.
Alla destra dei due, due figure, altro non sono che gli stessi ragazzi dipinti altre quattro volte.
Ogni figura è alla destra della precedente, ciascuna coppia supera in età la precedente.
L’ultima coppia, messa in risalto dal bel tocco, è la più splendente e felice della scena. Abili artifici pitto-
rici paiono aver unito il rosso ed il giallo creando l’arancione che caratterizza i due ragazzi,
ed è cosa esemplarmente curiosa, un forte messaggio si cela dietro a questo stratagemma.

Ella era
Eleondil di nome,
amica ignota
di giorni festosi,
selvaggia
bellezza, intrepida
scrutava
il giovane Steluir,
e presto s’accese
una dolce scintilla,
che urla poi fece,
gridar ad entrambi.

Una nuova e dolce


sensazione, nobile
ed elevata, guidava
il ragazzo,
progredendo, il cammino
sembrava più lieve.

Progredendo,
accrebbero
conoscenza, i due
passerotti,
come splendidi petali,
si posarono su un fiore
che però,
a breve, sarebbe sfiorito.

Ma lor non conoscevano, tal


losco finale.

Lieto era Steluir,


incurante di ciò ch’egli
avea in memoria,
il suo animo perseverante
era a rischio di distruzione,
troppi dolori
meditò il fanciullo,
troppo odio covò in sè,
troppe menzogne
rinchiuse in gabbia,
troppo fu errante,
vigliacco e
voltafaccia,
ed osò egli
solo, sfidare
il divino, ad una
partita che perse miseramente.

A tal degrado veniva incontro


la purezza
di Eleondil,
la bellezza insita
in lei, che fè
la resa rassegnata
al cospetto della
fanciulla.

Eppur nulla inerente


al Sacro Bene
osarono dichiararsi,
per paura
d’illusioni intaccate,
d’impossibile legame,
o d’avverse circostanze.

Passavano giorni
mirabili in festa,
accrescendo uniti
un legame rischioso.

Venne una sera, giunse


il momento di destar
ritorno per
i due ragazzi,
allontanando i
propri profili.

E soli dissero “ Ci rivedremo


come gli anni passati
anche il prossimo”

Ma ciò non accadde...

Passò il tempo, e Steluir


non tornò dalla sua sbocciata
rosa, e fu
un trauma ch’egli serbò,
segreto, di anno in anno,
sfogandosi in disparte
cancellando ogni
emozione che non fosse malinconia.
Era serio ed indifferente,
ma il suo cuore morente piangeva...

Forse fu il
corrotto animo

Forse fu il gioco
col Creator

Forse sognò
un po’ troppo,
ma il risveglio
fu terribile,
ed egli compì
in tal foschia i tormentati
passi, non
più bimbo ma
reo e rabbioso.

QUINTO QUADRO

Nel Dipinto:

Il nero ed il viola anneriscono i toni piatti che il pittore tenta, col pennello, di imporre alla tela.
Svetta imponente un edificio giallognolo, appassito, arricchito di crepe marroncine delineanti una trascu-
ratezza di fondo. Tante figure intorno ad essa, fra di esse spicca un ragazzo minuto e muto
dai lineamenti dolci, da uno sguardo vuoto e da oscuri contorni.

Ed ecco il tempo
in cui la triste
notizia giovò
all’errore,
sprofondando nel
baratro,
di infernal tentazioni,
con coscienza di tal angoscia,
soffocando e reprimendo,
delusione, rabbia et
odio, in totale
armonia con un’indifferenza
sol apparente.

Brillate, estatici ricordi,


maliziosi doni,
entusiaste andature,
spargete il grano
della compassione,
fiorisca l’acacia
su uno stelo
saldo.

Seminate la comprensione,
distendete veli di pietà
su tal periodo nero.

E tu, dolce
malìa, sorridi
di nuovo,
osrù, dove saresti?
Orsù, perchè ti
nascondi?

Vuoto il paesaggio,
ricalco le tue tracce,
nel fondo della
memoria,
morente invoca
la tua immagine.

Trascorsero anni,
furon abbastanza
per il ragazzo ed il
suo sogno
ubriaco, al cospetto
della gente,
restò fermo
solo, scuro,
coccolato da pochi
frammenti che
colpivano Steluir
in giornate diverse, distanti,
aitanti aiutanti, nel
blu della Notte,
il grido risuona, il cieco ora
vede, il sano ora duole.
SESTO QUADRO

Nel Dipinto:

Grigio è il nome di questa nuova scena, su d’una panchina, in disparte, contro un muro di cemento, pian-
ge una figura silenziosa, accanto a lei una fanciulla, scruta lieta il cielo malsano,
appresso ad altre cinque, sei persone, tutte unite in un abbraccio.
Sullo sfondo, in lontananza, un faro illumina la notte.

“ Ripenso violento al bel


dì che fu,
nessuno mi urti,
son un vile malpensante.”

Ripiega il ragazzo il
suo libriccino,
ha letto un po’ troppo,
ha fatto ciò che ha letto,
ma non letto cos’ha fatto.

Fu forse questo il
suo error maggiore,
che storto lo rese,
errabondo e furente,
faccia a faccia perdente.

Crollò tutto dentro se’.


Avea amici, or non
più tali.
Avea buoni risultati,
lo lasciarono solo.

Creò un mostro
per innalzar il suo
manichino, in
un negozio in
cui gente rifiutava di entrare.

Pregò favori,
fè promesse,
non mantenne la più pura.

Forse quello lo sconfortò.

All’estuario d’un
fiume in piena
di rimorso egli
vide un faro che illuminò
fiocamente la foce in cui
dimorava.
“ Chi siete or
dunque?”

Non disse parola alcuna il misterioso


faro,
una luce indicava l’orizzonte,
forse un segno?

“ Cosa sono i segni


oramai, se non
sogni rassegnati,
io sol sogno e non
segno se sia sogno
oppure segno,
ma sol segno
tale sogno,
assegnando segni e sogni
ogni anno nei dintorni.”

Canta la tua
melodia, stimato
autore,
imperversa e vola sicuro
del messaggio che vuoi donare.

Canta sogni,
segni e bei pensieri,
librati in volo
ed esprimi la tua essenza.

Sii forte,
sii saggio,
duri a lungo il tuo
reame.

Sii tosto e giusto


contro chi vuol
il tuo nome
veder nel
fango.

Spingi via la nebbia


che ti inforca.

Defraudati della paura,


rinforza il Sacro Bene,
chi tu cerchi non
attenderà troppi
tramonti.

Ma il ragazzo
nulla fece,
od almeno ci provò.
a tentar di raddrizzar,
la sua storta direzione,
conficcata giù nel fango,
ricadendo a terra,
sbeffeggiando il vero per
volere del comodo
desio.

Stavvi nel fondo il


ragazzo fremente,
i precoci interessi balzati
via, scacciati,
schiacciati
dal malvolere del
buoncostume.

Jarva il
padre era teso
et allarmato,
e più volte
tentato avea,
di parlare a Steluir
senza il sorriso.

Ma il distacco s’era fortificato,


distanziando i
due oltre il mare di
contrasti che a lungo
li abbracciava,
nel fervore
adolescenziale il grande
tornava piccolo,
il piccolo rimaneva tale.

Venne un giorno
triste e tormentato.

Il sol padre
ammalato,
d’ un disturbo assai raro.

E ciò bastò per compir


miracolo.

SETTIMO QUADRO

Variopinto sortilegio!
Scelte indubbiamente espressive regalano vivacità a questa tela segnata dal tempo.
Due figure rosso fuoco scrutano una casa in piena campagna; il più a sinistra sorregge un bastone,
si nota il suo pallore, sintomo di un malore che lo percuote.
Accanto ad egli un ragazzo indica la casetta, vicino alla quale lavora i campi una donna, assieme a lei
altre quattro creature.
Sfondo appariscente, alberi a sinistra macchiano il cielo luminosissimo, il contrappunto delinea il profilo
dei personaggi della tela.

“ Resisti padre,
il tuo bambino
è qui con te.”

Arduo fu dirlo,
ma lenì la pena,
e bastò al perdono.

Parole sincere,
frementi,
finalmente eruppero,
gliaciali, vulcaniche,
ed un po’ di sollievo
seppero dare al
povero
Steluir.

Coraggio ci volle,
per assumere
i propri doveri,
ed il ragazzo si riprese
ciò che aveva oramai
perduto.

Cominciò a raccontare,
con vocaboli incompresi,
ciò che più lo tormentava.

Ed ei era certo
di poter notare un
volto sorridente
formato dalle stelle,
nella notte, quando era
intento a dialogar
furtivo
con i suoi pensieri d’errabondo.

Il padre, ammalato
dal disumano
servizio sostenuto nella
fabbrica,
era a rischio di dormir
per sempre
e toccò al prode Steluir
il contegno dei beni e di
monete scintillanti.
Fu il lavoro a trovar il
ragazzo,
divenne scriba
alla corte d’una famiglia
benestante.

Scrittori e Poeti,
Saltimbanchi Intellettuali,
Menestrelli Irriverenti,
Puntigliosi Maccheronici,
invadevano la piazza
danzante della città
coi loro numeri
di magia creativa,
e Steluir
era il novello arrivato.

Al di sopra fu
di molti,
e molto interesse seppe intascare,
donando speciali
magie, malìe et artifici
esaltanti a ristrette
cerchie di presunti
fedeli,

d’un vuoto etterno


spremuto d’amore..

Bastò poco che il suo nome


risuonasse per
vie, vicoli, corsi,
alti versi famigerato
lo resero,
e ben presto divenne
un illustre creatore,
ma in pochi reali
intesero qual gli
andava di spiegar,
che soprusi, usi,
abusi,
non voleva lui trattar.

Parlò d’Amor con somma eleganza,


ma d’Amor fu preso in giro,
ripiegandosi in se stesso.

Ei conobbe una
lieta, pia donzella,
il suo nome rigava
dritto, mise in riga
a conti fatti,
quel che avea di
san dentro,
e parlò al sol artista,
sommamente
et
commovente.

“ Lieto il core
se voi deste,
vostro nome verbalmente,
acciocchè la mia
mente sia serena,
e di voi io
possa rimembrar,
una volta siate andato,
la nomea che osaste
portar.”

Alzò Steluir
il viso dal foglio
lordo d’inchiostro,
e fece...

“ Il mio nome reca


Steluir sulla fronte,
graziosa fanciulla,
ditemi piuttosto,
chi siete voi?”

Lodata la creatura fu
da mille portatrici
di bellezza, beltà e bene,
splendeva solete
tal illustre celeste,
occhi di ghiaccio,
sorriso compiaciuto,
capei dorati
distanti
dall’aura, profil e curve
geometricamente
intatti, sguardo
intenso, ma mai quanto...

“ Fenice mi chiamo, astuto


poeta, ti prego d’alzarti,
ramingo cantore,
tu possa serbare,
le frasi d’amore.”

Si conobbero,
passò il tempo,
e maturò una simpatia
che, come
vuol il nome suo,
sta in superficie non
intaccando.

E Steluir oramai infervorato,


poco bastò che cancellasse il
nome Eleondil da chi l’Amor ha
reso oggetto,
mirando la Fenice,
mirabile spietata,
intenta in un gioco,
di serpi e veleni,
con tanti imbecilli.

Un bel giorno,
si fè avanti
il giovane omuncolo,
ispirato dal nuovo
corso,
si raccontò alla fanciulla,
ed ottenne
una rapida attesa.

“ Dimmi ti amo
e ti rivelerò i
miei amanti.”

Questo il senso
della giovane,
installato et infiammato,
nel suo petto d’ardor ardente.

Una svolta imprevista


bastò per ricader nel lutto,
ed il giovane scrittore,
pianse versi di fango
cosparsi.

E rimorso,
enorme, profondo,
profano rimorso,
il ragazzo ricevette,
destinandolo ad un
cuore, giunto
al punto di scoppiar,
dopo tempo perso a spender,
gioia e riso in
un’esperienza rimasta
astratta.
OTTAVO QUADRO

Nel Dipinto:

Elleboro, fresche foglie, verde acceso, un giardino fiorito! In questo meraviglioso dipinto fuoriescono
animali, umani e piante con uguale armonia tonale, paiono staccati dal profondo verde che li circonda
e sogliono indicare l’uno l’altro, secondo uno schema circolare squisitamente bilanciato. Rilevante nel
contesto una figura presso uno specchio d’acqua, sul cui riflesso si staglia l’immagine che tal figura mira
come se ne fosse rapita.

Solo sulla riva,


pensiero silente,
naufragando
geme,
e spezza inquieto
la piatta distesa,
di acqua salmastra,
raggirando massi, scogli
et insipidi convogli.

Stette Steluir stante


stanco su stampi
rocciosi, lo sguardo
famelico di ritrovare
l’oggetto da rimembrare,
e nelle sue opere
per sempre celebrare,
per trovare quel
conforto, che l’avrebbe
reso ricco,
d’onestade et serenitade.

Ma il ragazzo non
mirava a lei per sè,
mai del mal le avrebbe fatto,
mai bugie le avrebbe dette
al cospetto della dama,
ed il vero sentimento,
scivolando lungo il braccio,
et entrando nella penna, si
poggiava su carta bianca,
commovendone il tessuto.

“ Rivivi negli occhi,


mia fioca fanciulla.”

E domande si mischiavano,
dando insiemi tondi et
sostanti, sestenti, ritenti,
si tenti la via,
più magro il consumo.

Presto, sulla cima


del colle dove grida il rientro
il grande astro lucente,
il ragazzo prese a scrivere
furiosamente,
e bianche note come leggere
danzatrici sinuosamente si muovevano
a lui attorno,
inebriando il suo
estro ansimante
di segni et segnal
sopiti da anni.

Ed ecco, presso
la riviera,
specchio salato
si fece da parte e ne
uscì un riflesso sfocato
dal mormoglio continuo
che l’acqua padroneggia
con mirabile perizia,
il sol riflesso che Steluir
bramava.

Lo guardò, e balzò quasi


fuori il suo cuore,
turbato nel guadar il fiume di
sentimenti che il ragazzo avea
impallato per sorregger la
fortezza dei ricordi passati col riflesso
oramai bene
impresso.

Fece per sfiorar


l’immagine vitrea,
pulsante il suo cuore,
all’impazzata battente.

Ma tutto ciò che


capitò fu
la caduta in un sonno profondo.

“ Vieni, Steluir,
salta da me,
non vedi che chiamo il tuo
nome ansiosa?”

“ Dove, dove ti nascondi?


Che incanto è mai
questo?
Sei oltre l’alpe oppur
alle spalle del tramonto?
Rendi viva la tua essenza.”

Eleondil “ Ciò può


solo se di fatto tu
sia fatto di pur pensier
e mi cerchi costantemente,
superbo il tempo dell’abbandono
ci trafisse,
eppur vivemmo,
o meglio, io
vivo ancora, della
mia salute conforto tu
avrai.”

Steluir “ Se stessi sognando


cantar non potresti.”

Eleondil “ Invece io canto,


il sogno è destato.”

Steluir “ Tu sei beniamina,


tu leggi il futuro.”

Eleondil “ Io leggo speranza


e dono sapienza.”

Steluir “ Tu sola io volli,


et altre respinsi.”

Eleondil “ Tu solo pensasti,


a spendere speme,
cercando in Fenice
l’amore più breve.”

Steluir “ Fu mio tal errore,


io possa patire,
ma certo vorrei,
aver tue notizie,
sperando un bel giorno,
di tesserti lodi,
scrutando il tuo volto
e baciando il tuo viso.”

Eleondil “ Enigmatico sorriso,


tu ancora non sai, ciò
che presto s’avvererà,
se voler tu voglia,
il tempo potrebbe abbreviar
cammino,
e tu et io
rimaner soli,
mirando la Luna, le Stelle,
le strade della Vita che
il gentil Dio donò a noi tutti.

Ma prima d’allora, sperare


dovrai, ancora et ancora,
finchè il bel racconto, ai
tuoi narrerai..”

Ed emerse Eleondil, sacra


stirpe del
Signore del Cielo,
fissò fissa il solo poeta,
ed egli, a passi incerti
ma precisi,
soppesando i dubbi, arrivò
a sfiorarle il viso,
reprimendo ansia e desio,
in attesa di un controllo
emotivo
che colmasse il suo girovago viaggiar.

Steluir “ Straziante è
il non starti vicino,
per tutto il tempo
che passava, rischiavo
di venir folle, ora
prego il buon Dio, che
l’attesa volga al termine..

Mia buona Volontà,


quanto sei bella,
arricchisci le mie
membra e brividi la mia anima
scossa registra costante..”

La baciò.

Risuonava il verso d’un violino nelle vicinanze.

Ed ella gli sorrise

“ Buon Risveglio
Steluir.”

E tutto svanì,
Eleondil, il
suono del violino, la
radura,
l’aurea atmosfera,
abbandonando Steluir
in balia di sol se stesso.

Ed ei, sconfortato
et sofferente,
mirò l’acqua
col fiato a riposo,
e nessun riflesso
apparve dall’ombra.

NONO QUADRO

Nel Dipinto: Ritratto di un giovane chino su una roccia, intento a meditare con le lacrime che fuoriescono
dai suoi occhi, prevalgono toni grigi ed azzurri, che creano un’atmosfera malinconica e nostalgica.

Steluir “ Stridi maggiormente, oh grezzo violino,


rallegra un po’ quest’anima sola..
Risuona ti prego, la pia melodia,
tu possa avverar l’antica volontà,
mi ispiri il fato la via più sicura.

Piange il cor nell’udir stridire il tuo dorso,


ed intanto stringo l’animo pensando dolcemente a lei,
distante, in disparte dopo una terzina di anni
perduti poggia il ricordo della
sua grazia elegante.
Orsù, perchè tutto pare così avverso?
Gradi e gradini illuminati dal ciel sereno
non salgo, e neppur altere vie
azzardate da coloro che mi precedettero
riesco a percorrer.

Assale il mio credo incerto una folta folle paura,


ch’io possa relegarmi e mai più uscirne fuori,
paragoni li detesto,
parentela mi somiglia, se non fosse che io
ebbi, il coraggio d’andar via,
con parole, versi e strofe, in mirabili
alti posti..

Ah mal destino, quale dono vuoi ti dia?


Raccomandami alla gioia, alla felicità
che reclamo da tempo, che per anni mi
fu negata, e possa ritrovar la disiata fanciulla
prima del trapasso.

Te ne prego, mio signore, angeli


custodienti segreti mai sopiti,
avveriate il mio desiderio,
io mai e più di tanto tosto
fui a reclamar in tal modo.
E’ un triste canovaccio in cui recitano pazzi ubriaconi,
pronti a tesser lodi per conto d’infami e falsi
modelli, ma in segreto lascian
gli avanzi a chi onesto dimanda giustizia...

Soprusi, abusi, guerriglie, tramonti rossi,


veglie funeree, fame, sete, alberi
cavi parenti stracolmi, mirabili gesti che perdono
colore, straordinarie azioni mascherate da eroici approfittatori,
ed altro accade nelle città gioiose.

Espresse il folle la sua ossessione,


ora nulla è da fare, nient’altro se non aspettare
concreti sviluppi, ed a te, oh Eleondil, umili
pensieri la mia mente rifletterà nel cuore,
che possa consolarlo un poco..

E tal preghiera possa inserirsi in spiragli


di luce, là dove ampi spazi le nuvole ritagliano
per dilettar speranza nei coraggiosi che alzano
il capo per sognare..”

Steluin fiducia prestava, e tetro


rimescolava, oppresso dal dubbio.

Ed i giorni passavano,
e grigi arrivarono, brutali temporali,
e triste lo scossero, inducendolo ad estremi
e tormentati lamenti.

DECIMO QUADRO

Nel Dipinto: Una via di sterrato, giunchi selvaggi intorno casuali e distese d’arbusti dal sapore mediterra-
neo si spargono intorno, un blu acceso, ceruleo, sposa il tessuto intagliando delicati arpeggi di pennello,
che ravvivano l’atmosfera
rubando i pensieri dei miranti e catapultandoli verso tale sentiero, sullo sfondo, delle rondini volano festo-
se.
Appena un po’ più in basso una figura scura,vagabonda, erra, inseguendo lo stormo.

Vecchio Pittore “ Finisce qui la bella storia,


se leggenda
oppur accaduta non occorre
che si
sappia. Quel che preme
è il suo valore,
del ragazzo assai tenace, la via pare
esatta, la ricerca improduttiva,
il core onesto e le intenzioni
cavalleresche,
e ricorda bambino,
non lesinare
da un proposito sol
se noti la sua
riuscita lenta e
tormentata, sii forte
e realizza te stesso ed i tuoi
obiettivi, la luce, si
sa, non è infinita...”

Il bimbo guardò festoso


il pittore, ringraziò, lo salutò
e verso un sentiero silente
se ne andò..

Ed il Poeta Errante ride soddisfatto.

Potrebbero piacerti anche