Sei sulla pagina 1di 14
IL CINEMA COME RIVOLTA Da I pugni in tasca a Il diavolo in corpo, dall’infatuazione maoista al teatro shakespeariano, dalle interviste agli ex pazienti dei manicomi alla psicoterapia collettiva di Massimo Fagioli. Uno dei pitt dissacranti registi del cinema italiano ripercorre il suo mezzo secolo di attivita attraverso un racconto al tempo stesso intimo e ‘politico’, privatissimo e profondamente intrecciato ai passaggi d’epoca che hanno segnato la storia piit recente del nostro paese. “MARCO BELLOCCHIO in conversazione con MALCOM PAGANI Nell’ufficio romano di Marco Bellocchio, anonima gabbia al piano terra di un palazzone romano appoggiato alla Nomentana, in cui sostenere il peso delle idee tra pile di sceneggiature, fotografie in bianco e nero, car- toline autografe del Ventennio ¢ tomi di Hegel, siede il regista che porta il suo nome. Lintera opera di Bellocchio poggia sulla rivolta. Al sistema e alle sue ipocrisie. Vaticano, famiglia, esercito. Ventiquattro film in mezzo secolo di attivita. Premi, polemiche, divieti, riflessioni. Bellocchio non ha fretta. Ha tempi da artigiano, pause, ripensamenti continui. Ne- gli occhi stretti, la febbre dell’ex allievo dei barnabiti che all’alba degli anni Sessanta, con / pugni in tasca destrutturd un secolo e mezzo di con- suetudini borghesi. Quando prolunga un ragionamento, si fa aiutare dal- 116 le mani, Allora disegna progetti nell’aria, per poi riposare in attesa di una nuova partenza. timidezza, tormento, curiosita. Si accende, ribat- te, sottolinea, precisa. Con gli scioechi, questo problematico disturbatore delle certezze altrui battaglia da sempre. armando una dialettica che ha {Isolo vizio di non conoscere superficialita, Nel suo recinto, la sinjstra potenza dell’immagine non corrisponde mai allo sforzo economico- Ban giardino di visioni e incubi, estremamente riconoscibili, che descrivono da una prospettiva ravvicinata la vigliaccheria del sopruso, senza pro- mettere epifanie di salvezza, Alle figure cui tocea la sua metaforica ca- rezza capita di rimanere nella memoria. E sono ricordi inadatti a far pa- ce. Allarmi che Bellocchio suona in solitudine. E gia estate. Tra poco fi- risa. Lino, cotone, appunti. Lui parla per due ore, senza percepibili sbandamenti. La Chiesa di una vita, non Tha ancora trovata. Cosi bus- sa, interroga, si appassiona, abbraccia e rifiuta. Ad ottobre, le stagioni saranno settantuno. Bellocchio migliora con il tempo, spostando la fron- tiera della sperimentazione sempre un passo pitt in la, Quando a intervi- sta conclusa, gli prospetti il futuro, accelera il congedo: «Qualcosa fare mo, proveremo a non annoiarci>. Accompagna, saluta, chiude la porta. Solo. Finalmente. La coscienza di Marco Bellocchio evolve nell'Italia del secondo dopo- guerra, Anni segnati da un clericalismo greve © aggressiva. Ero bambino e nei silenzi della Val Trebbia, i timori della comunisti zione dell’Italia, per me erano le voci di mia nonna ¢ di mia zia. I loro commenti, i pranzi affollati in cui pregare riuniti intorno al tavolo e pri- ma di mangiare, il denigrare i rossi lo scongiurare la loro presa del po- tere non li ho mai dimenticati. Mio padre Francesco era avvocato. Un conservatore pragmatico, che pi che alle rose, si dedicava al pane. In famiglia il suo understatement era nettamente minoritario ¢ i] contesto generale giocava a sfavore di posizioni tenui. Schierarsi. Quello contava. Esemp Non cono mai riuscito a cancellare i racconti scolastici che i mostri inse- gnanti declamavano come feuilletton sulle famiglie che avevano fatto i pagagli ed erano emigrate d'urgenza in America alla vigilia delle elezio- hi del 1948, [ timori di vittoria del Fronte popolare e il lavaggio del cer- Vello delle gerarchie e delle retrovie ecclesiastiche nei confronti det fede- Iierano elementi di un paesaggio quotidiano. Elementi caricati, quasi futurist. Tl gusto per la drammatizzazione ¢ per Veccesso era assoluto- Il parroco di Bobbio, in sacrestia, ci rassicurava a suo modo. Puntava sui bambini, sul- la suggestione delle loro menti. «State tranquilli, se vincono le elezioni i co- munisti, ci sara la guerra civile». Diceva proprio cosi: «State tranquilli>. Immagini e voci trasferite in tante sue opere- Nel Nome del padre ho messo il missionario che con Ia lingua tagliata dai camunicti cinesi gira per i collegi come un fenomeno da baraccone. Un monito eterno. La guerra civile tra italiani era piu di un’ipnosi collettiva. Nneora mi ricordo il grido di gioia disumano di mia nonna, era il 51, quando la De conquisto per la prima volta il sindaco a Roma ai danni del Dei. La propaganda dell’ Azione cattolica sulle coscienze dei cittadini si primeva attraverso modalita molto pesanti, Sfogliava un vocabolario asfittico ma di sicura presa. Minaccioso. Millenarista. Peccato mortale eternita e punizione erano concetti ricorrenti, che le varie istituzioni, scuola, parrocchia, si incaricavano di inculcarci nella mente. Un control- To ossestivo che fino ai tredici anni mi oppresse. Ricordo qualche verso di Bianco Padre: «Siamo arditi della fede/ siamo araldi della croce/ a un tuo cenno/ alla tua voce/ un esercito all’altar>, liturgie da somatizzare, pre- cetti da inglobare. Poi mi snebbiai- Furono le letture affrontate nella pri- ma adolescenza ad allontanarmi definitivamente dal solco. A tredici anni ero gia ateo. Per esorcizzare senza compromessi quel terrore Jontano e li- berarmene ho dovuto ridicolizzarlo in moltissimi film. Dopo aver abbandonato la facolta di Filosofia alla Cattolica nel 1 959, hi perisse al Centro sperimentale di cinematografia. Cingue anni dopo pland sul cinema italiano con una molotov come I pugni in tasca. Liin- Lendio (all’epoca non la conosceva nessuno) ft immediato. Avevo soltanto ventisei anni. Ero immaturo, entusiasta, inconsapevole. Quella di / Pugni in tasca ® una piccola storia, paradigmatica di quanto jntenzioni ¢ risultato non siano mai in stretta parentela tra loro. I film fu preparato nell’estate del 64. Le riprese iniziarono qualche mese dopo, a zennaio del 765. Presentammo Fopera a Locarno nell'agosto dello stesso anno dopo esserci visti rifiutare lapprodo al Festival di Venezia e aver mancato l’occasione di essere a Pesaro. Apra, Micciché e ‘Torri, i curato- ri della mostra marchigiana, videro un premontato senza audio, assolu- tamente impossibile da proiettare. Quando parole e immagini camminarono assieme, Vesito fu inaudito. Rinaseita, per voce di Halo Calvino, gridé al prodigio. I ragazzi faceva- no la fila ai cineforum, gli attori iniztarono a essere contesi dalle grandi produzioni. Paola Pitagora, Lou Castel e / ‘pugni in tasca ebbero un’eco del tutto im- prevedibile. Il voce a voce si alimento con i premi e il film prese a corre re da solo. Non si é ancora fermato, nonostante stano passati quasi cin- quant’anni. -nezia si penti, aggiudlicandosi in sospetto anticipo il suo secondo film. Luigi Chiarini, direttore di un contestato Festival di Venezin dal 1963 al 1968, opta per un riconoscimento tardivo. Il mio secondo lavoro La Ci- 117

Potrebbero piacerti anche