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ALESSANDRO RIMASSA

DALL'AUTORE DI GENERAZIONE MILLE EURO

BERLINO SONO IO

SONZOGNO

Generazione manager

La Generazione Mille Euro. La mia, no a ieri. Che poi: parlarne cos oggi, non ha nemmeno senso. Cinque anni dopo, lincubo si fatto speranza. Generazione ottocento euro scarsi, dovrebbero chiamarla. Ma il problema, comunque, non mio. Non ora. Non pi. Io ce lho fatta, da domani posto sso e signor stipendio. E ho anche la casa di propriet. Altro che stanza singola, coinquilini e pavimenti che si sfondano manco fossi in un lm. Viaggio veloce coi pensieri che vanno a ci che ero, a quello che pare un passaggio obbligato in cui troppi rimangono ingarbugliati. Un treno che corre a velocit costante e da cui a qualche rara fermata si prova a scendere, ma no, non tutti ce la fanno, le porte si chiudono, il locomotore riparte e tu rimani imprigionato nellincedere della precariet. Non io, che col tramonto alle spalle accelero sulla mia Vespa azzurro metallizzato, una botta di colore in una citt grigia come Milano. Rivedo il Claudio con la pelle del viso bianca e le occhiaie nere, il ragazzo coi muscoli impalpabili e la camicia del mercato, la proiezione mai del tutto cresciuta

di quel bambino nato in provincia. Io giocavo con i Playmobil e non volevo starci nelle divise e nei vestiti e nelle scene imposte dalle poche scatole, cinque o sei al massimo, che mamma e pap avevano potuto comperarmi. Poi, per, li avevo rimpianti quei numeri: cinque, sei... no, mi ero trovato di fronte una sola via, senza deviazioni n strade parallele o scorciatoie. Immaginatevela voi unautostrada che la imbocchi e poi basta, soltanto caselli e rallentamenti continui, ma uscite zero. Era cos la mia vita, lavorativa e non solo. Ma a ripensare agli omini di plastica, mi sono pure ricordato che spostando un cappellino, sostituendo un paio di pezzi, mettendoli su un mezzo non loro, qualcosa di diverso lo cavavo fuori. Colpo di magia, da brufoloso. Ingegno, da adulto. Un suono di clacson mi riporta tra i cantieri del nuovo skyline milanese, con la polvere che si alza, il tunnel di Porta Nuova, la periferia che arriva improvvisa quando un minuto prima eri in centro. Questa citt la attraversi svelto, cos eccomi in viale Zara dove mi tocca replicare labituale slalom tra le auto in coda. Al semaforo la Vespa si parcheggia di anco a una Mini sporca di pioggia e terriccio, allinterno coi nestrini chiusi c una ragazza mora, ssa il volante su cui tiene appoggiate, molli, entrambe le mani. Avr venticinque anni, forse
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pure carina ma non ci faccio caso. Mi colpisce lassenza nel suo sguardo, la maschera di noia che le copre il volto. La sso, probabile che percepisca la mia presenza, si gira nemmeno scocciata e mi guarda malinconica. Ma io no, sgata sar lei, do gas e schizzo via bruciando le auto ancora inermi. La luce che ho negli occhi non la spengo, questo il mio giorno, il momento delle celebrazioni, la data da scolpire su una pietra come facevo da ragazzetto coi nomi delle prime danzate. Oggi Claudio Barbieri, anni trentadue, festeggia lassunzione a tempo indeterminato: marketing manager alla Stylitaly, azienda di moda low cost tutta italiana, inserimento come quadro, niente obblighi di cartellino, BlackBerry, MacBook 13 in dotazione e ufcio tutto mio. Manca solo lauto aziendale ma... io mi sento gi qualcuno.

Sembra ieri

Ci sono quelle domeniche mattina che, nonostante tutto in teoria sia perfetto, tanto dentro di te quanto fuori, in verit senti che qualcosa non gira. come quando a un torneo di Texas holdem hai per tre mani di la una coppia alta, ma non riesci a vincere quasi nulla, anzi magari perdi met delle tue ches perch lo sculone di turno ha seguito il tuo rilancio con coppia di due inlando il tris. Giornate come queste vorresti skipparle. Fast forward. Ma la vita non un quiz di Gerry Scotti, non puoi passare alla domanda successiva. Anzi, se il mondo a colori ma tu ci vedi dentro una eccessiva quantit di grigio o nero, signica che hai un problema. Nel cervello sento leco delle parole che Chiara, la mia danzata, mi ripete ossessivamente da giorni: Uomo speciale. E i pensieri sono gli stessi, tormentati, di queste notti. Ma non riesco a convincermi di essere io quelluomo, forse nemmeno credo che tutto questo sia davvero accaduto. Perch il precariato senza soluzione

di continuit, la danzata ricca che bada solo allo shopping, la capa stronza che ti vuole fottere a letto e poi rifottere sul lavoro, i coinquilini con cui nisce a litigate... sembra ieri che stavo vivendo questo lm. Sembra ieri che pensavo non ne sarei mai venuto fuori. Poi successo tutto in un attimo: Chiara, la Stylitaly, la casa, la vita che ti aveva sempre voltato le spalle, tu che avevi dovuto porgere laltra guancia in ogni momento... Pfuff, tutto sparito. Eppure, sembra ieri. Forse ho soltanto bisogno ancora una volta di non sentirmi nessuno, per capire quanto conti essere qualcuno. Perch io, oggi, ho il mio posto nel mondo. Alle tre al Las Vegas, c il torneo da cinquanta euro. Andiamo Leo? La voce dallaltra parte del telefono, dopo un pronto stile cavernicolo, si fa squillante: Ti passo a prendere alle due e mezza! Domenica risolta, torneo di Texas holdem, il poker allamericana che si vede alla tv: due carte in mano, cinque comuni a tutti, dieci giocatori a ogni tavolo, cinquanta o sessanta iscritti, paghi una quota, hai un tot di ches pressato, le puntate obbligatorie che si alzano e via: cinque, sei persone vanno a premi. E l non c ingegnere, meccanico, panettiere, disoccupato, pusher, glio di pap, tempo indeterminato o precario. L ci sono
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solo i giocatori, quello che sei al di fuori non conta. cos la vita. Prendo lagenda appoggiata sul divano, la stessa da tantissimi anni. Per segnare gli appuntamenti non serve, per quelli o usi lo smartphone o sei niente, cos io la conservo per le cose importanti. Ogni volta che ho un pensiero in pi, aggiungo un altro foglio. Che non rileggo mai. Su quello di oggi, segno una frase che di colpo si parcheggiata a lisca di pesce nella mia testa.

Chiudo meticolosamente il bottone a pressione e ripongo nella libreria lorganizer di pelle nera consumata dalla luce e dal tempo. Poi mi dirigo verso il bagno, volto la
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testa per controllare di aver messo a posto lagenda e apro la porta del box doccia. Mi inlo sotto il getto senza saggiare la temperatura con la mano. Calda. Lacqua rimbalza sul collo, attorno il silenzio, solo il ticchettio delle gocce sulla ceramica. Mi piego un po in avanti, poi ancora pi gi. Rannicchiato. Le braccia che stringono le gambe. Quasi non respiro, sono in condizione di assenza. Io, solo con me stesso. La testa mi pare svuotata, il corpo si lascia scaldare, la schiena bagnata, i piedi a mollo. Mi soro i due alluci. Li tocco, massaggio, stringo. Pratico meccanicamente quegli stessi gesti che faccio coi piedi di Chiara, e per la prima volta mi accorgo che una sorta di masturbazione. Dallalluce alla pianta del piede, poi le caviglie e i polpacci e le ginocchia. Ho bisogno di sentirmi. Di entrare in contatto col mio corpo. Ogni palpata un mix tra stretta violenta e carezza vigorosa, tra sesso e amore, tra caldo e freddo. Le mani avvolgono i testicoli, sorano il pene, si compattano sui glutei. Poi anchi, petto. Quindi scivolano attorno al collo: la destra che stringe la parte sinistra, la sinistra che stringe la parte destra. Stringe luna, stringe laltra, stringono assieme. Quasi stritolano. La sensazione di assenza si fa pi forte. Il silenzio mi penetra. Trattengo il respiro. Sbatto la testa contro il miscelatore, lacqua si chiude, io
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dondolo. E cado a terra, senza mollare la presa sul collo. Lentamente le mani smettono di stringere, lo fanno da sole. Non penso, non soffro, sento solo acqua anche negli occhi. Forse non acqua. Mi alzo di scatto, apro il box doccia, due passi e sono davanti allo specchio a gura intera che copre il muro tra lavabo e armadio. Ho il collo arrossato. Ma non provo dolore, solo compiacimento per una sensazione insolita, un contatto intimo con me stesso, le mani al servizio della testa come fossero uno strumento estraneo. I jeans sono sullo sgabello rosso, boxer calzini e Tshirt l a anco per terra sul pavimento di laminato nero. Pochi secondi e mi asciugo alla bell'e meglio, indosso i vestiti, butto l gli asciugamani e schizzo fuori. Leone seduto al posto di guida della Polo blu parcheggiata sul passo carraio. Il nestrino abbassato, fuma. Lo saluto con un cenno degli occhi, salgo, sbatto la portiera. Sono carico. Come al solito in ritardo Claudio, ma quando mai arriverai puntuale? Non dirmi che sei qui da tanto Leo, perch non ci credo nemmeno se me lo giuri su tua madre. E Chiara dove lhai lasciata? Niente sesso oggi? Non che stiamo insieme solo per scopare, eh!
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Comunque doveva andare a pranzo coi parenti. Inserisce la prima e parte diretto al circolo di piazza XXIV Maggio. Ci arriveremo in meno di venti minuti. Viale Zara, piazzale Lagosta, in un attimo siamo in porta Venezia e imbocchiamo la circonvallazione interna. Non c trafco oggi, solo qualche guidatore imbecille della domenica che non sa stare n a destra n a sinistra. Suonagli! Stai buono Cla, che arriviamo lo stesso. Oh, poi mi raccomando, non fare la solita cazzata alla prima mano, evita inutili rilanci nei livelli iniziali. E studia gli avversari, guarda come giocano, osserva le loro mosse. Leone mi ripete le stesse cose prima di ogni torneo. una specie di coach, anche se pontica un po troppo a volte. Ma il nostro un rapporto solido, fatto di kick-boxing, serate in disco, week-end di snow-board e amicizia. E di coca. Bet. Punto duemila. Nelle orecchie ho The Rasmus. In the shadows. Davanti a me il bulgaro. Sembra sicuro della sua puntata. Ho tre opzioni: buttare le carte, chiamare o rilanciare. Ma dal giro di puntate credo che lui sia pi debole di me, quindi devo fare raise e mettere tutto quello che ho. Rischiare, per vincere. Daltronde la
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vita questa: uno sta davanti agli altri, tu devi decidere se cambiare strada o superarlo. Rimanere in scia, non porta da nessuna parte. E io due anni fa feci proprio cos: alla MRW International mi ero rotto di occuparmi di gadget per telefonini che diventavano il vanto di Mark, il mio marketing director, e che non mi facevano ottenere n un bonus n lo straccio di un contratto serio. Solo una interminabile la di co.co.pro., i maleci contratti a progetto, con pacca sulla spalla e promessa, mai mantenuta, di assunzione allo scadere degli ulteriori sei mesi da precario. Cos entrai nellufcio di Mark, con la sua bella nestrona su corso Vittorio Emanuele che illuminava la poltrona in pelle nera e il tavolo in vetro acidato, e chiesi aumento e contratto indeterminato. Sei un ragazzo molto valido Claudio... Non ricordo pi nullaltro di quel colloquio. Solo la parola ragazzo. Ragazzo. Allalba dei trentanni. E per di pi detta da un inglese, uno di quelli che con le loro multinazionali dovrebbero portare lItalia nel mercato del lavoro globale. Ragazzo... Gi, perch in questo Paese nasci e muori ragazzo. Ragazzo te lo dicono mamma e pap a sei anni, per farti sentire grande. Ragazzo lo sei al liceo e anche alluniversit. E pure quando entri nel mondo del lavoro, che gi sei in ritardo rispetto ai Paesi normali. Ragazzo lo rimani sempre, non perch lo abbia
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scelto tu, ma perch lo hanno deciso loro per te, perch fa pi comodo dimenticarsi che un tempo, anche qui, a trentanni si era adulti e si metteva su famiglia. No, adesso tutti a chiamarti ragazzo. A pretendere e a non darti nulla in cambio, a sfruttarti e basta. gerontocratico il nostro stivale, pensi che man mano i vecchi scenderanno verso il tacco, per lasciare ai neoadulti la parte alta, quella in cui si respira aria nuova, e invece no. Loro sono abilissimi a farti sentire in difcolt, a offrirti un nto aiuto e poi a schiacciarti gi con quello stesso fare ciclico e ritmato con cui un tempo si pestava luva coi piedi in vendemmia. Sar cos no a che non li chiuderemo tutti in una stanza e procederemo a una fucilazione di massa. Quella fu lultima volta che uscii dallufcio di Mark. Quaranta giorni dopo consegnavo la mia lettera di interruzione del co.co.pro. allufcio del personale, mentre lui era in vacanza alle Seychelles. Allora, ti decidi? Muoviti, butta le carte e chiudiamo la mano, ragazzo. A parlare il bulgaro. Che fa un doppio errore: mostra nervosismo, segno di debolezza al tavolo verde, e mi chiama ragazzo. Raise. All in. Sono pi di seimila. Come all in? Non sai cosho, potrei avere tris di sette o di kappa, che cavolo di mossa la tua. Dovevi
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chiamare, non rilanciare, ragazzo. Mi alzo in piedi e scosto la sedia dal tavolo. Tolgo le cufe dalle orecchie, appoggio liPod, mi slo la felpa e rimango immobile a ssare il bulgaro. Nella vita, quando qualcuno sta davanti a te, hai soltanto due possibilit: superarlo o cambiare strada. Cio rilanciare o buttare via le carte. E perch non hai fatto fold, allora? Perch spesso, nella vita, chi sta davanti a noi lo fa solo per acquisita posizione sociale, per un colpo di fortuna o per altri motivi che poco hanno a che vedere col proprio valore. Non perch lo merita davvero. Il punto che, nella vita, queste persone spesso non puoi superarle. Allora sei costretto a cambiare strada, a ricominciare da capo. Invece nel poker le sciocche regole della societ in cui viviamo non esistono. Puoi averla vinta, rilanciando. Ora hai capito perch io sono all in e tu devi gettare le carte? S, ha capito. Passa un secondo ed fold, lascia la mano. Una mossa simile lavrei voluta fare ai tempi della MRW: presentarsi dal direttore generale e spiegargli che non era Mark, ma io, a trovare ogni volta lidea in pi per quei gadget. I premi li meritavo io. Ma la vita reale non sempre ti permette di giocare a carte scoperte. L per me
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non cera spazio, linglesissimo Mark si era integrato nel sistema dellinciucio allitaliana, dei regali sottobanco, della meritocrazia che va a farsi fottere. Cos risposi ad alcuni annunci e trovai un altro posto. Un nuovo lavoro, un ambiente stimolante, un manager attento alle persone. Forse quello il primo momento in cui mi sono sentito uomo. E non pi ragazzo. Da l in avanti, un susseguirsi incalzante di sconvolgimenti positivi mi hanno cambiato la vita. Anche se... sembra ieri che ero il perfetto rappresentante precario della Generazione Mille Euro.

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