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Scheda sull’agricoltura del

Trecento
L’organizzazione dell’agricoltura medievale nel XIV
secolo
L’agricoltura del Trecento in crisi

L’agricoltura del Trecento iniziò a vacillare quando la notevole crescita demografica del 1300 iniziò
a far sentire il suo cambiamento maggiore e drastico: il numero ormai elevato di persone che
abitavano l’Europa era troppo alto per la tecnologia agricola del tempo, troppo arretrata per poter
soddisfare il fabbisogno di tutta la popolazione e di poter mantenere ancora in equilibrio il
rapporto tra domanda e offerta del mercato agricolo.

Così l’agricoltura nel XIV secolo incontrò varie difficoltà nel suo normale ciclo produttivo visto che
l’equilibrio tra campi coltivati (arativo) e ambienti ancora da poter utilizzare per l’agricoltura
(boschi, pascoli ecc..) andava sempre più diminuendo.

Per poter far espandere l’arativo infatti bisognava rinunciare a parte dell’ambiente che veniva
impiegato per altri scopi :

-Per poter estendere l’arativo si poteva per esempio ricorrere al diboscamento, e sarebbe potuto
essere anche un’ottima scelta se non fosse stato per il fatto che il legno ai tempi era la materia
prima utilizzata per quasi ogni cosa (il riscaldamento, l’edilizia, la costruzione di navi, per produrre
energia necessaria per le attività produttive ecc..).
-Si pensò di dissodare allora i pascoli naturali che si trovavano nelle campagne, ma questo si rivelò
controproducente visto che limitando ancor di più i pascoli l’allevamento vide una perdita
rilevante di capi di bestiame da poter allevare (visto il terreno a disposizione insufficiente) e così
diminuì anche la disponibilità di fertilizzanti animali sul mercato e questo intaccò soprattutto
l’attività agricola che a sua volta si ritrovo all’inizio di una crisi.

La ristrutturazione dell’agricoltura dopo la grande crisi generale

Dopo la crisi agricola che portò a una più grande crisi generale dell’intera Europa e a varie
epidemie e carestie il vecchio continente si ritrovò in un periodo di “rinascita” sotto il punto di
vista agricolo.

Dopo la grande crisi e dopo le epidemie e le carestie che decimarono la popolazione europea si
notò un cambiamento sull’ambiente molto decisivo sul futuro dell’economia agricola, tutti i campi
e tutte le zone che erano state “risanate” o diboscate o dissodate per far spazio all’arativo erano
state abbandonate e così la natura riprese il suo naturale corso rimpadronendosene e tutti quegli
ambienti tornarono a essere impraticabili e selvaggi.

Inoltre la crisi portò anche a una diversa mentalità: dopo la crisi dei cereali i prezzi scesero e si
notò che i prezzi della carne e dei derivati animali invece erano più alti di quelli del grano, così
molti proprietari terrieri decisero di impiegare i loro terreni per attività diverse come
l’allevamento, o meglio ancora anche per la coltivazione di piante destinate a uso industriale
(scelta più redditizia) come il luppolo per la birra, la canapa, il lino, e altri tipi di piante.

L’allevamento del tempo però dovette aspettare molte scoperte agricole e molte innovazioni
prima i migliorare e di progredire per poter essere quel tipo di allevamento che necessita di
produzioni foraggere. Durante la ristrutturazione agricola nel Trecento si notò una progressiva
espansione di un tipo di allevamento diverso e che era già utilizzato nel XIII secolo in Spagna e in
Inghilterra : l’allevamento allo stato brado. L’allevamento allo stato brado si diffuse rapidamente
perché si dimostrò molto redditizio e molto facile da impiegare: questo allevamento non aveva
bisogno di progressi agricoli che servivano alla produzione di foraggio, infatti si poteva allevare del
bestiame anche in dei territori inutilizzati e lasciati al degrado. Questa innovazione dopo aver
preso largamente piede in Inghilterra e in Spagna nel XIII secolo con l’allevamento di ovini venne
introdotta anche in Italia nella metà del XIV.

Oltre alla risoluzione della recente crisi agricola con l’introduzione dell’allevamento si videro anche
esempi di proprietari terrieri che reagirono alla crisi convertendo l’uso dei loro terreni (ormai
impraticabili e inutilizzati) in attività diverse. Fu questo il caso dei proprietari delle terre della
Pianura Padana in Italia: attraverso una mentalità che al tempo era diversa dalle altre e più
moderna i proprietari decisero di investire in opere di bonifica e di canalizzazione per migliorare la
condizione dei prati dando avvio alla creazione di “prati artificiali irrigui”. Fu un’ottima idea perché
dimostrò il modo migliore per salvare l’equilibrio tra l’arativo e i pascoli (infatti in questo modo si
poteva dare vita a prati in luoghi prima impensabili e si poteva continuare ad estendere l’arativo,
che al tempo si basava su un’agricoltura estensiva e non intensiva).

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