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VOCI
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Collisioni multiple / montaggi antinarrativi / un'opera oppositiva
infunzionale inservibile – smaterializzazione della sostanza narrativa
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Vedrete il mio corpo andare in frantumi e ricomporsi sotto diecimila
aspetti... allora gli insegnerete di nuovo a danzare all'inverso come nel
delirio delle balene e questo inverso sarà il suo autentico luogo – spezzare
il linguaggio per raggiungere la vita – e ve l'ho già detto: niente opera,
niente lingua, niente parola, niente... allora tutto sarà giusto e non avrò
più bisogno di parlare...
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Voce incarnata, voce fatta carne e fibre - transito - dismisura – porterò via,
di ciò che risale e non può uscire – spaesamento – portarsi via del mondo,
in estenuante disconoscere di sé – ciò che resta nel corpo se la gola si
chiude, sigillo, l'impronunciabile perché a lungo scordato, anteriore –
slittamento, relitti sonori, residui e acccordi dimenticati da un viaggio nel
corpo/tempo, in viscere ed età millenarie, sono qui in questi giorni di
dolore e presto nuovamente svaniranno – visitazione mormorante e
prossimo sprofondamento – andare a svanire – il senzasuono voce grido
animale che rimane in gola – dove si esiste anche se ormai immemori di sé
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Le due donne, separate da lunga distanza in epoche e vite vissute, avevano
nella voce un tratto comune, di seduzione. Voce che cantava nel narrare,
sollevandosi per poi ridiscendere al sussurro, in aspirazioni e schiocchi, e
nuovamente sciogliersi in ridenti ritornelli, canzoncine dell'infanzia,
quando si correva sul calesse per le vie del borgo, un fiocco azzurro e
bianco nei capelli – il suono come fosse una linea morbida che sale e che
scende, fa curve, sprofonda e poi lentamente prende il volo, m'interessa
quella musica strana che le arriva dal petto e attraversa la gola - la donna
era cresciuta dunque cantando, portando ovunque quel suo parlare
tappezzato di pelle, la voce chiamava dalle stanze più lontane della casa,
remoto era il fondo da cui proveniva, irripetibile assommarsi e coincidere
– vuoti del corpo cavità contratte e percorse dal soffio e quella luce nei
pomeriggi di giugno, sul legno del pavimento e tra le frange dei tappeti,
dietro le persiane accostate, i mobili respirano dilatando le fessure, la voce
che si leva e canta, vanno i piedi quasi senza peso – tracce svanenti di vita
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comme si elle avait le malheur d'etre encore en vie... se doucement
désensourcelant
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disammaliarsi dal mondo, scordarne l'incanto e il sortilegio, delle cose a
lungo nominate come se in quel dire ne potessimo esaurire la pasta e il
tessuto – l'incanto che stringe le cose... la presenza delle cose prima che il
mondo sia, il persistere di esse dopo che il mondo è scomparso –
incorporandole nel loro durare oltre noi, evocandole ed accostandoci
sempre più dappresso per via di vibrazione – Forse noi siamo qui per dire:
casa, ponte, fontana, porta brocca, albero da frutto, finestra. E questa
cose che vivon di morire, sanno che tu le celebri, passano ma ci credono
capaci di salvarle, noi che passiamo più di tutto – e quelle ancor più
arretrano rivelandosi prossime al nulla
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di quelle cose svuotarsi come un carico prezioso che all'improvviso si
mostra fuggente come la voce che lo dice – vanishing trace – e
incamminandoci al viaggio perderne il nome
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Essere la voce/Essere tutte le voci/Perdere la voce
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Alle altre donne che costellano i giorni
quella che si muove nelle stanze sotterranee e se parla è un canto che risale
e attraversa pareti, con l'orecchio al pavimento la senti scivolare nella sua
unica e irripetibile anima ventosa, come se a condurre il corpo fosse la
musica di consonanti e vocali, il risuonare della carne profonda l'angelo
dell'appartamento, la nostalgica decoratrice di pareti
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tout l'art de vivre, c'est de nous servir des personnes... comme d'un degré
permettant d'accéder à sa forme divine et de peupler ainsi journellement
notre vie de divinités
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quella che sul palco muove le gambe piccolissime e le mani, ma il canto
possente ti investe e solo all'ultimo si scioglie in litania di soffi e respiri –
che corro e suono perché la morte non mi prenda - che non ci si ostini ad
appoggiare la testa alla sua porta, o a scrutarle la faccia, come in una dura
preghiera
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Alcune parole venivano scomposte dalla voce, erano state afferrate così
delicatamente che sbocciavano e non avevano più nulla a che vedere con
la voce umana finché la voce pronunciava per forza qualche consonante
aspra e posava in terra la parola e concludeva
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E questa voce che attraversa le viscere come da scaturigine buia, che si
smarrisce nei filamenti urtati si sgrana lungo le carni percorse, materia
sottile nata dal silenzio del corpo, là dove è custodita la memoria di ciò che
la lingua non è ancora, dove si costeggia lo schianto del tronco e il verso
acuto dell'uccello lanciato al volo, il guizzo della luce, il senza suono
in/umano – questa voce, quando esce, luogo degli affetti e del toccarsi, è il
tuo corpo che si trascrive e si diffonde sfiorando esseri e superfici, è il
ronzare del tuo sangue oltre la pelle, fino a farsi mondo unico e
sconvolgente.
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Mondo sonoro che penetra rimbalza o colpisce, punge. L'irripetibile che
abbiamo amato perfino oltre il volto – esplodo fuori della /scabra pelle
tenace e/croccante – la voce che come strumento percosso assaliva e poi
sprofondava, le voci d'acqua, le prosciugate e secche, quelle che
squarciavano, voci/sibilanti iubilo grido d'avvoltoio che si abbatte sulla
preda, o immature per confusione di intenti.
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Ciò che a lungo tenteremo di rammentare – perfino oltre il volto, più
ancora dell'occhio – in nostalgie dei tempi, del soffio che agitava la luce
nelle stanze.
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Gesto.
Grafia del corpo.
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Armand Robin, figlio di contadini bretoni, io ascoltatore di trasmissioni
radio dai luoghi d'europa e del mondo,. Per il ministero dell'informazione.
Anarchico viaggiatore vissuto come avessi quaranta vite- je n'était pas l°
et donc on ne pouvait obtenir de nouvelle de moi
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si può smarrire il fondo di sé e disperdersi in infinite strade laterali, malati
per troppo sentire – J'y parle la non-langue de la neige, du vent et des
torrents. Très longues dialogues – solidarietà eccessiva con gli esseri
disseminati, da viverne in perpetua allucinazione uditiva, in soprassalti,
quelle tracce di vita e inconsolabili paesaggi di rovine o sovraccariche
distese di luci, quale rimedio trovare, antidoto al delirio sonoro, forse solo
il fumo acre di olio d'ambra piume e cuoio bruciati, per spurgare i vapori
che assediavano la mente
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je suis un fellagha resistente clandestino, errante in prolungato stato
d'insurrezone, autore di lettere indesiderabili – alla Gestapo, Avenue Foch,
Paris – conoscitore di molteplici linguaggi, risalendo lungo le epoche e poi
più lontanpo alla Cina alla Russia di parole fresche, violente, di tenera
barbarie a decifrare tracce accadiche sumere
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si approda infine là dove si entra per grida e colpi non temendo se il soffio
è residuo di voci di dei, ombra di una lingua antichissima e inconcepibile
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parola che parla a prescindere da ogni potere di rappresentare e
significare, il canto di Orfeo, il linguaggio che non respinge l'inferno ma
vi penetra, parla al livello dell'abisso e così gli dà parola
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si può all'improvviso così scivolare a ritroso, come un violino percosso
disseppellire un lontano sogno di altre vite, e scorribande nomadi inverni
di terra gelata azzurrina abiti di lana che indossavamo sulla pelle
impallidita, le musiche correvano come il vento formando cerchi sull'erba
indurita, inseguimenti e abbracci di selvatica stretta – dove sono stata nel
tempo che non ricordo terre che mi hanno attraversato voci soffiate di altre
lingue nell'invito o nel comando danze remote come in una marcia
un'avanzata lenta che si fa nei tempi prima ancora che nei corpi – sono
ritorni che impongono obbedienza, la devozione che si porta a uno stato
d'infanzia che risorge là dove tutto all'apparenza taceva
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percepivo i suoni slavi come parti di una lingua che mi riguardava da
vicino, in maniera inspiegabile – without thinking we can tell what is
being said without understanding it
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Accogliere come una grazia rischiosa il mormorio delle cose
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una sera, semiaddormentato sul sedile di un bar, cercavo di censire tutti i
linguaggi che entravano nel mio ascolto: musiche, conversazioni, rumori
di sedie, di bicchieri, tutta una stereofonia... questa parola detta
“interiore” somigliava molto al rumore della piazza... io stesso ero un
luogo pubblico, un souk; passavano in me le parole, i sintagmi minuti,
mozziconi di formule, e non si formava nessuna frase, come se fosse stata
la legge di quel linguaggio...il suo flusso apparente, un discontinuo
definitivo: questa non-frase non era affatto qualcosa che non avesse il
potere di accedere alla frase, che fosse prima della frase; era: ciò che
eternamente, superbamente, è fuori della frase
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trascinato al Commissariato di Rue de Bourgogne e da lì all'Infermeria
Speciale, la colpa?, aver lasciato i miei versi sui tavolini dei déhors
disturbando, diceva il padrone del caffè di Rue Fabert, i clienti e ancor più
i passanti che mi credevano un barbone, con le tasche piene di fogli già
pronti per il dono
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o miei così oscuri per restare presso di voi – alberi cavalli miserabili
uomini – mi ci vorrebbero per tutta la vita meno parole vivere nel sogno
notturno non essere più nella vita del giorno
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in soffi e respiri, in una litania di accenti e tonfi. Tracce di vita,
inconsolabili paesaggi di rovine o sovraccariche distese di luci
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Potrò mai incontrare qualcuno che dimentica la parola, e dialogare con
lui?
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Venne il tempo dell'approssimazione, dell'impallidire appressandosi alla
morte. Si svuotava il corpo, si prosciugavano le vene blu sotto la pelle
trasparente, dagli angoli della stanza rimbalzavano minacce e desolazioni
senza fine.
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Quella sonorità che ci cantava in gola sempre più spesso s'incrinava
nell'impreco, preghiera rovesciata, che sprofondasse il mondo insieme a
noi, che il buio coprisse i tetti e i giardini, le madri isterilissero i ventri, i
figli interrompessero i loro cicalecci.
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Quale sia la lingua sgretolata, della passione dolorosa del corpo, della
carne che si smembra, del precipitare nella ferita – oltre il midollo della
carne che parla, e si silenzia – dello sprofondamento.
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Che cosa sia questo improvviso balbettio che allontana gli ultimi gridi,
questo interludio, apprendistato feroce che insegna a disfarsi della parola
mentre si sfalda, si raccoglie su sé il corpo.
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Il corpo-parola, incamminato al proprio esaurirsi, to bore one ole after
another in it, ad ogni sforamento un nome sfumava nel sillabare, un
ricordo s'inceppava in sonorità all'apparenza mai prodotte. Maniere del
nulla, déchirure. Con sorpresa scoprimmo mano a mano di aver sempre
conosciuto quest'arte delle rovine, questo approdare al brusio delle cose, là
dove si salda la lingua del prima e del dopo, quella dell'origine e quella del
lento venir meno
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frammenti di una voce antica in me, non la mia – ma saperlo rivelare no,
se ci mancava passo passo il corrispondere e ci restava della parola solo
voce sconnessa épuisée – questa voce che parla indifferente a quel che
dice, e che si sa inutile, senza valore, che non si ascolta, attenta al silenzio
che essa rompe, è proprio una voce? - soffio spossato poi silenzio
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folie - que de - que de – comment dire/what is the word – seeing – this this
– this this here – all this this here/loin là là–bas à peine quoi/what is the
word
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Era un intero paese da svuotare di libri e oggetti rimasti nelle case vuote.
In solitudine inspiegabile, senza aiuto, trasportarli come reliquie in cima
alla collina. Da noi si originava il silenzio, in noi tornava, e nelle cose non
più nominabili
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Tutto dimenticato. Aprire le finestre. Vuotare la stanza. Il vento vi passa
soffiando. Si vede soltanto il vuoto, si cerca in tutti gli angoli e non ci si
ritrova
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Con spavento dapprima mettendoci in ascolto di ciò che al fondo restava
da sempre oscuro, sottrazione che convocava ostinata al luogo
dell'informe. Il disfarsi della carne si esponeva così, denudato, nelle parole
che mancavano a se stesse o ancora per un breve tempo – così breve –
raggrumandosi in resti di frasi, invocazioni inscritte nella remota memoria,
bianchina-come-corri-leggera-strade-paese-fioccoazzurro,ma
già presagendo il prossimo scollarsi, la fantasia di un tempo in cui si sarà
fatto silenzioso... un resto di futuro memoriale per una perdita ancora di
là da venire
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Perdere la voce ma continuare il racconto – se il linguaggio letterario non
si lanciasse sempre in avanti, verso la propria morte, non sarebbe egli
stesso possibile, perché è proprio questo movimento verso la propria
impossibilità che costituisce la sua condizione e la fonda... è all'interno
delle parole che deve tentarsi questo suicidio delle parole (Josefine
cantante-topo che sa pigolare e fischiare – Credo di aver iniziato al
momento giusto la mia ricerca sui versi degli animali – ora che ha dovuto
rinunciare alla lingua della propria gente.
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Fischio/canto/malattia
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Approssimazione. Comment -dire-comment-mal-dire
a voice speaks out / a loud speaker lauds a voice/ out of bounds from the
picture / a hand enters the picture / a hand bearings tidings / within words
speak voices / a voice peaks through a voice / a bare voice lies in the
sand / a thousand grains of sand / a voice from the underground / a voice
is losing ground / a voice is lost and found / barely a voice can be said to
be heard – Mediations (towards a remake of soundings), come la parola si
assottiglia, con le mani che gettano sabbia nella gola-altoparlante, non
brillano più le voci nell'aria, si soffoca in questo deserto strozzato e opaco.
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Questa sabbia che chiude la bocca, queste vibrazioni che risprofondano in
corpo. Questa acustica triste dello svanire – un silenzio più silenzioso del
silenzio, una galleria scavata direttamente nel silenzio e che conduce ai
suoi abissi più vertiginosi
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Not I. The face (pause) The face (pause) The face/No giving no
words/deep sight, respiro di lontananza, quando l'immagine trovava il suo
suono, unico, amabile, minimo appiglio al disordine del vivere – Is love
the word? Is soul the word? Do we mean love, when we say love? Soul
when we say soul? – le cose rispondevano al loro nome disponendosi negli
scaffali, sui tavolini nella penombra delle stanze accanto alle vecchie
fotografie della giovinezza luminosa, bastava cancellare la polvere del
giorno - [The Auditor] is desperately needed as a witness – an actual and
present human being who ought to be there when another human being is
suffering - e tutto sostava nel suo ordine. Una disposizione assoluta, un
governo sereno delle cose
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Ma, nell'appressarsi
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indeed could not remember... off-hand... when she has suffered less... yes...
all the time buzzing... in the ears... in the skull... couldn't make the sound...
no screaming for help for example... for on that April morning... begging it
all to stop... unanswered... prayer unanswered... or unheard... too faint...
what she was trying... what to try... nothing but the larks
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di alcuni infine perdi parole oltremodo preziose/come tagliare/recidere a
mezzo il viso separando le epoche/il prima-il dopo/del cancellare
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essendole stato insegnato a credere nella misericordia di Dio quando
improvvisamente si rese conto che le parole stavano cosa? chi? no lei le
parole stavano arrivando una voce che lei non riconobbe lì per lì era
tanto tempo che non la sentiva poi alla fine dovette ammettere che non
poteva essere che non poteva essere che la sua stessa voce
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E’ duro questo stare ad aspettare la morte
Avevo preparato la valigia per quando muoio il tailleur di chanel grigio
chiaro la sottoveste tutta di pizzo
Bisogna che prepari la valigia. Per andare dove? Già è vero.
Ne parlo ma è doloroso, dire addio a tutto
Signore, liberami da questo sogno.
Vado a dormire e penso mi sveglierò, sarò nello stesso posto?
A chi non compatisce
Vorrei che tu provassi che ti frulla negli occhi nella testa
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La verità che mi raccontava con un linguaggio straziato che si sarebbe
prestato solo all'irrisione
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Forse era per ascoltare ancora una volta il suono della propria voce,
disposta tuttavia quando il tempo fosse arrivato alla cancellazione, e un'
ultima traccia nel palinsesto ne avrebbe infine distrutto ogni possibile
percorso.
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Poteva essere pronta a un'ulteriore sosta sul confine. Sentendo ogni
approdo allontanarsi, ascoltare di cosa è fatto il dorso delle cose, parlando
tra sé in virtù della dimenticanza che vedeva avvicinarsi
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potrei perfino aspirare a qualche privilegio, come si deve a chi rimedia a
mali sconosciuti, potreste almeno concedermi un’ultima veglia in cui le
cose mi si mostrino come sono di notte o in nostra assenza
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e così apprendendo il cammino a ritroso – ricordo ma non so dire – verso
una lingua inventata dal fiato – Ve l'ho già detto che non ho più la mia
lingua, e non è una ragione perché perseveriate, vi ostiniate nella lingua...
Ya menim / fra te sha / varile / la va vazile / tor menim / e inema imen –
entrandovi per grida e colpi, per abrasioni costruzioni incerte su tracce
cancellate
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Disassembled Polyptych-Al di là del bianco-Squadernare / Dichiaro di
non essere E.I.-Ideologia della sopravvivenza / Swarmtexts
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lingua che va in rovina risalendo il tempo – asemic sybils – fissando con
occhi spalancati l'ignoto, la grande lontananza in formulata
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Parola eolia... ciò che è estraneo a ogni possibilità di essere
rappresentato, annunciata nel ramificato mormorio dell'albero. Voce
libera dalla parola, dalla rappresentazione, libera in anticipo dal senso,
annuncia una possibilità anteriore a ogni dire e persino a ogni possibilità
di dire. La voce che parla senza parole, silenziosamente, attraverso il
silenzio del grido... tende a non essere la voce di nessuno... fuggitiva,
destinata all'oblio... scompare appena detta, sempre già destinata al
silenzio, che contiene e da cui viene
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Ma alla fine il sollievo. Accettando quella condizione di spettro, sigillata
nel tempo che ostinatamente sopravvive, mentre la carne si disfa e ne resta
una sottile memoria – nachleben cenere che sulla parete testimonia il
passaggio scrittura miniaturizzata che si fa quasi invisibile
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ma il mondo continua ad invadere il sentire, manda profumi e musiche,
sapori di cibi, frescure, con una moltitudine di voci che premono alla gola,
all'orecchio – dicono questo tutto il tempo... devo occuparmi
principalmente delle mie voci
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e non è più l'obbligo del dire, nominare, soddisfatta del gorgoglio che ne
resta
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E' qui che una lingua, gesticolando oltre se stessa in un discorso che non
può dirsi tale, si apre alla non-lingua che la precede e la segue. E' qui,
nell'emissione di quegli strani suoni che i parlanti si ritenevano incapaci
di produrre, che una lingua si manifesta come una “esclamazione” nel
senso letterale del termine: un “chiamare-fuori”, oltre e prima di sé, che
essa non può né completamente ricordare né del tutto dimenticare
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anzi accelerando l'incursione
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spezzare il linguaggio per raggiungere la vita / se il linguaggio è la morte,
uscire dal linguaggio potrebbe riservarci qualche sorpresa
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Si può forse rallegrarsi di essere senza parola, di essere senza pensiero, là
dove non si sente nulla, è là che sarebbe bello essere, là dove si è, davanti
a un quadro interamente bianco che invita a innumerevoli percorsi – All
white – a una musica che cancella le proprie tracce e si avventura nel
silenzio tra i suoni del mondo – 4'33''
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From the perimeter of the room, located outside the windows, was the
murmur of a man struggling to speak. Sounding like ordinary language
and yet garbled beyond sense, this slow speech had the effect of
transforming the empty warehouse into an otherworldly, mental space
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Ti dissolvi. Nel buio delle stanze gli oggetti sostano, ben più consapevoli
di noi, delle menti umane impaurite
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ogni cosa, il più piccolo ninnolo, le cortine del letto, le babbucce ricamate
a piè di questo, lo sgabello imbottito davanti alla toeletta, e cento altre,
ogni cosa serbava viva la di lei impronta ed era rimasta, lo si vedeva
bene, come quando ella aveva lasciato quel luogo l' ultima volta; e
potevano essere passati tanti anni
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ci lasci il tuo canto dell'abisso, là dove sparisci consegnando a noi
l'interrogazione
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Le sirene: sembra in effetti che cantassero, ma in un modo che non
soddisfaceva, che lasciava solo intendere in quale direzione si aprivano le
vere fonti e la vera felicità del canto. Tuttavia, con i loro canti imperfetti
che non erano ancora un canto a venire, guidavano il navigatore verso
uno spazio in cui il canto sarebbe iniziato veramente... uno spazio in cui la
musica stessa sarebbe scomparsa
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Sleep... no more stories... no more words / Adastayfree
VOCI
N.Balestrini A.Artaud Sabotaggio C.d.l. R.Barthes S. Beckett
M.Blanchot R.M.Rilke G.Manganelli M.Proust F.Kafka C.Bologna
J.Kristeva A.Rosselli A.Robin D.Heller Roazen E.Canetti J.Cage
M.Foucault Zhuang-zi G.Agamben G.Hill A.Neher L.DI Ruscio
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E.Bloch B.Cepollaro E.Isgrò M.Giovenale R.Chair R.Walser
M.Heidegger R.Cavallo R.Rauschenberg A.Hamilton T.Landolfi
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