Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Capitolo Primo
Gli istituti
1. La nozione di tributo tra ideologia e diritto positivo.
Nel linguaggio ordinario, i termini tributo, imposta, tassa, contributo ed altri sono in sostanza, semanticamente equivalenti; in
sede giuridica tali termini, sono specialistici. La definizione di tributo è affidata all’interprete. Per ripercorrere
sommariamente le tappe dell’evoluzione dottrinale, si può cominciare col ricordare che, nelle prime elaborazioni dei giuristi, la
nozione di tributo è influenzata dagli studi di scienza delle finanze: tali studi distinguono le entrate pubbliche in relazione al
tipo di spese pubbliche che servono a finanziare. Essendovi spese pubbliche indivisibili e divisibili, le entrate destinate a
finanziare le spese indivisibili sono dette imposte, mentre le entrate destinate a finanziare quelle divisibili sono dette tasse.
Oltre che l’impostazione degli studi di scienza delle finanze, sui giuristi italiani ha operato l’influenza della dottrina tedesca
del diritto pubblico che, caratterizzava il tributo come espressione di sovranità. Da qui nasce il tributo come entrata
coattiva o autoritativa, ossia un’entrata la cui obbligatorietà è imposta con un atto dell’autorità, senza che vi concorra la
volontà dell’obbligato. La coattività, distingue, dunque il tributo dalle entrate di diritto privato; essa è però carattere tipico
ma non esclusivo del tributo. Perciò il tributo viene definito in base ai seguenti ulteriori caratteri distintivi: a) dal punto di
vista degli effetti il tributo comporta il sorgere di una obbligazione di pagamento a titolo definitivo; b) dal punto di vista
della fattispecie, il tributo si collega ad un fatto di natura economica. Ciò consente, tra l’altro, di distinguere il tributo dalle
sanzioni pecuniari, che pure si risolvono in prestazioni pecuniarie imposte autoritativamente, ma derivano da fattispecie
assunte come illeciti; c) dal punto di vista funzionale, il tributo è definito come un istituto la cui finalità è essenzialmente
fiscale, ossia di procurare un’entrata ad un ente pubblico.
Capitolo Secondo
Le Fonti
1. Le fonti
L’espressione fonte del diritto è quella con cui metaforicamente sono designati gli atti e i fatti normativi, da cui sono
prodotte norme astratte e generali. Le principali norme sulle fonti sono contenute nella Costituzione, negli statuti regionali,
nelle disposizioni preliminari al codice civile, nella legge sull’attività di governo ecc. Le diverse fonti del diritto costituiscono
un ordinamento gerarchico; esse sono disposte a gradi: le fonti di ciascun grado possono abrogare o modificare norme dello
stesso grado o norme di grado inferiore, e devono conformarsi alle norme di grado superiore. Secondo la terminologia
tradizionale, le leggi sono fonti primarie e i regolamenti sono fonti secondarie.
5. I testi unici.
La legge per la riforma tributaria ha attribuito al Governo il potere di emanare : a) decreti legislativi per l’attuazione della
riforma; b) decreti legislativi con disposizioni integrative e correttive; c) decreti legislativi recanti testi unici. Circa il
contenuto dei testi unici, la legge delega dispone che essi contengano le norme emanate in attuazione della riforma e le
norme previgenti rimaste in vigore, con la possibilità di apportare le modifiche necessarie per il coordinamento delle diverse
disposizioni e per eliminare ogni contrasto con i principi e criteri direttivi della delega. I testi unici di attuazione della
riforma tributaria, quindi, non sono testi soltanto compilativi (di pura raccolta di disposizioni vigenti), ma testi innovativi, in
quanto possono contenere disposizioni integrative e correttive delle norme preesistenti.
6. I regolamenti.
Nella gerarchia delle fonti sono subordinati alle leggi; quindi non possono essere in contrasto con norme di legge; se sono
contrari alla legge, possono essere annullati dal giudice amministrativo e disapplicati dagli altri giudici (ordinario e
tributario). I regolamenti non sono oggetto di giudizio di costituzionalità; se contrari a norme costituzionali, sono annullati o
disapplicati come nel caso in cui sono contrari alla legge. Nei limiti in cui ciò è consentito dalla riserva di legge (art. 23), fonte
di produzione di norme tributarie possono essere anche i regolamenti, sia di organi statali sia di enti locali.
A) La l. 23/8/88 n°400, recante “disciplina dell’attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei
Ministri”, ha disciplinato (art. 17) la potestà regolamentare prevedendo che i regolamenti governativi sono deliberati dal
Consiglio dei Ministri, dopo aver sentito il parere del Consiglio di Stato, e sono emanati dal Pres. Della Rep.. Tali
regolamenti possono essere emanati per disciplinare: 1) l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi; 2) L’attuazione
ed integrazione delle leggi e dei decreti legislativi; 3) le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti
aventi forza di legge; 4) l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni
dettate dalla legge; 5) L’organizzazione del lavoro e i rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti in base agli accordi
sindacali.
Il Governo dispone di una potestà regolamentare generale esercitabile anche senza specifica autorizzazione legislativa;
esso è titolare, inoltre, di una potestà esercitabile solo previa autorizzazione legislativa, nelle materie non coperte da
riserva assoluta di legge.
4
B) I regolamenti ministeriali sono adottati con decreto del Ministro nelle materie di competenza del ministro. Quando la
materia è di competenza di più ministri, sono emanati regolamenti interministeriali, sempre in base ad apposite
autorizzazione legislativa. I regolamenti ministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti
governativi e debbono essere comunicati al Pres. del Consiglio dei Ministri prima della loro emanazione.
C) Vi sono poi i regolamenti locali, emanati da regioni, province e comuni; per lo più essi hanno per oggetto la fissazione di
aliquote (la legge però fissa sempre il tetto max).
7. Le fonti comunitarie.
Il trattato istitutivo della CEE è stato ratificato con legge ordinaria; è stato così inserito, nel sistema delle fonti del nostro
diritto, un meccanismo in base al quale valgono nell’ordinamento italiano anche le norme comunitarie. Il sistema delle fonti del
diritto comunitario è costituito, innanzitutto, dal diritto c.d. primario, elaborato direttamente dagli stati membri, e vi è poi il
diritto derivato, costituito dalle norme emesse dagli organi comunitari. Tra le fonti di produzione del diritto comunitario
derivato hanno particolare importanza i regolamenti e le direttive. Il regolamento a norma dell’art. 189 del trattato, ha
portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi, ed è direttamente applicabile in ciascuno degli stati membri. La
diretta applicabilità comporta che gli Stati non possono e non debbono emanare norme per introdurre un regolamento
nell’ordinamento interno. In quanto produttivo di effetti immediati, il regolamento è idoneo ad attribuire ai singoli dei diritti
che i giudici nazionali devono tutelare. Le direttive secondo l’art. 189 del trattato CEE, vincolano gli Stati membri per quanto
riguarda il risultato da raggiungere, mentre è rimessa alla discrezionalità dei singoli Stati l’adozione degli strumenti e dei
mezzi per raggiungerlo.
Capitolo Terzo
2. I vincoli dell’interpretazione.
L’attività interpretativa non è del tutto libera né del tutto vincolata. I vincoli d’interpretazione, posti dallo stesso
ordinamento giuridica sono i seguenti:
a) vincoli derivanti dalla struttura gerarchica dell’ordinamento: i testi di legge devono essere interpretati in modo da
risultare conformi alla Cost.; in materia tributaria le leggi devono essere interpretate in modo da risultare conformi
all’art. 53 Cost.; i testi delle leggi delegate devono essere interpretati in modo da risultare conformi alle leggi di
delegazione; i testi delle norme nazionali devono essere interpretati in modo da risultare conformi alle norme
comunitarie; i testi dei regolamenti devono essere interpretati in modo da risultare conformi alle norme di legge , ecc;
b) Vincoli derivanti da leggi interpretative e dalle definizioni legislative;
c) Vincoli derivanti dalle norme sull’interpretazione.
Tra le norme generali sull’interpretazione vanno ricordate le seguenti. Innanzitutto va ricordato l’art. 12 disp. Prel. C. C.
Primo comma (nell’applicare la legge non si può attribuire ad essa altro senso che quello fatto palese del significato proprio
delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. In secondo luogo vi è l’art. 12 cit. Secondo
comma ( se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione si ha riguardo alle disposizioni che regolano
casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico
dello Stato). Terzo luogo, art. 13, che vieta l’analogia per le leggi penali e per quelle che fanno eccezione a regole generali o
ad altre leggi.
6. Le lacune e l’analogia.
Sull’ammissibilità dell’analogia in diritto tributario, vi è largo consenso nel ritenere che nulla vi è di peculiare per quel che
attiene alle norme tributarie non sostanziali: norme sui procedimenti, n. processuali, ecc.. Naturalmente vale anche per le
norme penali tributarie il divieto di analogia. L’analogia è ammessa per le norme tributarie sostanziali: più precisamente, per
le norme che delimitano gli oggetti imponibili. IN materia di oggetti imponibili, vige il principio della completezza. E’ vietata
l’analogia per le norme che indicano che cosa è tassabile: nulla esclude l’analogia per le norme che indicano in che modo deve
avvenire la tassazione. Possono darsi, infatti, nel diritto tributario le lacune c.d. tecniche. Si prenda il caso di una legge che
stabilisca l’imponibilità di un dato fatto economico, ma si presenti lacunosa, ad esempio, su come si determina l’imponibile , su
come si fa la dichiarazione, su come si versa ,ecc. In una simile ipotesi, l’interprete è autorizzato a ricorrere all’analogia.
8. Le leggi interpretative.
Anche il legislatore si fa interprete, quando, data una disposizione di dubbio significato, interviene con una disposizione
interpretativa. La disposizione interpretativa presuppone una disposizione suscettibile di più interpretazioni; la disposizione
di interpretazione autentica, quindi, lasciando immutato il testo cui si riferisce, elimina, tra le due o più norme
potenzialmente contenute in quel testo, le interpretazioni considerate errate, lasciandone sopravvivere una soltanto.
L’interpretazione autentica si basa sulla finzione che, delle possibili interpretazioni di cui un testo è suscettibile, tutte meno
una siano errate. Le disposizioni interpretative sono retroattive; perciò è importante distinguere tra disposizioni
interpretative (retroattive) e disposizioni innovative (non retroattive). Accade però nella pratica, che nuove disposizioni, che
sostituiscono disposizioni previgenti, ma con formulazione più chiara o più completa, vengano considerate retroattive.
9. Le circolari interpretative.
L’amministrazione svolge quotidianamente opera di interpretazione; l’opera di interpretazione l’Amm. la esplicita nelle
circolari e negli altri atti, con cui gli uffici centrali dell’Amm. impartiscono ordini e direttive agli uffici periferici. Di solito,
all’emanazione di una nuova legge, il Ministero fa seguire una circolare, con la quale illustra agli uffici periferici il significato
della legge. La pronuncia del Ministero viene inoltre sollecitata da quesiti posti dagli uffici periferici o dai cittadini, in
relazione a casi specifici; la risposta a tali quesiti (espressa in atti che prendono il nome di risoluzioni o note) costituiscono
occasione per altri esercizi di interpretazione della legge. Ora, è pacifico che tutti questi atti sono interni; ciò significa che
vincolano, in base al rapporto gerarchico, l’ufficio periferico a conformarsi a quanto stabilito dall’ufficio sopraordinato; ciò
significa, inoltre, che non hanno effetti vincolanti all’esterno dell’Amm.. L’interpretazione ministeriale, quindi non è
vincolante; mentre, quanto alla sua attendibilità, vi sono fattori che la rendono attendibile, e fattori che la rendono
7
inattendibile. La rende inattendibile l’essere un’interpretazione di parte, cioè dalla parte interessata a che la questione
dubbia sia risolta pro fisco.
Capitolo terzo
13. L’interpello.
Per ovviare allo stato di incertezza in cui possono trovarsi gli operatori economici i quali, proponendosi di porre in essere
un’operazione, hanno motivo di ritenere che il fisco la consideri elusiva, è stato istituito uno speciale procedimento, con il
quale i contribuenti possono interpellare l’amministrazione finanziaria e conoscerne preventivamente il giudizio in ordine ad
una determinata operazione. I contribuenti possono interpellare l’amm. finanziaria in ordine all’applicazione delle seguenti
norme: operazioni di fusione, concentrazione, trasformazione, scorporo e riduzione di capitali; in caso di interposizione di
persona i redditi sono imputati al titolare effettivo e non a quello apparente; sulla qualificazione di determinare spese come
spese di rappresentanza ovvero di pubblicità e propaganda. La procedura di interpello è così articolata: il contribuente,
quando sta per porre in essere un comportamento che potrebbe dar luogo all’applicazione di una delle citate norme
antielusive, può richiedere il preventivo parere alla competente direzione generale del Ministero delle finanze fornendole
tutti gli elementi conoscitivi utili ai fini della corretta qualificazione tributaria della fattispecie prospettata; in caso di
mancata risposta della direzione generale, o di risposta alla quale il contribuente non intende uniformarsi, è dato al
contribuente il diritto di richiedere il parere del “comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive”; la mancata
risposta da parte del comitato consultivo entro 60 gg. dalla richiesta del contribuente, e dopo ulteriori 60 gg. da una formale
diffida ad adempiere, equivale a silenzio-assenso.
Capitolo quarto
I principi
3. La nozione di capacità contributiva e divieto di tassare fatti non espressivi di forza economica.
Occorre ora esaminare il principio di capacità contributiva, che l’art. 53 Cost. proclama stabilendo che: “tutti sono tenuti a
concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
A) La disposizione costituzionale, nel suo significato letterale può apparire assai poco significativa; può sembrare cioè in
quanto mera enunciazione del dovere di pagare i tributi, priva di significato pratico, perché il dovere di pagare i tributi,
in concreto, sorge solo per effetto di quanto stabiliscono le leggi.
B) Si cogli la funzione normativa dell’art. 53, solo se in esso si scorge una delimitazione di quel potere (dello Stato) e di quel
dovere (dei consociati). L’art. 53 infatti delimita il potere legislativo in quanto in esso è stabilito che è
costituzionalmente legittimo imporre tributi solo in ragione di un fatto che sia indicativo di capacità contributiva.
Correlativamente, l’art. 53, delimita il dovere contributivo, in quanto garantisce ai consociati di non poter essere
obbligati a contribuire alle spese pubbliche in relazione a fatti che non siano espressivi di capacità contributiva.
C) Quali sono i fatti che esprimono capacità contributiva? Cosa è la capacità contributiva? Per rispondere a queste domande
è bene ricordare che, secondo la scienza delle finanze, le risorse pubbliche possono essere reperite o secondo il
principio del beneficio o secondo il principio del sacrificio. Il primo principio importa che la spese pubbliche sono
finanziate da chi ne fruisce; secondo il principio del sacrificio le spese pubbliche sono finanziate non da chi ne fruisce,
ma da chi è dotato di capacità contributiva. Mentre le spese pubbliche c.d. divisibili possono essere finanziate in base al
principio del beneficio, le spese pubbliche c.d. indivisibili possono essere finanziate solo col criterio della capacità
contributiva. Dalla scienza delle finanze non ci è però fornita una definizione rigorosa di capacità contributiva; perciò
alcuni autori ritennero che il precetto costituzionale fosse privo di significato. Su di un punto, comunque, il consenso è
unanime; e cioè nell’attribuire alla capacità contributiva il significato di capacità economica, e quindi nel dire che fatto
espressivo di capacità contributiva è un fatto di natura economica.
Capitolo quinto
Le fattispecie
1. Sistematica dell’imposta.
La dottrina tributaristica tradizionale ordinava le varie norme che disciplinano l’imposta adottando il concetto di rapporto
d’imposta, inteso come rapporto complesso; in questo rapporto confluiscono, da un lato, le norme sostanziali dell’imposta
( quelle che stabiliscono chi, in presenza di quali presupposti, in quale misura, deve pagare l’imposta) e, dall’altro le norme
formali sul procedimento d’accertamento, sulla riscossione, sul processo, sul rimborso: tutte queste norme e le vicende da
esse disciplinate sono viste come svolgimento o attuazione del rapporto complesso d’imposta nascente dal presupposto. La
sistematica del rapporto complesso d’imposta è stata abbandonata dalla dottrina tributaristica più recente, che preferisce
ordinare la materia intorno ai concetti di potestà di imposizione e di procedimento: le norme tributarie sono viste tutte come
norme procedimentali, regolanti l’esercizio della potestà d’imposizione. In conclusione, mentre la teoria del rapporto
d’imposta usa un concetto di diritto sostanziale inglobandovi le norme procedimentali, la teoria della potestà d’imposizione
ingloba le norme sostanziali in quelle procedimentali. La prima pone l'enfasi sulla statica, la seconda sulla dinamica ed
entrambe sono unilaterali. Occorre invece distinguere tra statica e dinamica: l’aspetto statico è dato dalle norme sostanziali
che stabiliscono le fattispecie e gli effetti d’imposta; l’aspetto dinamico del fenomeno è quello che considera gli atti e i
procedimenti attraverso i quali avviene l’attuazione dell’imposta.
2. Il presupposto.
Ogni figura giuridica si compone di due elementi: la fattispecie e l’effetto. La fattispecie che dà vita all’imposta è variamente
denominata: fatto imponibile, fatto generatore, presupposto. Preferire l’uno o l’altro termine è questione puramente
lessicale: qui si preferisce il termine presupposto perché d’uso più comune. In relazione all’effetto principale, il presupposto
è quell’evento che determina, direttamente o indirettamente, il sorgere dell’obbligazione tributaria. Qui il presupposto deve
essere esaminato dal punto di vista strutturale. Caratteri oggettivi del presupposto:
A) il presupposto d’imposta va tenuto distinto dall’oggetto; l’uno è nozione giuridica, l’altro nozione economica;
B) la distinzione tra presupposto e oggetto dell’imposta rende ragione delle divergenze di classificazione che si riscontrano
a proposito di taluni tributi che vengono considerati indiretti da chi tiene conto del profilo giuridico formale, ed imposte
dirette da chi ne considera l’oggetto economico;
C) le classificazioni più correnti dell’imposta hanno come riferimento il presupposto. La tassonomia più in uso è quella che
distingue le imposte in dirette ed indirette; le prime sono quelle che colpiscono il reddito o il patrimonio, le seconde
tutte le altre (imposte sui consumi, affari). Le imposte sul reddito poi, sono ulteriormente distinte in personali e reali, a
seconda che, nella loro disciplina, abbia o no rilievo qualche elemento che attiene alla persona del soggetto passivo.
3. Esenzioni ed esclusioni.
Nella disciplina di un tributo, con gli enunciati legislativi che definiscono la fattispecie tipica ( il presupposto), possono
coesistere delle disposizioni che ne ampliano o ne restringono l’area di applicabilità. Tra queste disposizioni, va innanzitutto
considerato il caso delle esenzioni che sono costituite da enunciati normativi che sottraggono all’applicazione del tributo
ipotesi che dovrebbero esservi soggette in base alla definizione generale del presupposto. Secondo la dottrina tradizionale,
le norme esentative presentano le seguenti caratteristiche: a) sono norme distinte rispetto a quelle che definiscono il
presupposto, ed hanno un autonomo effetto giuridico (effetto impeditivo); b) sono norme eccezionali, come tali non
suscettibili di integrazione analogica; c) sono norme che conferiscono al soggetto esentato un diritto soggettivo (il diritto
d'esenzione). L’impostazione della dottrina tradizionale è criticata nella letteratura più recente. Si ritiene, che l’esenzione
non sia il portato di una norma distinta ed autonoma, ma che l’enunciato legislativo che indica il caso esentato concorra, con la
disposizione che definisce il presupposto, a definire l’area di applicabilità del tributo. Cade , quindi, anche la possibilità di
ravvisare nell’esenzione la fattispecie d’un effetto impeditivo, ovvero la fattispecie di un particolare diritto soggettivo.
Anche la eccezionalità delle norme esentative è contestata dalla moderna dottrina. Dal punto di vista delle conseguenze si ha
esenzione quando è escluso il sorgere del debito d’imposta; ma ciò non necessariamente implica esclusione di obblighi
strumentali di varia natura (di presentare la dichiarazione). Rispetto alle imposte periodiche, le esenzioni possono essere
temporanee oppure permanenti. Altra distinzione è tra esenzioni oggettive e soggettive. Diverso può essere il modo di
operare delle esenzioni: vi sono infatti esenzioni operanti ex lege, ed esenzioni operanti solo a seguito di istanza di parte, o di
apposito provvedimento esonerativo. Le esenzioni si differenziano dalle esclusioni perché le prime costituiscono una deroga
rispetto alla disciplina generale del tributo, mentre le esclusioni risultano da enunciati con cui il legislatore chiarisce i limiti
di applicabilità del tributo, senza derogare a quanto risulta dagli enunciati generali.
12
4. Fattispecie sostitutive.
Il legislatore può sottrarre una certa categoria di ipotesi al genere di quelle che costituiscono il presupposto dell’imposta non
solo esentandola, ma anche disponendo che, in via di deroga, quella categoria sia sottoposta ad altra imposta. Si ha, in tal
caso, una fattispecie sostitutiva e correttamente si dice che si ha un regime fiscale sostitutivo. La ragion d’essere d’un simile
regime derogatorio può risiedere sia in scopi di agevolazione, sia in motivi di tecnica impositiva. Ecco alcuni casi notevoli di
tributi sostitutivi: a) le imposte sulle assicurazioni e sui contratti di rendita vitalizia sostituiscono le imposte di registro e di
bollo; b) le tasse sui contratti di borsa sostituiscono le imposte di registro e di bollo.
Pongono in essere dei regimi sostitutivi le norme che sottopongono determinati redditi a ritenuta alla fonte a titolo
d’imposta. Rispetto al regime normale, in tali ipotesi si hanno le seguenti differenze: soggetto passivo del tributo non è il
reddituario ma il sostituto; il reddito è tassato in via autonoma con aliquota fissa, non è quindi componente del reddito
complessivo ed è sottratto alla progressività; la tassazione alla fonte in via definitiva sostituisce ogni imposta diretta (IRPEF
ed IRPEG da un lato, ILOR dall’altro).
5. Fattispecie equiparate.
Con le esenzioni e con le fattispecie sostitutive il legislatore pone delle deroghe alla fattispecie tipica sottraendo certe
ipotesi alla sua sfera di applicazione: ma deroghe possono esservi anche in direzione inversa, ossia mediante la previsione di
altre ipotesi diverse da quelle tipiche cui pure si applica l’imposta. Il legislatore può prevedere che siano sottoposti ad un
certo tributo anche casi diversi dal presupposto tipico, semplicemente perché vuole che certi fatti economici siano
sottoposti a quella imposta. Si ha quindi una equiparazione di queste fattispecie a quella tipica. In altri casi, l’ampliamento
della sfera di applicazione del tributo risponde a fini antielusivi. Per distinguere terminologicamente le due ipotesi, si può
parlare, nel primo caso, di fattispecie equiparate o assimilate, e, nel secondo, di fattispecie surrogatorie o supplementari.
8. Fattispecie alternative.
Si hanno fattispecie alternative quando un certo fatto od evento, normalmente soggetto ad una certa imposta, cessa di
esserlo (o lo è in misura ridotta), se è soggetto anche ad un’altra imposta. Può darsi, cioè, che la sovrapposizione di
fattispecie non determini l’applicazione di più imposte, ma l’applicazione d’una sola imposta e la non applicazione dell’altro
tributo.
9. Fattispecie condizionali.
L’efficacia della fattispecie tributaria può essere sottoposta a condizione, sospensiva o risolutiva. Nel primo caso (cond.
sospensiva) l’avveramento della condizione determina il sorgere del debito d’imposta; nel secondo la condizione estingue il
debito. Se l’evento cui è subordinata l’efficacia non è incertus an, ma certus an ed incertus quando, sarà tecnicamente più
appropriato dire che l’efficacia è soggetta ad un termine ( con valore sospensivo o risolutivo).
Capitolo sesto
Gli effetti
2. La base imponibile.
La misura del debito d’imposta risulta dall’applicazione del tasso d’imposta fissato dalla legge, ad una grandezza, denominata
base imponibile. Non bisogna confondere presupposto e base imponibile, anche quando lo stesso evento viene assunto dalla
legge sia come presupposto, sia come base imponibile. Concettualmente, presupposto è ciò che provoca l’applicabilità di un
tributo; base imponibile ciò che ne determina la misura; il primo determina l’an debeatur, la seconda il quantum, Può darsi
peraltro identificazione o sovrapposizione di concetti; il reddito, ad esempio, è al tempo stesso presupposto e base
imponibile. La base imponibile è costituita prevalentemente da una grandezza monetaria: l’ammontare del reddito, il valore di
un bene, un corrispettivo contrattuale. Ma può essere anche costituita da cose misurate secondo le loro caratteristiche di
misura e peso, o considerate nella loro unità.
4. Il tasso.
14
Il tasso può essere fisso o variabile. Si ha il primo quando l’imposta è predeterminata in una somma fissa. Il sistema
prevalente è però quello del tasso variabile, costituito, quando la base imponibile è una grandezza monetaria, da una aliquota.
L’aliquota può essere fissa o progressiva. Nel caso di imposta proporzionale, l’aliquota non muta con il variare della base
imponibile. Nel caso di imposta progressiva, possono aversi diverse soluzioni matematiche che determinano il variare
dell’aliquota in relazione al variare della base imponibile. Nell’IRPEF, la progressività è per scaglioni: ad ogni scaglione di
reddito corrisponde un’aliquota via via crescente. Possono aversi imposte regressive, quando l’aliquota diminuisce con
l’aumentare della base imponibile; o graduali quando la base imponibile è divisa in più gradi , a ciascuno dei quali corrisponde
un’imposta fissa in misura diversa.
6. Obbligazioni d’acconto.
Il verificarsi del presupposto rende definitivamente dovuto il tributo. L’obbligazione tributaria che si ricollega al
presupposto può essere preceduta da altre obbligazioni, che possono essere definite provvisorie. Si tratta di obbligazioni che
sorgono prima del perfezionarsi del presupposto; esse realizzano, dunque, un’anticipazione della riscossione rispetto al
presupposto e sono soprattutto presenti nella disciplina delle imposte periodiche (imposte sui redditi e IVA).
A) si consideri, nel campo delle imposte dirette, il sistema dei versamenti d’acconto. Nel corso del periodo d’imposta,
ciascun soggetto passivo deve versare un acconto dell’imposta che risulterà dovuta per quel periodo: l’acconto deve
essere versato in due rate; la prima con la presentazione della dichiarazione relativa all’anno precedente, la seconda
entro il 30 novembre.
B) Pure nell’ambito delle imposte sui redditi, si consideri il sistema delle ritenute d’acconto. Nell’IRPEF le somme
costituenti reddito di capitale, i compensi dei lavoratori dipendenti, i compensi percepiti dai lavoratori autonomi, sono
soggetti a ritenuta. Si ha qui il fenomeno della sostituzione: colui che eroga la somma deve effettuare una ritenuta e
versarne l’importo allo Stato. Chi subisce la ritenuta acquista nei confronti dell’erario il diritto di decurtarne gli importi
delle ritenute stabilite.
C) Nell’Iva ogni soggetto passivo deve, mensilmente o trimestralmente, liquidare e versare la differenza tra l’ammontare
dell’imposta dovuta sulle operazioni attive e l’ammontare dell’imposta detraibile relativa agli acquisti. Se dal calcolo
risulta una differenza a favore del contribuente, il relativo importo è computato in detrazione del mese o nel trimestre
successivo. A chiusura del periodo d’imposta, con la dichiarazione annuale, viene calcolata l’imposta globalmente dovuta,
ed il globale delle detrazioni.
7. Obbligazioni dipendenti.
All’obbligazione d’imposta possono accompagnarsi obbligazioni accessorie, legate alla prima da un nesso di pregiudizialità-
dipendenza. Ecco le principali obbligazioni accessorie: a) obbligazioni relative all’indennità di mora, se decorre inutilmente il
termine utile per il pagamento delle imposte iscritte a ruolo, il contribuente è obbligato a corrispondere un’indennità di mora
nella misura del 2% del debito, se il pagamento è eseguito entro i 3 gg. successivi alla scadenza, e del 6% se il pagamento è
effettuato oltre detto termine; b) obbligazioni relative agli interessi: per le imposte sui redditi la legge stabilisce che ,
decorso un semestre dalla data di presentazione della dichiarazione, sono dovuti interessi sulle imposte o maggiori imposte
dovute in base a rettifica od accertamento d’ufficio, per ogni semestre successivo fino alla consegna dei ruoli all’esattore;
nella stessa misura sono dovuti gli interessi nel caso di prolungata rateazione.
8. Effetti connessi.
In connessione con l’obbligazione tributaria, possono sorgere degli altri rapporti intercorrenti tra il soggetto passivo del
debito d’imposta ed un terzo diverso dall’ente pubblico creditore. E’ il caso del rapporto di rivalsa del credito, cioè, attribuito
al soggetto passivo del tributo, nei confronti di un altro soggetto. Le ragioni del rapporto di rivalsa possono essere molto
varie nei diversi tributi.
A) vi sono innanzitutto tributi posti a carico di un soggetto che il legislatore intende far gravare economicamente su di un
altro. Ciò avviene, per lo più, nelle imposte sui consumi, nelle quali il soggetto passivo è un imprenditore, cui la legge
consente di trasferire su altri (i consumatori) il peso economico del tributo. Non bisogna però confondere il fenomeno
puramente economico della traslazione d’imposta che si ha quando il contribuente di un’imposta trasferisce su altri
l’onere del tributo inglobandone l’ammontare nel prezzo di trasferimento ad altri di un bene o di un servizio, con il
fenomeno giuridico della rivalsa che si verifica quando il contribuente c.d. di diritto ha un credito nei confronti del
contribuente di fatto, credito che si aggiunge al corrispettivo contrattuale.
B) Ma vi sono anche dei casi in cui il soggetto passivo dell’imposta è un soggetto diverso da colui che realizza il presupposto;
tali soggetti sono denominati sostituto d’imposta e responsabile d’imposta. Essi hanno diritto di rivalsa nei confronti di
colui che ha posto in essere il presupposto; le leggi tributarie prevedono espressamente tale diritto di rivalsa. In
15
generale, ha diritto di rivalsa, verso colui che realizza il presupposto dell’imposta, ogni terzo che sia tenuto a
corrispondere il tributo. Fonte del diritto di rivalsa può essere non solo la legge ma anche una clausola contrattuale. La
rivalsa del sostituto d’imposta che si esercita mediante ritenuta è infatti normalmente obbligatoria, e sono previste
sanzioni per la mancata effettuazione della rivalsa. Ma vi sono, anche, dei casi in cui il legislatore vieta la rivalsa;
nell’INVIM ad esempio che grava sul venditore è vietato pattuire che il compratore si accolli l’onere dell’imposta.
9. Le garanzie: i privilegi.
Il credito d’imposta può essere ed è per lo più assistito da garanzie di vario tipo, un esame sommario delle quali deve dare
particolare rilievo ai privilegi, che assicurano al fisco di essere soddisfatto a preferenza di altri creditori in caso di
espropriazione. Sono previsti privilegi generali e speciali, sui mobili e sugli immobili. Una indicazione sommaria delle norme
che prevedono privilegi può raggruppare tali norme in 4 classi: a) privilegio generale sui mobili del debitore: tale garanzia è
prevista per l’IRPEF, l’IRPEG e l’ILOR; identico privilegio è accordato per i crediti IVA; b) privilegio speciale sui mobili: i
crediti dello Stato per i tributi indiretti hanno privilegio sui mobili ai quali i tributi si riferiscono. Uguale privilegio hanno i
crediti di rivalsa IVA; c) privilegio generale immobiliare: i crediti per l’IRPEF, IRPEG e ILOR, limitatamente alla quota
imputabile ai redditi immobiliari o fondiari non determinabili esattamente, hanno privilegi sugli immobili del debitore situati
nel comune in cui il tributo si riscuote; d) privilegio speciale immobiliare: tale privilegio assiste crediti per tributi indiretti
(compresa l’INVIM), in relazione agli immobili cui il tributo si riferisce.
Capitolo settimo
I soggetti
1. Il creditore.
L’imposta si concreta in un rapporto obbligatorio, esaminare i profili soggettivi significa studiare la figura del creditore e
quella del debitore. Creditore d’imposta è, nella maggior parte dei casi, lo Stato che agisce per tramite dell’amministrazione
delle finanze ed, in particolare, di una molteplicità di uffici preposti alla gestione delle diverse imposte. Creditore d’imposta
è lo Stato anche per talune imposte denominate locali o comunali, in quanto gestite da organi statali ed in quanto il rapporto
16
d’imposta s’instaura tra Stato e soggetto passivo. Creditori d’imposta possono essere anche enti diversi dallo Stato
( regioni, provincie, comuni) o addirittura dei privati, investiti di pubbliche funzioni (appaltatori delle imposte).
2. L’amministrazione finanziaria.
Dobbiamo ora occuparci della struttura dell’amministrazione finanziaria.
A) al vertice vi è il Ministro delle finanze, le sue direttive sono attuate dal consiglio di amministrazione, che ha anche
compiti di coordinamento complessivo dell’attività del Ministero e di gestione del personale. Il Ministro delle finanze è
coadiuvato dal Segretario generale, il cui compito specifico è quello di coordinare le attività degli uffici. Altri uffici
centrali sono il Servizio centrale degli ispettori tributari (Secit) e il servizio centrale della riscossione.
B) Il Secit ha fondamentalmente tre compiti: 1) controllare l’attività di accertamento degli uffici e le verifiche eseguite
dalla Guardia di finanza; 2) provvedere, in via straordinaria, a verifiche e controlli nei confronti di contribuenti
sospettati di evasioni di grandi proporzioni; 3) formulare proposte al Ministro per la predisposizione e l'attuazione dei
programmi di accertamento.
C) Il Ministero è strutturato in tre dipartimenti: uno si occupa delle entrate, uno delle dogane ed uno del territorio; ai tre
dipartimenti si affianca la direzione generale del personale. I dipartimenti hanno funzioni di indirizzo, programmazione e
coordinamento degli uffici periferici.
D) L’organizzazione periferica del Ministero delle finanze è articolata in direzioni regionali. Dalla direzione regionale delle
entrate dipendono: 1) i centri di servizio, la cui funzione è quella di effettuare il controllo formale delle dichiarazioni dei
redditi e di quelle dell’imposta sul valore aggiunto; essi curano la riscossione delle imposte ( dovute in base alle
dichiarazioni) e i rimborsi (spettanti in base alle dichiarazioni); 2) gli uffici delle entrate, cui spettano il controllo
sostanziale delle dichiarazioni, emanazione di avvisi di accertamento, e riscossione dei tributi dovuti in base agli
accertamenti.
E) La riscossione delle imposte dirette, e la riscossione coattiva della maggior parte delle imposte indirette, è demandata al
Servizio della riscossione che ha un ufficio centrale e uffici periferici.
F) La cura degli affari doganali è affidata, nell’ambito del Ministero delle finanze, al dipartimento delle dogane e delle
imposte indirette; tale dipartimento è articolato in uffici centrali e periferici.
3. Il contribuente.
Il contribuente viene usato in due accezioni: una assai lata, per cui esso designa ogni soggetto, che sia o possa diventare
termine passivo di riferimento di obbligazioni verso il fisco; in un significato più ristretto indica quello che, nella varietà dei
soggetti passivi è da denominare obbligato principale. Nel primo significato il termine ricorre nel decreto istitutivo
dell’anagrafe tributaria; l’iscrizione all’anagrafe implica attribuzione di un n° di codice fiscale; contribuente è dunque ogni
soggetto iscritto o iscrivibile all’anagrafe ovvero ogni soggetto la cui esistenza è fiscalmente rilevante.
4. L’obbligato principale.
Normalmente, soggetto di un’imposta è colui che ne realizza il presupposto. La normale identità tra autore del presupposto e
soggetto passivo dell’imposta risponde ad un requisito di costituzionalità del tributo; sarebbe violato l’art. 53 Cost. se il
gravame fiscale ricadesse su un soggetto che, non avendo realizzato il presupposto, non ha posto in essere il fatto espressivo
di capacità contributiva che il legislatore ha avuto di mira. Vi sono infatti dei casi in cui il tributo è posto a carico di soggetti
diversi da colui che ne realizza il presupposto di fatto ( in aggiunta o in sostituzione di colui che realizza il presupposto), ma
in tali casi occorre che il soggetto obbligato sia posto in condizione di riversare l’onere economico del tributo stesso su colui
che realizza il fatto espressivo di capacità contributiva. Chi realizza il presupposto di fatto di un tributo può essere definito
obbligato principale, per distinguerlo dagli altri obbligati. Ma è d'uso definirlo contribuente.
5. La solidarietà: a) le fattispecie.
Le diverse situazioni passive che scaturiscono dalle fattispecie tributarie, possono far capo a più soggetti in solido.
A) in proposito, va innanzitutto affrontato il tema della fonte della solidarietà. Parte della dottrina ritiene applicabile, in
materia tributaria, l’art. 1294 c.c., a norma del quale i debitori sono tenuti in solido se dalla legge o dal titolo non risulta
diversamente. Non solo non esiste una legge tributaria che escluda la solidarietà, ma molte ve ne sono che
espressamente la sanciscono. Perciò tutte le volte che più persone si trovano rispetto ad un medesimo presupposto,
nella situazione di soggetti passivi del tributo, essi sarebbero solidamente obbligati verso il fisco. La legge tributaria si
preoccupa sempre, nel disciplinare le varie imposte, di indicare i soggetti passivi e di stabilire quando sono tenuti in
solido, sicché, in definitiva, il problema dell’applicabilità dell’art. 1294 c.c. sembra privo di rilevanza pratica.
B) I casi nei quali si ha solidarietà tributaria sono caratterizzati dal fatto che il presupposto del tributo è riferibile a più
soggetti. Il reddito, quale arricchimento di un soggetto, è per sua natura riferibile ad un soggetto soltanto, e quindi
debbono considerarsi eccezionali le norme delle imposte sui redditi che stabiliscono la solidarietà. Ricorderemo: la
solidarietà tra cedente e cessionario di un immobile per l’ILOR relativa al periodo di tempo successivo al titolo che
serve da base per la voltura catastale; La solidarietà tra coniugi può scaturire dalla circostanza che essi presentino una
dichiarazione congiunta; è questa una singolare ipotesi di solidarietà voluta dagli obbligati. La sostituzione d’imposta si
trasforma in solidarietà nel caso in cui il sostituto a titolo d’imposta viene iscritto a ruolo per imposte, soprattasse, e
17
interessi relativi a redditi per i quali non ha effettuato ne le ritenute ne i versamenti. Più frequentemente s’incontra
la solidarietà nel campo delle imposte indirette: obbligati al pagamento dell’imposta di registro sono, di solito, pluralità
di soggetti; le imposte ipotecarie sono dovute, oltre che da coloro nel cui interesse è stata fatta la richiesta di
trascrizione, anche dai debitori contro cui è stata iscritta o rinnovata l’ipoteca; l’imposta sulle successioni è dovuta agli
eredi in solido. La solidarietà ricorre anche per il pagamento di sanzioni amministrative. Di particolare rilievo è la norma,
di portata generale, secondo cui, quando la violazione sia imputabile a più persone, queste sono tenute in solido al
pagamento della pena pecuniaria o soprattassa.
7. Il responsabile d’imposta.
Viene denominato responsabile d’imposta una particolare figura di debitore del tributo, al quale le legge addossa
l’obbligazione tributaria in solido con l’obbligato principale; ciò che distingue il responsabile d’imposta, dall’ordinaria figura di
coobbligato in solido, è la circostanza che la fattispecie della sua responsabilità non è la sua partecipazione al presupposto
dell’imposta, ma la realizzazione di una fattispecie ulteriore e diversa. L’obbligazione del responsabile, in tanto esiste, in
quanto esiste quella principale; si dice, perciò, che il responsabile è un coobbligato dipendente in contrapposizione all’istituto
della solidarietà ordinaria o paritaria. Ecco due esempi di questa particolare figura: a) i nuovi possessori di immobili, divenuti
proprietari o titolari di altri diritti reali, sono responsabili d’imposta; rispondono cioè in solido con i precedenti possessori
dell’ILOR; b) le aziende di credito che rilascino fideiussione ai soggetti passivi dell’imposta sul valore aggiunto che
conseguono rimborsi d’imposta, rispondono insieme con il garantito, dell’obbligo di restituire al fisco le somme indebitamente
rimborsate.
11. Il successore.
La successine ereditaria, comportando il subentro degli eredi in tutte le situazioni giuridiche (trasmissibili) che facevano
capo al defunto, implica anche il subentro degli eredi nelle situazioni giuridiche di natura tributaria.
A) per le imposte sui redditi gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato
anteriormente alla morte del dante causa. L’importanza della norma non sta nel fatto che sancisce la successione nelle
obbligazioni, ma in quanto sancisce la solidarietà degli eredi. Gli eredi sono tenuti verso i creditori al pagamento dei
debiti e pesi ereditari personalmente in proporzione della loro quota ereditaria. Gli eredi subentrano nella stessa
posizione del dante causa anche per quel che riguarda gli obblighi formali e le situazioni procedimentali. Per le imposte
sui redditi, la legge dispone che tutti i termini pendenti alla data della morte del dante causa o scadenti entro 4 mesi da
19
essa sono prorogati di 6 mesi a favore degli eredi. Gli eredi devono comunicare all’ufficio delle imposte dell’ultimo
domicilio fiscale del de cuius le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale.
B) In materia di Iva è previsto che gli obblighi fiscali derivanti da operazioni effettuate dal contribuente deceduto possono
essere adempiuti dagli eredi entro tre mesi dalla morte
C) Per quel che riguarda le altre imposte, non vi sono disposizioni specifiche, per cui si applicano i principi civilistici
D) Discusso è il problema se gli eredi subentrino al de cuius anche per quel che riguarda le sanzioni pecuniarie. La
giurisprudenza è orientata in senso affermativo.
E) Se vi è processo pendente, questo non si interrompe, ma i termini pendenti sono prorogati di 6 mesi a decorrere dalla
morte.
Parte terza
Dinamica dell’imposta
Capitolo ottavo
Profili generali
1. I modelli.
Abbiamo, sin qui, dato un immagine statica dell’imposta; ne abbiamo cioè descritto le fattispecie e gli effetti. Dobbiamo ora
vederne la dinamica; dobbiamo cioè indagare in qual modo la norma astratta e generale, che racchiude fattispecie ed effetti
dell’imposta, trova attuazione ed individuazione. Possono darsi nelle leggi d’imposta, più modelli di individuazione delle norme
astratte e generali, ma tre sono gli schemi paradigmatici.
A) il modello più semplice è quello dei tributi c.d. immediati o senza imposizione. Al verificarsi della fattispecie, l’obbligato
deve senz’altro versare una somma all’ente pubblico: non sono previsti adempimenti che s’inseriscono nel meccanismo
genetico dell’obbligazione dell’imposta; l’obbligazione nasce direttamente dalla legge, al verificarsi del presupposto di
fatto . Tosto che si verifichi la situazione base del tributo.. si determina subito l’obbligazione tributaria, che di solito
viene spontaneamente adempiuta senza bisogno d’una qualsiasi manifestazione finanziaria. L’attività della finanza suole
intervenire successivamente, a scopo di revisione, per controllare se l’obbligazione sia stata soddisfatta.
B) Ai tributi senza imposizione la dottrina affianca i tributi con imposizione; imposizione che può essere eventuale o
necessaria. Nel modello dell’imposizione eventuale al soggetto passivo del tributo non si richiede soltanto il versamento
di una somma di danaro, ma anche un’attività formale ( presentare una dichiarazione). L’omissione della dichiarazione, o la
presentazione di una dichiarazione imperfetta implicano l’emissione di un atto amministrativo, che viene denominato
avviso di accertamento; l’omissione del versamento provoca l’emissione da parte dell’ente pubblico, d’un fatto di
riscossione coattiva.
C) Il terzo modello è quello dell’imposizione necessaria; la riscossione implica un atto dell’amministrazione, che determina
l’imposta e ne rende dovuto il pagamento.
2. La potestà d’imposizione.
L’amministrazione finanziaria è dotata di potestà intesa a statuire sull’obbligazione tributaria; questa potestà o potere si
esprime in provvedimenti. Esaminiamo alcuni caratteri di questo potere.
A) L’esercizio del potere impositivo non è libero ne discrezionale, ma vincolato. Ciò è un riflesso del principio di legalità (art.
23): la legge pone norme materiali che disciplinano compiutamente l’obbligazione d’imposta, per cui l’individualizzazione
amministrativa della norma generale ed astratta avviene in presenza dei presupposti predeterminati dalla legge, senza
esercizio di discrezionalità. Una certa discrezionalità può riconoscersi all’amministrazione nella selezione dei soggetti da
sottoporre a controllo.
B) La particolare potestà cui ci riferiamo, è quella che ha per oggetto la sussistenza dell’obbligazione tributaria e che viene
di solito denominato potestà di imposizione o potestà accertativa. Essa non è da confondere con il potere governativo di
emanare norme astratte e generali, ne con i poteri che l’amministrazione esercita per riscuotere coattivamente i crediti
d’imposta. E’ anch’essa un potestà normativa: attua la individualizzazione di norme generali ed astratte mediante la
produzione di norme individuali e concrete.
20
3. Il procedimento d’imposizione.
L’attuazione dell’imposta da parte dell’amministrazione avviene con una serie di attività di varia natura coordinate
all’emanazione di un atto conclusivo. Nel diritto amministrativo generale il procedimento ha trovato riconoscimento e
disciplina nella l. 7/8/90 n° 241. Tale legge si applica anche ai procedimenti tributari con la sole eccezione del capo dedicato
alla partecipazione (del cittadino al provvedimento). Il procedimento amministrativo in generale si articola in più fasi: le
principali sono a) la fase iniziale, b) la fase istruttoria, c) la fase conclusiva. Il procedimento d’imposizione inizia sempre
d’ufficio sia quando è mancata la dichiarazione, sia quando questa è presentata, e quindi l’azione dell’ufficio è rivolta a
controllare e rettificare la dichiarazione. Inoltre, nel criterio tributario d’imposizione non abbiamo una serie prestabilita di
atti da porre in essere prima dell’emanazione dell’atto finale. Ai procedimenti tributari non si applicano come si è detto le
norme generali in tema di partecipazione del cittadino al procedimento. Solo in alcuni casi la legge obbliga l’ufficio ad
interpellare il contribuente ad a consentirgli una qualche forma di difesa; è quindi rimesso alla discrezionalità dell’ufficio dar
vita ad un contraddittorio nel corso del procedimento. Nella fase istruttoria , l’ufficio esperisce le indagini del caso per
ricercare e verificare i fatti fiscalmente rilevanti con l’uso dei poteri d’indagine che la legge gli conferisce. Infine, si ha la
fase conclusiva, ossia l’emanazione del provvedimento d’imposizione. Il procedimento può concludersi però anche senza
emanazione di provvedimenti: ciò avviene quando l'ufficio constata che non vi sono i presupposti per la emanazione di
provvedimenti.
5. La teoria dichiarativa.
Il complesso di problemi teorici ora indicati sono risolti in dottrina secondo due orientamenti dei quali quello tradizionale è di
tipo dichiarativo. Secondo tale orientamento le leggi tributarie fanno scaturire direttamente dal presupposto gli effetti
obbligatori in cui si risolve il tributo. Di conseguenza, tutti gli atti posti in essere dal contribuente o dall’amministrazione
finanziaria, non fanno parte del meccanismo costitutivo del rapporto d’imposta, ma sono rivolti a dargli esecuzione o ad
accettarlo. Dal fatto che la legge tributaria descrive compiutamente il fatto cui si collega l’imposta, alcuni deducono che il
potere impositivo dell’amministrazione ha natura di potere di mero accertamento, altri che non esiste alcun potere
amministrativo in senso proprio (mero atto). Per la formulazione più nota della teoria dichiarativa, l’avviso di accertamento
( l’atto in cui si esprime il potere d’imposizione) è una manifestazione del potere d’impero. Esso non produrrebbe una
situazione giuridica nuova, ma si limiterebbe a dichiarare ed accertare una situazione giuridica preesistente ( il rapporto
d’imposta sorto ex lege). Inoltre per questi orientamenti dottrinali, il contribuente è titolare di un diritto soggettivo; di
conseguenza il contribuente cui è notificato un atto di accertamento che non rispecchia esattamente la situazione di fatto o
che non è conforme alla legge, agisce in giudizio a tutela del diritto soggettivo leso dall’atto amministrativo.
a) le norme tributarie sono norme materiali che danno vita direttamente al verificarsi del presupposto d’imposta di un
rapporto complesso
b) il contribuente, nello stadio che precede l’imposizione è titolare d’un diritto soggettivo
c) l’atto di imposizione è, per alcuni, un provvedimento amministrativo ( autoritativo ed imperativo); per altri, invece, è un
mero atto
d) effetto dell’atto di imposizione è quello di accertare il rapporto già sorto ex lege; si ha dunque un effetto formale di
accertamento, non una modificazione sostanziale
e) il processo ha il compito di reintegrare il diritto soggettivo leso dall’attività amministrativa, e di accertare il rapporto
d’imposta sorto ex lege, disapplicando l’atto impositivo.
6. La teoria costitutiva.
Alla teoria dichiarativa si contrappone la teoria costitutiva. Essa muove dalla premessa che le norme tributarie non sono
norme materiali, ma norme strumentali norme, cioè che hanno per oggetto dei poteri: nell’esercizio di questi poteri,
l’amministrazione finanziaria emana atti di imposizione, i quali hanno l’effetto, non già di accertare una preesistente
situazione giuridica, ma di costituire tale situazione. Situazione giuridica del contribuente, di fronte al potere e all’atto di
imposizione, come posizione di interesse legittimo. Le dottrine costitutivistiche rispondono ai problemi sopraindicati nel modo
seguente:
a) considerano le norme tributarie come norme strumentali attributive all’amministrazione finanziaria di un potere
autoritativo
b) considerano il contribuente, nello stadio che precede l’imposizione, in posizione di interesse legittimo
c) risolvono il problema della natura dell’atto di imposizione considerandolo come un provvedimento autoritativo
d) assegnano a tale provvedimento ( definito atto di imposizione) effetti costitutivi del rapporto obbligatorio d’imposta
21
e) ritengono che il processo tributario abbia per destinazione ( e per oggetto) la verifica della legittimità degli atti di
imposizione in funzione del loro annullamento.
Capitolo nono
1. Considerazioni preliminari.
Dei tre modelli di attuazione delle leggi d’imposta, indicati in via astratta, quello accolto dal nostro ordinamento per la più
parte dei tributi è il modello della imposizione eventuale. Le ragioni della scelta legislativa sono evidenti: la massa enorme di
adempimenti richiesti da tali imposta non possono che essere affidate, innanzitutto agli stessi contribuenti, i quali devono
adempiere una serie assai vasta di obblighi c.d. formali o strumentali.
Capitolo nono
Capitolo decimo
L’istruttoria
5. Indagini bancarie.
A) Gli uffici delle imposte e la G.d.f. hanno il potere di richiedere alla aziende ed istituti di credito copia dei conti
intrattenuti con il contribuente, con la specificazione di tutti i rapporti inerenti e connessi a tali conti. Dal punto di vista
procedurale, vi è da notare che gli uffici delle imposte e la G.d.f., prima di svolgere indagini bancarie, debbono essere
autorizzati, rispettivamente dall’ispettore compartimentale delle imposte dirette e dal comandante di zona; e che
l’azienda di credito deve dare immediatamente notizia al contribuente delle richieste ricevute. Acquisiti i dati bancari,
l’ufficio può chiedere dati e notizie al contribuente, invitandolo a comparire di persona o inviandogli questionari. Il motivo
di questa ulteriore fase istruttoria è in ciò che, se i dati rilevati dai conti non trovano riscontro nella contabilità, operano
delle presunzioni legali relative di evasione. Più esattamente, se vi sono incassi non registrati, si presume che ad essi
corrispondano ricavi non registrati; quando vi sono prelevamenti non registrati, si presume che ai prelevamenti
corrispondano costi non registrati, e che a tali costi corrispondano ricavi ugualmente non registrati; il contribuente può
vincere tali presunzioni offrendo la prova contraria, ed indicando il beneficiario dei prelevamenti.
B) La G.d.f. che scopra, in sede di indagini preliminari, documenti, dati e notizie relativi alle situazioni e movimentazioni
bancarie, può trasmettere tali dati agli uffici delle imposte, ma occorre un’autorizzazione dell’autorità giudiziaria in
relazione alle norme che disciplinano il segreto delle indagini penali.
6. Inviti e richieste.
Meno penetranti e perciò non subordinati a particolari presupposti, sono altri poteri di cui il fisco dispone, sia nei confronti
del soggetto controllato, sia nei confronti di terzi. Esaminiamo, tali poteri, distinguendo tra quelli che riguardano il
contribuente e quelli che riguardano i terzi.
A) L’ufficio può innanzitutto, invitare i contribuenti a comparire di persona per fornire dati e notizie rilevanti ai fini
dell’accertamento nei loro confronti. In secondo luogo l’ufficio può invitare il contribuente ad esibire o trasmettere atti
e documenti. In terzo luogo, l’ufficio può inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico
rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti.
B) Per quanto riguarda i terzi, bisogna ulteriormente distinguere i terzi che hanno veste pubblica, dai terzi che sono
soggetti di diritto privato. L’ufficio può richiedere agli organi e alle amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici non
economici, alle società di assicurazioni, agli enti che effettuano pagamenti e riscossioni per conto terzi o che svolgono
attività di intermediazione e gestione finanziaria, la comunicazione di dati e notizie relativi a determinati soggetti o
categorie di soggetti. Inoltre, l’ufficio può richiedere ai notai, ai procuratori del registro, ai conservatori dei registri
immobiliari e ad ogni altro pubblico ufficio copia di atti depositati presso di essi. Per quanto riguarda gli altri terzi, il
fisco può chiedere ai soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili dati e documenti relativi ad attività svolte nei
confronti di clienti, fornitori e prestatori di lavoro autonomo.
Capitolo undicesimo
L’avviso di accertamento
1. Natura giuridica.
Il procedimento amministrativo di applicazione delle imposte sfocia in un atto che le leggi denominano avviso di
accertamento. Tale atto è ben più che un avviso e non è affatto sicuro che il suo effetto sia di mero accertamento. L’avviso
di accertamento viene denominato, da molti autori, come atto d’imposizione: espressione questa, che vuol mettere in rilievo
che, con questo provvedimento, l’ufficio impone qualcosa.
2. Le statuizioni.
Esaminiamo il contenuto dispositivo dell’atto d’imposizione.
A) In materia di imposte sui redditi, la legge prescrive che l’avviso di accertamento deve recare l’indicazione dell’imponibile
o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate.... Ciò che sembra essenziale è soltanto la
determinazione dell’imponibile; vi sono infatti ipotesi in cui l’atto non va oltre tale determinazione. Una prima ipotesi è
data dall’accertamento dei redditi delle società di persone; con esso viene determinata l’imposta dovuta dalla società
ILOR ma , agli effetti dell’imposta dovuta dal socio, rileva soltanto la determinazione dell’imponibile della società, da
imputare poi, pro quota, a ciascun socio, agli effetti dell’imposta dovuta al socio. Un’altra ipotesi si ha quando l’imponibile
29
è di segno negativo oppure costituito dal c.d. pareggio fiscale; l’avviso che accerta delle perdite o accerta il pareggio
non comporta, evidentemente, statuizioni circa l’imposta; si può dire, anche, che comporta la statuizione che non è dovuta
alcuna imposta per quel periodo.
B) Nella disciplina dell’Iva, il contenuto dell’avviso di accertamento non è specificato dal legislatore, che si limita a stabilire
che “l’ufficio imposta sul valore aggiunto procede alla rettifica della dichiarazione annuale presentata dal contribuente
quando ritiene che ne risulti un’imposta inferiore a quella dovuta ovvero una eccedenza detraibile o rimborsabile
superiore a quella spettante”.
C) Le imposte indirette si differenziano da quelle dirette in quanto la loro applicazione avviene attraverso una sequenza di
atti in parte diversa. All’avviso di accertamento delle imposte sui redditi corrisponde nelle imposte indirette, l’avviso di
accertamento di valore così denominabile in quanto di regola, in tali imposte, occorre stabilire il valore venale del bene su
cui incide l'imposta. L’essenziale caratteristica che differenzia tale avviso da quello delle imposte dirette non è però
tanto il fatto che esso implichi la valutazione del valore venale di un bene, quanto al fatto che il suo contenuto riguarda
soltanto tale valore, senza estendersi alla determinazione dell’imposta. La determinazione dell’imposta è infatti affidata
ad un altro atto, avente una sua specifica individualità e funzione: l’avviso di liquidazione. La determinazione
dell’imponibile può assumere articolazioni differenziate nelle tre imposte cui ci si riferisce: registro, successione ed
INVIM. Agli effetti dell’imposta di registro l’avviso di accertamento stabilisce il valore venale degli immobili o delle
aziende. Agli effetti dell'imposta sulle successioni, l'avviso contiene la determinazione del valore dei beni caduti in
successione, ma esso può riguardare anche le passività ereditarie. Per l’INVIM, quando il tributo viene applicato su beni
il cui trasferimento sia soggetto all’imposta di registro o sulle successioni, o sul valore aggiunto, i valori accertati o i
corrispettivi assunti ai fini di tali imposte valgono anche per l’INVIM. Peraltro, ai fini di quest’ultima imposta,
l’accertamento imponibile assume un contenuto più articolato, riguardando non solo il valore finale ma anche quello iniziale
e le spese incrementative detraibili.
3. La motivazione.
A) Che gli atti di disposizione debbano essere sempre motivati è un principio alla cui affermazione generale si è pervenuti
solo di recente. Sono due i dati normativi nei quali trova sicuro fondamento il principio generale dell’obbligo di
motivazione dei provvedimenti dell’amministrazione finanziaria. Il primo è nella legge che regola in generale ogni
provvedimento amministrativo; ci si riferisce all’art. 3 della l. 7/8/ 90 n° 241, ove è stabilito, con formula di portata
generale, che ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato. Il secondo dato normativo è nell’art. 21 del d.p.r.
n° 636, il quale stabilisce che la commissione tributaria non può disporre la rinnovazione dell’atto impugnato quando sia
fatto valere il vizio di motivazione: il che implica, da un lato, l’obbligo dell’amministrazione di motivare i provvedimenti
impugnabili e dall'altro il carattere invalidante del vizio di motivazione.
B) Motivazione, negli atti discrezionali, è l’esternazione dei motivi di opportunità, di convenienza amministrativa, ecc, che
stanno a fondamento dell’atto. Per gli atti d’imposizione, sembra valida la formula giurisprudenziale: motivazione è
l’indicazione dell’iter logico giuridico seguito dall’organo nella formazione dell’atto. Il lettore del provvedimento deve
essere posto in grado di ripercorrere l’itinerario logico seguito dall’autorità nella formazione del provvedimento. Questa
idoneità del provvedimento a rendere noto l’itinerario logico che sorregge il dispositivo sussiste o non sussiste: il
provvedimento, cioè, è motivato o non lo è.
C) Un provvedimento con motivazione insufficiente, omessa, contraddittoria, ecc; un provvedimento, cioè viziato nella
motivazione è invalido; esso è destinato ad essere annullato dall’autorità giurisdizionale; il giudice, a fronte di un atto
invalido, può soltanto annullarlo; non può mai sostituirlo.
4. Invalidità.
I civilisti distinguono tra negozio nullo e negozio annullabile. Negozio nullo è quello che nullum producit effectum; annullabile
è il negozio precariamente efficace. Nel diritto amministrativo, il provvedimento viziato si dice illegittimo; provvedimento
nullo è espressione impropria per designare il provvedimento precariamente efficace, suscettibile di eliminazione ( ossia
annullabile). Nel diritto tributario, valgono gli schemi del diritto amministrativo, con questa sola particolarità: non essendovi,
almeno di regola, atti discrezionali, e non essendo configurabile un merito dell’atto, non si danno vizi di merito, ne vizi di
eccesso di potere; ogni possibile vizio dell’atto d’imposizione è un vizio di violazione di legge. Si può distinguere, per gli atti
d’imposizione, tra vizi di contenuto e vizi di forma. I primi riguardano la parte dispositiva dell’atto, e sono costituiti da
violazioni delle norme tributarie sostanziali; vizi formali sono tutti gli altri ( di motivazione, incompetenza). Nel diritto
amministrativo, in generale, ed in quello tributario in particolare, non è positivamente stabilito un criterio preciso per
discernere i vizi innocui (che generano solamente la irregolarità dell’atto) dai vizi invalidanti. La giurisprudenza segue un
criterio empirico; giudica cioè di volta in volta se il vizio è tanto grave da essere invalidante.
5. Inesistenza.
L’atto invalido è un atto esistente; il provvedimento amministrativo illegittimo è efficace, finché non invalidato. E’ inesistente
l’atto emanato dall’autorità finanziaria, non provvista del potere impositivo; si può esemplificare indicando un atto che applica
un’imposta abrogata o dichiarata incostituzionale. E’ inesistente un atto d’imposizione, che manca dei requisiti minimi, senza i
quali l’atto non può dirsi venuto ad esistenza: atto non notificato, atto privo di dispositivo.
30
6. La notificazione.
L’atto di imposizione è recettizio: in tanto esiste, ed esplica effetti giuridici, in quanto sia notificato al destinatario;
l’imposizione viene ad esistenza, cioè, solo qualora sia compiuto un cero rito, denominato notificazione, che ha per scopo di
portare l’atto a conoscenza del destinatario. La notificazione degli avvisi di accertamento in materia di imposte sui redditi è
eseguita secondo le norme stabilite dal codice di procedura civile: a) la notificazione è eseguita dai messi comunali;
b) il messo deve far sottoscrivere l’atto al consegnatario
c) la notificazione deve essere fatta nel domicilio eletto fiscale del destinatario
d) la notificazione deve essere fatta nel domicilio eletto dal contribuente nel comune di domicilio fiscale
e) nel caso di irreperibilità del destinatario, il messo deposita copia dell’atto presso la casa del comune, ne affigge l’avviso
presso l’albo del comune e ne da notizia al destinatario con raccomandata
Tale disciplina vale anche per la notificazione degli atti d’imposizione in materia di IVA.
7. Il termine.
L’atto d’imposizione deve essere notificato entro un certo termine, previsto dalla legge a pena di decadenza; se
l’amministrazione non esercita il potere d’imporre entro quel termine, essa ne decade. Per le imposte sui redditi,
l’amministrazione deve notificare l’avviso entro il 31/12/ del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la
dichiarazione; nei casi di omessa presentazione della dichiarazione, o di presentazione di dichiarazione nulla, il termine è
quello del 31/12 del sesto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Per l’IVA il
termine è il 31/12 del quarto, o del quinto anno successivo a quello in cui è stata rispettivamente presentata, o avrebbe
dovuto essere presentata la dichiarazione; per l’imposta di registro vi è un termine di 5 anni per gli atti non registrati e di 3
anni per quelli registrati; analogamente, per l’imposta sulle successioni vi è un termine di 5 anni per le successioni non
denunciate e di tre per quelle denunciate.
8. Effetti soggettivi.
Consideriamo l’efficacia soggettiva dell’atto d’imposizione: esso esplica effetti soltanto nei confronti dei soggetti
contemplati come suoi destinatari ( ossia come soggetti passivi dei suoi effetti) ed, ai quali sia notificato. In linea di
principio, non vi sono altri soggetti investiti dall’atto. La posizione dei terzi implica la soluzione di due quesiti: a) se vi siano
casi in cui l’atto vincoli, oltre che il suo destinatario anche dei terzi; b) se l’atto, emesso nei confronti di un soggetto,
legittimi l’amministrazione a procedere all’esazione nei confronti di altri soggetti. Il problema sorge nei casi in cui più
soggetti siano implicati nella vicenda di attuazione del tributo. Conviene perciò precisare che l’atto non ha effetti verso i
terzi, nei casi seguenti:
a) quando vi sia sostituzione d’imposta, l’atto d’imposizione, ha come possibile destinatario il c.d. sostituto; l’imposizione,
emessa nei confronti del sostituto, non esplica effetti verso il sostituito;
b) nel caso di sostituzione d’acconto, l’atto d’imposizione, emesso nei confronti del sostituto, non esplica effetti verso il
sostituto
c) quando vi sia solidarietà paritaria, l’atto emesso nei confronti di un soggetto ( che diviene, così, obbligato, non esplica
effetti nei confronti di altri; è l’emissione dell’atto a carico di più soggetti che crea la solidarietà
d) quando vi sia solidarietà dipendente ( responsabile d’imposta) ,vale la stessa regola; l’atto emesso nei confronti di un
soggetto vincola soltanto il destinatario dell’atto, cui l’atto sia notificato.
I soli casi nei quali l’atto esplica effetti verso soggetti diversi da quelli in esso contemplati, sembrano essere i seguenti: 1)
quando un soggetto subentri ad un altro nell’obbligazione; quando cioè vi sia successione nel debito d’imposta; 2) quando vi sia
coobbligazione dipendente limitata; quando, cioè, l’amministrazione sia titolare del privilegio speciale, perché in tal caso l’atto
emesso nei confronti del soggetto passivo legittima l’esecuzione sul bene, indipendentemente dalla proprietà del bene stesso;
3) nei confronti della moglie, che ha presentato dichiarazione dei redditi congiunta con il marito.
9. La definitività.
L’atto di imposizione si dice definitivo quando sono decorsi i termini d’impugnazione, e non è impugnato, ovvero quando
l’impugnazione viene respinta. La definitività non è un quid che si aggiunge agli effetti dell’atto; è solo il riflesso della vicenda
estintiva, ovvero dell’esaurimento, del potere d’impugnare.
Capitolo undicesimo
L’avviso di accertamento
15. L’accertamento mediante coefficienti presuntivi dei redditi delle imprese minori.
Nei confronti dei soggetti con contabilità semplificata, l’accertamento può essere fatto, oltre che in base alle norme
ordinarie, con l’uso di coefficienti presuntivi, sia ai fini dell’imposta sul reddito sia ai fini dell’Iva. Poiché vi è analogia tra
questi coefficienti e quelli del redditometro, è opportuno notare che i coefficienti contenuti nel redditometro concernono il
33
reddito complessivo delle persone fisiche; i coefficienti di cui passiamo ora ad occuparci riguardano invece i componenti
positivi di reddito e il volume di affari dell’attività d’impresa e dell’attività di lavoro autonomo dei contribuenti c.d. minori.
A) Rileviamo che i coefficienti sono determinati annualmente con decreto del Pres. del Cons. Dei ministri, su proposta del
Min. Delle finanze e sentito il consiglio dei ministri, entro il 30/9 dell’anno cui si riferiscono.
B) In base a quali elementi vengono determinati i coefficienti? L’amministrazione si avvale di 3 ordini di dati: - dati desunti
dalle dichiarazioni dei redditi, dagli accertamenti degli uffici, e altri dati ed elementi in possesso dell’amministrazione; -
di informazioni richieste agli enti locali, alle organizzazioni economiche di categoria; - del c.d. contributo diretto
lavorativo.
C) A che scopo servono i coefficienti? Quale ne è il contenuto e l’oggetto? I coefficienti hanno per oggetto, non la
determinazione presuntiva del reddito, ma la determinazione presuntiva dei ricavi e dei compensi, e del volume d’affari
( ai fini dell’IVA). Il redditometro si basa su elementi che, indicando una certa spesa, fanno presumere un certo reddito;
gli indici del redditometro sono quindi costituiti da spese di erogazione del reddito; nel caso dei coefficienti presuntivi,
invece, gli indici sono costituiti da spese di produzione del reddito. Determinati, in base ai coefficienti, i ricavi (delle
imprese) i compensi (dei lavoratori autonomi), da essi si deducono soltanto le spese e gli altri componenti negativi
dichiarati dal contribuente o presi a base dei coefficienti. Da tale sottrazione risulta, alla fine, il reddito imponibile.
D) Sulla base del reddito determinato mediante i coefficienti, e di altri elementi eventualmente in possesso dell’ufficio
specificatamente relativi al singolo contribuente, l’amministrazione è legittimata a rettificare il reddito dichiarato dalle
imprese minori e dai lavoratori autonomi che hanno conseguito compensi inferiori ad una data soglia. Nei confronti di tali
soggetti, quindi, gli uffici possono utilizzare sia la procedura ordinaria, sia la procedura prevista per i coefficienti.
E) Vi sono particolari regole procedurali che l’ufficio deve seguire quando si avvale dei coefficienti. L’ufficio deve inviare al
contribuente, a pena di nullità dell’accertamento, con lettera raccomandata, una richiesta di chiarimenti; il contribuente
deve rispondere entro 60 gg.; nella risposta devono essere indicati i motivi per cui, in relazione alle specifiche condizioni
di esercizio dell’attività , i ricavi, i compensi o i corrispettivi dichiarati sono inferiori a quelli risultanti dall’applicazione
dei coefficienti; i motivi non addotti in risposta alla richiesta di chiarimenti non possono essere fatti valere in sede di
impugnazione dell’atto di accertamento. I coefficienti presuntivi non hanno lo stesso valore per tutte le imprese; per le
imprese c.d. minori, possono essere utilizzati in ogni caso; per le imprese minori, che hanno optato per la contabilità
ordinaria, i coefficienti presuntivi possono essere utilizzati in due casi: 1) il primo caso si ha quando sono state violate
regole relative al bilancio e alla contabilità; 2) in secondo luogo, i coefficienti presuntivi possono essere utilizzati quando
il reddito dichiarato è inferiore a quello determinato in basa ai coefficienti.
21. Il concordato.
Nel procedimento di accertamento possono intervenire anche degli accordi tra ufficio e contribuente. Con termine
consolidato dall’uso si parla correntemente di concordato. La disciplina di questo atto è caratterizzata dai seguenti tratti:
l’accertamento con adesione è un atto di rettifica della dichiarazione dei redditi delle persone fisiche che esercitano, anche
in forma associata, attività di impresa o di lavoro autonomo ( il concordato, quindi, riguarda le persone fisiche e non le
società; l’IRPEF e non l’IRPEG); L’istituto riguarda, in pratica, la sola categoria dei c.d. contribuenti minori. Il concordato può
essere stipulato quando non sono stati commessi reati (quando non vi sono fatti che costituiscono frode e quando i ricavi
omessi non superano i 50 ml.). L’accertamento concordato è definitivo; perciò, non è impugnabile dal contribuente e non può
essere modificato o integrato dall’ufficio; esso comporta una riduzione delle sanzioni amministrative ( ridotte ad un terzo del
minimo: da rapportare al fatto che se il contribuente non impugna l’accertamento beneficia di una riduzione pari alla metà
del minimo). L’efficacia del concordato è subordinata al pagamento di quanto risulta dovuto in base ad esso.
L’avviso di accertamento
Sezione terza – Misure antielusive –
1. Nozione di elusione.
A) Cerchiamo innanzitutto di definire l’elusione, che solitamente viene confrontata con l’evasione. L’evasione è
sinonimo di violazione delle norme fiscali; l’elusione, invece, indica un atto o un comportamento che non è
35
direttamente contrario alla legge, ma che, tuttavia, non la rispetta: potremmo dire che, chi elude,
rispetta la legge ma ne viola lo spirito. I tratti che identificano il comportamento elusivo sono:
a) il contribuente si propone di raggiungere un dato risultato economico, ma viene adoperato uno
strumento giuridico insolito, anormale, diverso da quello che normalmente si usa per raggiungere
quel risultato;
b) la scelta di quel percorso viene fatta per conseguire determinati vantaggi fiscali;
c) lo strumento giuridico anormale viene prescelto con il fine di eludere l’imposta.
B) L’elusione a differenza dell’evasione viene posta in essere alla luce del sole, ossia con atti palesi, senza
occultamenti della materia imponibile. Con l’elusione viene posto in essere un risultato pratico identico a
quello considerato dalla norma elusa; nel c.d. risparmio lecito d’imposta, viene posto in essere un risultato
pratico diverso, senza aggirare alcuna norma. Una forma di risparmio lecito è quella che viene detta
erosione. Una persona che, in sede di dichiarazione dei redditi, deduce molti oneri, fruisce di redditi esenti
o agevolati, paga alla fine un’imposta minore.
C) L’elusione si distingue dall’evasione per il fatto che l’evasione è sinonimo di illecito ed è realizzata
occultando il presupposto dell’imposta.
D) L’elusione viene distinta dalla frode alla legge, intesa come contratto in frode alla legge. E’ nullo per illiceità
della causa il contratto che costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa.
3. L’interpretazione antielusiva.
Un altro strumento antielusivo può essere dato dall’interpretazione antielusiva, che può essere adottata quando il
contribuente che elude si avvale di strumenti che possono essere considerati, o che apparentemente sono , estranei alla
fattispecie della norma impositiva, ma che, in realtà, vi rientrano, o vi possono rientrare, ove le regole
sull’interpretazione permettano di tener conto in modo prevalente del risultato economico avuto di mira dal legislatore.
Una duplice possibile interpretazione della disposizione fiscale: una letterale, formalistica, in base alla quale il
comportamento elusivo non è tassabile; ed una interpretazione non letterale, non rigida, in base alla quale il
comportamento elusivo è tassabile.
8. L’interpello dell’amministrazione.
Per ovviare allo stato di incertezza in cui possono trovarsi gli operatori economici, i contribuenti possono interpellare
l’amm. Finanziaria e conoscerne preventivamente il giudizio. I casi sono predeterminati: operazione che potrebbe essere
considerata elusiva, ed inquadrata in uno dei casi di elusione espressamente stabiliti; operazione alla quale potrebbe
essere applicata la norma in tema di interposizione di persona. La procedura di interpello è così articolata:
- il contribuente, quando sta per porre in essere uno dei comportamenti sopra indicati può richiedere
preventivo parere alla competente direzione generale del Ministero delle finanze
- in caso di mancata risposta della Dir. generale, o di risposta alla quale non si intende uniformarsi, è dato al
contribuente il diritto di richiedere il parere del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme
antielusive.
- La mancata risposta del Comitato entro 60 gg. dalla richiesta del contribuente, e dopo ulteriori 60 gg. da
una formale diffida ad adempiere, equivale a silenzio assenso.
Capitolo dodicesimo
La riscossione
7. La ritenuta diretta.
Il decreto sulla riscossione delle imposte sui redditi esordisce con l’affermazione che tali imposte sono riscosse mediante:
a) ritenuta diretta;
b) versamenti diretti al concessionario della riscossione;
c) iscrizione a ruoli.
Ritenuta diretta è una forma di riscossione che si ha quando le amministrazioni statali corrispondono compensi od altre
somme, con il diritto di decurtarle d’un certo importo ; la ritenuta viene detta diretta perché effettuata direttamente
dell’ente impositore. L’amministrazione statale, pertanto nel corrispondere somme soggette a ritenuta: a) è debitrice verso il
contribuente d’una certa somma; b) può, anzi, deve operare una ritenuta; c) deve, infine, trasferire le ritenute alla tesoreria,
secondo le norme della contabilità di Stato. La ritenuta diretta può essere a titolo d’acconto o a titolo d’imposta.
8. Il versamento diretto.
E’ denominato versamento diretto il versamento di somme effettuato dal contribuente, in base ad autonoma liquidazione della
somma da versare (c.d autoliquidazione o autotassazione); viene detto diretto per distinguerlo da quello effettuato in base al
ruolo. Nel campo delle imposte sui redditi, si ha versamento diretto nelle seguenti ipotesi:
a) versamenti delle ritenute operate dai sostituti d’imposta;
b) versamenti a titolo d’acconto dell’IRPEF, dell’IRPEG e dell’ILOR; tali versamenti costituiscono un acconto dell’imposta
che risulterà dovuta per l’anno in cui sono versati gli acconti, e sono commisurati all’imposta dichiarata per l’anno
precedente;
c) versamenti a saldo dell’IRPEF, dell’IRPEG e dell’ILOR: tali versamenti debbono essere effettuati entro il termine entro
il quale deve essere presentata la dichiarazione annuale. Le somme predette debbono essere versate al concessionario
della riscossione territorialmente competente da individuare in base al luogo di domicilio fiscale del contribuente. Il
versamento si effettua o presso gli sportelli del concessionario o mediante delega bancaria. La banca, ricevuta dal
contribuente la somma da versare all’erario, rilascia al contribuente una quietanza che libera il contribuente nei
confronti del fisco. Secondo la giurisprudenza, l’accettazione della delega da parte dell’azienda di credito comporta la
novazione dell’obbligazione preesistente: all’obbligazione tributaria (del contribuente) subentra quella della banca;
l’obbligazione della banca verso il fisco ha natura privatistica.
9. I ruoli.
A) I casi nei quali la riscossione delle imposte sui redditi avviene mediante ruolo possono essere indicati, innanzitutto, in via
residuale, cioè come l’insieme dei casi nei quali non è prevista la riscossione mediante ritenuta diretta o versamento
diretto. Ricevuta la dichiarazione, non corredata dalla quietanza del versamento diretto delle imposte dovute in base all
dichiarazione stessa, l’amministrazione finanziaria iscrive a ruolo le somme non versate. Vi sono tre ipotesi di iscrizioni a
ruolo in base all dichiarazione: 1) presentazione della dichiarazione senza previo versamento diretto ( o con insufficiente
versamento) delle somme liquidate ( nella stessa dichiarazione); 2) maggiori somme liquidate in base all dichiarazione per
effetto del controllo formale e documentale della dichiarazione; 3) dichiarazione dei redditi soggetti a tassazione
separata ( per tali somme non è previsto il versamento diretto).
Sono poi riscosse mediante ruolo le somme dovute in base agli accertamenti; nel campo delle imposte dirette, la
riscossione tramite ruolo è l’unica prevista per gli importi dovuti in base agli accertamenti .
B) La legge distingue diverse specie di ruoli: - ruoli principali, nei quali sono iscritte le imposte liquidate in base alla
dichiarazione; - r. suppletivi, nei quali sono iscritte le imposte dovute in base agli accertamenti; - r. speciali, nei quali
sono iscritte le somme dovute dai sostituti; - r. straordinari, nei quali sono iscritte in via anticipata rispetto ai tempi
ordinari, le somme per le quali vi sia fondato pericolo per la riscossione. Le imposte iscritte nei ruoli speciali e
straordinari sono riscossi in unica soluzione, mentre sono riscosse in più rate quelle iscritte negli altri ruoli.
C) La formazione dei ruoli è di competenza degli uffici delle imposte ( per le riscossioni che hanno per titolo l’avviso di
accertamento) e dei centri di servizio ( per le riscossioni che hanno per titolo la dichiarazione); nella formazione
materiale dei ruoli, l’amministrazione è coadiuvata dal Consorzio obbligatorio dei concessionari della riscossione: i ruoli
39
sono quindi trasmessi all direzione regionale che, a sua volta, dopo avervi apposto il visto di esecutorietà, li consegna al
concessionario.
D) La consegna del ruolo al concessionario lo rende esigibile; il concessionario deve rendere note ai singoli soggetti iscritti
le iscrizioni che li riguardano, mediante notificazione della cartella esattoriale; la cartella riproduce, in sostanza, i dati
della singola partita di ruolo; dalla sua notificazione decorre il termine per ricorrere.
E) Dal punto di vista del contenuto, il ruolo si presenta come un elenco dei contribuenti con l’indicazione del tributo, nel
periodo d’imposta, dell’imponibile, dell’imposta, delle somme dovute, ecc.. Il punto critico concerne la motivazione. A tal
fine, può essere utile la distinzione tra ruolo meramente riproduttivo di un atto precedente ( nel qual caso non si ravvisa
alcuna esigenza di motivazione) e ruolo innovativo, per il quale invece si pone l’esigenza di rendere edotto il contribuente
delle ragioni dell’iscrizione.
Capitolo dodicesimo
Sezione terza – La riscossione delle imposte indirette –
Capitolo dodicesimo
Sezione quarta – Esecuzione forzata –
22. L’ingiunzione.
L’ingiunzione era lo strumento della riscossione di tutte le tasse e imposte indirette: ora continua ad essere usata come atto
di accertamento, mentre per la riscossione occorre il ruolo. Con atto di ingiunzione, la pubblica amministrazione ordina il
pagamento dell’imposta; se il pagamento non avviene entro 30 gg., la pubblica amministrazione ha il diritto di dar corso
all’esecuzione forzata. Quanto alla natura giuridica e agli effetti dell’ingiunzione, essa: se segue un atto d’imposizione ha
natura di atto esattivo; se non è stata preceduta da avviso di accertamento, cumula le funzioni di atto impositivo e di atto
esattivo.
Capitolo tredicesimo
Il rimborso
Sezione prima – Le fattispecie –
Capitolo tredicesimo
Sezione seconda – Il procedimento –
6. Articolazione generale.
Esiste tutto un complesso di regole, intese a disciplinare il procedimento di rimborso: ossia il complesso di attività che
verificano ed attuano il credito di rimborso. La disciplina generale, applicabile nei casi in cui non vi siano norme specifiche è
così riassumibile: - atto iniziale del procedimento di rimborso è una istanza dell’interessato;
- l’istanza è proponibile in caso di versamento diretto o qualora manchino o non siano stati notificati atti impugnabili;
- l’istanza è proponibile nei termini previsti dalle singole leggi d’imposta o, in mancanza di disposizioni specifiche, entro 2
anni dal pagamento, ovvero se posteriore, da quando sia sorto il diritto alla restituzione;
- all’istanza segue l’accoglimento (atto di rimborso), o il rigetto della stessa ( provvedimento di diniego), ovvero l’inerzia
dell’ufficio;
- in caso di provvedimento di diniego l’interessato può proporre ricorso alla commissione entro 60 gg.; se il ricorso è
omesso non può essere riproposta l’istanza;
- in caso di silenzio, l’interessato può ricorrere quando siano trascorsi almeno 90 gg. dalla presentazione dell’istanza e fino
a quando il rimborso non è prescritto.
43
8. Imposte indirette.
Esaminiamo ora, le norme che disciplinano l’istanza di rimborso di imposte indirette. In tale settore, ha un certo carattere di
generalità la regola per cui il rimborso deve essere richiesto, a pena decadenza, entro 3 anni dal pagamento. Tale termine
vale per l’imposta di registro, per l’INVIM, per l’imposta sulle successioni e donazioni, per le imposte ipotecarie e catastali,
per l’imposta sugli spettacoli, per le tasse sulle concessioni governative e per il bollo pagato in modo virtuale. Per quel che
concerne l'imposta sul valore aggiunto, occorre distinguere il rimborso di somme indebitamente versate dal credito d’imposta
derivante dall’imposta assolta o dovuta dal contribuente o a lui addebitata a titolo di rivalsa. La legge regola minutamente
l’esercizio del credito d’imposta, stabilendo: a) che le detrazioni vanno computate nel mese di competenza e che quelle non
computate tempestivamente non possono essere computate nei mesi successivi ma solo nella dichiarazione annuale; b) che il
contribuente perde il diritto alle detrazioni non computate per i mesi di competenza ne in sede di dichiarazione annuale.
9. Il rimborso d’ufficio.
E’ importante distinguere i casi in cui il procedimento di rimborso inizia per impulso dell’interessato, dai casi di rimborso
d’ufficio. In caso di rimborso d’ufficio non essendo previsto alcun termine, opera solo quello prescrizionale previsto dal
codice civile.
A) Un primo ordine di fattispecie, in cui il rimborso deve essere disposto d’ufficio, riguarda i crediti risultanti dalla
dichiarazione dei redditi ( per i quali il dichiarante non abbia optato per il riporto a nuovo, nella dichiarazione d’imposta
dell’anno successivo).
B) Un secondo ordine di casi riguarda i rimborsi da effettuare a seguito di decisioni delle commissioni; se l’imposta
iscrivibile a ruolo in base ad una decisione è inferiore a quella iscritta, l’ufficio deve disporre lo sgravio.
C) Infine, tutti i casi in cui la riscossione indebita dipende da errori materiali o duplicazioni imputabili allo stesso ufficio
(es. Iscrizione a ruolo di una somma superiore a quella accertata), il rimborso deve essere disposto d’ufficio.
10. Il diniego.
Le norme che prevedono istanze di rimborso o che il fisco provveda al rimborso di sua iniziativa, non sono norme che fondano
il credito di rimborso, ma norme che disciplinano l’attuazione: sono, cioè, norme di natura procedimentale, non norme
sostanziali. Bisogna dunque distinguere il rapporto sostanziale di rimborso dal fenomeno procedimentale che serve ad
attuarlo; le norme passate in rassegna non sono una duplicazione o una esplicitazione del principio generale dell’indebito, ma
norme regolatrici delle attività preordinate a verificare ed attuare il diritto al rimborso. Dall’istanza di rimborso non nasce il
diritto al rimborso, ed il debito di rimborso, ma una situazione giuridica procedimentale; l’istanza obbliga l’amministrazione ad
attivarsi, per verificare la fondatezza della domanda, ed a pronunciarsi su di essa, accogliendola o rigettandola. Dall’istanza,
cioè, sorge l’obbligo di procedere e l’obbligo di pronuncia. Il provvedimento di diniego dispone il rigetto dell’istanza, ed
estingue il dovere di pronuncia.
11. Il silenzio.
44
Quando l’amministrazione rimane inerte e non provvede sull’istanza, l’interessato può presentare ricorso alla commissione,
purché siano decorsi 90 gg. dalla precedente istanza, e fino a quando il diritto al rimborso non è prescritto. E’ invece da
ritenere che il silenzio non abbia valore di provvedimento e che, in particolare, non equivalga ad un provvedimento di diniego.
E’ dunque un silenzio privo di effetti sul piano sostanziale ( esso non estingue il credito, come il diniego) ed ha valore solo
processuale, come presupposto del ricorso. Quando viene presentato ricorso a seguito di silenzio, non viene proposta
un’azione di impugnazione, ma un’azione di accertamento; insieme con l’accertamento del credito, l’interessato può altresì
chiedere la condanna dell’amministrazione al rimborso.
Capitolo quattordicesimo
Le sanzioni
Capitolo quattordicesimo
Le sanzioni
4. Le fattispecie.
Iniziamo l’esame degli illeciti amministrativi cui è collegata una pena pecuniaria o una soprattassa.
A) In materia di Iva, le violazioni degli obblighi formali (fatturazione, registrazione, dichiarazione, contabilità,
compilazione di elenchi, mancata risposta a questionari) sono punite con pena pecuniaria; l’omesso o tardivo versamento è
punito con soprattassa.
B) In materia di imposte sui redditi, seguendo analogo criterio, il legislatore punisce con pena pecuniaria le violazioni
relative alla dichiarazione e ad altri obblighi; le violazioni in materia di riscossione, invece, sono punite prevalentemente
con soprattassa.
45
C) In materia di imposte di successione e di registro il legislatore, seguendo lo stesso criterio, punisce con pena
pecuniaria le violazioni relative alla dichiarazione e ad altri obblighi formali, e punisce con soprattassa l’omesso o tardivo
versamento.
5. La pena pecuniaria.
A) La pena pecuniaria consiste nell’obbligazione di pagare una somma di denaro.
B) La misura della pena pecuniaria varia tra un minimo ed un massimo; nell’applicazione si ha riguardo alla gravità della
violazione e alla personalità di chi l’ha commessa; la personalità del trasgressore è desunta dai precedenti penali e
giudiziari e, in genere dalla sua condotta. Esistono peraltro dei casi nei quali la pena pecuniaria è stabilita in misura fissa:
es. È punita in misura fissa l’omessa presentazione della copia della dichiarazione dei redditi destinata al comune.
C) Gli organi del contenzioso tributario possono dichiarare non dovute le pene pecuniarie quando la violazione è giustificata
da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce.
D) La giurisprudenza ha sempre fatto leve sul carattere civile della obbligazione, in cui consiste l pena pecuniaria, per
affermarne la trasmissibilità agli eredi; la dottrina ha insistito sul carattere sanzionatorio dell’istituto per escludere la
trasmissibilità.
E) Se la violazione della norma finanziaria è commessa da più persone, queste sono obbligate in solido.
F) E’ prevista un’attenuazione del principio del cumulo delle pene in caso di continuazione.
6. La soprattassa.
La soprattassa si distingue dalla pena pecuniaria per la misura; essa non varia da un minimo ad un massimo, ma è stabilita dalla
legge in una somma fissa, corrispondente all’ammontare del tributo, ovvero ad una frazione o ad un multiplo di esso. Anche in
materia di soprattasse le commissioni hanno il potere di dichiararne la non applicabilità per motivi di incertezza sulla portata
della norma da applicare. Accentuandone il carattere risarcitorio, la giurisprudenza tende a considerarla un accessorio del
tributo, e quindi ad estendere all soprattassa la disciplina prevista, ad esempio, in materia di privilegi e di interessi moratori.
7. Altre sanzioni.
Gli illeciti amministrativi sono puniti, oltre che con le sanzioni già esaminate, con altre sanzioni, c.d. accessorie: - lo
scioglimento degli organi amministrativi e la revoca dell’autorizzazione all’esercizio del credito, per gli enti di credito che
violino le norme in tema di certificazioni di passività bancarie e in tema di deroghe al segreto bancario; - la decadenza dal
diritto di fruire di contributi o altre provvidenze dello Stato; - la sospensione dall’esercizio della professione; - la
sospensione dall’esercizio di un’attività commerciale.
Capitolo quattordicesimo
Sezione terza – Le misure penali –
10. La riforma.
Consideriamo le norme penali riguardanti le imposte dirette e l’imposta sul valore aggiunto.
A) La legge del 1929 conteneva il c.d. principio di fissità, non potevano essere abrogate o modificate da leggi posteriori
concernenti i singoli tributi, se non per dichiarazione espressa dal legislatore con specifico riferimento alle singole
disposizioni abrogate o modificate. La riforma del 1982 lo ha soppresso.
B) Altro importante principio della legge del 1929 abolito nel 1982 è la c.d. pregiudiziale tributaria; il principio, cioè,
previsto per le imposte dirette dalla legge del 1929 ed esteso all’Iva dal decreto istitutivo di tale ultima imposta, per cui
l’azione penale non può aver corso se non quando è divenuto definitivo l’accertamento del tributo. Si constatò che tale
principio aveva reso praticamente inoperante l’efficacia intimidatoria delle sanzioni penali poiché, data la lungaggine del
processo tributario, l’azione penale poteva avere inizio solo a distanza di molto tempo dalla comunicazione del fatto
illecito. Per abolire la pregiudiziale sono state infatti modificate le norme incriminatrici, le quali ora, prevalentemente
non puniscono l’evasione ( ossia l’omessa, incompleta o infedele dichiarazione) ma la commissione di fatti prodromici o
strumentali all’evasione o altri fatti il cui accertamento non implica la risoluzione di questioni estimative.
1. Cenno storico.
Con la legge del 1865 furono aboliti i tribunali del contenzioso amministrativo e la tutela dei cittadini nei confronti della
pubblica amministrazione, anche in materia tributaria, fu affidata al giudice ordinario. Non furono abolite, però, le
commissioni tributarie, che in seguito assunsero veste di organi contenziosi, articolati in tre gradi. Si aveva così un sistema di
tutela molto complesso, che si componeva di tre gradi di giudizio dinanzi alle commissioni, e di tre gradi dinanzi al giudice
ordinario. Il d.p.r. n° 636 del 72 è stato sostituito con la riforma dal d.lgs. n° 546 del 92. Con tale riforma vi erano due gradi
di giudizio dinanzi a commissioni di primo e secondo grado; vi era poi un terzo grado di giudizio, che poteva svolgersi,
alternativamente, dinanzi alla commissione tributaria centrale o dinanzi alla corte d’appello. La sentenza di terzo grado
50
poteva essere impugnata per cassazione. La disciplina del processo tributario contenuta nel d.p.r. 636 presentava difetti e
lacune, sia per quanto riguardava la composizione delle commissioni, sia per quanto riguardava il processo.
4.3. L’intervento.
Il litisconsorzio può essere anche facoltativo. Esso può sorgere dal fatto che altri soggetti intervengono in un processo già
instaurato, o sono chiamati in giudizio. Il d. lgs. 546 limita fortemente la possibilità di intervento a due categorie di soggetti:
a) a chi è destinatario dell’atto impugnato; b) a chi è parte del rapporto controverso. Infatti, l’intervento c.d. principale non è
configurabile nei processi d’impugnazione, ma soltanto nei processi di rimborso, nei quali si può ammettere l’intervento di chi
assume essere titolare del diritto di rimborso, in luogo di chi ha già instaurato il processo, contrapponendosi all’originario
ricorrente. L’intervento nei processi d’impugnazione è limitato a chi assume come titolo di legittimazione di essere
destinatario dell’atto impugnato. Se è già avvenuta la notifica dell’atto, il destinatario che lo ha già impugnato non ha motivo
di intervenire nel processo instaurato dal co- destinatario; duplicherebbe il processo avviato come ricorrente; inoltre non ha
motivo di intervenire invece che proporre ricorso. Resta possibile l’intervento del destinatario di un atto, che non ha ricevuto
la notifica (il condebitore in solido che interviene nel processo instaurato da altro coobbligato); egli può intervenire per
sostenere le ragioni del ricorrente, ove si ritenga che sia legittimato da un interesse, non meramente di fatto, ma
giuridicamente rilevante.
6. La costituzione in giudizio.
Il ricorrente, dopo aver notificato il ricorso, deve costituirsi in giudizio; deve, cioè, formare un fascicolo e depositarlo
presso la segreteria della commissione. La mancata costituzione del ricorrente rende inammissibile il ricorso.
19.2. L’oggetto del giudizio di appello: il divieto di nuove domande e l’effetto devolutivo.
L’oggetto del giudizio di appello è delimitato dall’atto di appello, ed, in particolare, dal petitum dell’atto di appello, che, indica
quali sono i capi della decisione di primo grado, su cui viene richiesto un nuovo giudizio. Se non viene richiesta la riforma
integrale, si avrà una scissione della prima sentenza, perché vi sarà una parte che sarà sostituita dalla pronuncia di appello,
ed una parte, non impugnata, che passa in giudicato. Si parla, in tal caso, di giudicato interno o parziale, derivante da
acquiescenza impropria. Data la struttura impugnatoria del processo tributario, il divieto di nuove domande in appello
riguarda soltanto il ricorrente, non l’amministrazione resistente. Quale è il significato di tale divieto?
Ricordato che la domanda si compone del petitum e della causa petendi, tale divieto, con riguardo al petitum, impedisce la
richiesta di cosa diversa o più estesa di quella richiesta in primo grado. Inoltre, non può essere mutato il motivo della
domanda, né possono essere introdotti nuovi motivi. A proposito del divieto di nuove eccezioni: le eccezioni sono dunque, nel
processo tributario, le deduzioni che la parte resistente contrappone al ricorrente; ma va precisato che le nuove eccezioni,
vietate in appello, sono soltanto le eccezioni in senso sostanziale, non le semplici difese, che si collegano a quanto già
contenuto nell’atto impugnato.
19.3. Effetto devolutivo limitato ed onere di riproposizione delle questioni ed eccezioni non accolte in primo grado.
In relazione ai capi che hanno formato oggetto di impugnazione, invece, si ha il c.d. effetto devolutivo, per cui le deduzioni ed
i materiali acquisiti in primo grado passano automaticamente all’esame del secondo giudice. Quindi la parte vittoriosa in primo
grado, che abbia proposto più questioni, e che sia risultata vittoriosa essendo stata accolta una soltanto delle questioni
dedotte, ha l’onere di riproporre le questioni non accolte.
23. La revocazione.
La revocazione è un mezzo di impugnazione che ha scarsissima applicazione pratica.
L’art. 395 del c.p.c. ammette la revocazione per i seguenti motivi:
1) se le sentenze sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra;
2) se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza
3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi, che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per
causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario
4) se la sentenza è l’effetto di errore di fatto risultante dagli atti della causa
5) se la sentenza è contraria al altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia
pronunciato sulla relativa eccezione
6) se la sentenza è l’effetto del dolo del giudice, accertamento con sentenza passata in giudicato
Viene definita revocazione ordinaria quella che è proposta per i vizi sub 4 e 5 ossia per i vizi che possono essere rilevati dalla
stessa sentenza. La revocazione straordinaria è invece quella proposta per i motivi previsti dai numeri 1,2,3,6. L’art. 64
ammette la revocazione per le sentenze delle commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto non
sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate. Da ciò si deduce: - che le sentenze di primo grado non sono
soggette a revocazione ordinaria ma solo a revocazione straordinaria in quanto i vizi palesi può porre rimedio l’appello
- che le sentenze di secondo grado, invece, sono sempre impugnabili per revocazione, sia ordinaria che straordinaria,
perché sui vizi relativi al giudizio sul fatto non può porre rimedio il ricorso per cassazione.