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Lara Zavatteri
CHI SONO
IL PAESE DI ODRUSSA
Il 15 agosto il caldo era opprimente e la macchina non dava
più segno di voler ripartire. Stavo in mezzo ad una strada di
campagna-ancora oggi non mi spiego esattamente come ci fossi
finito- e mentre il sole rovesciava braci ardenti
sull’asfalto e mi arrivavano folate d’aria africana, mi
chiedevo che fare. Ero a casa da solo quella mattina di quel
Ferragosto, e la noia già aveva cominciato a manifestarsi
prepotentemente quando mi ero ricordato della casetta del
nonno. Era un piccolo maso tra i boschi, comprato dal nonno
molti anni prima, in un paese che non conoscevo e di cui
perciò non avevo memoria. Non sapevo nemmeno perché il nonno
l’avesse acquistato, visto che a quanto ne sapevo non aveva
mai avuto nessun affare in quei luoghi. L’aveva lasciato a me
ma io non c’ero mai andato, le chiavi del maso stavano ancora
appese in uno sportello della credenza, lì dove il nonno le
aveva deposte. Passai davanti alla credenza quasi
distrattamente, quella mattina, mentre mi domandavo che fare
in una giornata in cui l’afa avrebbe reso ogni movimento,
ogni decisione, persino ogni pensiero più faticoso da
svolgere e da elaborare. Ho sempre preferito il tepore
dell’autunno al caldo infernale dell’estate perché almeno a
settembre-ottobre la brezza ritorna a rinfrescare l’aria e
torna anche la voglia di fare dopo la lunga sonnolenza
dell’estate. Non avevo programmi per quel giorno, né mi
andava molto di farne. Ma dopo colazione, passando per
l’appunto accanto alla credenza, mi sorpresi ad aprirla e a
prendere in mano il mazzo di chiavi della casetta del nonno.
Toccarle mi diede un senso di nostalgia e di tristezza
ricordando la figura del nonno, ma anche una strana
sensazione d’euforia. E se anziché starmene rintanato in casa
fossi partito per il paese, aperto finalmente il maso nei
boschi? Dopotutto non avevo nessuna prospettiva per quella
giornata e non mi andava nemmeno di stare a lagnarmi tutto il
tempo per l’inerzia. Presi le chiavi e, chiusa la credenza,
buttai poche cose in una borsa e chiusi casa, diretto verso
quel paese misterioso che speravo mi riservasse qualche
sorpresa gradita per risollevarmi dallo stato d’apatia in cui
ero caduto in quei giorni bollenti e monotoni. Il paese si
chiamava Odrussa, e da Perugia mi sarei dovuto spingere fin
nella più remota Italia del nord per raggiungerlo. Avevo
fatto il pieno il giorno prima e la macchina era in perfette
condizioni, calcolai che immettendomi in strade secondarie
sarei arrivato la sera, eventualmente avrei dormito in
macchina o in qualche pensione da pochi euro a notte, se ne
avessi trovata una. Misi in moto pieno di aspettative, e
nonostante il caldo proseguii per quel viaggio di buon umore
e senza problemi. Per questo, quando d’un tratto, diverse ore
più tardi, la macchina emise una specie di rantolo e quasi
con uno scatto si bloccò, ne rimasi stupito. Scesi subito a
controllare ma a prima vista non notavo nulla che potesse
aver causato il guasto. Alcuni automobilisti che viaggiavano
nella mia direzione suonarono il clacson più volte,
assordandomi, per farmi capire di spostarmi dalla strada. Per
questo spinsi con non poca fatica la macchina verso una
stradina di campagna poco distante, così da togliermi di
mezzo. Il sole era alto nel cielo, calcolai che potevano
essere all’incirca le due, l’ora peggiore per il caldo e
mentre ancora con il cofano aperto ispezionavo l’auto alla
ricerca del danno, mi si avvicinò un uomo quasi di soppiatto.
Non l’avevo sentito arrivare, perciò quando gridò “Salve!”
nella mia direzione, per poco non mi prese un colpo.
“Ah, non ricordo nulla. So che era stato qui diverse volte in
estate, aveva capelli ricci e neri, quand’era giovane, era
anche emigrato in America per un certo periodo. Lavorava come
falegname, aveva fatto bei mobili anche per della gente in
paese. Aveva fatto anche la guerra in Russia” disse d’un
fiato.
Rimasi basito.
Lara Zavatteri
www.larazavatteri.blogspot.com
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