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IL BLOG NOVEL DI EVENTI TRENTINO

Racconti di Lara Zavatteri (e le


scrittrici Rossella Giardina e Rossella
Saltini)

Quando ho iniziato a scrivere per il portale Eventi Trentino


non sapevo se l'avventura dei miei racconti inediti sarebbe
proseguita. Scrivevo storie di getto, volendo però proporre
generi diversi, dal comico all'assurdo allo storico, per
mettermi alla prova. Dopo circa un anno e con nove racconti
pubblicati, Eventi Trentino ha lanciato l'idea di pubblicare
un libro cartaceo che raccogliesse i miei racconti insieme a
quelli di altre due scrittrici, Rossella Saltini e Rossella
Giardina. La particolarità sta anche nel fatto che ogni
racconto è corredato dai commenti lasciati in Rete dagli
utenti. Vi propongo qui di seguito uno dei racconti,
totalmente basato su situazioni surreali. Buona lettura!

Lara Zavatteri
CHI SONO

Mi chiamo Lara Zavatteri, vivo a Mezzana in val di


Sole (Trentino) e sono una giornalista pubblicista
dal 2000.

Scrivo per il settimanale “Vita Trentina” e per


altri siti, inoltre ho realizzato alcuni libri: oltre
a Frammenti nel 2006, “La strada di casa” (editrice
Uni-Service) nel 2007 con il quale ho partecipato
alla Fiera del libro di Torino, la raccolta di
racconti “Le Piccole Cose” (Boopen editore) nel 2008,
“Reset” (Silele editore) nel 2009.

Nel 2010 a seguito di un esperimento in Rete sul portale


www.eventitrentino.it
con le autrici Rossella
Saltini e Rossella Giardina ho pubblicato la raccolta dei
nostri racconti intitolata “Il Blog Novel di Eventi
Trentino” (editrice Uni-Service) mentre un mio racconto è
stato pubblicato dalla casa editrice
Historica nell'antologia “Bassa marea” (volume secondo).
Curo anche il blog di un giovane ingegnere trentino e una
rubrica sui libri su Eventi Trentino.
Di seguito potete leggere uno dei nove racconti
pubblicati nel libro, non ho aggiunto i commenti che
invece sono presenti nel testo.

IL PAESE DI ODRUSSA
Il 15 agosto il caldo era opprimente e la macchina non dava
più segno di voler ripartire. Stavo in mezzo ad una strada di
campagna-ancora oggi non mi spiego esattamente come ci fossi
finito- e mentre il sole rovesciava braci ardenti
sull’asfalto e mi arrivavano folate d’aria africana, mi
chiedevo che fare. Ero a casa da solo quella mattina di quel
Ferragosto, e la noia già aveva cominciato a manifestarsi
prepotentemente quando mi ero ricordato della casetta del
nonno. Era un piccolo maso tra i boschi, comprato dal nonno
molti anni prima, in un paese che non conoscevo e di cui
perciò non avevo memoria. Non sapevo nemmeno perché il nonno
l’avesse acquistato, visto che a quanto ne sapevo non aveva
mai avuto nessun affare in quei luoghi. L’aveva lasciato a me
ma io non c’ero mai andato, le chiavi del maso stavano ancora
appese in uno sportello della credenza, lì dove il nonno le
aveva deposte. Passai davanti alla credenza quasi
distrattamente, quella mattina, mentre mi domandavo che fare
in una giornata in cui l’afa avrebbe reso ogni movimento,
ogni decisione, persino ogni pensiero più faticoso da
svolgere e da elaborare. Ho sempre preferito il tepore
dell’autunno al caldo infernale dell’estate perché almeno a
settembre-ottobre la brezza ritorna a rinfrescare l’aria e
torna anche la voglia di fare dopo la lunga sonnolenza
dell’estate. Non avevo programmi per quel giorno, né mi
andava molto di farne. Ma dopo colazione, passando per
l’appunto accanto alla credenza, mi sorpresi ad aprirla e a
prendere in mano il mazzo di chiavi della casetta del nonno.
Toccarle mi diede un senso di nostalgia e di tristezza
ricordando la figura del nonno, ma anche una strana
sensazione d’euforia. E se anziché starmene rintanato in casa
fossi partito per il paese, aperto finalmente il maso nei
boschi? Dopotutto non avevo nessuna prospettiva per quella
giornata e non mi andava nemmeno di stare a lagnarmi tutto il
tempo per l’inerzia. Presi le chiavi e, chiusa la credenza,
buttai poche cose in una borsa e chiusi casa, diretto verso
quel paese misterioso che speravo mi riservasse qualche
sorpresa gradita per risollevarmi dallo stato d’apatia in cui
ero caduto in quei giorni bollenti e monotoni. Il paese si
chiamava Odrussa, e da Perugia mi sarei dovuto spingere fin
nella più remota Italia del nord per raggiungerlo. Avevo
fatto il pieno il giorno prima e la macchina era in perfette
condizioni, calcolai che immettendomi in strade secondarie
sarei arrivato la sera, eventualmente avrei dormito in
macchina o in qualche pensione da pochi euro a notte, se ne
avessi trovata una. Misi in moto pieno di aspettative, e
nonostante il caldo proseguii per quel viaggio di buon umore
e senza problemi. Per questo, quando d’un tratto, diverse ore
più tardi, la macchina emise una specie di rantolo e quasi
con uno scatto si bloccò, ne rimasi stupito. Scesi subito a
controllare ma a prima vista non notavo nulla che potesse
aver causato il guasto. Alcuni automobilisti che viaggiavano
nella mia direzione suonarono il clacson più volte,
assordandomi, per farmi capire di spostarmi dalla strada. Per
questo spinsi con non poca fatica la macchina verso una
stradina di campagna poco distante, così da togliermi di
mezzo. Il sole era alto nel cielo, calcolai che potevano
essere all’incirca le due, l’ora peggiore per il caldo e
mentre ancora con il cofano aperto ispezionavo l’auto alla
ricerca del danno, mi si avvicinò un uomo quasi di soppiatto.
Non l’avevo sentito arrivare, perciò quando gridò “Salve!”
nella mia direzione, per poco non mi prese un colpo.

“Salve” risposi, fissandolo un po’ impaurito da


quell’apparizione “mi si è fermata la macchina”

“Vedo, vedo” disse l’uomo, girando intorno all’auto e


sbirciando all’interno del cofano aperto come a tentare di
capire l’origine del danno.

Io attendevo un po’ incerto, sperando in cuor mio che


s’intendesse di motori e fosse in grado di aiutarmi a
risolvere quella situazione. Invece l’uomo dopo un po’ mi si
fermò accanto e scrollando la testa mi disse: “Si va?”.

“Come, si va? Per dove? E la macchina?” dissi io sconcertato.


Non avevo nessuna voglia di andare da qualche parte con quel
tipo.

“Come dove, a Odrussa, no? Bastano dieci minuti di cammino. E


c’è un meccanico per la via” rispose.

“A Odrussa? Ma sono le due del pomeriggio, ce ne vuole ancora


per arrivare!” dissi io, sul momento senza accorgermi che
l’uomo conosceva la mia destinazione senza che io ne avessi
fatto parola. Per scrupolo tornai a guardare il quadrante
dell’orologio: erano le due precise. Ma com’era possibile, se
dovevo arrivare nel paesino verso sera?

“Su su venga, via. Incamminiamoci e sentiamo che dice il


meccanico. Intanto, è arrivato a destinazione” disse l’uomo.

Più spaventato che sollevato, lo seguii per una stradina di


campagna senza sapere che cosa pensare di quell’incontro. Che
mi fossi sbagliato e la casetta del nonno fosse tanto più
vicina di quanto avevo calcolato? Mi pareva impossibile. E
quell’uomo, come sapeva che stavo andando proprio ad Odrussa?
Lui ogni tanto pareva sogghignare sotto i folti baffi, ma
forse era solo la mia immaginazione a giocarmi brutti
scherzi. Non disse nulla per tutto il tragitto ed io da parte
mia ero ancora spaurito dall’accaduto per iniziare una
conversazione. Ad un tratto apparve, effettivamente,
un’officina.

“Eccola, è quella là” disse l’uomo, rompendo il silenzio.

Feci di sì con la testa.

“Speriamo ci sia il padrone, oggi è Ferragosto” disse lui.

Me n’ero completamente dimenticato. In quel caso, come avrei


potuto riparare la macchina?

Ero ancora assorto in queste preoccupazioni quando capitò


verso di noi un tizio in tuta da lavoro. I due uomini si
salutarono e il mio accompagnatore spiegò il mio problema al
meccanico.

“Non si preoccupi, vado subito a recuperare la macchina. La


informo quando è pronta” disse il meccanico.

“Va bene, vado a Odrussa” dissi io.

“Lo so” disse lui “Non abbia timore, la contatterò appena


sarà tutto a posto”.
“Grazie” dissi io, senza capire come avrebbe potuto
contattarmi se non aveva un mio recapito e nessuno in paese
mi conosceva, ma ero troppo confuso per preoccuparmene.

Lui fece un cenno e tornò in officina a prendere alcuni


attrezzi mentre io e il mio accompagnatore procedevamo per la
stradina in direzione del paese.

“Visto? Tutto a posto” disse ad un certo punto.

“Già” dissi io “ma lei come faceva a sapere che andavo ad


Odrussa?” chiesi.

“Bah, sarà che essendo sordo ho sviluppato altre capacità”


disse, serio.

Sordo? Ma se aveva risposto alle mie domande, anche quando


non l’avevo davanti e quindi non poteva leggermi le labbra?

“È uno scherzo!” buttai lì, contento di averlo sbugiardato.


Risi. Ma lui non rise.

“No no, è vero. Sono sordo” fece lui senza scomporsi.

A quel punto mi arrabbiai: “Ma come sordo, se abbiamo parlato


finora? Mi prende in giro?”

“Figurarsi se la prendo in giro. È vero, sono sordo. Ma ci


sento” disse lui.

Ormai convinto di avere a che fare con un pazzo, guardai


avanti continuando a camminare, senza degnarlo di uno
sguardo. Mi guardai intorno. Era il tipico paesaggio alpino
ed era chiaro che ero davvero nel nord Italia. Vedevo
montagne innevate, abeti e larici, ruscelli che scorrevano
tra l’erba dei prati ricoperti di fiori. Pareva un bel posto,
anche se l’incontro con l’uomo che mi camminava a fianco e
l’affare dell’orologio che segnava solo le due mi aveva messo
in agitazione.
“Devo andare al maso di mio nonno” spiegai e gli dissi il
nome.

“Immaginavo. Non capitano tanti stranieri qui da noi”

“E come mai? È un bel posto, mi pare”.

“Sì sì il posto è bello” fece lui “ma un po’….”

“Un po’…?” chiesi.

“Un po’. Vedrà” disse solo.

Ormai mi aspettavo qualunque cosa. Ma a quanto avrei visto e


udito di lì a poco, non ero invece per nulla preparato. La
stradina finì e ci trovammo all’inizio del paese, costituito
di casette in pietra, con una bella fontana al centro della
piazzetta. Subito uscì fuori da una delle case una donna e ci
venne incontro.

“Buongiorno” le dissi io.

“Buongiorno” rispose rivolgendosi a me e all’uomo.

“È il nipote di quell’uomo della baita” disse il mio


accompagnatore “venuto per vedere la casa e il paese”.

“Ah, non ricordo nulla. So che era stato qui diverse volte in
estate, aveva capelli ricci e neri, quand’era giovane, era
anche emigrato in America per un certo periodo. Lavorava come
falegname, aveva fatto bei mobili anche per della gente in
paese. Aveva fatto anche la guerra in Russia” disse d’un
fiato.

Rimasi basito.

“Ma signora, ha appena detto che non ricordava nulla!” dissi


io, allibito.
“Infatti” fece lei “ho perso la memoria!”.

L’uomo accanto a me, lo vedevo, scrutava le mie emozioni


cercando di interpretarle. Voleva capire cosa pensassi di
quel bizzarro posto, ma io non sapevo se mettermi a ridere o
sentirmi terrorizzato da quella gente. Salutata la donna che
nonostante la smemoratezza ricordava tutto di mio nonno,
proseguimmo. Siccome era festa il parroco si preparava a dire
la Messa della sera, lo si sentiva chiaramente parlare dalla
finestra aperta della canonica. Dopo le formule di rito stava
provando a recitare l’omelia. Nulla di strano se non fosse
stato che, ad ogni fine riga terminava la frase con una
bestemmia e ingiurie irripetibili contro i parrocchiani. A
quel punto, ormai convinto di essere sull’orlo di un
esaurimento, fissai l’uomo che silenzioso camminava
indicandomi la direzione per la baita e vidi che davvero
sorrideva. Altro che un “po’” come aveva detto poc’anzi,
quello doveva essere un paese di pazzi furiosi. Ecco perché
il nonno capitava in quel posto solo poche volte, doveva
essersi reso conto di tutta la strana faccenda. Capitò vicino
a noi un cacciatore, palesemente soddisfatto:

“Ne ho presi tre, oggi!” disse e dietro di lui camminavano


pacifici tre cervi, sani e senza ferita alcuna.

Non osavo domandare nulla all’uomo che mi precedeva


portandomi verso la baita, avevo quasi paura della sua
risposta. Che fosse un posto stregato? O un luogo di cura per
pazienti di un manicomio?Doveva essere sicuramente qualcosa
del genere.

“Ecco il maso” disse ad un tratto l’uomo indicandomelo.

Sospirai di sollievo. Almeno tra quattro mura non mi sarei


imbattuto in qualche strano personaggio. Pensai che, non
appena la macchina fosse stata di nuovo a posto, me la sarei
data a gambe.

“Grazie” dissi all’uomo “la inviterei per un caffè, ma


sicuramente nella credenza non ci sarà nulla visto che il
nonno è morto da anni e nessuno è più tornato qui” mi scusai.
“Oh, non si preoccupi, la credenza è piena. Quanto a me, devo
andare, sarà per la prossima volta” e salutò con la mano
prima di voltarsi e tornare in paese.

Aprii con le chiavi del nonno il maso costruito con sassi e


legno. Subito mi precipitai in cucina, dove, come aveva detto
l’uomo, la credenza era piena di ogni ben di Dio. Ma com’era
possibile, anche quello? Comunque non mangiavo dalla mattina
e senza più pensare ai perché assaggiai un po’ di tutto.
Quando stavo per alzarmi da tavola, sentii dei passi.

“Altolà!” urlò una voce. Un ragazzo dalla voce minacciosa


avanzò fin dove ero io, posando infine sul tavolo un
posacenere intagliato nel legno con il nome di Odrussa sullo
sfondo. Cominciavo a capire come funzionava la cosa, così
senza paura dissi allo sconosciuto:

“Non me lo dica, lei è un ladro”

“Precisamente” disse quello prima di uscire senza nemmeno


lasciarmi il tempo di domandargli perché donasse anziché
sottrarre al suo prossimo.

Così, tra quei misteri, trascorse la mia prima sera e la


prima notte nella baita. Furono ore piacevoli tra quei monti,
con il caldo della mattina che ormai era solo un ricordo. Mi
ero portato anche un libro ma ogni poche righe il pensiero
tornava al paese e ai suoi abitanti tanto insoliti anche se
fino a quel momento innocui. La mattina dopo il telefono
squillò e il meccanico disse che la macchina sarebbe stata
pronta in officina per la sera. Inutile dire che il telefono
della baita era staccato. Feci in tempo a vedere altre
stranezze vagabondando per il paese. Una ragazza si lamentava
di non conoscere le lingue mentre ne parlava diverse molto
fluentemente, chi diceva di essere daltonico e distingueva
addirittura più colori degli altri, chi di non percepire i
profumi ed invece riusciva a cogliere ogni più piccola
sfumatura, chi diceva di essere il più grande peccatore della
Terra e invece era disponibile con gli altri, per non parlare
del prete che dalla canonica buttava certe bestemmie al cielo
da far arrossire anche una bambina convinta di non
vergognarsi mai. Trovai di nuovo anche l’uomo che mi aveva
accompagnato. Rideva.
“Comincio a capire perché qui non ci sono turisti” dissi io,
ridendo a mia volta.

“Eh già. Ma devo dire che di solito chi capita qui si


spaventa, lei invece dopo lo smarrimento iniziale ha retto
bene” fece lui.

“Ma mi dica, come mai qui accadono cose simili?”

Lui si guardò un momento intorno, come a verificare che


nessuno lo stesse ascoltando. Poi, facendosi più vicino
disse: “Centoventi anni fa questo posto era tanto bello che
la gente in estate veniva qui a frotte, invadendo il paese e
scombussolando i ritmi della sua gente.Allora dopo qualche
anno qualcuno-badi bene che non so chi sia stato- per
scoraggiare i forestieri gettò una specie di incantesimo su
Odrussa e ogni estate la gente fa tutto il contrario di ciò
che è. Dura da giugno a fine agosto, in inverno non serve
perché qui è tanto freddo che nessun turista si arrischia a
raggiungere il paese” disse sornione.

Ammiccai, convinto di quella spiegazione.

“Lo sa che il meccanico è cieco? Naturalmente solo per tre


mesi!” disse di nuovo “E non si è interrogato sul significato
del nome Odrussa?”

“No” ammisi “quale significato ha?”

“Provi un po’ a leggerlo al contrario” disse lui.

Pensai mentalmente al nome del paesino, poi non potei


trattenere un sorriso.

“Assurdo! Vuol dire assurdo ma è scritto al contrario. Tutto


è al contrario, qui!”

“Proprio così” fece l’uomo. “Tornerà?”

“Se non disturbo, il posto mi piace”.


“Venga, venga, ha superato la prova, se ne sono accorti
tutti. Di solito scappano appena si rendono conto che
qualcosa non va. Anche il tempo rallenta, in questi mesi. Per
questo ieri il suo orologio era fermo alle due, anche se in
realtà erano le sei”.

“Capisco. Ora si spiega ogni cosa. Beh, la saluto, il


meccanico mi aspetta” feci io, congedandomi con una stretta
di mano.

“Arrivederci” disse lui.

Mi incamminai di nuovo per la stradina lasciandomi Odrussa


alle spalle. Mi pareva di aver vissuto una fantastica
avventura, un po’ surreale magari, ma ero convinto che quella
gente non fingesse, era davvero sotto l’effetto di un
incantesimo. Davanti all’officina il meccanico mi attendeva.

“Eccola qua, come nuova” fece indicando la macchina. “Come si


è trovato al paese?”.

Così raccontai del mio soggiorno e del segreto rivelatomi


dall’uomo.

“Ah, il vecchio Celeste. Deve averla presa in simpatia, non


svela mai il segreto di Odrussa. È un po’ il custode del
paese, sa, è il più anziano. Ha cento anni” disse il
meccanico salutandomi. Lo ringraziai e, mentre mettevo in
moto la macchina senza difficoltà, capii chi aveva gettato
l’incantesimo sul paese di Odrussa.
Questi e altri racconti li potrete leggere ne

“Il Blog Novel di Eventi Trentino”.

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Lara Zavatteri

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