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Valentino Nabod

Distinzione tra le costellazioni e i segni o, meglio, dodecatemori dello zodiaco


Primarum de clo et terra institutionum quotidianarumque mundi revolutionum libri tres, II. 11. Venetiis 1973.
Libera traduzione di Giuliano Bravenna

Nota: Nabod chiama qui signa gli zdia e dodecatemoria le dodici porzioni uguali dello zodiaco. Oggi comunemente si distingue tra i dodici segni
uguali dello zodiaco e le costellazioni disuguali. Il termine greco zdia ha come prima accezione un'immagine dipinta, poi fu impiegato, almeno a
partire da Ipparco, a indicare un arco di 30 gradi, lungo lo zodiaco o lungo un altro cerchio. Ma Nabod qui vuole evitare fraintendimenti e sceglie di
chiamare con un unico nome, "dodecatemori", ci che oggi sono chiamati i dodici segni segni immateriali dello zodiaco tropico.

Segni e dodecatemori non hanno lo stesso significato secondo gli astrologi e differiscono tra loro quanto alla loro
essenza, ai loro luoghi e alle loro facolt.
Ci resta ora di render chiaro al lettore pi inesperto la differenza che vi in natura tra i segni dello zodiaco e i
dodecatemori dell'anno tropico. Dico anno tropico per distinguerlo dall'anno siderale. Il primo infatti si compie e ha
principio ogni volta che il sole ritorna precisamente all'equinozio o al solstizio da cui si era mosso; il secondo si compie
quando il sole, nel suo giro, ritorna a una data stella fissa nel cielo. Questi due tempi sono tra loro diversi e sempre
l'anno siderale, che racchiude un'integra rivoluzione del sole, maggiore dell'anno tropico, che di volta in volta
diverso e in assoluto il suo difetto pari alla retrogradazione annua degli equinozi e dei solstizi verso le parti precedenti.
Ci sia concesso di descrivere un moto cos difficilmente percettibile e non sufficientemente avvertito, dai secoli passati
fino alla nostra epoca, con esempi grossolani, affinch sia evidente e chiaro anche ai pi ottusi. Poniamo che presso le
mura di una citt sia posta una qualche colonnina e da qui partano contemporaneamente, a fare il giro della citt, Tizio e
Sempronio: Tizio, con corsa rapidissima, verso sinistra e Sempronio assai lentamente, come pigra tartaruga, si muove
piano piano verso destra. Nessuno dubiter che Tizio si far incontro a Sempronio prima che costui sia ritornato alla
colonnina e il tempo in cui Tizio raggiunge Sempronio sar di tanto inferiore al tempo del suo integro circuito quanto
sar il progresso di Sempronio verso destra.
Allo stesso modo, se poniamo il sole e l'equinozio vernale unirsi con una data stella fissa nel cielo pi esterno e
immaginiamo che il sole e l'equinozio vernale partano contemporaneamente in direzioni contrarie, il sole con moto pi
veloce verso sinistra, ovvero secondo la sequenza dei segni, e la sezione vernale verso destra contro la sequenza dei
segni si muova lentamente come pigra tartaruga. Sar evidente che il sole incontrer l'equinozio vernale prima di aver
compiuto il suo integro giro, prima dunque di essere ritornato a quella stella, che abbiamo preso come meta. E il tempo
del ritorno del sole all'equinozio vernale, che chiamiamo anno tropico o annus vertens, sar minore del tempo che porta
il sole a quella stella, tempo che chiamiamo anno siderale, di quanto la sezione vernale si sar mossa contro la sequenza
dei segni. Ora, la differenza tra l'anno tropico e il siderale non altro che l'anticipazione o precessione degli equinozi o
solstizi, la quale ben nota a tutti. Il sole, infatti, prima di compiere un giro completo, anticipando gli equinozi e i

solstizi, come abbiamo detto, termina l'anno tropico prima del siderale. L'anno siderale consta di 365 giorni, 6 ore, 9
minuti e 39 secondi secondo Thebit e Copernico. La differenza fra questo anno e quello tropico, considerata per l'anno
di grazia 1572, di 14 minuti e 14 secondi. Se la sottraiamo dall'anno siderale, abbiamo la grandezza dell'anno tropico
per codesto nostro tempo: 365 giorni, 5 ore, 55 minuti e 25 secondi. N d'altronde l'anno tropico ha una grandezza fissa
e costante, come invece per l'anno siderale, ma varia di continuo ed incostante nei secoli, soprattutto per la disuguale
precessione degli equinozi e dei solstizi, per tacere di altre minori cause, s che molti, ignorandole, hanno ritenuto
costante la grandezza dell'anno tropico. Pertanto, adattando il circuito integro del sole ai tempi annui di incostante
grandezza, e avendoli posti in tabella, si sono inevitabilmente ingannati in qualche misura nel calcolo preciso delle
stelle. In effetti, gli antichi non soltanto ignoravano l'incostanza dell'anno tropico, ovvero la sua disuguaglianza, ma
anche la differenza tra l'anno tropico e quello siderale, s che credettero che l'anno canicolare, che si compie quando il
sole ritorna alla brillante del Cane maggiore, avesse identico valore dell'anno solstiziale, che tuttavia si estende fino a
quando il sole giunge al solstizio estivo e quindi, scorrendo secondo la sequenza dei dodecatemori, incontra
nuovamente il tropico estivo. E sebbene entrambi gli anni, il sidereo e il tropico, esistano nella natura delle cose, il
tropico appare a noi pi naturale del sidereo e ci soprattutto per la ragione che i quadranti del nostro anno, che
sappiamo essere distinti in natura da umidit, calore, secchezza e freddo, sono racchiusi non gi da limiti definiti
dall'anno siderale, ma dai segnali incostanti dei tropici e degli equinozi dell'annus vertens.
Invero,
occorre
assumere
e
numerare gli inizi dei
dodecatemori dagli equinozi e dai
solstizi, come pure le
loro nature proprie, in forza delle
quali hanno virt kat
t amigs, immixte, influenze che si
uniscono ai pianeti e
che sono o consone o dissone tra loro.
Per questo e non per
altra causa sono tra loro in rapporto e
ci risulta dall'autorit
degli antichi ed consono alla
ragione ed inoltre
suffragato dall'esperienza, grazie alla
quale percepiamo gli
incrementi e i decrementi annui dei
corpi naturali. Non
inoltre vero ci che alcuni credono,
ovvero
che
noi
riteniamo quasi non esservi virt
alcuna che le stelle
infisse in cielo conferiscono ai
dodecatemori.
Al
contrario, stimiamo che tale virt sia
grande,
diciamo
tuttavia che essa diversa da quella
facolt
che
ai
dodecatemori medesimi conferita
dagli equinozi e dai
solstizi. Queste qualit differiscono
tra loro, allo stesso
modo che la sostanza dei segni dello
zodiaco

altra
dall'essenza dei dodecatemori, non
solo per quanto del
nome, ma della cosa stessa. Tuttavia,
la
rozza
opinione
volgare ritiene che, venuta a mancare
la sostanza stessa dei
segni, non sian rimasti che i loro nudi
nomi: cos, infatti, i
nomi propri dei segni si sarebbero
trasferiti
ai
dodecatemori dell'eclittica, sicch si
ritiene comunemente
che la loro essenza propria
appartenga a questi
ultimi e pi non si discerne il
discrimine fra i segni
dello zodiaco e i dodecatemori
dell'anno
tropico,
nonostante questo discrimine sia
molteplice e assai
evidente alla nostra epoca, giacch
facile e manifesto a
chiunque ponga una mediocre
attenzione ai limiti e ai
luoghi, quanto siano tra loro diversi,
in quanto a potenza e
grandezza, s che non possono essere
una sola e medesima
cosa. E conviene davvero non porre
una disputa tra le
essenze
dei
dodecatemori
dell'universo e i segni
dello zodiaco, che hanno limiti diversi e tra loro distinti. Invero, i dodecatemori hanno ricevuto questa denominazione,
poich ciascuno di essi riempie precisamente la dodicesima parte del mondo ed delimitato da emicicli che passano per
i poli dell'eclittica; al contrario, non dato trovare nessun segno dello zodiaco che riempia una delle dodici porzioni e se

volessimo discutere il tutto pi sottilmente, non troveremmo nessun segno celeste che, comparato a un dodecatemorio
dell'universo, riceva una qualche ragione degna di nota o complessione.
Infatti, i segni dello zodiaco altro non sono che manipoli di stelle infisse in cielo e non possono rivendicare un luogo
pi grande di quello che dato dalla grandezza dei loro corpi, pur grande fosse la loro grandezza. Inoltre, la massa delle
stelle contenute in un segno assai piccola rispetto ad un solo dodecatemorio, giacch l'intera massa dell'universo tutto
distribuita nei dodici dodecatemori. Valutiamo, ad esempio, il primo dodecatemorio del mondo, quello vernale e, allo
stesso modo, il primo segno dello zodiaco, che chiamiamo ariete celeste ovvero stellato, trasportato da terra in cielo col
nome del suo animale, la cui specie e forma siamo soliti descrivere sui globi e sulle carte con tredici stelle infisse nel
cielo in codesto segno. Chi mai potrebbe dire quanti corpi dell'ariete sia necessario porre in una sola massa affinch
possa prodursi e radunarsi una mole cos grande quanta compresa nel primo dodecatemorio del mondo, ovvero in una
dodicesima parte di tutto l'universo? Questa la collocazione fisica di questi corpi, in forza della quale se qualcuno
volesse o potesse delimitare il primo segno dell'ariete e il primo dodecatemorio dell'universo, gli sarebbe ben evidente
quanto distantissimi siano i loro limiti rispettivi e potr distinguere ogni altra cosa. La grandezza dei segni deve essere
stimata secondo quanto si estendono, in latitudine e in longitudine, le stelle di ciascun segno. Ora, i segni assunti
secondo questo modo, non solo discordano rispetto alle grandezze uniformi dei dodecatemori, ma sono altres disuguali
l'uno rispetto all'altro, alcuni essendo assai pi grandi di altri, o pi estesi. La longitudine del segno dell'ariete,
compreso fra le stelle sopra la nuca e quella all'estremit della coda, non misura pi di 21 gradi ed difettivo rispetto ai
30 gradi di un dodecatemorio eclittico. Un'altra, simile differenza, mostrata, da una parte, dai limiti che definiscono
l'estensione dei segni stellati lateralmente e, d'altra parte, dai limiti che definiscono parimenti i dodecatemori, ove
volessimo intendere il dodecatemorio come una piramide la cui base abbia una larghezza di dodici gradi, come vogliono
i pi, o di sedici, come ho proposto nel capitolo precedente. Ma ci non importa: vediamo infatti che l'ariete stellato
giace tutto nella parte boreale dell'eclittica e solo una stella, posta all'estremit del piede, piega verso l'austro e non
raggiunge i 6 gradi in latitudine, mentre le due stelle che sono sulle corna si allontanano dalla via del sole verso
settentrione: la precedente di un grado e due terzie le altre parimenti di due terzi oltre la larghezza della nostra piramide,
che di otto gradi. Assai meno l'ariete stellato potr riempire un qualche dodecatemorio, qualora considerassimo
l'ampiezza dei dodecatemori determinata da grandi cerchi tracciati da un polo all'altro dell'eclittica, che allora siffatte
porzioni racchiuderebbero molti altri segni, non dello zodiaco, e gran copia di stelle informi. Se poi ammettessimo, ci
che non possibile, che i segni dello zodiaco possano in qualche maniera essere resi uguali, non per questo ne
conseguirebbe che la posizione e la facolt delle loro essenze siano le medesime. Invero, quantunque i dodecatemori
mantengano sempre una grandezza definita, tuttavia i confini delle loro dimensioni non sono stabili, ma mobili, in
quanto i loro limiti continuamente si trasferiscono in diverse parti del firmamento, a causa della perpetua precessione
dei punti cardinali che racchiudono i quadranti dell'anno naturale. Al contrario, i segni dello zodiaco non mutano mai i
confini delle loro dimensioni, ma le conservano costanti ed immoti, dalla creazione del mondo nei secoli dei secoli. Mai
infatti vi fu diverso inizio in cielo del segno dell'ariete se non una delle due brillanti stelle che sono sulle corna e perci
sempre questa stella stata chiamata la prima dell'ariete stellato, n vi mai stato un termine diverso di quello
significato dalla stella che brilla sull'estremit della coda. Questa regola e condizione la medesima per tutti gli altri
segni, sia di quelli della cintura zodiacale, sia di quelli che ne sono lontani. Affatto diversa la condizione dei
dodecatemori del mondo, il cui inizio e la cui fine mutano continuamente e continuamente devono essere osservati, pur
se mantengono una loro propria e naturale denominazione.
Nel 482 a. C. l'ariete stellato e il primo dodecatemorio del mondo, che detto arietino, avevano in cielo un principio
comune e la prima stella del segno dell'ariete, che brilla sulle sue corna, e che diciamo precedere le altre, era unita
all'equinozio vernale, laddove prende inizio il primo dodecatemorio del mondo. Per la qual ragione, il dodecatemorio
arietino e l'ariete stellato convenivano non solo nel nome, ma anche nel luogo del cielo. Una simile corrispondenza si
poteva ritrovare pressapoco tra i dodecatemori e i segni stellati successivi. Ma nel nostro secolo questi due, il
dodecatemorio arietino e l'ariete stellato, che una volta coincidevano per nome e per luogo, si trovano in spazi discordi e
assai disgiunti, e l'equinozio vernale, separato dal capo dell'ariete stellato, si trova retrogradato verso le parti precedenti
dei dodecatemori di 27 gradi e di poco pi di tre quarti di un grado. E per questa precessione dei dodecatmori del
mondo e per tale distacco dei segni dello zodiaco avvenne che i dodici segni dello zodiaco, abbandonati i dodecatemori
ai quali un tempo erano uniti, ovvero nel 482 a. C., appaiono a noi aver migrato nei dodecatemori contigui verso le parti
sinistre. Ma in verit non questi da quelli verso sinistra, ma questi da quelli verso destra nelle parti precedenti. Infatti i
segni sono strettamente connessi con le mura celesti dell'universo e ivi stanno immoti e stabili, come radicati e affissi da
radici inestirpabili, a meno che qualcuno non preferisse dire che sono in moto, giacch li vediamo quotidianamente

compiere un'intera rivoluzione verso destra. Ma il nostro discorso non tratta del mutamento delle stelle verso la parte
destra, ma solo verso la parte sinistra.
Da quanto detto, pur se espresso in modo sommario, il lettore sincero ed accorto potr comprendere i crassi errori di
un gran numero di ignoranti che fanno un uso improprio dei nomi dei segni per quelli dei dodecatemori, s che tra essi
non esista pi nessun discrimine e la vera essenza dei segni viene cos a mancare. Potr inoltre giudicare l'insufficienza
di coloro che, recentemente, hanno proposto ci che credono essere i veri principi di tutte le predizioni naturali e,
incorporando tra loro tutte le facolt dei generi del divinare, hanno introdotto in questa arte una nuova catacresi, ovvero
un abuso, servendosi al contrario dei nomi dei dodecatemori per quelli dei segni e hanno affermato che tutto ci che
proprio della sostanza e della facolt dei dodecatemori deve essere conferito alla sostanza dei segni. Questo errore pi
grave di quello volgare, poich, oltre alla deformazione delle denominazioni, porta con s la rovina di quell'arte che
Tolemeo ricorda di aver ordinato in accordo alle osservazioni degli antichi, conformi alle ragioni naturali. Tre sono gli
ordini dei fondamenti, vuoi degli attori, sui quali Tolemeo ha edificato tutta la dottrina degli effetti che il cielo, come
causa antecedente, suole produrre nella massa degli elementi e dei corpi misti: la sostanza logicamente ordinata nei
dodecatemori del mondo, le stelle infisse nel cielo, i sette pianeti. Ma costoro hanno rigettato l'essenza dei dodecatemori
dal numero delle cause efficienti del cielo e hanno accettato le numerose sorti e le chimere dei Caldei; in questo modo
essi presentano l'insegnamento di Tolemeo come se fosse costruito su due elementi: gli asterismi o immagini stellate e i
pianeti, asserendovi esservi tra questi mutua e intima analogia, la quale, essendosi prodotta a suo tempo, non deve
essere riprovata. Ma questa affermazione deve essere giustamente respinta, poich la qualit che proviene dal rapporto
tra pianeti e asterismi, non dagli asterismi, ma dai dodecatemori data: l solo i pianeti possono assumere una qualit.
Costoro insegnano che la prima considerazione quella che concerne gli asterismi delle stelle inerranti, ovvero le
quarantotto costellazioni descritte da Tolemeo; e che fra queste la virt precipua deve essere data ai dodici segni dello
zodiaco, che gli astronomi chiamano sia segni, sia dodecatemori. Ma io davvero mi meraviglio della loro indolenza di
giudizio, gi che anche agli ingegni pi duri evidente che l'essenza e la facolt delle stelle non sono la stessa cosa
dell'essenza e facolt dei dodecatemori. Ed noto a tutti che mai gli astronomi hanno chiamato iundifferentemente i
dodici segni dello zodiaco segni e dodecatemori. Non forse bastantemente dimostrato che segni e dodecatemori non
differiscono solo per i loro nomi propri, ma anche per luogo, per essenza, per virt? Forse che Tolemeo non li distinse in
questo modo? forse non cos fecero gli antichi predecessori di Tolemeo? Ma il nostro discorso non intende qui
giustificare Tolemeo, poich le sue parole sono chiare e non si prestano a controversia, e qui le riporto affinch la sua
autorit porti un maggior peso alle nostre. Per quanto attiene alla differenza tra i segni e i dodecatemori, ne scrive
apertamente e con chiarezza nel primo libro, capitolo dei dodecatemori maschili e femminili, dove, dopo aver insegnato
che le loro facolt sono assunte a partire dai quattro tempi dell'anno, dagli equinozi, dai solstizi, dai comuni, solidi,
maschili, femminili, conclude: Altre denominazioni furono attribuite ai dodecatemori in virt delle immagini che
giacciono in essi (ap tn per aut morphseon) quali ad esempio gli appellativi di quadrupedi, terrestri, sovrani, di
molto seme e simili. Se invero Tolemeo ritenesse che mrphsis e dodecatemorio hanno lo stesso significato e non
differiscono per essenza e facolt, perch mai avrebbe dovuto fare questa precisazione? Il senso vero che se i nomi
propri dei segni possono essere trasferiti ai dodecatemori, ci avviene per quella ragione che Tolemeo ha dichiarato. Ma
che i segni non possono dirsi dodecatemori, lo vieta la loro essenza medesima, la loro quantit e qualit. Altra la
facolt dei dodecatemori, altra quella dei segni ed altra ancora quella che proviene dalla mescolanza loro. Ed ci che
Tolemeo intende quando compie esposizione distinta delle facolt, come richiede il metodo logico, che ci non avrebbe
fatto, se avesse stimato che tre facolt distinte tra loro fossero una sola e avessero un medesimo significato.
Per quanto attiene alle semplici facolt dei segni e dei dodecatemori, esse possono essere considerate universali e
incommutabili e sempre in se stesse costanti. Tolemeo, ad esempio, scrive del segno dell'ariete: le stelle nel capo
dell'ariete hanno facolt di agire simile a quella che risulta dalla commistione delle virt di Saturno e di Marte; quelle
che sono nella bocca, simile a quella che proviene da Mercurio e in minore misura da Saturno; quelle che sono nel piede
posteriore, agiscono come Marte; e infine quelle che sono nella coda, come Venere. Tutto ci un'essenza perpetua e
tale facolt dei segni propria ad essi e fermamente congiunta: Non diversamente che il rabarbaro, la scamonea,
l'euforbia, l'aloe hanno sempre in essi la facolt di trarre la bile; o come la coloquintide, l'agarico, i semi di cartamo
ovvero di zafferano, hanno la costante propriet di trarre la pituita; o ancora, la facolt di trarre la melancolia insita
perennemente nel mirabolano indico, nell'elleboro, nel polipodo, nell'epitimo. Allo stesso modo riguardo ai
dodecatemori per ci che del calore, dell'umidit, del freddo, del secco, della mobilit, della bicorporeit, della fissit,
della mascolinit e femminilit, della condizione diurna e notturna e del loro rapporto con il sole, la luna e gli altri
pianeti e altre condizioni, qualora ve ne fossero, attribuite rettamente da Tolemeo ai dodecatemori. Nessuna di queste

facolt, costituasi una volta per tutte, pu, nei tempi successivi, svanire o mutare. Quanto alla terza facolt, che proviene
dalla mutua mescolanza dei dodecatemori e dei segni, non pu dirsi universale, perpetua o costante, non essendo
propria n a questi, n a quelli, ma piuttosto particolare, incostante e temporanea, segnatamente perch viene meno ogni
volta che i dodecatemori si congiungono ad altri, diversi segni delle stelle fisse. Essa si produce lentamente, ma proprio
perch avviene in un lungo lasso di tempo, genera necessariamente una gran confusione nell'arte, se le facolt, che
mutano di volta in volta, per il mutamento della mescolamza, non sono ordinate nella loro debita forma per ogni tempo.
Questa la ragione per la quale Tolemeo chiam universali quelle facolt delle parti del cielo che riconosceva costanti e
durature nel tempo, e particolari tutte quelle mutevoli e temporanee. Ne portiamo a chiaro esempio quanto egli scrive
dell'ariete: Il dodecatemorio dell'Ariete, nella sua intierezza, gravido di tuoni e di grandine, giacch contrassegna
l'equinozio; ma nelle sue diverse parti la sua natura ora pi intensa, ora minore in forza della propriet delle stelle
inerranti. Invero le sue parti anteriori sono piovose e ventose, quelle mediane temperate, le estreme sono ardenti e
pestilenziali; quelle settentrionali ardenti e distruttive, quelle meridionali gelide e fredde. Da queste parole
comprendiamo chiaramente che la virt tonitruosa e grandinosa propria e costante al dodecatemorio arietino, ad esso
annessa per essere il principio dell'anno tropico. Le altre virt sono ascritte alle sue parti a causa delle stelle presenti, e
non possono essere perpetue ma, mutando a poco a poco, generano altre facolt, per il noto mutamento delle fisse verso
i dodecatemori seguenti. E pertanto le facolt particolari che Tolemeo adatt ai dodecatemori del suo secolo non
possono pi servire alla nostra epoca e ancor meno ai secoli successivi. In ogni epoca occorre invero procedere kata;
suvgkrasin, per saggia mescolanza. E a tal uopo si deve anzitutto calcolare quanta era al tempo di Tolemeo la
precessione degli equinozi e dei solstizi o, ci che lo stesso, la disgiunzione dei segni celesti rispetto agli inizi dei
dodecatemori, e quali stelle fisse si trovavano agli inizi dei dodecatemori, e alle loro mediet, estremit, nelle loro parti
australi e boreali. Dopo di ci, comparando le propriet e nature delle stelle fisse con l'universale facolt dei
dodecatemori ad esse connessi, cerchiamo di comprendere le ragioni per le quali da tale mescolanza delle stelle fisse
con i dodecatemori ad esse annessi, Tolemeo assegn alle parti dei dodecatemori, sia in longitudine, sia in latitudine,
date peculiarit temporanee, che fossero congrue per il suo secolo. Dopo attenta riflessione, al modo che il medico
esperto si appoggia, nella misura del possibile, sulla scienza temperamentale di Esculapio nel giudicare le malattie,
ricorrendo agli esempi di Tolemeo, cercheremo di definire rettamente, per la nostra epoca, le facolt particolari dei
dodecatemori, e a tal fine considereremo diligentemente sia la quantit della precessione degli equinozi e dei solstizi, sia
quali delle stelle fisse sono entrate negli inizi, nelle mediet, nelle estremit dei dodecatemori e nelle loro parti boreali
ed australi. In questo modo potremo arguire, al meglio, le facolt peculiari dei dodecatemori, congrue per un dato
secolo.
Esempio: alla nostra epoca l'equinozio vernale precede la prima stella dell'ariete stellato di gradi 27 e tre quarti di un
grado, e ci supera la precessione del tempo di Tolemeo di 21 gradi. Infatti, al suo tempo, il filo settentrionale dei pesci,
ove sono stelle di natura proveniente dalla commistione di Saturno e di Giove, si trovava precisamente all'inizio del
dodecatemorio arietino, ed altre erano presenti che sono presso l'estremit del filo meridionale, della natura di Saturno e
in parte di Mercurio. Pertanto, le prime parti del dodecatemorio arietino, che per s tutto grandinoso e tonitruoso,
essendo inoltre affette dalle predette stelle fisse commisurate a Saturno e a Giove e a Mercurio, risultavano suscitatrici
di piogge e di venti. Ma oltre la mediet, ove erano stelle venusiane intessute nella coda dell'ariete stellato, producevano
parti temperate, mentre le estreme, che toccavano da presso le Pleiadi ed altre stelle della natura di Marte, risultavano
tempestose e pestilenziali. Non davvero simile al vero che Tolemeo, per parti antecedenti, medie ed estreme,
intendesse i decani dei dodecatemori, come credeva Haly. Ma le parole di Tolemeo non consentono questa
interpretazione, n la questione stessa la suggerisce, giacch le stelle nelle varie parti sono disuguali per quantit,
raggruppamento, etc. Infatti, dall'inizio del dodecatemorio arietino, che, come abbiamo detto, era occupato dal filo
settentrionale dei pesci, non si trovavano pi altre stelle lungo la via del sole fino a gradi 21, dove la coda dell'ariete
stellato giaceva presso l'eclittica e si estendeva fino a gradi 26, mentre il resto del corpo stellato deviava verso
settentrione. Allo stesso modo, dalle stelle venusiane nella coda dell'ariete stellato fino al termine del dodecatemorio,
non vi erano altre stelle, tranne le Pleiadi e altre seguenti, della natura di Marte, che dividevano l'inizio e la fine di due
dodecatemori: l'ariete e il toro. Sia dunque chiaro che ci che Tolemeo dichiara riguardo alle parti antecedenti, mediane
e seguenti dei dodecatemori, deve essere inteso con grande latitudine e non pu essere riferito ad un preciso numero di
gradi. Quanto poi alle parti settentrionali, che dice essere tempestose e morbose, la causa che tutta la costellazione
dell'ariete, dove la virt di Marte ha potere, piega verso borea. E quelle australi sono gelide e fredde, poich in quella
parte del dodecatemorio si trova la costellazione della Balena, che tutta saturnina, e l'umido, se abbondante e
grandinoso, quando Saturno vi concorre, diviene gelido e freddo.

Vediamo ora quanto queste particolari facolt del dodecatemorio arietino consentono o dissentono nel nostro secolo, in
cui il filo meridionale dei pesci si trova presso l'equinozio vernale, da cui si estende, verso la parte settentrionale, la
parte mediana dell'immagine dei Pesci, la quale umida, laonde ne proviene che le prime parti del dodecatemorio
arietino risultino piovose e ventose, e questo pi che al tempo di Tolemeo. In seguito, le parti mediane non possono pi
dirsi temperate, ma anch'esse, seppure in misura minore, sono piovose e ventose, in forza della facolt umidificante dei
Pesci che ora si trovano ove erano le stelle temperate della coda dell'Ariete. Allo stesso modo le parti estreme non
possono pi dirsi ardenti e pestilenziali, giacch le stelle della natura di Marte si sono trasferite nelle parti seguenti, ma
diremo che sono piovose e ventose, meno tuttavia delle parti antecedenti e mediane, poich il filo boreale dei Pesci
meno umido e all'epoca di Tolemeo era nell'intersezione vernale, ma ora lo scorgiamo essere passato nelle ultime parti
del dodecatemorio arietino. Inoltre, le parti boreali non son pi ardenti e distruttive, ma fortemente piovose e ventose,
poich nel luogo della costellazione boreale dell'Ariete sopravvenuta la costellazione del Pesce settentrionale, ove
sono stelle della natura di Mercurio e in parte di Venere, se non che sono precedute dall'ala e dall'ombelico di Pegaso,
della natura di Marte e di Mercurio e pertanto le parti settentrionali sono altrettanto ardenti e pestilenziali, come un
tempo, se qualcuno giudica rettamente. Infine, le parti meridionali permangono, come prima, fredde e gelate, a causa
della persistenza, nell'austro, della costellazione della Balena. In questo modo e forse con migliorfe diligenza e giudizio
pi fine si deve procedere all'esame delle parti degli altri dodecatemori, affinch si possa discernere qual la facolt di
ogni dodecatemorio in forza dell'unione delle virt dei segni stellati e riconoscere quali le loro naturali operazioni, in
accordo alle parole di Tolemeo.
Ci rimane ora da dimostrare ci che d'altronde Tolemeo ben sapeva: le stelle infisse in cielo non mantengono mai
costantemente le parti dei dodecatemori in cui si trovano, a causa dell'ininterrotta precessione degli equinozi e dei
solstizi; ed entrambi, asterismi e dodecatemori, sono assunti in base a diversi principi e hanno limiti tra loro molto
distanti. Tutto ci Tolemeo l'esprime con chiarezza: Non trascuriamo ci che degno di attenzione: invero conforme
alla ragione assumere gli inizi dei dodecatemori e dei confini a partire dai punti equinoziali e solstiziali; e ci non solo
perch chiaramente esposto dagli scrittori dell'arte, ma soprattutto perch possiamo osservare che le nature, virt e
mutue relazioni dei dodecatemori medesimi non prendono avvio che dai punti solstiziali ed equinoziali, come abbiamo
dimostrato in precedenza, e da nessuna altra causa. Invero, se ponessimo a fondamento altri inizi, o saremmo costretti a
non servirci pi della natura dei dodecatemori nelle predizioni o, se continuassimo a servircene, cadremmo in errore,
essendo trapassati od alterati gli spazi dello zodiaco che generano in essi le virt efficienti. Con queste parole Tolemeo
avverte che non solo occorre considerare la diversit tra i dodecatemori e i segni, ma altres la loro virt propria, che
essi assumono come procedente dagli equinozi e dai solstizi. Ci avverte quindi che questa loro genuina e costante
facolt che proviene dai punti cardinali distinta dalle altre virt temporanee che comunicano loro per mescolanza i
segni delle stelle adiacenti.
Vediamo ora le altre cose incredibili che vengono insegnate riguardo alle facolt dei segni. Le diversit dei segni, ben
ponderate, non rappresentano una piccola parte del giudizio. Vi sono i maschili e i femminili, gli equinoziali, i cardinali
o solstiziali, i mobili, fissi e comuni, gli avversi o disgiunti,gli obliqui e i retti, i comandanti e gli obbedienti, gli alieni
ed incongiunti, i fecondi e gli sterili, i muti, i formosi e i deformi e soprattutto gli ignei, gli aerei, gli acquei e i terrestri.
Questa la loro esposizione delle facolt delle stelle ed in questo modo metton fuori i loro morbi, se non di tutto
l'animo, parte di quella razionale, parte di quella passionale. E se sono convinti di essere consoni alla dottrina di
Tolemeo, in verit dimostrano l'afflizione patogena della parte razionale dell'animo; ma se poi fossero consapevoli della
dottrina di Tolemeo, divulgano a suo nome una cosa contraria e mostrano cos un turpe morbo dell'animo passionale,
giacch non facle dire quale vizio della pafrte appetitiva dell'anima sia pi turpe che imporre a tutti coloro che li
leggono una tale insolenza. Invero, chi ha assaggiato qualcosa di questa filosofia, facilmente comprende che le facolt
che costoro attribuiscono alle stelle non possono essere loro proprie pi di quanto il muggito ai leoni o il ruggito ai tori
ed come se qualcuno attribuisse al canto l'attrazione del ferro e al magnete quella della paglia. Non vedete forse che il
sesso delle stelle, che Tolemeo assume dalla loro propria crasi, quindi dal loro rapporto con il sole e infine dalla loro
proporzione rispetto ai cardini del cielo, molto diverso dal sesso dei dodecatemori, che egli non assume da questi, ma
da da altre cause.
I dodecatemori dell'Ariete e il suo opposto della Bilancia, che portano grande movimento nel mondo, Tolemeo ci
insegna che sono maschili e che rispondono alla condizione diurna; da qui, per conseguenza presenta i dodecatemori
seguenti alternativamente maschili e femminili, giacch vuole che vi sia una qualche contiguit tra il maschio e la
femmina, come nel giorno e nella notte e queste cause, queste ragioni del sesso, non sono inerenti ai segni pi di

quanto la verit sia inerente alla menzogna. Un uguale errore vediamo riguardo al cardinale, solstiziale, equinoziale,
mobile, fisso, comune, retto ed obliquo, equipollente, comandante, obbediente, diametro, esagono, quadrato trigono e
simili affezioni, le quali tutte Tolemeo apertamente insegna che provengono ai dodecatemori o per se stessi o per la
comparazione mutua delle loro nature, senza alcuna permistione delle stelle. Taccio poi di ci che Tolemeo
significativamente chiam ajsuvndeton, ovvero incongiunto, e che costoro con molte parole hanno oscurato, come
alieno o contrario, s che anche al lettore meno avvertito appare che queste denominazioni non una sola cosa, ma molte
significano. Quanto all'appellativo di muto, bello e deforme, corretto attribuirli ai segni stellati, ma erroneo ai
dodecatemori. E taciamo anche degli appellativi igneo, aereo, acqueo e terrestre, i quali, pur se si tramanda siano virt
eminenti, di essi Tolemeo non ne fa menzione, giacch, secondo il suo avviso, la sostanza e le qualit prime dei
dodecatemori non seguono la natura degli elementi che cadono sotto i sensi, ma piuttosto quelle dei quattro tempi
dell'anno naturale. Quanto agli Arabi distinsero non gi le stelle, ma i dodecatemori secondo le qualit di fuoco, d'aria,
d'acqua e di terra e secondo complessione collerica, sanguigna, flemmatica, melancolica e secondo altre simili
connotazioni ben note ai medici. Da tutto ci evidente si abusa dei nomi dei dodecatemori riguardo ai segni e le
facolt di entrambi vengono mischiate a sproposito.
Diciamo in breve qualcosa riguardo ai pianeti, giacch costoro oscurano e confondono le loro facolt naturali e le
ragioni delle familiarit che i pianeti intrattengono con i dodecatemori, esposte da Tolemeo, essi insegnano che devono
essere ricercate tra le stelle del cielo. Dicono: dopo aver esaminato le fisse, si considerino gli erranti, se ne investighino
le forze e le nature. E la prima considerazione concerne la regione del cielo in cui si muovono: se negli angoli o
succedenti o cadenti; secondo, con quali stelle dello zodiaco si trovano, se con stelle della propria natura o dissidente o
aliena. Quindi, i cinque criteri del dominio, i domicilii, i triangoli, le esaltazioni, i confini, le fasi o configurazioni, che
volgarmente son dette facce, vengono determinati dalle osservazioni. Ma che dicono? a che pro questo vuoto cianciare?
forse possibile che tra i pianeti e le stelle infisse nel firmamento sussistano tali criteri di familiarit? Forse che i criteri
di dominio dei pianet si fondino sul loro rapporto con le stelle? Forse che Tolemeo, o alcun altro pi di Tolemeo degno,
ritenne che l'arte si costituisse su queste basi? E in qual modo si potrebbe ritrovare la distribuzione dei confini ai pianeti,
se, come abbiamo mostrato, la longitudine dell'ariete stellato non supera 21 gradi, per non dire degli altri segni minori
dell'ariete. Se iniziassimo a numerare i confini non, come insegna Tolemeo, a partire dall'intersezione vernale, ma, come
vogliono costoro, dalla prima stella dell'ariete, daremo i primi 6 gradi a Giove, i seguenti 8 a Venere, infine 7 a
Mercurio e avremo cos raggiunto la fine dell'ariete stellato. O contraiamo i confini di Mercurio o eliminiamo quelli di
Saturno e di Marte. Si aspettano forse costoro che una giusta regola precipiti dall'alto del cielo e si perda nei confini
umili ed angusti della terra? In seguito, se i dominii planetari devono essere assunti nelle stelle, la ragione per cui il
Sole, come Tolemeo insegna, si esalta in ariete, falsa. N d'altronde il Sole produce l'arco diurno maggiore del
notturno quando raggiunge la prima stella dell'ariete, ma piuttosto quando arriva all'equinozio vernale ed entra
nell'emisfero settentrionale. Allo stesso modo si pu dire degli altri criteri delle familiarit, sunoikeisen, domicilio,
trigono e simili. Ed notevole che ci che Tolemeo chiama phseis e schmatismo, apparizioni e configurazioni, essi
ritengono siano le facies o volti; e sappiamo che comunemente i volti indicano i decani dei dodecatemori, ma che in
Tolemeo non vi menzione di questi decani. Le fasi delle stelle non sono in Tolemeo i volti, ma le prime apparizioni
degli astri dai raggi solari, ci che costituisce una prerogativa per l'assunzione del dominio. Quanto alle configurazioni,
sono le congiunzioni od aspetti degli astri rispetto ai luoghi dei significatori, e si dividono in applicazioni e deflussioni,
e in ci consiste una delle forze maggiori tra tutti i criteri del dominio.
Mi sono dilungato assai pi di quanto richiede la nostra trattazione su questo aspetto, ma non pi di quanto richiede la
chiarezza, giacch so che sono molti coloro che cadono in confusione e si allontanano dalla verit dei fatti.

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