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Che poi, a stare liʼ nel nulla si annoiava anche.

Se qualcuno avesse potuto sentirlo


avrebbe provato una pena infinita, eʼ proprio il caso di dirlo.
Liʼ, nel nulla, da solo da tanto di quel tempo, - ma quale tempo, poi? era pure solo (lo
eravamo), questo mi sentirei di affermarlo (anche se pensare ad altri che non fossero lui
risultava piuttosto difficile), ma da quanto tempo, quello eʼ proprio impossibile dirlo. Anzi, eʼ
impossibile chiederlo, percheʼ di tempo non se ne parlava mica.
Non si sapeva nulla nemmeno di “ liʼ ”, ma per esigenza narrativa qualche coordinata
dovremo pur darla.
Diciamo allora che era liʼ, nel nulla, neʼ prima neʼ dopo, ad annoiarsi.
Cioeʼ, non eʼ che fosse proprio noia, ma probabilmente ci si avvicinava; ovviamente eʼ folle
anche solo pensare di definire cosa fosse: non ne avreste neʼ lʼidea neʼ le parole
necessarie a supportarla.
Diciamo allora che era liʼ, nel nulla, neʼ prima neʼ dopo, a fare qualcosa di molto simile ad
annoiarsi.
Esisteva, tra seʼ e seʼ, e capirete bene che non eʼ mica facile esistere solo per se stessi.
Ogni tanto capitava che si mettesse a pensare a come sarebbe stato se ci fosse stato
anche qualcun altro, percheʼ sapete: puoi essere chi vuoi, ma se non incontri una
coscienza che ti riconosca a sua volta come tale, non vivi mica bene.
Fu cosiʼ che in un momento di quel mai neʼ prima neʼ dopo, spuntai fuori io.
Che a dirla tutta, io cʼero anche prima. Solo che in quel momento acquistai autonomia
percheʼ lui (noi) decise che da solo non poteva proprio starci: staccoʼ un brandello del
proprio seʼ infinito, ed il gioco fu fatto.
In due le cose andavano molto meglio: ci conoscevamo a vicenda, e tanto bastava.

Insomma, passavamo quel tempo che in fondo era tutto interiore ad esistere tra di noi. Ci
bastava, dicevamo, percheʼ in fondo era giaʼ un gran passo in avanti.
Ma ovviamente non duroʼ a lungo: ben presto ci rendemmo conto che neanche questo
poteva soddisfarci. Eravamo annoiati, e cominciammo ad intrattenerci con ragionamenti
apparentemente futili ed oziosi: discutevamo di noi (di cosʼaltro avremmo potuto parlare, in
fondo?), tentavamo di descriverci, ma non giungevamo mai a nulla di significativo:
eravamo soli, come potevamo definirci? Da cosa ci saremmo dovuti distinguere? Era
impossibile descriverci in modo diverso da “essenti”.
Eravamo “coloro che sono”, e nulla piuʼ.
La domanda del percheʼ noi ci fossimo (percheʼ io ci fossi) a quel punto sorse spontanea:
esisteva qualcosa in quel nulla, ed a pensarci converrete con me che non era poi cosiʼ
scontato che qualcosa esistesse.
Cominciammo a porci domande, a chiederci quale fosse la nostra causa: eravamo sempre
stati? Non potevamo ricordarlo, non cʼera neanche un tempo a cui fare riferimento.
Eravamo parte di qualcosa di piuʼ grande, come io ero parte di noi? Non riuscivamo a
darci una risposta. Ci aveva forse dunque creati qualche intelligenza a noi ignota?
Queste ed altre domande ci tormentavano, occupando la nostra mente senza possibilitaʼ
di tregua. Non cʼera distrazione, non cʼera oblio, non cʼera fuga che bastasse a liberarci.
Decidemmo di cedere una frazione del nostro io, dando vita a centinaia di nuovi e piuʼ
piccoli enti di energia, intelligenze minori da cui speravamo di trarre una spiegazione o,
comunque, conforto.
Ci confrontammo a lungo, con tale forza e disperazione da affiochire le nostre forze.
Alcuni si spensero nel tentativo di ottenere risposte, consumati nel profondo.
Altri, i migliori tra loro, divennero folli, persero il lume di quella ragione che ci univa, forse
percheʼ incapaci di accettare questa nostra ignota realtaʼ, forse di comprendere quello che
erano giunti a scoprire, chi puoʼ dirlo.
Non trovammo risposte, non trovammo conforto.
Mi guardai introno e capii lo smarrimento a cui avevamo condannato quelle povere
creature, ormai partecipi del nostro stesso dolore.
Per quanto ci augurassimo di poter tornare alla serena oziositaʼ di un tempo, la nostra
natura non ci consentiva di smettere di cercare. E fu sulla nostra natura, che ci
concentrammo: era forse proprio a causa di questa che non riuscivamo a giungere alla
veritaʼ? Era il nostro tormento ad annebbiarci la mente? Forse ci ponevamo troppe
domande, senza peroʼ formulare quella la cui risposta avrebbe potuto liberarci.
Eravamo sufficientemente intelligenti da porci le domande; troppo per non esserne
annebbiati.
Sembrava non ci fosse via di uscita, che per sempre saremmo stati costretti in quella
irreale stasi di dubbio e tormento, quando uno dei nostri minori capiʼ che in noi non vi era
speranza, ma che avremmo potuto trovarla in altri.
Concordoʼ nella necessitaʼ di un sacrificio, e rinuncioʼ alla propria coscienza per il mondo:
quello che di fronte a noi non era altro che un fioco lume di intelligenza si dissolse in un
meccanismo di magnifica complessitaʼ e cristallina chiarezza, dominato da leggi cosiʼ
armoniche che ci commossero.
Ascoltammo il fragore dei primi istanti ed osservammo la maestosa danza della materia,
fin quando ben piuʼ solide forme si definirono e lʼinfuocato chiarore originario mutoʼ nel
brillante splendore delle galassie.

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