Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Love is a human right: Omosessualità e diritti umani
Love is a human right: Omosessualità e diritti umani
Love is a human right: Omosessualità e diritti umani
Ebook374 pages5 hours

Love is a human right: Omosessualità e diritti umani

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Dai mancati riconoscimenti legislativi fino alle condanne, alle persecuzioni e alle torture, l'omosessualità e l'identità di genere rappresentano purtroppo campi molto "fecondi" per la violazione dei diritti umani più elementari. Questo libro, dopo un'ampia premessa sulla storia sociale dell'omosessualità e sul suo rapporto con le religioni, con la scienza e con la medicina, da un lato offre una approfondita panoramica sui principali trattati internazionali che tutelano l'identità di genere, e dall'altro racconta, attingendo alle ricche documentazioni di Amnesty International, dei casi emblematici di violenze e soprusi che ci ricordano che, nonostante i progressi e gli avanzamenti, la strada da percorrere è ancora molto lunga e piena di difficoltà. Libro patrocinato dalla sezione italiana di Amnesty International.
LanguageItaliano
PublisherRogas
Release dateMar 30, 2020
ISBN9788835396512
Love is a human right: Omosessualità e diritti umani

Read more from Carlo Scovino

Related to Love is a human right

Titles in the series (30)

View More

Related ebooks

Law For You

View More

Related articles

Reviews for Love is a human right

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Love is a human right - Carlo Scovino

    Carlo Scovino

    Love is a human right

    Omosessualità e diritti umani

    COLLANA

    ATENA

    2020

    Rogas Edizioni

    © Marcovaldo di Simone Luciani

    viale Telese 35 – 00177, Roma

    e-mail info@rogasedizioni.net

    sito web: rogasedizioni.net

    Facebook: Rogas Edizioni

    Instagram: @rogasedizioni

    ISBN: 9788845294778

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice

    PREFAZIONE

    INTRODUZIONE

    1. TRACCE DI STORIA

    2. L’OMOSESSUALITÀ : CHI NE HA PAURA?

    3. L’AMORE E LE RELAZIONI

    4. I PRINCIPI DI YOGYAKARTA

    ​5. IL PUNTO DI VISTA DI AMNESTY INTERNATIONAL

    6. PRESENTAZIONE DI ALCUNI CASI DOCUMENTATI DA AMNESTY INTERNATIONAL

    7. OGNI CITTADINO È UGUALE

    CONCLUSIONI

    APPENDICE

    BIBLIOGRAFIA

    I PRINCIPI DI YOGYAKARTA

    DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI

    CONVENZIONE INTERNAZIONALE SUI DIRITTI CIVILI E POLITICI

    CONVENZIONE INTERNAZIONALE SUI DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI

    ATENA

    Note

    " Ti amavo…

    perciò ho scritto la mia volontà sul cielo come stelle.

    Per conquistarti la Libertà, la casa preziosa dei Sette Pilastri,

    perché i tuoi occhi risplendessero per me

    quando noi venivamo…

    L’Amore, stanco di errare, si apprese al tuo corpo…

    .mi pregarono affinché io elevassi la nostra opera,

    la casa inviolata, come una memoria di te…. "

    T.E. Lawrence, I sette pilastri della saggezza

    PREFAZIONE

    Ho conosciuto il mio compagno 16 anni fa grazie alla complicità di amici comuni. È stato il più classico dei colpi di fulmine, immediato, stordente.

    Max aveva da poco preso consapevolezza del suo orientamento sessuale e tra l’intimidito e il divertito iniziava a esplorare una realtà a lui del tutto sconosciuta. Io, lontano da casa ormai da diversi anni, vivevo la mia omosessualità con più disinvoltura convinto di essermi conquistato un equilibrio pressoché inespugnabile. Ero alle prime esperienze di lavoro e miravo in alto deciso a sfruttare la laurea che con qualche difficoltà mi ero conquistato. Max, più grande di me, aveva alle spalle anni di carriera, la sua attività lo aveva portato a girare il mondo e stava per intraprendere una nuova impegnativa sfida lavorativa.

    Le nostre strade si sono incrociate in quel momento, quando entrambi, per motivi differenti, stavamo ridefinendo il nostro ruolo nella collettività.

    Nel periodo che è seguito ci siamo immersi l’uno nella dimensione dell’altro, abbiamo viaggiato, condiviso interessi e amici. È stata una fase intensa e divertente. Max sembrava voler recuperare il tempo perduto; era una fonte inesauribile di proposte e iniziative. Io, con più esperienze alle spalle, mi divertivo nel mio nuovo ruolo di guida e mi lasciavo trascinare volentieri nel vortice di impegni che scuotevano la mia innata pigrizia.

    Nella nostra rete di rapporti sociali fatta di consolidati legami di amicizia e nuove conoscenze diventammo in qualche modo popolari, tanto che alcuni amici gay impegnati politicamente tentarono di coinvolgerci attivamente nel dibattito sui diritti delle coppie omosessuali. Declinammo l’invito. Max era reduce da un recente e complesso coming out; io ero deciso a mantenere inalterato quel tacito contratto famigliare per cui, pur essendo tutti al corrente di tutto, nessuno poneva domande né io fornivo occasioni per farne.

    Dopo circa tre anni dal nostro incontro Max mi parlò per la prima volta del suo desiderio di paternità. La notizia non mi stupì, avevo notato l’attaccamento ai suoi nipoti, ai figli dei suoi amici e la disinvoltura con cui li faceva giocare e divertire mi emozionava e inteneriva ogni volta.

    Mi disse, e fu questo a spiazzarmi, che per lui si trattava di una naturale evoluzione del nostro rapporto e che si immaginava padre solo con me al suo fianco.

    Come è capitato spesso in questi 16 anni di relazione Max aveva fatto un balzo in avanti, si era proiettato nel futuro e mi forniva un appiglio per andare oltre il mio vivere alla giornata. Aveva colto un bisogno di entrambi, un’esigenza della coppia, ma per metabolizzare questa nuova prospettiva fu necessario un lungo periodo di riflessione e di confronto. Fummo costretti a procedere con una sorta di autoanalisi, a ridefinire i contorni del nostro rapporto ed iniziammo a immaginare un futuro per il quale all’epoca non fu semplice trovare punti di riferimento (eravamo distanti anni luce dal clamore suscitato attorno alle unioni civili del recente decreto legge Cirinnà).

    Con rinnovata sintonia, decidemmo di procedere per gradi. Mettemmo temporaneamente da parte questioni legate a come gestire le rispettive famiglie e iniziammo a confrontarci con gli amici più cari. Non trovammo il sostegno che ci saremmo aspettati, ma neppure un’ostilità dichiarata. Persino per alcuni dei nostri amici gay l’idea di avere dei figli sembrava fuori luogo e ci diedero l’impressione di essere imbrigliati in uno stereotipo che già da qualche tempo ci stava stretto e che avevamo iniziato a mettere in discussione.

    Non eravamo consapevoli del fatto che negli Stati Uniti esistessero figli già adolescenti nati da coppie di papà. Qualcuno ci aveva parlato dell’esistenza in Italia di genitori omosessuali, ma noi eravamo all’inizio di un percorso ancora lontano dalla nostra attuale idea di famiglia. All’epoca, infatti, eravamo convinti che il bambino avesse diritto ad avere un padre e una madre e che gli eventuali partner dei genitori biologici avrebbero dovuto ricoprire un ruolo co-genitoriale con caratteristiche, per noi, ancora sfumate, ma che immaginavamo svilupparsi in un ambito più privato possibile. Questa concezione di famiglia allargata poteva, da un lato, agevolare la gestione dei rapporti con le istituzioni, ma dall’altro poneva un problema delicato relativo alla tutela che, correttamente, la legge italiana riserva al rapporto madre-figlio. Non voglio entrare nel merito di una questione così complessa, ma credo si possa facilmente immaginare come il nostro timore fosse legato al fatto che, una volta nato il bambino, la madre per un qualsiasi motivo potesse decidere di relegarci a un ruolo secondario o peggio ancora, escluderci dal crescere nostro figlio.

    Né io né Luca siamo credenti, per cui posso ringraziare solo il caso, ma anche la lungimiranza di alcune nostre care amiche, se i tentativi di quel periodo di condividere il nostro ideale genitoriale al di fuori della coppia si siano risolti in un buco nell’acqua. All’epoca però non fu semplice accettare questa battuta d’arresto. Avevo fatto un investimento emotivo totalizzante e forse avevo caricato di troppe aspettative le figure femminili a cui ci eravamo rivolti per realizzare il nostro progetto. Ne uscii profondamente provato.

    Luca reagì in modo più equilibrato, quasi freddo; ma come si era vericato in altre circostanze, dopo un primo momento di slancio emotivo, si era fatto spazio in lui il lato più razionale. Aveva iniziato a valutare meticolosamente ogni singolo aspetto del complicato intreccio che si sarebbe potuto creare se fossimo riusciti a mettere al mondo un bambino con una mamma o con una coppia di mamme; erano emersi alcuni seri dubbi e aveva messo in conto la possibilità di un fallimento del progetto.

    A distanza di tempo, quando ormai mi ero rassegnato all’idea di non avere figli, fu proprio Luca a rilanciare.

    Tornammo alle origini e affrontammo la questione da un punto di vista diverso. Se il desiderio di paternità era il frutto del nostro stare insieme, del nostro amore, non era forse più naturale lasciare che si sviluppasse all’interno della coppia? Era un’idea forte che sovvertiva la struttura concettuale che ci eravamo costruiti e ne eravamo quasi spaventati. Qualcosa ci diceva, però, che quella era la strada da percorrere.

    Di lì a poco ne avemmo la conferma. Entrati in contatto con Famiglie Arcobaleno iniziammo a girare l’Italia. Coppie di papà di Roma, Firenze, Trieste ci ospitarono e ci fecero conoscere i loro figli. Ci eravamo documentati e sapevamo che la legge e il groviglio burocratico italiano non rendevano semplice la vita di queste famiglie, ma quello che ci colpì, in modo disarmante, fu la sorprendente normalità del loro vivere quotidiano e il fatto che nessuno ci avesse raccontato di episodi di discriminazione, ma solo di grandi manifestazioni di affetto, solidarietà e tolleranza.

    Prendemmo contatto con un’agenzia californiana che già da diversi anni si occupava di coordinare il complesso iter, incentrato sulla maternità surrogata, che concretizza le aspirazioni genitoriali di moltissime persone nel mondo, sia omosessuali che eterosessuali e, contemporaneamente, decidemmo di informare le rispettive famiglie dei nostri intenti.

    I mesi che seguirono furono caratterizzati da una forte ambivalenza. Da un lato la realizzazione così vicina di un progetto che fino a pochi anni prima non riuscivamo neppure a immaginare ci elettrizzava, dall’altro le reazioni poco entusiaste se non ostili di una parte delle nostre famiglie ci preoccupavano e gettavano un’ombra su un momento di così intensa felicità. Fu soprattutto Luca ad accusare il colpo, procrastinare il coming out lo aveva costretto a concentrare in poco tempo l’annuncio di notizie che portarono a una sequela di tensioni provanti per lui e i suoi cari.

    Delia e Filippo sono nati nel 2013, il giorno di San Valentino e, come in qualche modo ci avevano fatto intuire i papà che avevamo conosciuto, l’arrivo dei nostri bambini appianò molte delle difficoltà famigliari che avevamo dovuto affrontare nell’ultimo periodo.

    Ora che i nostri figli sono venuti al mondo non possiamo che affermare con determinazione che ciò di cui i bambini hanno bisogno siano affetto incondizionato, cure, protezione e solidi punti di riferimento indipendentemente dal sesso dei loro genitori. Si tratta di una consapevolezza che è maturata nel tempo attraverso la ricerca di informazioni, di esperienze e di occasioni di confronto (anche con chi viveva realtà diverse dalla nostra) e di cui troviamo conferma, ogni giorno, nel naturale evolversi del legame che unisce la nostra famiglia.

    Chi afferma il contrario non conosce e si rifiuta di conoscere, per partito preso, la realtà delle famiglie omogenitoriali. Chi afferma che i nostri figli corrano il rischio di crescere con chissà quali turbe psichiche non ha mai giocato o parlato con loro e preferisce abbandonarsi a slogan offensivi e privi di un qualsiasi fondamento concettuale anziché documentarsi e affrontare la questione con un approccio serio e competente; se lo facesse scoprirebbe che nel mondo alcuni papà omosessuali sono diventati già nonni e che esistono studi che dimostrano statisticamente che non vi è alcuna differenza tra soggetti cresciuti in famiglie con genitori eterosessuali e soggetti cresciuti in famiglie omogenitoriali. Chi afferma che le madri surrogate siano sfruttate da egoisti gay danarosi non conosce le tutele che negli Stati Uniti la legge riserva loro e quali debbano essere le rigide e imprescindibili caratteristiche sociali ed economiche da possedere prima di poter scegliere la coppia (gay e non) per la quale portare avanti la gravidanza. Chi sostiene che la crescita dei propri figli possa essere compromessa dal venire a contatto con realtà diverse dalla famiglia eterosessuale sottovaluta l’intelligenza della propria progenie e fa loro un torto limitandone la curiosità e l’apertura mentale. Chi ci nega diritti non vuole accorgersi di quanto la realtà italiana sia cambiata, di quanto il concetto di famiglia si sia trasformato e delle infinite declinazioni che ha acquisito nel tempo.

    Entrambi, da sempre, siamo stati dell’idea (e lo siamo ancora) che i rapporti con i mezzi di informazione debbano essere gestiti da persone preparate e predisposte, consapevoli delle regole del gioco; per cui anche dopo la nascita dei nostri gemelli abbiamo preferito non esporci mediaticamente. Abbiamo scelto di fare azione politica nella quotidianità, non nascondendoci mai, ma vivendo liberamente la nostra nuova condizione di genitori, coinvolgendo gradualmente nel nostro quotidiano la sfera affettiva, quella professionale, quella sociale. Non ci siamo mai tirati indietro di fronte alla curiosità delle persone e abbiamo pazientemente fornito delucidazioni sempre attenti a proteggere la nostra privacy. Siamo stati sempre ben disposti a condividere la nostra esperienza con altre coppie gay che volessero avere figli e, coinvolgendole nella nostra vita, abbiamo contribuito a dissipare i dubbi che avevano caratterizzato i nostri primi passi.

    Abbiamo dovuto fare i conti con la dimensione privata che ha da sempre contraddistinto il nostro rapporto e con la riservatezza che caratterizza entrambi, ma ci siamo orgogliosamente esposti perché Delia e Filippo hanno il diritto di crescere in un ambiente sereno, privo di falsità e intellettualmente onesto.

    Ogni giorno traiamo beneficio da questo approccio libero alla vita e l’affetto che ci dimostrano le persone con cui siamo venuti a contatto sino a ora ci fornisce il carburante per continuare su questa strada. Ogni giorno riceviamo conferme di quanto la società sia avanti rispetto alla miopia della classe politica che ci governa pronta a farsi mettere in crisi dalla sola idea che due persone dello stesso sesso possano amarsi e decidere quindi di istituzionalizzare il loro rapporto, figuriamoci dall’idea che possano avere addirittura dei figli. Mentre l’Italia continua a segnare il passo accettando fragili compromessi e leggi a metà, le democrazie più evolute continuano il loro percorso e si proiettano nel futuro.

    Siamo consapevoli di quanto vivere in una città come Milano abbia agevolato la nostra scelta di vita. Non abbiamo mai incontrato grosse difficoltà, né siamo stati oggetto di discriminazione. Ma il disbrigo delle più banali pratiche burocratiche come l’iscrizione all’anagrafe, la richiesta di documenti e ora la presentazione della domanda per l’iscrizione alla scuola dell’infanzia, ci costringe a mettere in scena un’opera che non ci rappresenta. I nostri bambini benché ci chiamino entrambi papà e ci identifichino come tali a tutti gli effetti, per la legge italiana sono figli di padre single e questo è un vuoto legislativo, un’ipocrisia politica che deve essere corretta al più presto.

    Delia e Filippo esistono, come esistono altre centinaia di bambini nati da genitori gay, sono parte integrante di uno Stato che contribuiranno a far crescere e che, per il solo fatto di essere nati, hanno già cambiato.

    Ci avvilisce e ci spaventa la prospettiva di dover vivere nella costante speranza di incontrare persone progressiste e illuminate che ci permettano di eludere anacronistici formalismi burocratici. Non vogliamo vivere nella speranza di ma nella certezza che i nostri diritti di cittadini vengano garantiti e rispettati al pari di quelli di tutti gli altri.

    Ringraziamo Carlo per l’opportunità che ci ha fornito di ripercorrere le tappe fondamentali di un percorso così intenso ed emozionante e per aver dato un energico scossone alla nostra timidezza intellettuale. Abbiamo accettato l’invito a scrivere la prefazione del suo nuovo libro perché, pur conoscendolo da poco, sappiamo quale sia la motivazione di ogni sua iniziativa: mettere a disposizione degli altri le sue capacità, la sua intelligenza, le sue esperienze.

    Siamo lieti di fornire il nostro modesto e personalissimo contributo alla sua nuova battaglia.

    Max A. e Luca M.

    INTRODUZIONE

    Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

    Dichiarazione universale dei diritti umani, art. 1

    L’idea di scrivere un libro sul tema delle violazioni dei diritti umani in relazione all’omosessualità e all’orientamento sessuale affonda le sue radici nel terzo millennio. Era il mese di giugno del 2000 e da Torino ricevetti una telefonata dall’allora presidente della Sezione Italiana di Amnesty International (A.I.) che mi chiedeva la disponibilità a condurre e a partecipare ad una tavola rotonda/dibattito sul tema dei diritti connessi all’omosessualità. Devo confessare che fui molto lusingato dalla richiesta (a quella giornata, se non ricordo male, avrebbero partecipato esponenti politici, di ONG, intellettuali e ricercatori di alto profilo intellettuale e professionale) ma già qualche minuto dopo fui assalito dal panico. Ringraziai per la proposta ma chiesi qualche giorno per decidere.

    L’8 luglio di quell’anno si sarebbe celebrato a Roma il World Gay Pride e il clima politico era abbastanza surriscaldato perché, sempre nel 2000, si stava celebrando il Giubileo indetto da papa Giovanni Paolo II. L’allora Presidente del Consiglio Giuliano Amato, in un’audizione in Parlamento e in risposta ad un’interpellanza di Alleanza Nazionale che chiedeva di impedire lo svolgimento della manifestazione a Roma, così rispose: È inopportuno ma non possiamo vietarlo. Il Presidente del Consiglio non poteva fare nulla perché la Costituzione garantisce il diritto a manifestare ma, fuori dal contesto costituzionale, non nascose la propria opinione personale e, durante il question time alla Camera, affermò: Ho la preoccupazione che una manifestazione del genere sia inopportuna nellʼanno del Giubileo e che sarebbe meglio farla in un anno diverso ( La Repubblica, 20 maggio 2000). Le prese di posizione di Amato furono, per così dire, sollecitate dall’allora presidente della Conferenza Episcopale Italiana Cardinale Camillo Ruini, che scese in campo chiedendo espressamente che la manifestazione fosse vietata, e chiedendo a tutti i politici (non a caso!) di schierarsi o pro o contro le sue pretese alla riuscita dellʼevento.

    Il presidente del Comitato Italiano del Giubileo Monsignor Angelo Comastri affermava "Ma di quale orgoglio parlano gli omosessuali? Orgoglio di chi? Per che cosa? La verità, invece, è unʼ altra: manifestazioni come il World Gay Pride non dovrebbero essere mai autorizzate, tantomeno durante il Giubileo" ( La Repubblica, 25 maggio 2000).

    Va detto che la grande e partecipata manifestazione (io c’ero in compagnia di uno dei miei fratelli, di mia sorella e di alcuni amici romani, tutti eterosessuali) fu preceduta da una decina di giorni piena di iniziative culturali, artistiche, politiche. Furono organizzate rassegne cinematografiche e teatrali, mostre, dibattiti, presentazioni di libri e incontri con gli autori che stimolarono un grande dibattito pubblico (talvolta con toni troppo accesi sia da una parte che dall’altra) sulla carta stampata e in televisione.

    Il clima mi appariva terribilmente caldo e io mi sentivo inadeguato al ruolo che avrei dovuto svolgere anche in virtù del fatto che gli altri interlocutori erano (o così mi apparivano) di un’altissima levatura intellettuale. Certo, avrei potuto studiare e documentarmi su tutto il materiale e la posizione di A.I., ma non mi sentivo pronto. Dopo qualche giorno richiamai il presidente di A.I. e declinai l’offerta, nonostante i suoi tentativi di convincermi che sarei stato in grado di ben presentare il punto di vista della nostra associazione

    In verità non era la prima volta che in A.I. si affrontava il tema dell’omosessualità: 10 anni prima al suo 10° Congresso Mondiale, svoltosi a Yokoama in Giappone, lo statuto dell’or­ganizzazione internazionale era stato modificato includendo le violazioni dei diritti umani in tema di omosessualità. Anni dopo nacque anche in Italia (era già presente in altre sezioni internazionali di A.I.) il coordinamento LGBT ( lesbian, gay, bisexual, transgender).

    Nel frattempo la mia vita proseguiva, ero affaccendato in molteplici impegni e attività: numerosi lavori a progetto in ambito sociale, un’intensa attività di volontariato (insegnavo italiano agli stranieri ed ero impegnato in un’associazione di lotta all’AIDS) e una continua attenzione alla mia numerosa e sgangherata famiglia (otto persone tra fratelli e sorelle, una madre già anziana ma ancora autonoma, insomma un gruppo di persone anche spiritose e con le quali avrei ingaggiato nel corso degli anni grandi discussioni su questioni civili, politiche, culturali e talvolta anche banalmente connesse al vivere quotidiano).

    Devo precisare che sono iscritto ad A.I. dal 1984, e da allora continuo a far parte del gruppo 11 di Milano. All’interno dell’organizzazione ho ricoperto diversi incarichi sia a livello regionale che nazionale occupandomi di temi e campagne che via via mi entusiasmavano. La mia vita correva troppo veloce e decisi che a parte il lavoro e la mia famiglia il poco tempo che mi avanzava lo avrei dedicato solo ad A.I. perché questo alimentava la mia speranza per un mondo migliore. Una persona speranzosa crede nella possibilità di un futuro cambiamento e miglioramento: senza speranza fare uno sforzo può sembrare inutile… la speranza contiene un elemento affettivo di natura combattiva… senza speranza non è possibile superare la tentazione di restare attaccati ad un passato che non esiste più… la speranza è strettamente connessa alla capacità di mobilitare delle risorse… [¹] . Quanto alla mobilitazione delle risorse, A.I. ne sa qualcosa: è grazie alla sua capacità di mobilitare l’opinione pubblica che la sfera dei diritti umani è stata sempre più sentita.

    Quando mi iscrissi ad A.I. fui folgorato, come San Paolo sulla via di Damasco (non appaia irrispettoso e irriguardoso il mio accostamento all’apostolo), dal tipo di lavoro accurato, preciso, puntuale e imparziale che questa associazione svolgeva. Ma negli anni successivi al World Gay Pride di Roma anche questo non mi aveva aiutato a trovare una quadra per decidermi a scrivere.

    Nel frattempo avevo ripreso a studiare e riuscii a conseguire due lauree, continuavo a svolgere un intenso lavoro di formazione in ambito sociale, fui assunto con un contratto a tempo indeterminato, iniziai una lunga relazione durata un decennio e lasciai la casa della mia rumorosa famiglia per andare a vivere da solo. Mi ero riavvicinato a Dio (dal quale, in verità, non mi ero mai allontanato) e intrapresi diversi cammini di approfondimento spirituale.

    Nell’ultimo decennio anche la Chiesa Cattolica è stata attraversata da grandi sacerdoti testimoni concreti del Vangelo e pronti ad accogliere, confortare e sostenere persone omosessuali sospendendo il giudizio e convinti che solo nella parola di Gesù Cristo si può trovare - per chi ha fede - l’Amore che consola, che scalda e che accompagna. Nel mio peregrinare ho incontrato alcuni di questi sacerdoti illuminati dallo Spirito Santo, che pur restando in seno alla C hiesa cattolica hanno deciso, motu proprio, di declinare il Vangelo secondo le loro sensibilità (ho spesso avuto il dubbio che alcuni di loro fossero sotto osservazione - forse a loro insaputa - da parte delle gerarchie ecclesiastiche). Arroccarsi sul concetto di tradizione credo non aiuti molto lo sviluppo di un confronto ampio e sereno, se pur complesso e articolato. La tradizione, che io considero una categoria fluida, è anche sedimentazione, nel tempo, di un processo costante frutto dell’anima sociale fatta di pensieri, di sentimenti, di espressioni artistiche e normative, di credenze religiose e di mediazioni sociali in una continua tensione generativa. La p astora della Chiesa e vangelica v aldese di Milano, Daniela Di Carlo, a proposito della tradizione afferma … m olto spesso le chiese cristiane, avendo perso la novità del primo insegnamento di Gesù, sono tra le istituzioni più conservatrici del nostro tempo. La difficoltà di cambiamento che le contraddistingue paralizza, a volte, l’attualità stessa della predicazione dell’Evangelo che rimane ancorata a tradizioni capaci di attestare lo stato delle cose di questo mondo, perdendo quell’effetto, proprio della predicazione, di scardinare i consueti scenari di vita… Vivere nel regno di Dio per Gesù significava, e lo significa tutt’ora, vivere la fede scorporata dagli antichi rituali genuflessi alla tradizione in favore della novità concreta e continuamente aggiornata dell’Evangelo della grazia… [²] . Le discussioni e le riflessioni sul tema di questo libro mi apparivano ancora troppo grandi e in qualche modo sentivo che mi sfuggiva qualcosa: non era ancora arrivato il momento.

    Riconoscimento delle coppie di fatto, omogenitorialità, matrimonio tra persone dello stesso sesso, omofobia etc. Queste e altre questioni legate ai diritti hanno dominato una parte del dibattito pubblico italiano e internazionale nell’ultimo decennio. Ma ancora non riuscivo a trovare una quadra che mi aiutasse a iniziare a scrivere sul tema oggetto di questo testo. I libri che hanno visto la luce negli ultimi anni, se pur alcuni molto interessanti e ben argomentati, lasciavano ancora aperte alcune questioni e non rispondevano al mio bisogno di scrivere (mi sono anche chiesto perché alcuni autori non avessero richiesto il patrocinio ad A.I.) .

    Nel corso degli ultimi 15 anni avevo già scritto tre libri, non sono presenti in libreria ma reperibili in via informatica e poco noti ai più perché trattano di questioni specificamente sociali, e forse anche perché non era nelle mie intenzioni diventare uno scrittore. Volevo, questo sì, scrivere per il piacere della scrittura provando a riflettere su questioni e temi che avevo approfondito e conosciuto direttamente. Avevo anche scritto numerosi articoli e partecipato a convegni e dibattiti su tematiche sociali e nell’ambito della salute mentale (mio campo di lavoro). Intanto il mio mondo interiore continuava a interrogarmi costantemente sul tema di questo libro.

    Negli anni, poi, avevo conosciuto anche la prima coppia omosessuale maschile benedetta dal pastore della Chiesa evangelica valdese di Milano (due persone unite da un vincolo saldo, che vivono insieme condividendo la loro quotidianità con amore e passione l’uno per l’altro) e alcune coppie omogenitoriali maschili con i loro figli al seguito (le cosiddette F amiglie Arcobaleno). I bambini di queste coppie di uomini si rincorrevano allegramente nel parco giochi sotto casa e i loro papà conversavano amabilmente con altre coppie eterosessuali del primo dentino, dell’ultima notte insonne, dell’inserimento a scuola, dei loro giochi preferiti… e mi sembrava tutto così naturale e normale! Ma dopo aver ascoltato i dibattiti (talvolta fin troppo infuocati), dopo aver letto alcuni testi, dopo aver incontrato persone che vivevano con fatica ma con tenacia e perseveranza una condizione di assoluta normalità, freschezza e vivacità, forse il mio orizzonte di senso si stava chiarendo. Per tematizzare una questione molto dibattuta e che apriva nuovi scenari di riflessione giuridica, antropologica, sociologica, filosofica e religiosa avrei utilizzato la sguardo di A.I.: attraverso gli occhi di questo grande movimento internazionale che avevo conosciuto e apprezzato - e di cui sono orgoglioso di far parte - avrei iniziato l’avventura della scrittura di un testo che avrebbe offerto, nella sua parte centrale e più consistente, la prospettiva dei diritti così come sanciti in tutti i trattati internazionali e in special modo nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Sono consapevole che sarà un lavoro arduo e articolato e che non ha la presunzione di essere esaustivo e che forse non si sentiva il bisogno di un altro libro sulla questione dell’omosessualità e dell’orientamento sessuale. Ma da qualche parte e in qualche modo mi sembra che sia un atto dovuto nei confronti del quotidiano lavoro di milioni di attivisti di A.I. e di tutte le persone che non possono godere degli stessi diritti di cui posso godere nel mio paese, non ultimo quello di poter scrivere un libro anche tematizzandolo con alcune riflessioni personali e che non necessariamente rispecchiano le posizioni di A.I. (laddove questo accadrà lo segnalerò).

    Credo, però, che sapere di poter contare sui consigli e sui suggerimenti di Sonia Forasiepi e Giovanna Favilla (ambedue socie di A.I.: la prima Responsabile per l’ Educazione ai Diritti Umani della Circoscrizione Lombardia e la seconda vice-responsabile del gruppo 11), di Gianfranco Dognini (storico attivista e mente lucidissima di A.I.) abbia contribuito a farmi trovare una quadra per l’avvio della stesura di questo testo.

    E siamo arrivati alla fine del 2015, quando le parole omosessualità e orientamento sessuale vengono ancora interpretate e tematizzate, secondo molti credenti, come assolutamente contrarie all’insegnamento biblico. Molti di coloro che credono, pongono alle Sacre Scritture e alla Bibbia un problema che nelle loro pagine non compare nei termini in cui noi lo poniamo oggi: conservatori, liberali, credenti di fede cattolica o di fede protestante.

    Citando il Salmo

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1