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Canto XXIII

Luogo: VI cornice
Penitenti: Golosi
Ora: 12.00 di marted 12 aprile
1300

Mentre che li occhi per la fronda verde


ficcava o s come far suole
chi dietro a li uccellin sua vita perde,

lo pi che padre mi dicea: "Figliuole,


vienne oramai, ch l tempo che n imposto
pi utilmente compartir si vuole". 6
Io volsi l viso, e l passo non men tosto,
appresso i savi, che parlavan se,
che landar mi facean di nullo costo.
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Ed ecco piangere e cantar sude
Laba ma, Domine per modo
tal, che diletto e doglia parture. 12
"O dolce padre, che quel chi odo?",
comincia io; ed elli: "Ombre che vanno
forse di lor dover solvendo il nodo".
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S come i peregrin pensosi fanno,
giugnendo per cammin gente non nota,
che si volgono ad essa e non restanno, 18
cos di retro a noi, pi tosto mota,
venendo e trapassando ci ammirava
danime turba tacita e devota.

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Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,


palida ne la faccia, e tanto scema
che da lossa la pelle sinformava.

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Canto XXIII
Non credo che cos a buccia strema
Erisittone fosse fatto secco,
per digiunar, quando pi nebbe tema. 27
Io dicea fra me stesso pensando: 'Ecco
la gente che perd Ierusalemme,
quando Maria nel figlio di di becco!'.

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Parean locchiaie anella sanza gemme:


chi nel viso de li uomini legge omo
ben avria quivi conosciuta lemme.

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Chi crederebbe che lodor dun pomo


s governasse, generando brama,
e quel dunacqua, non sappiendo como?
Gi era in ammirar che s li affama,
per la cagione ancor non manifesta
di lor magrezza e di lor trista squama,

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ed ecco del profondo de la testa


volse a me li occhi unombra e guard fiso;
poi grid forte: "Qual grazia m questa?".
Mai non lavrei riconosciuto al viso;
ma ne la voce sua mi fu palese
ci che laspetto in s avea conquiso.

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Questa favilla tutta mi raccese


mia conoscenza a la cangiata labbia,
e ravvisai la faccia di Forese.

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Canto XXIII
"Deh, non contendere a lasciutta scabbia
che mi scolora", pregava, "la pelle,
n a difetto di carne chio abbia; 51
ma dimmi il ver di te, d chi son quelle
due anime che l ti fanno scorta;
non rimaner che tu non mi favelle!".

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"La faccia tua, chio lagrimai gi morta,


mi d di pianger mo non minor doglia",
rispuosio lui, "veggendola s torta.
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Per mi d, per Dio, che s vi sfoglia;
non mi far dir mentrio mi maraviglio,
ch mal pu dir chi pien daltra voglia".
Ed elli a me: "De letterno consiglio
cade vert ne lacqua e ne la pianta
rimasa dietro, ondio s massottiglio.

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Tutta esta gente che piangendo canta


per seguitar la gola oltra misura,
in fame e 'n sete qui si rif santa. 66
Di bere e di mangiar naccende cura
lodor chesce del pomo e de lo sprazzo
che si distende su per sua verdura.
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E non pur una volta, questo spazzo
girando, si rinfresca nostra pena:
io dico pena, e dovria dir sollazzo,

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Canto XXIII
ch quella voglia a li alberi ci mena
che men Cristo lieto a dire El,
quando ne liber con la sua vena".

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E io a lui: "Forese, da quel d


nel qual mutasti mondo a miglior vita,
cinqu anni non son vlti infino a qui.

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Se prima fu la possa in te finita


di peccar pi, che sovvenisse lora
del buon dolor cha Dio ne rimarita,

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come se tu qua s venuto ancora?


Io ti credea trovar l gi di sotto,
dove tempo per tempo si ristora".

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Ondelli a me: "S tosto m ha condotto


a ber lo dolce assenzo di martri
la Nella mia con suo pianger dirotto.

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Con suoi prieghi devoti e con sospiri


tratto m ha de la costa ove saspetta,
e liberato m ha de li altri giri.

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Tanto a Dio pi cara e pi diletta


la vedovella mia, che molto amai,
quanto in bene operare pi soletta;

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ch la Barbagia di Sardigna assai


ne le femmine sue pi pudica
che la Barbagia dovio la lasciai. 96

Canto XXIII
O dolce frate, che vuo tu chio dica?
Tempo futuro m gi nel cospetto,
cui non sar questora molto antica,

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nel qual sar in pergamo interdetto


a le sfacciate donne fiorentine
landar mostrando con le poppe il petto. 102
Quai barbare fuor mai, quai saracine,
cui bisognasse, per farle ir coperte,
o spiritali o altre discipline?

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Ma se le svergognate fosser certe


di quel che l ciel veloce loro ammanna,
gi per urlare avrian le bocche aperte; 108
ch, se lantiveder qui non minganna,
prima fien triste che le guance impeli
colui che mo si consola con nanna.

111

Deh, frate, or fa che pi non mi ti celi!


vedi che non pur io, ma questa gente
tutta rimira l dove l sol veli".

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Per chio a lui: "Se tu riduci a mente


qual fosti meco, e qual io teco fui,
ancor fia grave il memorar presente.

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Di quella vita mi volse costui


che mi va innanzi, laltrier, quando tonda
vi si mostr la suora di colui",
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Canto XXIII
e l sol mostrai; "costui per la profonda
notte menato m ha di veri morti
con questa vera carne che l seconda.

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Indi m han tratto s li suoi conforti,


salendo e rigirando la montagna
che drizza voi che l mondo fece torti.

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Tanto dice di farmi sua compagna


che io sar l dove fia Beatrice;
quivi convien che sanza lui rimagna.

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Virgilio questi che cos mi dice",


e addita lo; "e questaltro quellombra
per cu scosse dianzi ogne pendice
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lo vostro regno, che da s lo sgombra".

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