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Daniele Marton
Poesie
CUORE A META
Ho un cuore diviso a met
una parte nelle tenebre
laltra nella luce.
La mia Anima come un respiro
Ora sale e ridiscende,
dallestasi alloblio,
dalla dannazzione al cielo.
Persa la mia natura d' individuo
vivo per compiacere i miei Demoni.
In me due immortali in battaglia
lottano senza poter morire
ferendosi in eterno
in eterno lacerandosi le carni.
Non mi seguire,
perch ogni volta che scendo
ho solo dolore da dare
ed il sacrificio non vale
gli attimi di beatitudine della risalita.
Come i flutti sulla riva
incessantemente mi formo e mi disfo,
come neve ricopro tutto
e con i primi tepori scompaio.
essi mi annulleranno
ricreandomi a loro immagine,
immagine sempre cangiante
di volta in volta differente
sempre imperscrutabile.
Esisto in questo ritmo tra polarit opposte
sempre immobile nel frenetico oscillare.
Esisto senza un senso
senza uno scopo
che continuamente cambia
appeso a testa in gi
con punti di vista che non puoi comprendere.
Questo sono
Inalterabile mutevolezza
Inconprensibile cumulo di desideri e rinunce.
CAMMINO
Temo la delicatezza
Del palmo del mio piede
Da troppo tempo avvezzo
A futili calzari,
Poich esso divenuto
Limitazione per il mio passo.
Cos, nel tempo,
Al mio arto nudo insegner
a camminare sui rovi e sullortica
Perch ne divenga immune,
Lo pogger sul ghiaccio
E nel fuoco ardente
Affinch pi non li tema,
Cos egli diverr
Larma della mia conoscenza
E soddisfer il desiderio mio
Di intraprendere con serenit
I sentieri pi tortuosi
IL CORVO
Il nero corvo
su di un ramo solo
ma per volont d'esserlo;
contepla il vento implacabile
che gi gli rub
il suo riparo di foglie.
Resiste il corvo
alle raffiche violente
ancorato saldamente ai forti artigli,
sostenuto da gracili zampe,
grande la fatica,
ma non vengono scaricate colpe,
non si rifugia
in progetti di future mete oniriche;
il corvo si ripete
" cos basta!"
ma il sostar su quel ramo,
ormai,
inutile quanto il vivere degli uomini,
HUMAN GUN
Prendi una pistola,
caricala,
puntala alla testa del tuo nemico,
premi il grilletto.
Ora chiediti:
chi il mio nemico?
Trova un'altro
ipotetico nemico,
prendi la pistola,
caricala,
puntagliela alla testa,
premi il grilletto.
Ora chiediti:
chi il mio nemico?
Trovane un'altro,
prendi la pistola,
caricala,
Ora chiediti:
chi il mio nemico?
IL SATIRO
Eccomi! Vengo danzando.
Eccomi! Porto irrazionale sconquasso.
Eccomi! Salto seguendo il suono del mio tamburo.
Eccomi, una quarta volta, a ribadir chi sono...
Eccomi!
Il mio seme dispenso
dal vigore del mio sesso
temuto e bramato,
estasi e punizione,
purezza e tormento.
Eccomi!
Nella borraccia porto
il sangue della Dea
Eccomi!
Non vi in me l'amore
come dall'unione tra uomo e donna,
non Eros il mio nome,
io sono animalesca passione
pulsante di immenso desiderio
confluito nelle vene
di fallica volont.
Eccomi!
Non son spirito Io
ma carne e sangue
poich il mio spirito invero
quello della terra stessa,
da cui come pianta spuntai
a cui, seppur privo di radici,
da sempre legato restai.
Eccomi!
Esplosione irragionevole di vita
impensabile da smorzare,
forza ribelle indomita
incontenibile d'euforia.
LA MAGIA NATURALE
C una magia che non puoi capire
Non riposa in vecchi libri, non cercarla!
Ovunque volgi lo sguardo Lei .
C una magia che non puoi capire
Senza passare la notte nel bosco
Con la fiamma dun fuoco a danzarti vicino;
Non potrai capirla
Se non passando a piedi nudi
Sulle pietre dun sentiero antico
Che la volont dellUomo e della Natura
Hanno congiuntamente segnato,
Poggiando il piede su scalinate di radici
Tu la capisci;
Nel tronco spontaneamente caduto
A ponte da sponda a sponda,
Nella potenza della cascata
Che dal ghiacciaio discende,
Nella maestosit della Montagna,
In tutti questi giganti,
Tu vedi gli Dei;
Ma a chi necessita tentar
Di dar loro un volto ed un nome
Se non a colui che non li conosce?
Poich chi li conosce sa
25/06/2012
LA STRADA
ma se te ne vai
sei fortunato...
Segui la strada
su cui "viaggio" una realt,
anche nell'immobilit
di tempo e spazio,
e dovunque conduca,
pensa che ci sar sempre
una strada per andarsene...
Cos la strada
quando la si vive.
in quanto esempio
d'ogni qualit umana.
LUSSO E MISERIA
Ci sono uomini
fieri di essere tali,
uomini apparentemente
privi di dubbi,
apparentemente sicuri...
Ma non vi
vera sicurezza
in ci che si pu toccare
o afferare,
poich la materia pu essere distrutta
disgregata.
Ci sono uomini
che vivono come bestie,
tra le bestie,
che pure paragonati ai primi
meritano l'appellativo
di dei sulla terra.
NOI...
Noi...
generazione di perdenti convinti,
figli di falsit ed orgoglio,
viziati dalla famiglia
e dal benessere,
al prezzo della nostra libert;
nati per la strada,
eppure non l'abbiamo mai vista;
cos come sciacalli,
ci nutriamo dei resti
della carcassa putrida
che fu a suo tempo
illusione di democrazia.
Ribelli senza causa,
guerrieri privi d'azione,
vivremo il nostro ciclo vitale
per rinascere poi mutati
ma sempre noi...
PARANOIA
Odio...
Il presente mi disgusta,
il futuro mi dona ansie stragiste,
il passato mi affascina,
ma mi fa rabbrividire...
Odio...
Odio il pensiero,
la parola,
la ragione...
Odio il triste concretizzarsi
di paranoiche visioni masochiste.
Odio voi, me,
mentre navigo solo
nella mia follia
chiuso come le orecchie di un sordo,
violentando la mia mente;
germe,
come acido che brucia le cellule,
che fa del mio cervello spugna
per assorbire
reazioni incontrollate
di pulsazioni nervose.
Odio il pianto,
la miseria;
odio il "pre" ed il "post" di ogni cosa;
odio le mie braccia,
odio i miei occhi,
odio l'incoerenza dell'essere
e dell'agire,
odio l'odore nauseabondo dell'arte...
PAZZIA
Pazzia,
Dolce nettare di cerebro maturo
Fermentante nelle botti del tempio dellesperienza;
Abito bianco del saggio, strada sterrata che svolta a manca;
Oh, riuscissi io ad inpaltanarmi su quel sentiero,
Dimentico di carne e polvere, di pascoli per greggi.
Quanto fummo stolti ad adorar la luce
Scordando che essa esiste solo in relazione alla tenebra;
Se potesi io, ora, perdermi in quel nulla,
Felice diverrei per il non discernere,
Che non esiste bene n male, stolti!
Seppur su dessi vadagiate
Come condannati su vergini di ferro.
Quale Dio fu sacrificato per il gioco perverso?
Quale uomo per primo concep la prpria colpa?
Chi, colpevole, impar a frapporre la spada della logica
Per difendere propriet effimere,
Come effimero fu il desiderio di loro.
Ah, sapessi trasmutar Io la materia grezza in pazzia
Diverrebbe subito palese leffetto dellumana causa,
Dissolta la creazione del Demiurgo
Degenererebbe meravigliosa lanima del cosmo.
STUPIDO PROLETARIATO
Stupido proletariato...
siamo stati derisi,
sfruttati...
relegati a non essere pi
uomini e donne,
meno di cani alla catena,
meno di porci da macello.
Un esercito disarmato
della volont di combattere,
comprati e venduti,
nemmeno,
passati di pappone in pappone
come puttane infette
di favela.
non pi arte,
non pi parte,
avvicinati al pensiero
(politico)
con paura,
per paura...
con la paura dominati...
Pronti ad additare,
avvezzi al futile giudizio
sterile.
Massa da riproduzione
che costantemente genera
nuova manodopera.
Filastrocche
Di senno pi profondo
Di chi non vuole nulla
Oltre abitare il Mondo.
*La Tilde dei fagotti una filastrocca basata sui racconti di mia nonna, riguardo ad un
personaggio,Matilde, che soggiorn per circa un anno, nel primo dopoguerra, al mio paese natio,
Campodarsego, leggendo le carte e facendo lelemosina. Non si sa da dove venisse, si presume dal
centro Italia, e non si sa dove and quando se ne and.
RISATA DI SCHERNO
Risata di scherno
Che gli altri ferisce
Che d limpressione
Di chi compatisce.
Risata di scherno
Di chi non capisce
Ridendo degli altri
Maschera angosce.
Nel tuo carnevale
Di disillusioni
Tu ridi dei sogni
Di colui che canzoni;
Ma se osservi un altro
Il tuo oggetto di scherno,
La tua castrazione
E tutto il tuo inferno,
Che vivi convinto
Sia lunica strada
Appagamento rabbioso
Che per nulla ti appaga.
Rallegra per finta
Una vita ss triste
Dillusioni perpetue
E di false conquiste.
Ah, povero diavolo
Prosegue ridendo
Di ci che non comprende
E di ci che si st perdendo;
Guarda la vita
Col suo paraocchi
E divora bile
In mezzo agli sciocchi;
Ma crollano metodi
E con loro miti,
Per loro arroganza
Vengon puniti
Per non vi f
Peggior punizione
Di ci che passato
Della tua educazione
Ora non ridi pi?
Batti i pugni per terra?
Eppur tutta la vita
La vivesti in guerra.
Ora muori, sconfitto
Deriso e vessato
Chiss a quale vita
Sarai destinato
Racconti
IL DISCEPOLO RIBELLE
Vi era un tempo un asceta, a detta di molti tanto saggio e sapiente da essere
consideato un guru, e in tanti andavano da lui per diventarne discepoli.
Tra tutti i suoi allievi per ve n'era uno in particolare, non superbo o arrogante,
ma critico, che pareva mettere continuamente in dubbio la parola del maestro
con le sue domande provocatorie, talmente ribelle danon farsi scrupolo a
riferirsi al guru apostrofandolo per nome, invece di chiamarlo "maestro".
Un giorno il guru, stanco delle continue provocazioni del discepolo, perse per
un attimo la pazienza, e con tono adirato gli chiese: " Perch ti trovi qu? Cosa
cerchi da me? Qual' il tuo obbiettivo?"
Al che l'allievo rispose: "Se sono qu per sentirti parlare. Da voi cerco tutto
ci che avete da insegnare, e riguardo al mio obbiettivo, esso
l'illuminazione..."
"E cos' per te l'illuminazione?" chiese dunque il maestro.
"L'illuminazione - rispose il discepolo - mantenere la pace interiore anche
mentre fuori si sta combattendo una guerra."
IL MAESTRO ED IL DIO
Accadde quel giorno, che coloro cheorgogliosi si fan chiamare discepoli, e
che come tali si comportano quando son al cospetto dun maestro, vennero
a me affinch parlassi loro del Dio; e cos essi dissero:
<<Rabbi, parlaci or dunque di Dio, cosicch Noi lo comprendiamo.>>
Risposi loro:
<<Cosa volete? A che vi potr servire conoscere il mio Dio? Non avete forse un
Dio in voi? Cosa sperate di ricevere, ingordi, come premio per la vostra
ingordigia?
Osservate dunque il corpo mio e badate bene, chel Dio che lo abita non ha
nulla da dare al suo seguace che non sia digiuno, piaghe, parassiti e morte, ed
ossa e pelle fragili avvolte in stracci impolverati e logori; e per gli stolti egli
ancor serba la verga, e gioisce nel veder lembi di carne saltar via a frustate!
Cercate dunque altrove il vostro pastore, pecore! Che sempre pecore resterete
fino a che non saprete scavare nel di voi profondo al fine dincontrare e
conoscere il vostro Dio!
Cos come ora siete, belante gregge disperso alla merc dei lupi e delle fiere,
solo uno lappellativo cui siete meritevoli: siate dunque chiamati senza dio,
poich questo cio che siete!>>
Detto ci, essi fuggirono da me, non ricevendo ci che cercavano,alcuni, la
maggioranza, imprecando e maledicendo il mio nome; altri vidi andarsene con
fare assorto, ragionando e meditando sulle parole mie, ma questi erano la
minoranza.
LA PECORELLA
Vi era un tempo una pecora, che non riusciva proprio a stare al pascolo con il
resto del gregge
Era una pecora curiosa, e la sua curiosit la portava sempre a staccarsi dal
gruppo, per andare a brucare da sola, l dove lerba era pi fresca,
ombreggiata dalle chiome degli alberi, e dove i fiori profumavano di pi.
Un giorno, mentre il gregge era a pascolare in un prato, la pecora si allontan,
bench gravida, per andare nel bosco; riusciva sempre a farla ai cani del
pastore, seppur appesantita dalla sua gravidanza giunta ormai quasi al
termine.
Una volta nel bosco, la pecora sent che era giunto il momento del parto, e non
pens nemmeno ad affrettarsi per raggiungere il gregge, tanto amava il senso
di libert che le dava la solitudine, sicch partor l dove si trovava, ai piedi di
una grande quercia.
Lagnellino appena nato fu dapprima un po spaesato, ma mossi i primi passi si
senti subito catturato dalla bellezza e dalle meraviglie che lo circondavano,
tanto che, quando fu ora di tornare al pascolo per unirsi al gregge, non ne volle
sapere, e la madre, spaventata di non poter rientrare, dopo aver molto
insistito fu costretta a rientrare da sola.
La pecorella cos, fu sola nel bosco, e presto allentusiasmo per ci che la
circondava si sostitu il timore dei pericoli che avrebbe potuto incontrare.
Una notte, spaventata dal canto di uninnocua civetta appollaiata su un ramo,
le venne naturale prendere la rincorsa e dare una forte testata allalbero da cui
sent provenire il terrificante rumore, e cos si accorse che sulla sua testa erano
cresciute due piccole corna; si osserv attentamente, e vide che anche il bel
manto lanoso da giovane pecora era sparito, ed al suo posto vi era un pelo
corto ed ispido e sotto il suo mento era cresciuta una buffa barbetta; si era
infatti trasformata in una vigorosa e combattiva capretta.
Quando un giorno, nel prato vicino, not il gregge di sua madre, si avvicin per
salutarla e mostrarle il suo nuovo aspetto, e mamma pecora vedendola quasi
non la riconobbe; dapprima la pecora fu triste vedendo sua figlia mutata in
una capra testarda, ma poi cap che era stato il suo desiderio di libert a
renderla cos, e fu sollevata dal fatto che almeno ora avrebbe avuto la
possibilit di difendersi dai pericoli che avrebbe potuto incontrare.
Madre e figlia si salutarono, e ognuno torn sulla sua strada, l dove era giusto
che fossero.
La capretta crebbe, prendendo a testate ogni cosa si parasse sul suo cammino,
tanto da incutere timore negli altri abitanti del bosco, che non sapevano mai
cosa avrebbe combinato, o con chi se la sarebbe presa limpulsiva capretta.
Un giorno, mentre si abbeverava al ruscello, la capretta osserv la sua ombra
proiettata dal sole alla sua destra, e not due immense corna ramificate
spuntare dalla sua testa; anche il corpo sembrava pi grande, alto ed
imponente, e cap cos di essersi nuovamente trasformata in un enorme cervo.
Ora il cervo, non temeva pi i pericoli nascosti, e di conseguenza non ebbe pi
motivi per tormentare gli abitanti del bosco, che anzi, cominciarono ad
accettarlo e addirittura a riverirlo per la sua maestosit e saggezza.
Quando il grande cervo, una mattina rivide il gregge della madre al pascolo, vi
si avvicin, e disse alla pecora che fu sua madre: Vedi madre mia, io ero una
pecorella impaurita come lo siete voi, voi che temete labbaiare dei cani da
pastore, e che alla loro autorit vivete sottomesse, ed sarei potuto rimanerlo,
se solo fossi rientrata al gregge per vivere come una pecora, ma le meraviglie
che mi circondavano, allora come adesso, rapirono il mio desiderio, e fecero s
che io restassi con loro; ora io sono diventato una di quelle stesse meraviglie
che colpivano te, madre, quando dal gregge ti allontanavi per goderne, e in
esse sono perfettamente inserito, da esse ho imparato ci che voi non sapete,
e in esse vivo come essere libero nella libert della selvatichezza detto
questo, salut la madre con un gesto di riverenza, e torn nel bosco, dove
ancora vive con la propria famiglia
VOLONTA E DESIDERIO
Un discepolo and un giorno dal suo maestro, pieno dangoscia e
dapprensione, per porgli una perplessit:
Maestro disse Voi mi insegnaste che possedendo una volont forte e
determinata, avrei potuto relizzare qualsiasi cosa e raggiungere ogni
obbiettivo. Ora, la mia volont forte, tuttavia continuo a fallire nei miei
progetti, poich la mia forte volont non basta a contrastare gli ostacoli che mi
si parano innanzi quando tento di realizzarli. Ti prego sommo Maestro, dimmi,
dove sbaglio? Come posso riuscire ?
Innanzitutto rispose il maestro - smetti di confondere la volont con il
desiderio.
IL FIGLIO DI TAT
"Avvenne una domenica pomeriggio, in cui fui preda d'una insolita sonnolenza,
che sognando decisi d'abbandonare la visone onirica in cui mi trovavo, e mi
recai come gi era accaduto, a dialogare con colui che si f chiamare "il Figlio
di Tat"...
fummo in discorsi che alla ragione dei lucidi parrebbero privi di senso, e
attraverso le parole, finimmo a parlare del concetto di "magister", inteso come
guida e maestro delle persone e detentore della comprensione; dissi,
umanamente, che anche a me, come ad altri uomini che ricercano la
conoscenza, sarebbe piaciuto un giorno divenire tale figura; al ch, il Figlio di
Tat mi disse: "... non pu esserci "magister" che non sia Io , poich Io sono Il
Figlio di Tat!"
...mi resi subito conto della straordinaria saggezza delle sue parole, e dovetti
svegliarmi cos da mantenerne memoria..."