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Violenza Sulle Donne Migranti - Articoli Di Barbara Spinelli
Violenza Sulle Donne Migranti - Articoli Di Barbara Spinelli
Non importa se a chi governa fa comodo strumentalizzare queste giustificazioni per stringere la
morsa del controllo sociale e portare avanti politiche securitarie.
Che lo facciano per forza di numeri, ma non con la nostra connivenza, non in nostro nome.
Noi ci siamo per ribadire che la nostra vita e la nostra libert di scelta hanno un valore assoluto,
sempre.
E che non ci devono essere giustificazioni per nessuno: n per il padre geloso n per il padre
fondamentalista.
Sicurezza e violenza sulle donne
La repressione dellaltro non pu passare attraverso il corpo delle donne.
Pubblicato sullo speciale di Carta del 25/11/2007
Barbara Spinelli
Valentina Stamerra
Gli ultimi fatti di cronaca ce lo confermano: la ricerca di consenso passa anche attraverso il corpo
delle donne. La rappresentazione distorta offerta dalle principali testate giornalistiche, linteresse
morboso per il mostro straniero sbattuto in prima pagina, non si pu ridurre soltanto ad un problema
di stereotipi, che pure permea abbondantemente i media italiani, ma indubbiamente copre una pi
ampia operazione di consenso, che vorrebbe individuare nel diritto delle donne ad una vita libera
dalla violenza, come gi fu per quelle afgane ad una vita libera dal velo, le ragioni di una guerra
giusta contro i migranti, gli irregolari, i lavavetri, laltro: dunque, lennesimo problema connesso
alla sicurezza, alla legalit cofferatianamente intesa. Le donne non ci stanno: a pi riprese hanno
gridato il loro no deciso, per impedire lennesima strumentalizzazione del corpo delle donne come
luogo di conflitto, di tutela, di riscrittura di regole di sconfinamento ed esclusione. Far percepire
allopinione pubblica il problema della violenza sulle donne come un problema di insicurezza,
connesso al degrado ed alla illegalit, al rischio di stupro da parte di persone che non hanno nulla
da perdere, implica compiere una operazione doppiamente falsa: non solo si nega la realt dei dati,
che vuole la famiglia come il luogo pi insicuro per le donne per il numero di violenze agite dai
maschi intimi (padri, mariti, ex) in tale contesto, ma si coglie anche loccasione per spostare
lattenzione dalla necessit di un intervento strutturato, volto a consentire leffettiva ed immediata
tutela delle donne che vogliono uscire da situazioni di violenza, e ad incidere profondamente sul
tessuto sociale, culturale, ed istituzionale, per eradicare le prassi discriminatorie, per convenire
piuttosto ad una soluzione legislativa di stampo emergenzialistico e meramente repressivo, che
rimanda unimmagine maschile di una donna bisognosa di protezione e controllo.Il tentativo in atto
gravissimo a livello di principio, per questo prontamente contrastato dalle donne: sulla base di una
concezione distorta di legalit, patriarcale e paternalistica, si declassa la violenza degli uomini (tutti,
la violenza non ha passaporto) sulle donne ad un problema di ordine pubblico, che non riguarda i
nostri uomini ma sempre laltro, negandone la matrice culturale patriarcale sessista, dunque
negando la necessit di una profonda modifica nelle relazioni tra i generi.La negazione della
soggettivit e della autodeterminazione delle donne, viene usata come arma a doppio taglio per
negare non solo l accoglienza, ma anche la presenza stessa in Italia di clandestini e non, con il
duplice risultato di porre in essere politiche discriminatorie nei confronti dei migranti, ma anche
politiche di genere protezionistiche, ed in quanto tali riproduttive di quegli stereotipi che nei
secoli hanno voluto la donna oggetto di tutela / protezione / controllo e non soggetto
autodeterminato la cui dignit, senza se e senza ma, sempre e comunque, va rispettata, anche dalle
istituzioni.Questa deriva securitaria, o il suo politicamente incauto tentativo, avviene nonostante il
Comitato per lapplicazione della CEDAW gi dal 2005 sottolinei che alcuni gruppi di donne, tra
cui le ROM e le immigrate, si trovano costrette in una posizione vulnerabile ed emarginata,
specialmente per quanto riguarda listruzione, limpiego, la salute e la partecipazione alla vita
pubblica e ai processi decisionali, e richiede che vengano poste in essere misure concrete per
leliminazione della discriminazione contro quei gruppi di donne maggiormente vulnerabili, tra cui
le ROM e le immigrate per promuovere il rispetto nei riguardi dei loro diritti umani con tutti i
mezzi disponibili, comprese misure speciali temporanee. Eppure il pacchetto sicurezza in
discussione, alcune delle sue parti stanno passando, assoggettando basilari garanzie di dignit
previste dal nostro ordinamento a logiche securitarie o legalitarie, in una interpretazione
inaccettabilmente restrittiva e deviante dei principi costituzionali, che nega un principio
fondamentale del nostro ordinamento, quello espresso negli articoli 2 e 3 della Costituzione, il
principio solidaristico, che la nostra Carta rivolge rivolto a vantaggio di tutti, cittadini e non,
nellottica egualitaria ed inclusiva che Essa promuove. Crediamo che in un Paese dove la situazione
tale non si pu e non si deve in alcun modo negare solidariet, appartenenza, presenza, a nessuno,
perch significa discriminare, incitare allodio razziale, fomentare conflitti civili, tanto pi se ci
fatto in nome di una concezione astratta e fortemente discutibile di legalit e amor patrio.
dinchiesta sulle condizioni di vita delle donne immigrate presenti in Italia, parte da presupposti non
condivisibili, pericolosamente forieri di odio sociale, perch riproducono uno stereotipo che si fatica
ad abbattere anche ripetendo quotidianamente quello che le statistiche attestano e confermano: la
maggior parte delle violenze sulle donne non agita per strada da parte di immigrati clandestini, ma
in casa, per mano di coniugi, amici, familiari, parenti.
Non si pu ridurre il problema della violenza sulle donne solo a un problema di stupri su strada, e
quindi di sicurezza, e tantomeno, sempre sulla base di questa distorta concezione di legalit,
patriarcale e paternalistica, si pu negare non solo l accoglienza, ma anche la presenza stessa in
Italia di clandestini ( perch se limmigrazione clandestina fa maleinvece LItalia a chi la
ama..).
Questo significherebbe non solo porre in essere politiche discriminatorie nei confronti dei migranti,
ma anche promuovere politiche di genere protezionistiche, ed in quanto tali riproduttive di quegli
stereotipi che nei secoli hanno voluto la donna oggetto di tutela / protezione / controllo e non
soggetto autodeterminato la cui dignit, senza se e senza ma, sempre e comunque, va rispettata. In
un Paese come il nostro, dove il Comitato per lapplicazione della CEDAW sottolinea che alcuni
gruppi di donne, tra cui le ROM e le immigrate, si trovano costrette in una posizione vulnerabile ed
emarginata, specialmente per quanto riguarda listruzione, limpiego, la salute e la partecipazione
alla vita pubblica e ai processi decisionali, e richiede che vengano poste in essere misure concrete
per leliminazione della discriminazione contro quei gruppi di donne maggiormente vulnerabili, tra
cui le ROM e le immigrate per promuovere il rispetto nei riguardi dei loro diritti umani con tutti i
mezzi disponibili, comprese misure speciali temporanee, ebbene in un Paese dove la situazione
tale non si pu e non si deve in alcun modo i negare solidariet, appartenenza, presenza, a nessuno,
perch significa discriminare, incitare allodio razziale, fomentare conflitti civili, tanto pi se ci
fatto in nome di una concezione astratta e fortemente discutibile di legalit e amor patrio. Mi pare
infatti che in queste poche righe ci si arroghi con troppa facilit la facolt di disegnare confini di
giudizio e di accoglienza troppo stretti, troppo discriminanti, in uninterpretazione
inaccettabilmente restrittiva e deviante dei principi costituzionali: si nega infatti un principio
fondamentale del nostro ordinamento, quello espresso negli articoli 2 e 3 della Costituzione, il
principio solidaristico, che la nostra Carta rivolge rivolto a vantaggio di tutti, cittadini e non,
nellottica egualitaria ed inclusiva che Essa promuove.
E impensabile tentare di assoggettare una delle basilari garanzie di dignit previste dal nostro
ordinamento a logiche securitarie o legalitarie: piuttosto un dovere inderogabile di solidariet
politica, economica e sociale, richiesto a tutti, e rivolto a vantaggio di tutti, cittadini e non. Sono
manifesti gli stereotipi alla base delle proposte politiche che si celano dietro queste poche righe,
ed a me pare anche manifesta la pericolosit di veicolare al pubblico messaggi di questo tipo, non
solo perch profondamente in contrasto con i principi che ispirano la nostra Costituzione, ma anche
perch profondamente offensivi della dignit di tutte le donne, gli uomini, gay, lesbiche, bisessuali,
transessuali, migranti, apolidi, cittadini, persone, che rivendicano, in quanto esseri umani, il rispetto
della propria dignit, che rivendicano pari dignit sociale aldil delle loro condizioni personali e
sociali. Ecco perch, rinnegando lidea di una cittadinanza a strati, mi chiedo se non sia il caso
che i promotori di questa campagna oltre a ritirare questa campagna discriminatoria, ripensino al
loro approccio alle questioni di genere e dei rapporti con i migranti. Condividendo quanto affermato
da Heidi Giuliani, ritengo non porti a nulla di costruttivo un uso distorto del femminismo, in
chiave etnocentrica e coloniale; una assurda etnicizzazione del crimine; un universalismo dei
diritti umani usato in chiave razzista; una spinta a processi identitari contrari alle possibilit di un
dialogo transculturale che permetta a ciascuno/a, migrante e nativa/o, di costruire nelle relazioni una
propria individualit nuova e in movimento. Sarebbe piuttosto il tempo di abbandonare stereotipi
razzisti e nazionalisti e capire invece come affrontare le sfide del multiculturalismo: anche io