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N 97 Gennaio 2016
Le Nostre Sentenze 10
Cassazione 12
Diritto Civile,
Commerciale,
Assicurativo
Le Nostre Sentenze 13
Assicurazioni, Locazioni,
Responsabilit 14
Il Punto su 16
R. Stampa 18
Contatti 19
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Comitato di Redazione: Francesco Autelitano, Stefano Beretta, Antonio Cazzella, Teresa Cofano, Luca
DArco, Diego Meucci, Jacopo Moretti, Damiana Lesce, Luca Peron, Claudio Ponari, Vittorio Provera,
Tommaso Targa, Marina Tona, Stefano Trifir e Giovanna Vaglio Bianco
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opportuno, quindi, che il documento sia firmato dal dipendente per ricevuta e/o che comunque sia
dimostrabile la sua materiale consegna.
Quanto al contenuto, il lavoratore deve essere informato:
sui limiti di utilizzo della strumentazione. Ad esempio: regole di utilizzo del telefono aziendale; regole di
accesso ad internet attraverso il personal computer aziendale;
leventuale presenza, negli strumenti di cui sopra, di sistemi di controllo/rilevazione e/o di blocco dellutilizzo.
Inoltre, tenuto anche conto del fatto che il Garante della privacy, in relazione al D.Lgs. n. 196/2003, ha
dichiarato che, ad esempio, le indagini relative alluso di internet sono subordinate alla emanazione di un
codice di condotta con il quale si portino a conoscenza del lavoratore le regole di comportamento secondo
modalit riconducibili a quelle di cui allart. 7 dello Statuto dei lavoratori, opportuno che il lavoratore sia
altres informato:
delle conseguenze, sotto il profilo disciplinare, di comportamenti contrari alle regole di utilizzo degli
strumenti;
della rilevanza delle informazioni raccolte ai fini della valutazione della prestazione resa dal lavoratore.
In aggiunta a quanto sopra, resta confermato lobbligo di procedere alla diversa ed ulteriore informativa
sulla privacy ex art. 13 del D.Lgs. n. 196/2003, finalizzata ad informare il dipendente in merito al
trattamento dei suoi dati, ivi compresi - oggi - quelli di cui il datore di lavoro viene a conoscenza
attraverso lutilizzo degli strumenti di lavoro.
Il trattamento dovr tutelare i diritti di riservatezza del dipendente, nel rispetto dei principi generali del
Codice della Privacy tra cui quelli di liceit, necessit, correttezza, pertinenza e non eccedenza.
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Questi i fatti. Un ingegnere romeno, con mansioni di venditore, incaricato dalla societ datrice di lavoro di
creare un account Yahoo Messanger per rispondere alle richieste dei clienti, allesito di controlli aziendali era
risultato aver utilizzato, in orario lavorativo, laccount a lui assegnato per fini personali. Per questo motivo era
stato licenziato.
Il lavoratore aveva impugnato il licenziamento, sostenendone lillegittimit sia per la natura occulta del controllo
effettuato dal datore sia per lavvenuta violazione della privacy. Il licenziamento era stato per confermato dalle
sentenze di due gradi di giudizio. Il lavoratore aveva, quindi, presentato ricorso alla Corte Europea dei Diritti
dellUomo, lamentando che lo Stato romeno (cio la magistratura) non aveva tutelato il suo diritto al rispetto
della privacy e della corrispondenza, sancito dallart. 8 della Convenzione, ovvero non aveva sanzionato il fatto
che il datore di lavoro aveva illecitamente controllato il suo indirizzo di posta aziendale, senza alcuna
preventiva informazione circa la possibilit di tale monitoraggio.
La Corte Europea, con unarticolata motivazione e con una decisione non unanime (uno dei Giudici si ,
infatti, discostato), ha respinto il ricorso.
In particolare, la Corte ha ravvisato che i Giudici romeni avevano equamente contemperato il diritto alla
privacy del lavoratore con linteresse del datore di lavoro di accertare illeciti disciplinari. Il datore, infatti, i) aveva
effettuato laccesso allaccount del dipendente con la ragionevole aspettativa che lo stesso avesse meri
contenuti professionali; ii) aveva utilizzato le comunicazioni del dipendente con discrezione, al solo fine di
accertare lillecito disciplinare, senza divulgarne il contenuto.
Un profilo interessante della decisione dato dal fatto che la stessa ha ritenuto irrilevante la prova specifica
dellinformativa della possibilit di controllo dellaccount del dipendente (il Governo romeno si era, infatti,
limitato a produrre in giudizio una circolare indicante il generico divieto di utilizzo, a fini personali, degli
strumenti aziendali, senza, tuttavia, dimostrare che la stessa fosse stata effettivamente consegnata al
lavoratore).
In definitiva, secondo la Corte Europea non vi violazione del diritto alla segretezza della corrispondenza del
lavoratore se i controlli del datore riguardano comunicazioni che hanno - nellaspettativa delle parti - un
contenuto professionale. Ci anche se il monitoraggio avvenga in modo occulto.
Da tale decisione - che deve essere circoscritta allambito di quel giudizio - non sembra potersi ricavare il
diritto indiscriminato del datore di lavoro di controllare loperato dei lavoratori attraverso strumenti informatici
(come parrebbe ricavarsi da certa eco mediatica che ha accompagnato la pubblicazione della pronuncia).
Con riferimento al nostro ordinamento, poi noto che i controlli a distanza che il datore di lavoro pu
compiere sullattivit del lavoratore, mediante mezzi audiovisivi o altri strumenti, sono assoggettati alla
disciplina ed ai limiti dettati dallart. 4 dello Statuto Lavoratori.
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, quindi, necessario - perch si possa procedere a tali controlli - che gli stessi siano giustificati da esigenze
organizzative e produttive e che avvengano previo accordo sindacale o autorizzazione della DTL. Sono
sottratti a tali limiti solo i c.d. controlli difensivi, finalizzati ad accertare un illecito del dipendente idoneo a
ledere il patrimonio aziendale (sulle e-mail aziendali si richiamano Cass. 23 febbraio 2012, n. 2722; Cass. 23
febbraio 2010, n. 4375).
Ricordiamo che il Garante della Privacy, in una fattispecie analoga al caso giudicato dalla Corte Europea dei
Diritti dellUomo (licenziamento di un dipendente per utilizzo extralavorativo del PC aziendale in sua dotazione)
ha dichiarato illegittimo il controllo operato dal datore di lavoro sul PC del dipendente (avvenuto tramite back
up dello stesso), perch svolto in assenza di una previa informativa al lavoratore inerente la possibilit che i
suoi dati personali - contenuti nel PC - potessero essere acquisiti e trattati per finalit di controllo (cfr.
provvedimento del Garante della Privacy 18 ottobre 2012).
Soggiungiamo che lart. 4 Stat. Lav. - nella nuova formulazione introdotta dal D. Lgs. n. 151/2015 - bench
escluda il previo accordo con il sindacato per gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione
lavorativa (quali sono PC, smartphone, tablet ecc), prevede, tuttavia, espressamente lobbligo per il datore di
informare i lavoratori circa le modalit d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli nel rispetto del
Codice della Privacy.
Dunque, opportuno che i datori di lavoro che intendano evitare lindebito utilizzo di strumenti aziendali da
parte dei dipendenti continuino ad informare i dipendenti sia del divieto di utilizzo personale degli strumenti
aziendali, sia del fatto che, attraverso tali strumenti, lesecuzione della prestazione lavorativa pu essere
controllata a distanza.
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LE NOSTRE SENTENZE
LA SENTENZA DEL MESE
AI FINI DELLA COSTITUZIONE DI RSA, NON SUFFICIENTE AVER NEGOZIATO O
SOTTOSCRITTO CONTRATTI GESTIONALI
(Tribunale di Firenze, decreto 7 dicembre 2015)
La segreteria provinciale di una Organizzazione Sindacale non firmataria del contratto collettivo nazionale
applicato in azienda, adiva il Tribunale di Firenze con ricorso ex art. 28 Stat. Lav. chiedendo accertarsi la
antisindacalit del comportamento datoriale, asseritamente consistente nel mancato riconoscimento del
diritto a costituire RSA. Tale diritto era rivendicato dalla organizzazione sindacale sul presupposto che
fosse, a tal fine, sufficiente aver sottoscritto un contratto aziendale avente ad oggetto ladozione di
contratto di solidariet, concordata a seguito dellavvio di procedura di licenziamento collettivo.
Nel risolvere la questione controversa, il Tribunale di Firenze ha aderito alle argomentazioni prospettate
dallazienda, richiamando, tra le altre, la sentenza Cass. Sez. lav. n. 21430/2015. Come ha osservato il
Tribunale di Firenze, prima di tale recente pronuncia, nella giurisprudenza della Suprema Corte si erano
affermati due opposti orientamenti: luno, secondo cui ai fini dellintegrazione del requisito di cui allart
19 doveva considerarsi anche il contratto di tipo gestionale, in quanto disciplinante comunque un
momento importante del rapporto di lavoro (Cass. Sez. lav. n. 520/2008; Cass. n. 19271/2004); laltro,
che invece ammetteva solo i contratti a qualunque livello (nazionale, provinciale, aziendale) che tuttavia
fossero di natura normativa, rientranti nella previsione dellart 39 Cost. (Cass. Sez. lav. 19275/2008; n.
8585/2007; 26239/2005). Successivamente intervenuta la sentenza Corte Cost. n. 231/2013,
pronuncia di tipo additivo, con la quale la Corte Costituzionale ha dato valore, ai fini della costituzione di
RSA, anche alla negoziazione (senza successiva sottoscrizione) di contratti collettivi applicati in
azienda, valorizzando il dato della capacit del sindacato di esercitare la titolarit degli interessi collettivi
dei lavoratori, al di l di episodi che possono interessare in via contingente lazienda. E tuttavia, come
afferma anche il decreto in commento, la trattativa (per essere sufficiente ai fini di consentire la
costituzione di una rappresentanza sindacale aziendale) non pu riguardare i c.d. contratti gestionali,
considerato altres che, in tali casi, sovente la partecipazione alla loro negoziazione o alla loro
conclusione costituisce adempimento di un obbligo di legge (ad es. alla consultazione) e dunque non
esprime un indice di effettiva rappresentativit.
Per tali motivi, il ricorso ex art. 28 Stat. Lav. promosso dallOrganizzazione Sindacale stato rigettato,
con condanna alla rifusione delle spese di lite in favore dellazienda.
Causa seguita da Giacinto Favalli e Valeria De Lucia
ALTRE SENTENZE
IL DISTURBO DA GIOCO DAZZARDO NON GIUSTIFICA IL FURTO: LEGITTIMO IL
LICENZIAMENTO
(Tribunale di Cremona, ordinanza 30 dicembre 2015)
Un dipendente, impiegato presso la filiale di una banca, si appropriato in modo occulto di denaro.
Ricevuta la contestazione disciplinare, ha confessato laddebito, ma si giustificato invocando la
scriminante dellincapacit di intendere e di volere, essendo affetto da disturbo da gioco dazzardo,
certificato da perizia medica. La banca lo ha, comunque, licenziato per giusta causa.
Il Tribunale di Cremona, con lordinanza in commento, ha ritenuto legittimo il licenziamento.
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Il preteso impulso patologico a commettere lillecito (che, peraltro, nel caso specifico, ha anche rilevanza
penale) non giustifica il comportamento del dipendente perch questultimo ha iniziato un percorso
terapeutico solo dopo aver ricevuto la contestazione disciplinare prodromica al licenziamento. Inoltre, nel
caso di specie, le modalit con cui il lavoratore si appropriato del denaro (utilizzando partite contabili
fasulle per cercare di nascondere lammanco di cassa) dimostrano che il medesimo non stato vittima
di un raptus, bens ha accuratamente programmato tutte le fasi delloperazione. Dunque, il medesimo
era pienamente consapevole della gravit e delle conseguenze delle proprie azioni.
Lordinanza ha altres considerato che, alcuni mesi prima del licenziamento, il lavoratore aveva gi
ricevuto una sospensione disciplinare per aver creato un ammanco di cassa che il medesimo, in seguito
alla contestazione, aveva ripianato spontaneamente. Tale circostanza conferma la sussistenza della
giusta causa: a) sotto il profilo della recidiva; b) perch il lavoratore, dopo aver beneficiato della clemenza
della Banca, avrebbe dovuto iniziare subito un percorso di riabilitazione e non aspettare, invece, di
ricevere la seconda contestazione disciplinare per fatti ancor pi gravi di quelli in relazione ai quali era
stato sospeso.
Causa seguita da Tommaso Targa
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Con sentenza n. 24941 del 10 dicembre 2015 la Corte di Cassazione ha affermato che pu essere
licenziato per giusta causa il manager che si rivela inadeguato rispetto alle legittime aspettative
dellazienda; infatti, la peculiarit delle mansioni svolte rendono il legame con il datore talmente
stretto che il rapporto fiduciario risulta leso anche dalla mera inidoneit in confronto ad aspettative
della societ riconoscibili ex ante e, dunque, anche in caso di gap di professionalit riscontrato.
Tale principio vale non solo per il dirigente apicale, ma anche per quello minore, al quale pu essere
contestata una condotta negligente o colpevole in senso lato. Nel caso di specie, il dirigente
dipendente di un ente previdenziale privato e responsabile della contabilit aveva omesso di
inserire nella bozza di bilancio annuale un pignoramento presso terzi subito dalla cassa (in
particolare, il professionista incaricato di tacitare il creditore non aveva consegnato la somma,
rendendo necessario un doppio esborso da parte dellente).
INFORTUNIO SUL LAVORO: ONERI PROBATORI
Con sentenza n. 25395 del 17 dicembre 2015 la Corte di Cassazione ha stabilito che non si pu
attribuire tout court la responsabilit di un infortunio al datore di lavoro senza prima aver verificato se
questi abbia violato uno specifico obbligo di sicurezza ovvero non abbia apprestato tutele idonee alla
prevenzione di ragioni di danno per i dipendenti. Nel caso di specie stata esclusa la responsabilit
dellazienda per linfortunio subito da un lavoratore mentre transitava nel sottopasso che collegava la
mensa aziendale agli uffici: il sottopasso era attraversato da un corridoio rivestito da materiale
antisdrucciolo e da tappeti mobili che, tuttavia, erano fuori uso, con manutenzione affidata ad una
ditta esterna. Il lavoratore ha deciso di passare sul tappeto mobile in riparazione, che presentava
macchie di acqua e grasso, anzich sul corridoio. Il datore di lavoro ha invece dimostrato di aver
segnalato il guasto alla ditta che lo manuteneva e che stava lavorando per ripristinare il suo
funzionamento.
ACCORDO PER SMALTIMENTO DELLE FERIE: IL DATORE PAGA LINDENNIT SOSTITUTIVA
ANCHE SE IL LAVORATORE NON SI ATTIVA
Con sentenza n. 276 del 12 gennaio 2016 la Corte di Cassazione ha stabilito che se il datore di
lavoro non colloca in ferie il lavoratore, che pur non presenta la domanda di fruizione, tenuto al
pagamento dellindennit sostitutiva; infatti, anche in assenza di una specifica richiesta la parte
datoriale che deve provvedere, altrimenti risulta inadempiente anche in caso di accordo per lo
smaltimento delle ferie non godute. Ci in quanto il diritto alle ferie garantito dallart. 36 della
Costituzione oltre che dallart. 7 della Direttiva 2003/88/CE; pertanto, ove in concreto le ferie non
siano effettivamente fruite, anche senza responsabilit del datore di lavoro, spetta al lavoratore
lindennit sostitutiva che ha, per un verso, carattere risarcitorio, in quanto idonea a compensare il
danno per la perdita di un bene (il riposo per recuperare le energie psico-fisiche) e, per altro verso,
carattere di erogazione retributiva, perch rappresenta il corrispettivo dellattivit lavorativa resa in un
periodo che non doveva essere lavorato.
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Civile, Commerciale,
Assicurativo
NESSUNA RESPONSABILIT DELLASSICURATORE NEI CONFRONTI DELLASSICURATO OVE
NON SIA PROVATO IL REGOLARE PERFEZIONAMENTO DELLA POLIZZA
(Tribunale di Bergamo, 15 dicembre 2015)
Lassicurato non pu opporre alla compagnia assicuratrice una polizza emessa e sottoscritta solo
dallagente, se non dimostra il regolare pagamento del premio. In assenza di tale prova, lassicuratore
non risponde dei danni subiti dallassicurato ed irrilevante se lagente appariva legittimato ad emettere
le polizze disconosciute.
Cos ha statuito il Tribunale di Bergamo, con la sentenza in epigrafe, allesito di un giudizio promosso
dallassicurato nei confronti della propria compagnia assicuratrice.
In particolare, lattore aveva convenuto in giudizio lassicuratore lamentando lillecita appropriazione - da
parte dellagente - dei premi versati per la stipulazione di polizze che non risultavano ritualmente emesse,
chiedendo, in via principale, il riconoscimento della validit delle stesse e, in subordine, il risarcimento del
premio asseritamente versato.
La compagnia si difesa eccependo la falsit delle polizze e che lattore non aveva provato il pagamento
dei premi, limitandosi a produrre una serie di quietanze non sottoscritte in modo autografo
dallassicuratore, ma riportanti solamente una sigla indecifrabile asseritamente riconducibile allagente.
In subordine, la compagnia sosteneva che lagente aveva agito in violazione al mandato agenziale (reso
pubblico) emettendo direttamente delle polizze vita pur non avendone il potere; la condotta dellagente
non poteva, quindi, vincolare la compagnia.
Il Tribunale, in accoglimento alle tesi difensive della compagnia, affermava il principio in epigrafe,
precisando che la quietanza di pagamento (peraltro non sottoscritta dalla compagnia ma dallagente) non
pu certo costituire, da sola, valida prova del pagamento del premio. In particolare, il Tribunale richiamava
un risalente orientamento della Cassazione (Cass. n. 555/1973) per cui la quietanza di pagamento
redatta dallagente su un foglio prestampato non pu produrre effetto confessorio in capo al
committente.
Il Tribunale aggiungeva che lattore non aveva dedotto alcuna circostanza utile per chiarire le modalit ed i
termini di versamento dei premi oggetto di contestazione.
Accertata, per quanto sopra detto, la carenza di prova del pagamento dei premi, il Giudice ha poi ritenuto
- in virt del principio della c.d. ragione pi liquida - di non esaminare le ulteriori numerose questioni
sollevate dallattore (inerenti, ad esempio, alla responsabilit dellassicuratore che aveva colpevolmente
contribuito ad ingenerare nellassicurato lerronea convinzione che lagente agiva nellambito dei poteri
allo stesso conferiti).
Causa seguita da Bonaventura Minutolo e Francesco Torniamenti
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ASSICURAZIONI, LOCAZIONI,
RESPONSABILIT
A cura di Bonaventura Minutolo e Teresa Cofano
ASSICURATO
SOTTOPOSTO A
PROCEDURA
CONCORSUALE
CONCORRENZA SLEALE
RESPONSABILIT EX
ART.
2051 C.C.
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La corte territoriale inoltre aveva evidenziato che il particolare luogo in cui era
avvenuto l'infortunio fosse un luogo che richiedeva da parte dei fruitori una
particolare attenzione ad esso adeguata).
(Cassazione civile, sez. VI, 07/01/2016, n. 56)
LIQUIDAZIONE DEL
DANNO BIOLOGICO
LOCAZIONE
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IL PUNTO SU
A cura di Vittorio Provera
LO STRUMENTO DELLA CESSIONE DI AZIENDA E L ABUSO DI DIRITTO
Nel contesto di condotte poste in essere, talvolta, da talune aziende per sottrarsi alladempimento di
proprie obbligazioni (condotte pi frequenti in periodi di recessione e crisi), assume un certo rilievo il caso
sottoposto allattenzione del Tribunale di Reggio Emilia e deciso con sentenza del 16 giugno 2015,
ricorrendo allapplicazione del principio di divieto di esercizio del diritto in modo abusivo.
La vicenda prende spunto da un precedente giudizio, avviato da un professionista contro una Societ
(che identificheremo quale Alfa S.r.l.), per il pagamento dei compensi professionali.
Ottenuto un provvedimento esecutivo, il Professionista notificava il precetto alla societ Alfa S.n.c.
poich, nel frattempo, la S.r.l. aveva ceduto la propria azienda (comprensiva di ogni cespite di attivit)
alla predetta Alfa S.n.c., alluopo costituita. Quindi la vecchia Alfa S.r.l. era stata posta in liquidazione e
la S.n.c. ha proseguito nella medesima attivit commerciale precedentemente esercitata dalla prima.
A fronte di tali iniziative la Alfa S.n.c. faceva opposizione avverso il precetto notificato dal Professionista,
sostenendo che il titolo esecutivo era stato ottenuto nei confronti di un diverso soggetto giuridico (Alfa
S.r.l.); e che la opponente prima della formazione del titolo esecutivo aveva acquistato lazienda dalla
S.r.l., ma - trattandosi di cessione dazienda e non gi di successione nel diritto controverso - detto titolo
esecutivo non poteva essere opposto al cessionario. Quale ulteriore elemento di difesa, si asseriva
limpossibilit di estendere una responsabilit in capo al cessionario (come prevista dallart. 2560
comma secondo cod. civ.), posto che il debito della S.r.l. verso il Professionista non risultava dai libri
contabili (essendo sostanzialmente sorto dopo la cessione). Il creditore argomentava, a sua volta, la
illegittima condotta della nuova societ poich, dalla documentazione agli atti, emergeva - tra gli altri una sostanziale operazione di raggiro con abuso di diritto.
Il Tribunale esaminava gli atti e documenti di causa e accertava una serie di circostanze ritenute rilevanti
per la decisione della causa, fra cui: (i) il fatto che la compagine sociale della S.r.l. e della S.n.c. fosse
sostanzialmente quasi identica; (ii) la prosecuzione ad opera di Alfa S.n.c. della stessa attivit acquisita
dalla S.r.l. (nel frattempo posta in liquidazione); il tutto realizzato nelle more del procedimento attivato per
il riconoscimento del credito professionista verso la S.r.l.; (iii) lo svuotamento di questultima azienda di
ogni bene, cos da rendere la stessa non in grado di far fronte alle obbligazioni debitorie a suo carico.
Il complesso delle operazioni sopra indicate, cos come il loro svolgimento temporale, stato quindi
ricondotto nellambito dellabuso del diritto in violazione dei principi di buona fede, poich la cessione
dellazienda sarebbe stata effettuata per un fine diverso da quello tutelato alla norma e, quindi, con
violazione della causa concreta che doveva essere posta a base del predetto contratto di cessione.
In tale valutazione stata altres ritenuta priva di giustificazione la difesa dellAlfa S.n.c., secondo la quale
loperazione sarebbe stata realizzata per ottenere una riduzione dei costi amministrativi, fiscali ed un
miglioramento della gestione. In proposito, infatti, il Tribunale ha accertato che il medesimo risultato
poteva essere conseguito attraverso una mera trasformazione societaria, ai sensi dellarticolo 2500
sexies cod. civ. e che, peraltro, laver mantenuto in essere due societ sostanzialmente coincidenti
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(anche se per il solo periodo necessario alla liquidazione), aveva determinato in realt un incremento di
costi fiscali e amministrativi del tutto inutili ed, anzi, in contraddizione con la asserita volont di riduzione
degli oneri.
Pur con le dovute cautele, derivanti dal fatto che nellordinamento italiano non vi apposita generale
previsione normativa di divieto di abuso di diritto, si deve rilevare che la conclusione cui pervenuto il
Tribunale nel caso in esame condivisibile. Stante linesistenza di una norma in materia, si posto il
problema se possa delinearsi comunque una categoria generale che fondi un principio di divieto di
esercizio di diritto in modo abusivo, allorch un soggetto lo utilizzi per uno scopo fraudolento e difforme
dai limiti e finalit cui il medesimo preordinato dalla Legge. Ed proprio quanto realizzato nella
sentenza in esame, poich i Giudici hanno affermato che - pur invocando il ricorso ad un determinato
istituto (quale la cessione), regolarmente previsto e disciplinato - lesercizio del relativo diritto non pu
essere considerato illimitato, ma pu integrare un comportamento abusivo, in presenza di una
alterazione della funzione obiettiva del negozio giuridico scelto.
Questo accade principalmente - come riconosciuto anche dalla giurisprudenza di legittimit (in proposito
si vedano fra le tante Cassazione 21 giugno 2011 n. 13583 e Cassazione 16 giugno 2008 n. 16207) allorch viene posto in essere un comportamento contrario alla buona fede, ovvero lesivo della buona
fede altrui; ed in questo caso le relative condotte non possono essere oggetto di tutela. E ancora, il
Tribunale ha rilevato che il principio di buona fede deve ritenersi come principio super normativo, con lo
scopo di impedire rapporti tra soggetti privati caratterizzati da irragionevolezza; questultima presente
allorch il soggetto ha palesemente agito con lintento di arrecare pregiudizio allaltra parte. In tal caso,
deve essere garantito il rispetto del predetto principio fondamentale di buona fede nellambito della
disciplina legale delle obbligazioni (che costituisce una sorta di norma di chiusura), garantendo
losservanza dei doveri di correttezza e lealt, con possibilit di colmare eventuali omissioni presenti
nellordinamento.
Dunque, la decisione del Tribunale di sanzionare, nella fattispecie, loperazione di cessione dazienda
posta in essere esclusivamente per ottenere linopponibilit del titolo esecutivo giudiziale alla nuova
societ (e quindi per un fine diverso da quello tutelato dalla norma, violando la causa concreta del
negozio) appare giuridicamente corretta. Corre lobbligo di segnalare che - tuttavia - ci non deve
costituire il pretesto e/o lo strumento per legittimare una ingerenza di verifica delle scelte imprenditoriali in
materia economica che, in quanto tali, non possono essere oggetto di sindacato giurisdizionale.
Al contrario, ci che deve essere impedito - richiedendo il rispetto dei canoni generali di buona fede,
lealt e correttezza - che lesercizio di un diritto soggettivo possa sconfinare nellarbitrio.
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