Sei sulla pagina 1di 14
PREFAZIONE Questo libro di Franco Lo Piparo dimostra che le riflessioni sul linguaggio e gli studi linguistici non solo hanno accompagnato Gramsci nella formazione del suo pensiero di teorico della politica, della societa, della cultura, ma hanno avuto una parte decisiva in tale pensiero. Senza la meditazione sulla natura e il funziona- mento del linguaggio non si sarebbe costituito lintero edificio teorico gramsciano e la nozione stessa, centrale, di ‘ egemonia’ non avrebbe avuto la sua fisionomia e, forse, nemmeno si sarebbe formata. Dialtra parte, lo scavo teorico entro la realtd del lin- guaggio porta Gramsci, cost come Lo Piparo ce lo presenta, a conquistarsi ¢ conquistarci idee di permanente validita sul mondo della parola. Tutto cid & e non é noto. E noto, ed & stato ripetuto pit volte anche da chi scrive ora queste righe, che Gramsci annetteva una grande importanza sia alla riflessione sulle questioni linguistiche, per intendere evoluzione e struttura complessiva della societa ita- liana, sia all’attenzione verso il linguaggio, per rinnovare il sistema educativo. Ma Gramsci stesso, come Lo Piparo ricorda e come ha osser- vato di recente Valentino Gerratana, nella lettera dal carcere del 19 marzo 1927, esponendo a Tatiana Schucht i suoi progetti di studio, accompagna con espressioni di autoironico imbarazzo la manifestazione dei suoi interessi per il linguaggio (« .,. che cosa potrebbe essere pitt “ disinteressato” e fiir ewig di cid? »), Egli pare rendersi conto che poteva sembrare strana questa attenzione per il mondo della parola in un militante politico, Questa percezione di Gramsci aveva ragioni che durano an- cora. Il libto di Lo Piparo su Gramsci, in quanto mette in luce la parte decisiva che la riflessione sul linguaggio ha giocato nel formarsi della complessiva teoria gramsciana, chiama anche in v causa i motivi per cui cid non @ ancora chiaro in una cultura come la nostra, in cui pure, bene o male, gli scritti di Gramsci hanno avuto una notevole circolazione. Certo, su quest’aspetto del pensiero gramsciano vi sono gia state ricerche particolari, come quelle condotte da Sozzi, Rosiello, Amodio, Carrannante ed altri '. Ma, ad onta dei loro meriti, esse non sono riuscite a spostare il sentimento comune, che ignora o sottovaluta la portata delle idee linguistiche di Gramsci”. Il fatto & che la comune cultura italiana @ stata ed & tuttora colpita da sordita, da una sorta di afasia percettiva e intellettiva quando si tratta di riconoscere la parte che il linguaggio ha nella realtd storica e sociale e nelle costruzioni teoriche e filosofiche. Ora & poco, a dire il vero, si @ sottolineata, e con la maggiore autorita possibile, la « massiccia presenza [...] di opere di lingui- 1 Lo studio di L. Amodio, L’interpretazione gramsciana del linguaggio, «Il Corpo», I, 2 (sett. 1965), pp. 838, interessante per i rapporti che suggeriva fra teorie gramsciane del linguaggio pragmatisti, & stato ripreso ¢ convalidato nella tesi di laurea di Emilia Passaponti, Temi linguistici nel pensiero di A. G., Facoltd di Lettere, Univ. Roma, ‘a. a. 1976-77, di cui alcuni spunti sono gid utilizzati nell’Appendice di testi gramsciani in T. De Mauro, Linguaggio e vita sociale, «Lezioni tenute presso VIst, To- sliatti », Frattocchie 1978, pp. 17-44, ein Gramsci ¢ le questioni lingui- stiche, in S. Gensini, M. Vedovelli,, Lingua, linguaggi, societa, Manzuoli editore, Firenze 1978, pp. 106-15, Segnalo qui un’altra utile tesi romana, Tina Leto, Questioni e termini linguistici nei «Quaderni del Carcere » di A. G,, Facolta dj Lettere, Univ. Roma, a, a. 1976-77. 2’Di questa comune ‘opinione, che si manifesta soprattutto attraverso il silenzio, troviamo qualche traccia esplicita soltanto (0 perfino) in alcuni pity fini ¢ accorti studiosi di linguistica, come A. Stussi, Storia della lin- guistica italiana, in AANV., Dieci anni di linguistica italiana (1965-1975), «Pubblicazioni 'della SLI», Bulzoni, Roma 1977, pp. 5-14, a pp. 9-10, in cui, apprezzando le ricerche di Rosiello e Carrannante, si suggerisce ‘che «la rilevanza storico-culturale di [...] Gramsci & a ben altro affidata »; © come L. Renzi, Introduzione a L, Renzi, Mi, Cortelazzo, La lingua ita- liana oggi: un problema scolastico e sociale, Tl Mulino, Bologna 1977, pp. 9-29, a pp. 1821, in cui qualche indizio tradisce un rapporto un po affrettato con i testi di Gramsci, comungue meritevole dattenzione nel generale silenzio, anche se i rapidi cenni alla « grandiositA » delle prospet- tive di Gramsci servono a coprire ¢ giustificare il fatto che «la nostra antologia non si apre con Gramsci >. Che, se & ancora lecito dire il vero ridendo, @ un po’ il critetio con cui si mettono fuori gioco, nei concorsi, i candidati troppo bavi (« grande italianista, ha dato il meglio di sé negli studi francesistici, ¢ pertanto si auspica» dice la commissione di italiano; ¢ quella di francese: « profondo francesista, tuttavia la grandiosita dei suoi contributi rifulge soprattutto ecc., © pertanto ecc. >), O il pid pratico cri- terio con cui il grande Antoine Meillet sconsigliava a un giovane di fare il linguista e, a chi gli chiedeva conto delPallontanamento, diceva: « troppo intelligente. Si troverebbe a disagio tra i miei colleghi ». vi i ' stica » nel recente’ catalogo di questa casa editrice *, Lo stesso pud dirsi per cataloghi di altri editori italiani*. Ma quando dai cataloghi si passa a considerare la effettiva circolazione degli studi linguistici fuori dell’ambito dei linguisti, nella generalita della nostra cultura, e la capacita degli specialisti d’altri settori di servirsi dei risultati delle scienze del linguaggio, ancora oggi ci si offre un quadro non confortante. Stentiamo a trovare in Italia studiosi di psicologia, pedagogia, sociologia che, senza abbandonate le loro specializzazioni, siano in grado di utilizzare criticamente i risultati delle ricerche lin- guistiche pitt avanzate, come avviene in altre culture nazionali: si pensi ad esempio a studiosi come Bourdieu, Passeron, Bresson, Habermas, Inhelder, Piaget, Bruner, ec. Certo, a compenso di cid, vi @ il caso di taluni filologi classici e romanzi, come Seba- stiano Timpanaro o Gianfranco Contini i quali, per la loro stessa formazione istituzionale, sono stati tratti a riconoscere e fare in- tendere il ruolo del linguaggio in opere significative per tutta la nostra cultura, non solo per particolari settori. Ma si tratta di casi isolati. Si veda negli studi filosofici, che sono il punto di ritrovo della comune cultura, quanto & ancora esiguo il numero di coloro che, senza farsi filosofi del linguaggio 0 specialisti di storia delle dottrine linguistiche ¢ restando dediti in generale agli studi di filosofia o di storia del pensiero, tengono conto tuttavia del linguaggio e delle idee linguistiche. Ai nomi di Rossi Landi, Barone, Garroni, Giorgio Gargani, Paolo Rossi Monti, Valerio Verra pochi altri si possono aggiungere. Accade cosi che si possa ancora scrivere di Vico come se l’og- getto della meditazione di Vico non fosse stato appunto il lin- guaggio o che, con troppo rare eccezioni, si possa continuare a scrivere e si scriva della letteratura italiana ignorando, quasi fosse un particolare secondario, la condizione di forzata solitudine lin- guistica in cui si trovarono per secoli ¢ fino ad anni recenti gli scrittori italiani che scrissero in italiano. Perfino specialisti di storia della lingua italiana mostrano di sdegnare come « troppo elementari », ma in realta fraintendono e non capiscono, gli studi 3 E. Garin, It mestiere di editore, in Catalogo generale delle edizioni Laterza 1978, Laterza, Roma-Bari 1978, pp. v-xxu, a p. xv. 4D. Gambarata, Tradizione ¢ rinnovamento della linguistica in Italia, e L, Rosiello, It periodo delle traduzioni, in AA.VV., Dieci anni cit., pp. 15- 29, 31-48. Mi si permetta anche di rinyiare a quanto scrivevo in La SLI dal 1971 al 1973, in AANV., Teoria e storia degli studi linguistici, « Pub- blicazioni della SLI», 2 voll., Bulzoni, Roma 1975, pp. 1-9, a pp. 6-7. vin che mettono in rapporto le elaborazioni stilistiche di grandi per- sonalita poetiche ¢ le vicende linguistiche collettive. Ad avviso di chi scrive occorre mettere in discussione la afasia cronica della corrente cultura italiana. E lecito inneggiare a Rus- sell o Popper senza sapere comprendere la parte che essi hanno avuto nella « svolta linguistica » della filosofia europea e nord- americana del Novecento? Ci si pud richiamare a Hegel e a hege- liani senza la memoria di quel che la parola rappresentd agli occhi di Hegel, del giovane Marx, di un hegeliano che dovremo tornare a menzionare come Steinthal? Neokantismo ¢ fenomenologia si capiscono fuori delle filosofie del linguaggio in cui si incardinano? E, venendo dalla filosofia alla nostra storia, & mai possibile volere ancora studiare la vicenda politica e culturale italiana senza porre mente al plurilinguismo ¢ al policentrismo linguistico di cui essa intessuta? Abbiamo patlato della sordita cronica, della afasia percettiva ¢ intellettiva della cultura universitaria italiana quando ha a che fare, direttamente o indirettamente, col linguaggio. Questa sordita tradisce il meglio che possiamo ereditare dalla pid alta tradizione italiana di cultura. Chi ha vissuto in Italia con consapevolezza critica e storica elevata ha sempre dovuto fare i conti col lin- guaggio e con le difficolta della situazione linguistica italiana. La retorica nazionalistica e il vecchio cosmopolitismo, oggi a volte mascherato da internazionalismo a buon mercato, hanno reso dif- ficile parlare con semplicita di cid che pure @ evidente e presente alle coscienze. Dobbiamo tuttavia ricordare in qualche modo che tra mali e pene questo paese ha ospitato per secoli genti indu- striose e serie, e alcune poche grandi personalita. Di queste non una c’é stata che non abbia dato un contributo storico e teorico di prima qualita a intendere natura e vicende del linguaggio. Dante, Boccaccio, Machiavelli, Bruno, Galilei, Vico, Muratori, Baretti, Foscolo, Leopardi, Manzoni, Cattaneo, De Sanctis: le vette della cultura italiana sono sempre state attente alla realta del linguaggio. Questo non contraddice alla generale disattenzione della cul- tura corrente di ieri e di oggi, passatista o modernista che pretenda di essere. Proprio Gramsci ci ha aiutato a capire che « un deserto con un gruppo di alte palme @ sempre un deserto: anzi é proprio del deserto avere delle piccole oasi con gruppi di alte palme ». Nel nostro secolo, « alte palme » come Croce 0 Peano e Vailati, Giorgio Pasquali o Giuseppe Lombardo-Radice 0 Guido Calogero, vit non hanno modificato la disattenzione di fondo della cultuta uni- versitaria non specialistica per il mondo della patola, La « presenza massiccia» di una corrente vasta e varia di studi linguistici e semiologici negli ultimi quindici anni di vita culturale italiana, se ha avuto qualche incidenza in parte del mondo educativo e scolastico’, tarda ancora a far sentite effetti nella ptoduzione colta generale o d’altri settori. Non stupisce, dunque, che le pitt accreditate letture di Gramsci si siano svolte ignorando la parte che il linguaggio ebbe per lui. Non stupisce che le ricerche su questo aspetto del suo pensiero siano rimaste ricerche di settore. Tocca dunque a questo libro di Lo Piparo il compito di rompere un cerchio grave di disatten- zione che oscura V’intelligenza di cid che Gramsci pensd e scrisse. Se l'ipotesi di Lo Piparo @ giusta, se ’interesse per il linguaggio ¢ per la vicenda linguistica italiana non sono per Gramsci un Nebenfach, ma un fulcro, un elemento portante di tutta la sua elaborazione teorica, il libro di Lo Piparo & destinato a tiaprire un ciclo nuovo di letture, ripensamenti ed utilizzazioni della gtande eredita di Gramsci. Per nostro conto, noi crediamo che Vipotesi di Lo Piparo sia non solo degna di ogni attenzione, come merita Vimpegno stesso profuso dal giovane studioso nel documentare puntigliosamente i passaggi del suo argomentare, ma sia degna di accoglimento. La commistione di interessi per la teoria della societd e teoria della lingua fu in Gramsci originaria e profonda. Lo Piparo valorizza giustamente le testimonianze di Pastore, di Togliatti, per mettere in luce che scelta di studi linguistici ¢ scelta di campo teorica marxista furono nel Gramsci giovane studente torinese non solo coeve, ma corradicali. Questo non deve sorprendere. Analizzare a fondo il ruolo del linguaggio nella vi individuale ¢ sociale é una componente necessaria, anche se evi- dentemente non sufficiente, della costruzione e dello sviluppo una visione critica e scientifica di ispirazione materialistica*. Ma * Rinvio a quanto ho scritto in Scuola e linguaggio, Editori Riuniti, Roma 197%, pp. 7-8, 88-92, ¢ in L’educazione linguistica, in G. Chiarante € altri, La scuola della riforma. Asse culturale e nuovi orientamenti didat- tici della secondaria, De Donato, Bari 1978, pp. 95-117, a pp. 95. © Cfr. percid Lia Formigari, Marxismo e teorie della lingua. Fonti e discussioni, La Libra, Messina 1973. A me pare che uno spititualista 0 altro possa fare @ meno d’una teotia del linguaggio, ma che di questa non ‘possa fare a meno chi voglia costruire una visione ‘scientifica e critica del- Tomo, della sua storia e cultura: cid 2 vero da Epicuro e Lucrerio alle x & da dire di pit. Nel marxismo teorico italiano cid era stato inteso bene e pit volte sottolineato da Antonio Labriola. Quantunque V’atteggiamento di Gramsci verso Labriola sia stato incostante, come ha’ messo in luce Eugenio Garin, difficilmente si immagina che Gramsci, giovane studente marxista, potesse ignorare l’opera di Labriola’. Labriola traeva le sue conoscenze della linguistica da studiosi tedeschi, soprattutto dall’hegeliano e humboldtiano Steinthal, oggi da molti dimenticato, che pure ha avuto un ruolo importante nel trasmettete spiriti hegeliani al nascente modo strut- turalistico di analizzare e concepire la lingua *. Dalle sue fonti, Labriola aveva tratto la convinzione che da un lato la glottologia fornisse « sussidii [...] indiretti » alla « no- stra dottrina », cio® al materialismo storico, e, d’altro canto, egli attirava l’attenzione sulla glottologia come campo in cui eta pat- ticolarmente avanzata l’applicazione del metodo genetico e grandi riprese epicuree sei e settecentesche, al caso Leopardi, che tanto attrasse pet questi aspetti uno scrittore come Vitaliano Brancati e tanta luce deve alle indagini storiche € teoriche di Sebastiano Timpanato, fino alle ricerche di salda ispirazione matetialistica di Vygotskij ¢ degli psicologi del lin- guaggio di scuola sovietica. Mi pare che, attraverso i secoli, non sia ille- gittimo vedere dispiegarsi una «linguistica epicurea» 0,’ se si vuole, «

Potrebbero piacerti anche