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'
STORTA LETTERARIA
D ITALIA
Scritta da
una Societ
di Professori
Storia Letteraria
D' ITALIA
Scritta da
una
Piano
Societ di Professori
dell'
Novati. - Origini
della lingua
Opera
V. Rossi. F.
Quattrocento.
Il
Flamini -
Cinquecento.
II
N. Zingarelli.
"Dante
A. Belloni. -
Il
Seicento.
G. Volpi. -
Trecento
T. Concari. -
//
Settecento.
Il
G. Mazzoni. - L'Ottocento
STORIA LETTERARIA
D'
Scritta
ITALIA
da una Societ
di Professori
VITTORIO ROSSI
Prof. nell'Universit di
Pavia
IL
QUATTROCENTO
CASA EDITRICE
ALESSANDRIA D'EGITTO
BUEN03-AYRES
PROPRIET LETTERARIA
T? GFfTY CHTR
Milano.
Introduzione
I
ricordi
....
Nuovo avviamento
Umanesimo e Rinascimento,
medio evo,
nel
dell'antichit
1.
P a g
degli studi
in-
I confini
2.
torno all'antichit classica, 2.
Le arti e
Condizioni politiche dell'Italia nel sec. XV, 3.
del Rinascimento,
Il lusso e la vita sociale, 8.
La morale e la religione 8.
le lettere, 7.
Argomento
CAP.
I.
GrLI
UMANISTI
15.
Coluccio Salutati, 13.
Il Paradiso degli Alberti
convegni in S. Spirito, 16.
Giovanni Malpaghini, 16.
La morte
Primo
diffondersi dell'
umanesimo fuor
To-
di
L'umanesimo e la politica
scoperte
Antonio Loschi e Uberto Decembrio 18. Poggio Bracciolini e
Firenze nei primi decenni del secolo, 23. Niccol Nicd'antichi
26.
23. Leonardo Bruni, 24. A. Traversali, 25. Palla Strozzi
Gio. Aurispa,
Lo Studio fiorentino 27. Cosimo de' Medici ,27.
Vespasiano da Bisticci, 28, Francesco Filelfo e
umanesimo presso Filippo
Maria Visconti e
Sforza. 30. P. C. Decembrio. 3?. Gli umanisti dispengloria, 34. Accattonaggio degli umanisti, 35. Teodoro Gaza, 35.
Condizioni degli umanisti 36. L'educazione nel
XV Gasparino Barzizza, 37; Guarino veronese e Leonello d'Este
38; Vittorino da Feltre, 39.
trattati pedagogici, 40. Fanciulli miracolosi
41. Le donne erudite: Ginevra e Isotta Nogarola Costanza Varano Cassandra Fedele 41. Gli umareligione
dispute del Salutati con Giuliano Zonarini con Gio. da
e
San Miniato e con Gio. Dominici. 42. La fede degli umanisti, 44. Gli umapapi: Martino V, 46; Eugenio IV, 46; Niccol V, 47;
e la Chiesa, 45.
scana: P. P. Vergerio e Ognibene della Scola, 18.
le
19.
testi.
coli,
I librai
1'
gli
sieri di
sec.
la
nisti
nisti
Callisto III, 48
Pio
II,
48.
CAP. II.
La letteratura critica
Due scuole di umanisti: la scuola degli impressionisti e la scuola
Lo stile latino, 52.
scientifica, 51.
La vita e le opere di Lorenzo Valla, 53.
Re Alfonso d'Aragona, 55.
Le polemiche del Valla, 60.
Trionfo della scuola scientifica, 62.
Le traduzioni
CAP.
III.
La letteratura originale
Le lettere,
in prosa:
ORAZIONI
L'Epistolografia.
trattati e le
il
77.
di
Il
di
87.
italiana,
98.
sti,
Siena, 101,
II
90.
VI
CAP. IV.
La letteratura originale in prosa La storia e la novella.
La storiografia umanistica, 105. Le storie di Firenze del Bruni e del Poggio, 106
La vita e le opere di Flavio Biondo, 107. Ciriaco Pizzicotti d'Ancona, 111.
:
105
Pitti
altri,
di
il
il
Bisticci,
di
il
cio,
d'
Silvio,
Il
delli
rienti,
di
e le
Il
di
11
di
di
Il
le
CAP. V.
La letteratara originale in versi: La poesia profana
Feste e sollazzi a Firenze, 140.
Balli e ballate, 142.
Venezia, 143.
Lionardo
Lirica popolare e semipopolare.
Giustinian, 144.
Canzoni e strambotti
popolari, 144.
Gli strambotti del Giustinian e le Giustiniane, 145.
Lirica
aulica, 149.
La lirica d'amore in volgare: Buonaccorso da Montemagno, Rosello Roselli, i due Accolti, Antonio di Meglio, Domizio Broccardo
Giusto de'
Gli artifici rettorici e la erudizione nella lirica d' amore in volConti, 150.
gare, 152.
La lirica d'amore in latino: Gio. Marrasio e altri, 154.
G. A.
Campano, 154, e T. V. Strozzi, 156.
La lirica politica, 157.
Carattere cortigianesco della lirica quattrocentistica, 159.
Le Odi del
Niccol cieco, 160.
Filelfo, 160.
Il Porcellio, 160.
Sigismondo Malatesta e la sua corte 162.
Epica aulica. 163.
Basifno Basini e i suoi poemi, 163.
L' Isottaeus, 162.
L'epopea mitologica: il Vellus aureum e V Astyanax del Vegio, la Polydo-
Cornazzano
164.
HO
e d'altri,
popolari, 168.
morale
in volgare, 187.
Le
VI.
La letteratura originale in versi: La poesia religiosa
Poemi saMiscela di elementi sacri e profani nell'arte e nella letteratura, 189.
Poemi sacri in volcri latini: Maffeo Vegio e Domenico di Giovanni, 191.
gare: di Jacopo Gradenigo, di Candido Buontempi, di Francesco Filelfo, 192.
Le laudi 194.
Il teatro samovimento religioso dei Bianchi 193.
II
Le Devozioni del Gioved e del VeLe laudi drammatiche, 198.
cro, 198.
La
Rappresentazioni sacre nell'Abruzzo e a Roma, 200.
nerd santo, 200.
sacra rappresentazione a Firenze; gli autori, gli argomenti e il modo di loro
Il modo
trattazione, l'assetto scenico, gl'ingegni teatrali e gli intermezzi, 201.
L'intento morale, l'elemento comico e 1' edella recitazione e gli attori, 208.
Osservazioni critiche, 210,
lemento satirico nelle sacre rappresentazioni, 208.
CAP.
L,a sacra
rappresentazione fuor
di
Toscana, 212,
189
di casa Medici:
l'
Orfeo, 256,
le ballate e
epigrammi
Stanze per
la giostra, 262,
il
tuale, 282.
CAP.
VIII.
Leggende
La letteratura cavalleresca
poemi su
Attila, 284.
L'epoNarrazioni d'argomento classico. 285.
Cenno sulla letteratura franco- veneta, 286.
pea carolingia in Italia, 285.
Romanzi in prosa e poemi carolingi toscani, 286.
La recitazione dei cantastorie, 287.
Caratteri esterni ed interni delle narrazioni carolinge italiane, 288.
Decadenza della letteratura carolingia toscana, 293
1 Reali di Francia, 289.
Il Morgante di Luigi Pulci, 294.
Le narraIl Ciriffo
GaVoaneo, 309.
Matteo Maria Boiardo e le sue opere minori, 313.
zioni brettoni in Italia, 311.
Il Mambriano del Cieco da Ferrara, 333.
Orlando Innamorato, 319.
e
CAP.
Il
poema Urania
e le altre
libro
il
Meteororum
il
poe-
trattati
349.
De bello
metto De Hortis Hesperidum, 349.
neapolitano e De sermone, 350. Accademici napoletani, 350. Dialoghi del
P. e la Chiesa, 355.
grammatici 356. LetPontano, 351.
P. e
teratura in volgare, 356. Le farse popolaresche, 356. Primi documenti
De Jennaro, 359 F. Galeota, 359; G. Perleoni, 360.
di poesia
358. P.
Giannantonio Petrucci, 360. Cariteo, 361. Prosatori napoletani; F. Del
Tuppo, 363; Giuniano Maio 364. Jacopo Sannazzaro primo periodo della sua
farse
gliommeri e
364.
corte del S., 365. U Arcadia, 366.
La letteratura pastorale in lingua volgare e la fortuna
Arcadia 369.
canzoniere del
370. Bucolici
del sec. XV, 371. Le Piscatoriae
del
372. Le elegie,
epigrammi
371. L'ultimo periodo della sua
filosofici.
I libri
I
Il
Il
J.
lirica,
11
vita,
le
di
dell'
S.,
il
CAP. X.
Il
De par tu
Il
gli
vita,
S.,
latini
Virginis, 372.
VITI
d'argomento classico:
YHiempsal
la
Progne di Gregorio Correr
Commedie umanistiche latine: il Paulus di P. P.
,
Rappresentazioni Commedie antiche a Roma, a Firenze e a Ferrara, 379. Drammi mescidati, 371. Niccol da Correggio e
suo Cefalo, 381. Isabella d'Este e
rappresentazioni mantovane, 382.
La Panfilo, del Pistoia e
drammi mescidati
argomento novellfstico, 383.
La Comedia di Jacob e Josef Pandolfo Collenuccio, 383. Drammi mescidati d'argomento lucianesco, 384. Galeotto del Carretto, 384. La corte
letteraria del Moro: B. Bellincioni, 385, e Gaspare Viscnti, 386. La Danae.
B. Taccone, 387. Rappresentazioni mitologico-allegoriche a Milano
TacDomenico Fusco) e ad Urbino
Gio'
cone e del Bellincioni, 387; a Bologna
vanni Santi), 388. Le egloghe recitative, 388. La. lirica, 389.
Tebalpoeti della
deo, 389, Serafino Aquilano, 391, Panfilo Sasso Francesco Cei e
del Correggio, di Galeotto Del Carretto, del Vistessa scuola, 395. La
Niccol Cosmico 396. Seguaci della pura tradisconti, del Bellincioni e
zione petrarchesca, 397. Pandolfo Collenuccio e la sua Canzone alla Morte, 397.
Pistoia e la
burlesca, 398. La
401.
Ludi studenteschi, 379.
di
le
il
altri
d'
di
di
(del
(di
(di
Il
altri
lirica
di
lirica
Il
Conclusione.
Note Bibliografiche
Indice alfabetico.
critiche
lirica politica,
INTRODUZIONE
I ricordi dell'antichit
classica,
nel medioevo.
Umanesimo
La morale
e la religione.
Nuovo avviamento
Rinascimento
XV.
Le arti
Argomento del
e le lettere.
Il
Condizioni
libro.
vita
nuova ed assunsero
essi
pero,
il
storica,
che
la
caduta dell'im-
vennero creando. Lo
si
assottigli
si
vecchia
ed
ai
Siffatta trasformazione dell'antichit nelle menti dell'et media, avvenne giratamente, per via del progressivo allontanarsi della civilt
cristiana dalla romana, senz'essere avvertita da chi giudicava quella
continuatrice legittima e pura di questa. Alla stessa guisa nell'attrito
dell'uso quotidiano il latino si convertiva con lento ed insensibile moto
negli idiomi romanzi e, nell'uso delle scritture, la lingua di Cicerone
Rossi.
La
lett. ital.
nel sec.
XV-
Ircordi
1 a
ti "
^ h t^
nei
de
INTRODUZIONE.
barbaro latino
il
delle scuole.
Ma
xuovo
SegiTatSdi
anuchtt.
anche
di
del giuro
fuori della
la
scuola, ed acquistarono
che per
lo passato
non
si
meno
per
una
inesatta del-
si
venisse,
il
mondo
classico,
un
traviata diremmo
ed eredi di Roma,, la tradizione spezzata
dal medio evo. Il tempio sacro a Pallade si
noi pi correttamente
andava sgombrando dalle erbacce e dai detriti accumulatisi in pi secoli
d' incuria e d'ignoranza, e i nuovi devoti vi facevano ressa per ammiessi italiani
XV
tori di
Roma
dine, alle
tornarono, susurrando ai loro liberatori parole di gratituaure vitali d'Italia. L'antichit parlava il suo proprio e natu-
rale linguaggio dai libri, dalle epigrafi, dai monumenti i dotti la ascoltavano stupefatti, religiosamente, e mano mano prendevano ardire alla
discussione e alla critica. Con una frequenza, che palesa il compiacimento
d'accarezzare, quasi senza darlo a vedere, un'idea prediletta, dicevano
antiquus, dietro all'esempio di Cicerone, tutto che fosse bello, cos nel
rispetto estetico, come nel rispetto morale. Assorti nella contemplazione
delle storie romane, giudicavano meschina ed angusta la vita civile
;
contemporanea, omiciattoli in paragone dei Fabi, dei Catoni, dei Mardi essa, quasi risibili i fatti,
educativo prevaleva su d'ogni altro nello studio dei classici
durante il medio evo. Non lo rinnegarono i seguaci del nuovo avviamento, anzi i pi antichi giudicarono vana ogni occupazione intellettuale, che non rendesse l'uomo moralmente migliore e pi saggio nelcelli,
umnnesirao.
gli attori
l\ fine
ma
INTRODUZIONE.
Non
esatti,
di
giudizio
sono
Rinasci
mento.
il
respingerli
il
tanto pi che
essi
racchiuso.
Assai difficile segnare i confini entro ai quali s'abbia ad intendere compreso il Rinascimento. I suoi lembi sfumano al di l del Se
colo XIV; le ultime propaggini si protendono molto addentro nel XVII;
le ragioni molteplici della storia traggono a conchiusioni varie col va-
confini
nascimento,
s'era gi chiuso
il
XV
non conosce
non
tollera
letterario.
La
scimento in quel
leggeri
ch
confini
modo che
di tal
realt
partizioni nette; la
il
Rina-
segneremmo
di
possiamo passarci.
Il
secolo, del
condizioni
P
seiofo
xv!
INTRODUZIONE.
4
di signorie
individuali.
La
stesse,
met del secolo. Le combattevano i ventuarmeggiare non meno colla spada che colla fede,
coraggiosi ed insieme esperti nelle arti, che essi per primi di-
soldati
destri in
for^f e della propria importanza fra signori spesso imbelli eppure turbolenti, trattavano da pari e spesso mettevano a mal partito, di servi
divenuti rivali, i principi grandi ed i pontefici e vagheggiavano le pi
ambiziose speranze. A Braccio da Montone tolse di vederle avve-
gona (1465);
ma
il
il
figlio
cambiato
la
marra
INTRODUZIONE.
Troia consolid il nuovo assetto politico del reame cui non bast
a scuotere la congiura dei baroni, con feroce energia repressa da re
Ferdinando (1486). A Firenze la preponderanza medicea, uscita incolume
di
che popola
XV
il
cumolo
di dugentistic
dannati la gelatina dantesca ma in sullo scordanno pi sinistro spettacolo per il contrasto coi
di
INTRODUZIONE.
Quanto
si
fosse perfezionato
il
XIV
monumenti artistici e letterari. Ora la tradizione clasrinvigorita gli addit un nuovo ideale, lo modific e lo acu. E dalle
venne al secolo XV la sua pi fulgida aureola di gloria. Con mi-
attestano famosi
sica
arti
rbile precocit
il
e cristiane e al culto del vero, dava nascimento al nuovo stile nell'architettura e nella plastica. Gi poco dopo il 1430 sorgeva a Firenze il
Lorenzo
primo dei santuari moderni gi nel 1424 era com40 finita la modellatura della
seconda. Gli che gli antichi esemplari avevano potuto esercitare su
quelle due arti un'efficacia immediata, e, soprattutto, che il secolo XV
a veva trovato gi prossimi a maturit gli ingegni di Filippo Brunelleschi
(1377-1446) e di Lorenzo Ghiberti (1378-1455). Dalle costruzioni romane i nuovi architetti non solo tolsero forme d'archi e di colonne,
concetti e motivi, ma desunsero un'idea di purezza, di semplicit ed
armonia nelle linee, d'espressione tranquilla e serena dell'insieme, che
condann per sempre il sesto acuto, i frastagli, le spezzature care ai
maestri del medio evo. Nelle chiese, dove i colonnati d' ordine composito e corinzio sorgono, a reggere gli archi a. sesto tondo correnti
alla cupola e delle quali la facciata qua rinnova
con certe modificaS.
il
pome
nei fonti
'
metodo neh" osservazione del mondo esteriore. Lo studio delmoder e purific l'amor della realt, il quale nelle creazioni
del gran Donatello (1386 ?-1466) rifulge schietto e quasi rude, ma
pur talvolta si piega, specie negli ultimi anni del maestro, all'azione
di Luca
dell' arte classica, mentre sotto gli scalpelli del Ghiberti,
della Robbia e di alcun altro si disposa genialmente anche a ricordi di modi e di concetti medioevali. Sia poi realistica o classica
o rispettosa della pi recente tradizione, la scultura del 400 ha quasi
sempre un' aria di gentile e pura freschezza, che le conferisce una
ed
il
l'antico
particolare attrattiva;
Mino e
lo stesso
si
ripensino le soavi
San Giorgio
di Donatello,
Madonne
di
Desiderio e di
cos vigoroso,
eppure cos
giovenilmente delicato.
Nella pittura il classicismo si fece strada con lentezza forse provvidenziale. In sulle prime essa attinse con baldanza perfino inconsulta
INTRODUZIONE.
nelleschi. Ritratti di
dal-
Bru-
storie
frescate
sulle parati
delle
signoreggiava con rude, anzi talora sgarbato despotismo il penda un'alta fantasia e da un gusto
nelle
composizioni quasi epiche di Masplendeva
dignitosa
squisito,
stica
affinata
stessi,
mantennero
quali,
come
si
beato Angelico
fedeli ai pensieri
il
ed ai metodi
ne furono tocchi. Solo negli ultimi decenni del
e Gentile da Fabriano, pi
ornamento
suo
il
Prima
spirito.
che pur copiava con ardore statue e bassorilievi an(1447-1510) la cultura di Firenze medicea
suggeriva soggetti mitologici ed allegorici, ma la realt, modificata dalla
sua fantasia e da una cotal soavit di sentire, le esili ed eleganti figure,
che tra il verde ed i fiori guardano trasognate dai suoi dipinti. Nel
tempo stesso che il Botticelli, operavano a Firenze Domenico Ghirlandaio, Filippino Lippi e Leonardo
questi lasci la citt del Magnifico
nel 1483
i quali
per vari modi, ciascuno con tendenze e caratteri propri, apersero alle intime finezze ed al fare largo del classicismo il regno della pittura fiorentina, sicch in deliziose armonie di
disegno e di colore le nuove conquiste dell' arte del pennello si congiunsero col culto della bella forma, colla forte espressione del sentimento e colla sapiente e fine compattezza della composizione. Intanto
Melozzo da Forl (1438-94) pennelleggiava i suoi mirabili affreschi nelle
Marche ed a Roma, ed Andrea Mantegna (1431-1506) tutti aveva preceduto nella creazione d'un nuovo stile pittorico e tutti forse avanzava,
fecondando col suo ingegno gagliardo ed originale lo studio del vero
nel suo
tichi.
stile,
egli
Sandro
Botticelli
tirannica,
INTRODUZIONE.
della
lusso
appena qualche
ii
Le
lusso e
socafe
fiorellino selvatico,
accumulate nelle
industrie, nei
difesa o di offesa,
discordie,
fog-
Le
andavano acquistando
piazze e le vie
ornamenti
ma
di chiese,
di palazzi,
di statue,
di
di
di
pi splendidi
dere
le
amore per
loro
la
magnificenza,
principi ed
ren-
modellando figure e decorazioni, mentre le allietavano le muvenute di Fiandra. Donne e cavalieri vi facevano
pompa di tutto il loro gran lusso di vesti, d'acconciature, d'armi, di
bardamenti, di gualdrappe, ch nel lavorare siffatti oggetti le cos
dette arti industriali toccavano un grado altissimo di perfezione, come
nell'apprestare l'arredo delle camere, delle sale e delle mense. Con s
splendidi apparati contrastavano spesso le condizioni pratiche della vita
persino nelle corti facevano ancora difetto agi, delicatezze, cure di pulizia
che a noi sembrano ovvie e di cui oggi gode ogni pi umile
popolano. Similmente, quella stessa civile comunanza che voleva gli
uomini educati ad ogni esercizio leggiadro e nel loro contegno gentiedifizi,
siche
artificiose
il
si
non
fastidiva, strano a
compiaceva, vedremo,
Siamo cos ricondotti al punto donde movemmo a dire delle arti, poich nel particolare contrasto or ora accennato si riflette quello tra il
progresso intellettivo e il ristagno morale che domina tutta l'et. Progresso
tro,
-a
morale
eiiUjne
e ristagno
ma
nessuno pu disconoscere
giudicati l'uno
causa dell'al-
L' affrettato rimutarsi del senso estetico venne, gi in sulla fine del
XIV, sottraendo
le rideste
umane
freni,
che
la religione dianzi
opponeva all'impeto
delle
INTRODUZIONE.
passioni,
indebolivano, mentre,
si
pi
impedivano che altri freni acquistassero efficacia attuale. Vediamo come e perch questo avvenisse.
Da pi secoli i fini terreni della vita, in mezzo al fervore di pensieri e di opere, che agitava la nazione, contendevano le menti al fine
soprannaturale. L'uomo era venuto grado grado disviluppando le facolt
e le attitudini sue dalle pastoie, che l'idea dell'infinito aveva loro imin l e tratto tratto rinvigorendosi,
posto; nella coscienza, quest'idea si era via via ritirata nello sfondo,
men-
presentavano ben rilevati sul dinanzi e assiduamente operosi. Codesto affermarsi delle forze
umane, che contraddistingue il Rinascimento e di cui gi vedemmo
conseguenze politiche, gener nei contemporanei l'illusione d'un'imporpreoccupazioni materiali
si
si
tendono che fatto caratteristico dell'epoca sia appunto il vigoroso svolgimento dell'individualit. Nel Rinascimento il genere umano manifesta
con nuova e libera gagliarda le sue facolt e si lascia trascinare dalle
sue inclinazioni il singolo individuo sente e segue quel moto generale,
;
come
Ma
se
non
ti
tra-
Natura varia
colla quale
le indoli
sempre, n
le
XV
pi
si
trassero molti
uomini a divenire
strumenti
vigoria individuale.
La
di fatali
pu forse trarre in
che per favor della sorte
essa registra in gran numero in breve volgere d'anni. Che dire > invece della storia letteraria ? Eccellono s, o come apostoli del classicismo o per originalit di pensiero e di carattere o per grazia di forma
alcuni pochi scrittori, uomini d'alto intelletto
ne conto appena una
decina in tutto il secolo
ma un velo contesto di tendenze e di
teoriche comuni avvolge quanto di letterario producono le menti italiane. Modello l'antico, norma d'arte l'imitazione; fattori di conguagliamento questi, come gi nel medio evo la fede ingenua e la semplice
inganno chi
spontaneit. L'alto concetto, che nel 400 s'ha del valore e dell'importanza
personale,
dunque un fatto soggettivo, cui per lo pi la realt concome dicevamo, a crear la quale cooperarono anche
tradice; un'illusione,
lareale efficacia di alcuni pochi nel rinnovare le fonti della coltura ed ilson-
10
INTRODUZIONE.
necchiar della fede, onde meno continuo fu il pensiero della divinit sola
donatrice di grazie. Guardate Francesco Filelfo. Chi pi di lui invasato
dalla coscienza di s
Eppure
il
poco. Tuttavia
massime
virt, sul dispregio delle ricchezze, del piacere e degli onori, sull'in-
INTRODUZIONE.
stabilit della
fortuna riboccavano
11
norme
Ma
a quel-
la tradizione cristiana
filosofi
antichi fossero
di
prorompevano selvaggiamente
La
il
bello
comunque questo
XV
si
raffinata, la fa-
manifestasse.
Ad
ve- Argomento
si
i
suoi
Vedremo
con ardore e pertinacia invincibili la supad essa ispirarsi e su di essa foggiarsi opere
nuove, farfalle di corta vita, oggi famose, domani rimorte perdurare
la tradizione letteraria del Trecento, di rado combattuta, ma solo in
cui giungeva lenta
parte ed a stento fruttifera; venir su dal popolo
un rivolo abbondante
ed affievolita l'eco delle risurrezioni classiche
zione.
studiata
nuovi.
Fu dapprima un connubio
mescolarsi coi
figli,
ma
vagheggiavano gli spiriti colti. Questo vedremo divenire realt merc un savio temperamento di antico
e di moderno ed il secolo XV trasmetterlo al XVI colle opere del Boiardo
pur segno dell'ideale
e del Poliziano,
letterario, cui
del llbro
'
CAPITOLO PRIMO,
Paradiso degli Alberti. Luigi Marsili. convegni in S. Spi Giovanni Malpaghini. Manuele Crisolora. La morte del Salutati.
umanesimo fuor di Toscana P. P. Vergerlo e Ognibene della
Primo diffondersi
Antonio Loschi ed Uberto Decembrio.
Scola. L' umanesimo e la politica
Firenze nei primi decenni del sescoperte d'antichi
Poggio Bracciolini e
colo XV Niccol Niccoli, Leonardo Bruni, Ambrogio Traversari, Palla Strozzi. Lo
librai
Gio. Aurispa, Vespasiano da BiStudio fiorentino. Cosimo de' Medici.
Francesco Filelfo e l'umanesimo presso Filippo Maria Visconti e Sforza.
Pier Candido Decembrio. Gli umanisti dispensieri di gloria. Accattonaggio degli
umanisti. Teodoro Gaza. Condizioni degli umanisti. L'educazione nel secolo XV
Gasparino Barzizza Guarino Veronese e Leonello d'Este Vittorino da Feltre.
Ginevra ed Isotta
trattati pedagogici. Fanciulli miracolosi. Le donne erudite
Nogarola Costanza Varano. Cassandra Fedele. Gli umanisti e la Religione
sputa del Salutati con Giuliano Zonarini, con Gio. da San Miniato e con ,Gio. Domi La fede negli umanisti. Gli umanisti e la Chiesa. papi: Martino V, Eu-
Coluccio Salutati.
Il
rito.
dell'
testi.
le
gli
sticci.
nici.
La fama
di-
II.
un capo
all'altro e al
grammatica
dichiarazioni di ri-
la ricevette o
non
la cur;
ma
quel giovinetto,
ed ebbe, pi tardi, affidato da Francesco da Brossano il manoche alla morte del Petrarca era rimasto appiattato
nella villetta d'Arqu, affinch, riveduto, lo desse in luce
onore ambito e gelosamente ricercato da Coluccio, come sanzione alla sua fama
ed alla dittatura letteraria, che egli si sentiva destinato, n s'ingannava, a redar dal maestro.
Il Salutati nacque a Stignano, terra della Valdinievole, nel febbraio
del 1331; da Bologna, dove colla sua famiglia, profuga dalla patria
per le gare di parte, aveva goduto della munifica protezione dei Pepoli,
lui
il
comune
notariato; pi
di Todi;
sper
coiucd
1
^fgi
"^
14
CAPITOLO PRIMO.
invano
di
Urbano V, per pi
la
quale segu
pontificante
due anni, n il cancellierato del comune lucchese (1370-71) diede tregua duratura alle incertezze di quella vita
randagia. Quiete ed una sede, quale s'era augurata fervidamente partecipe della vita italiana, egli trov a Firenze, elettovi, pare sul principio del 1374, notaio delle tratte e l'anno dopo cancelliere dei Signori.
Una cocente bramosia di sapere una tenace forza di volont e
l'ammirazione, ch'era gi nel Petrarca, per la bellezza antica, dominarono tutta la vita del Salutati, da quando, oscuro notaio, si ricreava
dalle occupazioni incresciose e cercava conforti alle avversit della
sorte nel suo studiolo, fra i libri, corrucciandosi contro il volgo de'
suoi coetanei del guadagno curanti, ma nemici d'ogni arte leggiadra,
fino ai tempi in cui, risonando il suo nome venerato e autorevole in
Italia e al di l delle Alpi, gli chiedevano da ogni parte risoluzioni
di dubbi letterari o morali e consigli ed egli a tutti con umanit rispondeva. Pi che mediante le altre opere
trattati, egloghe, poesie
esercit infatti la sua grande efficacia sull'avviamento degli
varie
studi per via delle epistole, anch'esse quasi tutte latine, lunghe talvolta
come dissertazioni, dovunque ricercate e lette con avidit singolare.
di
Dire ser Coluccio era allora come dire l'eloquenza in persona. Anch'egli, al pari del Petrarca, fu raccoglitore amoroso di libri special-
mente
classici,
di trovarne.
Il
bilir le
norme
il
primo
filologo nel
d'animo
ci renmantenegli
giudizio
di
incoerenza
sua
alcuna
verso
indulgenti
dono
nero sempre la fiducia della Signoria. Il cancelliere era ben addentro
nei sottili maneggi e negli scaltri trattati, che la repubblica ordiva
bino d'eventi port nello spaccio degli affari una rettitudine
quasi ingenua ed uno scrupoloso sentimento del dovere, che
15
GLI UMANISTI.
a comuni, agli assoldati venturieri. Abile nello scegliere argomenti e forme di persuasione, Coluccio vi ragionava robusto e serrato, quasi schivo di troppo vistosi ornamenti, quando si rivolgeva a
personaggi che non si sarebbero volontieri chinati dinanzi a certi
tefici,
laddove collo
ideali,
grandezza romana
si
siffatte
ricordo della
evocazioni pa-
lettera
famosa diretta
intenti
esse balenava
non pur
al capo,
la
Toscana,
alla politica.
lui
il
ligione e la filosofia
vita
andava dove
secolo
XIV
in
si
passasse
il
tempo
sotto
il
ottimati.
Di geniali adunanze fuor di porta S. Niccol nella villa del Paradiso n Paracn
narra un romanzo volgare, che documento prezioso della coltura fio- A^fjf
ti
rentina in quello scorcio di secolo, quantunque sia stato scritto molti anni
dopo. Padrone del luogo era Antonio di Niccol degli Alberti (1358-1415).
16
CAPITOLO PRIMO.
buffoni.
Biagio Pelacani
lettor
ma
con
di
matematiche e
erudizioni
scolastiche,
romane
di Firenze, respinte
le
favole
recitare alle
gatorio.
Frequentava
Luigi
a
(m.
la villa del
i394).
signoria gli affid missioni politiche; lo consult quando per timor della
scomunica stava in dubbio se dovesse ricevere gli ambasciatori dell'an-
tipapa (1387) e per ben due volte nel 1385 e nel 90 preg Bonifacio IX.
di inalzarlo alla dignit di vescovo fiorentino. Fu sempre invano, pro-
aveva
con profetica intuizione del futuro l'esempio dei Tedeschi, non poteva
essere troppo caro a Roma; n le anime timorate sapevano ascoltar
senza scrupolo codesto predicatore, che ad aumentare la fede e convertire i cattivi stimava non meno efficaci delle sacre scritture i belli
e buoni, detti dei filosofi e dei poeti pagani.
Come
in Coluccio
convegni
in s. spirito
.
alla
non
Peche
nel
di S. Spirito si
lunghi
Malpaghini.
dibattiti.
Marsili
17
GLI UMANISTI.
infiammarono
alle
bune
lettere tutta
una schiera
di giovani
divenuti famosi.
Rosst.
La
leti.
ital.
nel sec.
XV.
18
CAPITOLO PRIMO.
gli aveva servito con devozione fino agli ultimi istanti, gli decret corona e titolo di poeta e volle che il cadavere laureato fosse deposto a
grande onore in Santa Reparata.
animava
le
conversazioni e
la
U44).
'
moto
d'Italia,
Pietro Paolo Vergerlo da Capodistria dimor a lungo a Padova nell'ultimo decennio del secolo e vi lesse logica sui primordi del XV; dal
in altre regioni
ai servigi della
Italia,
gi nel 1388,
politica^
Bologna ebbe il suo Pellegrino Zambeccari, gli Este Matteo d'Orgiano e poi Donato Albanzani. Anche Gian Galeazzo Visconti volle
a'suoi ordini uomini, che sapessero fronteggiar degnamente le epistole
del Salutati ed aocompagnare i maneggi della sua politica, i trionfi o
le sconftte de' suoi soldati con bei periodi latini e con classici parar
toria:
quando
lo
permettevano
eli
Antono
dano
{dai 1383).
degli
studi e,
Firenze, fu a capo
non l'ebbe fatto cadere in disgrazia (1398). Al suo fianco era un giovane vicentino, che avea destato grandi speranze di s e cui attenun posto segnalato presso i pontefici, Antonio Loschi
(1360?-1441). Tratto dalla brama di imparare, era passato di Verona
a Firenze e vi aveva conosciuto il Salutati; nel 1388 and a Pavia,,
^ eva
(1407)
10
GLI UMANISTI.
studente
d'arti,
conte. di Virt.
ricordi virgiliani
riunite
in
un
sol corpo
dal
cini:
tore,
come direbbero
oggi,
non
ufficiali.
il
gno
1'
Bracciolini
1380 " r459)
(
un esemplare completo
se
non
di
T
Le sue
scoperte
20
CAPITOLO RRIMO.
mutili
il
a quell'opera
di civilt e
poema di Lucrezio, le Paniche di Silio Italico, le Selve di StaAstronomicon di Manilio, il de re rustica di Columella e compirono talora veri salvamenti, perch alcune di quelle opere ci pervennero
solo nelle copie ch'essi ne fecero. E forse gi prima il Poggio, viaggiando in Francia e visitando i conventi di Cluny e di Langres, aveva
aggiunto dieci nuove orazioni alla suppellettile letteraria di Cicerone.
Un anno dopo l'elezione di Martino V, non so quali contrariet e
le promesse del vescovo di Winchester, Enrico Beaufort, lo indussero
a recarsi in Inghilterra. Vi pass tristamente circa quattro anni, comluce
zio,
il
l'
Ma sul
Roma
rStchi
{i&tlv)
Bruius da pi
il
De ora-
lui se
non venivano
libri.
GLI
fini il
segretario pontificio.
patria, era
una
UMANISTI.
21
un codice contenente
le venti
lo"
commedie
di Plauto
sino allora se ne
tenne per pi d'un anno nascosto con
modo
di
il
principal per-
si
che da alcun angolo remoto d'Europa balzassero fuori le deche perdute di Livio! Tante volte, che il Poggio stesso fin col non crederci
pi e sorrideva di chi perseguisse ancora quella chimera.
Sorriso di compatimento e di rimprovero, come quello che gli errava n
sul labbro, quando scherzava, indulgente, sulle debolezze degli amici.
Di questi tollerava anche le bizze e i rabbuffi con altri lo scherzo suo
scorreva per una serie di toni sempre pi acuti fino ad armarsi della
punta di frizzanti ironie, perch l'acrimonia e la malignit, che natura
gli aveva posto nell'animo, sopraffacevano l'inclinazione alla gaiezza
e al motteggio. Guai a chi lo toccasse nella sua grande vanit di letterato Egli sapava bene che la sua fama poggiava su basi incrollabili
e vedeva la lontana posterit rendergli la giustizia, che alcuni contemporanei gli contendevano ma non sempre gli venne fatto di racchiudersi
in tal superbo disdegno verso i botoli che gli davano noia e proruppe, inviperito, in violente aggressioni. Intento a formarsi una biblioteca e non alieno neppur dal pensiero di trar guadagno dalla sua
dottrina e dalla sua abilit, teneva in casa due copisti, che aveva con
grande pazienza ammaestrati, e copiava egli stesso con un fervore che
scherzosamente paragonava al tarantolismo. Alla sua fantasia novellavano dell'antica grandezza e mormoravano rimproveri alla decadenza
carattere
fatica le iscrizioni.
Frattanto
lico gli
lucri dei
permettevano
di
due uffici di segretario e di scrittore apostovagheggiare con buona speranza il SUO modesto
l'Italia, le
citt si
il
n ellacuria.
22
CAPITOLO PRIMO.
breve tempo.
Il
balbettamenti dei
figlioletti.
e,
tino e da
nore della tiara Tommaso Parentucelli, che fu Niccol V; ma il desiderio di vivere tra i suoi, nella citt alla quale era sempre rimasto
legato dalle amicizie, dagli interessi e dagli studi, la vinse sulle attrattive degli agi e dei guadagni romani. Nel 1453 abbandon per senili
Po
io
a Firenze,
Cur ^ a cne aveya servito per quasi mezzo secolo ed accett l'ufaveva chiamato. Nella
sua casa di Firenze lo circondavano, dolce compagnia, la moglie ed i
fuori invece lo
nel 1450 aveva avuto l'ultimo, il sesto
figliuoli
avvelenavano polemiche irose ed i biasimi contro il cancelliere, che, esposto al giudizio di un popolo, dov'erano vari i pareri, non poteva accontentar tutti. Si risolse a rinunciare e per prepararsi, come diceva, ad
una vita migliore ed a render, se non buono, almeno tollerabile conto
P re
fcio
^a
'
che
lo cogliesse la
si
morte.
un anno prima
1459 fu onorevolmente
di
novembre
del
23
GLI UMANISTI.
s3polto in S. Croce e pi tardi la sua effigie pennelleggiata dal Poliamolo fregi, per desiderio dei figli ed annuente la Signoria, la sala
del Proconsolo.
un
Firenze
d<ji
secolo,
forte
commerci
italiani e nelle Fiandre, in Inghilterra, in Francia, in Ispagna, sulle coste d'Africa e d'Asia, li rendono a Firenze in belli e sodanti fiorini. Sono gli anni in cui fioriscono il Niccoli, Leonardo Bruni,
il
Traversari.
Niccol Niccoli, figlio d'un lanaiolo fiorentino (1364-1437), avea frequentate le dotte riunioni in casa il Salutati e nella cella del Marsili
e
paterno,
iccol
Niccoli
(l364 " 1437^
24
coli
CAPITOLO PRIMO.
di apostolo.
Prestava
libri;
giovani inclini
spronava ed istruiva.
il luogo stesso, ornato-
li
cammei
antichi e di pitture
ma anche
padrone e di quel suo epicureismo estetico, che trapelava, a detta di qualche contemporaneo, dalla lindura della persona,
e dalle abitudini stesse della vita. Nel sentire e nel fare aveva peruna cotal iattanza sprezzante, dalla quale attingevano asprezza e severit i suoi giudizi e che solo di rado si attenuava nella piacevolefestivit della sua conversazione. Facile assai pi al biasimo che alla,
recenti;
Francesco Bruni. Narra egli stesso, che nella prigione, dove lo rinchiusero nel 1384 i soldati d'Enghiramo di Coucy, si sent preso d'alode, pareva, e forse era,
er.nardo
rU
?o M44)
more per
gli studi e
Liberato,
il
vece prefer lo stato coniugale e men donna sul principio del 1412.
qualche incarica
Tuttavia fu addetto alla curia per un decennio
quasi continuatamente
ebbe fra quel tempo dalla Signoria fiorentina
e la segu a Costanza; ma, poich tristi volgevano le sorti di Giovanni XXIII, nel marzo del 1415 era di nuovo a Firenze. D'infra le
concesse a lui ed
a'
suoi discendenti
diritti di citta-
25
9LI UMANISTI.
'ingegno vigoroso e svelto, n la simpatica originalit del Poguna maggior compostezza e una pi disciplinata pacatezza di mente,
n l'indole gaia e vivace dell'amico, anzi una gravit di carattere, che volontieri ostentava. Ei si sentiva un grand'uomo, sempre. La svariata mol-
aveva
gio, s
titudine delle opere, trascritte infinite volte, spesso fra testi classici, e la
al Bruni i primi onori fra i letche alcuno venisse fin di Spagna
e di Francia per vederlo; re Alfonso di Napoli mand un gentiluomo a
visitarlo e l'avrebbe desiderato in sua corte. Quando mor, agli 8 di
marzo del 1444, la Signoria e i principali uffici di Firenze assistettero
con gran pompa ai funerali Giannozzo Manetti recit l'elogio del defunto e in sul finire gli cinse il capo della corona d'alloro in S. Croce
gli scolp il mausoleo, un capolavoro dell'architettura funeraria del
Rinascimento, Bernardo Rossellino.
Quel che rispetto al Salutati il Marsili, appare rispetto al Bruni,
fatta ragione alla diversit dei tempi e dei caratteri, Ambrogio Traversari, un romagnolo di Portico, che venuto a Firenze nel 1400, vi
si addisse alla religione camaldolese nel convento degli Angeli. La
dottrina umanistica, alla quale lo avvi soprattutto l'amicizia del Niccoli, si associa in lui all'erudizione sacra, la signoreggia, la trasforma
e, nel rispetto letterario, la purifica. Il Marsili era un frate del medio
evo cresciuto all'amore dei classici: il Traversari fu un umanista,
cristiano e frate. Nel convento degli Angeli si rinnovarono i dotti convegni di S. Spirito e molti giovani monaci furono da Ambrogio educati all'amore degli studi. Anch'egli aveva a disdegno gli scrittori sacri
del medio evo, ma d'altra parte diceva non convenire ad un religioso
la lettura dei pagani; epper s'aggrapp a quell'ultimo lembo della
letteratura antica, dove lo splendor della fede illumina ancora le grazie
stilistici
anche
fruttarono
di lui si dice
a. tw*.
(1386-1439).
20
della
CAPITOLO PRIMO.
forma e
corgimenti
vi si esercit col
critici,
che
altri
un codice
Poggio per
il
stizza
che
si lece bello quando per soddisfare al Niced a Cosimo de' Medici tradusse Diogene Laerzio, nella cura che
poneva in bandire dalle sue lettere ogni citazione d'autori profani,
egli che li conosceva assai bene, v'ha forse alcunch di atteggiato
studiosamente; certo non erano sincere la sua modestia, n l'ostentata
simili atteggiamenti e
generale del suo ordine dal 1431, nel
promuovere l'osservanza nei conventi camaldolesi, lo ebbe caro e nel
1435 lo mand ambasciatore a Basilea ed in Ungheria per gli affari
del concilio. Pi profcua che in quelle missioni, fu l'opera di Ambrogio
a Ferrara ed a Firenze nelle trattative fra le chiese greca e latina
trascinarono a rovina
ralla
(137S4&).
che ne fu gran parte, specie negli ultimi anni, non ebbe agio di attendere di proposito alle lettere; tuttavia volle che agli studi umanistici fossero educati i suoi figliuoli ed accett gli aiuti della rettorica
e delle calunnie di un umanista, come delle armi viscontee, quando,
bandito, tent invano le porte della patria. Questo non fece messer
Palia di Noferi Strozzi, grande e onorato cittadino, anch'egli cacciato
nel 34 Inori del bell'ovile, dove s'era visto crescere intorno costumata
e adorna di lettere la famiglia numerosa. Quando venne il Crisolora,
lo Strozzi aveva pagato buona parte della spesa e procurati di Costantinopoli e di Grecia i libri necessari a quell'insegnamento. I migliori
copisti che fossero cos in greco come in latino, erano stati al suo
stipendio ed egli aveva vagheggiato l'idea di
una pubblica
biblioteca,
per la quale avrebbe fatto murare in S. Trinit un accomodato edificio. Confinato a Padova, sopport come uno stoico antico la sventura,
n permise mai che in sua presenza si parlasse meno che onorevolmente della sua patria. Leggeva e si faceva leggere da Andronico Callisto e da Giovanni Argiropulo, due greci che tolse in casa con buon
salario, Aristotile e
La
vita e
27
GLI UMANISTI.
segnanti e
di spese
ridica,
altri
Studi generali.
erano
rivolgimenti del 34 e
il
Nonbimeno
il
il
il ricordo
d'opposizioni fiere che
eran levate contro o non avesse a grado di segui1
<re la strada tracciata da'suoi avversari o, che mi par pi probabile,
non corrispondesse lo Studio coi pattuiti legami tra lo stato e i lettori ai
metodi del suo libero mecenatismo. Nel 1471 Lorenzo il Magnifico tra-
anche
di l gli si
ad
Dagli studi ai quali attese sotto uno dei pi ardenti discepoli del Crisolora e dai viaggi compiuti, coll'occasione del
concilio di Costanza,
Medici (1380-1464) dedusse nello spirito
suo versatile, riflessivo e forte d'una memoria eterna , cognizioni
quasi universali e la pi consumata perizia d'uomini e di cose. Con chiunque parlasse aveva materia di discorso; viveva in geniale dimestichezza
in Francia ed in Germania,
-coi
il
Cosimo
Medlc
flQ '
28
CAPITOLO PRIMO
aveva consumato
in libri
sue sostanze, aperse credito illimitato sul proprio banco; con intuizione
mirabile comprese e protesse l' ingegno giovanile di Marsilio
Ficino
e per via di questa e d'altre bea allogate munificenze prepar il
sostrato ideale alla coltura dell'et del
Magnifico. Affabile,
ma sempre
guardingo, perch fsso il pensiero in quella che s'era proposta meta della
sua vita, rispondeva breve, ora con voluta ambiguit, ora con argu-
La sua principale passione fu in edificare e dicono vi spendesse ogni anno pi di quindici o sedici mila fiorini. Per commissione
di lui Filippo Brunelleschi murava il san Lorenzo e Michelozzo
i
zia frizzante.
le convalli
vasi, di
nacciavano
creditori
del defunto, ed
il
Medici,
ch'era tra
il
gli
ese-
diritto di
collocarla in san
librai.
come
Giovarmi
374-145?)
'
dere, nel far copiare opere classiche o sacre e pi spesso nel pattuirne
scambi; anzi tornato da Costantinopoli con una cospicua raccolta di
29
GLI UMANISTI.
codici greci (1423),
anni
di
quel commercio, n lo
intralasci poi che casa d'Este (dal 1428) e la curia sotto Eugenio IV
gli ebbero assicurata men travagliosa esistenza. Una vera
e Niccol
classe di librai
la trasformazione
della
letteratura; le
sfoggiate cacciar di nido gli ultimi avanzi del buon tempo antico; raffreddarsi e vacillare la fede; fluire nelle vecchie forme letterarie il sangue classico e rinnovarle. Vespasiano fu l'uomo di un fug-
pompe
il
Leonardo Bruni vecchio e famoso; di passaggio per Firenze la visit pi volte Tommaso
da Sarzana, che, divenuto Niccol V, non isdegn di intrattenersi domesticamente con Vespasiano e lo volle alla sua mensa. 'Giano Pannonio
venuto a Firenze mentre stava per ritornare in Ungheria vescovo di
Cinquechiese (1459J, and a parlare con lui prima che con altri, perpizzicassero di lettere; vi compariva ogni giorno
ch
gli fosse
in quella bottega
del 1498.
g?jjjJJ
(1421-1498).
30
F^FjieKo
{l
x)
CAPITOLO PRIMO.
qualit pregevoli,
non fossero
proponeva
di
le
Que-
i.
GLI UMANISTI.
e al Marsuppini
del 13 aprile)
31
butt agli Albizzeschi. Invero da Cosimo non aveva mai ricevuto offese, anzi onori; ma si doleva della
le parti
politiche,
il
Filelfo
si
concedeva
a'
suoi nemici.
cidere
l'alto
il
di frate
il
Una
di
uc-
Ambrogio, se ne mostrava
vendetta
niero della fazione avversa. Al ritorno di lui cred quindi prudente andarsene a Siena, dove nell'ottobre del 1434 fu eletto ad insegnare rettorica
e lettere greche e latine; tuttavia
non
.-
a siena
1434-38 )-
una vasta opera, le Commentationes florentnae de exilio, che dovevano comprendere dieci libri in forma di dialogo, intessuti di discussioni metafsiche e morali e rilevati tratto tratto di accuse e di insolenze. La rotta del Piccinino ad Anghiari (28 giugno 1440) lo ferm
al terzo libro e gli ispir
a sagrificare
piccoli rancori al
la cassazione dei
confer
il
diritto di cittadinanza,
gli
e,
a Bologna
(1439; '
a Milano
(daI
U 9
32
CAPITOLO PRIMO.
nel 1441,
pensione.
L'umanesano presso
visconti.
Anche
accrebbe da cinquecento a
gli
settecento
fiorini
l'annua
litica,
in
mor
j-
la storia letteraria
ti-
rannia, che coceva tanto agli umanisti, costretti spesso da lui a scriver
volgare, ridonda anzi a suo onore, sia come un presagio dell'avvenire
e una reazione pensata all'andazzo del tempo, sia perch
ne
non
la
pra-
sapeva tanto da potersene servire nel rispondere alle orazioni che gli erano rivolte
n per rozzezza di gusto, egli che si compiaceva della lettura di Dante e del
ticava per ignoranza del latino,
di munificenze
ne fece compilare l'inventario (1426).
Cos bene comprese l'umore de' suoi contemporanei, che forse da nessun'altra corte in maggior copia che dalla sua uscirono manifesti e
libelli latini a spalleggiare i maneggi della politica ed
a tentar di
reggere gli ondeggiamenti della pubblica voce. Nella cancelleria, lieta
di giovani ingegaosi e piacevoli, si brunivano quelle armi, principal
fabbro il figliuolo di Uberto Decembrio, Pier Candido (1399-1477).
Manuele Crisolora lo aveva palleggiato bambino a Pavia, ma agli
studi lo avvi il padre, e tanto Pier Candido ne profitt, di s molteplice e feconda operosit vi fece prova, che nessuno pu contrastargli
il primo posto fra gli scrittori lombardi suoi coetanei. Mente versatile,
speriment ogni genere di letteratura; molto tradusse dal greco e dal
latino; nelle scritture storiche si dimostr osservatore acuto ed elegante narratore. Forza di avvenimenti, piuttosto che sua libera elezione o zelo d'opere promotrici del nuovo stato, lo condusse all'ufficio
di segretario della repubblica ambrosiana.
Il Decembrio serv il reggimento democratico (1448-50) collo stesso
parole sue
con
animo, colla stessa fede e colla stessa costanza
che avea servito il Visconti, n le lettere che scrisse a Carlo VII,
al duca di Savoia e all'imperatore contro lo Sforza gli furono dettate
da' spirito repubblicano, s da sdegno contro il duce fedifrago e dal
timore di vedere la sua Milano soggiacere all'odiata Venezia. Ma il
Filelfo, che per gelosia di primato fu sempre fieramente avverso a
navig pi circoLeuco lo diceva grecamente,
Pier Candido
p. candido
Decembrio.
il
sicch
la via dell'esigilo.
Ed
al
trionfar
mentre
il
33
GLI UMANISTI.
Roma,
di Napoli e di Ferrara, freddamente accoglienquando la milanese desiderata, laddove al dolcissimo e carissimo domino Francesco Filelfo fece buon viso il venturiero fortunato che, sebbene cresciuto fra le armi, pure non isdegnava
asilo le corti di
dolo a quando a
e gradiva
scelse a segretario il dotto Cicco Simonetta
che sull'ordito delle sue imprese gloriose l'umanista ricamasse ornamenti al suo trono non circonfuso di tradizioni avite.
Fece buon viso e diede buone promesse. Nell'aprile del 1451 una n Filelfo
e gli sforZA
provvisione annua di 600 fiorini fu assegnata al Filelfo come a pubblico lettore di rettorica; ma veniva lenta e saltuaria per le condizioni dell'erario esausto. Egli, avvezzo a far vita da gran signore
splendide vesti, lauta mensa, servi e cavalli , generoso fino alla
prodigalit e quindi bisognoso sempre di denaro, strepitava, insolentiva,
minacciava di andare a prender servizio presso i nemici del duca. Intanto libri ed abiti gli migravano di casa negli stipi di prestatori e
di usurai e dalla sua penna scorrevano lettere ed epigrammi, i messaggeri
per mezzo dei quali mendicava regali da questo e da quello con una
sfacciataggine da far ridere e coll'arroganza d'uomo che non chieda un
favore, ma rivendichi un diritto. Nel 1453 gli va a marito una figliuola
ed il buon padre impone un tributo determinato a principi ed a prelati Carattere
del FUelfo
per' compirle la dote. Un dovizioso amico gli promette in dono un cavallo, ma avendo saputo delle strettezze del Filelfo, gli manda invece
frumento e vino: tante grazie, ma... e il cavallo? S'avvicina la primavera ed ha bisogno d"un vestito da mezzo tempo: oh, glielo mander il marchese Lodovico Gonzaga od in cambio cento ducati. L'umanista pagava di parole, dicendo le lodi dei benefattori nelle sue poesie
spicciole o nella Sforzzade, il poema, anzi il capitale, che gi aveva
sottoscritto al banco sforzesco e di cui qualche parte poteva man mano
avere anche altri investimenti. Riceveva roba e quattrini e dava l'immortalit. Cos diceva e pensava il Filelfo, gonfio di vanit e d'orgoglio. Sparsasi la notizia, falsa, della sua morte, scrisse che in un certo
senso egli non morrebbe mai, perciocch mai nori poteva morire colui
che aveva facolt di richiamar a vita i morti e di uccidere i vivi. E
non si stancava di ripeter di s un altro luogo comune della rettorica
encomiastica (vedi per es. Salutati, Epist. voi. I, pp. 181-2; 337 sgg;
e Bruni, Epist. p. CHI), per il quale veniva a porsi sopra a Cicerone
ed a Virgilio, come colui che si vantava oratore insieme e poeta e
perito del greco quanto del latino. I principi accontentavano volonterosi
l'importuno accattone talvolta gli s'inchinavano dinanzi. Nel viaggio a
Napoli, che fece nel 1453, fu accolto con affabilit e liberalmente donato da Niccol V; creato cavaliere aurato e cinto dell'alloro poetico
da re Alfonso, cui rec in omaggio i dieci libri delle sue satire. Al
quale Alfonso, come gi a Carlo Gonzaga, rendeva altri servigi che
d'incensi, sollecitandogli con un'elegia (Odae, III, 3) le grazie della
bella Lucrezia d' Alagno. Che se poi alcuno non si piegava alle richieste o mancava alle promesse, il volpone scambiava il turribolo collo
le lettere
Rossr.
La
lett. ital.
nel sec.
XV.
34
CAPITOLO PRIMO
Cos fece con Pio
staffile.
grammi
velenosi
e, pi, la
II e gliene incolse
male, perch
gli
epi-
memoria
che
il
il
il
momento
di
sfruttare la
Tale era l'umanista da Tolentino: un miscuglio d'orgoglio e di bassezza, di ipocrisia e di temerit, di astuzia e di violenza. La severit
di questo giudizio si attenua, se
consideriamo in lui
il
padre e
il
ma-
rieri
per la necessit e tra per la vecchiezza ormai fora del birlo . L'anno
dopo occhie >-giava a Pisa. Finalmente Sisto IV gli confer la cattedra
di eloquenza nello studio romano. Dopo l'uccisione dello Sforza, il
Filelfo torn a Milano e vi dimor finch, cassato il decreto di bando
promulgato a petizione di Carlo Malcolore e di quell'ubbriaco di
ripullulavano nel vigoroso vecchio gli asti della giovine
Poggio
Lorenzo il Magnifico non l'ebbe chiamato a legger greco a
et
Firenze. Era appena arrivato col, quando mor ai 31 di luglio del 1481.
mi
umanisti
dispensieri
di
giona.
il Filelfo, cos gli altri umanisti, con audacia pi o meno bocredevano ed amavano farsi credere dispensatori di gloria o
.d n amia p er p e t ue Frullava loro insistente pel capo l'oraziano:
Come
f io Sa
si
e volevano che
GLI
35
UMANISTI.
ed in guerra, bella, ammirabile in ogni aspetto; per il conerano tenebre fitte. Assuefattosi a quel bagliore
lontano, l'occhio riprese a poco a poco la facolt di percepire anche
le cose pi vicine. Il Poggio in una lettera del 1433 (V, 6) teorizzava;
non esservi mai stata, dopo la caduta dell'impero, scarsezza di grandi
uomini e di grandi fatti, n esservi allora; molti di quelli e di questi
essere caduti in oblio e d'altri non sonare alta la fama, perch erano
mancate e mancavano ancora ai racconti le grazie della forma elegante. Pi ampiamente e minutamente svolgeva queste idee il successore
del Poggio nella cancelleria, Benedetto Accolti (1415-1461), che ne
intess il dialogo sull'eccellenza de' suoi contemporanei. C'erano dunque gli Scipioni, gli Augusti, gli Achilli; essi, gli umanisti, ne sarebbero stati i Livii, i Virgilii, gli Omeri. Fumavano gli incensi ed
i fumi montavano alla testa dei lodatori e dei lodati. In quegli sproporzionati paragoni era molto artifcio e molta consapevole ciarlataneria adulatrice ma vi doveva aver parte anche il concetto inesatto e
incompiuto del valore estetico delle letterature classiche, per ci che gli
perch non lo diremo?
eruditi del primo quattrocento furono
ammiratori e imitatori dell'antico orecchianti. Lenta s'avanz la scienza
in pace
.
,
J;
filologica
tardo e contrastato fu
impressioni. Certo
ai
mercato
si
il
mente
si
gli
adattavano
umanisti e
Accatto8
8
um anisti
parar destramente
nemico
della patria.
colpi di chi lo
Tornata
la
Teodoro
Gaza
-
36
CAPITOLO PRIMO.
Fama
Esempio
condizioni
umiliti.
n s ti
di
un
dileguantisi al tocco
rude della
realt. Il
fascino degli
studi attraeva
quegli uomini nei loro giovani anni, n bastavano a distorli dalla loro
via
persuasioni di parenti e
d'
amici mormoranti
il
distico
detestato
dal Poggio:
di cui forse
lucri,
si
rallegrava quel-
si
li
loro pianti
a cos umili
uffici
devono talvolta
piegare l'ingegno avvezzo a conversare con Livio o con Cicerone. Li incalza il bisogno o l'irrequietezza innata o l'assiduo desiderio del meglio
anguli costringono a mutar sede le guerre, le pestilenze, le carestie, le
stie dei comuni e dei principi, che lesinano o non pagano le provvisioni.
La vita di Giovanni Lamola (m. 1449) fu tutta un vagare per
;
37
GLI UMANISTI.
fra
il
428 e
il
dire di Giammario Filelfo, il primogenito di Francesco (1426vanit smodata, colla sfrontatezza nel chiedere, colFimColla
1480)?
pudenza nell' adulare, redate dal padre, egli congiungeva una forte
quilla.
Che
dose di scapestrataggine, una grande variabilit di indole, un'intolleranza spensierata d'ogni freno. Lettor pubblico di eloquenza o servo
di principi, non v'ha citt importante del Piemonte, della Lombardia,
della Liguria, dell'Emilia e del Veneto, ove non dimorasse; nel 1471 si
pos ad Ancona e vi rest per cinque anni, magnum aevi spatium per
lui. In ogni luogo soleva dapprima insegnare con diligenza e con plauso
un poema
fu infatti di una fecondit senza pari
scombiccherava
latino,
l'ufficio di
sempre
segretari,
rotti ai
midore a colpi
di
scrittoi
di trattati
filosofici
dei Visconti e
portanti,
ma
fin
guardavano
zito
38
CAPITOLO PRIMO.
Guarino
(7374-1460).
uomo
ricrearsi,
del
rinascimento,
dei
campi.
Ferrara mor nel 1460. Vi era stato chiamato da Niccol III d'Este,
in cui la disciplina di Donato Albanzani
un amico del Petrarca,
aveva instillato non mediocre amor degli studi e che, come all'Aurispa l'educazione di Meliadus e al Toscanella quella di Borso, cosi
volle affidata a Guarino l'educazione intellettuale e morale dell'altro
,
suo
figliuolo,
Leonello
governo
amme ^ e
di
Leonello
fu lui
il
discepolo di Guarino
s'in-
oas i
>
deliziosa, fra la
nebre d'ignoranza,
iperbole
rettorica di
Non
panegirista,
anzi illusione
veronese su Leonello e sulla vita letteraria ferfarsi amare con quel suo temperamento
bonario e gioviale, con quella sua piacevole socievolezza, modesto, senza
atteggiamenti studiati. La corrispondenza d'affetto fra lui e il principesco alunno, tenera ed espansiva, ha qualche cosa di commovente,
Compiuta 1' educazione di Leonello, Guarino divenne (1436) pubblico lettore nello studio. Nella scuola era una calca di discepoli avidi
^. asco ^. are j guo j commen ti agli autori .greci e latini; vi giungevano
sia stata l'efficacia del
rarese.
n metodo
didattico
uanno.
di
di
numerosi
figliuoli.
Si cominciava,
vecchio e non
Villedieu e colle regoluzze che Guarino stesso avea compilato
tina, col
poi ve-
,
'
39
GLI UMANISTI.
nivano
gli esercizi
di
che il maestro voleva fatta a voce alta, con pronuncia chiara ed accompagnata da una duplice traduzione, letterale
ed a senso, e da considerazioni sulla scelta, la propriet e la collocazione delle parole. I discepoli notavano via via e procuravano di fggersi in mente le frasi pi adorne, le narrazioni e le sentenze meglio
ammaestrative di un morigerato e nobile tenore di vita: studia humanitaiis et eloquentiae. Ad ingentilire gli animi conferiva anche la
gentilezza serena del maestro, che, vecchio, si compiaceva di assistere
ai giovanili sollazzi e giudicava pi profittevoli della barbara asprezza,
in uso nelle scuole, i dolci rimproveri. Dall'insegnamento ebbe Guarino
la sua fama; non dalle orazioni d'occasione, dalle versioni dal greco
e dalle poesie, nelle quali sperper la sua non felice attivit di scrittore. Uno de' suoi figliuoli, Battista continu a Ferrara con buon suc-
Vittorino
^Zull,
rovescio
sangue
il
La medaglia
gli
scolpita in suo
pellicano squarciatesi
suoi nati
il
il
af-
finch desse opera all'educazione de' suoi numerosi figliuoli, fatta ric-
casa zoiosa
le
invalse
austera e
pia,
come
di
CAPITOLO PRIMO.
di giochi, ai quali Vittorino assisteva,
spendeva per
pagavano anche per i poveri, e nelle sue generose elemosine; per s non faceva masserizia, sicch mor poverissimo.
Quella scuola diede frutti di sapienza e di virt. Ne uscirono maeDiscepoli di
vmormo.
^ri valenti, come Ognibene Bonisoli da Lonigo, che succedette nella
giocosa al feltrense tre anni dopo la morte di lui e che Vicenza contese vittoriosamente a Mantova; ne uscirono principi, come Lodovico
l'istituto,
dove
ricchi
trattati
pedagogici.
quello, raccoglitore
ordinatore
di
di libri e
virgiliano e largo di
commissioni e di
al grande Mantegna;
questo, con Luciano da Laurana, architettore del suo ducal palazzo, dove,
come in un museo, radun e statue e dipinti e arazzi fiamminghi ed
una biblioteca preziosa la pi degna che fosse mai istata da mille
anni a quel tempo .
Le questioni pedagogiche affaticavano, come ogni altra, che avesse attinenza col perfezionamento dell'uomo, gli spiriti del Rinascimento. Non
v'ha trattato politico o morale dal De republica di Uberto Decembrio
alla Vita civile di Matteo Palmieri, ove non sia parola dell'educa-
si
De
come
per
all'educazione dei principi
di
Savoia
I
Filiberto
di
Sforza
e
esempio, il Filelfo di Gian Galeazzo
sono esposte le teoriche, che Vittorino praticava nel suo ginnasio allo
alcuni
si
proposero
di dettar
norme
costume dei discepoli convenire non meno solcure che alla mente ed al cuore ; dover il maestro procurar di
conoscere le indoli, le attitudini, le complessioni e conformare a queste le correzioni, gli studi, gli esercizi del corpo; le punizioni morali dar
stato fisico ed al civile
lecite
GLI
41
UMANISTI.
si
XV,
secolo
a quell'et
si
il
Fanciulli
gere e dello scrivere, ed i saggi di dottrina precoce, anche se apparente, parevano un rifiorire di classiche costumanze. Dicono che a tredici anni Gianlucido Gonzaga, uno dei discepoli di Vittorino, componesse un poemetto, descrivendo l'ingresso a Mantova di Sigismondo
imperatore (1433); Cecilia, sua sorella, a dieci anni copiava il greco
con un'eleganza da far trasecolare il camaldolese Ambrogio. Di siffatte ostentazioni di ingegno e di coltura si compiacevano, sopra tutti,
i principi, che nell'educazione dei loro figli ponevano ormai ogni pi attenta cura in modo tutto speciale se ne compiacevano gli Sforza. Ad
otto anni Galeazzo Maria recit a Ferrara un discorsetto latino dinanzi
a Federico III (1452); a undici una lunga arringa nel Gran Consiglio di Venezia; a quindici un'orazione, maestosa di classica pompa, a
Firenze in cospetto di Pio, II; e quando, pochi giorni dopo, il pontefice fu
a Mantova per il Congresso (1459), la sorella di Galeazzo, Ippolita,
fanciulla quattordicenne, lo salut latinamente a nome del padre. Ammiravano presenti Federico III giudic il sermone del principino sforzesco cosa stupenda e meravigliosa Pio II notava che ormai
li gioveni dicono meglio che li vecchi
di Ippolita, uno fra gli uditori scrisse, che parl come una dea. A tutti certo era noto che quei
minuscoli oratori facevano mostra di merce d'accatto il Filelfo aveva
steso il primo discorso di Galeazzo Maria sulla traccia indicata dal duca,
che gli raccomand di non farlo pi lungo di due vangeli di San Giovanni per non affaticare troppo il piccino; l'orazione detta a Firenze
tra quelle di Guiniforte Barzizza (1406-1463), il figlio di Gasparino,
che dal 1456 era precettore di Galeazzo Maria e di Ippolita Sforza.
Piacevano la carezzevole voce infantile, la soavit della pronunzia e la
grazia del porgere. L'apparenza leggiadra teneva volti a s cos fortemente gli spiriti, che non vi aveano luogo n il disgusto di quello
spettacolo tra comico e pietoso, n la compassione per quei poveri automi, che gabellavano per fanciulli miracolosi. E poi v'erano gli esempi
antichi: Roma sotto Traiano avea visto un ragazzino dodicenne ricever
il premio dell'eloquenza latina, ed il minor Plinio si vantava in un'epistola di aver composto a quattordici anni una tragedia greca.
;
Anche
erudu
42
CAPITOLO PRIMO.
predicare, anche a
moralisti
non cessavano
di
la dottrina e l'elo-
Gamdome-
Isotta
(1418-66).
di
costanza
varano
(1426-47)
L'uma
nesimo e
la
religione.
g con fessassero a j fra ti minori; in sul mettersi a tavola e in sul levarsene, recitava loro le preghiere della Chiesa. Neppure Guarino
trascurava l'insegnamento religioso conduceva ogni mattina i convittori al divino ufficio e, nella scuola, confutava coll'autorit dei Padri
le favole pagane. Ci nondimeno a qualche austero zelatore della fede
.
quegli istituti, dove era fatta s gran parte alla lettura dei classici, non
andavano a sangue. Nella quaresima del 1450 l'umanista veronese ebbe
a sostenere una polemica con Giovanni da Prato, un monaco, che dal
GLI
43
UMANISTI.
modo
intenti, si perpetu lungo i secoli, dai primordi del cristianesimo ai giorni nostri e che forse la pratica dell'avenire assopir, rendendola vana. Nei secoli XVI e XVII assunse
L'aspetto e
il
il
classicismo risorto,
fu
XV,
trionfante tra
questione essenzial-
poeti;
men
ma
tempo e
que-
solleci-
tudine allo studio delle sacre carte. Erano spesso rammentati Agostino,
rimorso dalle lagrime, ch'egli aveva versato sulla morte di Didone, e
Girolamo, tratto in sogno dinanzi al tribunale di Dio per i suoi ardori ciceroniani e costretto a promettere di non ricader pi in quello
od in simile peccato. Il Petrarca e il Boccaccio avevano preso a difendere i poeti; poscia quanto pi intenso e generale si fece l'amore
per i classici, tanto pi veementi e metodiche divennero le aggressioni
e pi calde le apologie. Nel 1378 Coluccio Salutati rimbecc con una D 8pute dei
lunga epistola il cancelliere bolognese Giuliano Zonarini, che aveva |a zonar?nf
osato chiamare Virgilio vate menzognero (mentificus), e nuovamente
10 incalz poco dopo eoll'occasione, che nella disputa era entrato a favore dei pagani anche il notaio Domenico Silvestri da Prato. Pi
fiero avversario degli studi classici fu il frate camaldolese Giovanni con go. da
da San Miniato, che s'argomentava di distorne Coluccio stesso (1400) fi^oo-MoS).
e poi (1405) Agnolo Corbinelli, uno dei giovani, che pi avevano caldeggiata la venuta del Crisolora. Poesia, rispondeva il Salutati, ripigliando concetti sanciti dal consenso delle tre corone fiorentine,
un parlare coperto, nel quale il bel velo delle favole nasconde agli
occhi del volgo la verit n altro che poesia sono le sacre scritture,
che nascondono il vero sotto figurato sermone. Queste non meno che
le opere dei poeti pagani contengono racconti di delitti e d'immoralit,
n in qualche parte sono meno lascive. Perch dunque si dovr vietare ai cristiani lo studio dei poeti gentili ? Gli stessi Padri della Chiesa
11 citano spesso e non ne sconsigliano la lettura, se non in quanto interdicono il fermarsi soltanto in essi. Quivi traluce sovente un raggio
della divina verit, rivelantesi per bocca di quegli stessi che ne erano
ignari; quivi poi la fonte, onde scorrono nelle opere nostre le grazie del dire, la propriet dei vocaboli, la maest dello stile, i pregi
insomma, che danno loro durevole vita e diffusione. Tu (conchiude il
Salutati nella prima delle due epistole al camaldolese), com' della
santa salvatichezza, quod sanctae rustictats est, sei utile solo a te
stesso, io mi sforzo di giovare a me ed agli altri .
i
44
CAPITOLO PRIMO.
In quei d nei crocchi fiorentini la disputa sugli antichi era in voga
ne taceva, un gran discorrere nell'un senso e nell'altro. Leonardo
e se
con go.
Dominici.
Bruni traduceva appunto allora (1404-0 1405) l'opuscolo di.Basilio de lelibris ed .a, Giovanni Dominici la seconda polemica del Salutati col camaldolese suggeriva forse la Lucula noctis.
Figlio d'un povero setaiolo fiorentino, il Dominici (1356-1419) fu de-
g en(f s antquorum
.
sto agli .ascetici fervori dalla vista e- dalla parola di santa Caterina e
giovinetto s'ascrisse alla famiglia-domenicana, in Santa Maria Novella
Uomo animoso
e risoluto,
dell'ordine specialmente a
La Lucuia
no c
i is
(H05).
il
cui
si
ponevano
renzio prima
'
mano
in
Cicerone,
Te-
facevano loro conoscere Giove, Saturno e Venere prima che il Padre, il Figlio e lo Spirito* Santo. Di leggere e studiare scrittori pagani concede soltanto a. chi sia gi ben addentro nei misteri della religione- ed abbia profondamente radicata
nell'anima* la fede e conoscenza piena delle opere e delle dottrine a
questa attinenti. Di leggerli o studiarli, non per trarne, come i pi
facevano allora, onore e guadagno o per puro diletto o con intenti artistici, s bene per rilevarne quel poco di buono che contengono e combatterne gli errori ;a maggior gloria di Dio. E pi utile ad un cristiano, egli dice con frase rude e quasi paradossale, arare la terra,
dei. libri
sacri e
si
che studiare
libri
dei
gentili ,
perch quello
ordinato da
Dio
n come questo si tramuta di leggeri in un deplorevole abuso. Il Dominici non dunque un vero ed intollerante denigratore dei classici,
che ha letto e cita nella stessa Lucula, ma un implacato nemico
dell'avviamento, che venivano prendendo allora gli studi. Eppure Coluccio, nella lettera che gli scrisse poco prima di morire, si rallegrava
d'esser nei principi d'accordo con lui e ne accoglieva, sia pur con
discrezione, i precetti. Pare strano e non .
uomo pio e religioso, che piegava la filosofia pagana
IL Salutati
a ^ servigio delle verit predicate dal Vangelo- e lo stoicismo succhiato
che spontaneamente
da, Seneca temprava di cristiana ^rassegnazione
raccomandava agli eclesiastici .di leggere con cautela gli scrittori genSalutati, non vide i pericoli della via per la
tili (Epist., II, 146), il
;
La
fede
umamsti.
emularne
le splendide
forme conducevano
classici, e la
neofiti proprio
bramosia di
a quella-
45
GLI UMANISTI.
buso che
Dominici detestava
il
il
giorno
pi dagli studi. Gli argomenti stessi che Coluccio traeva dalle sue convinzioni di fervido .e sincero credente a difesa dei poeti antichi, ridon-
a <che
Vangeli, se
le,
stesse verit
sacri
le stesse
<e
le
proprio negli anni in cui era ingolfato megli amori, andava ogni matuna cappella dedicata alla Vergine
Erano
Vittorino
di
poi ripudi
non
invece
sapeva
gli studi
sostenere
intiepidendosi;
dominava
la
l'indifferenza.
la
lettura-
mistici
dei
favole per
secolari e le
gi ricordato Maffeo
il
Spiriti
gli umanisti,
sacri
consa-
Vegio. In gene-
vide con intuizione profetica dell'avvenire, assai pi chiaramente che Cola storia imparziale deve rendergli questa giustizia
luccio
la china
per cui l'umanesimo traeva gli spiriti. Per lui essa era il precipizio, in
fondo al quale stavano le tenebre del materialismo e della miscredenza
'
La voce
del Dominici
quanti altri
vescovo
di
di
si
fecero
L'umanesimo segu
il
di,
Cicerone;
46
CAPITOLO PRIMO.
l'arcivescovo di
l'uno
di
cultura.
papi, clic
Pileo
de' Marini
che,
come arcivescovo
quella citt la nuova
e diffondere in
^ui9-3i7"
di
di
acquistato
nome
quasi popolare col formulario della nuova epistolografia pontifcia. Era uomo di carattere gaio e d'abitudini spenderecce
e
ben s'appaiava col Poggio, in cui Roma aveva spento
strana vi-
bugiale,
un luogo
gli addetti alla curia si raccoglievano, cessate le occupazioni d'ufficio, in piacevoli ed allegri ragionari: erano leggiere discussioni di morale, erano racconti di burle,
di scenette gustose, di motti salaci. Il Poggio poteva riandare con Aga-
pito Cenci
da Montepulciano
si
cari ri-
sollazzavano architettando
burle, che s'ha a dire non fossero sempre di buona lega, se ad un povero prete, che parve loro troppo scrupoloso, perch avea restituito
dieci grossoni frodati alla curia al tempo di Giovanni XXIII
diedero
a bere che il Loschi era l'esecutore testamentario di Giobbe e, sotto
specie d elemosina a suffragio dell'anima del testatore, spillarono tanti
quattrini da poterne fare un lauto banchetto annaffiato d'ottimo vino.
,
(Poggio, Epist.,
II, 8).
GLI
tifici
47
UMANISTI.
alle dotte
e nella cella
ottenuto
anche per
altri rispetti
non
Bench
fosse
non
Niccol
(
1447* 55 >-
CAI'ITOI.O
Il
pio sar/.anese,
come ritempr
PRIMO.
laiche
dovette
per sentimento,
nella'
libera
che tutto
il
tendenze.
Rinascimento ab-
bia creato.
D breve regno
riluto in.
al passato.
non sorridono
gli
pjo
(1458-61).
<
le gioie,
cardinale
Capranica. In servigio d'altri prelati dovette pi volte alItalia, in Francia, in Inghilterra, in Iscozia;
lontanarsene e viaggi in
e,
commentari del
Le sue
orazioni e
GLI
49
UMANISTI,
alle gravi
l'amor della quiete e della solitudine, il gusto del bello artistico e l'ammirazione intensa, quasi voluttuosa, degli spettacoli naturali e trov il tempo di attendere agli studi
e di aggiungere alle molte altre sue opere storiche e morali, delle
cuore
quali
Commentari
stavano in cima de' suoi pensieri gli obblighi dell'alto ufficio e, pondesiderava onore d'opere utili alla religione. Pio non aveva
tefice,
ucciso
quale
dal
Enea
si
1453 padroni
un concetto
i
Silvio,
ma
lo
sforz di indurre
principi alla
di Costantinopoli,
ma
crociata
contro
Turchi,
danni, che alla religione potevano venire dal trionfo del classicismo.
Rossi.
La
lett.
XV,
50
CAPITOLO PRIMO.
anno
e mezzo morr anche Francesco Sforza. Il periodo, in cui vennero preparandosi gli elementi del rinascimento letterario, volge alla
fine; presto sbocceranno i nuovi fiori e
nuovi frutti matureranno.
Della vita intellettuale italiana in quel periodo abbiamo ritratto fin
qui soltanto le pi solenni parvenze esteriori: uomini e congegni che
la rappresentano e le dnno gli impulsi pi efficaci. Nei prossimi cai
pitoli
la.
vedremo operante:
critica e creatrice.
CAPITOLO SECONDO
Xvl
Lo
letteratura, critica.
Due
scuole di umanisti: la scuola degli impressionisti e la scuola scienLe poRe Alfonso d'Aragona.
opere di Lorenzo Valla.
Greci
Gli studi del greco.
lemiche del Valla. Trionfo della scuola scientifica.
Giovanni Argiropulo,
Le traduzioni dal greco.
in Italia: Giorgio da Trebisonda
della Chiesa
Il concilio per l'unione
Demetrio Calcondila, Costantino Lascaris.
stile latino.
tifica.
La
vita e le
Le polemiche fra i
Giorgio Gemisto Pletone.
Bessarione.
Il
Questioni linguistiche.
L'umanesimo e la letteratura del Trecento.
Greci.
certame coronario.
i 25
di.
Il
serv' nella citt pi e pi giovani avidi di dar opera alle lettere, specie
;
Dispute
tostudio.
dugencinquanta fiorini. Donato Acciaiuoli, un giovane sui venticinque anni (1429-1478) di nobilissima famiglia, prossimo a segnalarsi
in cospicui offici ed importanti in patria e fuori, Alamanno Rinuccini
(1426-94), pi tardi traduttore di Apollonio Tianeo e^di Plutarco, ed
altri che solevano ogni giorno radunarsi insieme con loro per supplire
con private -esercitazioni di eloquenza .alla mancanza delle pubbliche
cattedre disertate dalle guerre e dalle morti, gridarono allo scandalo:
non che di Firenze madre delle
quella provvisione essere indegna
lettere, di un borgo come Prato, fatta a posta per annientare lo Studio,
un atto di spilorceria da bottegai rozzi e ignoranti. Peggio, quando
di
si tratt nei consigli dell'elezione dei maestri. Essi, quei giovani, desideravano venisse alcun forestiero illustre e .provetto nell'insegnamento;
a Firenze invece v'erano dei temerari, che usciti appena dal volgo
fio-
er
'.
52
CAPITOLO SECONDO.
8
iettino.
Due scuoia
i
urnaaibU-
cursus),
di
cui
si
monotonia
di
tempi e
di
cadenze
maste nascoste per entro alle sue lettere. Gli studi del Loschi su
Cicerone erano stati pi d'arte oratoria) che di stile, ed il Barzizza,
11 grande ciceroniano, aveva s formulato nel De compositione le leggi
della collocazione delle parole e del ritmo, ma, desumendole spesso da
.Marziano Capela, anzi che dell' esame; diretto delle opere classiche,
e solo come guida a' suoi discepoli. Di. alcun, favore avevano goduto
gli studi ^ortografici per il sussidio, che ne; veniva alla corretta trascrizione dei testi: Coluccio vi si era affaticato intorno tutta la. vita con
una pertinacia, che parve a pi d'uno pedantesca; il Niccoli scrsse
un trattateli d'ortografia latina, ed un altro, seguito da un dizionario,
LA LETTERATURA CRITICA.
il
53
ed
erano tenute a vile si derideva chi disputava qual fosse migrammatica se quella di Terenzio o quella di Virgilio, o chi si
gingillava con inezie; il Guari qo stesso proverbiava gli eruditi, che
consumavano il loro tempo intorno alle figure, ai casi, ai gerundi, e
scherzosamente diceva esser costume dei ragni, non delle aquile, prender le mosche. Gran paladino della scuola, che direi degli orecchianti,
se questa parola non avesse un senso tanto o quanto dispregiativo, o
listiche,
glior
degli impressionisti, se
non offendesse
il
geniale tra
gli
ziano, fu invece
umanisti della seconda met del secolo, Angelo Poligrande seguace della scuola scientifica. Della quale
Loreto
(H05-1457).
culmine
compiacimento le
e con temeraria baldanza
enumerava con
aveva seminato il suo cammino
rovine, di cui
si
infinito
^l^
54
CAPITOLO SECONDO.
la pratica dell'onesto e
Tosto
si
leva
il
ottenere
plativa
per sottrarsi all'infamia. Anche la vita contemnon alla piena tranquillit della mente. Ond'
vocabolo vano e futile, una fantasia degli stoici, per la
la gloria o
non tende,
che l'onest
se
si
offrire
zione tra
sommo
comporre la lite,
che hanno parlato da filosofi pagani,
tuttavia nel suo giudizio si dimostra assai pi favorevole
essi cristiani
agli epicurei che agli stoici, perch anch'egli tiene vana e frivola {inane
quiddam et nugatorum) l'onest predicata da questi, come priva di uno
scopo fuori di s, laddove gli epicurei, ponendo il piacere a fine supremo
della vita e sommettendo ai maggiori godimenti i minori, si accostano
assai pi alla morale cristiana. La fede ha completato le loro teorie,
monche e perci riprovevoli, trasportando il sommo bene da questa nell'altra vita, sostituendo al piacere terreno la beatitudine celeste, che
il
rimprovera ambedue
disputanti
il
Niccoli, invitato a
la
meta suprema
delle
umane
azioni.
L'opera del Valla non ha grandi pregi di esattezza storica, ma rivela un'originalit di pensiero rara in Italia a quel tempo. E un'affermazione solenne del cristianesimo contrapposta alla trascuranza degli
adoratori fanatici dell'antico;
un audace
tentativo
di
conciliar le
il
uno
dei pi famosi
supremo da
anche
lui .
Un
spirava nella
55
LA LETTERATURA CRITICA.
lui, disdisse
il
suo assenso ed
il
si
vide
costretto a
mutare
gli interlocutori.
questo sottentr
il
De vero dono.
In sul principio del 1433 un altro suo scritto fece grande rumore,
Era una lettera, nella quale egli criticava acerbamente l'opuscolo di
il
titolo
inietter
giuristi
(1433) *
Gli umanisti,
antichi,
occhio
anche se
un
po' ispidi nel tratto e burbanzosi. Aggiungi qel tantino di gelosia, che
dovevano destare la pi elevata condizione sociale ed i pi lauti gua-
dagni.
gli
piacque di feste e
ma non
di
Si
com-
i sudditi con balzelli e colla venPer raccogliere .monete antiche, gemme, ricche
suppellettili, libri non badava a spesa e premiava i soldati che gliene
recavano dalle citt saccheggiate. Nel 1451 l republica veneta gli
mand un braccio del preteso cadavere di Livio scoperto a Padova
quasi quarant'anni prima; Cosimo de' Medici, pegno di pace, un co-
lit,
si
dlNapolu
50
CAPITOLO SECONDO.
che manteneva
terati,
loro conversazione
si
in
fiorini l'anno;
della
e a discussioni. Era f ora del libro: dalle finerumoro e la brezza fragrante del golfo; Capri e il
Vesuvio si disonnavano sullo sfondo del cielo e del mare. Non molto
esperto di Latino, il re non poteva naturalmente gustare quelle fini
bellezze di lingua e di siile, ohe erano la delizia degli umanisti; gustava il racconto delle grandi imprese nelle storie di Livio e di Curzio
ed in luci suo eclettismo, che non tanto larghezza di mente quanto
assisteva a
letture
veniva
sire
il
li
Il
conquista
per
lui
di
lotte,
eppure
di
H dialo 0
Delibero
M lil0
'
ha destinato
il
quale ascolta
a cui
lo
togliere
il
il
volere
di
I filosofi,
non
pericolo di eresie.
dar la scalata al
Non seguiamo
cielo, furono,
come
giganti,
precipitati
sulla terra e
ed alla carit,
problemi dell'infinito.
non
^puta"
LA LETTERATURA CRITICA.
una selva
di
57
cavilli
di
distinzioni
Valla
si
cedergli tra'
alla luna,,
filosofi il
nonch
al sole, fra
gli astri.
Scrisse assai
pi degli
altri,
ma non
di
opusc<
sulla
deva insieme
la
'
Ormai
l'autorit del
diritti al principato
Niccol da Cusa, che fu poi cardinale di santa Chiesa. Il Valla riprese la questione e la tratt con severit di metodo e con ampia
non attendibile la tradizione del battesimo amministrato a Costantino da papa Silvestro e quindi della; guarigione di
quello dalla lebbra, ed esaminando frase per frase Tatto di donazione
dottrina, dimostrando
53
CAPITOLO SECONDO.
finiva
padre
r,a
storia
JaidJt
(
|445>-
tutti,
il
e di gustosi episodi.
provvedere
alla
il
secolo
XV,
J^i^
dai vaila,
(1442). Se
non
clesiastici lo
59
CAPITOLO SECONDO.
civescovile. Ritrattarsi
non
ardelle
che
si
lo
mandassero
assolto.
Intanto desideroso di rivedere la vecchia madre, egli andava tastando il terreno con lettere a cardinali e ad amici, se senza pericolo
potesse ritornare a Roma, dove non avea pi messo piede da quattorDel salvacondotto, che Eugenio IV gli mand, credette prudente non approfittare temeva forse di un tranello teso da' suoi nemici
dici anni.
per farlo cader nella rete e prefer giustificarsi al papa con una lunga
Apologia. Nobile scritto, nel quale sfoga il suo malanimo contro gli
accusatori ed i giudici del processo napoletano e, senza ripudiare le
proprie dottrine dimostra come esse fossero pienamente ortodosse,
come anzi per lo pi non avessero nessuna attinenza colla fede. Dello
scritto sulla donazione tocca appena con un fuggevole ricordo.
Nell'autunno del 1446 fece un breve soggiorno nella citt eterna; u vana
non vi spirava aria favorevole a lui, pontificando il burbero Eugenio IV. d Si44S).
Poi che gli fu succeduto Niccol V, il Valla abbandon per sempre la corte
(
Roma
(1448).
Fu
scrittore
privato
e nel
e,
sotto Calli-
pubblico Studio
dell'autore. Colle
Eleganze
il
Valla
si
propose di restaurare
la lingua
mondo non
colle
Villedieu
Vlp
*tiat
60
LA LETTERATURA CRITICA.
Donato non
impauriva
quanto fondandosi sulla pratica degli ec Quod ad elegantiam pertinet, ego pr lege accipio
quicquid magnis auctoribus placuit (III, 17). L'opera quindi per
L massima parte una raccolta di esempi desunti dai classici, specie da
Cicerone e da Quintiliano, acconciamente disposti in gruppi e pervia
di ragionamento collegati ira loro e interpretati. I primi
tre libri
lo
cellenti autori.
trattano delle parti del discorso, delle loro propriet e della loro colLocazione nel periodo e rilevano alcuni eleganti usi grammaticali. Vi
troviamo, ad esempio, chiaramente formulata la differenza, disconosciuta,
da Prisciano, tra
(picllo
del
quod dopo
prezzo
poi
il
il
(111,1).
il
verbo vdeor
Uno
una specie
di
li
(111,51); esposta la
caso genitivo e
combattuto l'uso
Eleganze, insegna
quarto libro ed il quinto accolgonodizionario dei sinonimi latini; nel sesto il Valla assurge
natura pi elevata e, confutando le opinioni di an-
petto uso di
a materia
di
possessivi (11,1);
suus e
di eius.
Il
Varrone, di Boezio e di pi altri, si stuben definire il significato di molte parole latine. Quivi il filologo
si rivela ancora una volta filosofo. Per converso nelle onere filosofiche e
storiche deJ Valla si intravede sempre il filologo. Filologo egli essenzialmente ma al suo ingegno fanno difetto cos la forza sintetica
come quel che oggi dicono genialit maestro di stile, non stilista ha
dia di
squisito
il
il
ai quali egli
Alfonso
si
m
oo iche
personali.
11
Valla
ebbe a
difendere
le
Eleganze
dalle
censure
di
An-
LA LETTERATURA
CRITICA.
01
uno di quegli amici dei crocchi pavesi, dalle cui conversazioni era venuto alimento al suo amore per le questioni grammaticali e lessicali n lo fece senza riveder le bucce all'opera del Raudense De imtatone latinae eloquentiae (1444). Bartolomeo Fazio, da
Spezia, un discepolo di Guarino, che, posta nel 1444 sua sede a Na-
tonio da Rho,
poli,
di
UH
dove
gi
li
avesse a-memoria.
XV
le
tracce di tutto uni rivolgimento degli studi, del trapasso dalla con-
siderazione, geniale
s,
ma
superficiale e
, toserei
dire
il
02
CAPITOLO
SECONDO.
calma anche dal Fielfo. Ma non sbollirono del tutto le ire. L'anno dopo
il Poggio da Firenze, ove s'era ridotto a vivere,
volgeva, stuzzicato,
i
suoi strali contro Niccol Perotto, un giovine marchigiano (14301480), discepolo e fautore del
Valla,
allora
segretario
cardinale
del
una
venisse al sangue.
si
ii
triodo
metodo
scientifico,
al
aizzato,
il
senatore di
studi
che gi il Salutati presenti, ma che per quasi mezzo secolo
li
del
lia'epistola
puroletta.
forse
Intanto,
toria
di
Livio
mezzo
rest trascurato in
alla deliziosa
sterili
sdilinquimenti
troppi altri.
De generibus metrorum,
Perotto of-
primo tentativo
di formulare di sull'esame diretto dei poeti le leggi della metrica latina.
Alcuni anni dopo, il Perotto stesso scriveva (1468) i Rudimento, grammatices, la prima grammatica scolastica ispirata da' nuovi metodi, ben presto emula fortunata del Dottrinale, e poneva mano alla Cornucopia
commento voluminoso e farraginoso di Marziale, che pu considerarsi
un ricchissimo lessico, dove intorno ad ogni parola raccolta una
serie abbondante; di derivati e di sinonimi con citazioni e richiami
continui d'altri scrittori. Nel 1471 le Elegantiae erano messe a stampa;
chiudiamo il cerchio che abbiamo
nel 73 Alamanno Rinuccini
salutava
cominciato a segnare in sul principio di questo capitolo
nel Valla il vero rinnovatore del venusto scriver latino. Pur non cessarono le polemiche. Il Valla era morto il primo d'agosto del 1457, due
friva al pontefice l'opuscolo
il
ma
le
continuarono
pi tardi alcuno
cause e
gli intenti,
tri trapassi e
Giistudi
dei greco.
elei
ad
lottatori.
Ormai
della
Impareremo a conoscere
lotta
si
sono
additati
altri contrasti ci
ad
le
al-
il
vo ig ente
sforzi,
ad imparar bene
il
63
LA LETTERATURA CRITICA.
menti ciarlataneschi. Molto di vero era nella parte critica del discorso.
La conoscenza del greco si diffuse in Italia assai pi lentamente che
non si crederebbe, pensando al fervore suscitato dall'arrivo del Crisolora a Firenze. In sulle prime non mancarono neppure gli oppositori.
Lorenzo de' Monaci, che fu segretario del senato veneziano ed amico
giudicava inutile lo studio di
del Bruni e di Francesco Barbaro
quella lingua ed inutili le traduzioni. Nel 1455 era ancora possibile
che in codesta sentenza concorressero, sia pure tratti dall'ardor della
disputa e da necessit di difesa, due umanisti. Intendo quel Tommaso
Seneca da Camerino, che ho rammentato dianzi e Giannantonio Porcellio de' Pandoni, un napoletano, venturiero della penna, che nelle
sue lunghe peregrinazioni si trov a vivere insieme col Seneca alia
corte di Sigismondo Malatesta. Da Firenze plaudiva loro il Poggio (EpisL
,
XIII, 24).
gio natio
Ma Basinio Basini (1425-1457), che, lasciato il suo villagsu quel di Parma, per recarsi alla scuola di Vittorino da
vore
di
che
non pur
zoppicava
ad
Romani
dei
ogni
istante
malumore
il
e pregiato,
del
fa-
greco e a dimostrarne
antichi,
nella
ma
la
e del Porcellio
metrica appunto
per
al Basini
libri,
CAPITOLO SECONDO.
esperti
greco,
[[;;_'"
e,
grande
efficacia didattica.
ellenisti,
vennero
Il
il
pi utile agli
tra
primi venuti, fu il Gaza, uomo, s' detto, di carattere mite
d'ingegno vivo ed elegante, ben diverso dal litigioso ed ispido Giorgio
da Trebisonda, che Lo aveva preceduto di alcuni anni. Nato nel 1395
a Creta, questi ra gi professore a Vicenza nel 1420; mentre insegnava a Venezia, sostenne (1437) una polemica per certe aspre censure
sii lisi iebe, clic nel quinto libro della sua
Rettorica aveva mosso ad
un'orazione di Guarino, gi suo maestro; poi si allog presso la curia
stilili,
pontificia,
torn, riprendendo
ancora, creandosi
del
il
suo ufficio
di
segretario,
altri
pi
Roma
volte;
e vi
battagli
entrare nelle
grazie
clie
e
.
nardo Giustinian,
fra
il Filelfo ed altri vi esercitarono la loro attivit
segnal per questo rispetto Leonardo Bruni. Nei primi anni
del secolo tradusse, oltre al gi rammentato opuscolo di san Basilio, alcune orazioni di Demostene e di Eschine, pi vite di Plutarco e il
;
tutti si
De
poi per i conforti del Salutati e del Nica Platone, di cui vagheggi forse una versione completa,
e fece latini il Fedone, le epistole, il Gorgia, l'apologia ed il Fedro',
quest'ultimo intorno al 1421. E gi quattr'anni prima aveva dedicato
ty ranno di Senofonte;
coli si rivolse
a Martino
della scolastica, ed in
LA LETTERATURA CRITICA.
nell'
G5
chi deplorava
l'
abbandono
delle viete
fiume
di
e la grazia ; che renda l'onda armoniosa del periodo ed insieme l'eleganza elei concetto, la numerositas e V amoenitas. E il principio, cui
si informano in generale i traduttori latini del secolo XV, pi curiosi
degli ornamenti stilistici, che della fedelt, intenti a riprodurre i concetti piuttosto nel loro insieme che nelle particolari determinazioni,
pi desiderosi di offrire al pubblico libri di piacevole lettura, che im-
dotto la Ciropeiia,
delle parole,
ma come
scrit-
tore di storie,
si
quattro
libri
Le
dello italico
adversus Gothos senza far menzione delle sue fonti. Ne aveva attinto
soltanto la materia la forma elegante e maestosa alla foggia liviana
era tutta sua; onde in un' et che alla forma dava tanta importanza,
le accuse di plagio, provocate dall'ultimo di quegli scritti, potevano di
;
non era
ingiusto
il
giudizio,
della sua
Roma,
si
propose Niccol V,
e,
ne persegu assiduamente
metodicamente l'attuazione durante tutto il suo pontificato. Al Trapezunzio ed al Gaza affid Aristotile; gli storici ed i geografi agli umadefinito disegno e
Indurre nel sonante esametro latino la divina poesia d'Omero, che giaceva tramortita nella rozza versione letterale di Leonzio
Pilato e nella prosa disuguale e malfida del Valla, era ufficio, cui il
papa cerc amorosamente un degno eseguitore. La morte gli rap Carlo
Marsuppini, che gi gli aveva offerto, saggio pregiato, il primo libro delV Iliade; la morte colse il pontefice poco dopo che egli aveva commesso la traduzione metrica dei due poemi al Filelfo premio diecimila zecchini. Lauti compensi fioccavano ai traduttori: il Tucidide
nisti italiani.
Rossi.
La
lett.
ital.
nel sec.
XV.
Niccol v.
traduzioni,
03
CAPITOLO SECONDO.
Per vero Je pi
Dopo la met del
bone.
di
Guarino per
primi dieci
libri
Po-
il
di Stra-
Il
concilio
cinese
(1438-39).
la
caduta
dell'impero
Bizantino
ma
pi
il
concilio
di
che
mezzo
iiBessarione.
logiche,
di
il
07
LA LETTERATURA CRITICA.
successori, onde
venne
affidate legazioni
trovavano conforto
di
li
siliani,
modo
di Piatirne,
ili
dei neo-platonici e di
nuovi conquistatori. Nell'opera sua principale, le Leggi (vuot), ed in alcuni opuscoli aveva architettato, con elementi desunti dalla Poltia platonica e dalla costituzione spartana, il disegno d'uno stato ideale, monarchico, coi cittadini
distinti in tre grandi classi e fornito d'armi proprie, al quale, poich
ormai Gemisto non fidava nell'efficacia moralizzatrice del cristianesimo,
avrebbe dato fondamento la nuova religione. Da Zeus, causa prima dell'universo, uno, perfetto ed anteriore ad ogni causa ed al tempo, emanano
secondo le strane, ma non del tutto originali fantasie di Gemisto,
per varie guise i tre gradi dell'essere: le divinit eterne ed ultracelesti (vTzspovpzvtzi) personificanti le idee, la cui serie va da Poseidone,
l'idea delle idee, a Demeter, l'idea del mondo vegetale; le divinit immortali e celesti (* vrg ovpxvov), dal Sole ai Demni; l'uomo, anima
immortale migrante d'uno in altro corpo mortale, e la natura inanimata
e mortale. A Mistra, l'antica Sparta, dove pass almeno una met della
lunga sua vita, Gemisto iniziava i suoi discepoli meglio provati a codesta religione della quale stabil il calendario, le cerimonie, le preghiere, gli inni, fidente nel prssimo trionfo di lei.
,
Giorgio
Gemisto
(1355-1450).
GS
CAPITOLO SECONDO.
aulico,
Gennadio,
il
divenuto, sotto
lui,
il
nome monastico
di
.....
paganeggiante.
Le
polemiche
lino
af M62.
Ma
in Italia essa
mantenne
Il
Bessarione,
Gemisto,
gli
di codeste questioni,
riguardante
contesa
si
il
lettera
tolse
devoto
schiarimenti intorno
argomento
(nspt xvriov
lungamente
discepolo
jmk xou<r/bu)
dall'
ultima
scrivere
e per pi anni
un
la
dottrine profes-
sate da Pletone. Questi, nel suo confronto fra i due filosofi antichi,
avea combattuto Aristotile anche per ci ch'egli asseveri, operar sempre
la natura ad un fine ma senza consapevolezza n premeditazione (cap. 17)
ed il particolare generare l'universale (cap. 4); ed avea sostenuto, con Platone, che la natura agisce con coscienza {consulto), e che le seconde sostanze di Aristotile non vogliono essere subordinate alle prime. Il Gaza
prese a difendere lo Stagirita dalla prima di codeste critiche nell'opuscolo
ori n fmspauhvsTxi e provoc un breve scritto del Bessarione diretto a mostrare che i due filosofi non erano cos discordi nei loro concetti come poteva parere. Aristotelico intollerante, il Trapezunzio entr allora nella
disputa in favore del suo idolo colla dissertazioncella, in forma di lettera,
ti yv'nq povlevsTxt, irta di punte e di contumelie contro gli oppositori. La
questione era grave, pi forse che non avvertissero i contendenti; si trattava di risolvere se il mondo sia retto da forze cieche o da una
volont cosciente ed immanente nelle cose; si rasentavano e si var-
LA letteratura critica.
09
cole, puerile
luto;
pretende
far di questo
quasi
un profeta
attenzione al fatto
fisico
egli
secondo
(1462-71
70
CAPITOLO SECONDO.
a divulgare la conoscenza dei sistemi filosofici antichi, specie del platonico e del neo-platonico, e a provocare quello che fu uno dei principali
Quando un'et
L'amanee1tcr,tur;v
avviamenti del pensiero italiano negli ultimi tre decenni del secolo.
moto "
0,1
'
fautori
pr-
nell'esultanza
che
A
r
Trec-nto.
cade. 11 giudizio, che ne recano, e d uomini che non possono ancora
essere storici
dell'et
sull'et declinante,
il
giudizio spontaneo
non ancora un
come
la
nuova
rinnoverebbero in
negazione?
la
Le
classiche
temili discorso,
risurrezioni e
coloro
della vecchia
che
gli studi
ne sono
dei
e sincero
giudizio temperato
quali
altre
vie
coscienza.
per
1'
abbiamo
ed
appunto
fin
altri
qui
ideali
da quelli che nel secolo XIV essa aveva percorso e vagheggiato. Cominciava un'era novella. Qual meraviglia dunque, se la venerazione,
che affollava i Fiorentini intorno agli espositori, stipendiati dalla Signoria, del pi solenne ed eloquente
si
monumento
di
quella letteratura,
si
attenu
un ossequio moderato e senza passione? anzi gloria di quelli uomini conquisi dal fascino dell' antico, e prova dell' incanto invincibile
della grand'arte dantesca, che quella freddezza non sia trasmodata in uno
sprezzante disdegno. Pieno di reverenza e di ammirazione per Dante era
in
il Salutati, che ricercava, come dei classici, buoni testi della Commedia;
che citava, perfino nelle epistole pubbliche e nel trattato De fato et
fortuna, versi del suo divinissimo concittadino e, scrivendo a Francesco Bruni rinnovava, non senza alcuna particolare reminiscenza, la dantesca fantasia di S. Pietro imprecante ai pastori rapaci (Epist., IV, 3).
Con Benvenuto da Imola largheggiava di consigli, d'aiuti e di conforti
per il commento, mentre s'accalorava a giustificare ocl a purgare Dante
da inesattezze ed errori, che fin d'allora i dotti andavano rilevando
nel poema.
Censure di tal fatta divennero tanto pi frequenti e pi numerose, quanto pi la coltura classica guadagn d'estensione e di profondit e si lasci indietro quella, necessariamente incompiuta ed imperfetta, dell'Alighieri. Il Bruni, consultati Livio e Plinio, osservava
com'egli avesse falsamente interpretato l'accenno virgiliano alla fondazione di Mantova (Epist. X, 23; 27 maggio 1418); altri lo rimproveravano, perch avesse rappresentato quale un vecchio canuto Catone,
che mor a quarantott'anni, ed inteso a rovescio
vexaia quaestio
pur fra i moderni - il virgiliano Quid non mortalia pectora cogis,
auri sacra fames, o si inalberavano, riscalducciati di classica democrazia, perch il grande assertore dei diritti dell'impero avesse collocato
nel profondo inferno, a farsi maciullar da Lucifero, il liberatore del
popolo romano dalla tirannide di Cesare. Erano pigmei, che graffiavaiu
LA LETTERATURA CRITICA.
71
ceranno un'impropriet
perfetta
mancanza
bert che
si
di stile
senso storico che li contraddistingue, e colla licredevano lecita verso tale che, nel confronto cogli andi
tichi,
bigotti
del culto
dan-
popolani
breve periodo, disprezzato dagli umanisti. Chi mai sarebbero codesti precursori del Bettinelli, se appunto il Bruni, poco dopo avere scritta la
lettera sull'origine di Mantova, proclamava Dante ottimo e nobilissimo
poeta e, narrandone la vita nel 1436, lo diceva eccellentissimo nel poetar
volgare; se il Poggio, come gi il Salutati, giudicava non mancar altro al
poema per poter essere pareggiato agli antichi, se non l'ornamento della
lingua latina (De infelicitate principum, in Opera, Basilea, 1538, pagina 409); se il Filelfo lasciava i suoi latini e i suoi greci per interpretare,
72
nei
CAPITOLO SECONDO.
(l
festivi,
il
discepoli fiorentini?
quanto superficiale e rettorico e resta infecondo. Se un umanista, Girinisi accinge, intorno al 1 140, a scrivere mettendo a profitto
il Boccaccio e il Da Buti, uri commento in volgare dell'Inferno,
perch
glielo impone il suo mecenate, Filippo Maria Visconti. Ma la grande
arte, che avea descritto fondo a tutto l'universo, tenne fronte lungamente all'arte dei classici, che minacciava di sopraffarla e vinse codesta freddezza. Verso la met del secolo l'ammirazione, prima sterile,
divenne forza operosa e l'autore del poema immortale esercit Ja sua
ellicacia anche fra i dotti. Quasi dimenticato rimase lo scienziato del
Convivio; il latinista nessuno avrebbe tentato di difendere seriamente.
Del Petrarca il Salutati ammirava cos le prose e le poesie latine, come le liriche volgari, che poneva al di sopra delle dantesche
[Episi. Ili, 15). Ma il moto erudito soverchi rapidamente l'autore dell' Africa, che lo avea suscitato. Non le sudate scritture latine, che agli umanisti, di gusto sempre pi. raffinato, odorano di barbarie e che il Niccoli,
nel secondo dei dialoghi poco fa rammentati, non sa difendere dalle
forte Barzizza,
Nugae,
dice
il
Niccoli con
numeri
una lo-
(tra
il
tore,
1459 e
chi baci
il
64),
non
eh
ei
scritti d'erudizione,
il
perch
gli italiani,
ed al-
leggieri, sol-
come il Petrarca
Antonio Loschi tradusse in latino quella
di ser Ciappelletto (I, 1), Leonardo Bruni la storia pietosa eli Guiscardo
e Ghismonda (IV, 1), il Fazio la novella di re Alfonso e di messer
Ruggeri (X, 1), Filippo Beroaldo, che mise anche in distici la prosa
biasimi degli umanisti, alteri nella loro dottrina. Pure,
la novella di Griselda,
cos
ora citata dal Bruni, quella di Tito e Gisippo (X, 8) ed un'altra (V, 1).
Tocc di preferenza tale onore alle novelle, che contenevano un alto
ammaestramento morale o trattavano materia nobile e grave, perciocch quello e questo paressero degni di pi adorna veste, che non avessero nell'umile volgare.
Similmente,
il
all'alta
sapienza
LA LETTERATURA CRITICA.
73
Commedia ed
dizio addotto
non
italiani
Abbiamo
sfiorato
l delle
parola
grosso
imbotquanti
Alpi?
e additati
principali motivi
ond'essa germoglia. In quel rifiorimento di classiche memorie, il concetto dell' unit universale romana prevalse nella mente degli uma-
e^Sf^S'
volgare,
nisti sul concetto della nazionalit o della patria ristretta fra quattro
mura. Come
ma
JvS
mamente
Roma
frenata dall'arte, del volgo; e chi, due lingue nettamente distinte, l'una
fl
71
CAPITOLO SECONDO.
il
latino,
all'italiano.
l'al-
Propugna-
che
in
secondo
i
tempi, notevoli. Egli considera la lingua letteraria come un
perfezionamento della parlata, rileva l'origine naturale delle regole di
grammatica e nota come il latino dell' uso variamente si atteggiasse
secondo la varia educazione e le varie abitudini di vita dei parlanti;
in complesso il Biondo intravide la retta soluzione di un delicato problema linguistico. Di che e delle sue osservazioni, a malgrado dei difetti del metodo e della scarsa precisione della forma, s' ha a fargli
un merito tanto pi grande, quanto pi son bislacchi gli argomenti
che il Bruni gli contrapponeva nella risposta. Questi pensava che il
volgo romano non intendesse le orazioni nel foro e le commedie nel teatro
meglio che non intenda oggi il popolo la Messa, e non sapeva persuadersi
che le nutrici e le donnicciuole potessero apprendere quel congegno grammaticale e sintattico latino, che con tanta fatica riuscivano a padroneggiare appena i dotti del suo tempo. Con pari ingenuit, fu osservato,
sarebbe stupito, che i bambini di Parigi parlassero francese. Pres
valse l'opinione del Biondo, che fu difesa anche dal Poggio in un dia-
La rigenerazione
del
volgare
(intwno
ai
144-)).
Roma.
i vincoli, che gi avevano legato il latino medioevale all'evoluzione del pensiero e trasformava uua lngua imperfettamente viva in una lingua morta. Di che si
avvidero coloro che, contro i puristi, sostennero la necessit di accomodar alle cose ed ai concetti nuovi vocaboli nuovi il Valla, il Filelfo,
pi tardi il Poliziano e praticamente anche il Poggio. D'altro canto la
cerchia di quelli che intendevano l'idioma di Roma si faceva ognora
:
di piacere ai
pochi che
dagli antichi,
di
giovare
quali da tutti
ai molti,
ma
il
popolo,
efficace,
75
LA LETTERATURA CRITICA.
musica sobriamente melodica e che il Trecento aveva inalzato a dignit letteraria. Il tempo lo aveva forse reso pi maturo e pi robusto, ma non ne aveva soffocata la schietta e fluente semplicit, n irrigidita la tempra pieghevole ad ogni esigenza del pensiero. Non era
tramortito lo spirito, che lo infiorava d'arguzie, n inaridita la vena,
n cenarne
solennemente.
di
classiche
ma anche
la
buona tempra
dell'armi. Il giorno
22 d'ottobre
del 1441,
nove rimatori recitarono o fecero recitare i loro componimenti in S. Maria del Fiore. Non erano tutti popolani di scarsa coltura come Anselmo
il
di Govacchino Calderoni, eletto 1' anno dopo araldo della Signoria
quale tratt il tema in una canzone, per via di riflessioni agevoli, cor,
roborate da esempi di fonte classica, senza pretese, pianamente. Furon tra loro anche Francesco d' Altobianco Alberti, officiale della curia, Antonio degli Agli, canonico fiorentino e teologo, e Benedetto
giare
di
il
mare
a Francesco
di
Bonanno Malecarni
buon poeta latino, si provarono a rinnovare in italiano i metri classici; con mala fortuna, invero, perch pretesero congegnar i loro versi di lunghe e di brevi, applicando
alla nostra lingua le regole della prosodia latina, senza avvedersi che
edificavano su di una base fittizia. L'Alberti, presentando il quarto libro della Famiglia il quale tratta di amicizia, recit sedici esametri; il
Dati in esametri ed in una saffica svolse certa scena allegorica d'architettura e di sapore schiettamente classici. Il premio
una corona
di lauro lavorata in argento, onde venne al certame l'appellativo di co-
JAPITOLO SECONDO.
7G
ronano
manc
non
avrebbe avuto per tema l'invidia e forse arringo pi vasto
non pot celebrarsi.
doveva esserne esclusa la poesia latina
La gara del 1441 non ha una grande importanza n per s stessa n
per effetti che ne siano immediatamente derivati. E bens un notevole
segno delle condizioni letterarie del tempo. Per la prima volta a trattare un argomento grave si servono del volgare uomini dotti, dei quali
non lecito sospettare, che lo facciano per ignoranza o per grossezza
di gusto. Non mancheranno anche pi tardi oppositori, contro i quali
difenderanno il sermone materno Cristoforo Landino e Lorenzo de' Medici
e le vecchie accuse contro il volgare ripeter verso la fine
del secolo, uomo del passato, il buon Vespasiano, che ben poco sa di
latino (Vite, 1,89). Ci non ostante, il volgare andr di giorno in
giorno sempre meglio assicurandosi il suo posto fra i linguaggi letterari e si acconcer ad accogliere quelle tendenze stesse e quelle stesse
materie, che dal mondo classico derivava la letteratura in lingua latina, mentre questa si mostrer pi aperta, che non fosse nei primi
decenni del secolo, agli influssi della letteratura volgare.
CAPITOLO TERZO
Qua! fosse
il
bell'idioma, di cui
1'
appare Le
lettore
faiwg ari
inti- odi negozio
1
fida
mit delle pareti domestiche o sul banco d'una bottega, come il cuore o
la mente, destra ai traffici lucrosi, dettava, senza intenzioni d'arte,
alla buona vengono ora fuori dei nascondigli
ove rimasero occulte
lunga stagione e dove chi sa quante andarono perdute. E noi, moderni,
facciamo loro buon viso, perch l'odor di rinchiuso e di stantio, che
pur troppo aduggia tanta parte della nostra letteratura specie di
quella del Rinascimento, acuisce la nostra sete d'aria aprica e di vergini
fragranze. Accanto all'arte filtrata pei lambicchi delle teoriche e delle
faticate imitazioni , piacciono le libere manifestazioni del pensiero e
del sentimento e l'eleganza e l'efficacia non ricercate studiosamente,
ma rampollanti, inavvertite, da una felice disposizion di natura. Quelle
lettere rappresentano, son per dire, la forma primordiale della prosa
quattrocentista e mostrano qual gran serbatoio di fresche energie
questa avesse in pronto nella parlata popolaresca fiorentina, sol che
avesse^, voluto ritemprarvisi.
A cavaliere tra il secolo XIV e il XV visse e pi a quello che a questo appartiene ser Lapo Mazzei, delle cui lettere la ragione del tempo
non concede si faccia qui pi che un fuggevole ricordo. Ma tutta en,
78
ess * n ra
.h
stronzi
,'
'
CAPITOLO TERZO.
0 a^
scorse la vita di Alessandra Macingbi, sposa, nel 1422, a
Matteo Siro/zi. L donna, quale la vedevano allora Fiorentini, ancora ligi alle buone costumanze antiche di casalinga semplicit, operosa e
procacciante massaia, educatrice della prole nel santo timor di Dio e
non incline a barattare, come spesso usava nell'Italia superiore, il
fuso colla penna, la lana coi libri, si raffigura in lei mirabilmente. I
Lunghi dolori, cui fu consacrata dalla vedovanza precoce e dagli esigli
Iella casata, clic la aveva accolta fra i suoi, e l'amore angustiato pei
figliuoli continuatori, sui mercati di Bruges, di Avignone e di Napoli,
della tradizione ed alimentatori delle ricchezze domestiche, palpitano
nelle lettere che l'Alessandra scrisse appunto a codesti figliuoli dal 1447
al 1170. Parte il minor d'essi, Matteino per Napoli, dove lo chiama
per avviarlo alla pratica del banco il fratello Filippo, ed ella non sa come
far a vivere senza di lui, ch troppo gran duolo sento e troppo amore
gli porto
ch somiglia tutto il padre, ed fatto un bello garzoncello
in questo tempo stato in villa (26 dicembre 1449). Quando riceve
due versi da loro o dal terzo figlio Lorenzo, si sente consolata un
poco nella sua tristezza; anzi desidererebbe andar a vivere con essi
ch osserva con una frase nella quale tremola una lagrima per
ragione naturale, debbo aver grande amore e tenerezza pi inverso
di voi
che voi inverso di me (20 aprile 1465). Matteino muore
laggi, lontano, senza che la madre possa dargli l'ultimo bacio; ella
ha uno schianto al cuore ma trae conforto di rassegnazione dalla
sua fede, eh' suto volere di Dio chiamarlo a s cos giovane
(13 settembre 1459). Rassegnazione, in cui si adagia- anche Filippo,
1,
quando nel 1458, bandito coi fratelli, come figlio di un esule del 34,
madre Queste non sono altro che delle frutte di questo
mondo e chi uso averne spesso come noi, che cominciamo nella nostra
et fanciullesca, non ne fa tanto caso, come quelli a cui giungono sori
s che di tale parte abbiamo molto a ringraziare Iddio (p. XXXIII).
Intorno al 1465 1' Alessandra tutta sopra pensiero per trovare ai
due figliuoli superstiti parentadi convenienti perch chi a tempo
scrive alla
marzo 1465);
quali
ha posto
fanciulle,
sulle
le
descrive
annovera nelle sue lettere e
freddezza
calcolacon
contro,
pr
e
il
il
l'occhio e discute di ciascuna
vole mangiare, ennanzi all'oragli convien pensare (29
trice,
come
se
si
noi
ma
Purgatorio
compagnia dei
figli
che
le
come
il
di
79
la
lingua
le proposizioni,
di
subordinazione soli-
siero persiste
e,
accarezzato,
si
domanda
sono
tanti
disagi e sollecitudine
delle
? .
il
periodare.
Gran copia di scritture epistolari d'argomento politico ci ha tramandato il secolo XV. Le toscane soltanto vogliono esser qui rammemorate come documenti eh' esse sono di graduali trasformazioni
,
della prosa
manda qua
e l ambasciatori o commissari
I
,
cittadini
scrivono
ai
che Firenze
Signori nel
loro bel volgare, cui intorbida appena qualche frase o parola crudamente latina residuo del vecchio formulario ma la gravit della
,
L et te:
lltlC
gJ
80
CAPITOLO TERZO.
La bottega,
Guasti, salvava dai vizi letterari gli oratori mercanti .
Altramente vanno giudicate
le
note e
le istruzioni,
osserva
che uscivano
il
di
ordine
per
L
^a
le
uSne
di
si
smarrisca
via.
^
le
^ ere
volgari, se
ne
togli
mai
in quel secolo
un vero genere
ordinato
tutti
le sue,
insomma
in libri,
mento per
gli
cos
ancora
Petrarca aveva accuratamente raccolto ed
Bruni, il Poggio, il Filelfo, il Traversari, quasi
Come
il
non costituirono
il
loro epistolari.
Per vero
essi affettavano
un
altiero compati-
raptim
cursimque, e una modesta meraviglia perch fossero ricercate e lette
avidamente. In realt poi se ne tenevano assai e le pregiavano sopra
quelle scritture, buttate gi, dicevano, alla buona,
ogni altra, non tanto qual vincolo tenace di vecchie relazioni e appiccagnolo di nuove, quanto perch le giudicavano il pi utile, il pi comodo, il pi ammirevole genere d'eloquenza. Si scambiavano lettere
anche se vicini, e, devoti ad una nuova maniera di epicureismo (Bruni,
Epist. IV, 20), le assaporavano voluttuosamente, venissero da amici o
da ammiratori ignorati. N siffatta predilezione pu parere strana, chi
ripensi la larga e varia coltura degli umanisti, i quali, almeno alla
foggia loro, sapevano e volevano discorrer di tutto, e d'altro canto
consideri che la lettera si adatta per sua natura ad accogliere la
trattazione dei pi svariati argomenti. Inoltre
rio ciceroniano, instaurato e
lo studio dell'epistola-
zizza, tolse
s'erano piaciuti
p epistole
i-i
Poggio,
gli
argomenti pi comuni
le
domande
di libri,
tere,
il
Poggio
il
81
vista,
Mariano
il
Poggio ringrazia e
ci
fa
una
suo buon senso trionfa della pedanteria. Nei tristi giorni della dimora
in Inghilterra egli rinnova il costume petrarchesco di svelare gli intimi
Il
moti della sua coscienza, onde le lettere scritte di l al Niccoli sono fra le
pochissime del secolo XV, che meritino nome & auto-psicologiche. E poi
qual variet di argomenti e qual graziosa efficacia di rappresentazioni in
quell'epistolario! Alcune delle lettere date da Costanza, inviate che furono
dal Poggio stesso a pi amici nel medesimo tempo, ebbero fama e fortuna,
dissertazioni o bozzetti riuscitissimi: quella, tutta cosparsa di una
carezzevole ironia, che descrive la vita ai bagni diBaden (I, 1); la nar-
come
ammirazione per
Roma
il
S.
Gallo
(I,
5).
Da
delle sue
gite per
10 vedi
Rossi.
La
lett. ital.
nel see.
XV.
dei Brun
82
CAPITOLO TERZO.
contro
di
rimbrotti
Il
nel loro
.,
(ri
tano
fia
di
men
sovente di filoso-
npanormta
(i
j4-4
j).
a divenire
il
e,
di fatto,
tanto
si
arrovell
che verso la fine di quell'anno entr nel novero dei famigliari del duca
con un lauto stipendio. Ci nondimeno il Beccadelli non dimor alla corte
milanese se non per poco di quando in quando, perch il Visconti volle
che rimanesse a Pavia a leggervi eloquenza nello Studio. Comunque, egli
fu liberato dalla soggezione dei parenti, i quali, forse vedendo di non poter cavare da quello scapato l'augurato giurista, minacciavano di trgli
83
(III,
23).
il
fatto
suo.
Le
lettere latine,
libri
che scrisse
gal-
delle Epstolae
le
sue
epistole.
fioriva la mite
dell'uomo
scambi
di re Alfonso, che al
un'annua pensione e fece
doni splendidi di palazzi e di ville a Napoli, sul golfo e a Palermo. Il
poeta lo serv anche in maneggi politici ed in ambascerie a Roma a
Milano, a Firenze, a Venezia; ma pare che soltanto sotto Ferdinando
di
di
libri;
esaltano le magnificenze
ricevesse
il
Tata per autorit e per ricchezza, che raggiunse, egli esercit colla
presenza e colla parola quell'efficacia letteraria, che dalle opere sue
miserelle non poteva raggiare, onde, morendo, gi prossimo all'ottantina, nel 1471, vide sorta a Napoli la scuola umanistica, che doveva
con caratteri propri fiorir rigogliosa negli ultimi decenni del secolo.
Le lettere che il Panormita, qual segretario del re, scrisse a nome
nell'occasione della guerra contro Giovanni d'Angi e
Ferdinando,
di
della prima rivolta dei baroni, son di quelle nelle quali fa continuata la
tradizione iniziata dal Salutati nella cancelleria fiorentina. Siffatte episi incontrano numerose nei testi a penna e, frammiste alle private, nelle raccolte a stampa, non avevano certo quell'importanza attuale che pareva attribuissero loro i principi e le re-
pi elegantemente.
Le
discordie
si
soleano comporre,
stendere
gli odii
sfogare
pitiche,
84
CAPITOLO tf-rzo.
e le gelose rivalit tr di
ma
di
di lettere volgari,
meno adorne
Pur
non a
colpi
di
frasi
ciceroniano
di
classiche
quelle
epistole
le
loro.
Lunghe lettere, che per la loro contenenza vogliono essere paragonate a trattati filosofici, si incontrano di sovente negli epistolari
del Petrarca e di Coluccio; pi di rado in quelli degli umanisti del
Quattrocento. Ch l'esempio di Cicerone, operante per duplice via, metteva in onore la lettera breve e spigliata, e pi comoda forma additava all'esposizione di materie filosofiche nei dialoghi. Di trattati, liberi
da quell'ultima reliquia dell'assetto epistolare, che era la soprascritta
abbonda la
la lettera dedicatoria poteva precedere, indipendente
letteratura umanistica. Essi ne sono anzi le pi caratteristiche scritture, come quelle che mostrano, meglio d'ogni altra, ci che l'umanesimo pretendeva di essere e ci che era di fatto. Gli autori e gli
ammiratori vantavano ivi consertata nell'augurato connubio la morale
coll'eloquenza, congiunto l'ammaestramento col diletto del lettore. Noi
vi^riconosciamo il pi solenne documento della soggezione in cui gli studia eloquentae tenevano gli studia hurnanitatis, e del dissidio profondo
che separava la letteratura dalla vita; sbadigliamo sulle gualcite e trite
eleganze e sorridiamo delle classiche dottrine ammannite, quali norme
bene beateque vivendi ad italiani del Quattrocento.
Raccolta dai classici una ricca messe di precetti e di esempi e dispostala in bell'ordine sulla trama lievissima d'un ragionamento facile
e piano, l'umanista aveva bell'e compiuto il suo trattato, fosse un dia-
85
il
introduceva due giovani romani. Quivi manca la risoluzione del contrasto, ma i quattrocentisti predicavano di solito venire la nobilt dalle
'
non
dalle
ombre
degli
antenati: cos
non v'ha
non
si
rinfaccino all'avversario
bassi
Similmente quelli
stessi
Lore vnr
ar s mentI
80
CAPITOLO
TERZO.
magistrato e
Tinti,
senti-
"ftlSrfia*
re wsoria di
f. Barbaro.
grande al vincolo coniugale, mentre la famiglia legittima non si levava ancora in fiero antagonismo contro l'illegittima. La storia del Poggio, che visse lunghi anni in concubinato e poi divenne marito e padre affettuosissimo , se non badi alle diversit cronologiche, la storia
di m^lle suoi coetanei, popolani, letterati, principi. A Firenze l'uomo
conduceva in casa, da allevare, alla novella sposa il figlio avuto prima
del matrimonio da un'amante Ercole d'Este inviava in dono alla pro;
il
sm Tura. E intanto
duce il lettore fino all'educazione dei figliuoli. All'esperienza, che naturalmente gli mancava, lo scrittore diciottenne suppl coli' erudizione
sua, del vecchio Zaccaria Trevisan e del suo maestro Guarino. Cicerone, Livio, Plutarco gli fornirono gran copia di considerazioni e d'esempi; Virgilio, Teocrito, Omero gli ornamenti poetici; e gran merc
se in mezzo a tanto classicismo pot trovar posto, timidamente, il racconto di due fatti avvenuti nella Venezia del Quattrocento (1,2). Non altramente adoperava pi tardi, fatta ragione alla diversit dell'intento, il
Campano nel trattato De dignitate matrimonii. Ma pi vivo senso del
reale mostr Guiniforte Barzizza, quando in una lunga lettera (1439) si
fece a riprovare l'amor libero, che non fosse puramente intellettuale,
e consigli il matrimonio, dando norme per l'elezione della compagna ed
enumerando con una certa modernit di concetti le qualit, ond'ella
vuol essere adorna.
Curioso guazzabuglio di astronomia, d'archeologia, di storia, di enotati
Altr
l
la e cm pi ne na pi ne metta, i Convivio, mecliolanensia del Fiiatin?
lelfo (1443) serbano ricordo di conversazioni, che avrebbero avuto
luogo tra commensali in casa di Giannantonio Rembaldi e di Erasmo
Trivulzio, e nelle quali all'autore parve veder rinnovata la greca consuetudine dei simposi. Quivi la monotona esposizione di sentenze e
di teoriche antiche ravvivata non pur dalle sferzate che tratto tratto
fischiano intorno ai nomi, a bella posta rammentati, di due emuli del Filelfo, il Poggio e il Decembrio, ma anche dal frequente alternarsi dei
numerosi interlocutori, dalle interruzioni di fanciulli cantanti le lodi
non
87
di flautisti.
Vivacit
puramente erudita di quei dialoghi. Gagliardo spira invece il soffio della realt moderna in qualche trattato di Enea Silvio e nei dialoghi del Poggio, componimenti tutti, dinanzi
tutta superficiale, che
a'
altera l'indole
Enea
sinistrament
dialoghi
Poggl
del
88
CAPITOLO TERZO.
vena
Opera,
p.
scritto del
monaci,
Ma
Poggio
conoT
114).
satirica scorre pi
Contro
frati,
il
frati,
l'odio tenace,
ogni cristiano.
Trattati
volgari.
Tra
Dominici.
religiosi
che
il
Poggio accusa
di ipocrisia frate
si
Giovanni
studiasse di
capitolo precedente.
di
Giovarmi
ommici,
contrappongono risolutamente ai
combatterli, s bene dai sacri testi e dalla pi austera morale cristiana desume
le norme, colle quali risponde a quattro questioni poste a lui da Bartolomea Obizzi negli Alberti come si debba usar dell'anima
come
del corpo consacrato a Dio; come dei beni temporali, e come si debbano
educar i figliuoli. Questo nel Governo di cura famigliare. Nel Libro
dell'amore di carit, pur dedicato alla Bartolomea, commenta ampiamente un passo di S. Paolo (ad Cor. I, 13), esaltando la carit, ci
l'amor di Dio, come impulso e come condimento d'ogni opera
di mano e d'ingegno. Schiettamente fiorentina la lingua di quelle
scritture; se non che il modello della prosa ascetica latina, sempre
presente alla memoria del buon frate, d allo stile una certa enfasi
trattati degli umanisti.
Non
essi si
89
Giovanni
da Prau0
media anche
in
un lungo poema
e,
palmieri
(140& 147 ^
"
* a
90
CAPITOLO TERZO.
disserta sulle dottrine che l'autore accetta per vere e gli altri stanno
ad ascoltare, domandando tratto tratto qualche dichiarazione o comple-
mento
a formare un
proemio il primo
ino' di
espone le norme d'una buona educazione, pigliando un fanciulnuovamente nato e conducendolo sino alla soglia della virilit;
nando
da Plutarco,
di belli
edifici
e di
maestosi apparati.
il
al
lo
Da
stato ed
maor-
Quintiliano, e
Rinascimento, de-
attiene
si
Iella
e
Commedia.
Il
Palmieri stesso
ricalcher pi tardi in un
poema
tracce di questa.
Golia
^{U^my legittimo
di
Lorenzo
di
di credito
91
intellettuali
democratiche memorie,
il
suo ingegno
si
aperse anche ad
altri
si
dilett
ma
a ritemprarla valsero
cavalcava per
monti sotto
una
il
soffriva persino
un uomo
e per
il
ritto e
corazze.
compose appena
ventenne una commedia latina, che lasci vagare dieci anni anonima e
che fu tenuta opera di un Lepido, comico antico. Ei vi raffigurava s
stesso nel protagonista Philodoxus, anelante alle nozze con Boxa, giovinetta romana, contrastatagli dal rivale Fortunio, e voleva sotto il velo
allegorico dimostrare come l'uomo industre e studioso possa raggiunger
la gloria (*x) non meno del ricco e fortunato. A' casi suoi alluse anche
pi apertamente nel Pupillus, dove in vivissima prosa latina dipinse Filopono, giovane gracile ed amante degli studi, qual vittima della malvagit
dei congiunti. Non fallaci promesse di pi tranquilla e comoda esistenza
diede la fortuna all'Alberti, quando egli ottenne il po^to di abbreviatore
apostolico e divenne segretario di Biagio Molin, patriarca di Grado.
Nel 1432 era presso alla curia, della quale segu il pellegrinare sotto
Eugenio IV e non lasci il servizio, finch Paolo II non ebbe (1464)
con una generale provvisione abolito il collegio degli abbreviatoli. A
Roma stessa mor e fu sepolto ai primi d'aprile del 1472.
L'Alberti uno di quegli uomini universali, nei quali paiono assoni- Capattere e
marsi pi e varie individualit fra essi uno dei pochi in cui ciascuna gjjj^eu
di queste abbia un non comune rilievo, sicch giustamente altri vide
in lui come un presagio della grande e complessa figura di Leonardo.
Nel 1435 Leon Battista dedicava al Brunelleschi un trattato di pittura e gi prima avea scritto il De statua', pi tardi (1452) nei dieci
libri De re aedificatoria ed in alcun altro scritte rello. formul le leggi
della nuova architettura, desumendole dall'osservazione e dalle misurazioni degli edifici romani. Nella trattazione di codeste materie recava
non pure le sue cognizioni tecniche, ma anche la soda coltura matematica, ond'ebbe nascimento anche l'operetta Ludi mathematic, cuall'Alberti gli anni in cui fu a studio a Bologna. Quivi
02
CAPITOLO TERZO.
fu soltanto
un
teorico:
il
tentativo,
di edifz sparsi in
raria fiorentina.
Umanista
P
iaiinc
ci
si
rivela l'Alberti in
un gruppo
di
scritture
latine
rc
l'Aurispa,
Per l'appunto
Virtus e fu pure creduta un dialogo lucianesco tradotto in latino da Carlo Marsuppini, quella in cui la Virt narra
le sue peripezie a Mercurio. Fortuna l'ha cacciata dagli Elisi, n valsero
a difenderla le proteste di Platone, di Socrate e di Cicerone essa ha
logate le pi.
Si intitola
cevuta. Gli
ma
aspetta da
anche
il
Tonante ha paura
ri-
della For-
tuna; non che dalla terra, la Virt esclusa dal cielo. Il Nummus
narra una breve novella come gli antichi sacerdoti chiedessero all'oracolo d'Apollo qual divinit avessero a venerar sopra tutte e come
:
il
che
l'Alberti
scrisse
alla
spicciolata
da
quando era studente a Bologna fin verso il 1440. Alla fine del secolo
se ne conoscevano dieci libri; oggi appena tre e qualche frammento;
in tutto diciassette intercenali. D fattura lucianesca
pure
il
Momus,
autore siasi proposto di satireggiare sotto un' allegoria mitologica i mali portamenti del cardinal Vitelleschi adombrato
nel protagonista; laddove secondo le chiare e pi semplici impostature
1'
LA.
predilette dal
LETTERATURA ORIGINALE
Poggio
si
atteggiano
93
IN PROSA.
le riprensioni della
corruzione e
argomento non
ma
di allegrezza.
in
il
volgare, scri-
l'
Il quarto venne poi, nel 1441, colIn codesto dialogo, meritamente famoso, gli
presentano coi loro nomi reali e nella loro genuina
interlocutori vi
si
Si parla delle
cure che
vizi che si devono specialmente sradicare dai giovinetti; si ragiona del matrimonio
e dei modi in cui acquistar e conservar le ricchezze e procurare la
prosperit della famiglia. Indi Giannozzo Alberti insegna a' giovani
presenti come debbano far masserizia dell' anima: amando la virt
e fuggendo i viziosi; del corpo: addestrandolo a piacevoli e temperati,
esercizi e guardandolo dalle cose nocive; e del tempo: impiegandolo
sempre in utili pratiche. Il quarto libro, che per l'argomento e per
la forma si rivela, qual , appiccicato ai precedenti, tratta con grave
i
figli,
elei
si
stringono e
si
mantengono. Anche nella Famiglia, come negli altri dialoghi dell'Alberti, come nei dialoghi latini coetanei, gran parte delle dottrine derivano da fonti classiche: Cicerone, Senofonte, Quintiliano, Plutarco. Ma
la
mente larga
suggerite dalla vita fiorentina del tempo. Cos, agli esempi classici
associano, sapientemente sfruttati, aneddoti moderni.
si
Poi che il certame coronario del 1441 fall, Battista quasi a sfogare e lenire il suo dispetto scrisse (1442) un trattato Della tranquillit dell'animo, a dialogo anch'esso, tutto contesto di savie massime
e- di consigli contro le perturbazioni, alle quali l'animo umano sot-
^ag
dell 'Aiber
94
CAPITOLO TERZO.
toposto per
si
I pensamenti
consertano poi colle dottrine sul reg-
ma
quella sorretta dalla fede e dalla benignit, questo in bala alle vicende
della fortuna.
.amorale
li'
Alberti,
^a filosofa, che l'Alberti professa, non si raccoglie in un ben organato sistema; anzi una serie di precetti morali, esposti senza un
meditato coordinamento, alla buona, quasi domesticamente. Negli scritti
giovenili, le Inlercenali e il Teogenio, un desolato pessimismo domina
la concezione delle umane sorti. L'uomo fin dalle fasce destinato al
pianto; la natura lo minaccia di continuo e lo annichila per mille vie
il tentar di resisterle, il lavorare per toccar una mata di agiatezza e
;
di gloria,
p.
i
lo studiare,
tutto
nostri destini,
viene quindi
turba
Misura del valor morale degli affetti e delle azioni diloro sufficienza al raggiungimento di questo fine. L'ira
la
la quiete,
ma
se
non
ti
riesce, lasciala
tuo:
mai
ti
sazia,
ogni
d pi
t'
una fonte
di perfetta virt,
alle alte vette
vaneggiano
precipizi: per-
u sonso
iVTiberti.
insistente l'Alberti,
95
che ammira in
S.
il
tepore e la
onde
Lodava
vaghezza dei bellissimi nomi, ch i brutti sono odiosi e atti a disonestare la dignit di qualunque virtuoso. Il cavalcare, il danzare, l'andar per via voleva fatti con molta modestia giunta con leggiadria e
aria signorile , ma senza affettazione, con arte molto castigata al tutto,
che nulla ivi paia fatto con escogitato artificio, ma creda chi vede, che
questa laude in te sia dono innato dalla natura (Iciarchia, pp. 73-74.
la definizione, che della grazia dar quasi un secolo dopo il pi compito cavaliere del Rinascimento (Cortegiano, I, 26).
Il Palmieri colla Vita civile e l'Alberti coi dialoghi volgari crearono La prosa
a prosa dottrinale italiana del Quattrocento. Scarsi modelli ne avea
p^^fe
redato quel secolo dal precedente. Il solo grande, il Convivio, era assa dell'Alberti,
poco noto; e poi ostica dovea riuscirne la materia, ostico il procedimento
a
il
latino
chi
vuol essere
costrutti e perfino
di
forme grammaticali latine; esempio insigne la prosetta, che ser Domenico da Prato prepose a' suoi versi. Ma guardiamoci dal giudicare da
siffatte
vate la fonologia ed
il
lessico,
il
immune da
non
sia.
La lingua
antica
come
se non quella parte che abbia o sembri avere un immediato corrispondente etimologico nella lingua dei classici, mentre lo staccio non lascia
cadere se
Per
l'Alberti esso
ha
larghe maglie.
Lo
stile del
freddezza e regolarit,
gravi
eli
90
CAPITOLO TIvRZO.
tempo
Famiglia pot
quantunque alterato
ebbe lodi di trecentistico candore, mentre correva le scuole
ascritto ad Agnolo Pandolfini. Soltanto la Tranquillit dell" animo ed
il
quarto della Famiglia vogliono essere eccettuati anche qui, poich
10 scrittore, con ispensierati ardimenti, vi congiunge non di rado in
e guasto,
ed efficace
11
di
piace di
men
grande architetto
ricorrere talora ad immagini e paragoni desunti dalle
materiale linguistico,
gurative
parole di
(p.
es.
un
Tranquillit
effetto mirabile e
com-
arti fi-
dell''an.
ti
lindo
si
(Fam.
p.
50),
i/eiolu
vedemmo, e
sorgere del trattato filosofico in lingua volgare. Diverse furono di necessit le vicende dell'oratoria per pi assidui conI
contrastarono
il
tatti,
i/eioquenza
in volcare.
pagnia o
riamoli,
LA.
97
Quest'uomo cui
il
culto delle
memorie
classiche e
il
classico ideale
redato da Cola avrebbero condotto al capestro, tenne quell'ufficio a Firenze nel 1427 e nel 28 e pronunci allora le sadici concioni, che col
suo nome occorrono s spesso nei testi a penna. Se egli le abbia anche scritte o se piuttosto non se le sia fatte comporre da Buonaccorso da Montemagno, mi pare questione non risoluta. Forse, dovendo parlare a' Fiorentini, stim prudente non correre il rischio di
farsi proverbiare per il suo triste linguaggio e di tr pregio alle sudate erudizioni de' suoi discorsi. I quali sono elogi sperticati di Firenze e dei Fiorentini ed oziose esercitazioni sull'amor patrio, sulle
virt che giovano alle repubbliche e sui mercenari, dei quali sostiene
l'utilit.
carte, pi
il
Domenico da Prato,
di latinismi e spesso si
smarrivano per
mean-
terarie
il
ad una
\
quando a quando
d'ogni paragone, colla semplice. frase: Cos interverr a noi, se faRossi. La lett. ital. nel sec. XV.
7
L'eloquenza
00
gar*."
93
CAPITOLO TERZO.
remo
quenza
r/eioguenza
?itlna?
modo
Procurato? giovane
che non ha pari nel secolo
del
politica,
Campo
lasci
un esempio
di
elo-
XV.
copte di
condo scrittore
in filosofia e in teologia,
si
Lo
e fu
Venezia, a
i
Ho
jj
re
oratore.
Roma, a
non movesse
la
mano a
si
il
erano posate
sul viso, prima che il Manetti avesse finito di parlare. Ora certo
che codesto insigne oratore pronunci in volgare la maggior parte de'
suoi discorsi, che venivano tradotti per essere divulgati.
II solo che largamente trattasse l'eloquenza politica latina fu Pio II.
Al concilio di Basilea e nella cancelleria del re dei Romani, come ambasciatore di straniere nazioni in Italia, cme vescovo, come papa, egli
ebbe infinite occasioni di tener discorsi latini di considerevole importanza pratica. N a lui facevano difetto le qualit dell'oratore. Maestro nell'arte di accordare parole
frasi e periodi in armonie varie e
carezzevoli, e perito nel moderare la vacua amplificazione rettorica
con acconce citazioni d' autori classici e sacri e con lunghi tratti sto:
rici,
ei
sapeva
niva fatto
ci
che
dava
l'aria di inoppugnabile.
Quindi
di
presupposte obbiezioni
fuggevoli suc-
suoi grandi e
la bella presenza, la
momento scuotere
L'eloquenza
"m
"
il
LA LETTERATURA ORIGINALE
-sit,
le orazioni
Quivi
delle idee,
e le digressioni,
99
IN PROSA.
di
iJ
vescovi e
va
p3riodo tra
immaginate a sfoggio
di
il
dicendo.
silenzio
erudizione,
tol-
>
100
CAPITOLO TERZO.
di
buoi.
tava di lui e
li
di
monna Vaggia
gli
oscenit orribili,
II).
Cos, a sentire
V,
6),
raccon-
e ne diceva
il
Poggio,
figli,
Tommaso
Moroni era giunto all'ufficio di segretario pontifcio (1436 o 37) attraverso ad una carriera di scelleratezze e di brutture, che mi guarder dal narrare. Era una gara a chi le dicesse pi grosse. Che le
fossero vere, nessuno credeva, neppure chi le sballava. Tanto, erano
di vendetta ed una bella occasione a scrivere qualche parobusto latino.
uno sfogo
gina
Le invettive
dei Poggio del
contro
di
il
'
vaila,
gari,
ma
la fine della
-,
prima invettiva
gli
il
ridicolo sull'avversario.
decreta un
trionfo e
lo
Verso
rappresenta
nemico l'arma di
una pungente invenzione. Nei due dialoghi introdusse, con lucianesca
trovata, lo stalliere ecl il cuoco del Guarino a rilevar gli errori elio
Poggio aveva commesso nelle sue lettere al Niccoli.
Le invettive erano arma anche di lotte politiche. Il lettore rammenta quelle del Loschi e del Salutati nella guerra tra il Marzocco e
contro
il Biscione; qui gliene cito un'altra rovente, scritta dal Poggio
L'antipapa Felice V (1447). Pi curioso si che quelle forme e quei
modi, che noi non possiamo leggere senza provare un senso di pre ricondotto in terra.
6
po'iitichr
Anche
il
Valla us contro
il
101
umanisti volgessero talvolta contro personaggi antiTrapezunzio con Platone; cos, nel 1435, aveva fatto
il Poggio con Cesare. Egli ne tess la vita, rappresentandolo ambizioso,
libidinoso, ladro, protettor di malvagi traditore della repubblica, parricida della lingua latina e delle buone arti; degno di lode solo per le
imprese militari, magnifiche, bench dannose alla patria. Tutto questo
in un'epistola al ferrarese Scipione Mainenti, grande ammiratore del
suo omonimo romano, nella quale Scipione era invece giudicato uomo,
cittadino, capitano eccellente. Il Guarino, per soddisfazione di Leonello
caldo amatore di Cesare, si fece a confutarlo con un ardore e un'acrimonia, che poco manc non tramutassero in polemica personale una
controversia da storici sfaccendati. Il Poggio, per ventura, non ci si lasci prendere; difese ancora la sua tesi nella Defensiuncula, ma deplor che il suo contradittore portasse tanto fiele in un'esercitazione
d'ingegno. Men d'un anno dopo, il Barbaro componeva interamente
f melo disgusto, gli
il
Polemica
doppione!
il
dissidio.
guelfi italiani
mente
avevano sempre
rispettata,
si
quegli
eruditi
sorride, l'ideale di
di
lettere,
Roma
Neronh II cominciamento dell'impero segnava il principio della decadenza. Ma come a Ferrara il Guarino difendeva Cesare, cos a Milano Pier Candido, ossequente alla
tradizione ghibellina dei Visconti, gli dava la palma fra i condottieri
antichi. Per tal via l'antagonismo politico si rifletteva nella letteratura;
per tal via e, pi, per ci che gli umanisti fiorentini esaltavano la loro
patria come nido e rocca della libert e da Milano sonavano ancora le
vecchie maldicenze contro i nepoti dei coloni di Siila. Veda il lettore,
serta dagli Antonini, dai Tiberii, dai
se gli piacciono siffatti mascheramenti d'interessi e di gelosie tutt'altro che classici, la Lauclatio urbis florentinae che il Bruni scriveva
allo spuntar del secolo, e il Le laudibus urbis mediolanensium che
,
le
Le
di
di
gli intelletti
ammirazione:
de-
efftti
i/cioquenza
sacra
*
102
CAPITOLO TERZO.
pratici
scuotere
parola e con
la
predicatori di penitenza
frati
Quando uno
minori solitamente
di
quei
gingeva
in
una citt, si accalcavano per ascoltarlo sulla piazza dinanzi alla chiesa
uomini e donne, fanciulli e vecchi, ricchi e poveri, a migliaia; e spesso
quella
dicazione,
avido
di
umanisti,
quali
prendevano norma
al giudizio delle
commovevano
sostanza.
Il
si
Guarino andava in
il
visibilio
eia
analizzar
esteriorit
che nel
per l'eleganza
Sarteano;
il
azioni dai
nell'
trina teologica e
fermavano a quelle
umane
ma
tutto colia
e l'erudizione
ma
deplorava
non sapesse accomodare al soggetto il gesto e la voce; in Bernardino da Siena il Fazio ammirava la copia e la veemenza della, pach'ei
rola, la pronuncia varia e piacevole, la forza e la resistenza della vocePi addentro penetra il giudizio del Poggio, ma parzialissimo, specchio dell'uomo portato da natura alla maldicenza e fieramente avverso
ai Minori. Egli nega perfino gli effetti morali della loro predicazione
e li accusa di trattare materie recondite e oscure in tal forma che il
volgo non riesce ad intenderle [De avaritia, in Opera, p. 3 sg.). Strana
Che anzi lor merito fu il parlare alla dimestica, di coso
asserzione
intimamente legate colla realt o piuttosto della realt stessa, conformandosi all'intelligenza e all'istruzione dello turbe, che volevano am!
san
Dernar
ino
(io-Hii).
il
Di questo grande oratore sacro, che nato nel 1380, a Massa Marittima in quel di Siena, dalla famiglia Albizzeschi, esercit con zelojnfaticato, dal 1405 fino alla sua morte (1444), V apostolato religioso o
103
104
CAPITOLO TKRZO.
zioni,
media
non troppo
XXIII, XXXIV).
predicatori popolari rappresenta
anche
la
Com-
dell'Alighieri (Prediche
L'eloquenza dei
tivo dell'arte, anzi
mirando ad
altro,
il
lo
stadio
raggiungono
gli effetti e
danno
le
primiquali,
gli
di rappicchi, risultanti
dissimili
.,
ma
si
no-
vella latina. Della prosa narrativa, storica e novellistica, sar parola nel
capitolo seguente.
CAPITOLO QUARTO
storia e la novella.
La storiografia umanistica.
II
di
Pitti,
altri.
il
il
il
Bisticci.
Silvio.
Il
delli
le
rienti.
Il
di
Il
di
11
gii
le
si
Romani
e dei Greci ritraessero buona parte della maest, onde apparivano gloriosi, dall'arte degli
scrittori.
ci
grandeggiare
il
con-
cetto della storiografa e della sua missione e aver rincalzo l'idea dianzi
e spezzati,
ma
non
chi
pieni di
semplici
vita e
il
Caratteri
^J^*
t(
maoistica,
^UO
CAPITOLO QUARTO.
relazione tra
desta quel riaffermarsi poderoso della coscienza umana, che contraddistingue il Rinascimento e che, vedemmo, provocava il sorgere di una coscienza
mentava l'esempio
dei
un
moria dei
La mstoria
tiorcntina di
1
Bruni
idnie
aufefi).
il
ultimi
come un sacro
gli
libri si
accompagnarono
ai
pre-
Comune
il racconto, calcato su
Livio,
vecchia Etruria, s'apre facilmente la
strada a discorrere mettendosi a' panni d'Orosio e di Paolo Diacono,
delle invasioni barbariche fino agli Unni. Da Orosio viene a lui ed ha
delle relazioni di
Roma
colla
corso fra gli umanisti la concezione democratica del cesarismo. Con rapido riassunto toccando del dominio dei Goti, dei Longobardi e dei Franchi
morte
Federigo IL
che si stende
fino alla morte di Gian Galeazzo Viil Bruni segue dappresso il Villani, solo
di
di rado arricchendo il racconto col sussidio di alcun documento
composti
in
pi
ordinandolo
abbrevi,
lo
ove
non
solito abbreviandolo e,
atteggiamenti. Tuttavia 1' assetto annalistico non va scomparendo se
non negli ultimi libri, dove quella fonte vien meno e la narrazione
e delle calate degli imperatori tedeschi, giunge alla
ha principio veramente,
per oltre un secolo e mezzo
sconti (1402). Per buon tratto
Di l
di
si
fa pi
soli
tre anni;
per
le
ic
vole e
fatti
Dovunque
lo stile
scorre-
107
parto di ci che hanno di pi caratteristico. I Fiorentini non bandiscono Toste per andare in terra di nemici , ma classicamente bellum indicunt , che cosa ben diversa, e par abbiano dimenticato le
loro costumanze guerresche, quella, per esempio, di correr palli e guar-
dane sotto
alle
mura
assediate, ch
se
non
di torri, di
i
Romani.
connessioni,
ma
compatto organamento che non abbia, specie ne' primi libri, La mstora
presenta 1'. Eistoria fiorentina del Poggio, che narra ^{'^i"?
in otto libri le guerre combattute dai fiorentini dal 1350 alla pace di (1350-1455).
Lodi (1454-55). Degli interni rivolgimenti, ai quali l'Aretino avea pur con^
sacrato in pi luoghi molte pagine, il Poggio non dice verbo anzi salta a
pi pari i dieci- anni di pace, che- corsero dalla morte di Ladislao alla
prima guerra con Filippo Maria non isfoggia ornamenti rettorie!, e se gli
si offre occasione di interrompere con una solenne orazione il racconto,
non sempre ne approfitta. Par quasi che gli tardi di arrivare alla fine.
La storia fu Y ultima opera del Poggio. La scrisse negli anni
doveri di questa lo obbligavano
in cui tenne la cancelleria, quando
a vincere la sua ripugnanza ad occuparsi d'affari politici. Anche GeTacop o
nova ebbe in un umanista, cancelliere della repubblica dal 1411 al 1466, Bracellu
dico di Jacopo Bracelli che narr in cinque libri
11 suo storiografo
con ispirito di patria carit e con buona perizia nel raggruppamento
dei fatti, la guerra tra Alfonso d'Aragona e i Genovesi. Invece il successore del Poggio nell'ufficio di palagio, Benedetto Accolti, si propose Benedetto
Accoltl
di provvedere alla gloria di guerrieri medievali, ch'ei giudicava non
Pi.
prima
crociata sull'ordito offertogli dai vecchi cronisti, specie da Guglielmo arcivescovo di Tiro. Anche sotto la penna dell'Accolti il racconto pati-
assume eleganza
perfettamente tornite
spigliata di stile e
di
FJ*
U38s-i4G3).
108
CAPITOLO QUARTO.
massime
Francesco Barbaro, che, pretore a Vicenza, lo volle suo seIl medesimo ufficio tenne poi a Padova presso Francesco
Barbarigo (1420) ed a B rescia (1427). Anche lui accolse pochi anni
dopo (1432) la curia, e fu notaio della camera apostolica, segretario e
scrittore. Eugenio, cui garbavano il mite carattere e la dottrina delumanista forlivese, non gli lesin le sue grazie. E questi ebbe agio
di
gretario (1425).
'
di
di
proporzione fra
le parti, nella
quale
si
rispecchia,
come confessa
egli
insolita vivezza la
fuga
di
racconti
stava dinanzi alla mente uno spettacolo, che aveva osservato Coi
suoi occhi (p. 481 sgg.). Diverso fu di necessit il suo procedere nelle
gli
109
deche precedenti, nelle quali meglio appare il carattere della sua stoCon grande fatica egli ricerc e lesse molti libri per prepararsi al lavoro e se ne serv spesso con quella servile fedelt, che
suole avvincere i cronisti del medio evo ai loro predecessori. Il rimaneggiamento di Procopio fatto dal Bruni in gran parte trascritto alla lettera; cos Paolo Diacono per la storia dei Longobardi. In generale
Forl oculato nella scelta delle fonti e sa acutamente
x umanista di
distinguere le pi dalle meno autorevoli, tenendo conto della loro
maggiore o minore antichit, dei motivi, che potevano indur lo scrittore a torcere il vero e delle ragioni per le quali i narratori avevano ad essere pi o meno bene informati. Fa grande stima delle
storie contemporanee agli avvenimenti e. soprattutto delle lettere dei
personaggi pi cospicui, che riferisce spesso testualmente cita le sue
fonti e ne paragona le attestazioni, risolvendosi pensatamente per l'una
o per l'altra; a compiere e correggere gli scrittori ricorre a monumenti artistici, come l dove invoca, per cogliere in fallo Procopio, un
mosaico della chiesa ravennate di S. Martino in Ciel d'oro (p. 44)..
Ma nelle sue ricostruzioni non sempre felice tutt'altro Confonde
nomi e fatti sconvolge la cronologia ha concelti falsi siili' et e
sugli autori delle cronache, onde si giova. E per giunta le sue citazioni sono spesso oscure e mal definite, talvolta, per una millanteria,
cui bisogna usar indulgenza, di seconda mano. Ci non di meno innegabile che il Biondo ebbe per primo coscienza del metodo, con cui
le fonti storiche vogliono essere ponderate e sfruttate, coscienza, che
le circostanze e, pi, la frettolosa composizione del libro gli tolsero di
rendere pienamente profittevole. Similmente egli per primo, intese
l'importanza del mdio evo e elei rivolgimento operato dalle invasioni
barbariche e sent i caratteri di quell'et come contrapposti a' caratteri del mondo classico. In sul principio delle deche combatte coloro
che ponevano il prinallude evidentemente a Leonardo Bruni
cipio della decadenza romana al tempo di Cesare e sostiene che anche
la traslazione della sede imperiale a Bisanzio confer a provocarla
solo come causa remota. Ma la scarsa riflessione gli impedisce di render feconda l'intuizione geniale, e come non affronta il problema delle
cause di quella decadenza, se non l dove fuggevolmente ne addita
riografia.
una
non
cura
poderosa sua racmedio evo e di studiare il modificarsi delle istituzioni e delle idee. Non assorge ad una
concezione larga dello spirito dei fatti, che quanto dire non scende all'analisi della fortunata impressione, che questi hanno prociotto su lui.
Nel Biondo costante la cura della precisione e della chiarezza,
cidentale
(p.
166), cos
si
di trarre dalla
enei' ch'egli si
oscuro perfino a s
stesso,-
110
CAPITOLO QUARTO.
classica
le
concetti moderni,
bnmhardae
fusioni,
non
si
e per
ma
si
attiene
in foggia
fiumi corrano
perita di chiamare
galeones
e,
capitami generale s
suoi condottieri.
opere
linorl -
e pubblic sotto
il
nome
d'Italia illustrata.
La
confini, esposte
sommariamente
che
di inesattezze e di abbagli, a
zamenti degli
e frutto di
Roma dei papi, la Roma temuta da tutto il mondo per la forza delle sue
armi alla Roma venerabile a tutto il mondo pei benefci della religione.
Poich ad Eugenio successe Niccol V, la buona stella del Biondo
s'annebbi. Forse al pontefice, che, tutto intento a dar cristiana attuazione al suo gran sogno umanistico, permetteva si facesse calce delle
antiche rovine, sonavano incresciose le lodi, che l'erudito forlivese avea
promossi restauri o non piaceva un
tributato al predecessore di lui per
uomo animato da tanto zelo archeologico, quanto attestava la Roma instaurata, e d'altro canto non sufficiente alle traduzioni predilette, perch
ignaro del greco; oppure, ch' pi probabile, nocque al Biondo la malignit di colleghi furbi e prepotenti. Fatto sta che cadde in disgrazia
e, lasciata la curia, and pellegrinando pi anni in traccia d'un collocamento, che liberasse lui e la famiglia sua numerosa dalle strettezze e
dai disagi. Nel 1452 era a Napoli, dove pronunci un discorso in onore
di Federico III venuto col per accoglier la sposa Leonora di Portogallo.
L'anno dopo, riconciliatosi con Niccol V, torn a Roma. L'assunzione
alla tiara del Piccolomini rinnov per lui i bei tempi di Eugenio IV.
i
Pio II dedicata la
Nel prologo
egli parla,
LA LETTERATURA ORIGINALE
Ili
IN. PROSA.
enuncia
il
quale
vederla, in
desider
trionfo,
Agostino.
S.
ed
fiorente
Indi tratta,
in
alle
e raffrontate,
feste
che
si
romani
e,
manifestamente alludendo
guerra contro
alla sperata
Turchi,
si
St udi
ne[7ec
ap_
e
xv
Mentre
...
il
Biondo attendeva
tilui,
piu giovane di
ai suoi lavori,
un anconitano,
trascriveva bellamente
"tenone e delle
mura
di
Micene, misurava
anni
......
tre
profilo del
Par-
menava
vanto con aria tra ingenua e ciarlatanesca. Curioso tipo codesto Ciriaco
Comincia a navigar giovanissimo coll'avo mercante, ma
de' Pizzicolli
il fascino dei monumenti antichi, che gli vengono sott'occhio nel reame
di Napoli, in Grecia e nell'Istria, gli fa presto dimenticare i conti e
i registri; impara quasi senza maestro il latino (1421-22) ed a Costantinopoli s'impratichisce nel greco; viaggia pi volte per le isole dell'arcipelago, in Macedonia, in Tracia; nel 1435 visita le piramidi d'Egitto,
!
morti; offre
IV (1441) ed
alcuni anni dopo spiega gli storici greci e latini a Maometto II, signore
di Costantinopoli;- n da quel suo febbrile vagabondaggio rista, se non
servigi di ambasciatore nelle parti orientali ad Eugenio
112
CAPITOLO QUARTO.
J
a sibei
lieo'
e Giorgio
(143M494).
"
iDi.
risoluzione e gridanti all'offesa libert del concilio, dopo la grande orazione del cardinale d'Arles e le aspre frasi del patriarca di Gerusala solennit grave della seduta del 16 maggio 1439, nella quale
poste sugli scanni dei dissidenti, lontani dall'aula, le reliquie dei santi,
lemme,
furono votate con pacatezza quelle conchiusioni, tutto ritratto. maestrevolmente nel primo libro. Il secondo, che narrava la deposizione
113
elesse l'antipapa.
Federici imperatoris.
disegno, che
il
il
all'Europa.
Come non
finita,
vi
manca
pur nella parte che ne abbiamo, un agglomeramento di appunti e di dissertazioni isolate. Non v' ha proporzione di ampiezza, n uniformit di carattere fra queste; occorrono
ripetizioni il libro, archeologico ed erudito, quando percorre paesi lontani o sconosciuti all'autore, diviene tutto di storia recentissima, quando
arriva all'Ungheria, alla Germania, alla Francia e all'Italia. Reminiscenze personali e racconti di testimoni la vincono ancora una volta
sulle morte attestazioni dei libri.
l'Africa,
Le occupazioni
mano
dar l'ultima
ordinasse secondo
altri
Cosmographia. Similmente
la
egli desiderava
di
quali
cui
particolari
di
eleganze
scrisse la sua
eli
I
che
i
auto-
che mi studiai di far conoscere nel primo cache arieggia felicemente la maniera
racconto procede senz'ordine prestabilito, anzi in un
geniale e complesso
pitolo.
In
un
del Poggio,
Rossi.
il
La
latino
scorrevole,
lett. ital.
nel sec.
XV.
Commen-
tar ii
rerum
mernorabi""'um.
114
CAPITOLO QUARTO.
tuzioni,
che
gli
il
al Machiavelli scrit-
ispiravano
49),
(p.
non
Enea
uccise
Silvio
il
tasto
pensiero della gloria, che se ne prometteva, non soffocarono le intime tendenze del suo cuore. E nelle Memorie tace ad
del papato e
il
sitati lasci
monotonia
particolari, che
cotal
frasi,
di
i
pi
ti
rivelano,
se
specie per
non
il
ti
uggisca una
rilievo
di alcuni
mondo
classico,
si
reca a Subiaco,
conventi,
p.
250 e
IV,
p.
ai
ti
salti
il
descrive
il
corso
dell' Aniene,
or
(lib.
V,
305) se percorre, di primavera, la campagna robagni di Viterbo, ti mette sott'occhio le floride gi;
115
verdeggiar delle
sfondo
sui monti (lib. Vili p. 378). Lo spettacolo che ha goduto di sulle
<3m dell' Amiata, e la pace che il suo animo ha trovato lass fra i
vecchi castagni, in vista al mare, che bagna le rive della sua regione
natia, gli ispirarono una descrizione di quel monte, tale ch'ei ne fu detto
il padre dei paesisti moderni (lib. IX, p. 396). La natura solitaria,
orrida o ridente, egli non ama ed ammira come un asceta, ma come
un viaggiatore moderno pronto a gustare con simile ardore le attrattive dell'arte, n rifuggente dagli svaghi della vita sociale. Le feste
sontuose del Corpus domini a Viterbo (p. 384), il brulicar della folla
in S. Pietro, quando vi fu portato il capo di S, Andrea (p. 366), la
regata sul lago di Bolsena (p. 391) e le corse di cavalli a Pienza
{p. 433), una rivista delle truppe di Federigo d'Urbino, luccicanti
al sole le armature e agitantisi fra 1' ondeggiare dei cimieri le lance
perch sempre
(pag. 248), tutto descrive con vivezza meravigliosa
desto ed alacre il suo spirito di osservazione, perch d'ogni cosa
sa cogliere 1' aspetto estetico e di questo si appaga con sereno ab1
prati all'intorno e
il
borghi
vigili nello
bandono.
Il
concilio di Basilea e le
memorie
nome
di
Commentarti
il
la
di Cesare
moni
ad opere
oculari. I
commentari erano
meno
la specie pi
che
modesta
della
storio-
schizzinosi
le
il
carattere di storia
modesta proprio del commentario non vien meno air ampollosa opericciuola dell'umanista napoletano; ch vi restano evidenti le commettiture della sbocconcellata composizione vi abbondano le notiziole anche risibili, e l'esposizione dei fatti vi qua e l interrotta dall'inserzione di versi, che le si" attaccano per debil filo, di documenti e di
,
(1452-53).
116
CAPITOLO QUARTO.
commm- ttere. Quel carattere per appare assai pi rilevato nei Commentarli
1
rerum suo tempore gestarum di Leonardo Bruni. Quivi il liviano
t'rnipn
r
2 Tu 7*' au ^ ore e\V Hi storia fiorentina raccozz sparsi ricordi de' suoi giovani
(1370-M40). anni, frammenti di lettere storiche scritte ad amici e narrazioni di fatti
accaduti durante il suo cancellierato, fino alla battaglia di Anghiari(1440).
Opere siffatte, dove il latino corretto ed elegante degli umanisti si distende su di un'ossatura rudimentale, anzi sur una semplice serie di
racconti ordinati cronologicamente, rannodano la storiografia erudita
all'umile letteratura delle cronache, delle quali il secolo XV ebbe dai
precedenti il costume, il metodo ed i modelli.
In un tempo in cui il subito ed incalzante variar del presente pareva
Le
che.
sospinger lontano con rapidit insolita il pi prossimo passato, molti
i
wo"'
'
presero a scrivere
le
citt.
Mercanti, come
come
Roma
variamente ricco di
come Leone Cobelli, autore d'una
ehe
quente, addirittura
il
o,
pi di fre-
varia coltura dei cronisti. Perch l'idea d'una lingua delle scritture, differente
dal proprio
dialetto balenava,
con pi o meno
di chiarezza,
che
il
gnit di lingua letteraria. Dei quali diritti poi i capolavori del Trecento
avevano come imposto, di riflesso pur ai meno colti, un certo rispetto.
Ma ai non toscani difettavano sussidi, che agevolassero l'attuazione di
117
quell'ideale, spesso piuttosto sentito che conosciuto definitamente; talch non meraviglia che quei rozzi cronisti riuscissero appena a
-smussare
le pi
anche
le
pi appariscenti
scrittori pi colti, in
tate
cronisti
fio-
rentim
Bart. del
Corazza,
Domenico
e"
g"nv
^s
'
118
go. di paolo
Morelli
(1371-H44).
CAPITOLO QUARTO.
agiato
valiere tra
il
XIV
secolo
il
successivo (1371-1444).
Le memorie do-
boschi che
delinea;
ritratto della
il
come
delicato e piacevole,
l'originale
Giovanna Morelli
dovette essere.
do
(p. 246)
L'aura erudita
appena sfiorato l'epidermide allo scrittore perfinoquando fu eletto gonfaloniere di compagnia (1409),
il protesto, che
insolitamente spigliato ed arguto, par cosa del Trecento.
dei nuovi tempi ha
disse
Buonaccorso Pitti
1354-1431
Gli interni rivolgimenti di Firenze negli ultimi decenni del secolo XIV,*
guerra degli Otto santi, le trattative dei Fiorentini col re di Franeia e con Roberto di Baviera nelle guerre contro il conte di Virt e
queste guerre stesse, compaiono, di necessit, in iscorcio o di prospetto
di Buonaccorso
nella Cronaca
cos fu detta impropriamente
di Neri Pitti (1354-1431 ?). Vago, iin da giovane, di andar per lo
mondo a cercar la ventura , giocatore largo e cortese, ma insieme
savio magistrato in patria e nelle terre del dominio ed abile negoziatore politico alle corti di Francia e di Baviera, codesto discendente
d'un'antica famiglia fiorentina fu uno strano miscuglio di scapataggine
e spavalderia quasi celliniane e di prudenza civile. Alle memorie
domestiche, le quali principi a scrivere nel 1412, ricercandole anch'egli per entro a libri molto stracciati e male scritti e male tenuti , e seguit fino al 1430, il Pitti aggiunse una specie di autobiografia, narrazione semplice e disadorna dell'avventurosa sua vita.
Il Pitti, il Morelli e gli altri autori di ricordanze domestiche scrivevano per s e per i propri consorti, n pensavano forse che un
giorno gli eruditi avrebbero frugato quei loro libri modesti per ricercarvi documenti di storia e per sentirsi spirare in faccia un soffio della
vita vissuta in quel tempo, non colato di fra i panneggiamenti della re ttorica, n impregnato di strani odori, e che la schietta semplicit del
loro dettato avrebbe un giorno assunto sembianza d'arte sapiente. Con
ischiettezza di lingua non minore, ma con intenti letterari manifesti Gregorio di Stagio Dati (1363-1435), che fu pi volte console dell'arte della
seta e priore e, nel 1428, gonraloniere di giustizia, narr nella sua
Istoria di Firenze, foggiata a dialogo e divisa in nove libri, le guerre
col Visconti e con Pisa dal 1380 al 1406; sommariamente per lo pi
la
^istoria
dl
Dati
e quasi
si
119
delle
costumanze e degli
uomo
religioso
di
il
e fratello
XV,
fin
il
se- Le cronache
organicamente concepite,
nelle quali par continuarsi la tradizione gloriosa del Villani. Nel 1400
il lucchese Giovanni Sercambi poneva fine alla cronaca della sua citt,
che avea condotto dal 1164 fino all'assassinio di Lazzaro Guinigi; ma
poi i gravi avvenimenti, dei quali fu magna pars e che diedero la
signoria al fratello dell'ucciso, Paolo, lo indussero a riprendere la penna
e a seguitare il racconto fino al 1424, che fa l'ultimo anno della sua
vita. Verso la fine del secolo Marino Sanudo (1466-1535) scriveva,
sottonl titolo di Vite dei dogi, una cronaca di Venezia fino ad Agostino Barbarigo e la continuava narrando la spedizione di Carlo Vili;
ed a Milano Bernardino Corio (1459-1519?) per volere di Lodovico
a muovere dalle origini sino
il Moro, compilava la storia della citt
alla fuga dello Sforza ad Innsbruck (1499). Opere codeste, a ciacolo
stese su
pi vasto disegno e pi
scuna delle
quali
le
particolari
che
attitudini intellettuali
e la partico-
si trov
a vivere, danno atteggiamenti peculiari, ma che tutte si stringono
insieme nella comunanza di alcuni generali caratteri: la lingua brula forma stilistica per lo pi piana
licante di elementi dialettali
ma talvolta rettorica e pretensionosa per la vaghezza che ha lo scrittore di montare sui trampoli, l'abbondanza di documenti di varia naversi, lettere politiche, elenchi di persone
intercalati nel
tura
testo, la tendenza ad uscire dal campo angusto della storia locale ed
le
di trattati e di rivolgimenti,
il
il
ma
procedere
fatti.
sercambi,
Marino
Sanudo
di
no cono
120
CAPITOLO QUARTO.
di politica pratica,
lamenta perch i compensi avuti dai Gu&igi non fossero stati adeguati al merito dell'opera sua. Il Sanudo ed il Corio sono diligenti raccoglitori ed ordinatori della materia storica; quegli pi assennato e,
si
sto
l
le
si accinse a narrare la venuta del re francese, ma non gli venne fatto e torn ivi
stesso a quel sistema dei notamenti spicciolati, che ci diede i suoi meravigliosi Diarii dal 1496 al 1533.
Lo storie
di
Cavalcanti
(U23-1440),
Non
meglio all'intento di sollevar la cronaca volgare all'altogata ma lo vagheggi e si studi d' attuarlo con
cos ail e pertinacia il fiorentino Giovanni Cavalcanti, che, prigioniero nelle S tinche per non aver pagato le prestanze al Comune, si
propose di scrivere della cacciata di Cosimo e del suo ritorno ma per
chiarire l'origine dei fatti si rifece dal tempo della guerra con Filippo
Maria Visconti (1423) e seguit poi il racconto fino al 1440. Uscito
di carcere, aggiunse a quei quattordici libri, la storia d'altri sette
anni. Pi che i fatti esterni stanno a cuore al Cavalcanti i mutamenti
dello stato, elei quali vuole additare le cause e i riposti motivi; proposito raro ne' suoi coetanei, ond'ebbe l'onore d'essere sfruttato copiosamente dal Machiavelli, che deplorava il silenzio del Bruni e deiPoggio intorno alle civili discordie e alle intrinseche inimicizie. Facile
a provare antipatie e simpatie e caldo fautore dei Medici, egli effonde
la gagliardia de' suoi sentimenti in apostrofi, riprensioni, esclamazioni
contro i cittadini malvagi, lupi famelici, causa di infortuni alla patria (II, 21) o contro Firenze, che viola le leggi e i suoi sottili provvedimenti (VII, 28), e per formulare giudizi sugli uomini e sugli
eventi si serve cos di digressioni eli tal fatta, come del gualcito artifcio della visione. continua in lui la cura d' esaltare la possente
casata sua amica, e lo fa talvolta a scapito dell'esattezza storica; tuttavia ahbastanza equanime l dove parla degli avversari. Nella nartozza
riusc
di storia
j-
come
razione,
anche
se
non ne
faccia
uno
il
sommovimenti
storico vero.
Ma
una
fastidiosa e studiata
il
lativi di uffici
121
punture delle
Fesche
accese dell'ira di due cittadini, con un fonte di umilt e di eloquenza
a spegnere si metteva gli ardenti crucci (IV, 2); se aggiorna, gli che
gli alpestri cacumi pi non possono la celestiale lumiera alla nostra
teme
di
coltella bolognesi
(I,
delle mortali
daUzzano
veduto
la
gramma-
tica esce malconcia, perch il Cavalcanti uomo di coltura schiettamente popolaresca e l'arduo cammino, per cui s' voluto mettere, non
" fatto per lui. Per buona ventura questo sgarbato scrittore non rispecil carattere generale
il lettore deve esserne ora mi convinto
chia
Ci resta a dire di
un
genere
parti colar
di storia
che
il
quattro-
cento vide rifiorire di nuova vita e trasmise gi prossimo a maturanza al secolo successivo le biografie.
L'alta coscienza ch'ebbe il Rinascimento delle energie e delle facolt umane, la tendenza a ricercare le cause dei fatti e a trovarle,
spesso per quell'illusione "che abbiamo altrove rilevata, nell'opera de:
gl'individui, pi volontieri
ciali e politiche
infine
1'
rinnovarono
vite svetoniane,
di circostanze
modi
e le
si
so-
e ra "
massime delle
forme di quelle
gli intenti,
pi cospicui
dizio dei
diffondendosi
si
delle
Un
ritratto
delineare Le
Pier Candido Decembrio. Nella sua vita di Filippo Maria Visconti, narrate succintamente le guerre che il duca sostenne per rassettare ed
estender lo stato, discorse in brevi captoli le qualit buone e cattive
di lui, l'indole,
in
un
latino semplicissimo e
si
connettono artisticamente
pf
di
Decembrio.
CAPITOLO QUARTO.
122
in
un
tutto compiuto. In
dl
Accanto
Ed
d^B^Fazio
in
delie
quali
vicende politiche e
XV
letteratura ro-
la
il
ivi
vh-is
le
vennero
,
Decembrio stesso
viris llustribus.
De
il
^o -rlfle
11
il
>
di
non
imitabili.
Le
usiamo per brevit di questa designazione non proquantunque pregevoli per alcuna peregrina notizia,
sono tuttavia aride e monche, talvolta nudi cataloghi di fatti o di opere
pria
biografie
del Fazio,
letterarie.
Ben
denza, che
pntificum
diB.piatwa.
di
rado vi trovi
tocc spesso
Enea
scolpiti caratteri
con
Silvio Piccolomini
la
sua
claris.
il
De
Vespasiano.
plastica evi-
scrivendo
123
Vissuto nella consuetudine degli eruditi, nella citt dove con pi fervido gorgoglo ribolliva la vita intellettiva ed a cui affluivano larghe ondate della vita politica della nazione, egli volle far* memoria di tutti gli uomini dotti, che aveva conosciuto, e di ci che avea visto co' suoi occhi od
soffocato a Firenze, di
da
un gentile
quando
ideale,
ritrae, in
Alessandra
una -bio-
grafia che
Libro delle lodi e commendazioni delle donne illustri rassegna, dopo
le antiche, alquante moderne di mirabile vita e costumi, savie, temperate ed attissime al governo e alla cura della casa.
A Vespasiano non stanno a cuore le cose grandi, quelle che suol
registrare la storia togata. I suoi personaggi egli ama coglierli neldove pi libere si manifestano l'indole e
l' intimit della vita privata,
nella conversazione famigliare
dove
le tendenze loro individuali
guizza il motto arguto o pungente, in mezzo ai fatterelli piccini che accadono alla giornata, piuttosto che nell'atteggiamento di politici, che
ordiscano gravi trattati, o sui campi, ove facciano prova di loro virt
sta
s,
la bella e virtuosa
militari.
Perci
libro
il
gremito
di
accrescere fede al racconto, come per mettere in rilievo, pavoneggiangiandosi ingenuamente, relazioni e amicizie onorevoli. N quivi sol-
mostra
si
antica di alcune
la
osservazioni,
di Vespasiano a rilevare particolarit pitTuttavia egli non quel che dicono un ritrattista.
Dalle linee e dai colori che accumula, altri potr ricavare il ritratto
bello e parlante; a lui manca l'arte da ci: la sobriet, la perizia or-
ad apprezzare
la varia
destano,
hanno
in chi le legga,
di superfluo, di
il desiderio di vederle
sfrondate eli quanto
trovarvi meglio collegate quelle linee, e quei co-
124
lori
CAPITOLO QUARTO.
Ma,
pi saviamente distribuiti.
giusto
spasiano non ebbe pretensioni d'artista; anzi ripete le mille volte che
scrive per via di ricordo , ad utilit di quelli che non sanno di lettere e per preparare i materiali a chi vorr poi con adeguata cultura
tessere in latino le vite di quegli uomini.
se fu in
vite dei
Trecent.su.
tempo
di
vedere
le
si
dolse,
alle quali la
il
il
vieppi la biografia
italiana
a'
suoi
classici modelli.
a prosa
veiisSca
Al nostro
non
ispiacer
Le iet?eende.
di sacre leggende
anche se non si prenomi famosi e venerati, non po-
sentavano corrette
dall'autorit di
125
Feo
Feo
Belcari.
Le opere
di piet,
di Jacopo,
alle
quali
il
lo
mento, come
le loro santa
Caterina
e,
si
presentava al limi- Le
novene
126
CAPITOLO QUARTO.
XV
NoV
la ~
tinl.
stessi
La
Storia di
due amanti
d
'
E S
Pie-"
coiomini.
>
l'Imperator Sigismondo (1432-33); protagonisti Eurialo, cavaliere francone, nel quale adombrato il cancelliere imperiale Gaspare Schlick,
e Lucrezia, la bella moglie
dove
il
non
si
un mondo profondamente
di
Me-
corrotto
timor dell'infamia ed un
o vela la cruda
sensualit di quegli amori tutta fisiologica, se mi si conceda la frase,
la psicologia di Enea Silvio. Il quale non si cura di preparare alla
soli impacci,
freni,
di
alla
colpa sono
il
d'
amore dopo
la
non
ci s'aspetta
partenza
di
che
Eurialo
127
loqui di
segno
gli
XV
volume ponderoso,
la storia
"della bella
di
zione morale che mette schifo. Che turba di donne senza pudore e senza
amore, di ecclesiastici perversi, di borghesi sozzi E qual nauseante
!
Sermini descrive le
riesce ad essere
comico, grossamente; i suoi personaggi non operano se non per impulso degli istinti pi bassi, alieni come sono da qualsiasi delicatezza
di sentimento. Un conterraneo del Sermini, Bernardo micino, novellando verso la fine del secolo di Angelica Montanini, che il fratello
mise nell' arbitrio di Anselmo Salimbeni per soddisfare ad un grande
obbligo di gratitudine, disegn una gentile e casta figura. L'Angelica
-cede all'ingiunzione brutale di Carlo, ma riluttante, ma rimproverandolo e giurando di non sopravvivere al disonore. Presso il Sermini,
che nella nov. XIV aveva pur narrato quella commovente tradizione
cittadinesca, ella si tramuta d'un tratto in una ganza cortese e maestra
' di modi ordinati e graziosi . A lui non passa neppure pel capo che
un sentimento di dignitosa ribellione possa sorgere in quel cuore di
- fanciulla nobile e onesta . Similmente, quale diviene nel rifacimento
serminiano (XVIII) la gentile storia boccaccesca di Tito e Gisippo !
pi laide scene con
un gergo da
bordello, che
Il
non
en
mini.
CAPITOLO QUARTO.
.123
per
modo
la
un contadino, Scopone,
sconoscente
del gioco
il
delle
pugna
una visione
di
Non
ma un
1^]^^^
libro
129
sentir lui,
topografiche.
Ma
rosst.
fatti
La
leti. ital.
nel sec.
XV.
si
130
CAPITOLO QUARTO.
al pi sconcio sacrilegio; nei conventi, spelonpi presto che abitacoli de servi di Dio , dove germogliano gelosie, maturano discordie, scoppiano zuffe e senza veli si ma-
che
di ladri
nifesta
il
gione.
Lo
cinico disprezzo di quei novi santi per le cose della relistaffile del
colari, preti,
ma pur
anche
vescovi e cardinali.
La
le
monache e
gli ecclesiastici
si
se-
me-
nava nei conventi femminili, si colora, nella chiusa della sesta novella,
di tinte veramente tragiche. Perch nel Novellino la dipintura di tante
gagliofferie non , come nel Decameron, fonte di riso; anzi ha un
mettere in guardia i secolari contro le arti dei
Masuccio vorrebbe che la terra inghiottisse vivi
o che fossero almeno bollati, affinch non potessero andar confusi coi
pochi buoni. Per lui pi riprensibile mancamento conversare e tener
trame con monaci che con eretici.
Men rilevata impronta individuale e maggiore affinit colla letteratura tradizionale, hanno le novelle, che satireggiano il defettivo
muliebre sesso . Ne piena tutta la terza parte. Le altre parti raccolgono piacevoli accidenti senza offensione d' altrui materia lacrimevole e mesta, esemp di gran magnificenza e di straordinaria virt.
Qua ti imbatti nella comica storiella, ove suona 1' eco di gelosie e di
mormorazioni municipali, di quell'amalfitano, che, venendo a Napoli,
pi oltre ti si presensi credette inseguito da un appiccato (XVIII)
tano le avventure di Mariotto Mignanelii e di Giannozza, simili, ecfine serio,
quello
di
cetto che nella fine, a quelle di Romeo e Giulietta (XXXIII) altrove senti
novellare della grande liberalit del re di Portogallo (XLVI) e dell'au;
131
ingegn sempre
si
lo
con-
dalla riflessione
buon numero
di
franco e leggiero, laddove nelle dedicatorie conservate in capo a ciascuna novella e nei discorsi che in alcune sono intromessi (p. es.
nov. XXXV, XLII, XLVI), sfoggia ornamenti rettorici e classiche pompe
e
novelliere salernitano
e vivono nei
secoli
non ha
l'arte squisita
inganno
per cui
si
animano
le creazioni della
fan-
Alberto e la sciocchezza credenzna, onde madonna Lisetta da ca' Quirino cade nelle
reti di lui, si disegnano con istupendo rilievo su di uno sfondo di caratteri bene individuati, nella novlla del Decameron seconda della quarta
tasia del Certaldese.
Il
sacrilego
di frate
seconda
la
campeggia
di
Masuccio;
la sconcia
di
fra Cipolla (De<;. VI, 10), tutta impregnata di spirito fine, tutta sor-
ridente, non sai bene se per compassione o per dileggio, della buaggine dei Certaldesi ? Frate Girolamo da Spoleto nella nov. XLI di Masuccio un nuovo fra Cipolla, che ha appreso a giovarsi per i suoi
intenti
ha
lo spirito,
la persona
uomini
tri
si
suoi ascoltatori,
Sorrentini, sono
luoghi e
li
gabber
colle
modo da
il
racconto boccaccesco e in
che far S.
in qualche luogo
una notevole
efficacia di
rapo
presentazione, l specialmente dove egli tratteggia delle scene piuttostche delle figure. Il dialogo fra il calzolaio Petruccio e la Caterina nella
lebbrosi,
dei
dei
spira
132
Saladino
li'Ui
(m.
\riontl
lioj.
CAPITOLO QUARTO.
nome
copia ai latinismi.
La
il
raccolta,
che
l'
dovunque
gradiva
se pi
eccellente
dignit
abbia
il
cavaliere
il
dottor di
133
tuti riporre,
come
rammentano
gli
Dei/tra
'
berti
e le
^"'ros**"
amante
messer Giovanni, che nell'opuscolo dello scrittore quattrocentista
poterono di leggieri essere introdotti da qualche rimaneggiatore lunghi frammenti della Fiammetta. La quale e il Filocopo furono senza
dubbio, in una colle versioni in prosa delle Eroidi, le sorgenti oninfelice
di
caccio nel
De
genealogiis,
di
In simil guisa, giunto a Cipro interpreta le favole di Venere, la leggenda virgiliana di Enea e il mito
di Ercole. Indi visita l'isola sacra alla dea d' amore e descrive i di-
lettevoli orti
variamente
nati.
fioriti
soavemente olezzanti
ed un tea-
go.
Ghe-
134
CAPITOLO QUARTO.
tro adorno di
marmi
glia
dalle figure di
Mentre
lo scrittore
Venere e
fatti degli
mezzo gorgo-
intorno
amanti e degli amici famosi.
di Cupido, e
Ed
di fi-
tissimo
amore divino
cameron.
Il
il
glorioso e
pratese narra
come
visitati
accompagnasse un giorno ad
una nobile brigata, che in Campaldino godeva della liberale ospitalit
si
Il
II, p.
229).
Tornata a Firenze,
la brigata si riun
di
bel nuovo,
accresciuta,
si
giorni, rette
via
dall'autorit
fiorentina,
come
di
frate
Luigi,
di
si
dell'Appennino casentinese,
di
le
novelle:
graziosa fra tutte per vaghezza di situazioni e di eventi quella di Bonifazio Liberti
(lib.
stile
(Decam. X,
7);
et provetta
Come
nel Paradiso
si
135
scene per la massima parte' reali, cos, o poco diversamente, nel Peredi Jacopo Caviceo, un romanzo che fu scritto a Ferrara nell'ultimo
decennio del secolo e dato in luce dall'autore nel 1508. Vi palese l'indi
grino
rosa
ai mortali, della
vescovo
di
un
Parma, sua
patria,
il
ecclesiastici
al fatto
d'arme
di
Rovereto contro
l'ar-
santotto anni.
Egli immagina che Peregrino stesso gli appaia in sogno e gli narri
vicende del suo amore, i pericoli corsi, le astuzie e gli stratagemmi
architettati da lui per trovarsi con Ginevra, la bella fanciulla ferrarese di cui era preso, e gli riferisca le prediche morali che ella gli teneva per calmarne l'ardenza sensuale e ridurlo a virt. Lunghi viaggi e
avventurosi Peregrino comp, prima per soddisfare ad un voto fatto da lei
a santa Caterina in finibus terrae , poi, quando Ginevra non gli dava
pi sue notizie, per rintracciarla. La trov finalmente a Ravenna in un
monastero, ed ottenuto per via di sotterfugi l'assenso del padre della
fanciulla, la ebbe infine in isposa. Ma fu breve la loro felicit, ch
Ginevra mor dando alla luce un bambino, e lo sposo, chiamato in sogno
da lei, Ja segu poco appresso. Cos ha fine il romanzo, nel quale l'imitazione del Filocopo appare non solamente nella forma stilistica, ma
anche nella materia. Non dissimile ossatura hanno i due libri; n dissimili sono l'intento ed alcune vicende del viaggio di Florio dall'intento
e dalle vicende del secondo viaggio di Peregrino. Ginevra, sedente come
le
compagne convenute a pescare sulle rive d'un fuad una questione d'amore, mentre
ascolta inosservato (lib. I, cap. 37-42), rassembra Fiam-
imperatrice fra
le
Peregrino
la
Napoli. Ma
si
santa vita
n Pere _
9 rino
136
CAPITOLO QUARTO.
^ar
P era letteraria, calcando deliberatamente le orme del Bocproposero, qual pi qaal meno, i novellatori e i romanzieri,
di cui s' tenuto discorso fin qui. Altri scrissero alcune novelle spic-D*
caccio,
si
del Boccaccio, lo fecero, nota egregiamente il Del Lungo, senza avvedersene, in grazia della grande popolarit, di cui godeva il Decameron e perch quella maniera s' era connaturata nel genere. L'amor
del reale, che gi nel secolo XIV tramutava in Italia le leggende
miracolose in narrazioni di fatti umani straordinari e che esult con
pi liberi moti nel Rinascimento, testimoni insigni le arti figurative,
.
che
ci
serbano ricordo
di
vano intorno
pungenti. Scattava
lanciavano a vicenda
frizzi
che
bocca in bocca per la citt e che gli araldi ripetevano fra un ternario morale e l'altro alla mensa dei Priori, e i sottili
uomini tendevano le reti con che si dilettavano di dar. noia ai semplici.
Grande architetto non pur di chiese e di palazzi, ma di burle, Filippo
Brunelleschi, nel 1409, ne fece una solenne a Manetto Ammannatini,
e Donatello ebbe parte con
il Grasso legnaiolo, dandogli a credere
ch'egli, Manetto, fosse diventato un altro, e manaltri in gabbarlo
tenendolo con mille bizzarri avvedimenti in tale credenza. Fu una
compassione il tiro che Lioncino di messer Guccio de' Nobili con Anil
domani correva
il
satiriche,
di
il
un notaro
1428,
poeta,
gli fe-
Le
s tose
con certezza a chi voglia ssere attribuita ciascuna delle tre dettature
137
varie di sostanza e
di
uomo
lieto,
Altre novelle
"
piacevole, universale
d'
zotica guisa, in cui fece gli onori di casa a ser Goro, familiare di Pio
II,
un
di quei
efficacia; risalta in
di Giacoppo,
nel vile, e
di
forma
stilistica,
come
verso
il
le storielle
Bugiale
al
racconti evidente
parte di
tali
nisce
il
il
maggior
Poggio qua schermette alla berlina la
fine satirico. Il
Filelfo
l,
138
CAPITOLO QUARTO.
aspro rimprovero; in altre mena la frusta contro gli ipocriti; ma soprattutto volge gli aculei della sua satira contro le magagne della
curia e l'avarizia sordida degli ecclesiastici. Protagonisti degli aneddoti,
alcuni dei quali spettano al repertorio della tradizione, sono spesso
uomini illustri, come Pier delle Vigne, Dante il Marsili o personaggi
,
ben noti
dissimo
compagnone
Non sono
(8,
140).
Apologi
che in latino scrisse Leon Battista Alberti; invece col libro del Poggio
fa il paio una raccolta di facezie in lingua italiana, che fu raccozzata
in sullo scorcio del secolo e pi tardi largamente sfruttata dal Domenichi. Anche in essa varia quasi ad ogni storiella il protagonista
ma
qualche altro dilettante del genere si piacque di radunare gli scherzi,
le burle, che si solevano attribuire ad un sol personaggio, ed
i motti,
cos
nascimento le Buffonerie del Gonnella, delle quali dubbio
ebbero
Le Buffoner
l a dettatura in ottave o quella in prosa e le
se P^ u an ^ ca
Faceneiia e Ve'
Facezie dei. zie del piovano Arlotto. Il Gonnella era stato un vero buffone, che
esercit la sua professione alla corte estense ai tempi di Obizzo II e
di cui novell il Sachetti; forse ve n'ebbe pi tardi un altro dello
stesso nome, seppure meritano fede testimonianze d'altri scrittori. Ad
Arlotto di Giovanni Mainar di (1396-1483), piovano per quasi sessantanni di san Cresci a Maciuoli nella diocesi di Fiesole, l'umor gaio
e lo spirito pronto ed arguto diedero fama popolare e fecero di lui
come a dire il prototipo dell'uomo faceto. Il Gonnella sguazzava volentieri nel fango e non rifuggiva da sudicerie e da sconcezze le sue
facezie e le sue burle non hanno per lo pi altro scopo se non di
provocare al riso gli spettatori anche alle spalle di qualche povero
diavolo o di. munger loro il borsellino. Senza confronto pi pulite, le
piacevolezze del sere da Maciuoli sono il pi delle volte arguzie od
artifizi, che egli escogita rapidamente per levar s ed altri d'impaccio
o per rimbeccare un rimprovero o per pungere qualche importuno o
;
per mordere
difetti altrui.
gi in
secolo
XV
ebbero
lo
Facezie del Poggio e dell'Arlotto e le Buffonerie del Gonnella, mostra quanto la civil comunanza fosse vaga di simili spassi. I quali,
pur nella loro frivolezza, giovano allo storico per intendere i caratteri intimi e le tendenze di quella societ. Come gli scherzi triviali
e le burle crudeli, meglio adatte a suscitare compassione per i po-
fra
la
che
ilarit
grossolanit dei
139
concetti
CAPITOLO QUINTO.
La
lettersTtuira.
originale in versi.
La poesia profana.
dM
i486.
1^6
il
Feste
fiorentine
141
spioventi
il
e de)
colle
fanciulle fiorentine
tra
il
ne togli la rappresentazione dell'Ascensione, forse parlata nelle poche ottave di Feo Belcari, alla quale
assistette lo Sforza la vigilia dalla sua partenza (2 maggio). Nei d precedenti, una giostra in piazza S. Croce, il ballo in Mercato, lo spetdi sacro in quei festeggiamenti, se
palazzo dei Signori d'una zuffa sanguinosa tra animali selvaggi e domestici, ed una ricca armeggeria in via Larga alla
luce delle lumiere appiccate agli arpioni e delle accese fascine di stipa.
tacolo dinanzi al
broccato" trapunti
allo
Arrivi
esultanze di vitto-
vita
rie e di paci,
l'aperto le
come
minati
si
142
CAPITOLO QUINTO.
XV
men
Anche,
furon cagione i
malcontento serpeggiante all'interno per le prestanze ognor pi gravose nonch la
crescente autori l di Cosimo, che rintuzzava in sul nascere orgogli e
grandigie e lasciava lo donne nelle case deserte a pianger esuli i mariti ed i figli. Eppure consideratela nel suo insieme, quella vita; ripensatene le apparenze quali si riflettono nelle lettere, nelle novelle,
nelle poesie, nei documenti pubblici, e l'impressione generale sar di
benessere e di giocondit spensierata. Cos al forastiero, che capitava
ne ^ a citt del Battista nei d dell'annual festa del patrono, quando,
adorne le vie di serici drappi di vai di tavole dipinte di gioie e
d'intagli mirabili, tutte le arti facevano la mostra di loro mercerie e
lietamente rumoroso e dalle finestre addobbate
il popolo s' accalcava
sogguardavano le fanciulle fresche e gioiose pi che fior di spina ,
pareva tramutato di cielo in terra il paradiso. Ammirato egli vedeva
nell'ordine e nei giorni prescritti dal cerimoniale
sfilare la procesdini
pericoli e
bisognosi!
i
disastri
delle
di agitazioni e di dolori
guerre
esterne e, pi,
il
Giovanni
delle
compagnie
di
dottrina e degli
gnori del contado e i rettori delle citt e delle castella del dominio
recar all'altare di S. Giovanni l'offerta dei ceri fioriti, e pel corso
verso porta alla Croce contendersi il palio di velluto cremisi a rapporti e frange d'oro i barberi pi vantaggiati d'Italia. Sfolgorava da
tutte parti il lusso, che a dispetto delle leggi suntuarie e dei moralisti, d'anno in anno cresceva, adornava le portature muliebri di ricami,
eli frastagli e di perle e tramutava col variar delle
fogge la vecchia
semplicit degli abiti maschili.
La
e
baUat e
come
l'epilogo
d'una
un g a sequela di feste, la qual, movendo dal primo tempo di primavera che, dice un antico, tutto il mondo rallegra e dal Calendimaggio olezzante, si stendeva fin verso la fine di giugno, n quivi ristava. Traevano le brigate sollazzevoli nei giardini della citt, nelle
ville sui colli e, quando vi avesse occasione di fiere o d'altre baldorie,
amori
143
gli
uni
del
Me-
il
Continuavano a piacere
scorcio del Trecento,
ma
madrigali
composti e intonati
in sullo
assai di rado se
genere poetico, che almeno nel nome serbava ancora l'impronta dell'origine sua rusticale, la ballata cara al popolo della citt. Frequenti
se non ricchi di ballate sono alcuni canzonieri toscani della prima
met del secolo, materiate, le pi, d'amore e spesso scritte a petizione
altrui. Codesta forma metrica, che gi avea accolto le alte idealit dei
poeti dello stil
nuovo
che avea dunque una lunga tradizione letteraria, non meraviglia che talvolta s'acconciasse ad esprimere pensieri ricercati e sottili
gradisse immagini e modi, che rivelano l'imitazione petrarchesca. Ma
tal altra spiccava agile il volo, adorna di grazie ingenue e di gaia
freschezza, com' d'alcune fra le ballate di Francesco d' Altobianco
Alberti, uno dei dicitori del certame coronario, e di quelle di Giammatteo di Meglio, fra le quali ve n'ha una freschissima; 0 dolente
cuor mio chi f ha ferito gentilmente supplichevole alla fanciulla
fior delle belle, Rosa tra' fiori e qui sol tra le stelle , che il poeta
vide e se ne innamor, mentr'ella toccava le corde del liuto:
tanei,
ballatina
mia dolce
e soave,
II,
249.
In pi gran numero che non .ne scrivessero i concittadini poeti, giungevano sulV ali del canto alle brigate fiorentine le canzoni vispe e
leggiere da Venezia, dove fra il prosperar dei commerci e il rapido
montar in potenza della vecchia repubblica, nella piazza di S. Marco
che gi veniva componendo in una festosa armonia di linee la rozza
austerit del* suo aspetto medievale, nei palazzi pur allora intagliati
nel marmo a specchio dei canali verdastri e frescati dal Pisanello, da
Gentile fabrianese *e da Jacopo Bellini, nelle barchette scivolanti sulla
laguna, esultava gioconda la vita. L'umanesimo vi era penetrato fin
dai primordi del secolo per opera di Gasparino Barzizza, di Vittorino
da Feltre e soprattutto del Guarino e vi si era saldamente radicato,
144
CAPITOLO QUINTO.
non
In tutto
il
secolo
nerie
XV
di professione,
ivi si
un vero consorzio
cui abbellano le
tico,
forte di
tradizioni
Giustinian
11388
M466)
geva
a' diletti
mi
si
vol-
na-
tura stessa, che mi guid per facile via al pieno possesso di ogni genere di musica, non il volere . Ed eccolo ne' suoi giovani anni liberare
che
dalla vivida fantasia le svelte canzonette e i delicati strambotti
,
come
nell'et pi
matura
le laudi di sa-
cro argomento.
145
nenza una lirica nella quale palpitava lo spirito universo del popolo,
il sentimento trovava la sua espressione immediata senza smarrirsi nei
,
l'origine prima,
come attestano
giorno,
nomi
le
napolitana o calavrese, con cui si incontrano nei testi a penna; e nella patria di adozione si diffusero largamente adattandosi alla nuova temperie generando altre canzoni
non diverse da esse per intonazione e per' assetto esterno. Del pari,
letti e
di ciciliana,
al sorriso del
luminoso paesaggio
siciliano
sarebbe nato
lo
strambotto,
forma
coppia
di distici endecasillabi
di
quattro
distici
una
gli
strambotti sarebbero
per via
di
prendono
distici,
il
il
componimento
ribadendo
il
paragone,- in
un aneddotino
fantastico.
0 sogno vano
Strinsi le
la gente inganni,
XV
Rossi
La
lett. itl.
nel sec.
XV.
10
l
gu
146
CAPITOLO QUINTO.
opere
sonava gradevole -la poesia del popolo, sia che si distendesse
con dolce melodia nell'ampia voluta dell'endecasillabo sia che -saltellasse robustamente sulle forti arsi delle canzoni
che il dialetto veneziano arricchiva di versetti tronchi. E come l'Alberti col quale il
patrizio della Serenissima ha molte intime simiglianze, si compiacque
di ravvivar la sua prosa
con modi e locuzioni della lingua parlata,
le
am
il
cor mio,
il
sua giovinezza.
Ma
affan-
felicit
si
perduta.
Non
Come
mai non
fossi.
motivi del
col
quale
immagini ingenue,
l'uso della
mano
giardiniere la
non
dell'esperto
Ancor oggi
princi-
hanno comuni
la
rappresen-
ripetizione di
pianticella
con poche diversit alcuni di quegli strambotti, sia che se li appropriasse, sia che
erudito si restringesse a ritoccar lievemente canti, che gi
il poeta
prima esistessero. Dubbiezza , che comunque risoluta non modifica
punto il giudizio complessivo su quelle rime del Giustinian (aver egli
preso ad imitare la. maniera del popolo) poich nessuno vorr credere che da s tenue sorgente derivi tutto* il gran fiume della lirica
soggettiva, che scorre tra i volghi d'Italia, da Udine a Palermo.
Se il Giustinian fu il pi abile rimaneggiatore dello strambotto
nella prima met del secolo. XV, non fu certo il solo, come forse neppure il primo. Altri pi o men culti poeti, con pi o men di finezza
si piacquero di dare le carezze dell'arte all'umile figlio della Musa
popolaresca la Toscana ci offre i -suoi leggiadri Rispetti per Tise,
composti prima del 1453, e la Venezia un paio di raccolte assai pi
silvestre
avvizzisce.
il
popolo
ricanta
147
ricche che non sia quella del Giustinian. Al quaje daremo invece merito di geniale innovatore per altri componimenti, le canzoni vispe
e leggiere, mi ripeto a bello studio, che da Venezia giungevano sull'ali del canto alle brigate fiorentine . Innovatore non della metrica,
che prese quasi tal quale dal ppolo, s della contenenza, egli trapiant
nelle forme, che dicemmo proprie della lirica oggettiva, la soave delicatezza dello strambotto o con questa attenu la plebea impudenza di
quella. E trov pure una nuova maniera di canto, s che ebbero nome
di Giustiniane e di Veneziane tutte le poesie, fossero sue o d'altri,
che a quell'aria potessero accomodarsi. Il garrulo stormo migrava per
le terre d'Italia a rallegrare nozze, conviti ed altre liete riunioni, e
pos sulle carte apprestate da chi gustava poesia di tal fatta. Ora da
quelle carte sale a noi come un coro, in cui difficile scernere con
sicurezza la voce del Giustinian dalla voce de' suoi imitatori ond'
miglior partito non ispezzare V unit dell' impressione e rinunciando
qui ai risultamenti, monchi e non bene appurati della novissima critica, raccrre in un unico quadro i caratteri letterari di quelle canzonette, senza indagare quali di esse siano dell'erudito patrizio e quali
non gli appartengano.
,
Son
la
o con rima
di quattro, di tre, di
due versi
e stanze brevi, al pi ottonarie perfino ternarie. La ripresa manca
ad alcune ad altre il collegamento tra le stanze per mezzo dell' ulma questo nome
tima rima. Ancora un passo ed abbiamo le canzonette
dalle strofe slacciate di semplicissimo
davasi allora anche alle ballate,
congegno ritmico (per es. abba oppure adbdb). Pi sostenuta andatura hanno i componimenti in terzine e quegli altri che il Cinquecento
battezz serventesi tetrastici e noi pi propriamente diciamo captoli
quaternari (ABbC, GDdE, E, ecc.).
Di tutte codeste poesiole argomento l'amore. Molte traggono ispirazione dallo strazio di subite separazioni, da desideri insoddisfatti, da
disinganni, da gelosie sentimenti, che erompono ne' versi accorati in
frasi semplici e trasparenti, ben di rado tramutandosi in immagini, che
non passino rapide come lampo. In generale il poeta rifugge dalla riflessione e predilige le esclamazioni enfatiche e certe formule convenzionali, che per essere di origine popolaresca e men trite che quelle
dei dotti, non sarebbero meno sazievoli, se non ce le rendesse meglio
accette una cotal loro ingenua freschezza. Quante volte la bella invocata coi nomi di fiore zentile, spechio di lizadria dolce rosa e
quante, se non voglia dar retta all'amante, imprecata come eretica e
zudia! Quegli vorrebbe esser morto il d che primamente la vide e
-che fu a lui cominciamento di dogliosi affanni; pur non si stanca di
esaltare in enumerazioni minuziose e uniformi la gentil persona, le
trecce bionde, gli occhi ladri, le labbra rosate, la candida gola, le bellezze tutte della sua donna. Ci sta dinanzi tutto un repertorio
lieto
al
148
s
CAPITOLO QUINTO
ma
pur
di
che paiono
dettati nel
De
ti
Fra
sola,
le
Tu
o zentil fiore
ch'io
;
bracce io te tegno,
me
insoni
e tu rasoni,
mio dolore.
Poi tremante e pien d'amore
conforti el
Talor baso
adorno.
el viso
tal solazzo
Tu
rasoni e sta'
De dolceza
e'
me
a lato
io
t'abrazzo
vegno men.
E situazione gualcita quella onde prende occasione la ballata Rediciamo pure il Giustinian
Zina del cor mio, ma il poeta
la
ravviva di una graziosa trovata, interpretando ogni atto della fiera donna
come un
per manifestare a
lui
il
suo amore.
Tanto
zentii
me
benigna ciera,
Che vedo ben che l' contra natura,
s
Che tu
In atti ed in mainer
Tu
Che
volta
E basii dolzemente,
E poi vezosamente
Tu me riguardi e ridi,
Che tu
Con
le
m'alzidi
e struzi di dolcezza.
E non
I
novellieri
loro intorno
s'avede
narrano e descrivono
la vita corrotta
che
si
agitava
zione immediata.
Un
LA LETTERATURA ORIGINALE IN
149
VERSI..
una ballata
donna avr a gio-
il
marito geloso:
alla
di
i
certe figurine sono disegnate con efficacia mirabile e i sentimenti rappresentati con sottile analisi della loro esteriore espressione. In imo
la
madre persuade
luttanze ingenue e
la figliuola
il
proposito di farsi
monaca
(41)
le ri-
in pi e pi altri
Marta,
la fante
pollastriera,
savia
in azione,
dove campeggia
all'innamorato
ballata
accomodate ad esprimerlo.
T
Lirica
aulici
.
d'amore,
150
n petrar-
CAPITOLO QUINTO.
Il
chismo.
iti
soffusa
la
lirica
del dolce
ii-
slil
novo,
mal poteva essere compreso e gustato dal mondo elegante del secolo
XV, pervaso dalla vaghezza del reale che contraddistingue il Rinascimento, n ancora addestrato agli artificiali regressi della coscienza
,
solvendosi
la sua veste
di cos fine
tava
squisitamente
senso del bello.
vedemmo come
versi italiani, e
elegante
La
e perch
un erudito,
seduceva., quegli
uomini
umanisti
si
dotati
spun-
Guiniforfce
di
di
Ripetono freddamente
le leggiadrissime
nuove, n variar
rime
per
lo pi
di
eli
di stile,
anche se
ma
Nelle loro
le abbellino
toscani,
ci
raria nazionale.
Buonac-
Moderna
gno
(m. H29).
il
151
mor F anno dopo non vecchio. Il suo piccolo canzoniere quasi tutto
di sonetti e quasi tutto amoroso, ricco di frasi petrarchesche, e pur
serba qualche originalit nella scelta della contenenza e nelle forme,
,
prevalendovi la nota intima, cio la rappresentazione dello stato d'animo del poeta, ed atteggiandovisi con libert commendevole motivi e
toni cari al grande lirico trecentista. Il bel sonetto Forma gentil, i
cui dolci anni serba, ha una discreta novit d' argomento: Buonaccorso consola la fanciulla nelle avverse fortune e intona quell'inno alla
giovinezza che si lunga eco avr nella pi tarda lirica della Rinascenza:
Dunque non dinegar, giovine
Danzar ne' tempi
Ne'
di tener
bella,
dilettosi e gai,
lieta.
per volger di
n di pianeta.
ciel,
grande amico
di
fiorentino, adoperato da
Giovanni
di
Cosimo,
n OS eiio
cui (Aitisi)
nella
ma
di
un
Accolti,
Francesco
vece alcuni dei sonetti amorosi del fratello di Benedetto
(1418-1484?), festeggiato lettore di diritto a Ferrara, a Siena, a Pisa,
e buon cultore delle lettere classiche e pi, le canzoni di Antonio di
,
un popolano addottrinato e ricco d'ingegno, che il lettore ricorda come un dei gabbatori del Bianco Alfani.. Egli tenne l'ufMatteo
di Meglio,
Antonio
(fs^ifls).
fcio di
nel
di
La quale
meno schietta
paesaggi ridenti.
doveva essere l'accensione del sentimento nel Megli, che scriveva non
come amore gli dettava dentro, ma come volevano i committenti.
In condizioni d'animo ben diverse poet messer Domizio Broccardo
Non parlo delle sue ballatine aggraziate, ma fredde bens
Padova.
da
ch'ei compose a deplorare la morte della figliuola
sonetti
alcuni
di
;
comizio
152
CAPITOLO QUINTO.
si
pasce
fanciulla e
memorie, incarnando
di
rimembrando
Con
gli
col
pensiero
ultimi istanti di
lei,
il
bel
viso della
quando:
fissi,
Giusto de'
C
(n)
i449).
romano Giusto
de' Conti da Valmontone, cui un'ambasceria afda Niccol V condusse a Rimini presso Sigismondo Malatesta.
Ivi ebbe qualche pubblico officio e mor il 19 novembre del 1449. Dalla
bella mano, con che Amor l'aveva morto , della sua Fenice, si
intitola il suo canzoniere, composto a Bologna, dicono, nel 1409; notevole assai fra' canzonieri sincroni per eleganza squisita di forma, non
per originalit n di forma n di sentimento. Dovunque il poeta volga
lo sguardo, vede scolpita la cara immagine, che, nuova Medusa, gli fa
cambiar natura e lo condanna a- seguirla. Talora la donna gli appare
qua! fiera aspra e superba, che insegua e conduca a morte un candido
ermellino. Egli sta beato nel fuoco d'amore, come la salamandra lista
si gode tra le fiamme, e quando il tramonto invita al sonno ogni animal terreno e il villanel fiaccato e stanco Rimena
fu
il
fidatagli
E
egli solo
poi
non trova
si
posa,
pace, ch d e notte
un pensiero assiduo
gli
vecchi,
vel-
come
familiarit
la
del lettore
colle
lirico trecentista.
artifici
deSa
lirica
amoroso.
lodi
'
'
sibili
o mostruose
mutabile
di
le
proposizioni
la
si
153
nome della donna amata solevano nasconper via dell'acrostico od usandolo, se esso
in doppia significazione o ricorrendo a studiati
vi si acconciasse
raccostamenti di parole. Fortuna per la 'grama lor vena
che non
troppo di spesso siansi compiaciuti d'altri pi ardui artifici! Ad esempio,
d'architettare bisticci con voci di suono affine o di piantare sul prinvenissero apposte.
loro
dere ed insieme
Il
svelare
,
cipio di tutti
L'erudizio-
a
u r"ca
amoros *-
abbiamo
di lui
Domenico
da Prat0 *
con cui
facilit
si
filastrocca interminabile di
limpo
di tal
alla fine.
fatta nei
di quel
irte
di
daZSe
e le
Disperate
CAPITOLO QUINTO.
154
La
<r
lirica
amore,
L'abuso della suppellettile classica, e storica e mitologica, che ablirica d'amore in volgare, non punto frequente
nella sua sorella latina. Forse ne la salv la lingua stessa, che le dava
agli occhi dei verseggiatori quel tanto di nobilt che l'altra ricercava
negli strani ornati, oppure la educarono ad appagarsi di un uso discreto del colorito mitologico, anzi che ad accumulare materialmente
le
reminiscenze
calda sensualit
di scuola,
;
amorosa
qualit
latina del
come
apologetici la vita.
di,
mutuo
affetto
il
sue tendenze monNapoletano dall'ingegno pronto e vivace, cui la tonsura obblig a rinunciare.- alla gaia vita di gentil donneatore. Curioso tipo di
buontempone, vago delle brigate allegre ed incline ai piaceri della
gola, il Campano sent sempre il contrasto che era fra l'indole sua
e l'ufficio ecclesiastico che teneva. Se vi pensa, gli spunta sulle labbra
il sorriso, ch in fine egli ha l'animo buono ed
ingenuo e suol manifestare i suoi sentimenti con molta schiettezza. Con troppa anzi per
alle alte
dane
'* il
le
155
nome
IV
difendere
in
(1474) a
ed Assisi
Napoli,
si
di Sisto
prese a
una
non
Campano, da
morte,
finch in
Le
gita a Siena
epistole del
lo colp la
il
il Campano
in altre egli descrive i luoghi della sua residenza con sentimento del paesaggio men fine che non
soglia Enea Silvio, ma forse con pi minuziosa esattezza. Quelle che
scrisse dalla Germania, quando and, compagno al cardinale Francesco
Piccolomini ed oratore, alla dieta di Ratisbona (1471), sono un continuo sospiro all'Italia tanto diversa da quella barbara terra e vi trapela l'orgoglio dell'umanista erede del pensiero di Roma insieme col di;
sgusto per le
di lessico; in
la
prosa insensibilmente dichina nei viucoli del metro (per es. V, 13).
Faciles in carmina nervos diceva di possedere il Campano
I,
1)
pontifcia sotto
nili,
di
<
156
CAPITOLO QUINTO.
t v
strozzi
(1423-1505).
Leonello e per
l'opera di Guarino, arrise alla citt degli Estensi, e quivi pass la
sua vita frequentando la corte de' principi. Duranti i reggimenti
di Borso e di Ercole fu eletto pi volte a far parte di solenni ambascerie e a governare terre del dominio, finch nel 1497 divenne giudice dei dodici savi a Ferrara. Il quale ufficio fu a lui fecondo di
ma
amarezze, ch
guadagni,
insieme
di
la
Giovinetto di mirabile precocit, lo Strozzi, nel 1443, pubblic racdue libri le sue prime elegie, dedicandole a Leonello. N sino
colte in
suoi
l'esercizio
versi
e dal
della
riordi-
egli ci
LA LETTERATURA ORIGINALE
IN
157
VERSI.
Jamque mihi
Porrigit inque
sia
meos
I,
3).
di
quotidiana.
Come
sica nell'arte, chiude per sempre l'et in cui quella operava con efficacia nella storia dei popoli. Eppure non mai pi di frequente che
gabellarono
si
per
figlie
di
alcun alto ideale antico o parvero degne d'esser paragonate alle antiche; n mai con maggior lusso di classiche pompe si celebrarono
trattati o paci o vittorie. Il lettore gi corso col pensiero alle osj
avvenne
di fare pi volte,
specie l doA^e
si
gioielliere.
Quei fantasmi riapparvero quando Filippo Maria, ridotte all'obbedienza le citt lombarde, volgeva nella mente disegni d'ampie conquiste
e portava le sue armi nella media Italia. Allora Tommaso Moroni,
quell'umanista reatino che
fin
Provvidenza a rinnovare un
e di
Roma,
alta-
il
monarchia, a sanar
le
piaghe
d'Italia
Ben
Ga-
altrimenti
si
giudicava del
aveva
An-
La
tirica
politica,
15S
CAPITOLO QUINTO.
mensa
ai quali
,
non
ma anche
accompagnare
spettava di soprintendere
solo
di
rallegrare
coi
loro versi la
II
di
le
Gli sia di
man
uscito.
Voltinsi
car
visi fieri al
buon
malvagio angue,
cittadini.
fiorentini,
il
trionfante giglio
ribelli
si
ripercuotono
le idee e le
scritte nel
ritratti
dei loro
fiero ri-
il
bollire delle passioni di parte. N mancano d'una solida e*chiara contenenza storica alcune poesie' che precorsero o seguirono alla cospirazione che prende nome da Luca Pitti. Ma non sempre n dovunque
la realt aveva s schietti interpreti.
Non del nostro assunto un'illustrazione delle liriche nelle quali
1 sentimenti suscitati dai fatti politici trovarono via via la loro espressione. In sul principio del secolo il grande scisma e; le guerre di cui
fu teatro l'Italia, parvero rinfocolare le speranze in un salutevole intervento imperiale e, ultime scintille degli spiriti ghibellini, vagarono
signore
i sonetti con cui Malatesta di Pandolfo Malatesti (m. 1429)
di Pesaro e rimator vario e fecondo
esortava Sigismondo ad estirpare dall'Italia la mala, pianta della discordia e a ridurre sotto un
pastor l'errante torma, e fieramente censurava i costumi degli ec,
159
rato vincitore
dei
Turchi,
il
Filelfo
(Odae
V,
a Pio
5);
II
come a
novarese Pietro
Apollonio Collazio, poco prima del 1461, rivolgeva a' maggiori principi
della cristianit sette epistole in metro elegiaco, animandoli alla santa
impresa. In volgare ripeteva a Paolo II le medesime esortazioni il
fiorentino Bernardo Cambini.
fatto di credere che
A sentir codesto unisono concento vien quasi
A
divampassero ancora al sole del classicismo gli ardori religiosi che
aveano mosso l'Europa pi che tre secoli innanzi. Ma la Crociata non si
lo
Strozzi
(Eroi. V, 1) e
il
Car
fece.
il
nesco che hanno comune con la maggior parte della lirica quattrocentiAvidi o bisognosi di onorevoli collocamenti, i poeti si studiavano di
compiacere ai signori non pur cantandone gli amori, ma esaltandone la
magnificenza, la prudenza, la mitezza, piaggiandoli con versi suggestica.
riti
dai casi grandi e piccini della loro vita, facendosi banditori, anzi
encoogni occasione era buonala fastidiosa filastrocca che qui segue, contesta di picco-
Firenze
numero
di citazioni,
nere di poesia
stillati
ventesi gravi di erudizione quasi l'araldo della politica medicea, s'incontrava nel palazzo di Via Larga col computista Michele di Nofri del
Giogante (1337-1463), fido e amorevole cliente della cospicua casata,
il quale in sonetti assettatuzzi e lambiccati diceva le lodi di Lucrezia
Tornabuoni, sposa giovinetta di Piero si incontrava con Feo Belcari,
;
ttert
cortigia-
nes
1j
eUa
r ic
quattrocen18 ca
'
1UU
CAPITOLO QUINTO.
Niccol
cicco.
la
e due anni dopo a Francesco Sforza appena riil cieco d'Arezzo, trovandosi a
Firenze,
un la sua voce a quella dell'araldo Antonio di Meglio, festeggiale lo
l;
0diAiF
PJiifo.
'
que
squallido lo stile *e
l'andatura
dei
versi
dinoccolata e
mono-
sentimento.
mentre ferveva
Ad un
la
come
tina,
le filatesse infinite
stucchevoli esemp
orceiiio.
di
il
minor
Filelfo stesso
vizi o
volgare.
Assai vago di quelle goffe invenzioni mitologiche fu
ne ricorda
talia
come
il
il
ne porge i pi
per virt alla
il
Porcellio:
Se
suo
nome per
si
trasfer a
Roma mentre
161
vi pontificava
Mar-
tenne
la
Colonna accatt e forse otgrazia. Immischiatosi ne' tumulti che cacciarono nel 1 434
Eugenio IV dalla citt eterna, elove partire lasciandovi la moglie diletta e la numerosa figliolanza, e si acconci presso lo Sforza. Lo celebr gonfaloniere di Santa Chiesa, speranza di Firenze e difensore
di Renato d'Angi contro l'Aragonese; ma quando questi entr in Napoli nel 1443, il Porcellio era con lui e ne descrisse il trionfo. A Napoli s'ebbe da Federico III imperatore corona di poeta il 9 aprile 1452,
pochi d prima ch'ei partisse per la Lombardia qual corrispondenti
militare del re e quindi divenisse,
come
s' visto,
tezione di
Pio
II;
lo
Roma
segu a
bruci
incensi in suo
onore
Si
Rossi.
La
ii os vincit
amor, si turpis vita deorum est,
Quis tam mentis inops nomina nostra colei
Lett. itai.
nel sec.
XV.
II
.1(1-3
CAPITOLO QUINTO.
onde
rifiorisce la Terra, e
tenza e la mancanza di lealt; di suo proprio un'indole vigorosa e insofferente d'ogni freno, una coltura non comune letteraria e filosofica, che lo
portava a teorizzare, fatto strano in quel secolo di indifferenza inconscia,
lui
anch' esso
un romanzo;
le lettere si
Isotta,
alla figlia- e
scenze petrarchesche. Piacciono ne\Y Isottaeus lo stile facile e non soverchiamente grave di ciarpame mitologico e un cotal senso di me-
163
il
fatti privati,
re
quantunque non
Basinio Basini,
solenne
italiani,
il
si
il
i)
unico autore,
condottieri
col
poema
Pi
Porcellio.
Hcs-prridos
dei Basini.
poema
La
via che
movendo
aulica,
10 4
CAPITOLO
QUINTO.
mitologici
atmi.
si
accinse a rifare
che
cio
soltanto le
gli
gli
Argoiautica
di
Apollonio.
vita,
gesta
Ma non
del
bast
la
degli
gli
medesimo tema,
Colchide, aveva
fine,
figlia,
mentre
la vela di
Poemi
storici
m
'
nei poemi di
XV; una
legione,
triti
165
mitologica
il
Filelfo la
Poemi
storici in
volgare.
166
la
La
srorznde
cornazrano.
CAPITOLO
quale checch
si
QUINTO.
gli
L'Altro
L^pfmo
imprese, neppure
manc
ai rivali di lui,
cesca
roso
La
il
un poema
intitolato
centun capitolo ternario, prima fatti di Niccol Piccinino, poi quelli di Francesco (capp. 74
82) e di Jacopo fino alla
battaglia di Troia (1460). Mentre il Cornazzano costruisce d'elementi
mitologici il palco dell'azione, lo Spirito innesta solo qua e l nel racdi
conto
principio dei
suoi eroi;
ma
canti
Alcuna accensione
forme
di
rimate,
meno
eleganza
LA LETTERATURA ORIGINALE
come
IN VERSI.
167
bibliofilo
di geografia, la
Sfera
conoscenza degli eventi politici e dei costumi, ma stucnon potevate lasciar in pace le Muse e scrivere
in prosa? Gli che ai leggitori del Quattrocento, buona gente davvero e di gusti molto differenti dai nostri, l'arida materia sembrava
meglio digeribile, se ammannita in versi, e piaceva quel, fosse pure
monotono od~ aspro, solletico dell' orecchio che in certi casi rendeva
pi agevole il ritenere. Agli scrittori stessi doveva parer meno ardua
impresa il congegnare un capitolo ternario, pur che fosse, al quale il
preziose
alla
metro e una tradizione gloriosa davano senz'altro dignit d'opera letuna pagina di
prosa volgare. Inoltre, e ci pi monta, l'abito di rimare intorno ad
argomenti storici veniva su dal popolo, da cui la societ colta distava
per gusti e per sentire, meno che non lascino credere il fasto elegante
delle apparenze e la perfezione di alcune opere. Ond* che quantunque
Dante, meraviglioso trasformatore della storia in materia poetica, suggerisse ai rimatori cronisti, come gi al Pucci nel Centloquio, pa-
role, frasi,
tazione.
1
cantastorie,
villaggio,
quali peregrinanti di
civili
eia
poesia
poppare.
168
CAPITOLO
QUINTO.
panca o
di
canta in panca,
volgo soltanto.
Firenze,
il
si
di
sulle
ed
il
\olgo,
il
sulla piazzetta di S.
biri-
figlio
di poeta,
LA LETTERATURA
169
ORIGINALE IN VERSI.
moderno
di tutti
il
pi vago.
Pu
spiacere al
lettore
la
,
libert e le feste e
trionfi e le
spedizioni gloriose.
Non come
D'uomini
reina,
cittadina,
o
donne
di
gran dignitade.
L
st
170
CAPITOLO
QUINTO.
E cavalcando
Su
vedendo
Sala,
Come
di
Andava
pi voler
al
ci
si
muta Tomo,
bel
Domo
mio
bel
mio
Poi a veder
Camposanto.
Le
Non
questi nel 1440 fu spodestato dai Fiorentini in punizione della sua inMa via via che si scende verso la fine del secolo cosiffatte
fedelt.
vanno irrigidendo in uno schema immutabile ed accostando, per la contenenza, al poemetto puramente narrativo. L'efficace,
semplicit di che si abbellano i lamenti del Trecento scompare; i cantori popolari non sanno; i rimatori colti, che anch'essi si impossessarono del genere, non sanno n vogliono imitarla.
composizioni
si
rima,
per
s' detto,
r
storica la terzina; e lu
perche
->
il
la trattazione
in
modello
dantesco
la
vinse sugli
esempi offerti dai cantori popolari. Non cos accadde per la novella,
altro genere letterario schiettamente narrativo. Francesco di Bonanno
Malecarni e Francesco Accolti, parafrasando, l'uno, la novella di Nastagio degli Onesti per innestarla in quel Trionfo d'amore che recit
al certame coronario e, l'altro, la seconda parte della storia di Ghismonda, si valsero, vero, della terza rima. Rimangono sedici Proverbi del Cornazzano, ci sono aneddoti, lubrici i pi, che ad esplidei**cornaz- cazione d' altrettanti proverbi si immaginano narrati da un Nastagio
zano.
fiorentino in un crocchio di amici sollazzevoli governato al solito da
una regina, e loro si atterga una novella che espone certo episodio
propalato in forma aldeli' infedelt coniugale di Francesco Sforza
quanto diversa pure da Sabbadino delli Arienti {Porr etane, 26). Or
ben da credere che se avesse dato compimento a questa opericciuola,
Cornazzano l'avrebbe, giusta il suo costume, adattata alla meglio al
il
metro dantesco; ma non and oltre a quella dettatura in prosa nuch'egli
vai quanto dire ricca di versi e di consonanze
merosa
fece precedere anche alla versificazione del trattato De re militari
L'altre novelle rimate del secolo XV, siano esse popolari o le abbiano
accarezzate Muse men rozze, sono tutte, n l'additare alcun' altra eccezione turberebbe il processo del nostro ragionamento, in ottave.
,
171
Di codesta diversa sorte dei metri ne' due generi narrativi non Le
in
difficile veder la ragione. I lunghi poemi storici erano destinati ad
esser
letti; le
novelle no, anche se composte da qualcuno che pizziun pubblico non incolto. Tra le figure pi ri-
conda brigata e
poi
le
mense, un
quei giovani,
di
quaranta stanze improvviso cant con quello liuto, che era una dolcezza maravigliosa a
udirlo; nel qual cantare tutta la novella di Scopone per ordine cant .
giardini dei
Cos nelle raunanze ond' eran liete sovente le case e
si alterville
sui
colli
fiesolani,
e
le
a
Firenze
cittadini pi facoltosi
nava a' racconti in prosa la recitazione di novelle versificate. Autori
e spositori ne erano uomini piacevoli, che a quelle nobili riunioni si
mescolavano coll'intento di divertirsi divertendo, come quel Pier del
Nero, in cui gi ci siamo imbattuti, come Bernardo Giambullari, padre allo storico cinquecentista, come ne' suoi giovani anni Girolamo Benivieni, ri facitore in ottave della novella di Ghismonda. Erano i dilettanti dell'arte che i cantastorie esercitavano per sopperire alle dure
necessit dell'esistenza; erano, se pur talvolta anch'essi miravano al
lucro, 1' aristocrazia della classe dei cantambanchi. Ora le pause e i
ritorni del ritmo, su cui recitavano coll'accompagnamento della cetra
Ugo
Malescotti, preso
il
politica
novelle
ottave.
172
CAPITOLO
QUINTO.
al secondo: troppe
invero al raccontino miserello e stanto esposto col filologico intento di dichiarare
una locuzione proverbiale. Gli clic per quella unit e immediatezza
che dei tempi come degli uomini meno colti, il ponon percepisce e non sente le poetiche attrattive d'una singola
scena se non come confuse nell'interessamento suo generale per tutto
l'insieme del racconto, e il cantastorie, il cui spirito non diversamente temprato, tratta ogni scena colla medesima superficiale brevit,
di impressioni,
polo
(17-19)
di
Vedealo
Impallidito
onesto e grazioso
il
fior del
paradiso
che tu
sie il
mio amoroso;
stiano;
numi
rit coi
troppo rapidamente
risolvono
dell'Olimpo.
legravano
cui
poeti
le veglie nelle
davano vaghezza
quelle
storielle tradizionali
le fantasiose invenzioni;
la
la fola di
novella di Campriano
anche
a'
meno non
ria di Ginevra degli Almieri sepolta viva, rimata da Agostino Velletti, e quella di Lionora de' Bardi, riduzione in ottave d'un originale
prosastico; storie d'amore entrambe, l'una pervasa da un lieve soffio
d'ironia, l'altra
cacccWa
"
A far prevalere anche nelle novelle d'arte l'ottava rima giov dunque principalmente il fatto che anch'esse solevano venir recitate; ma
173
o l'idillica delicatezza non toglie solitamente del tutto il carattere novellistico; laddove il metro dantesco
aveva usato ad esprimere pi profondi od almeno pi generali concetti nelle allegorie deVAmeto e dell' Amorosa Visione. Assidua e
alle quali la solennit epica
XV
non
sia
frasi e
ma
modi,
11
Pestellino,
in un
di Francesco Corbizzeschi vocato Pestellino, orafo da Firenze
poemetto espressamente autobiografico, come velatamente erano quelli
divise in tre
del Certaldese. Sono quattrocensessantacinque ottave
parti, dove egli espone la storia del suo fortunato amore per una nobile fanciulla dal 16 febbraio 1428 sin verso la fine del 1431. N dell'amore soltanto: anche de' suoi viaggi in Sicilia ed in Corsica, della
sua partecipazione alla guerra di Lucca e alla battaglia navale di Portofino e d'una sua avventura cavalleresca, quando sfidato a duello un
pisano, che sparlava di Firenze
lo abbatt sul campo loro concesso
,
militudine per
suoi sguardi
rappresentare
la timidezza
della sua
bella
dinanzi
a'
E come
non ha posa,
Tal
f' la
si
mova,
picciol legno remiga il poeta su ir Arno presso al Pian di Legnaia ed ha seco la donna del suo cuore con due compagne. Ella me-
In
un
diante
tre fra la
la
ravvivi di colori gai e fiammanti; peccato che il Pestellino non avne descriva mai se non gli aspetti pi grossolani del sentimento.
verta,
174
CAPITOLO
QUINTO.
fantasie care al grande novellatore. Ed il primo, uomo valente e reputato nella sua Siena (1417-1480?), narr in un poema di sessanta-
due
il
suo incontro su
di
un pog-
personaggi
reali.
aveva trattato, se sua la Caccia di Diana, ed al quale porgeranno argomento fra poco schermaglie, giostre, giochi di piazza, la
cavalleria borghese insomma del secolo XV.
Ma le sette donne, che apparvero un bel mattino a Giovanni Gherardi da Prato, secondo ch'ei narra nel suo poema in terzine Philomma gono come quelle apparse ad Ameto le virt cardinali e
stesso
Gjovaoni
ciherardi.
teologiche.
Tutte sdottoreggiano e tutte accompagnano il Gherardi (quantundi lui abbia particolar cura Costanza, cio la Fortezza) dalla selva
dell'errore su su per lo dolce monte fino al prato fiorito dove hanno
loro consueta sede. Ivi, colle ninfe del quadrivio e del trivio, esse
que
Nomi
le
poeta
l intorno,
e che
si
tuffa
nel ruscello
stato,
onde
al
che scorre
suo occhio
diviene visibile la bellezza di quel luogo e della sua guida, nella qual
pare ravvisi la fanciulla che gli avea tratto il cuore,
Pria che finito avesse
il
decim'anno.
175
'
dall'
Ameto
Amorosa
Un
Visione.
viaggio ne' regni dell'Amore e della Fortuna, compiuto
parte
u poema
nel sonno e parte sognando ad occhi aperti, finse pi tardi messer Piero del Giocolo, che nel 1456 era de' mazor de la fradaya de
p_iero
siamo alle^
Batudi di Pordenone. L'alato fanciullo
vaga disperato per selve e per prati, dove
contempla le schiere de' suoi compagni di sventura. Glieli addita Ovidio e gli suggerisce quei rimedi contro all'Amore che insegn in una
sua upera divulga tissima. Fortuna la calva matrona tradizionale
che volge senza posa la sua rota, mentre a questa si aggrappano gli
uomini per venire in istato e , indarno
per non precipitare nella
quando la
discesa. Il poeta sta mirando smarrito quello spettacolo
scende coronata d' oliva come
sua donna morta sette anni prima
Beatrice, Dall'alto loco ove tornar desia, Per fargli al mondo volgere le spalle , e in un fresco e verde pratello lo esorta ad ascoltare la predica d' un vecchio canuto. E Boezio
il
quale disserta
della potenza
sulla vanit della ricchezza
del piacere e della gloria ed intanto alcuni personaggi biblici passando di l fanno al suo
S.
Maria de
solite
lo
li
ha
ferito ed egli
discorso
ternari,
citt; molti
forme
ITO
CAPITOLO QUINTO.
meno
insistente e pauroso
il
pensiero
dell'oltretomba;
meglio che
condizioni,
meto
V Amorosa
la
Visione, dove
si
adattavano l'A-
tre quella
Commedia
le
la
linee generali,
il
procedimento allegorico,
il
men
parte decorativa pi
la
famiglia la
bella.
Commedia, ma
Meno
di leggi biologiche.
Perci
la
discendenza
eruditi e
men
s'
Littamondo, meno
Quadriregio affini per molti rispetti alla Fimerodia,
essi sono il frutto di una particolare educazione poetica largamente
diffusa, dalla quale germogliarono colla spontaneit che in opera meditata consentita. Sebbene alterata profondamente nel suo valore
simbolico, l'idea fondamentale della Divina Commedia, cio il viaggio
con un intento ed un significato allegorici suoi propri non ad esso
stranieri, vive ancora in quei poemi, come nell'Amorosa Visione.
Nati da pensamenti del tutto individuali, la Citt di Vita del Palmieri, il Giardeno di Marino Jonata, V Anima peregrina di Tommaso
Sardi il lungo poema del genovese Bartolomeo Gentile Fallamonica
ed alcun altro che qui non accade nominare lasciata eia parte ogni
complessi del
del
aridi
tradizione intermedia,
vina e costituiscono
si
una
e-
caduco
come
quello
che non
esteriorit
della tradizione dantesca i poemi che absono ci che le parole schiettamente popolari
nella storia di una lingua romanza; quest'altri sono i latinismi crudi.
Nei primi d gli ultimi guizzi una fiamma che muore per manco
d' alimento
nei secondi la fiamma arde artificialmente di nuovo
ma
biamo esaminato
dianzi,
l'alimento tutt'altro.
gli
avanzamenti della
critica,
solenne
monumento
di
il
pi
dotti,
una nazione e
di
di
eterne
le idee e
sentimenti
177
con magia incredibile abardue ed astruse teorie. L'arte dantesca teneva siffattamente soggiogati gli spiriti che non v' ha quasi
genere letterario volgare, non esclusa la lirica, il quale non ne serbi
tracce almeno in qualche particolarit di lingua e di stile. Eppure
strano a dirsi, gli uomini del Quattrocento paiono quasi non avvertire
bilmente
le
il
vero
motivo
scene e
bellite di splendide
forme
di
un
le pi
predominio. Degli
tal
cenno appena
alti
si
parla o
rilevano mai;
si
fa
commentatori non
poema o non
li
poetucolo com-
anime
umane
(1455),
fino ai
Campi
elisi, situati
immediatamente
che nel d della lotta non furon ribelli ne fur fedeli a Bio e che vengono via via mandati sulla terra
ad animare i corpi umani, come ad una novella prova della natura
loro infingarda. Codeste anime scendono gi per le sette sfere dei
pianeti, ricevendone gli influssi, e per le tre degli elementi, dove assumono il corpo e cominciano a soffrire. Sulla terra si trovano dinanzi
a due vie: se nella libert del loro arbitrio seguono il consiglio
dell' angelo perverso e scendono da mano sinistra, vanno in perdizione attraverso alle diciotto mansioni dei vizi se invece si avviano
a destra salgono su per il colle della virt alla beatitudine celeste.
le
Per le dieci sfere e per le mansioni dei vizi e delle virt
quali virt sono distribuite secondo F ordinamento determinato nel
peregrina il poeta nei tre libri della
primo libro della Vita Civile
sua opera, mentre la guida lo ammaestra, con teologiche e filosofiche
dissertazioni, sulla natura del luogo ov' egli via via si trova. Tale la contenenza della Citt di Vita, che, disegnata forse fin dal 1451, fu principiata nel 55 e compiuta nove anni pi tardi. Il Palmieri non la di
a leggere a persona; s la fece trascrivere ornatamente su bei fogli
membranacei e suggellata consegn all'Arte de' Notai, con questo che
il libro non si aprisse se non dopo la sua morte. Allora soltanto, Ietto
da teologi, fu condannato per F eretica opinione sulla provenienza
delle anime; onde sino alla fine del secolo passato parve sacro dovere
ove il codice originale si
ai timorati bibliotecari della Laurenziana
conserva, guardar gli altri libri dall'immondo contatto.
non un poema allegorico il fantastico
Il poema del Palmieri
viaggio vi ha perduto ogni significato; un semplice artificio rettofisse.
Rossi.
La
lelt.
itl.
nel sec.
XV.
citt
di"
immagin jJjt
13
'
178
CAPITOLO QUINTO.
come un
Pico;
i
poemi
di
ata
%465,
(U
fraS] >
h'
telaio su cui
suoni, di
si
immagini e
t. s.irdi,
fra
Tommaso
Sardi,
mentre immagina
g. Faiamoiiiea.
di
tutto esteriore nel poema senza titolo del Fallamonica. Del viaggio
par dimenticarsi talora egli stesso ed a noi ben difficile scernerne
con chiara precisione le tappe. Gli sproloqui di astrologia di storia
naturale, di teologia che il poeta fa per suo conto o mette in bocca
tifcio
visioni
ziane
di
per Francesco
di
Niccol
Berlinghieri
cittadino
di
Firenze
tile,
ornata e bella e
gli
narra
le glorie politiche
e civili di
Cosimo
e gli descrive con arida minutezza le feste del 1459. Qui la cronaca
poemetti di
b. Foresi.
rimata
j? ores i
giante della
nuova Cartagine, e
LA LETTERATURA ORIGINALE
zano.
bastasse!
179
IN VERSI.
non va
poemetto del
Foresi si annoda ad ud genere poetico fortunatissimo nel Quattrospecie da Ovidio
attinge
cento, che dalla Commedia e dai classici
immagini, concetti, figure ma per la struttura sua procede direttamente dai Trionfi del gran lirico aretino. Ora tratta materia amorosa,
come nel trionfo, non ispregevole dal lato dell'arte, di Antonio di Cola
Bonciani, ed ora, fattosi cortigiano, magnifica le virt dei principi, come
nei capitoli che Cleofe de' Gabrielli rim a festeggiare il passaggio
per Gubbio di Borso d'Este, quando questi and a Roma a ricevervi
corona di duca (1471). E sempre grave ed uggioso, anche se lo illumini alcuna grazia di forme, per ci che sia genere gualcito e logoro
per lungo uso tutto forinole e spedienti vieti. Fra i Trionfi del secolo XV il pi ragguardevole forse quello che va innanzi, a mo' di
preambolo, ad una cronaca rimata delle gesta di Federigo di Montefeltro: ragguardevole per il suo autore, Giovanni Santi da Urbino, e
per il carattere suo dove si riflette la temperie letteraria e sociale
in cui l'opera matur.
Sereno e confortevole spettacolo offre di s la corte d'Urbino poco
dopo la met del secolo, e a noi giova volgere ad esso la nostra at-
l'imitazione dantesca
oltre la superficie
ch
Trionfi,
il
'
tenzione
faticata dalla
ressa di
nomi e
di
titoli
ripensi
il
lettore
Corte
1
Turbino,
CAPITOLO QUINTO.
di rabeschi, di
si
frutta; in
nume
gran Vittorino,
legisti e,
indigete,
il
Dotto
in teologia
in filosofa
in istoria
ed esperto
di
latino,
il
di
mti.
oscurano, dinanzi
opere letterarie. Nella sua
correggere, limare ed of-
frire,
vando
di
proemiale trae
che
chiaro
il
bens
il
suo
impulso
poeta ha piuttosto
niatori quattrocentisti
caratteri essenziali.
letterario
trionfo
Il
dal Petrarca
ma
gran lirico, di cui i pittori, gli arazzieri, i miornavano pareti di palazzi principeschi cofani
,
tempio
di
Marte, in cui
il
Santi
sogno
come
il
sif-
LA LETTERATURA ORIGINALE
181
IN VERSI.
un amico,
ridesto apprende da
simile,
ha
egli
Pierantonio Paltroni,
come
del poema,
ma
del
non
se,
com' vero-
la storia gloriosa
verseggiatura cos del preame d' alcun luogo della narefficacia lo stile. La scena della morte
del
bolo
la
preambolo
senza
moglie a Federigo, e gli estremi saluti sono descritti
con calda vivezza (cap. 58, vv. 67-81) non descritte, ma dipinte son
le figure allegoriche e le divinit che accompagnano il trionfo del duca.
Onde torna in mente al lettore l'oraziano ut pictura poesis , anzi
razione storica
di Battista Sforza,
s el
Che
Dunque
l'Alighieri e
XV
Poemetti
un semplice spediente della poesia died encomiastica. N basta le usurp anche quella poesia borghese
nel secolo
dattica
dalle altezze
il
satirici
sino a divenire
Fni
gurn.
compagni
di
Buca
Gagno.
Glieli
di Monteferrato,
Gambno
Al(iZ0
182
CAPITOLO QUINTO.
frasi,
di
suoni e
di
Lionardo Bruni
di
d'Italia,
senza
soffio d'ironia.
ben
Ma
che
rimatore
il
pi che alla
spicciolati in codesti
artifci
gli
componimenti
il
vi
Commedia
essi
ci
richiamano
come
assumono, parodie non intenzionali, s effettive, l'ossatura, senza curarne gli esterni ornamenti. Ch
i poemetti del Finiguerri e pur quello di Gambino, specie nella prima
fu osservato, a' Trionfi, di cui
nomi
Ma
non avesse
di
Rustico
di
Filippo, di Pie-
la
fatale
fiorentini piacevoli
nei
loro zibaldoni e ne
aveva fama
di facile
facevano
le
chi
domande
^ ra
ieii
(H04-1449J.
menico
^ uei sone ^ieri il pi rinomato e forse il pi fecondo fu DoGiovanni detto il Burchiello, un pover uomo, che nel 1432
di
il
iuolo, e
potuto dare a
vata
183
lui,
maggiore
il
n una fortuna.
Il
non avevano
n un'educazione ele-
tessitrice di pannolino,
di otto fratelli,
la
leggerezza
il
resto, e dolorosa
e scrisse contro
Cosimo e
Medici alcuni
belli
robusti
sonetti in
tenzone con Leon Battista Alberti. Ripar, forse non subito, con
altri fuorusciti a Siena, dove rivalit di mestiere e d'amore, piuttosto
gli tirarono addosso nel 1439 tre condanne
che gravezza di colpe
pecuniarie, l'ultima e pi grossa per furto. Non potendo pagare fu costretto per pi mesi a guardar il sole attraverso la ferrea gratcola d'una
prigione. Nel 1445 cambi citt, non tenore di vita; e camp Roma
ancora quattro anni sempre malazzato sempre oppresso dal bisogno.
In mezzo a tanti malanni il Burchiello non si lascia mai vincere
dalla melanconia. Certo egli non gioisce, quando costretto ingollare
vivande sgradevoli e stante, o quando le lenzuola gli pungono come
brocchi, e gli fanno gran guerra Cimici e pulci con molti pidocchi,
o quando vive tra pareti ammuffite e sgretolate ma per via di inattesi raccostamenti e d'immagini strane sa far germogliare il riso dalla
rappresentazione di tanti disagi. Marcisce in prigione ed implora dai
Signori di essere liberato eppure non gli manca la voglia di scherzare sui piccoli casi della sua monotona esistenza. Chiede al fratello
Paolo un farsetto nuovo di boccaccino, ch il suo tutto sdruscito,
ma fra un lamento e una preghiera non tralascia di celiare impudicamente sulla cognata giovinetta. Le cattive cene, le male notti, gli
abiti sbrandellati erano gi divenuti altrettanti motivi della poesia burlesca e il povero barbiere ne approfittava volentieri per isfogare l'ingenita gaiezza. Dal contrasto fra questa e la realt uno spirito pi
fine e pi colto avrebbe fatto zampillare una vena di umorismo;
,
il'
Per
il
ra-
Mari Bastari, tu e
la tua Betta
E' topi che tu hai a Montereggi,
I' mandere' per te, ma tu pazzeggi
Nel pimaccio la lam^ana rassetta.
'
181
CAPITOLO QUINTO.
Copertoio o colombi o la berretta
Vo che la gatta e monna Cilecca chieggi
E che '1 giardin si sotto, ti motteggi
1
Le
viti in
'erra che
non hanno
retta
poich di Mari di Niccol Bastali, della Betta sua fante e del suo poderuzzo a Montereggi nel popolo di santo Lari, i quattrocentisti fiorentini sapevano quello che noi non sappiamo e che alla fin fine
poco c'importa di sapere. Ma altri sonetti del Burchiello sono un'accozzaglia di riboboli senza nesso, di ghiribizzi senza senso, di slatinature
fuor di proposito. Ne desidera il lettore un piccol saggio? Eccolo:
Zenzaverata di peducci
fritti
"belletti
Dove
levaron ritti,
Allegando Boezio in alcun
gli aliossi si
Come non
testo,
insieme
fitti:
J*
imitatori
d
hino~
burchiellesco e sotto
il
nome
di lui
andarono
sonetti di quei precursori e dei molti imitatori, dello Scambrilla, di Antonio Alamanni, di Luigi Pulci e va dicendo; tutta roba, il cui pregio
Fra
d-AUobfanco
(1401-1479)
lingua.
gli
Non
non l'ebbero
soverchianti
tutto burchielleschi.
Ma
dei
tempi corrotti, ed
esortativi alla
satirici
di
virt e
come
gnomici a
all'
amore
di Dio.
gnomici!'
satirico
XV
185
non entrassero
sonetti didascalici.
pratica; danno
buona condotta, ai genitori ed ai maestri di buona
educazione; inculcano ai rettori dei comuni il rispetto della giustizia,
la clemenza, l'oculatezza. V'hanno anche corone di sonetti, nelle quali
sono introdotti a parlare la Fortuna e gli uomini che si arrampicano,
culminano precipitano lunghesso la ruota della cieca dea. Tali componimenti, che in forma succinta e facile a ritenersi espongono dettami
non disutili alla vita, ebbero straordinaria diffusione, anzi vera popolarit, onde vagarono anonimi od ascritti cui non spettavano. Quanti,
fra i molti che sapevano a mente il sonetto Pronto all'ufficio, all'udienza umano, rammentavano che quei savi precetti di governo avesse
cos assettati maestro Niccol cieco? Similmente merito della nuova
critica l'aver ritolto a Leonardo da Vinci e restituito all'araldo Antonio
di Meglio il sonetto Chi non pu quel che vuol, quel che pu voglia,
che fu gi fondamento a non so quante belle fantasticherie sul ca-
norme
ai giovani
ammaestramenti
di etica
di
Quel che il sonetto nella poesia volgare, l'epigramma nella la- i/e P ramina latino.
Rapido e breve, sdegnoso anch' esso degli ornamenti mitologici
e dei fronzoli della rettori ca, viene per molti rispetti, vedremo, a ras*
somigliargli. Non ne ha per il brio derivante dall' uso d' una lingua
vivissima, e se non gli accada d'esser trattato da artisti geniali ed eleganti, riesce freddo e arido, prosaica manifestazione di prosaici concetti. Pure il genere piaceva a' contemporanei per la sua disinvolta
facilit in argomenti frivoli e leggieri; piaceva perch, strettamente
legato a' fatterelli della giornata, sembrava attestare la persistente latinit della vita moderna.
Verso la fine del 1425 o sul principio del 26 il Panormita diede h'Hermafuori a Bologna il suo Hermaphroditus. E appunto una raccolta di J^Tanorl
nata.
epigrammi scritti alla spicciolata durante il soggiorno del poeta in (1425-26).
Toscana alcuni forse improvvisati dinanzi alle tazze ricolme nelle
amichevoli radunanze (II, 1). Rivolgendo i suoi versi alle liberali belt
della suburra senese e fiorentina, o di esse intrattenendo qualche amico
con isboccata oscenit di descrizioni; rappresentando sudice scene o
raccontando pi sudice fabellae, satireggiando i vizi di persone a lui
note, in ispecie del grammatico senese Mattia Lupi, o celiando faceto,
il Panormita si argoment di imitare gli epigrammisti latini, Marziale
e gli autori de' Priapei. N rifugg da un argomento caro alla poesia
giocosa volgare, inducendo a parlare un cavallo tutto guidaleschi, che
si lamenta per i mali trattamenti del padrone. La raccolta dedic a
Cosimo de' Medici, con questo, che ne leggesse il primo libro dopo il
pranzo, il secondo dopo cena, quando tra i vapori del vino la mente
tina.
pi incline a
lieti
pensieri.
186
CAPITOLO QUINTO.
ziose
tutte e
specialmente
zione per
non
di
rado calde
d'affetto, pur
il
dell'incorona-
mano
menzione nell Bistorta bohemien di quell'antica costumanza rinnovata con troppo indulgente larghezza dai Cesari del secolo XV. Nel
1433 un giuntatore calabrese scroccava ai Veronesi banchetti e festeggiameli li, spacciandosi per il Panormita, finch una lettera del Guarino non li ebbe tratti d' inganno. Pure fa miglior fede della gran
voga conseguita dal libro il diluvio di censure e di biasimi che si rivers
su di esso e sul suo autore. Quella pubblicazione parve uno scandalo
non solo ad uomini di chiesa, ma ad umanisti, come Gasparino Barzizza, Leonardo Bruni, Cilicio de' Rustici; il libro infame fu detestato
dai pulpiti e bruciato; il Guarino, che in sulle prime (1426) vi avea
lodato la soavissima armonia del verso, la copia del dire, la naturale
scorrevolezza della frase e ne avea difeso la lascivia ;e la scurrilit
ripetendo col suo vecchio conterraneo Catullo, che l'onest e la decenza s'hanno a cercar nel poeta, non nei versi, dovette cedere alle
esortazioni di frate Alberto da Sarteano (1435) e sminuire la portata
delle lodi, ritrattar la difesa. Anche il Poggio consigli il Beccadelli
a volgersi a materie pi gravi (Episi. II 42) il Panormita stesso
dopo aver tentato di cessare quella tempesta svolgendo e rincalzando
d'antichi esempi e moderni il concetto gi accennato nel]' Hermaphroditus :
tatto
mea
charta procax,
mens
sine labe
mea
est,
tempi
Rinascenza; e quel divorzio della letteratura della vita, che il Guail Panormita bandivano
solennemente,
s'andava bens accentuando sempre pi, ma nei lettori e negli scrittori in generale non ne era peranco sorta una piena consapevolezza. Nel 1426 le laidezze dell' Ermafrodito pareva non potessero
sgorgare se non dalla penna di un uomo profondamente corrotto,
quale il Panormita non era; pi tardi nessuno giudicher dei costumi
d'un poeta dall'oscenit de' suoi versi. Nella letteratura modernissima
termini sono talora invertiti, ma chi oserebbe dire che del contrarino nel suo primo giudizio e
manchino esempi?
Qual ricca fioritura di epigrammi nel secolo XV! Quasi non v'ha
umanista che non ne abbia all'occasione composti; perfino il Valla, in
cui le attitudini poetiche erano cos scarse come poderose le critiche.
Encomiastici e satirici sono quelli di Maffeo Vegio faceti quelli del Campano; encomiastici, satirici, faceti, gnomici quelli di che il Filelfo
rimpinz tra il 1458 e il 65 il magno volume del De jocis ac seriis.
Sono diecimila versi, divisi, s'intende in parti uguali fra dieci libri,
cinque intitolati a Malatesta Novello e cinque ad Alessandro Sforza.
sto
oc seriifdei
(IibSSS).
187
perfettamente simmetrico ma la
corretto
disegno grandioso
contradittoria.
In quegli epigrammi trocontenenza misera sciatta ,
studiati
di rappresentarlo nel nosiamo
quale
ci
tal
viamo il Filelfo,
stro primo capitolo. Ora celebra le baldorie della vita spensierata
ond' vago ed ora stende la mano mendicante ora esalta con ismacIl
cate piaggerie
tro
il
il
pagamento
Decembrio; ora
sollecita in-
della pensione
dica
il
alla
virt.
il
oscenit e
sconcezze
Le
satire
(i448).
(II,
2),
5;
4), del lusso e delle delicatezze della
vita (IV, 2); riprende con sale e franchezza giovenaleschi il mal costume delle donne (I, 9; IV, 3), e di continuo ammonisce esser mu-
degli
ecclesiastici
III,
(II,
il
Riprensioni ed ammaestramenti consimili formano l'essenzial contenenza anche di una numerosa famiglia di poesie in lingua italiana.
Niccol cieco annovera e descrive, spigliato e talora pungente, le dodici abbonirne voli cose di cui si lamenta il mondo
Rosello discorre
;
Benedetto Accolti volge contro un calunniatore le imprecazioni dell'Ibis ovidiano; e il fratel suo Francesco con
versi di robusta tempra morde la corruzione della Chiesa. Costoro usarono le forme del capitolo e della canzone, seguendo una tradizione gi
rigogliosa nel secolo XIV. Ma fin da allora anche la frottola o motto
confetto, lasciandosi dominar da quel fare sentenzioso, che le era proprio anche quando scapigliata ed eslege descriveva al popolo scene di
gioco, zuffe, battaglie, aveva imparato a filosofare e ad ammaestrare.
I letterati la disciplinarono, riducendone il metro a una serie di versi
i
malanni
della vecchiaia
poesia
moralis iante -
188
CAPITOLO QUINTO.
capo i
Vinciguerra non
critici
elegante
il
di
rappresentazione
bens, copioso
qui
non ha
originalit,
ma lar-
una cotalrude
grandigia:
Rugghi erassi
le
il
Come
il
vec-
satirico aqui-
di
tradizione
razione religiosa.
CAPITOLO SESTO
La
poesia religiosa.
di
Le
di Francesco Filelfo.
Il movimento religioso dei Bianchi.
teatro sacro.
Le laudi drammatiche.
Le Devozioni del GioLa
del Venerd santo. Rappresentazioni sacre nell'Abruzzo e a Roma.
Candido Buontempi,
laudi.
Il
ved e
sacra rappresentazione a Firenze gli autori , gli argomenti e il modo di loro trattazione, l'assetto scenico, g' ingegni teatrali e gli intermezzi.
Il modo della recitaL'intento morale, l'elemento
nico e l'elemento satirico nelle
zione e gli attori.
Osservazioni critiche.
La sacra rappresentazione fuor di
sacre rappresentazioni.
:
>
Toscana.
affaccia per
...
Miscela
elementi
,
di
e profani
neiia
letteratura -
190
CAPITOLO SESTO.
versi d'Ovidio! Lass nei silenzi della sua cella, ira il dubbio
giorno
della sua Germania non era ancor giunta la voce
che qui fra noi un nuovo mondo si venisse scoprendo che Y Italia
delle cattedrali
venisse preparando, n del tutto a suo utile, impulsi ideali alla rige1
il
sentimento religioso
si
fosse
ardisse
Come
degli
subito,
ma
un postulato indiscusso
XV
la fede, confinata
all' infinito
si
ef-
come
coscienza, solo
venuta meno
e al soprannaturale
la
tollerante, pi
191
e l'omaggio anche degli uomini pii. Il cielo s' era allora accostato alla
terra e consentiva accanto al suo, il culto di altri ideali dell'ideale
di ogni idealit terrena in essi stessi e
artistico pagano negli eruditi
:
nel popolo.
Il
classici studi
non
distolse, l'abbiamo
come Vittorino da
notato,
conciliazione
quella
Vegio; il pi calzante, per ci che in
Maffeo
nominare,
di
ci avvenne
il
lui
il
Maffeo
Feltre,
e
iatino.
di vita per lungo tempo seguito. A Pavia, dove era stato mandato non
ancor sedicenne dal padre, intorno al 1423, affinch vi si dedicasse alla
giurisprudenza, in quei convegni eruditi e lieti, nell'amicizia col Panormita e col Valla, ebbe eccitamenti ed aiuti allo studio della bella let-
De verborum
significato
di locuzioni giuridiche
poesie in lode
fonti,
il
retto
con molta presunzione e poco buon gusto un tredicesimo libro alinfarcito di prolisse orazioni, conducendo il racconto fino all' Eneide,
l'assunzione dell' eroe principale all' Olimpo (1427). Nel 1436 si acconci presso la curia pontificia e ne segu abbreviatore e datario,
le peregrinazioni, sicch a Firenze ebbe occasione di stringere amia ciascuno dei quali dedic due
cizia col Marsuppini e col Bruni
libri de' suoi epigrammi. I suoi tre dialoghi lucianeschi , affini per
molti rispetti a quelli dell'Alberti, rivelano gi la trasformazione che
intessuti come sono
compiendo nello spirito del Vegio
si veniva
delle massime di un austero stoicismo e pieni di lamentele sulla tristizia dei tempi. Dalle Confessioni del santo vescovo d' Ippona egli
sent stillare nel proprio cuore un'ineffabile soavit e vide raggiare la
luce del vero; di l cadde la scintilla, che accese in lui quel fuoco
d'amore e di piet che tutto pervade il Jibro De perseverantia religonis, dedicato nel 1448 alle sorelle monache. un elogio caldo, appassionato della vita claustrale dolcissima vita e perfetta, che fin
d'allora arrideva a Maffeo, quantunque solo pi tardi (1453) vi si consacrasse, entrando nell' ordine dei canonici regolari di S. Agostino.
,
Prima era
alla religione e
ad onorare
poneva un
officio in
il
tomba e dett piamente la vita, mentre comlei. Nenie da vecchio aveva dianzi giu-
lode di
divennero la sua pi
bugiarde favole dei
Gentili, come nell''Astianaite e nel Vello d'oro
s bene un episodio
dicato
la divina
gradita lettura.
pi
salmi
attese a verseggiare
le
poemi
qJ^p
(14
192
CAPITOLO SESTO.
del santo
della vita
abate
Antonio. Del
come
si
l'uno
si
ria,
Muse
d'esametri
accompagn fraternamente
ond'ebbe
via di
libri
Petrarca
il
addolorata
senza
all'altro
la vita
in
le lotte
un accordo
strazianti
pacifico
per
mutue concessioni. Ch V Anlonaie, se cristiana nella matepur sempre schiettamente classica nella forma; se in luogo delle
e di Apollo, vi sono invocati ispiratori Cristo ed Antonio, Vir-
ne
pur sempre
frasi
il
VAntoniade ed alcun
elegiaco
mentati.
roemi sacri
ar
ai
ja<fo o
Gradenigo.
pari
io
non
so
^temT"
Si tratta,
narrar cose
alla disputa
Disquisizioni teologico-morali,
lungo
quando
rimatore finge
predicazione
una
delle quali
di S.
Giovanni
Battista.
svolge in un lento e
tramezzano a quando a
si
dialogo
il
il
193
il
miti pi discreti,
ecco
il
solito
quarantotto
amore
La VUa
5"
e ipaejS
della simmetria!
ne variano
la
monotonia
la
moderno con
cui sono
spesso
il
co-
lei
ogni lascivia
si
discola;
L dove
parola
il
privazioni del Battista nel deserto, il Toesperto frugatore non men di cantine che di biblioteche
snocciola un inventari etto delle bevande pi pregiate al suo tempo;
lentinate
delle
altro atteggiamento e
Era
religione
si
Rossr.
La
lett.
XV.
13
reugfoso
de
b
\m
191
CAPITOLO SESTO.
cuori pi induriti
si
nemiche
Pure a malgrado
alzato.
di tanto religioso
disordinato e incomposto
di quello che dalle pendici dell'Umbria s'era propagato a quasi tutte
fervore
il
movimento
dei Bianchi fu
meno
popolazioni
gentili
dei*
Bianchi.
una novella
dei Bianchi
accompagn
Mater
laudi nell'idioma
materno; prediletta fra tutte, dappoich molte cronache ne fanno menzione, quella che comincia:
Misericordia, eterno Dio,
Non guardare
il
pio,
nostro errore.
non
sia in
bando,
195
naturalmente e vivacemente
che cominmorta
incensi
l'onda
nube
degli
l'inerte
e
divino,
cia Laudiam Vamor
adoradiviene
poesia
la
fine,
l
dove
la
verso
animano
si
ritmo
del
zione della Vergine, rosa fiorita e bella, genitrice di Dio. Ivi sono
accennati con tocchi leggieri i concetti che tutta ispirano la lauda
viete
atteggiate, e la dizione
bellissima
si
frasi
Di',
Maria
Miravi
il
Chi non l'ha letta in una delle cento antologie o storie letterarie,
che la recano erroneamente attribuendola a Jacopone da Todi? Di lui
non certo e se davvero essa opera di Giovanni Dominici o di
prete Leonardo Pisani, vorr essere riferita al tempo dei Bianchi, della
qual devozione furono l'uno e l'altro con Antonio Soranzo introduttori
a Venezia, e ne ebbero bando per cinque anni. In quella lauda la Re,
gina del Cielo adorata nel suo aspetto pi soavemente umano, come
madre che veglia a studio della culla, che palleggia e allatta il suo
bambino, che ne spia i primi passi teneramente affettuosa.
Quando tu ti
Come non
sentivi
chiamar
Mamma,
morivi di dolcezza,
Come d'amor non t'ardeva una fiamma,
Che t'avessi scoppiata d'allegrezza ?
La
ti
umanit;
l'infinito
si
mediocri.
Quantunque presto
colo
XV
la
sbollisse
il
nostra letteratura
si
Ne composero, a Venezia
il
Giustinian, a Ferrara
un Giovanni
Altre laudi
sec.xv.
190
CAPITOLO SESTO.
Mo(]o di
cantarie.
breve settenario
la
in guerra,
ni
ma
desiderosa di fuggire
stro
il
mondo
pien d'inganni nella pace del chioqualche rima e l'aria della musica
la
non
dissimile conclusione.
Chi dopo
le laudi, tutte
Ugo Pan-
per
z i era o del Bianco da Siena o d'alcun altro trecentista legga
xv. esempio, quella del Belcari Ges, Ges, Ges, Ognun chiami Ges o
quella di Francesco d'Albizzo Chi salute vuol trovare, non meno ingenue delle prime, prover lo stesso senso di melanconia di chi dopo
aver respirato a pieni polmoni su di un pratello aprico l'aria imbal-
cjratten
tei
sec
197
fine
i
di fiorellini
spandano
stessa specie
Venuto meno
porcellana.
procedimenti dell'arte,
il
il calore del
sentimento e affinacandore della vecchia lirica sacra di-
caratteri
determinata
poesia
della
precisa la
le doti
religiosa
dizione
insomma
il
fraseggiare; umile lo
traslato;
vi trovi
ma
popolaresca;
ordinata la
anche ben
successione
Or
stile,
insomma
o la
vi-
vin-
queste,
colando la fantasia del lettore, tolgono alla poesiola del Belcari quella
lirico, la
eli colorito e quell'efficacia suggestiva che l'impeto
frase ondeggiante, il disordine stesso conferiscono alla lauda del Bianco
vaghezza
sco Parrasio.
1
Quattrocentisti
si
di potere, essi
uomini del Rinascimento, far poesia religiosa non solo nelle forme, ma
e colla contenenza della vecchia lirica sacra popolare. Erano gi adulti
e si sforzarono di apparir piccini. Talvolta invece
e fu nelle laudi
d'argomento didattico
parve pi squallida tra
montarono
e la
tropp'alto
diffcile
materia
il
giusto
della loro
Un
commendevoli. Il primo, ad esempio, trova accenti semplici e delicati nelle due Orazioni della monaca e
scrive una laude di S. Villana, nella quale son versi non indegni d'un
grande poeta. Parla la santa stessa:
di cantici assai
Non
lW5
CAPITOLO SESTO.
secondo tenta
Il
l'analisi
nella laude 0
ed efficacia lo stato del
suo animo, il suo acquetarsi nell'ardenza
del divino amore e nell'aspirazione ai gaudi celesti:
dolce
felice brevit
Che
noi
Deh
tramrrii del
mio petto
ognora
mandi
tu.
tormenio
tiri.
pi.
Qui per
XV
che il moto suscitato dal Savonarola le infondesse nuovo, bench passeggero vigore. Del pari le nuove tendenze degli spiriti, l'amor del
reale e la vaghezza dello spettacoloso provocarono, cooperanti condizioni letterarie propizie, gli ultimi svolgimenti italiani d'una particola
intendo del teatro sacro.
foggia di laudi
Le
Laudi
'che."
che
assumono
estendano oltre a quei ristretti confini che bastano alla semplice manifestazione del sentimento
non meditato. Questo fatto doveva naturalmente avverarsi, meglio che
in ogni altra specie affine, nella primitiva lirica sacra in volgare, perch il sentimento ispiratore le veniva eli consueto dalla contemplazione
per la cui memoria i seguaci del romito
dei misteri della Passione
umbro Raniero Fasani si abbandonavano ai devoti flagellamenti. E come
nelle canzonette d'amore la forma dialogica divenne frequente accanto
al monologo, cosi nelle laudi; le quali erano tratte ad accoglierla dall'indole stessa del racconto evangelico e forse dall'imperizia degli autori insol
si
clini
due schiere
laude in
di flagellanti, si
un vero
dialogo,
si
nuta nei
Una
testi si riflettesse
nel
modo
della recitazione.
,,
199
non tardarono a
riunirsi in confraternite regolarmente costiconvenivano nei loro oratori o nelle chiese per attendevote consolazioni, alle discipline, al canto delle laudi, e con
tuite, le quali
dere alle
queste commemoravano via via
le
il
ciclo
colo
XIV
registrano
una colonda, a
tempo
uno
una
una vesta nera eia Madonna doie sopreponte per Centurione e per
Longino e barbe e capellature e guanti e simili attrezzi ed acconciature. Alle quali sceniche recitazioni ben verosimile che i disciplinati fossero incoraggiti dai drammi liturgici da pi tempo in uso nelle
,
Chiese, rappresentazioni figurate e latinamente parlate dei fatti prinvita di Cristo; ma della diretta dipendenza di quelle da'
cipali della
questi
siano
riscontri
sciandosi trasportare dall'ardente fantasia e dall'ispirazione del sentidalla rievocazione di spettacoli ora dolci, ora pietosi,
mento commosso
ora terrifici. In quei canti plebei palpita la sana, la forte poesia d'una
gente cresciuta ai liberi colloqui colla vergine Natura tra la solitudine
di una gente educata
de' suoi verdi poggi e delle sue valli rocciose
pur allora alla religione dell'amore dalla voce del Ser-afico d'Assisi e
temperante di immagini soavi l'austera tetraggine dell'ascetismo cripiccoli drammi che ricordano
s ciano. Quanta familiare tenerezza nei
la nascita di Cristo e la fuga in Egitto! Quanta, nella lauda per In
prima domenica d'Avvento, ingenuit di sentire nelle pietose insistenze
di Maria implorarle misericordia per i dannati fra le spaventose visioni del novissimo giorno! Il metro di codeste laudi drammatiche
la ballata maggiore, oppure, pi di frequente, la strofetta di sei ottonari a tre rime, alterne le prime due, baciata l'ultima la lingua, l'idioma paesano appena ravviato dalla naturai soggezione della scrittura
,
Dall'Umbria
la
non
d'arte, s di piet.
si
diffuse nelle
200
CAPITOLO SESTO.
estetico.
rano
cenno
riprendere
di sul pale*-
in acconcio
modo
anche la sesta rima e che, spogliata di certe ovvie interpolazioni, lascia vedere di sotto all'endecasillabo il primiero ottonario delle laudi
ambre. Le vicende della lingua non possono essere considerate separatamente dalle vicende del metro e queste e quelle, collegate certo a
graduali ma profondi alter-amenti della contenenza, devono, o m'inganno,
indurci ad assegnare alle due Devozioni un posto appartato nella sto-
di
comunemente
quello che
La
si
crede.
-A
in alcune
e senesi;
ma
l'
la sestina,
non
confraternita aquilana di S.
canti nella
gamente sviluppato
della corrispondente
201
Devozione
l'Abruzzo par
si
an-
che nel-
lar-
umbri trattavano
Quaresima e
il
Di-
dei giorni
Procedimenti codesti, per via dei quali anche la romana confraternita del Gonfalone, sorta poco dopo il 1260 in seguito al movimento religioso dell'Umbria, giunse da embrionali tentativi quali dovettero esser i drammi con cui commemorava il sacrificio del Redentore nel secolo XIV, ai grandi spettacoli che essa soleva apprestare
verso la fine del successivo. Vero dramma ciclico che movendo dai primi
miracoli di Cristo si stendeva sino alle varie apparizioni di Lui e ad alcuni miracoli degli Apostoli, esso comprendeva forse, nel momento della
sua maggiore ampiezza, tre rappresentazioni, la Vita, la Passione e la
Risurrezione, ridotte poi mediatiti le solite racconciature e mutilazioni
a due, quella Passione e quella Risurrezione in sesta rima, che sono
pervenute, avanzi di un grande naufragio, fino a noi. Il palco scenico
era nell'arena del Colosseo gli spettatori sedevano sulle gradinate alsanti.
memorie
l'intorno; le
elei
ludi
giavano sulla rinnovata figurazione dei misteri cristiani grandioso contrasto, che pareva testimoniare la vittoria della nuova sull'antica Roma.
In forza delle medesime leggi e attraverso analoghe vicende, deve La sacra
esser giunto a maturit il teatro sacro a Firenze. Ma l'ingegno eie- rap ZIO IInta
gante di quel popolo, quel suo amore per tutto che fosse bello, sfar- a Fir enze.
zoso, fantastico; l'idioma ch'esso parlava, gi snodato all'uso letterario,
gli stessi ordinamenti politici, che pur mentre tramontavano, anzi allora pi palesemente che mai, avvicinavano le classi elevate del civile
consorzio alle umili, fecero s che l, sulle rive dell'Arno, il dramma
assumesse particolari forme e caratteri. L'ottava, che gi avevano usato
largamente quelle due antiche composizioni commemorative della Passione, divenne il suo metro consueto
come quello che meglio della
sestina appagava l'orecchio col ritmo pi pieno e meglio si accomodava per la maggior ^ampiezza a secondare ci che direi i respiri del
dialogo. Disparvero i vecchi nomi di lauda e di devozione e prevalse
quello di sacra rappresentazione ben appropriato agli spettacoli drammatici fiorentini, volti non pure all'edificazione, ma al sollazzo del po;
i~J
<~J
^!
t^J
pompa
il
loro illustre storiografo, Alessandro D'Ancona, porgevano ad essi esempio le mute figurazioni dei fatti dell'antico e del nuovo testamento solite
farsi,
difficile
la
sacra
rappresentazione, perch
difficile
Cronologiae
autori,
CAPITOLO SESTO.
al secolo XIV; di poche possiamo rilevare l'et con sicurezza.
La pi
antica fra queste la Rappresentazione dei d del giudizio,
anteriore certo al 141S, Fanno in cui inori l'araldo Antonio di Meglio,
che
ne fu autore,
'
bri e romani;
il
ciclo
vi
um-
ebbe
ma
piena trattazione,
serba una
grande
del
dramma ad una
non volesse
che
lo
presero
a coltivare giunto
all'efficacia
a quella tappa
degli uomini
e gli diedero
colti
una
Francesco Giannotti, Pierozzo Castellano de' Cacanonico per pi di trentanni dal 1489 nello
Studio pisano, Lorenzo di Pier Francesco de' Medici e lo stesso Lorenzo
il Magnifico; n improbabile che ad alcuno di questi o ad altri lete sono le pi
terati spetti alcuna di quelle
che anonime andarono a stampa fin dagli ultimi anni del secolo XV. Gli argomenti e
il modo della trattazione erano pur sempre quelli consacrati dalla tradizione, onde gli autori non curavano di legare il loro nome all'opera
propria n lo indagavano i lettori o gli spettatori.
Gi i Disciplinati**umbri s'erano provati a drammatizzare i fatti
della vita di alcuni santi e l'Abruzzo aveva avuto una Devoiione et
festa de sancta Susanna e una Legenna de sancto Tornaselo in tre
giornate. Ma a Firenze rappresentazioni di tal fatta contesero con
buona fortuna la sacra scena a quelle che commemoravano i tempi
evangelici, e l'eroismo invitto con che, per esempio, S. Ignazio, S. Margherita, Grisante e Daria affrontavano il martino, i miracoli onde io
confortava la grazia divina, le fantasiose leggende di soccorsi prodigiosi prestati da S. Jacopo ai devoti pellegrinanti al santuario di Compostela, parvero temi pi adatti che non fossero le solenni e severe
vicende del Dio-uomo, a colpire e dilettare le corpulente immaginazioni
popolari, nudrite s di fede
ma ormai non pi pronte a lasciarsene
di
, ,
203
il
un
pratico
ammae-
conoscerlo e
Dal vasto ciclo delle leggende che favoleggiano di fanciulle ingiustamente accusate, vilipese e in vario modo perseguitate, attingono la loro
materia l'Uliva e la Stella.
Uliva una fanciulla non meno vaga e leggiadra che piena ci" u - La napprea
miltade e di fervore, figlia dell'imperatore Giuliano. Questi, non avendo dTls. uiiva.
trovato in tutto il mondo altra donna che pareggiasse in bellezza ed
onest la morta sua moglie vorrebbe impalmare la figlia ma Uliva,
spaventata da questa proposta, si taglia ambe le mani, principal causa
dell'incestuoso innamoramento. Il padre nell'impeto dell'ira comanda
a due suoi fieli di condurla nel regno di Brettagna e di ucciderla, ordine che non in tutto eseguito, perocch Uliva solamente abbandonata alla merc delle fiere in un bosco. Il re di Brettagna, andando
a caccia, si imbatte in lei, ne ha compassione, la accoglie in sua corte
e le affida la custodia del suo figlioletto. Un barone la corteggia arditamente ed ella nello schermirsene, si lascia sfuggire dai moncherini il bambino, che cade e muore. Novelli guai si preparano all'onesta fanciulla, che abbandonata in un deserto
- quivi le appare la Vergine e le rende le mani
e ricoveratasi in un monastero, viene con
arte malvagia accusata del furto d'un calice da ser Mariotto, il cappellano, timoroso delle tentazioni della bellezza di lei. Egli ottiene il suo
intento ed Uliva gittata in mare chiusa iu una cassa, che alcuni
mercanti casti gliani vedono galleggiare e raccolgono. Essi offrono Uliva
in dono al re di Castiglia, e questi invaghitosene la fa sua sposa contro
il voler della propria madre. La quale sdegnata si ritira in un convento,
e quando, essendo lontano il re per la guerra, Uliva mette al mondo
un bel bambino, trattiene nell'andata e nel ritorno il corriere che recava al campo la lieta novella, e sottraendo e cambiando le lettere
fa pervenire al luogotenente reale l'ordine di abbruciare la sposa e
,
Ma
figliuolo.
Sinibaldo
L'una e l'altro e
pone
sul
impietosito
CAPITOLO SESTO.
Uliva ottiene buona ospitalit da due vecchie. Il re di Castiglia intanto
torna vittorioso e, scoperto l'inganno appicca il fuoco al convento
abbruciando con esso la madre. Passano dodici anni e il re tormen,
si
figliuolo,
il
manda
corteo e addita
al
alla corte
dove
accarezzato, ma non riconosciuto. Ma quando Uliva vi si reca con lui
e narra la sua. dolorosa odissea, l'imperatore e il re ravvisano in lei
la figlia e la sposa; si rinnovano le nozze di Uliva; si fanno grandi
festeggiamenti, finch il re, ottenuta dal papa l'assoluzione, ritorna co'
suoi lieto in Castiglia.
^m
suiia
muove
se!n P uce
>
ma
affine
il
La persecuzione
lo sia data la morte, mentre l'imperatore, padre della fanguerreggia lungi dalla Francia contro gli Inglesi. Anche Stella
invece abbandonata in un bosco senza le mani, che i servi portano
alla loro signora come prova dell'omicidio; anche Stella raccolta da
un principe cacciatore, il figlio del duca di Borgogna, che la fa sua
sposa. Mentre egli a Parigi e prende parte alla giostra che la matrigna ha bandito per isvagare l'imperatore addolorato dalla scomparsa
di Stella, questa d alla luce due bambini formosi e belli; ma la malvagia
donna, che per certe indicazioni ha riconosciuto nella lontana puerpera
la figliastra, compie il perfido scambio delle lettere nella tasca del corriere, come la suocera della Santa Uliva. E Stella di nuovo esposta in un bosco, dove si ricovera coi due figlioletti in una spelonca
presso ad un eremita, poi che la Vergine le ha rese, come ad Uliva,
le mani. Ivi la trova il marito, che, tornato in Borgogna, corso sulle
tracce di lei; Stella gli rivela finalmente l'esser suo ed entrambi muovQno coi vecchio duca alla volta di Parigi. L'imperatore accoglie esultante la figliuola che credeva perduta, e fa ardere la matrigna causa
ordina che
ciulla,
di
tante sventure.
Un medesimo
6
noveiiistico
tazionf
ispira codesti
tentatore e costretta a fuggire nel deserto la morte, riceve dalla Vergine la facolt di sanare con un segno di Croce gli infermi confessi
e pentiti dei loro peccati, e la sua onest riluce quando ella sconosciuta
guarisce dalla lebbra il suo calunniatore. Laddove nella Uliva e nella
si
qualche particolarit esteriore e l'interesse germoglia dall'indole romanzesca e straordinaria, delle avventure. Rasentiamo la novella. Nel do-
205
banco nelle novelle e nei poemetti, cos il sacro drammaturgo pare non
avverta la varia attrattiva e la varia contenenza poetica delle diverse
scene, e tutte quelle che nell' esposizione narrativa della leggenda
trova preste ad assumere forma di dialogo, schiera in lunga fila dinanzi allo spettatore, come le figure d'un quadro un pittore che ignori
la prospettiva e l'arte degli scorci. Indi lungherie e ripetizioni da un
canto, e dall'altro scene eccessivamente rapide e precipitose catastrofi.
Neil' Adivamo ed Isac di Feo Belcari, Isacco racconta in cinque ottave
alla madre tutto ci che poc' anzi stato rappresentato sulla scena.
Nella Regina Ester, dopo che Assuero ha decretato la distruzione di tutti
Giudei,
di Ester,
re
lo
scambio
di
messaggi,
di cui parla
sospetto che
il
il
loro
fg Lio
rato
di
eli
Rosana e
chiamarli.
Il
il
si
presen-
giardino, dove
ad anelare con lei a cor dei bianchi fior, gialli e vermila prega di aspettare un poco, va a prendere il librccno.
l'ufflciolo della Madonna, e non senza aver prima recitata una preghiera,
torna alla regina. Entrata nel giardino, un mercante le addosso e
mentr'ella strilla implorando aiuto, la porta con s. Lo spettatore ascoltava e vedeva tutto codesto: nulla, osserva il Gaspary, era lasciato
alla sua fantasia o al racconto dell'attore . Per contro qual grossolana
speditezza, qual sommaria trattazione nelle scene di importanza essenIl pagano Grisante mandato dal padre a studio a Roma; un
ziale
d gli viene alle mani il libro dei Vangeli e fra s dice
0 stolto
fuor del vero sentimento Che cerchi per voler fama immortale Navicar sempre col contrario vento ... . La conversione bell'e conila fanciulla
gli
Rosana
n modo
di
ne
ra
dSi
ar oimri
206
CAPITOLO
pinta, e
SESTO.
contro a questo, reduce di Terrasanta, por dirgli che Guglielma durante l'assenza di lui s' data a vita di baldorie e dissolutezze, e il
re,
Sodisfatto
Una vaga
mente
Molteplicit
e
diuo-hi
calunnia tramuta
di
un marito tenera-
botto in carnefice
affettuoso.
XV
scenico,
ed Isac l'azione comprende un periodo di sei giorni; nella Rappresentazione di un miracolo di S. Maria Maddalena passano quasi anni
trenta , mentre si recitano poche stanze. Decisamente i precetti di
Aristotile non davano impaccio a quei popolareschi compositori.
Come a ravvivare l'arida e smorta poesia dei cantambanchi conferiva
quella che dicemmo collaborazione ideale dell'uditorio, cos l'immaginazione e la buona volont degli spettatori a creare le linee prospets nello spazio e s nel tempo, dei sacri drammi. Immaginazione
e volont aiutava per e quasi aizzava l'assetto scenico. I vari luoghi
dove il dramma aveva a svolgersi, stavano schierati l'uno accanto .al-
tiche,
l'altro
LA LETTERATURA ORIGINALE
207
IN VERSI.
sicch gli attori potevano senza sottrarsi alla vista del pubblico passare di un luogo nell'altro, come accade nel Miracolo di S. Maria
stessi
come
tal uopo,
Quando
personaggi
giovavano a
talvolta
Maddalena e Marta
santi Massimino,
annunciano dove
si
trovino;
lo spettacolo lo richiedesse, in
ma
cartellini
sul dinanzi
cos
apriva la bocca dell'Inferno, donde uscivano i diavoli,
e nello sfondo una tribuna elevata e opportuper esempio, nel Teofilo
namente addobbata rappresentava il Paradiso. Dio Padre appariva nello
del palco
si
splendore della sua gloria e manifestava dal trono celeste i suoi voleri
e i suoi comandi. questo per non era caso molto frequente. Dal trono
celeste il Re dei re dai loro troni terreni, stando in sedia, parlavano
tutti i personaggi investiti di qualche dignit, salvo in certi momenti
espressamente indicati. Gli altri personaggi invece recitavano in piedi
;
dell'
azione o
comune che gli stava dinanzi. Quivi stesso compariva l'Angelo che sul principio annunciava sempre, in poche stanze, il soggetto
sullo spazzo
della
rappresentazione
invitando
loro
gli spettatori
a prestare benevola
licenza, ringraziando
il
e chiedendo
festaiolo, cio
il
diret-
Ad
che invenzioni
delle leggende,
del Rinascimento.
Il
pennello
cooperavano
ritraeva,
le arti
come
rifiorenti all'aura
negli sfondi
Gli ingefe1
teatrali >
dei nuovi
vitruviane, e la
rettezza
statue,
ornamenti
magistero
il
ai
plastica
templi e ai palazzi
finti
sul palco.
Con
sottile
come dicevano allora, gli ingegni coi quali nell' Anrappresentava il Paradiso lieto di luce, di incensi, di
cherubini roteanti, e si faceva scender a Maria l'Angelo messaggiero.
Le apparizioni e le trasformazioni improvvise, gli incendi e le ruine
di edifizi, di cui il sacro testo parlasse, erano poste sotto agli sguardi del
pubblico n meno ardui artifici che per codesti spettacoli, occorrevano
per conciliare la decenza e l'umanit coll'illusione nelle scene di martiri; quando, per esempio, si strappava il cuore a S. Ignazio e si
attanagliavano con piastre di ferro infuocate S. Rossore e i suoi
compagni; quando S. Apollonia era spogliata, battuta, torturata e da
ultimo decapitata, o S. Cristina gettava sul volto al padre uno brano
della sua carne di petto* ch'era stata cogli uncini dai carnefici strappata e il manigoldo co' rasoi le spiccava le poppe e le cavava
la lingua . Se gli avvenimenti offrivano occasione, si solevano cantare
sulla scena laudi, salmi latini, canzoni profane e si dava luogo a suoni e
danze, onde avevano svago gli spettatori e si infr amette vano nell' azione intermezzi simboleggiatiti talvolta lunghi periodi di tempo. Nelle
meccanismi
nunciazione
o,
si
e gli
intermezzi
CAPITOLO SESTO.
indicazioni sceniche trovi sovente fatto
battaglie, di giostra, di banchetti
scritto
siffatte
r ordine
la
di
un trionfo
cenno
di
noW Eustachio
alla foggia
rassegne militari,
romana. Ricchissima
di
il
di
pompe
suo ampio
delia
/^fattori!
reggono l'azione.
Ultima propaggine
si
mantennero
che solo
o nei primordi del successivo and reverso la fino del secolo
stringendosi ad alcune parti espressamente notate, l'allestimento e la
recitazione per opera degli affigliati a pie confraternite. A Firenze gli
-l
XV
appartenevano
attori
alle
compagnie
drammi
pi lunghi,
come
la
Rosana,
il
Co-
L'intento
la
maggior
e,
alle liete
209
si
bramo ed Agar
logo
dell'
piedi del
cielo,
ma
norme del
mondo contemporaneo
negli spettatori le
istillava
retto
viver terreno.
pure
scene satiriche e comiche l'ormai grave monotonia della sua andatura e de' suoi atteggiamenti.
I sacri drammaturghi, s' detto, nell'adattare la leggenda al teatro L'elemento
la seguitavano a passo a passo anzi nelle indicazioni sceniche talvolta fermento
satirico
citavano la storia . e mantenevano l'uso dei tempi storici, narrando
fatti necessari alla piena intelligenza del dramma. Nel Sanf Alesso,
per esempio, l'azione procede ragionevolmente sol quando insieme
dal
questo soltanto:
esso attingeva
di
si
compongano
in
un
tutto
didascalie
Ma
ha
la miglior
il
borsa una
chio l'un
al suo
amene
come nel
S.
intramesse
dietro,
siffatte
La
lelt.
ital.
nel sec.
XV
il
brochetto scorto.
14
210
CAPITOLO SESTO.
Tutto
el di
Vanno
con
Uccidono uno
A
Scene
realistiche.
mule a processioni
1 beccamorto
non ne valor pena:
le
altre
pi volgari e
altercano per
compagnoni;
il
posto alla
bella
Anacronismi.
Osservazioni
critiche,
zione rimase
ben lontana
il lettore deve esserne ormai convinto
.
vivezza, di sobriet, di
di
il
211
venne arricchendo.
acl
Se vuoi trovare
personalit.
Con cura pi
felice tratteggiato
il
carattere
dell'amo-
mente
lui,
conquidono pronta-
d'analizzare
forse altro
212
CAPITOLO
SESTO.
d'un
dei sentimenti;
studio ed analisi,
La sacra
rappresentazione
fuori di
Toscana.
XVI
opera
di
Abramo
persone
ciotte,
certi
drammi
quali
ignota
drammatico
dice
tutto l'ordito
il
una successione
di dialoghi e
di effusioni
liriche
forma vi prolissa, impacciata, fredda . Come la festa di Pordenone codeste rappresentazioni aversane e quell'altre di che abhiamo
solo imperfetta notizia dagli appunti d'un vecchio erudito, saranno proprio quel che le reputa il D' Ancona, letterarie trasmutazioni d'u-
la
metro
documento una
maggiore
della ballata
in
S.
un
Caal-
il
XV
Prima
del
1490 fu
infatti
213
marchesato di Saluzzo, un dramma della Passione, che in tre giornate espone tutta la storia dell'umano riscatto, dai vaticini delle Sibille
e dei profeti tino alla Risurrezione. Sono oltre a tredicimila endecadel
un italiano infarcito di elementi diae forestieri; vasta composizione di complessa struttura e ricchissima di personaggi, nella quale l'autore, forse un frate, ha dram-
sillabi
lettati
matizzato
racconti dei
Decadenza e
s
?enle!"
delle
La
conclusione
CAPITOLO SETTIMO
Roma
tempi
ad
e Firenze
Lorenzo il Magnifico.
di
Barbaro
padovano.
FirenzeL'accademia platonica.
Marsilio
Ficino e le sue opere principali.
Giovanni Pico della Mirandola.
Cristoforo LanLorenzo dei Medici detto il Magnifico: suoi studi, V Alter catione, il Canzoniere
dino.
e il commento, le Selve, il Corinto, V Ambra, l'amor di Loivnzo per le lettere, le arti e
ie pompe, la Caccia col falcone, le Canzoni a ballo, la Nencia da Barberino, i Canti
carnascialeschi, le Laudi, il S. Giovanni e Paolo, i Beoni.
Luca e Bernardo Pulci.
Matteo Franco.
Il carattere e le poesie minori di Luigi Pulci.
Bernardo BelLe donne di casa Medici: Lucrezia Tornabuoni e Clarice Orsini.
lincioni.
Angelo
Poliziano: la sua giovent, la versione dell'Iliade, il P. in casa Medici, V Orfeo, le ballate e i rispetti, gli epigrammi latini e le elegie, le Stanze per la giostra, il P. istitutore in casa Medici, il P. cacciatore di benefici e di doni, il P. professore nello Studio,
le prolusioni letterarie in prosa e in versi, le prolusioni filosofiche, ilP. filologo, i Miscellanea, lo stile latino del P. e la sua disputa con Paolo Cortese, la polemica con B.
Scala (Alessandra Scala) e il Marullo, la polemica con Giorgio Menila, la vanit del
Eruditi e poeti latini minori.
Giovanni Lascaris, Bartolommeo Fonzio,
Poliziano.
Paolo del Pozzo Toscanelli.
Naldo Naldi, Giov. Battista Cantalicio, Ugolino Verino.
La religione nella
La mojrte di Lorenzo il Magnifico, del Poliziano e del Pico.
I Platonici e il Savonarola: M. Ficino, Giovanni Nesi, Girolamo
brigata medicea.
Benvieni.
11 Savonarola e la cultura intellettuale.
e l'aristotelismo
Si figura
ra
ir)torno
&1 1460,
le
rioni sulla
il
lettore,
le condizioni letterarie
intorno al 1460
orme
di
Cicerone e
gerghi e
di Livio,
i
i
costrutti medievali,
poeti studiavano
il
procedeva
passo dietro
ROMA E FIRENZE
215
AI
mentre
la
si
acquistavano
sempre pi
il
favore dei
dotti.
teraria.
il
menti letterari. D'altra parte i molti lembi dei capitoli precedenti che
ne
si protendono al di qua elei largo confine segnato, ci avvertono
fa meraviglia, ove si pensi che il complesso svolgimento dei fatti e
delle idee non si pu n si deve mai costringere entro al rigido
che i caratteri del periodo pi
schema d'una elivisione cronologica
antico persistettero anche nel successivo quando i nuovi si venivano
affermando.
Ben
presto la stampa
Nel 1467
gora.
si
propag e
la tipografia di
fior
in Italia
Subiaco fu trasferita a
Roma
e,
ospi-
tata dai fratelli Massimi nel loro palazzo, pubblic le epistole di Cice-
Ad
rone
familiares
sant'Agostino, di S.
non
le
mancarono avversari
concorrenza
elei
copisti
non
sufficienti
i
librai
a sostenere la
come Federico
di Montefeltro, eia
un
216
CAPITOLO SETTIMO.
un'arte meccanica. Ma gli umanisti non potevano non fare buon viso
ad un trovato che giovava a diffondere le loro dotte fatiche e ne
guarentiva l'esatta riproduzione.
Alla critica spettava allora Y ufficio di trarre dalle conquiste dei
grandi eruditi trapassati tutto il frutto possibile, di affinare col savio
uso i loro metodi, di attuarli rivedendo, correggendo, commentando la
suppellettile classica. Pi diffcile cammino restava a percorrere all'arte.
I latinisti avevano appreso a maneggiare con notevole scioltezza l'antica lingua di Roma ed a rendere a volta a volta il fare largo e solenne o la facile semplicit dei classici, ma di questi non possedevano
ancora tutta la fine e castigata e luminosa eleganza. Specie nella poesia o riuscivano aridi e scoloriti o
ornamenti.
gli
di vieti
elementi diversi
goffamente
raccostati,
dotto,
ma
fera fuor di Firenze allora e dipoi. Ancora: era necessario che l'idioma
fiorentino riprendesse vigorosamente
*
il
dato o arrestato dal prevaler del latino nei domini della letteratura,
e affrettasse
il
compimento
che
forma derivare
le
sue
ul-
time finezze.
Queste le condizioni e le deficienze della letteratura poco dopo il
1460, quando critica ed arte si avviavano verso quella fresca maturit, di cui saranno belle trentanni pi tardi, al chiudersi della prima
et della Rinascenza. Schiettamente umanistica rimase ancora per lungo
tempo la letteratura a Roma, dove il ricordo recente delle lezioni e
delle polemiche del Valla acuiva l'amor per la critica, e l'universalit
del papato e della corte pontifcia rendeva gli scrittori pi tenacemente
umanistica del Salutati
ligi al latino. A Firenze, dove la tradizione
del Niccoli e del Bruni si consertava alla tradizione letteraria paesana
gi assurta nelle opere del Palmieri e dell'Alberti a nobile consorzio
colla
nuova
coltura, la critica e
(H64-71).
il
latino
non soffocarono
artistiche latine
l'arte
il
e italiane germogliarono
ROMA E FIRENZE
AI
217
grande disegno
abusi e male consuetudini, proib nelle scuole la lettura de' poeti pagani.
la
Fu
sua
vita,
tecipi e la
staurazione religiosa.
Per seguire
le lezioni del Valla era venuto a Roma molt'anni in- r
iomponio
nanzi un giovane calabrese rampollo illegittimo della famiglia Sanra ^de mia
Severino. Si faceva chiamare Pomponio Leto e con tale ardore am- 'romana,
,
di
218
CAPITOLO SETTIMO.
allo Studio,
ove Paolo
II
aveva conferito
gli
la lettura di
eloquenza
culto dell'antico, ond'ebbe nascimento quel sodalizio, che fu detto Accademia romana. Disputavano di poesia, d'arte, di filosofia, di filologia, rinnovavano gli antichi riti religiosi celebrando ogni anno, il 20 api-ile, il
Natale di Roma, datavano le loro scritture db urbe condita; sdegnavano perfino di serbare i lor propri no ni, e, com3 Pomponio, li mu-
r. Platina
(1421-1481).
tavano o foggiavano classicamente. Filippo Buonaccorsi si faceva chiamare Callimaco Esperente; Marcantonio Cocci da Vicovaro, Sabellico;
un Pietro, Petreio; un Marino Condulmr, Glauco.
Accanto al padrone del luogo primeggiava tra essi
o almeno
p r i me ggj a a gii occhi nostri
Bartolommeo Sacchi
Platina dalla
borgata di Piadena, presso Cremona, elove era nato nel 1421. Soldato
dapprima, studi poi sotto la disciplina di Ognibene Bonisoli a Mantova e gli successe qual precettore dei figli del marchese Ludovico.
Sul principio del 1457, per udir greco dall' Argiropulo pass a Firenze,
dove strinse dimestichezza con Cosimo e Piero de' Medici. A Roma
eletto
uomo
il
di fresco creato
costumi e del Platina suo segretario protettore benefico, specie nelle diffcili congiunture in che questi ebbe a
trovarsi sotto il pontificato di Paolo II. Poco dopo la sua elezione papa
Barbo sciolse il collegio degli abbreviatoli istituito dal suo predecessore, ed il Platina, che vi era stato ascritto a prezzo da Pio II. crecardinale,
di
liberi
al
pon-
altri
in Castel S. Angelo.
e di
immora-
si
che
rampollavano
pensieri
dopo Niccol
e Pio II
che
era
folla
costruzioni magnifi-
aveva
Giovanni Dominici. Ma ormai
di poter arrestare il
il credere
fin dal
l'austero
ROMA E FIRENZE
AI
319
dici
di essa
Il
220
Sisto
i
CAPITOLO SETTIMO.
iv ^
suoi nipoti, si
eppure
cespiti d'entrate,
insufficienti alla
il
dove
palazzo
la ospit, fu
di vasi preziosi;
la
piazza
ebbe luogo
un banchetto sontuosissimo,
che
il
Con magnificenze
di tal fatta
uno dei nipoti del pontefice faceva pompa non sempre di buon gusto
non s'ha a confondere il lusso coll'arte
si delle sue ricchezze,
che erano ricchezze della S. Sede. Oh guarda , esclamava scandolezzato un cronista contemporaneo, in quale cosa bisogna che si adoperi
lo
di
Dio
Colonnesi, con
Lorenzo
de' Medici,
1V e
ie arti,
Se non che
la
IV
di chi
non
pretenda dagli uomini virt non consentanee ai loro tempi. Sul soglio pontificio egli parve dimenticare le semplici abitudini della vita
monastica, cui s'era addetto in giovine et entrando nell'ordine di
S. Francesco, e si abbandon voluttuosamente alle tendenze fastose
del Rinascimento. Riordin e abbel i palazzi Vaticani e il S. Pietro
fece edificare la cappella che da lui fu detta Sistina e chiam a trescarne le pareti i pi grandi pittori del tempo, il Ghirlandaio, Luca
Signorelli, il Perugino, Sandro Botticelli. Trascur la scultura, ma
non ie arti minori, e ad appagare la sua vaghezza di pompe opera;
ROMA E FIRENZE
rono
incisori,
AI
orefici, medaglisti,
Rinnov
221
medievale
la citt
della
Pace e l'ospsdale
giudizio di
profonda.
Quantunque dedito
agli
studi teologici
citt,
favor
iv
Sisto
e la
vaticana?
il
che e severe
platina,
il
Filelfo,
Roma
tra-
umanisti e che
nuovo
III
loro
riti
imperatore concedeva
all'
Accademia,
Sisto
iv
Let
'
222
CAPITOLO SETTIMO.
suoi
di
crear dottori e
incoronare
di
Altri
uma-
medesimi metodi Niccol Perotto, Martino Fichiamato a leggere rettorica nel 1473, Antonio Costanzo detto
Roma*
letico,
fermare
li
il
ma
Europa.
d'
periodi e
il
le allusioni
Domizio
1
0448-7S?,
polemiche.
commenti
coli'
il
ritmo dei
monumenti
Roma.
aiuto dei
il
Poggio ed
il
Valla
si
ROMA E FIRENZE
223
Al
Ermolao
(1454-9^.
nuova et nella
florida
ari-
che
mana, per
ci
Signora,
patriarcato di Aquileia;
il
il
pontefice
gli conferisse,
ma grande
contro
il
volere della
cerchia de' suoi amici eruditi la pi celebre delle opere sue, composta
appunto a
Roma
tra
il
1491 e
il
93, poco
prima che
lo cogliesse
la
Ma
avanzamenti del penil Barbaro, maestro privato a Padova e a Venezia, procur di diffondere
nel Veneto la conoscenza dell' Aristotile greco, e le sue versioni e i
compendi eli alcune opere del grande filosofo. Ei disegnava di tutte
tradurle e, giovinetto, aveva fatto conoscere ai latini la parafrasi aristotelica del greco Temistio.
L'importanza di codesto apostolato appare manifesta, ove si consideri che negli ultimi anni del secolo XV l'averroismo non iscosso dai
vigorosi assalti del Petrarca, spadroueggiava nel Settentrione orientale
d'Italia e dalla scuola di Padova, come da una sua cittadella, si stendeva a Venezia, a Ferrara, a Bologna. Risoluto seguace del commentatore arabo, Nicole tto Vernia da Chieti sosteneva allora in quello
Studio, dove insegn quasi senza interruzione, dal 1465 al 99, la dottrina dell'unit ecl immortalit dell'intelletto universale, in cui si confonda dopo la marte l'anima individuale; dottrina che la scomunica
del vescovo (1489) e desiderio di quiete e di ricchezze lo indussero
poi a ritrattare. Ermolao Barbaro non vide trionfare il rinnovamento
ch'egli tentava, n in ogni caso avrebbe saputo
ch in lui l'erudito soverchiava a gran pezza il pensatore
trarre dalla risurrezione
dell'autico la vita novella. Ma tre anni dopo la sua morte, nel 1497,
Niccol Leonico Tomeo (1456-1531) era eletto a spiegare nello Studio
padovano Aristotile secondo il testo greco, quando gi dal 1495 vi
insegnava Pietro Pomponazzi, che, reietta la dottrina avverroistica, attingeva dal greco commentatore Alessandro d'Afrodisia suffragio d'au-
Hstoria naturalis.
agli
i/aristote-
padovano,
22
CAPITOLO SETTIMO.
Il
averroismi padovani,
n platonismo
toscano,
In Toscana dove pi viva e pi duratura era stata T efficacia riformatrice del Petrarca, la reazione contro la scolastica e la barbarie
araba ed anglica s' era manifestata fin dai primordi del secolo, e mentre Ermolao, fanciullo, faceva ancora
il
campo
dell' Argiropulo,
Ma
il
risorgimento
dottrine di Platone,
il
filosofico si
filosofo -artista
Rcino
(H33-1499).
r j ore
ROMA E FIRENZE
AI
225
pro-
ma
l'incarico di
il
Rossi.
La
leti. ital.
nel sec.
XV.
15
226
CAPITOLO SETTIMO
Quando parla
ch'egli dimentichi
violento in
l
coi
L'accordo tra
nf-.o-oia-
lofiiamo
Gel fucino.
una
li
loro pare
aggredisce
Maomettani.
la filosofia
averroisti e alessandnsti,
e la fede, pensa
stici,
di
il
..
ristabi-
che per mezzo delle dottrine di Platone, dappoich egli, vigile nocchiero, tenne lo sguardo volto alle cose divine, mentre quasi tutti gli
altri filosofi attesero esclusivamente alle cose naturali, che delle prime
sono pallida immagine (Opera, pag. 628). Si ingannano per coloro che
in lui pretendono di trovare affermati i misteri della religione crilito
stiana.
Buon
Con
alessandrini ed ateniesi.
appropriassero le
e Opera, p. 956).
Non
Basilio
dottrine
ispetta
di
sia di
importa osser-
vare come
il
classico e
La Theoioplatonica.
il
ROMA E FIRENZE
prima del 1473,
ma non
sistema
gli
altri
alla
227
AI
confutazione
consacrati
delle
stenza di una scala degli esseri e la risale a mano a mano per via di
graduali astrazioni. Sul culmine Dio, unit immobile, bont e verit assoluta, Yuno e il vovs di Plotino insieme congiunti. In Dio si raccol-
gono
i
le idee di tutte le
contrari.
specie
Da Dio emanano
unifica
si
ch
il
molteplice
la teorica
conciliano
si
plotiniana dell'emana-
zione rifiorisce con certe modificazioni e restrizioni nel filosofo tomoltitudine immobile , puri intelletti le unit
gli Angeli
scano
intellettiva
di
di lui.
forma
corpi
dei corpi,
stessi o
alla
materia, principio puramente passivo infinitamente divisibile. In codesta scala l'anima razionale occupa il posto mediano, il terzo, si cominci
dall'alto o dal basso, ed perci detta tertia essentia. Partecipe della
natura dell'angelo, come sempre una partecipe della natura della forma
per la sua mobilit, essa pu ascendere ai gradi superiori dell'essere
senza abbandonare gli inferiori e discendere agli inferiori senza perdere la natura sua superiore, simile al lume solare che discende nel
fuoco e lo riempie, eppur non si stacca dal sole. L'anima quindi collega
il mondo terreno al sopraterreno.
Il Ficino distingue tre gradi d'anime razionali: l'anima del mondo,
le dodici anime degli elementi e delle sfere, le molte anime degli esseri racchiusi nelle sfere. Ne viene una specie di panteismo, che egli
accetta solo in quanto possa piacere ai teologi cristiani (Theol. Plat. IV, 1).
Coi quali cerca evidentemente d' accordarsi anche quando nega l'anima alle piante e alle pietre, viventi per l'anima della terra (IV, 1),
e dice irrazionale, corruttibile, mortale l'anima delle bestie (XV, 4),
egli che pur attribuisce un'anima razionale, incorruttibile, immortale
alla terra, all'acqua, all'aria e al fuoco, paragonandola con intento
dimostrativo ad un legnaiuolo che sia chiuso nel legno (IV, 1). Nell'anima dell'uomo sono, in parte distinte e in parte insieme confuse,
,
le condizioni di quella
dei
bruti
il
di ^quella
e dotata del
lume
degli
elementi. Essa
intellettuale,
che deve
sovrapponeva.
esempio, dove
il
228
CAPITOLO
SETTIM-.i.
derato come un
gli esseri
,
da queste
mondo a
nell'ascesa faticosa
il
che scrive
il
lib.
I,
non pure nell'astrologia, ma nella maga e nelle arti profetiche, quantunque talvolta avvertisse la contradizione che era tra codeste credenze e la sua fede inconcussa nel libero arbitrio. Nel 1489 il suo
libro De vita, opera piuttosto medica che filosofica, gli tir addosso
l'accusa di maga, ed egli si difese dicendo che accanto ai rimedi sicuri
aveva stimato di doverne suggerire altri probabili, che Dio nella sua
infinita bont ben poteva aver preparato agli uomini.
4
La dottrina
,
Jeiramore.
si
connette
Ficino la
amore
un quid incorporeo
de-
risultante
'
nella materia
ne
Anche
il
Ficino
ROMA E FIRENZE
229
AI
una e semplicis-
sima, Dio.
il
il
Libro dell'amore
fisiolo-
un
coni- n commento
Platone; un commento che anch'esso si incornieia nella descrizione d'un banchetto. Narra il nostro filosofo che Lorenzo il Magnifico, volendo rinnovare la costumanza dei conviti con
mento
cui
Convito
al
di
&i simposio.
commise
il
di
Fe-
palazzo di Via larga, nelle logge, nei giardini odorosi, all'aria aprica
dei colli toscani. Diversit di naturali inclinazioni, di opinioni, di studi,
il
poeta, l'artefice,
il
variamente
profes-
giureconsulto, l'uomo
porgevano a vicenda la mano e gli elementi vari della colmischiavano, si intrecciavano, si confondevano in un accordo,
onde per diversa guisa attingono una cotale aria di famiglia tutte le
opere intellettuali dell'ultimo Quattrocento fiorentino.
di stato si
tura
si
Marsilio era
il
divulgare
le fonti
L'Accadeplatonica.
230
CAPITOLO SETTIMO.
traducondo Plotino (14S-8G), Porfirio, Dionigi Areopagita ed altri neoplatonici. L'ingenua mitezza della sua indole, l'arguta festivit del
suo ingegno, la sua perizia nel suono della lira gli conciliavano la
benevolenza universale, e non era n veniva a Firenze uomo segnalato che non fosse o non entrasse in dimestichezza con lui; talch il
suo nome correva amato e venerato non pure in Italia ma al di l
delle Alpi, specialmente in Germania. In una lettera a Martino Preninger, cancelliere del vescovo di Costanza e poi lettore di diritto canonico a Tubinga, il Fieino annovera i suoi amici e discepoli. Qual
lunga schiera! Non tutta invero di confilosofi e complatonici suoi,
bens tutta di uomini legati a lui da vincoli di tenero affetto e spesso
di dolce intimit. Vi trovi Pellegrino degli Agli (1440-68), cui la vita
raminga e la morte immatura tolsero di dare alla poesia latina meglio
che buone promesse; vi trovi Giovanni Cavalcanti, che fu al Ficino
confidente e confortatore nelle avversit e che dicevano il suo Acate;
vi trovi Leon Battista Alberti, Bartolommeo Platina, Pier Leoni da SpoFrancesco Berjinghieri l'autore
leto medico rinomato, Pier Soderini
della Geographa, Amerigo Corsini con molti e molti altri, con tutti
quelli, o poco manca, dei quali il processo del nostro discorso ci con,
ico delia
(i463 -94;.
di
ma
cademia e il carattere di piacevoli esercizi intellettuali che vi avevano le discussioni, non trovi in quella lunga serie nessuno che abbia
lasciato di s durevoli tracce nella storia della filosofa; nessuno, quando
tu ne tolga Francesco Diacceto, continuatore nel secolo XVI della tradizione ficiniana, e Giovanni Pico, conte di Mirandola e Concordia.
Lo spirito di Dio e lo spirito del secolo non possono ogni cenfauni produrre che un sol uomo del suo valore . Cos del Pico
scriveva Giovanni Alemanno , un dotto ebreo suo amico e forse suo
maestro iperbolicamente certo, ma senza scostarsi dall'opinione generale de' suoi contemporanei. Infatti quel figlio di antica famiglia principesca che, dominato da un'invitta bramosia di sapere e di gloria, si
consacr interamente agli studi ed, errante cavaliere nei territori della
scienza, ne percorse vasta distesa discoprendone agli Occidentali recessi dianzi ignorati, parve mirabile agli uomini del Quattrocento. La
ricchezza, la giovent, la bionda e gentil prestanza dell'aspetto, le avventure amorose dei primi suoi anni e le persecuzioni onde fu fatto
segno, davano alla sua figura un non so che di fantastico e quasi di
romanzesco. E la morte che lo colp poco pi che trentenne, pot parere soddisfacimento delle sue mistiche aspirazioni e del melanconico
desiderio che gli aveva dettato questi versi:
;
ROMA E FIRENZE
231
AI
Nacque
di
Dal Peripato
con pi
sottile
ampiezza d'argomenti
che il Bsssarione non avesse fatto. N si arrest a codesto. Le tend3Lze sincretistiche che il Ficino avea redato dai neo-platonici antichi,
si impossessarono della sua mente pronta a seguirle e a fecondarle,
come versatile che era e ricca di straordinaria erudizione. Perito nel
preso ad
latino e nel greco, aveva, gi a Ferrara com' verosimile
fioriva
un'importante
comunit
dove
Firenze
imparare l'ebraico; a
israelitica e fino dalla prima met de] secolo Giannozzo Manetti aveva
con profitto dato opera allo studio di quella lingua, vi si perfezion
per via delle sue relazioni con dotti ebrei, quali l'Alemanno e Elia dal
Medico, onde pot addentrarsi e smarrirsi nei misteri della Cabala di
Esdra, a lui venduta a gran prezzo da un ebreo siciliano. Per desiderio
di legger Maometto nell'originale cominci ad imparare anche l'arabo,
ma in questa lingua, come nella caldaica, non pare facesse di grandi
progressi. Fortemente agguerrito, il Pico pot dunque sprofondarsi con
meno imperfetta cognizione delle fonti che il Ficino non avesse, nei
ricercando
filosofi e nei teologi di popoli e di tempi disparatissimi
dovunque Y affermazione del dogma cristiano e traendo con artifci
.
Non
La
v'ha
filosofia,
filosofia
(Opere,
359).
I,
egli pensava,
cerca
il
che
ci
vero, la teologia
Fondamento e meta
vano fan-
XV,
Le con-
scuole di Parigi,
Luogo
della disputa,
Roma,
la capitale del
mondo
cristiano.
costume
di
dispute.
6d6
CAPITOLO SETTIMO.
Nuovo era
certame; nuove
a moltitudine e la variet dei temi. Ma la disputa non ebbe luogo,
perch tredici fra le tesi furono accusate di eresia. Formatosi il processo, Innocenzo Vili le condann colla bolla del 5 agosto 1487, dichiarando per l'autore libero da ogni censura. Il giovine mirandolano
tent difenderle nell'Apologia, ma provoc, comunque ci accadesse,
tale impeto d'ira nel pontefice, che dovette fuggire. In Francia, dove
s'era ricoverato, fu fatto prigione al principio del 1488 e rinchiuso
nel castello di Vincennes. Non dov per rimanervi a lungo, perch
gi nell'ottobre dai colli di Fiesole, dove lo allietava la compagnia del
Ficino, il suo sguardo poteva di nuovo posarsi sul verde piano rigato
dall'Arno e sulle cupole e sulle torri dell'amica Firenze (Ficini, Epistola?, lib. IX, p. 893).
il
il
il
Mos
si
che egli distingue: Ynove risiedono Dio, primo principio, e gli Angeli il celeste,
ove sono l'empireo e le sfere; il fisico o terrestre e il mondo deleccellenza, che assomma in s alcune parti
l' uomo, la creatura per
torit di
tellettuale,
degli altri
mondi
Il
Ficino
affinch potesse nella piena libert del suo arbitrio plasmarsi in quella
forma che pi
gli
piacesse
Questo concetto che germoglia dalla teoria professata nelYEeptail Pico aveva enunciato con grande pompa di eloquenza nell'orazione De hominis dgnitate, preparata comep rologo alla discussione
delle tesi. In essa il Pico con pi calda accensione di sentimento e di
fantasia che non sia nel Ficino, vagheggia la congiunzione del finito
gelo.
plus,
ROMA E FIRENZE
AI
233
Gerusalemme ove
ancor vivo, commensale
degli dei e nudrito del nettare dell'eternit si senta, egli animale soggetto a morte, assunto all'onore dell'immortalit.
Con tale inclinazione al misticismo non meraviglia che il Pico
negli ultimi suoi anni si desse a vita pia e religiosa e bramasse che
il perdono del pontefice ridonasse la quiete alla sua anima. Ma Innocenzo Vili, esacerbato anche dalla pubblicazione deVEptaplo, non si
pieg, e solo Alessandro VI con breve del 18 giugno 1493 riaccett
in grazia ed assolse da ogni nota d'eresia il filosofo caro alla famiglia
medicea. Il quale frattanto veniva commentando per esortazione di
Lorenzo il Magnifico i Salmi e volgeva in mente vasti disegni d'opere
filosofiche e teologiche. Attese allora alacremente a quella dimostrazione della concordia tra Platone ed Aristotile, cui aveva pensato fin
dal suo arrivo a Firenze, ma non diede fuori in sul proposito che il
libro De ente et uno relativo ad un sol punto della questione. La
morte gli imped di proseguire quel lavoro, come di dar compimento
alla grande opera contro i nemici della Chiesa, ch'egli divideva in
sotte categorie. Fra le sue carte furono trovati soltanto i dodici libri
De astrologia, robusta requisitoria contro i gabbamondo, che preten-
coli' infinito e,
meta suprema
1'
uomo
si
assida,
devano
filosofi,
quella scienza
battaglia,
comando
teorie.
La materia trattata, l'indole del suo ingegno e lo speciale avviamento della sua educazione conducevano necessariamente a tal conseguenza, quantunque l'ideale d'un'arte meno imperfetta balenasse alla
Ficino.
234
CAPITOLO SETTIMO.
nati della
cnstoforo
1424-1504)
filosofa
ROMA E FIRENZE
AI
235
anzi tutto
egli stesso
Alamanno
il
Landino ed
luogo. Vi
stero del
si
trattennero quattro
giorni
l'abate del
il
Dtsp>(-
tationes
carnaldulenses.
Fi-
mona-
(corrispondenti
ai
quattro
il
libri dell'opera),
dissertarono
Ficino
gere dopo
la
due ultimi giorni lo stesso Leon Battista volle dimostrare come la favola dell 'Eneide adombri la teoria dei platonici intorno al fine della
vita e che Virgilio, asservendo ogni particolare episodio a tale intento
allegorico, signific in Enea, navigante da Troia alle rive d'Italia,
l'uomo che conosciuti i vizi e purgatosi da questi arriva finalmente
alla contemplazione delle cose divine. Nelle Dsputaiiones camaldulenses
scritte con latina eleganza di lingua e non senz'arte nella rappresentazione dei personaggi, il Landino fece opera di garbato espositore e
1
il
iniziatore d'una
divino la
rali si
linee
particolari interpretazioni
ghieri,
il
nuova ra negli
non
gene-
Ma
nelle
23G
CAPITOLO SETTIMO.
dendo
il
cosi
il
Ficino prelu-
De Monarchia
aver Dante bevuto
platoniche fonti. Non che il Landino ignori
ha
la pi
grande vene-
presso al segno Al qual aggiunge a chi dal cielo dato pur sempre
per lui Platone. Le quali parole del Petrarca (Tv. d. Fama, III, 5-6) e
il giudizio di antichi scrittori si compiace di contrapporre al primato
che tra i savi del nobl castello Dante concede al maestro di color
che sanno. L'esposizione del Landino ha non iscarsa importanza come
documento letterario dell'et in cui fu composta; ma dominata da idee
fallaci e in larga parte condotta sulle orme di Pietro di Dante, del Boccaccio, di Benvenuto, del Buti, non giov a far avanzare l'intelligenza
dell'opera immortale e, a malgrado della sua grande fortuna, occupa
appena un posto secondario nella storia degli studi danteschi.
Pi volte in queste ultime pagine ci ricorso alla penna il nome
famoso di Lorenzo de' Medici detto il Magnifico. Qual parte egli abbia
avuto nelle vicende politiche di Firenze, anzi d'Italia, non chi non
sappia, quantunque se ne giudichi variamente. Non aveva ancora compiuto ventun anno quando per la morte del padre Pietro di Cosimo,
si trov a capo della famiglia, nel dicembre del 1469; mor nel 1492
signore di Firenze, se
non
di
nome,
di fatto.
Nelle relazioni
ma
la percorse,
co' suoi
dacch i
tempi lo consentivano e lo richiedevano, con passo affrettato, senza
scrupoli nella scelta dei mezzi che dovevano condurlo alla meta, senza
rifuggire da atti crudeli e disonesti, quali le vendette che seguirono
alla congiura dei Pazzi e l'abuso del pubblico denaro, n da strappi
violenti al gi scosso regime democratico, qual fu la costituzione dell'ordine dei Settanta. Fuori di patria si govern con senno e con prudenza, con virile energia e con audacia, sicch la sua autorit nel
consorzio dei maggiori stati della Penisola and a mano a mano rafforzandosi ed estendendosi e lo rese per alcun tempo arbitro e propugnatore della pace d'Italia. Fra le strette non sempre carezzevoli di Lorenzo il Magnifico moriva la libert fiorentina: moriva rimpianta solo
da pochi solitari, senza sussulti che non fossero segno di personali o
familiari ambizioni. I tempi erano maturi e la trasformazione degli
ordini politici, da lungo tempo operatasi altrove, si compiva anche
nella citt di Giano della Bella, auspice un uomo, che fu nel fatto, bench forse non per merito suo, il migliore e pi piacevol tiranno
che si potesse desiderare in sul declinar del secolo XV. Chi giudica di
lui secondo i dettami d'una morale d'altre et, fraintende la storia.
Ma non del politico spetta a noi di parlare; s dell'uomo in cui
mirabilmente si riassume la vita intellettuale fiorentina nel periodo che
corse dalla morte di Cosimo alla sua morte.
ROMA E FIRENZE
AI
it
237
ii
l 'i
'
ini
della risorta antichit dagli scanali delle librerie adornanti le sale dei
palazzo di Via larga e nelle conversazioni dove sonava ancora il sorriso del vecchio
silio
Poggio e apriva
le ali
uomo, devoto
L'educzione
di
Lorenzo,
Mar-
alla
po-
il
Ad
La scena
il
Medici
feribile
posta in
s'
una
escluse.
dova
la vita
capitoli ternari,
u Altercatione '
238
CAPITOLO SETTIMO.
di
cui fu tenuto discorso qui addietro
(pp. 166-7), quantunque
superi per lindura e scioltezza di forma. Alla materia non
mancava
per vero una contenenza poetica, ma il rimatore, tutto intento
a filare
il suo ragionamento, non seppe disviluppar
questa dalle astrazioni e
dalle sottigliezze e si restrinse a cariare la trattazione di
qualche fiore
colto nei giardini dell'Alighieri e del Petrarca.
tifica
la
sensi e le occasioni in
la storia del
suo
come
un commento
Nuova,
di dolce e
fermarla nel regno del reale, escogit il funebre prologo, dove essa balena per un istante dal viso d'una morta. Geniale invenzione, che trasformava in materia d'arte un'astrazione filosofica; ma invenzione del
tutto fantastica, poich Lorenzo alluse, par. bene, alla morte di Simonetta Cattaneo ne' Vespucci avvenuta ai 26 d'aprile del 1476, mentre
l'altra donna fu certo Lucrezia Donati, ch'egli corteggiava fin d'avanti
il 1467. Ce lo dicono indiscrezioni di lodatori e di amici; non il commento, ne i versi, dai quali non rileveremmo, non che il nome, nep
pure i pi appariscenti contrassegni della donna cara al Magnifico.
Assorto nell' adorazione della bellezza umana, il poeta perde quasi
di vista la bellezza personale, e l'amore, pur senza toccare gli altissimi gradi ultraterreni, si fa pi astratto e pi spirituale che non sia
nel Petrarca. Dall'imitazione petrarchesca per muove Lorenzo nel far
materia di poesia la sua tutta platonica concezione dell'amore e se
,
nell'analisi psicologica
effetti
di
quel senti-
mento segue talvolta i poeti del dolce stile, non si pu dire per questo ch'ei non sia, quanto all'arte, un petrarchista. Al pari del grande
Aretino Lorenzo si compiace di contemplare la bella immagine che
,
si
ma
in essa
si
che
ROMA E FIRENZE
AI
239
Come d
'1
sole
il
lume
gine d'essa,
umana
si
104).
sprito
fa
si
moto
ci
avvenne
di alludere,
Fa germinar
la
cui l'imdell'im-
210
CAPITOLO SETTIMO.
Lascia l'isola tua tanto diletta,
Lascia il tuo regno delicato e bello,
Ciprigna dea; e vien sopra il ruscello
Che bagna la minuta e verde erbetta.
Vieni a quest'ombra ed alla dolce auretta
Clic fa mormoreggiar ogni arbuscello,
le
periglio,
fiori
il
d'amore,
di bellezza,
di
il
lorato,
fiori,
il
spira
ROMA E FIRENZE
AI
241
Fu
osservato
per avvolto e quasi nascosto tra il frondeggiar degli episodi e l'incalzare incomposto delle descrizioni, onde il nome di Selve. Il poeta
si inebria nella contemplazione della quieta, della serena natura e si
abbandona voluttuosamente all'onda dei versi, i quali, disegnando e vivamente colorendo ogni particolare, rinnovano in lui la dolce impressione delle scene campestri. Di qui quella minutezza nelle sue descrizioni della primavera e dell'et dell'oro, che gli fu a buon dritto
rimproverata, ma che non ci deve indurre a negargli, col De Sanctis,
sentimento della natura. E difetto dell'arte che rimane troppo vincolata alla realt e non riesce a rappresentare il fatto spirituale. Pur
non s'ha a credere che nelle Selve manchi del tutto l'espressione del
sentimento. Ecco, per esempio, un'ottava, dove il poeta si culla nel
il
sogno d'una
felicit ineffbile:
In questi dolci luoghi in questi tempi
la bella
donna mia,
Ma
il
Non pi
In noi;
ma
tempo
e loco.
il
rimo
e V Ambra.
Il
i lamenti e le preghiere del Ciclope teocriteo ed oviallargano a pi ampia forma sulle labbra del pastore Corinto
innamorato di Galatea. La chiude la storia leggiadra delle rose e della
nella quale
cioli,
diano
si
sciolto lo stile e
men
j).eV
Meno
Ambra, poe-
nella.
Nuova Antol.
S. IH,
Rossi.
La
lett.
XV.
16
242
Ovidio
CAPITOLO SETTIMO.
loro classico poeta e -delle quali l'autor del
il
Ambra
Nella ninfa
Lauro
Lorenzo
alle
Muse
personificata la villa
stesso,
Ninfale fieso-
italiane.
con cura
medicea
di delizie
maneggi e
quotidiana sergrandioso
geniale
fantastico.
In Lorenzo
'Lorenzo
si
nerale fuori di
l,
come
se
mostrano di credere. Il giovinetto che nel 1459 aveva ordinato
da
anche
una bella armeggeria serb
ne rammenta il lettore?
uomo una grande passione per i cavalli, per le giostre, per le cacce.
Amici e clienti suoi cantarono, come vedremo, le giostre medicee; di
ROMA E FIRENZE
una Caccia
AI
243
ne venne un
La gcct
il
ritorno,
quando
tutti
attendono a
menar
la
ma-
'1
Spendete lietamente
vostri giorni;
In pi altre egli esulta d'amore si accora per da crudelt dell'amata, si stizzisce per la sua infedelt: leggermente sempre, ch l'amore appare in quei componimenti un capriccio, il dolore non mai
,
si
tempera
di scherzo.
versi la chiusa;
Notate in questi
Le canzoni
d
di
LS?enzo
244
CAPITOLO SETTIMO
Io
il mio signore
Che non mi tenga pi in dubbio sospeso
Di' che mi mostri una volta il suo core,
E se perduto il tempo ch'io ho speso:
Come
io
Prendo
Una
renza
ar
il
partito, e
ma
con che
tono,
si
Come
l'occhio separato.
il Petrarca e i poeti
pi terso idioma d'Italia, la poesia popolare cittadinesca acquista in quelle ballate eleganza e precisione di
l.i
il
frase,
mano
altrettanto felice
il
Medici tratt
la
Nenda eia
Barberino,
Nen-
stilistici,
le
Morgana,
Quando apparisce
alla
capanna mia;
Pi chiara
se'
In tal
modo
il
si
immaginano can-
tate tutte le cinquanta stanze, descrive le bellezze della Nencia; e poi se-
gue facendo a
lei
moven-
stanza, che,
come pi
madonna
ROMA E FIRENZE
AI
245
malgrado
abbia
il
un
storici
nient'altro.
ricercare
in
ogni opera
di
Lorenzo
de' Medici intenzioni riposte, come scorgere in ogni suo atto null'altro che calcolo di raffinata politica. Firenze non fu mai pi lumino-
biano ispirato e retto il suo operare, rimpicciolire la figura di quell'uomo che mostr d'avere cos alacre sentimento del bello e di saper
trattare l'arte del verso con geniale scioltezza. Con che non intendo
negare, si badi, che volentieri egli non approfittasse delle inclinazioni
sue e del popolo per addormentar questo nei piaceri e fargli dimenticare
la libert di cui lo privava.
di
carnevale traveEra antico costume dei Fiorentini nei tempi
1
stirsi ad uso di donne e di fanciulle e andar cantando canzoni a ballo.
Magnifico pens di variare non solamente il canto, ma le invenzioni e il modo di comporre le parole , ond'ebbe nascimento una nuova
Il
Andarono
allora per le
andarono
sociali.
le
della
ballata.
raffiguranti
il
e di personaggi simbolici;
delle et
delle
condizioni
T
I
canti
ca n
[e s
ia
'
246
CAPITOLO SETTIMO.
di ammaestrar le don ne ad
impastare e cuocere i
canto Segue a dar loro ben altri insegnamenti. Non sono
molti i Canti carnascialeschi, che [tossano con certzza, essere ascritti
al Magnifico: quello delle fanciulle e delle cicale (a dialogo), quello
specie
sotto
berricuocoli
il
Ma
done ben presto le canzoni de' pellicciai, dei cavadenti, dei ferravecchi,
delle monache, delle balie e va dicendo
opera d'altri rimatori, forse
in gran parte di Bernardo Giambullari. Lo scherzo che ispira codesti
alati componimenti ha quasi sempre significato immorale od osceno;
un'agevole allegoria colla quale si esortano le donne a peccare, a trascurare
loro doveri coniugali, a godere la vita finch loro sorride la
,
giovinezza.
Le Laud.
Che
di
classicismo.
il
sacra
si
Che
il
ben
se' santa,
vedesti suscitare
La colonna nell'oscura
Notte al popol nel deserto,
Agli Egizi fa paura:
L'interno a tal luce pura
Trema e in ciel cantano i santi.
In genere
nelle
sue
laudi
il
di dottrina
ROMA E FIRENZE
247
AI
rappresentazione e forse coll'autorit del suo esempio confer a promuovere la ricca fioritura di cui, come s' visto, quel genere si al-
San Giovanni
Paolo fu recitato
nel 1489 dalla compagnia del Vangelista, attore con altri il terzogenito di Lorenzo, quei Giuliano, allora sui dieci anni, cui fu primamente
dedicato il Principe del Machiavelli. Nel dramma sceneggiata, fra
molti episodi, dapprima la storia della conversione di Gallicano, condotliet in sullo scorcio del secolo. Il
tiero
persuasioni
di
Costantino
di
Giovanni e
di
traspare forse nel discorso sui doveri del buon reggitore che Costantino rivolge a' figliuoli sul punto di rinunciare al trono ed in quello
sullo stesso argomento di Giuliano succeduto a Costantino II. Giuliano,
che
si
compiace
combattere
di
Ad
muore
un
chV
possiede;
trafitto
non molto
certo rilievo e
d'Italia
il
al
fare
mot-
versazioni sonanti sulla piazza, nelle logge, nei fondachi metteva in canzo-
248
CAPITOLO
vardo che
si
SETTIMO.
faceti,
in apparenza,
eppur
del
come a Dante
i giganti laggi
sull'orlo del pozzo infernale, paiono torri
a Lorenzo, quando gli appariscono di lontano. E la sfilata seguita, lunga,
Commedia
per
il
ma-
l'imitazione dan-
ben fu osservato
poema, Il Simposio. Noi
ricordo*
titolo del
ma
disgusto;
essa
non
il
sentiamo
la
fine dell'operetta e
parodia e ne proviamo
germoglia non gi da
per cui
Lo
gnifico
il
e pi
colla S.
ROMA E FIRENZE
Luca,
maggior
il
AI TEMPI
249
DEL MAGNIFICO.
riori,
di
tina
di Anfitrione
le favole
ovidiane di Ceice
e di Atalanta e
una
narrare
moderna
da Locio
signore
giovine
di
virt
senile
d'anni
e
gentil
un
,
da
renzo de' Medici, venuto a eaccia in quei dintorni. Come in gran parte
cos sono classiche le immagini che essa preferisce. Nel
la materia
Dradeo senti troppo l'erudito che pensatamente ricorda; troppo poco
il poeta che si assimili ed avvivi i ricordi; onde manca al poemetto freschezza d'ispirazione, e la forma dello stile e del verso in generale
storia d'amore,
che
il
luc^fuIc
27)0
Bernardo
(143S-8S).
CAPITOLO SETTIMO.
le
Pulci,
Luigi Pulci
(1132-si,.
Bernardo
si
Barlaam
bambino; certo vide sbocciare alla vita l'ingegno del fatai giovinetto.
E lo am d'un amore che fu bens ravvalorato dalla gratitudine, ma
che aveva radici pi profonde e pi schiette. Se il Magnifico era lontano, Luigi diceva di essere tutto soletto, smarrito e afflitto e lo
pregava di fargli un verso di sua mano ch'io sia certo che mi vuoi
bene o no , perch, seguitava in un'altra lettera solo ch'io senta
che tu mi ami, sono pi che contento in boschi o dove io sia; non
m'ha lasciato il Cielo altro che te . Una certa affinit di carattere
spingeva l'uno verso l'altro i due uomini, cos diversi per condizione,
una certa conformit, diceva il Pulci, che vien dalle stelle e fa ch'iot'ami tanto e ch'io mi confidi ancora tu ami me molto . N per vero
s'ingannava. Lorenzo ricambi cordialmente quell'affetto, sovvenne Luigi
nelle sue necessit, lo giov di valida protezione e gli ottenne
il
ritorno
ROMA E FIRENZE
251
AI
pre avuto nel cuore, dove tornava a lunghi e frequenti soggiorni ogni
volta cheil suo signore glielo permetteva, e dove lo attendevano le cacce
gioconde., le partite alle mlnchiate, a passadieci, a sbaraglino col suo
Lorenzo,
Le
le
conversa/ioni e
le
un
un
po' disordinati di
ma
argutamente,
il
Gettate gi alla buona e senza studio, rispecchiano con pi aperta vivacit che non possa un'opera d'arte, tutto l'uomo, fantastico, spiritoso, gioviale, pronto a cogliere delle cose l'aspetto ridicolo e a colorirne piacevolmente gli aspetti pi seri, facile verseggiatore. Nel 1472
accompagna a Roma
pirono
le tina. Il frate
andorno a predellina
per la terra; pure n' morti pochi; ma molti bollono, e fu per Dio a
ora che tutti quelli eravamo in chiesa non potendo fuggire (e tuttavia
pareva rovinarsi ogni cosa) ci saremo soscritti di nostra mano a una
gamba rotta; tanto che fu strano caso e merita scriverlo bench poi in
gran parte si abbi fatta cilecca all'occhio, pure meglio che non nulla.
Se altro di buono seguir ti aviser ma non mi credo pi trovare
presente a vedere simile cose, ch a la prima predica scocc la trapchi morto, chi tramortito, chi guasto, e tutto d
pola .
suoi versi
una
frottola,
una can-
zone, sonetti tra faceti e satirici, nei quali canzonava, egli fiorentino,
la parlata e
costumi
Burchiello,
o riprendeva
vecchi soggetti
di
altre citt,
la lirica
altri
gli
CAPITOLO SETTIMO.
L\iomo
sol
d'uom
Come di terra
Non sempre la
Ma
sempre son
Quel
A
e
m?no ri
di
Luigi ruici.
pasce,
si
talpa
rosa,
le
spine
di ch'io venni al
mondo
morir cominciai.
Ai 7 di febbraio del 1469 nella pia/za di S. Croce fulgida di ricchi addobbi e di cavalieri sontuosamente vestiti
Lorenzo correva in
,
giostra.
La dama
non Clarice
E bench
in
armi e
di colpi
non
fossi
Bartolomeo
scaia.
come
quefermerebbono,
come Josu per udirle. Tuttavia ci tra denti qualcuno per uscir
^ osi ne ^ a primavera del 1465 Gigi scriveva a Lorenzo; ed
infatti, o prima o poi, i sonetti uscirono fuori a dileggiare messer
Bartolomeo de' begli inchini , cio Bartolomeo Scala (1428-96), che
Val d'Elsa era salito, grazie ai favori
dal paterno mulino di Colle
di Cosimo e di Lorenzo, al banco di cancellier di palagio. La contesa,
qual che ne sia stata la causa, antipatia nel bizzarro rimatore per l'avido e uggioso umanista colligiano o reciproca gelosia, pare non durasse a lungo. Probabilmente lo Scala si tacque e l'altro, accortosi che
correva pericolo d andarne colla testa rotta ( egli pi l che sere
suoi sonetti s to
Se tu
ci
fossi, io farei
mazzi
di sonetti
il
di ciriegie in
sole e la luna
si
ed
Franco,
io
ROMA E FIRENZE
Al
253
>
A scalpellar sonetti nel plastico marmo della sua loquela natia aveva
appreso fin da' suoi giovani anni , descrivendo coi moduli tradizionali
le sue miserie di prete costretto a vivere in una pieve strana e maledetta , o domandando limosine di vesti e denari sicch quando ebbe
e fu tra il 1474 e il 75, poco dopo il suo ingresso
briga col Pulci
era gi destro a maneggiare quella punnel palazzo di Via larga
gente arma di polemica. E i sonetti volarono dall'una parte e dall'altra, pieni di contumelie, di allusioni maligne, di sarcasmi, avventando
accuse di turpi vizi, non risparmiando neppure i parenti dei litiganti.
non si cura tanto di parare i colpi quanto di
Il Franco, pi calmo
assestarne di micidiali. Il Pulci risponde inviperito, ma si accora di quel
trameno; le coltellate dell'avversario gli danno la febbre e ne
scrive con profondo rammarico ai suo amico potente. Forse colla sua
improntitudine egli avea dato occasione alla contesa tuttavia pare che
il provocatore fosse ir Franco, cui forse pungeva desiderio di non avere
rivali nel cuore del Magnifico. Ser Matteo si abbaruff di fatti anche con
;
Bernardo Bellincioni, uomo dello stesso stampo di lui, figlio come lui
di povera famiglia, e pi di lui esperto nell'arte del dire in rima ed
;
come
questi:
ed accuse
Il
di incredulo e bestiale.
chiedeva soccorsi e protezione in difficili congiunture, gli inviava piccoli doni, gli narrava le sue avventure, si studiava di tenerlo allegro
colle sue burchiellerie. E il patrono gli rispondeva con affabile semplicit, talvolta
lui
grande
in versi;
fiducia, se
Ma le faccende di casa andavano di male in peggio per il povero Bernardo, onde anch'egli, come Luigi Pulci cerc altrove uno
stabile collocamento, quale il libero mecenatismo mediceo, alieno da certe
principesche costumanze, non gli poteva assicurare. Nel 1480 le sue
speranze erano in Roberto Malatesta, condottiero al servigio dei Fiorentini
al quale diresse una canzone laudativa. Ma non se ne fece
nulla; e, poco, dopo il Bellincioni si allog alla corte mantovana di Federico Gonzaga e poi a quella milanese del Moro
dove lo incontremissione.
remo
in altro
momento.
Ai tre fiorentini
spiriti bizzarri
, dei
quali
Bernardo
Bellincion !-
CAPITOLO SETTIMO.
Lucrezia
Tornahuom
di
le
donne
casa, Lucrezia
e Clarice.
cortese; assecondava colle sue liberalit e talvolta forse giovava di accorti consigli la politica del figliuolo ed alle cure della massaia affettuosa e operosa alternava la composizione di rime, cornmendevoli, se
squisita,
vano nei
si
legge-
come ad
manoscritto delle
fu pianta e lodata
altri amici,
sue poesie
ella
quando chiuse
gli
Clarice
orsini,
il
Angelo
Poliziano
(H54-94).
alcuni personaggi
* n mezzo a ^ civile consorzio, di cui per via di
abbiamo qui rinnovato l'immagine, passa cinto dei pi puri fulgori delp ar e^ ^ n un co ^ a } e aristocratico atteggiamento, Angelo Poliziano.
Dalla patria Montepulciano, terra posta tra la Valdichiana e la Valdorcia e detta latinamente Mons Politianus, egli ebbe il nomignolo,
che tolse fama al casato Ambrogini. Ivi nacque ai 14 di luglio del 1454.
Dieci anni, dopo, una sera del maggio, suo padre Benedetto, uomo di
leggi e cittadino ragguardevole, cadeva vittima di vecchi odi familiari,
che quel sangue non ispense ancora. Cos intorno alla culla dell'uomo
|.
ROMA E FIRENZE
AI
255
cui primamente doveva sorridere in tutta la sua purezza l'ideale letterario della Rinascenza, fremevano i fieri corrucci e il furor di ven-
Poco dopo,
culio
gino Cino. In quella rinnovellata Atene egli pot dar opera agli studi
e cos sollecito profitto ne trasse che a quindici anni scriveva epigrammi
latini, a diciassette greci. Tra il 1469 e il 70 ud nello Studio le lezioni
del Ficino e dell'Argiropulo, che lo avviarono quegli alla filosofia piatonica, questi alla conoscenza del greco e alla filosofia aristotelica. Ma
La sua
d ^/ftX.
pi che le speculazioni indagatrici di reconditi veri sedussero il giovinetto le forme dell'arte classica, e fu tutto in Omero, cui si accinse
a volgere in esametri latini con entusiasmo ammirevole e con ardi-
mento da
tradotto
il
primo libro
dell' Iliade
PolVa
casa
Medlcl
in
250
CAPITOLO SETTIMO.
del Landino potevano aver desto in lui l'amore per il bel volgare toscano e la venerazione pei grandi padri di nostra letteratura, ma senza
gli esempi del Magnifico quei germi sarebbero forse rimasti infecondi,
e il Poliziano, dittatore fra gli umanisti dell'estremo Quattrocento, non
avrebbe ottenuto la larga e quasi popolar fama, ond' bello ancor oggi
il suo nome.
v Orfeo
(1471)
Nel 1471
duttor
dell'
il
Iliade
compose
tempo
visata in
di dui giorni
epigrammi
Fabula d'Orfeo
la
in
latini e trastilo
vulgare
Fu opera
zione del card. Francesco Gonzaga, che passando nel luglio di quell'anno per Firenze ottenne, secondo una plausibile congettura di Isi-
il
Mantova ad
allietar
colle grazie della sua poesia le feste apprestate in quei giorni dal
scritto in
marprov per
italiano
ma-
gio, se
non
quello
svolgersi dell' azione sotto agli occhi degli spettatori, meccanico e senza
prospettiva, che osservammo nelle Rappresentazioni sacre. Delle quali per
esso ha tutte le esteriori parvenze
ma
l'annunciazione, fatta
non
dal solito
Angelo,
da Mercurio,
il
il
ROMA E FIRENZE
AI
257
mozzo!
Pur
Ma
ben so
dirti
In
Moderatamente
vece
il
un campo
idillico,
di
mandria ravviato
gli ha pieno il gozzo
ha stivata l'epa
;
che
Ma
Qui reminiscenze indistinte e schiette frasi petrarchesche si culun ondeggiar lene di poesia popolare. Altrove anche l'elaborazione artistica della materia prettamente classica. La favola d'Orfeo
aveva avuto nell'antichit poeti quali Ovidio e Virgilio, n l'Ambrogini
era uomo da ignorarli o da trascurarli. Se non che mentre di solito nel
Quattrocento l'imitazione dei modelli antichi inceppa il libero fluire del
verso italiano, ed palese il tremolar della mano che li vien ricalcando,
il Poliziano nelle preghiere del trace cantore a Plutone e
a Proserpina imita, anzi traduce Ovidio cos:
lano in
si
serba,
dar Natura.
Or la tenera vite e l'uva acerba
Tagliata avete con la falce dura.
Chi che mieta la sementa in erba
gli
La
ltt. ital.
nel sec.
XV.
17
258
CAPITOLO SETTIMO.
che ad un giudice
di finissimo
ginali.
La
figurazione di un
monia carezzevole
mondo
idillico cosi
dei versi
la stanza
(Epist.
II, 13).
le serenate.
Questi mi
vuole
invano scervellare
Ma
per
quando
la
il
ROMA E FIRENZE
AI
gli
grande era
259
voga
ben
sappiamo,
lo
a trattare senza gualcirle ben altre eleganze, ne trapiant tutta l'elegante freschezza nelle sue bellissime canzoni a ballo. Nelle quali seppe
riprodurre cos felicemente come forse nessun altro, tutti i toni della
ballata popolaresca, e qua velare, pur acuendola, la malizia dello scherzo
di reminiscenze letterarie l'accorato laesprimere l'esultanza della gioia. Chi non rammenta
mento
altrove
Non
del Quattrocento, se
lata del Poliziano
si
sulla
i
fine
della
le mille
can-
Dionei
I'
Ma
Ch
tu sarai l'asinino.
la
L'asinin,
quando non
l'ha:
o quell'altra
quel prete
I'
mi
stil
trovai, fanciulle,
un
bel mattino
V mi
trovai,
fajiciulle.
260
.
CAPITOLO SETTIMO.
Meno bene ilPoliziano riusc nei rispetti. Nella ricca efflorescenza che
ce n'offre la letteratura fiorentina dell'ultimo Quattrocento anzi tutto
appurare quali veramente siano suoi. Non certo agli argomenti
possiamo chieder luce: quelli della poesia amorosa di tutti i tempi e di
difficile
tutti
allo stile
tore.
'1
mi
pei*
esempio, questo:
vedrai
E poi
Ma
'1
tuo pentir
fia
tardo all'ultim'ora.
venti,
aratri,
non sono, a conceder loro alcuna autorit. Come il Poliziano, ne scrissero e Luigi Pulci
e il Magnifico e Baccio Ugolini e Bernardo Giambullari e chi sa quanti
chi sia disposto, com'io in questo caso assolutamente
altri
la
sizioncelle
volte
il
sicuramente dalla penna dell' Ambrogini. Alcuni {continuati) si incatein serie s da formare quasi delle epistole amorose; altri stanno
ciascuno da s; dei quali ultimi un gruppetto porta come il segno dell'autore nel nome dell'amata, madonna Ippolita Lioncina da Prato. In generale una soverchia levigatezza e lindura fa perdere ad essi la candida
nano
mano
dell'erudito.
stilistici,
nome
di
Non che
cui
ricordi letterari
il
Poliziano faccia
nonch
gli
accumuli
immagini e similitudini di fonte classica o snaturi il rispetto con sottili ricercatezze
egli ha troppo buon gusto. Ma chi negher, per esempio,
che troppo fulgore di gemme petrarchesche e dantesche, troppo si in;
sia in
questo
del Pulci;
egli
ROMA E FIRENZE
AI
261
Scendon
a coro a coro.
ma
all'uomo
accosta timido e manso: qual meraviglia? esso simile al suo padrone, che punisce i rei e premia i buoni ecco nell'epigramma il com-
si
plimento
adulatorio. Marsilio
(il
Ficino)
(il
ne scorda:
il
gelo
il
solito precetto
ricantato
su
Ut nitidum
Saepe
laeti
Amor
radiabant sidus
ocelli,
Diana
feris
et probitas,
purpureusque pudor,
(1)
Il
fides,
gigli intrecciati a
di
bianchi
di
letizia,
2(32
Cosi
CAPITOLO SETTIMO.
Poliziano in
dell' Albiera.
Il
annuncia
il
suo destino:
Ne gemo, cum
montura puclla;
dulce est vivere, dulce mori est
decimo
(1).
stici
il
il
salmo-
diare dei preti passa la bella morta composta sulla bara, cinta d'umil
ghirlanda, coi capelli recisi. Ahim, elove son ora i carezzevoli sor-
dove le dolci parole che avrian potuto spezzare il duro ferro; dove
occhi saettanti fiamme sideree; dove, ahim, le labbra emule alle
puniche rose? .
risi,
gli
Non tamen
Aut
Nell'elegia per
vita s'intrecciano
il
il
Albiera, osserva
con
le
fiorentino,
respiravano
guisa
l'
il
cristiano
letterati nella
si
nel
idealizza
giostra
de'
28
di
Nel nome e
coli'
impresa
di
di
Marco
Vespucci, quella stessa sulla cui tomba precoce sarebbe sbocciato, sedonde spesso Amore torn con accese le sue fiaccole. Se distesi e sciolti senz'ordine teneva
i
capelli, pareva Diana terribile alle fiere; se invece raccolti li stringeva in trecce, bionde
com'oro, pareva all'acconciatura Venere Citerea. Sempre, di soppiatto, la facevano bella gli
Amorini e la carezzevole Leggiadria dal tocco delicato e onest e in giovinetto volto modestia canuta e dignit e bont e pudico rossore e immacolata lealt c aspetto giocondo e
costumatezza e decorosa andatura e schietta ingenuit.
non piangere,
(1) Vuota la conocchia della tua Parca, o fanciulla sacrata a Morte
ch dolce il morire quando dolce la vita.
(2) Pure il pallore non aveva alterato le nivee forme n una triste macilenza aveva
occupato il volto gelido. Ma bella vi appariva la Morte e simile ad un placido sonno tale
aria di languidezza si diffondeva su tutto quel viso delicato. Cosi, colti da mano verginale,
;
languiscono
ROMA E FIRENZE
AI
263
il
estremo
all'altro del
mondo
nome
il
del
Tutto dedito agli esercizi della caccia, il bel Julio passava il vago A
di sua verde etate nella pace delle selve e dei prati, libero
dalle cure d'Amore, anzi sprezzando il terribile Dio e rampognando i
tempo
quella vita
immagine
fedele.
Quanto
Ma
propone
di metter a dura
prova il ribelle per vedere s'ei sappia resistere alla sua potenza cui
non furono pari neppure gli dei. primavera. Corre per la terra rinascente al sole un palpito di vita e l'ardito Julio esce di buon mattino a cacciare. La selva presto a remore: i cacciatori si spargono
qua e l ai loro vari intenti; abbaiano i cani; tremano e si rinselvano
le fiere. A Julio, inoltratosi solo dove pi folta la macchia, si offre
una cerva candida tutta, leggiadretta e snella . E un inganno di
Cupido che di leve aere la compose per condurlo nelle sue reti. Infatti poi che il giovane l'ha per lungo tratto inseguita, la cerva scompare ed in un prato verde e fiorito gli si affaccia una bellissima ninfa,
la Simonetta, che, interrogata, rivela a Julio il suo nome e 1' esser
suo e si allontana, mentre il sole tramonta. Ma da quegli occhi Cupido ha
scoccato il dardo fatale e l'indomito cacciatore ha perduto la sua libert.
si
Vedi chi or tu
se', chi
pur dianzi
261
CAPITOLO SETTIMO.
giano,
come intorno
ghirlande
d'acanto, di
fiori, d'uccelli.
gTifeSG
ROMA E FIRENZE
affini
egli
si
265
a quelle di che
suo secolo
AI
latini e volgari,
gloriose
pompe
e'
'1
fieri
ludi
regni crudi
1),
l'indole del suo ingegno e il suo fine senso della convenienza artistica lo traggano invece all'idillio. Il maggior pericolo per
il seguito sarebbe forse stato questo: che il tono e le fogge dell'epopea soverchiassero l'idillio e ne venisse una inestetica sproporzione tra
la forma e l'argomento impari a tanta solennit. Il grande artista
quantunque poi
il
Ma
eroico
ne' suoi
la stanza
pagane che gi
il
Boccaccio nella sua immaginazione aveva visto intrecHa candida la veste, biondi i capelli,
il
viso,
Ninfale Hesolano:
Candida ella, e candida la vesta,
Ma pur di rose e fior dipinta e d'erba
Lo
la
Mensola del
deg"
arSci!
266
CAPITOLO SETTIMO.
Ridegli attorno tutta la foresta,
cure disacerba.
E quanto pu sue
Nell'atto regalmente
E pur
Folgoron
mansueta;
tien
L'aer d'intorno
si
Cupido ascose:
fa tutto ameno,
Ovunque
(I,
43-4;.
munione
di vita colla
successive
stile,
E poco
avanti a
lei
Superbia basta:
Amor
confini dell'umano.
La qual
citazione
Sante
si
^^
luogo
l'erudito
scompare
fra
tanta erudizione
suo principal nutrimento, che pensa e sente come i suoi modelli, che
non sa n vuole rinunciare alle forme da essi create, le pi belle, lo
ROMA E FIRENZE
2G7
AI
pi acconce ad esprimere le sue idee e i suoi sentimenti. Quelle immagini e quelle frasi spigolate con lavoro divenuto incosciente nei
Roma
che nessun altro poema in s breve giro di ottave dispiega tanta variet di suoni e di toni quanta la Giostra: corroborata di gravit epica
o rilassata
dell'idillio;
popolare
rispetto
di
la'
squisita delicatezza
stile di
solito
ciolo
turbato opportunamente
il
Fu
e del moderno
,
ma
il
Poliziano
,
compose un
...
di fiori;
Cos
in
atto
anche
se
non
(I,
47).
vi rimane dinanzi
Primavera del Botti-
mente
l'allegorica
chi
Venere Anadiomne
scolpita sulle porte del palazzo della dea pare una poetica riduzione
di un quadro famoso del medesimo artista. Col quale il Poliziano ha
comuni l'amore dei verdi paesaggi, l'aerea chiarezza dei colori e la
ravvisa in questa
il
il
reale.
Oh come
n poeta
Il
a patto che si pensi ad uno di quei magnifici mosaici della Rinascenza che dissimulano la granulosit della
loro composizione e sembrano lavorati a pennello. Di fatto la poesia
polizianesca tiene non di rado della pittura. Guardate come ritratta
la Simonetta al momento in cui si avvede della presenza di Julio asmirabile mosaico. Vero;
pittore,
2G8
CAPTOLO settimo.
ma non
25).
scelta delle rime, nella scelta e nella collocazione delle parole, tutta
nportnnza
la
Bt
Gio/ra
tutto
personaggi
del Poliziano mancano
1
,
alle
sue
esteriore,
umana
Frugare
nei se
di vita intima.
dalle ansie
8Te ^ ^el cuore e dalle lotte
trarre tesori di poesia, non opera che
che
dai dolori
affaccia
si
al
lo agitano
ingegno
suo
era forse
all'arte.
il
Giulio
avvenente garzone
alle
Muse
(I,
11),
esperto negli
all'idea
estetica
sommette l'idea
morale.
Colla Giostra il Poliziano diede alla poesia volgare del Rinascimento
fusione di elementi classici e moderni in croformula dell'arte
lo stile e in parte anche la lingua. Insieme con Lorenzo
giolo classico
confer infatti a rafforzare il primato del fiorentino tra i dialetti d'I-
la
talia
ed a sancire nuovamente
desinenze verbali
fico
La cronoio8
stanze.
n alcuni
idiotismi
assai pi se
valgono ad alterare
il
gnit e correttezza.
Non si sa precisamente quando
TAmbrogini componesse
le
Stanze.
mano
a seguitare
l'opera incominciata,
a vendicare
la storia
l'eroe,
della
scri-
congiura
ROMA E FIRENZE
269
DEL MAGNIFICO.
AI TEMPI
Quanta tristezza in casa i Medici in quel fatale anno della conDoloravano i cuori per il lutto recente; a Firenze infieriva la
dura!
o
,.
"..in
,
mora; da Roma e da Napoli veniva terribile la minaccia delia prossima, guerra. Io mi sto , scriveva da Cafaggiolo il Poliziano a madonna Lucrezia in una grigia giornata del dicembre, io mi sto in
casa al fuoco in zoccoli ed in palandrano, che vi parrei la malinconia
se Voi mi vedessi, ma forse mi paio io in ogni modo; e non fo n
veggo n sento cosa che mi diletti, in modo mi sono accorato questi
nostri casi e dormendo e vegghiando, sempre ho nel capo questa al-
casa,
Medici.
primogenito di Lorenzo. Del ragazzo, ch'era allora sui sette anni, egli aveva grandissima cura; si compiaceva infinitamente di segnalarne al padre i progressi e faceva gli scrivesse
sar pi tardi
delle letterine che sono un amore. A Giovanni
del 1479
fatto
nell'aprile
compitare;
che
insegnasse
a
pare
Leone
il bravo pedagogo ebbe a stizzirsi perch madonna Clarice aveva allontanato da lui e mandato quel bambino a recitar salmi. Simili dispareri circa l'educazione di Piero recarono ben presto i dissapori a
istitutore di Piero,
il
tal punto che il Poliziano fin coll'essere cacciato di casa dalla padrona.
Lorenzo si interpose, procur di conciliare la sua crucciosa consorte
col maestro e la preg di riaccoglierlo in casa se non per amore
suo, almeno per mio e per il frutto che Pierino traeva da quell'insegnamento. Ma il Poliziano non deve poi esservi dimorato a lungo, perch
l'anno dopo (1 480) ottenuta la cattedra di eloquenza greca e latina nello
Studio, sar andato ad abitar la sua casa in via de' Fossi, presso alla
Non
4477
prior secolare.
non perdettero
FAmbrogini
e Lorenzo n Poliziano
com' erano dal dTTeneficl
reciproco affetto e dalla vicendevole stima. Quello e questa attenuavano nell'uno la colpa dell'adulazione e facevano pi pronta a donare
la mano dell' altro. Anche il Poliziano
da buon umanista , par non
sentisse l'onta del chiedere e non restava dal sollecitare e benefici
,
e pievanie,
cui
la
Ne ebbe
sua
condizione di ecclesiastico
gli
permetteva
di
forastieri
infatti in
e italiani.
Mattia
Corvino
si
offriva
pronto
(1486-87) a
e di doni
270
coi
CAPITOLO SETTIMO.
carmi
le costruzioni
le
pitture, la biblioteca,
le
quali quel re
signori.
il
dugento
un breve
di
dopo e
amplissime lodi e
fiorini d'oro.
parergli lontani
tempi, in cui
vinetto cencioso e
diti
Poliziano
lettore nello
Studio
(1480-94)
prolusioni,
affinato
una prolusione
latina, s'intende,
importante non cos per la critica dei due autori, come per le dottrine
ch'ei vi professa: convenire ai giovani lo studio delle opere di et
decadenti, perch ne riesce loro meno ardua l'imitazione; errar gravemente chi si proponga un unico modello e non raccolga il buono e
l'opportuno dovunque, in ogni periodo letterario. In tal guisa l'erudito
suggeriva norme all'artista e formulava i principi che egli stesso, artista, attuava. Di solito in codeste prolusioni il Poliziano tesse dapprima
l'elogio e a larghi tratti la storia del genere cui l'opera da interpretarsi appartiene: indi rapidamente discorrela vita e gli scritti dell'autore di essa. Cos nella prelezione test rammentata; cos in quella su
Persio; cos in quella su Svetonio. Per la
meri
Or atto
in expositionem
Ho-
Allora,
forse per la prima volta, stava per risonare nella sua scuola la voce
il
maestro
si
figli
il
vecchio
delle
ROMA E FIRENZE
Nel 1485
la
AI
271
Le
....
Formoso
comes
it
purpurat alto
Perque humeros
(I).
in versi,
272
CAPITOLO SETTIMO.
Nel Rusticus
appena parola
di
Virgilio e di Esiodo,
gli
ad
ascoltatori
ma
osserva
il
pro-
il
movendo dai mitici vati di Grecia sino ai tardi versegdecadenza romana. L'Alighieri, il Petrarca il Boccaccio
ricorda solo di passata,, quantunque non senza affetto, e finisce tessendo
le lodi del suo Lorenzo ed enumerandone con grande finezza e precisione di tocchi le poetiche scritture. Qui verso la chiusa il componimento si riscalda, si avviva, si illumina; nel resto i Nutricia sono
piuttosto opera di elegante erudizione che di poesia.
Nel 1488, sappiamo, torn a Firenze Giovanni Pico reduce dalla
prigiona di Vincennes, ed il Poliziano, entrato allora in intima dimestichezza con lui, ne ebbe conforti a riprendere con pi alacrit gli
studi filosofici, che da giovine aveva coltivati distrattamente. Cos nell'anno scolastico 1490-91 fece argomento del suo corso i Morali di
i
poeti antichi,
giatori delia
gari. Fra i tre anni successivi, che furono gli ultimi del suo insegnamento e della sua vita, ripart l'interpretazione delle opere che costituiscono l'Organon dello Stagi rita, non che degli scritti di Porfirio e
di Gilberto de la Porre sulle Categorie. La Dialectica, con cui preluse nel 1493 al corso sugli Analytica posteriora e sui Topica, un
di quelle opere.
Assai pi vi-
di
filosofo.
Ed
istrada
sendo l'elogio della filosofa con una scioltezza o con un garbo indicibili e
cio
professando di essere non filosofo, ma interprete di un filosofo
come a grammaticus o
ufficio che ben gli conveniva
di Aristotile
literatus ch'egli era. Noi lo diciamo filologo, e per questo titolo gli as,
segniamo nella storia della scienza un posto non meno cospicuo di quello
ch'egli ha nella storia dell'arte.
Qual fosse il metodo e quale il valor del filologo appare nei Miscellanea, che il Poliziano mise a stampa nel 1489 per esortazione di
Lorenzo. Sono osservazioni o dissertazioncelle spicciolate di varia naadunca il rostro, il breve rostro; schizzano gli occhi fiamme rossastre,
capo dispiega i larghi candidi orecchi;, le gambe sporgono rigidamente irte
articolate appena pi in su della zampa; il duro sprone stampa dell' artiglio la
ali irto di penne battono protese lo spazio e la coda falcata innalza al cielo la
fieramente;
di peli e
il
rena; le
doppia arricciatura dell'apice aguzzo.
ROMA E FIRENZE
tura e di vario argomento,
fra tutte. Se la
avrebbe
morte non
il
AI
273
fiore delle
glielo avesse
cento
nelle edizioni dei classici e inveterati per lunga tradizione o per auto-
propone interpretazioni di passi oscuri, tratta quead es. sull'uso dei dittonghi (43);
dichiara costumanze e istituzioni romane, come quella dei giochi secorit d'altri filologi,
lari
(58).
a singole
antichi manoscritti
dei quali
confrontando
le loro attestazioni
come
capolino nel
racconto
di
certe
antiche fa-
o di quell'altra di
pienamente
ma anche
se
si
affatichi a
non un giureconsulto.
Appena pubblicati,
Miscellanea levarono grande romore e furono
letti avidamente da ogni studioso. La schiera gi numerosa degli amici
egli
Scala,
fa
lies
io
non
Rossi.
La
leti.
ital.
nel sec.
XV.
18
D;spute
filologiche,
274
CAPITOLO SETTIMO.
il
ci oli ni a u a.
Lo
stile del
$ e non
questione del metodo nello studio degli antichi pobuona causa gi prpugnata dal Valla. Un'altra questione pi direttamente pratica era intanto sorta: la questione dello stile latino. Nel foggiare il suo il Poliziano
fpma^coa teva
i\ cortese,
tlipsi
clie la
non
si attiene a nessuno scrittore esclusivamente, ma da tutti, a qualunque secolo appartengano, trae ci che gli riesce acconcio e che gli
piace. Ha poi una speciale predilezione per le voci arcaiche o rare, per
certe strane composizioni di parole cne inventa egli stesso, per quelli
i suoi censori (giusti censori, stavolta) chiamavano portento,
insomma che
oerbomm,
tificioso e
seconda
il
il
Onde il suo stile ha qualche cosa di arinsieme una mirabile pieghevolezza con cui
variare dei soggetti, serbando dovunque il candore e quasi
mostri di parole.
di affettato,
pudore della
Per
latinit
ma
.
np.
il
a a
'
b.
una certa
superficiale eleganza,
metodo e sullo stile ebbe, almeno neluna polemica tra il Poliziano e Bartolommeo
Scala. Cominciata verso la fine del 1493, essa si mantenne per alcun
tempo affettatamente cortese, quantunque il pi giovane dei litiganti la
Da
ROMA E FIRENZE
sivi,
AI
275
altezzoso ch'egli
la pazienza
esce in aggressioni
aperte e
violente* e volgendo a dileggio il nomignolo dato dal Ficino al Poliziano, lo chiama Hercules facicius per ci che si crei dei mostri da
debellare. Il Poliziano di rimando gli rinfaccia la sua superba maldicenza contro tutti e contro tutto, gli nega qualunque merito e lo deride perch nato fra la polvere d'un mulino, dicendolo monstrum furfuraceum. Gli che vecchi rancori personali covavano nel cuore di
entrambi: lo Scala non poteva perdonare all'mbrogini i giambi roventi Hunc quem videtis ire fastoso gradu , n che egli avesse in
addietro rivedute e rifatte per incarico del Magnifico le sue lettere
al Poliziano coeeva sempre il matrimonio di Alessandra, figlia
d'ufficio
di messer Bartolommeo, con Michele Marullo Tarcaniota.
Fanciulla d'immacolata belt, adorna di gentilezze non artificiate ma naturali, dotta di greco e di latino, eccellente nella danza
e nel toccar la lira , l'Alessandra aveva fatto spasimare il non pi
giovine Poliziano, del quale son queste lodi, tradotte da un suo greco
epigramma. Nell'idioma d'Atene, cui l'avevano ammaestrata Gio vanni Lascaris ed il Caicondila, ella era s esperta, che recitava con grazia squisita le tragedie di Sofocle nell'originale, e in greco rispose alle insistenze del suo amatore. Rispose respingendolo e spos invece il Marullo, un greco nativo forse di Costantinopoli, soldato e insieme poeta
;
latino
Alessandra
Scala
"
non ispregevole.
Nei suoi versi d'amore il Marullo canta una Neera, la Scala prbabilmente, ed in alcuni tra essi disposa il tono soavemente voluttuoso
degli endecasillabi catulliani al caldo epicureismo della lirica fiorentina dell'ultimo Quattrocento. Melanconia profonda e sincera spirano le
poesie in cui piange perduta la patria e
bellamente associando alla
,
il
fratello;
n mancano in
altre li-
riche di lui spiccate reminiscenze dei nostri poeti volgari, perfino dei
burleschi. Negli Inni naturali personific nelle divinit mitologiche le
il
e ii*Maruuo
276
La polemica
ci
Manlio.
CAPITOLO SETTIMO.
Fra l e inimicizie che dalla pubblicazione dei Miscellanea derivarono al p lizia,10 ftl quella di Giorgio Menila, l'umanista alessandrino
che fin dal 1483 s'era acconciato presso Lodovico il Moro. Parve al
Menila che il letterato mediceo lo avesse combattuto senza nominarlo
e si fosse fatto bello delle sue interpretazioni, onde fino dal 1490
cominci a sparlare del Poliziano nei crocchi milanesi e a minacciar la
pubblicazione di un'invettiva. Se non che l'autorevole intromissione
del Moro, di cui l'Ambrogini procurava di accaparrarsi lo grazie e che
poco dopo (1492) ebbe a sollecitargli da Alessandro VI l'ufficio di bi>
per
il
si
momento
gli sdegni.
La questione
due umanisti fra loro e collo Sforza. Il fioMerula mettesse fuori le sue censure l'altro
rispondeva con qualche trafittura nascosta tra i complimenti e con molta,
iattanza minacciava Usciranno in pubblico ed a battaglia, meditate,,
le nostre centurie e chi ne sosterr la forza e l'impeto? Tutti volteranno le spalle e se la daranno a gambe . Ma scrivendo al Moro
era ancor pi aggressivo; censurava la superbia del suo avversario e
il
il
mutuo
di
certo triumvi-
si arrogava
il
primato nelle discipline letterarie. Ebbe contezza di codeste censuro
scrisse al Merula una lettera rimbeccandolo e riil poeta toscano e
prendendolo di una lunga serie d'errori racimolati nel suo commento alle
perchesatire di Giovenale. Il Merula non vide per questa lettera
prima che essa fosse divulgata. La
mori ai 19 di marzo del 1494
sua invettiva contro i Miscellanea fu soppressa per ordine del Moro,,
sebbene il Poliziano insistesse, con dubbia sincerit, affinch fosse posta in luce, come timoroso ch'egli era non gli invidi attribuissero a lui
rato
forse
Poliziano
il
il
Pico e
il
Ficino
che
l'annullamento
Fu questa
di
quella scrittura.
medesima scuola
oppugnatori insieme poc'anzi della scuola calderiniana, venissero a disputa tra loro: segno dei tempi, in cui, tolti quasi di mezzo'
la discordia entrava nel campo di Agramante.
dissidi sul metodo
i
vivace, si mantenne sempre entro ai confini,
quantunque
polemica,
La
n usc dal campo strettamente letdella
moderazione,
dignit
e
della
critica,
n carattere
roifzfano.
gi
l'ho notato
ma come
si
compiaceva e
si
pavoneggiava
delle
lodi
delle adulazioni
;
ROMA E FIRENZE
in
AI TEMPI
277
DEL MAGNIFICO.
le dedic a
neppur
le
fendersi e di annientare
perch
lo cogliesse la morte, e
che dalla raccolta non escluse
gli
porgevano
il
destro di di-
la vana boria di tanti altri umanisti, non potr giudicare troppo severamente di tali debolezze. Nel sentire altamente di s il Poliziano
in fine non si illudeva, egli creatore del nuovo stile nella poesia italiana del Rinascimento, egli maestro efficace e operoso negli studi filologici sugli scrittori di Grecia e di Roma, egli rinnovatore della scioltezza e della
Quel che fa
sua fama
il
il
Poliziano degli
altri
eruditi e dei pi
tra
Singolarmente
poeti
latini
Erudlli e
Jf"^
profittevoli
278
CAPITOLO SETTIMO.
distici
latini
il
poeta fu
storica,
in
v?r!ao
si
^1538-1516)
testi-
cui
modi che nella lingua stessa dei classici sonassero non meno poetici
tuttavia gli si deve riconoscere il merito di aver audacemente tentato
non solo di dar bando alla mitologia, ma di accogliere ne' suoi versi
latini argomenti e forme della poesia volgare. Gi il Landino avea fiorito i suoi carmi di qualche reminiscenza della Commedia e s'era per;
L'efficacia del
come
nella
reggia
divina
ove
est telluris
imago.
introdotto
Laura
nella
sua
allegorica visione.
Il
da Cosimo
filosofi,
come
gli
al
sfilano
cantore
ROMA E FIRENZE
care
a'
AI
il
279
Verino gett
stampo classico
nello
le scienze
la
si
preparavano
agli
Paolo Dai
avanzamenti tomIXh.
futuri.
mentre calcava
stellato .
Da Firenze
ai
25
di
Indie,
Agli 8 d'aprile del 1492 mor Lorenzo il Magnifico con grande La morte di
Lo e Z0
ed acerbo dolore di tutta la citt nostra , scrive un contemporaneo,
a3
p
zi
e
non sanza cagione, ch senza dubbio abbiamo perduto lo splendore
|e po
di tutta Italia non che Toscana
e alla giornata pi si conoscer il
danno che ora in tutto non si pu stimare; ma '1 tempo il far noto .
Fu uno sbigottimento; si parl di miracolose apparizioni che avessero
accompagnato quella morte; si ravvalorarono i tristi presentimenti di
straordinarie mutazioni, che gi da un pezzo germogliavano in tutti i
cuori e li spingevano verso il soprannaturale. Pareva che l'umano consorzio si rifugiasse nel momento del pericolo in Dio, da cui s'era per
lo addietro troppo allontanato. Dal pergamo di S. Maria de] Fiore
Girolamo Savonarola commoveva il popolo colla minaccia di prossimi
flagelli ed eccitava ardori di fede e di penitenza colla sua parola convinta persuasiva, fantastica. Nel 1494 morivano Angelo Poliziano e
Giovanni Pico; quegli il 24 settembre,- questi il d stesso (17 novembre) che Carlo Vili entrava a Firenze: piamente entrambi, chiedendo
di essere sepolti in S. Marco in veste di frati domenicani. Singolare,
osserva il Villari, che al pari di Lorenzo tutti costoro si rivolgessero
ora a quel convento onde era partito il primo grido di libert, il primo
segno di guerra contro la tirannide dei Medici .
Vero che neppure durante i giorni gaudiosi era mai venuto meno La religione
n
a
nelle brigate che si accoglievano intorno a Lorenzo, l'abitudine degli Medic?a.
'
gi detto.
Il
Lorenzo abbiamo
Poliziano, che tra' seguaci del frate ebbe poi voce di ateo,
Paolo e
si
280
CAPITOLO SETTIMO.
Tanto
inquinasse
i
In
neo-piato-
Savonarola.
a^a
i
tali
costumi,
il
seguaci pi caldi
di
Sommo Bene
il
desiderio di confon-
di
dotte
meditazioni
erano nel frate sentimenti spontanei. Il concetto dell'amore che vedemmo aver tanta parte nella filosofa dei neo-platonici, era un punto
fondamentale della sua dottrina. Il Ficino fu grande ammiratore del
Savonarola e lo diceva mandato da Dio a profetare le imminenti rovine ma vilmente ne abbandon la causa al momento supremo difendendosi, in una vergognosa invettiva contro Ypoerzta d Ferrara, dalla
colpa di averlo seguito. Pi avventurato, se la morte lo avesse salvato in tempo da tanta infamia ed egli non fosse sopra vissuto ancora
un anno (mori nel 1499) alla fine eroica del frate.
Frequentava il convento di S. Marco anche Giovanni di Francesco Nesi, che, nato nel 1456, fu del Ficino amico e discepolo devoto.
Documento dell'erudizione platonica del Nesi ci rimane un lungo poema
;
Nesi
salire di cielo
in
sistema fciniano
trina platonica
il
ROMA E FIRENZE
281
AI
metriche, non senza lasciar travedere una certa familiarit dello scritun
stile. Nel 1496 il Nesi scrisse in latino
Oraculwn de novo
opuscolo,
che
seculo, albeggiante
il
poema
nella forma,
Lorenzo
le selve
d'Ar-
cadia in alcune delle sue otto egloghe dedicate a Giulio Cesare da Varano signor di Camerino e stampate nel 1481; tenzon con Lorenzo
in sonetti e pianse in altri sonetti la morte della Simonetta amata da
Giuliano. Educato dal Ficino ad un culto ardente dell'ideale neo-pla-
come l'amore
pi
non
fidi
seguaci del
frate. Detest
proprio passato
il
poco manc
un
volgerle a significato
di
reli-
gioso mediante
prolisso
nell'indeterminatezza del
sentimento
delle
Nulla
di
pi facile
forinole
dunque che
il
e ne' suoi
dar a credere
che
brulicavano
una continua
ed erano gi in origine
riflessi
il
poeta
Dopo
il
Benivieni fu
il
terreni.
avesse
anche vero.
Marco si studiava
riformare i costumi senza scontentare del tutto la vaghezza di spassi
che ancora ferveva negli animi. Fu scritta dal Benivieni la canzone
che i giovinetti, processionanti in bianca veste, coronati di uliva
e con crocette rosse in mano , cantarono sulla piazza dei Signori la
domenica delle Palme del 1496; era del Benivieni la lauda che accompagn il barbaro crepitar della fiamma il d di Carnevale del 97, quando
si bruciarono le vanit. Queste e le altre liriche sacre di lui spirano
ufficiale delle pie solennit colle quali
di
il
prior di S.
Girolamo
Benivieni
(1453-1542;.
282
CAPITOLO SETTIMO.
un vivo fervore
di piet,
il
quale talora
si
Per esempio,
dell'impazzire per amore di Ges e a chi
il
la voglia
gustare
consiglia
questa ricetta:
To'
once almen
speme,
d'amore,
Due di pianto e poni insieme
Tutto al foco del timore ;
tre
Tre
di
di lede e sei
temperate e
Savona-
rola e ia
nuova
coltura,
pi- semplici
sono
j-
Savonarola.
le laudi del
Gio vi-
travagli
uomo maturo,
ideale,
di piet,
l'arte
il
Savonarola e
il
vero
alla religione,
ma
solo di
I,
526) e che poco essa giovasse all' uomo ancorch di
gravi ed oneste (Benivieni, Commento, P. I, proemio)?
lari,
fiorire della
Rinascenza,
Ed
il
frate di S.
cose
Marco
cooper a salvare dalla dispersione la biblioteca medicea, facendola acquistare dal suo
convento; ebbe cari artisti, come Bartolommeo della Porta, i Della Robdella cultura.
infatti
e, pentito, il Botticelli, e non si stanco di esortare i padri a non risparmiare spese e fatiche per istruire i loro figliuoli. Non pens mai di
dover condannare la poesia, s l'abuso che alcuni ne facevano, l'immoralit e il paganesimo in essa trionfanti, infine l'adorazione esclusiva della
forma. Ammetteva perfino che alcuni scrittori dell'antichit pagana che
non lodarono gli idoli e si mantennero immuni da turpitudini, potessero
essere studiati, ma, aggiungeva come il Dominici, solo in et matura
dopo una sana e forte educazione religiosa . Se non che il fiammeggiare dell'ideale religioso occulta dinanzi all'occhio della sua mente
bia
bagliori dell'arte e della poesia; per quell'ideale che domina e governa ogni sua azione, non rinnega, ma trascura queste manifestazioni
dell'umana attivit. La sua posizione di fronte ad esse perfettamente
identica a quella di Lorenzo il Magnifico, del Poliziano, di Pomponio
Leto e di cent'altri dinanzi alla religione. Dire il Savonarola nemico
della cultura intellettuale tanto inesatto quanto dir atei costoro. Essi
scrissero e talvolta operarono come se il cristianesimo non fosse la
religione loro e dei loro avi; il Savonarola scrisse ed oper come
se da pi secoli gli ideali mondani non fossero venuti grado grado
i
ROMA E FIRENZE
contendendo
non
il
AI
all'ideale ultraterreno e di
283
nuova
credendo
che alla
fine del secolo XV la fede potesse riacquistar quella forza che aveva
avuto nel medio evo, e della sua generosa illusione pag il fio colla
vita, non appena la causa della fede fu separata da quella della libert.
nell'avvenire faville provocatrici di interne
Il rogo del 98 lanci
discordie e di esterni pericoli inevitati; ma non richiam in citt la
geniale gaiezza che aveva pur dianzi allietata Firenze. Dileguatasi d'un
subito alla morte di Lorenzo de' Medici e col trionfare della democraluce
brillasse la
classica
antichit. Si
illuse
il
conico presentimento.
CAPITOLO OTTAVO
L'epopea carolingia in
Romanzi in prosa e poemi carolingi
toscani. La recitazione dei cantastorie. Caratteri esterni ed interni delle narrazioni carolingie
Reali di Francia. Decadenza della letteratura carolingia toscana.
Morgante
Luigi Pulci.
Ciriffo Calvaneo. Le narrazioni
brettoni
Matteo Maria Boiardo eie sue opere minori. V Orlando Innamorato.
Mambriano del Cieco da Ferrara.
Leggende
Italia.
poemi su
Cenno
Attila.
italiane.
11
di
Il
in Italia.
Il
Lo
n
ni
?piJhe
il
anese
>
bens le
manc
quella spontanea e
n a noi importa ora indagar le ragioni
concorde attivit degli spiriti per cui tutto un popolo moltiplica e svolge"
con lavoro incessante le leggende spicciolate e ne crea un tutto omogeneo, specchio del suo carattere, una vera epopea nazionale ispiratrice d'una ricca produzione poetica. Delle fantasiose narrazioni di al-
fatti
dell'et
Attua!"
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
285
famia perpetuale li malvagi uomini d'Italia che commendano lo volgare altrui e lo proprio dispregiano . Quella prosa diede (1355-58)
la materia di un lungo poema su Attila in lingua d'oli non troppo
schietta al bolognese Niccol di Giovanni da Casola, cortigiano degli
Este, epperci di tradizioni e adulazioni estensi innestatore nella leggenda
e tradotta nel Quattrocento in un italiano venezianeggiante, fu messa
a proftto nel secolo seguente da un rozzo verseggiatore , tal Rocco
degli Ariminesi padovano, che in ottave narr la nascita portentosa
del crudelissimo re unno, gli assedi delle citt venete, gli eroismi
di Giano re di Padova, ed infine la favolosa uccisione del flagello di
Dio entro alle mura di Ri mini. Ma codeste leggende rimasero vive per
lo pi solo nei luoghi ov'erano sorte o nelle famiglie che se ne vantavano gloriose, e si spensero o si vanno spegnendo in vaghe tradizioni,
senza aver dato nascimento ad un'epopea.
In Italia dove il sentimento della romanit perdur sempre e si ravvalor al sorgere dei Comuni anche le leggende classiche avevano
5
Materi
classica,
Trecento
Il
un
dei quali
ali
della
un anonimo l'ebbe messo in istanzeNumerose sono in quel secolo anche le narrazioni in prosa e in rima
della guerra di Troia e dei fatti di Cesare, e provengono non tanto
da fonti classiche quanto dal Roman de Troie di Benedetto di Saintee dai Fati des Romains. Cosi Enea, Ettore, Cesare e con essi
Alessandro, di cui prima un anonimo, in prosa, e poi, a mezzo il Trecento, Domenico Scolari, in orribili ottave, esposero la storia leggendaria, divennero familiari agli italiani anche indtti, e in quel trasfguramento medievale cui l'ingenua arte dei nuovi poeti li aveva as-
More
soggettati
novamente
sulle loro
diffusa
materia classica non ebbe mai una vita poetica propriamente italiana;
fra noi avviamenti e svolgimenti diversi da quelli con cui
era giunta dall'antichit o d'Oltralpe. Essa era in fine l'epopea d'un
non ebbe
ci
meno
Forse anzi
il sopravvenire di opere nelle quali quella materia aveva gi ricevuto una poe-
rirsi
la coscienza.
tica elaborazione
il
ed imped
il
dissimile dall'attuale
versale
il
agevolmente acclimatare
mondo
alla
nuova
ch'essa rappresentava;
accetti
Magno
suoi
sede.
Non
all'uni-
era risorto
il
carolingia
Italia '
286
CAPITOLO OTTAVO.
eroi della fede nella lotta contro gli infedeli; la loro nazionalit francese dispariva nella loro cristianit. E l'Italia, che non aveva ancora
cupare
il
nome
torno
di
Napoli
Rinaldi
chiamano
cosi
a s gran
calca di gente
colla lettura o
cantastorie
raccolgono in-
colla
recitazione
di
lando, di Rinaldo.
Non
del nostro assunto dire paratamente, come l'epopea carolinpropagasse in Italia e mettesse salde radici nella Marca trivigiana, anzi in tutto il paese ch'Adige e Po riga. Col i racconti ebbero
alimento di nuove invenzioni e si piegarono a nuovi atteggiamenti e
gia
si
materia letteraria che le giungesse di fuori. Il romanzo cavalleresco, portatovi dai giullari veneti e francesi, vi attecch, e gi nei
lire la
primi decenni del secolo XIV, forse anzi negli ultimi del XIII, cominci a produrre col nuovi frutti. Non per via di graduali alterazioni,
ma per opera cosciente di scrittori popolareschi e degli stessi cantastorie esso baratt la sua veste linguistica col bell'idioma della
monotone
serie diversi ad
una
sola
nuova
rima sot-
287
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
prosperarono l'ima accanto
all'altra,
le loro
ma
romXln
prosa
'
poema toscano che da quel medesimo eroe prende nome ed argomento e che, composto pur nel secolo XIV, ma alcuni decenni dopo la
prosa, in gran parte rifacimento fedele d'un'altra canzone nata in
territorio veneto. Cos il Rinaldo da Montalbano in ottave, quantunque
probabilmente posteriore alle Storie di Rinaldo in prosa, non se ne
giova e, come esse, attinge a fonti transpadane. La Spagna in rima
che narra la spedizione intrapresa da Carlo Magno per
(sec. XIV)
conquistare il regno di Spagna e la rotta di Roncisvalle, si attiene
alla franco-veneta Entre de Spagne e poi ad una rielaborazione italiana, ma in lingua d'oil della Chanson de Roland. La Spagna in
prosa, di cui una redazione poco variata il cosiddetto Viaggio di
Carlo Magno per conquistare il cammino di S. Giacomo, sfrutta la
sul
stessa Entre,
porti molto
il
ma
dissimili tra
intercedono rap-
su
Uggeri e
dell'eroe danese.
Per contro, un Gherardo che mise nuovamente in otmet del secolo XV, la leggenda di Buovo d'Antona,
Reali
secolo
XIV
XV con
e prose
si
moltiplicarono nel
ch molto inventarono i romanzatoli stessi di lor proprio capo, modificando, componendo insieme,
svolgendo vecchi motivi. La guerra italiana di Carlo contro Agolante
ed Almonte, re mori, fu narrata nella duplice redazione dell' Aspramonte; le gesta di Guidon Selvaggio e di Ancroia in un poema che
si intitola dalla forte regina saracena; un rimatore novell di Fierabraccia e d'Ulivieri; un altro della spedizione di Altobello e di re
Troiano contro Carlo Magno s'ebbero, in prosa, la Seconda Spagna,
che tratta delle guerre di Ansuigi e di Carlo contro re Marsilio dopo
Roncisvalle, Y'Acquisto di Ponente, la Storia di Rinaldino da Montalbano figlio di Rinaldo e va dicendo.
La recitazione d'un intero poema occupava parecchie ore in pi Lk
giorni consecutivi, nei quali lo stesso pubblico tornava paziente a far
c
corona al canterino, non di rado autore lui stesso della narrazione. I
poemi sono divisi in cantari di lunghezza varia nei vari componimenti,
ma di solito uniforme in ciascheduno. Ogni cantre comincia con una
dizionale e quali di materia fantastica
reoita
d
0 ^j
288
CAPITOLO OTTAVO.
non sempre
richiama
buona gente,
silenziosi;
ai
ai
liuti
nelle quali
medesimo a
il
Dio,
cantambanco
memoria; talvolta
leggeva, il che deve esser avvenuto specialmente quando narrava in
prosa. Fatta con una certa monotona cadenza, la recitazione era accompagnata, come gi in Francia, dal suono della viola, e l'archetto
dice un trecentista
serviva spesso ai cantambanchi a fare i gran
colpi . Perocch nei passi pi ricchi di movimento e di passione
il
gesto del dicitore doveva farsi animato e violento e la sua voce prenascoltatori riposo, al
costui diceva a
di esse. Lessi poi que' suoi versi. Dio! Che rozzezza! Non li
riconoscevo pi .
^ sen ti m ento nazionale che in Francia aveva ispirato l'epopea non
poteva darle vital nutrimento in Italia. Qui acquist speciale rilievo
l'aspetto religioso delle narrazioni: le guerre di Spagna sono le pre-
zione
caratteri
_estern^ed
narrazioni
caro mgie.
jj| e
^e
nome
si
cristiano sono
nemici
rest inoperoso; cre, fra altre, la leggenda della nascita italiana d'Orlando e consertandosi al sentimento religioso fece di lui, nei racconti
di Roncisvalle
un paladino inviato dal papa a difendere insieme co*
suoi compagni la fede. Ma a dar favore alla letteratura cavalleresca
del merainsita nel popolo
confer forse pi che tutto la vaghezza
,
romanzesco
onde
cantastorie andarono
nuzia
di
le
strepitose battaglie e
terribili colpi e
non
fecero scrupolo
Francia
le
chansons de geste
avevano
Anche
in
loro primitiva austerit accogliendo le favole del ciclo arturiano. Inoltre era ben naturale che chi tanto gustava nei sacri
satiriche
drammi
le
scene
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
da un sorriso
il
solevano provvedere
ci
ma
269
i
ferma, prima
si
nel
come
di fuggire,
Rinaldo
quella in
a darla
baia a Carlo Magno, che egli ha per forza di magia sepolto nel sonno.
Povero imperatore! In Italia egli divenne un personaggio disag-
piaceva di vedere umiliato il potente e ascoltava pi volentieri i racconti di guerre interne parteggiando per i ribelli. Tutte le sue simpatie
il
un
po'
manesco.
Il
posto cospicuo
anzi principale, assegnato a Rinaldo delle notevoli innovazioni introdotte dall' Italia nella leggenda carolingia.
Muove
di l,
cui appartengono
mala fama
della casa di
Maganza,
malvagit delle
Italiani, svolgendo e
la loro
Gli
Rossi.
La
leti.
ital.
nel sec.
XV
19
Fral
290
CAPITOLO OTTAVO.
sue milizie;
di
Fiovo succede a Gostantino nell'impero e sul trono di Franil suo figliuolo Fiorello. Fra tanto rumor d'armi
spunta
e tragicamente finisce l'amore di Fegra Albana per Riccieri. Fioravante,
figliuolo di Fiorello
avendo offeso il suo maestro Salardo ha bando
da tutta la Cristianit e mentre combatte contro Balante, re di Balda,
e fatto prigione insieme col suo fido Riccieri. Ma Dusolina, figlia di
Balante, invaghitasi di Fioravante, li libera ed essi tornano a Parigi
coH'esercito di re Fiorello, che per l'appunto aveva stretto Balda d'assedio. Dopo fieri contrasti ed altre avventure Fioravante, divenuto re
di Francia per la morte elei padre, sposa la sua liberatrice, Dusolina.
Poco dopo, questa, accusata di adulterio, abbandonata in un deserto
co' suoi due bambini, un dei quali le rapito da un ladrone, l'altro da un
leone. Il leone S. Marco, che si prende cura della madre e del bambino e li conduce a Scandia terra di re Balante. Molti anni dopo
Fioravante per rivelazione del leone riconosce i suoi figliuoli in Gisberto
fier visaggio, un giovine che viveva ignaro de' suoi natali a Parigi, e
in Ottaviano del Leone, venuto con Balante ad assediare quella citt.
Gisberto ereder ben presto la corona di Francia, Ottaviano il reame
di Balda. Morto Ottaviano, Bovetto, suo figlio, fa mostra del suo valore nelle guerre d'Italia e d'Inghilterra, si innamora di Feliciana figlia
del re di Frigia Adramans e fugge con lei , onde muore per mano
del re stesso. Intanto sul trono di Francia a Gisberto era succeduto
Michele e a questo il re Agnolo Gostantino, padre di Pipino. Dal qual
Agnolo, Guidone, figliuolo di Bovetto, fu bandito per un omicidio, sicch dovette ritrarsi a vivere colla giovane moglie Brandoria nel suo
ai Cristiani;
cia si asside
Antona.
Nel quarto libro maestro Andrea narra, sulle orme di quel pi antico testo in prosa "che gi abbiamo rammentato, le vicende di Buovo
d' Antona, figliuolo di Guidone. Minacciato di morte dalla madre, che
gi aveva ucciso Guidone, Buovo fugge di casa giunge in Levante
dove ama riamato Drusiana figlia di re Erminione, e pervenuto dopo
molte romanzesche avventure nella citt di Polonia al momento
la rain cui si celebrano le nozze di Drusiana col re Macabruno
pisce. Macabruno manda Pulicane, strano mostro mezzo uomo e mezzo
castello di
cane, ad inseguire
al
291
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
cane,
e
il
di
figliuoli,
Importanza
e
^[?dd ei
.
Francia.
292
CAPITOLO OTTAVO.
come
le cose ab ovo alla curiosit, naturale nel ponei bambini, di conoscere almeno all'ingrosso l'origine e le
prime vicende dei personaggi che menano la spada negli altri romanzi e ne' poemi. Questo appunto si propose il bravo cantambanco :
raccogliere ordinatamente,
di
stendono
cavalleresche e
presentato
tutte
le
classico
nalit
il
di assicurarli tutti
da Costantino
famiglie
degli
In
tutto"
dire,
fila
che
carolingi
eroi
il
dell' ordine,
di-
lo
risalivano
riacquistava
romanzo
ma
si
finzioni:
ad
antichi
scrittore
un
capostipite
diritti
palesa
di
nazio-
una grande,
Perci
capi delle
entro alla
imperatore. Cosi la
e la materia francese
italiana.
come a
aggrovigliano per
si
fole
che
viene
esponendo.
imperatori
re-
gnassero a Roma mentre avvenivano; non dimentica di dire quantodurassero gli assedi e le battaglie e quanti e quali guerrieri vi prendessero parte e vi perissero; si studia, secondo la sua grossa cultura,,
di conciliar la leggenda colla storia e di non recare gravi offese alla
geografia, e acidita i motivi delle azioni, magari per congettura se il
suo autore non glieli dice (p. es. Ili, 26). Degli autori
quanto attendibili tutti, ben sappiamo
fa poi seriamente la critica quando non li trova concordi e si attiene alla versione pi
verisimile. Anche si compiace di far sapere che le sue fonti sono cronache, cronachette, libri, la venerata e inoppugnabile carta scrittainsomma. I Saraceni ricordano di sovente le favole pagane per es.
Fegra Albana nella lettera a Riccieri (I, 44) e Galerana nella preghiera ad Aplline (II, 15); i cristiani no; il che non senza un intento ben cosciente di colorire i personaggi secondo quella pretesa storica verit che la fantasia popolare immaginava.
Uomo del vecchio stampo, Andrea innesta volentieri nel racconto
brevi osservazioni e suggerimenti di morale e di religione o qualche
dettato della sapienza popolare. Pur non gli manca ardire, e quando
narra di Gostantino che dot la Chiesa di Dio per la buona fede e
per la sua conversione , soggiunge ch'egli certo non pensava dovessino e pastori della Chiesa per lo bene propio tutto il mondo guastare e farsi di spirituali tiranni (I, 3). Qui ben chiaro che
un passo famoso della Commedia era presente allo scrittore. Dante
sappiamo, faceva parte della cultura popolaresca, di quella cultura mista di classicismo alterato e stanto e di grossa erudizione moderna,
che
il
Rinascimento
classi sociali.
tale
come
nelle
293
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
delle
del
ma
sa essere
vidde
il
si
e strinse la spada
con grande
ma
egli
alcuno n'uccisse e alcuno gitt per terra, e per lo mezzo di loro s'avvent a dosso a Barellino lo bruno, e per lato gli giunse a dosso e
diegli della spada in sul collo e amendue le spalle gli part insino alle
sene (forse, ascelle) sotto ambe le braccia; e '1 petto cadde col capo
in sul collo del cavallo, e urt certi che tenevano il padre. La spada
vedendosi libero,
sua parea eli fuoco a' paurosi nimici. Giambarone
riprese la spada ch'aveva in mano Barellino , e prese il cavallo, e
e in su questo cavallo mont, e Riccieri gli
gitt Barellino a terra
fece tanto compagnia, che lo rimisse nelle cristiane schiere (I, 40).
Quale d'un corpo umano che per manco di alimento e soverchio
di fatica mostri di sotto alla pelle raggrinzita le ossa spolpate, tale era
he
poco dopo la met del secolo XV la condizione della poesia cavalleresca
Teu
italiana. Un tipo di racconti era venuto a poco a poco prendendo il ^IT^l
sopravvento, sicch dei romanzi e dei poemi s'era come determinato tosca
uno schema, o diciamo anzi scheletro, immutabile. Un cavaliere, di
olito un Chiaramontese, calunniato da' suoi nemici della casa di Maganza, costretto a lasciare la corte di Carlo e passa in Oriente. Fa
prove influite di forza e di valore, corre le pi svariate avventure
-aiuta sconosciuto qualche re pagano in una guerra, e spesso si guadagna il cuore d' una bella saracena parente del re. Ma i Maganzesi
non gli danno tregua e svelano ai Pagani chi sia l'incognito cavaliere,
il quale come cristiano correrebbe rischio d'esser messo a morte
se
non giungessero in buon punto altri cavalieri, partiti di Francia per
rintracciarlo. Con essi egli ritorna a Parigi, che di solito trova assediata da grande esercito eli Saraceni e che appunto al valor suo e
dei suoi compagni deve la sua salvezza.
Per alcuni decenni questo scheletro mantenne una cotal giovenile
elasticit, mentre a rimpolparlo veniva in acconcio la materia tradizionale ancor nuova alle menti toscane. Ma gradatamele and tanto
pi irrigidendosi, quanto pi i cantastorie si industriavano a trovare
,
e congegnare nuove
appoggio
finzioni,
294
CAPITOLO OTTAVO.
far versi
come
Spagna:
questi della
Vedevansi
Gir per
lo
campo, perduto
Tua
Pareva pianto
l'altro
lor sire;
il
percuote;
grande anitrire
lor
(e.
XXXIII),
non
un episodio pieno di tcchi commoventi ed efficaci, veramente tragico nella semplicit della narrazione. V Uggeri e il Rinaldo
stituiscono
XIV;
la
Spagna
Ma
i certo.
quanto-
si
stile,
cui
non
si
attagli
il
era
il
poema
cavalle-
Noi gi
h.v$\c\
lo
conosciamo,
scrisse
il
il
solito
Morgante.
il
Magnifico
acconcia palestra a metterle in mostra un poema cavalleresco! Tantoil Pulci pot fare come quando riferiva nelle lettere
fattei
pi che
pliando lievemente
il
fatti,
dapprima
am
mento,
Come
i
poemi di simil fatta, cos nel Movgante l'asvolgono parte in Francia e parte in Pagania
e ne Gano colla sua perfdia il principal promotore: per colpa sua
le invasioni saracene; per colpa sua le fortunose avventure dei paladini in Levante. La prima volta che Orlando parte da Parigi, sdegnato'
per le calunnie del Maganzese, capita ad una bada, uccide due dei
in quasi tutti
si
dintorni
si
accompagna
col terzo'
295
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
Manf redoni o
correre la
di
Gano non
per
rista;
corrono pericolo
forche e
il
Montagna
e la
spedizione di
spedizione di Antea
nuovo Gano
il
dai guerrieri
Gano che
acquistato alcun
soccorrere
merito presso Rinaldo ed ora prigione della maga Creonta. La gratitudine per la liberazione non mette
freno alla sua malvagit, anzi egli assottiglia pi che mai il suo ingegno per perdere i Chiaramontesi, coi quali s' accompagnato. Giunge
frattanto la notizia che re Calavrione minaccia Parigi, sicch da Villafranca, ove s'erano soffermati alquanto alla corte di re Diliante, Orlando torna direttamente in Francia e Rinaldo si avvia verso Bellamarina per chieder soccorso d'armati a Uliva figlia di re Costanzo, la
quale ha verso i Francesi grand'obbligo di riconoscenza. Mentre il signore di Montalbano co' suoi fratelli Alardo, Guicciardo e Ricciardetto
incontra svariati pericoli ed avventure a Parigi si fa la pace con
Calavrione, persuasori involontari i Maganzesi stessi colla loro perfidia.
Tale, sfrondata di mille episodi ed intrecci, la contenenza dei primi
s'
Morgante.
compose tra
1460 e il 70
e li pubblic per la stampa nel febbraio del 1482. Un anno dopo, il
poema tornava in luce accresciuto di cinque canti, i quali narrano la
rotta di Roncisvalle
la morte di Orlando
il tradimento
e la punizione di Gano, ed infine con un salto cronologico la morte di Carlo
Magno in Aquisgrana. Per questi nuovi canti il poeta, venutagli meno
la guida de\F Orlando, attinse ad altre fonti, segnatamente alla Spagna
in rima, e le tratt con assai pi indipendenza, lasciando che dai do,
Il
Pulci
li
il
le
\.
possono dire semplicemente raccostate. Gli errori di Rinaldo e de' suoi
fratelli in Oriente, narrati verso la fine della prima, offrivano al seguito un buon addentellato; ma il poeta non ne trasse se non magro
partito; dimentic qual fosse il vero scopo del viaggio di quei cavalieri, n fece sapere come Rinaldo si ricongiungesse ai fratelli la,.
Morganu
cronoiog
organa
mento,
296
CAPITOLO OTTAVO.
(XXII,
sciati
quistata.
216)
Saliscaglia
Lo ritroviamo
in Egitto,
terra
donde
dell'
se
pregi del
nell'invenzione, tanto meno nel diprobabile che senz'altro disegno che quello di
poema il Pulci si accingesse al lavoro e giunto
il
vecchio
Rama, a soddisfacimento
perfidie di Gano
la storia della
come pensa
il
rotta
il
meno
Quanto
alla
dissimile dai
ma
tava,
ne
i
fa
orme
condensata in
una
sola
o raccolga
in
una
il
fiore della
297
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
e le allusioni a persone e fatti moderni, che sbucan fuori leste e sottili, quei racconti dovevano riuscire in singoiar modo gustosi.
Com'
il
Pulci
sottile analisi
ben povera cosa nell' Or land (XLVIII, 31); sentite invece l'amico
di Lorenzo il Magnifico:
Ella
si
Poi
Poi
o bisce,
distende
si
Ella
come serpe
si
si graffia,
e percuote e stridisce;
tutta l'aria in
un
tratto s'inzuppa
76).
Per causa dell' Amostante Rinaldo e Orlando, sconosciuti l'uno all'altro, vengono a zuffa: due versi e una similitudine bastano a descrivere
il
si
spezzorno parimenti
Sopra
Come
ferirsi
passorno,
:
tornorno
(XV.
Morgante trabocca
25).
tenda
Al padiglion ne
lo porta il gigante;
Manfredonio, Dodon presentava
Manfredon rise, veggendo Morgante,
A
E
per
Macon
d'impiccarlo giurava.
39).
Qui anche
Or appunto per codesta sua noncuranza dei partiPulci descrittore assai abile e mirabilmente vario di battaglie; la sua penna scorre sollecita qua e l, intreccia con disordine,
forse non voluto, personaggi ed episodi e ottiene quegli effetti d'in-
tenzione dell'arte.
colari
il
298
CAPITOLO OTTAVO.
sacro; cos della lirica popolare risuona Foco in certi epiteti usati a
descriver la bellezza muliebre (p. es. IV, 17; XII 40, 73) e ricompare
un brutto artificio nelle ottave in tessute di versi tutti comincianti da
una medesima frase. Talvolta, innegabile, questo artificio che il
Pulci trovava gi nel suo modello
viene acconcio a rincalzare un' i,
il d che tu nascesti,
benedico la tua gkmnezza,
Io benedico i tuoi concetti onesti
Io benedico
Io
(XXVII.
203),
questi artifci di provenienza popolare si incontrano nel Morgante reminiscenze e imitazioni del Petrarca e soprattutto dell'Alighieri, di cui il
Pulci era studiosissimo ammiratore. Tracce non molto profonde vi ha
Par che
(XXIV,
Ancor pi ameno
105).
che
suoi autori
non
si
293
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
ventava
il
famoso Arnaldo
scritto,
(XXVII,
80).
caro
il
suo
avea dato notizia
abboccarono per alcuni
(XXV,
pulciano
169).
metro e
S3mpre spontaneamente e
scena tocca
pi
eli
sua
fastigi
alti
della rima;
libera
dell'
anche
l dove
Siamo a Roncisvalle
epopea.
ai
il
elezione
la
;
la
zione piena
di
disse
Andianne
Quando
e'
al
popol Saracino.
40).
di lazzi
grosso-
lani e volgari:
Quivi gi i campi l'uno all'altro accosto,
Da ogni parte si gridava forte;
Chi vuol lesso Macon, chi l'altro arrosto;
Ognun volea del nimico far torte
:
Dunque vegnamo
S ch'io
Che
non tenga
colla falce
Ch'io
muova
in disagio la morte,
minaccia ed accenna
presto le lance e la
penna
(XXVI,
49).
Son le note con che si accenna nella sinfonia il motivo che serpegger- pi o meno palese in un melodramma. Terribile il cozzo
della piccola schiera degli eroi carolingi contro le soverchianti miturbinano i colpi, il sangue scorre a rivi dovunque aplizie saracene
;
pare la morte;
Pure
il
momento
solenne,
la
rima
impari
ad esso.
cisori, in
mezzo
all'incalzare di episodi
veramente
pietosi,
d'uc-
come quello
Lo sch
nell 8
300
CAPITOLO OTTAVO.
si
(XXVJI,
4,
47),
chi superstiti,
le
si
fra
il
strappa
di
dosso la proteggitrice
Or non son
il
io
pi traditore !
Ognuno
Come
afftta,
come una
Turpino affronta un
i
capi
Dove
fiisse
Di capi, di
pareva un tegame
sangue un gran mortito
peducci e d'altro ossame.
di
(XXVII,
56).
sorridono le
tinte
codia-
scherzo
uei
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
di gloria e di pregio e d'onore (X, 11);
ma la
301
tradizione italiana e
il
un
vile.
Orlando resta
anche a
paladini; pure
Quando
il
pi austero,
il
pi serio,
un
pi valoroso dei
il
a dire
E non
il
ver
non
gli
spiacque niente
nella
piazza
di
Corniglia
sul
non pu
toc-
gigant^
Morgante.
302
CAPITOLO OTTAVO.
matore ad un certo punto lo abbandonava senza curarsene pi. Morgante grande come una montagna e sotto al suo cappellaccio d'acciaio rugginoso pare un fungo con lunghissimo gambo; la sua arma
va sempre a piedi, perch
un battaglio
cavalli gli si accosciano
sotto e scoppiano. Grandi vizi non ha, tranne una voracit spaventosa, che all' occasione lo rende anche ladro. Se tiene un po' dello
smargiasso, non ha poi tutti i torti, perch i bei tratti li fa davvero:
acciuffa un padiglione, vi affardella dentro due guerrieri e via poll'involto in ispalla (VII, 16); abbatte con uno spintone una torre poderosa (XIX, 170); fa da antenna in una nave (XX, 42). Personaggio comico
Morgante muore perch un granchiolino gli morde un
tallone, comicamente. Il mondo cavalleresco in cui si aggira, frena e
limita la sua immensa gagliardia e il suo volgare istinto, ma non appena ne tratto fuori, l'una e l'altro si manifestano in tutta la loro
pienezza, e cresce l'amenit. Questo avviene nell'episodio di Margutte, che
occupa poco meno di dugentocinquanta ottave dei canti XVIII e XIX
e che rimane come staccato dal resto del poema.
Margutte un mezzo gigante, che un d sur un crocicchio si imEsodio di
Murgutte. batte nel colossale scudiero d'Orlando e gli si fa compagno. La sua
i
fede nel cappone, nel burro, nella cervogia e sopra tutto nel buon
vino; schernisce ogni religione; ha sulla coscienza, fosca come il suo
volto
dei veniali.
nascosto e divenne
ruba sempre,
Ch'io non ist a guardar pi tuo che mio,
Perch'ogni cosa al principio di Dio
(XVIII, 135).
Sa falsar
le scritture;
lan di bocca,
come
i
i
falsi
fichi
Dovunque
Come
io vo,
fa la
(XVIII. MI).
Codesta litania continua a scorrere per pi d' un'ora tutta scoppiettante d'arguzie e piena di compiacenza, dalle labbra di Margutte,
che per abbreviare lascia anche in dietro un gran capitolo di mille
,
altri peccati in
guazzabuglio
Morgante
lo giudica
il
pi tristo
uomo
ma pur accomodato
al voler
303
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
disse: Io
Che
son
contento stasera,
fia molesto.
non mi
s'io morissi,
105-6).
al
compagno
per il suo malo contegno; rabbuffo, che Margutte accoglie con una
sfacciataggine degna di lui:
Tu m'hai pur
10
fatto tutte le
mi credevo ben tu
vergogne:
lussi tristo,
di
menzogne
n'ho visto:
Tu nascesti tra mitere e tra gogne,
Come tra' 1 bue e l'asin nacque Cristo.
Margutte gli rispose: E tra' eapresti,
tra le scope
Io credevo,
tu
non t'apponesti.
Morgante,
tu'
sapessi,
Tel
(XIX, 142-3).
Alla fine Margutte scoppia dalle risa in vedere una bertuccia che s'era
calzata
suoi usatti
parve che
gli uscissi
Tanto fu grande
una bombarda,
dello scoppio
il
tuono.
(XIX,
142).
304
CAPITOLO OTTAVO.
mi
si
permetta
l'altro vittima di
la contradizione in termini
una
ha
suicida involontario
rilievo
il
grottesco di
L'episodio di Margutte
non
nelT Orlando, e
l'autor
Che
si
si
il
Pulci assevera di
trov in Egitto,
chiama Alfamenonne,
poema,
^a
di codesti
tipificato
XV.
II
riso
episodi.
stile, eia
alcuna par-
305
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
fine a s stesso. Il Pulci
la
parodia
aggiusta fede;
ma non
omaggio
la satira o
narra non
far
rende onore
pi,
dove
il
poeta
si
37).
sua natura,
Quando
la
il
suoi pec-
di
di
la
E
0
0
E
Le braccia
Ma
in croce, e
poi si sent
'
petto al
pome
fitto;
Il
ciel,
E come
Smorzatasi appena
facezia:
Rossi
l'
rimbomba un tuono,
.
La
leti.
ital.
nel sec.
XV.
20
300
CAPITOLO OTTAVO.
il
il
si
ch'ei satireggi
se
li
fa
dalla religione
consentiti
le
sortilegi
afferma
il
Dio
can-
squisizioni di teologia.
per
aver
Gano mi-
Rinaldo,
come
il
in
Egitto ed entra
di
nel
ca-
Ricciar-
detto; cos
307
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
allo stretto di Gibilterra, Astarotte interrogato
castella
citt,
e imperi
posti
al
delle
di
(XXV,
di
231).
essi
ma
Saraceni,
Il
stiane
come
diavolo credente
;
che
Giudei e
saranno dannati.
ribelli
non era
cultori della
affabile
cogli uomini e pieno di dottrina, specie intorno alla storia della crea-
sia
manchevole
sul Padiglione che Luciana, figlia di Marsilio, aveva in altri tempi donato
secondo un vecchio costume dei poeti cavallereschi, minutamente descritto nel canto decimoquarto del Morgante (stt. 44-86). Durante il viaggio poi tutto sollecitudine per i due cavalieri, imbandisce loro
una succolenta colazione, sventa la trama ordita a loro danno da un
altro diavolo e li conduce a banchettare nel palazzo stesso di re Mar.silio, dove Rinaldo, non visto, pu appiccare due baci alla franciosa
sulle guance rosate di Luciana (XXV, 304). Astarotte si fa tanto ben
volere, che alla fine il paladino si duole del suo partire quanto se
gli fosse fratello, e rimane convinto che anche all'Inferno sono genall'eroe, e che,
e ha fatto
di quel diavolo
vi
Un
poeta come
affaticarsi
il
troppo a levigarli
si
lui,
e se talvolta
vi si
ac-
308
CAPITOLO OTTAVO.
cinge con una certa passione, sul pi hello tronca l'episodio con
uno
strappo violento o lo lascia morire quasi per dimenticanza. La vaga
e gentil figlia di re Corcante, Forisena, commuove profondamente
il
cuor di Ulivieri e il reciproco innamoramento rappresentato con
copia di particolarit psicologiche, non senza finezza (IV, 79 sgg.).
Poi
che il paladino, sagrificato l'amore al dovere, ha abbandonato la corte
di Corcante, l'autore dell' Orlando non parla pi della fanciulla;
il Pulci
invece compie il racconto facendola saltare da una finestra ma con quel
suicidio frettolosamente descritto (V, 17) ei mi ha l'aria di chi voglia
sbarazzarsi per sempre di una persona incomoda
di cui non sappia
,
pi che
si
fare.
una fanciulla
guerriera, bella quanto dice il suo nome, per la quale Manfredonio
in guerra con Caradoro padre di lei. Vinto, Manfredonio si parte licenziandosi dall'amata con parole dolcemente accorate:
Io torner, per non t'esser molesto
;
Ricordati di me, ch'altro non. chieggio :
Col popol mio, con quel che c' di resto,
Ch molti morti
carolingi popolari
dai quali,
come abbiamo
visto,
il
Morgante non
sostanzialmente dissimile, la salsa erotica alcunch di accidentale e di superficiale. Cos l'amor di Orlando per Chiariella, quantunque
confessato con frasi bollenti (XV, 69), ha sua principal radice nel desiderio della libert e passa lesto lesto. Rinaldo pu sempre berteggiare il cugino come un ingenuo in materia d'amore (XVI, 56), Rinaldo che s vanta di saperla ben lunga in fatto di donne e di dilettarsene un poco (IV, 48). Forisena, Meridiana, Chiariella, pi vi-
suo cuore
al
lui
ma
un sentimento profondo,
Antea..
Babilonia
si
dilettava di giostre
di
vesse veduta volteggiare sul suo arabo focoso, chiusa nella sua
fama
del sire
di
suoi doveri
e,
di
cavaliere
arma-
Inconquide
sgg.).
cristiano
il
suo posta
309
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
nella tenzone da cui dipende
la sorte dei
paladini e
dei
loro amici,
prega Dio per lei. In Antea poi l'amore educa ed affina il suo naturai costume leggiadro e soave . Se obbedendo al padre va con un esercito
contro Montalbano mentre Rinaldo combatte col Veglio della Montagna, perch spera di raggiungere per tal via la meta de' suoi desideri; perch l'amore onde arde, si diffonde sino ad abbracciare tutta
la Cristianit; perch la spinge un'invitta brama di gloria:
,
pur Cristianitade,
dice: Io vedr
Le
.ae marine,
'1
boschi,
Animata
zia
Nel 1470, finita la prima parte del Morgante, egli disegnava di rimare, a soddisfazione della sua signora, altre storie d'argomento romanzesco, un Uggeri e un Rinaldo, ma, che si sappia, non ne fece
nulla. Bens attese a continuare, quantunque poi la morte gli impedisse di venirne a capo, il Ciriffo Calvaneo, poema cavalleresco che
suo fratello Luca aveva cominciato. La parte che ne abbiamo
cinque
caivaneo.
310
CAPITOLO OTTAVO.
Magni-
Seguiamo
86).
dove
egli
vita e di
pedantesca
cultura che non
seriamente
ingegno
forte
e
di
bello
opera
un
per
classica,
imitazione
nudrito di studi; a Ferrara, mediante la fusione della materia carolingia colla materia brettone, per opera del conte Matteo Maria Boiardo.
fossero le fiorentine,
la
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
311
Po furono
Valle del
secolo
XIV
quelle che si fecero in Toscana quando la mateBrettagna migr anch'essa sulle rive dell'Arno. La pi antica
il Tristano di cui ?\ conserva nella biblioteca Riccardiana di Firenze una
copia scritta fra il declinare del secolo XIII e gli esordi del XIV;
fresca prosa, alla quale non manca qua e l una certa rude efficacia,
ma conferisce monotonia l'ingenua semplicit dello stile e talvolta
asprezza la servile fedelt all'originale francese. Possiamo assegnarle un
posto analogo a quello che il Fioravanti e il Buovo in prosa tengono
fra le narrazioni carolinge. Di essa si valsero rimaneggiandola , rimpinzandola di interpolazioni, innestandola in pi ampie storie pure at-
numero sopravvivono
ria di
tinte
a fonti transalpine,
gli
compilazioni,
un ricordo la cosiddetta Tavola ritonda della Biblioteca Laurenziana, non anteriore, per quanto mi sembra, alla met
del secolo XIV. Quivi lo stile si presenta gi abbastanza maturo; le
^PP e *
b
'
Italia.
312
CAPITOLO OTTAVO.
Il
rardino,
II
Fortuna
materia
tetene,
casi, di miracoli, di incantesimi, di fate, come le fole che gli allegravano le veglie. Ma la brevit stessa dei componimenti dimostra come
non tanto lo spirito che tutto pervade il ciclo di Art, quanto il meraviglioso episodico glieli rendesse cari. Oh come apparivano meschini
quei cavalieri che per due begli occhi si facevano frappare le carni e
Le
biblioteche dei
carolingi
ma
in pi
libri di
Nic-
re
glie, uccisi
Isotta,
e pianse perduti
ci
il
che
per
vero non sappiamo. Neppure sotto i successori di lui venne meno a quelle
leggende il favore della gente colta. Guarino, festeggiando in un epitalamio latino le nozze di Beatrice, sorella del marchese Borso, con Tristano Sforza (1455) trovava un appiglio agli encomi nel nome cavalleresco dello sposo, e un altro solenne umanista, Francesco Accolti,
prendeva a prestito
lettor di diritto nello Studio dal 1448 al 1461
,
313
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
Scandiano in quel
di
madre Lucia,
sicch probabile
che
il
primo incitamento
agli
studi gli venisse dalla dimestichezza dello zio Tito Vespasiano Strozzi,
giovinetto allora poco pi che ventenne, eppure esperto di latine elealle quasi infantili impressioni non pot
ganze. Checch sia di ci
,
non intrecciarsi nella sua mente il ricordo della fioritura di studi classici
onde fu lieta Ferrara sotto Leonello. A diciottenni perdette il padre,
Giovanni, enei 1456 Favolo Feltrino, uomo non privo di lettere, ch'ebbe
corrispondenza ed amicizia con alcuni fra' pi insigni umanisti; nel 1460
Matteo Maria ci appare per la prima volta quale conte di Scandiano.
l,
nel suo territorio, nella casa magnifica trascorsero a lui gli anni
Fu
die familiari senza fine; spesso ebbe briga coi finitimi e dovette lidi cui si
tigare con loro per i diritti suoi e del comune di Reggio
,
e di mancate prestazioni;
ma
faccende increscevoli
ricreava nella compagnia degli amici, ospitati con signorile liberacacce per le con valli fragranti e nelle
lit, nelle cavalcate e nelle
meditazioni solitarie. Anche dopo, Scandiano fu sempre il dolce luogo
si
a quanto pare
An-
tonia Caprara, cominciato due anni prima, forse a Reggio nella corte
del governatore Sigismondo d'Este. Nel 1472 spos Taddea dei conti
Oonzaga da Novellara.
valida difesa, esposta alle soperchierie dei propri parenti, i quali avevano fatto prova della loro malvagit nelle controversie sorte per la
divisione dei beni lasciati da Feltrino. V'hanno persino buone ragioni
il
al principio del
fratello di lei
nostro
^Jjj^'
(1434-94
311
fetto cui
rattere di
carattere
Boiardo,
ei
CAPITOLO OTTAVO.
non danno macchia di adulazione volgare, n tolgono il cacommovente corrispondenza di scusi amorosi le frasi, volute
ci si
maneggio
degli affari amministrativi, esperto conoscitore delle condizioni economiche del paese, scrupoloso nel render giustizia, fermo nel difendere
sue prerogative contro gli abusi di altri magistrati, che gli intralciavano l'esercizio del potere. Triste occasione di mostrar la bont del
le
suo animo e il suo senno politico gli offerse la venuta di Carlo VIIL
Eccolo tutto affaccendato a preparare alloggiamenti e vettovaglie per
le milizie francesi ed a provveder sottilmente affinch i suoi ammini-
delle
Scandiano esercitassero la loro industria alcuni falsi monetari e riparassero i banditi. I rimproveri che per ci si muovono al
conte da Ferrara, da Reggio e da Venezia, si rinnovano con tanta insistenza e sono cos autorevoli che, sebbene a malincuore, pur vi si deve
castello di
riconoscere
carmi e
6
Tatife
le
un fondamento di verit,
come portava l'andazzo del tempo, furono
le prime opere
Boiardo: alcuni carmi di vario metro e di varia estensione in lode
degli Estensi e dieci egloghe pastorali; povera cosa quelli, stipati come
Latine,
(lel
315
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
sono
di classiche
comparazioni
1463 e
assai
mi-
poco
dopo il ritorno di Ercole d'Este dalle guerre napoletane, e a lui dedicate. Sotto il velo della facile allegoria cinque di esse dicono le lodi
del principe, del suo valore guerresco, della liberalit e del senno, e
cinque racchiudono lodi di tal genere solo come divagazioni dalla loro
materia propriamente amorosa. L'imitazione virgiliana si manifesta
chiarissima non solo nel numero delle egloghe, nel genere degli ar-
gliori queste.
tra
il
il
65
ma ben anche
negli
donare
le
il
fortunatissima puri
ha in sul principio un soave sapor petrarchesco, che poi si attenua e scompare nelle nudit d'una minuta descrizione della bellezza muliebre. Il canto alterno eli Meride e di Bargo
nell'VIII ha tratti di bella e viva poesia.
Non molto dopo aver composto le egloghe latine, il Boiardo venne
voluttuoso.
Il
Unda lacus
canto
di
nell'egloga
Le
traduzionh
troppo
mere
det
Bolardo
316
CAPITOLO OTTAVO.
il
lirici
dell'ele-
irreprensibili.
forma, anche
simonia qualche
quanto
alla
il
Novo
a ragionar
me
10
diletto
superficie e spesso
ginarie; l'ispirazione
ama
davvero, che
nunciare
all'ideale
si
Ma
il
petrarchismo non
rinnovella di fronde
si
stesso
concetti
va oltre
vengono
dai moti
Amorum
alla
delle ori-
d'un cuore
lungamente vagheggiato.
Amore
che
non sa
libri tres
si
ri-
in-
titola il canzoniere del Boiardo, tre libri che anche nell'esteriore orciascuno conta cinquanta sonetti e dieci componimenti
ganamento
rivelano
di vario metro alternati a quelli con una certa simmetria
11 ben delineato assetto della contenenza e la garbata compostezza della
mente del poeta. probabile che fra le rime scritte per Antonia Capibara, di gran lunga le pi, se ne frammischino alcune ispirate da al-
tre donne,
ma
tutte
poema amoroso
si
Per
la piagia fiorita
Che
la.
il
sapeti.
317
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
Vaghi
augeleti, odeti;
gira in tonda
mare, e quanto spira zascun vento,
Che quanto
Il
Non
piacer al
Che aguagliar
mondo
e rose e zigli,
il
(XXXVI).
poeta triste
perch ha scoperto che la
il suo amore; e come gi agli uccelli e ai
,
altri
alle stelle
alle selve
al-
Luna,
All'infedele
simi, quali
feris-
stiasi in signoria
Di
te,
Ma
Non
De
N
Nel terzo
libro
se vendetta
fia
lo
il
longa la
ti
danno a levar
cale.
vale,
lista
lui fu
318
si
CAPITOLO OTTAVO.
illude
perch
al
sa rinunciare. Durante
il
viaggio
Roma
(1471) tutto colla mente in lei; ama raffigurarsela anelante al suo ritorno; la vista dei monumenti, le feste, lo sguardo
di
benigno del suo signore non possono allontanare dal suo pensiero
quella testa bionda e <\uelY angelico viso. Poco dopo, il canzoniere si
chiude con alcune poesie sentenziose e pessimistiche e colla preghiera
del peccatore contrito; si chiude forse perch nell'assenza del poeta
la Caprara era divenuta sposa di un altro. Ma quell'amore profondamente sentito e accarezzato con insistenza lasci tracce nell'animo del
Boiardo che lo ricord nel poema e ne ebbe argomento a' suoi poco
favorevoli giudizi sulle donne.
Con quanta efficacia egli esprima i moti del suo cuore, mostrano
le citazioni gi fatte. Nel rappresentare con immagini varie il suo
stato egli ha una grazia squisita; nella pittura degli spettacoli naturali una freschezza che ricorda il Poliziano. Leggete il sonetto Fior
scoloriti e palide viole, ove
i
nella canzone
il
poeta
Che fuor
del suo
del
mar
el d
lampegiar
ciel
depinto,
pi se incolora
De una luce vermiglia,
Da la qual fora vinto
Qual ostro pi tra noi
lei
gli
rassomiglia;
il
Lo
saputo il poeta
s ardui e complessi che meraviglia abbia
ed angusti
sinuosi
quei
a
entro
per
apparente
sforzo
senza
condurre
meandri l'eleganza e l'armonia della sua rima.
'Dell'amore per la Caprara, dell'abbandono e del matrimonio con
Taddea Gonzaga il conte parla allegoricamente, secondo che verosimile, anche in cinque delle dieci egloghe volgari, che scrisse in termetrica
zine per lo pi piane, non senza tentare qualche innovazione
stine; alcuni
voifaS
dunque
state
319
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
contro, aride e monotone, ispide di asprezze stilistiche e di latinismi sono le altre cinque composte tra la fine del 1482 e l'estate dell'83,
Per
le quali
allegorizzano fatti
alle lodi del
uniscono
aver vagheggiato ne' suoi sogni di poeta, trovava riscontro nella realt.
ovvio ammettere che per un mazzo di tarocchi, forse alluminato mirabilmente a sollazzo della corte egli componesse certe terzine che
illustrano ciascuna la figura di una carta. Per le rappresentazioni che
vedremo essere state carissime al duca Ercole, ridusse a foggia di
,
dramma
in terzine
il
Timone
di
cesco del Cossa, egli dovette venir recitando tra il 1470 e l'81 il suopoema ai cavalieri e alle dame, cui si rivolge spesso in sul principio
La
il
al
si
la
arrest, differendo
morte.
Anche
il
bretoni
1
"tJaa!?
320
CAPITOLO OTTAVO.
fratelli della
si
muove
di
chiaramente
(III,
38;
cfr.
lettori
se gi
VI, 6).
ma
la bugia,
Anche
di fanciulle
romanzi
passi
Brettagna novell
di
perigliosi
il
e d'altre
Pulci e prima di
lui
1 Innamorato.
pagani e battezzati che ivi si trovano raccolti, con questa condizione
che i vinti nel duello col fratel suo Argala siano prigionieri, il vincitore abbia in premio lei, Angelica. Anche qui la disfida suggerita
perch Galafrone re del
dall'odio degli infedeli contro i Cristiani
Cataio e padre d'Angelica, reputando invincibile il proprio figliuolo munito d'armi fatate, spera di' far deserta di difensori la Francia. Ma del
tutto nuovo in corte di Carlo l'allettamento che trae i cavalieri a
battersi coll'Argalia nuovo e tale che avvia l'azione per un cammino
sconosciuto a' romanzatori carolingi. Alla vista della bellissima fanciulla
volgendo avversa la sorte dell'armi
tutti ardono d'amore e quando
ella fugge verso
all'Argalia nel suo duello col saraceno Ferraguto
le
si
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
321
......
La
leti.
ital.
nel sec.
XV
vita
il
mondo
della
e dei
cavalleria
21
322
CAPITOLO OTTAVO.
quello soltanto che, universale ed eterno, non teme assalti di et scettiche n intristisce per ingiurie di et rettoriche, serbava tutta la sua
Come
efficacia,
l'Amore.
conte
Scandiano,
istante
di
il
vola generale e
ci
Amor primo
xviii,
'3).
Or quale meraviglia che un uomo portato dalla natura, dall'educazione e dalla temperie sociale a pensare e sentire siffattamente, preferisse alle fiere tenzoni di popoli dipinte nei poemi carolingi, le strane
venture, le giostre, i duelli del ciclo brettone, ed agli epici guerrieri
pugnanti per Dio e per la patria gli innamorati cavalieri, che affrontavano pericoli, di ogni sorta per la dama del loro cuore? Il Boiardo
infatti se si abbandona a vagheggiare le memorie delle sue letture,
ripensa non Orlando e Rinaldo, bens Tristano e Lancilotto (II, xxvi, 2-3)
e se paragona la corte di Carlo alla corte di Art, non esita ad asserire che quella non pareggia questa per valore e per gloria,
Perch tenne ad
Amor
chiuse le porte,
(II,
xviii, 2).
Se non che le stesse vicende italiane della materia brettone insegnavano che se da questa era lecito trarre episodi motivi leggendari,
,
di
il
il
il
meno
la
discoste dalle
arturiane.
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
nuovi ornamenti, mentre ne sfruttavano
323
Del
concetto dell'innamoramento vi sia aggiunto a modificare il concetto che
si
racchiude nel nome di Orlando, non questo nome a determinar
quel concetto Orlando innamorato, non Innamoramento di Orlando.
il Boiardo la materia de' suoi
Non soltanto dal ciclo brettone attinge
di
gli scarsi
il
succhi
vitali.
per ci che
titolo,
il
vatico
cos la favola di
una commedia
latina
Materia
pro-
a' altra
venienza.
del
Bjccaccio.
Morgana
L'episodio
Manodante.
darle in cambio
il
creduto Brandi-
"
a malgrado dell'astuzia
di
un
soprana
ix, 50).
s'
avuto qualche
45 sgg.); talch, narrata distesamente, questa viene ad appagare una nostra vecchia curiosit, n
ci. desta meraviglia la tenerezza accorata con cui il cavaliere pronto
a sacrificarsi per la liberazione di Orlando. Qui il Boiardo ha felice(st.
324
CAPITOLO OTTAVO.
mente rinnovata
la traina della
commedia
latina, nella
quale lo scam-
comandato
da Filocrate al servo Tindaro. Astolfo vecchio personaggio delle leggende carolinge, ma il Boiardo ha messo in pi spiccato rilievo alcuni
tratti del suo carattere e ne ha fatto un uomo bizzarro
ciarliero
motteggevole, non tanto forte quanto vantatore della sua vigoria, un
po' comico; proprio quello che ci voleva perch Brandimarte potesse
ragionevolmente tarlo passare per matto, quando Astolfo svela per primo
,
la sostituzione
a Manodante. Quelli
che nella
commedia
latina sono
ad un passo
periglioso, dove sta, per ordine del re, il gigante Balisardo, pronto ad
impegnar battaglia ed a trarre i malcapitati in un agguato; ond' che
per via di questa invenzione suggerita dai romanzi di Art viene ad
insinuarsi nel poema l'episodio di fonte classica. Ed a questo metton capo
a loro volta le avventure di Leodilla, figliuola anch'essa di Manodante,.
che il vecchio Folderico aveva a proprio scorno menata in isposa e
tenuta in gelosa custodia, finch non gliela tolse il giovine Ordauro.
(I, xx, 8-37; xxi, 37 sgg,
xxn, 9 sgg. xxv, 18-22). Per ogni parte
dunque l'episodio profonda le sue radici nella materia e nello spirito
del poema. Il Boiardo ripens la storia che il comico latino gli offriva,
la colleg ad altre storie da lui immaginate o attinte d'altronde
la
trama di quella di Leodilla viene dal Libro dei sette savi ma non
altro se non la trama
ch lo spirito ed il colore ne sono in tutto
originali
e nella gran tela ordita con sicuro slancio di ingegno essa
venne a prendere il suo posto naturalmente senza lasciar vedere faticose giunture, n serbare negli atteggiamenti tracce del suo luogo
natio. I personaggi non sono greci o romani antichi in veste di cavalieri, ma appaiono veri figli del mondo cavalleresco.
Furono pi volte osservate le simiglianze che intercedono fra la.
novella di madonna Dianora e di messer Ansaldo, quinta della decima,
giornata del Decameron, e la novella di Tisbina, che Fiordelisa narra
a Ranaldo per abbreviare la noia del cammino, mentre entrambi galoppano in groppa allo stesso cavallo (I, xn). E difatti la situazione fondamentale la stessa una dama spera sottrarsi alle preghiere insistenti
d'un amante, promettendo di essergli benigna, quand'egli le appresenti
certa cosa che pare impossibile o difficile ad ottenersi e si inganna, cos
che alla fine si trova nel bivio o di tradire quello cui gi da gran
tempo ha concesso il suo cuore o di mancare alla fede data al novello amante. Ma le circostanze, i caratteri, gli svolgimenti, la chiusa,,
tutto diverso nei due scrittori. La realt, dipinta dal pi antico con
finezza di osservazioni psicologiche, prende nel pi moderno una tinta
romanzesca; alla narrazione sottentra spesso la lirica; tutta la novella
vinti
La novella
di Tisbina.
si
piega e
si
a'
modo
di
Poco
appresso eccola divenir l'antefatto d'un pietoso episodio; ed ecco Prasildo, l'intrepido amante di Tisbina
al quale Iroldo aveva ceduto la
,
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
325
umana
carne
Iroldo a sua volta chiedere aiuto a Ranaldo per liberare Prasildo, che,
custode, gli
corrotto
il
entrano
dunque nell'azione
si
del
poema
si
due amici
accompagnano ad
altri eroi
cura che
si
cipazione ai sentimenti ed
prima
di
all'effetto
ai
averla provocata,
non
la lascia
meno
venir
aver condotto sino alla fine il racconto. Rare dunque le interruzioni a mezzo, e quelle poche alla fine dei canti
dove sono di
efficace aiuto alla memoria. Per contro numerose
anzi consuete le
interruzioni in sul bel principio di una nuova avventura
quando il
diletto estetico procurato da un'altra di fresco compiuta acuisce nel
lettore il desiderio di sentir rinnovata in s quella commozione e ne
stuzzica la curiosit, che non interesse attuale, ma presagio di questo. Ucciso Agricane
e la descrizione del duello
del battesimo e
della morte va annoverata tra' pi bei luoghi del poema
Orlando
,
s'avvia verso Albracc ed entrato in una selva ode un gran romore
sono tre giganti che si azzuffano con un cavaliere e tengono prigione
una fantina. Chi sono costoro ? Che far Orlando ? ci domandiamo, e il
Boiardo risponde:
di
Ma
e noi
si
rimane
(I,
xix, 22)
(st. 8,
17),
dove l'avventura dei giganti ha il suo seguito e il suo compimento. Abbattuti quelli, Orlando solleva e fa rinvenire Brandimarte, il cavaliere
che aveva briga con loro; indi il tono della scena volge all'idillio; ma
i/organa-
mento
d ivinna-
moral -
CAPITOLO OTTAVO.
il
poeta
stro
si
si
fa
momento
no-
in cui l'animo
prepara a gustarlo:
Poi vi dir come quella donzella
Medic Brandimarte e con qual guisa
Come lui di dolor la morte appella,
Credendo aver perduta Fiordelisa
Ma nel presente io torno a la novella,
Che davanti lasciai, quando Marfsa
Col pr Ranaldo insieme con sua schiera
Mena fracasso per quella riviera. (I, xx, 37).
;
esorS
dei
canti.
Lunghezza,
noy it
della
di
il
di benedizioni celesti.
il
Negli esordi
poeta riprende il rac-
Rime
dolcemente
(li,
iv)
con alcun paragone, che vagamente rappresenta la posizione sua o degli uditori nel cospetto della materia.
Trovi insomma negli esordi dell'Innamorato una grande variet di
temi, di atteggiamenti, di toni; vi avverti tutta la fresca mobilit della
altri canti infine principia
327
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
che ha creati o rifoggiati i molteplici racconti, che ha disegnato e colorito i mille quadri del poema.
fantasia,
Colti
ho diversi
fiori
a la verdura
cui diletta
Ed a
il
giglio,
a cui
la rosa,
In tal guisa
di
vaghezza che
di
convenienza
il
Bo-
L'arte dei
Boiai do '
iardo rileva
il
carattere dell'opera
sua,
un
giardino veramente,
col-
tivato
Scandiano non un artefice, che vada accarezsue creazioni e i suoi versi con lima delicata e
sottile
artista pi nella concezione che nell'esecuzione
, come ben
fu detto, pi che artista, poeta nel primitivo senso della parola. Eppure
quanta efficacia, quanta vivezza nelle sue varie rappresentazioni Non
dico delle battaglie, dove il ripetersi di situazioni uniformi e il monotono martellare dei grandi colpi ingenerano nei lettori moderni un
senso di noia, non s per che non s'abbia ad ammirare qualche robusta pittura d'insieme; dico di infinite altre scene, fra le quali a volere addur degli esempi difficile scegliere. Nel parlamento dei re
adunati intorno ad Agramante per deliberare sulla spedizione di Francia, appare egregiamente ritratto il dibattito delle opinioni e fortedialettali,
il
conte
di
zando e castigando
le
mente
rilevato
il
i)
datogli da
328
CAPITOLO OTTAVO.
(I, vm, 28-52); ina un tocco da grande maequando Ranaldo, bramoso di affrontarsi egli pure
mostro, interpella la spietata donna col nome di madre:
mantenuta
stro trova
il
col
poeta,
Rivolto
a:
Disse:
far contesa;
mano
bianca
di colori e di
vm,
(I,
53).
e di spettacoli
(I,
ni,
sereni
desta Ranaldo
viso
colla
41); Morgana
risuscitato (II,
che
Toccami
Di
siffatte
ma
(II,
xix,
1-2).
nel tono,
tutte rivelano, in
il
personalit
suoi
ne
si
si
perita
es.,
I,
dizi
al racconto,
come son
quelli
sull'ingratitudine delle corti (IL xxr, 37-8) e sulla corruzione dei giudici e degli avvocati (II, xxvni, 51)
e in qualche rapida trafittura
com' quella contro l'uso del belletto (II, xx, 13); si manifesta infine
nell'atteggiamento generale che il poeta assume dinanzi alla sua materia.
Guerrieri di forza sovrumana, armature di tempra portentosa, spade
e lance contro cui non vale difesa, colpi smisurati abbondano in ogni
,
nSvinnamorato.
329
LA LETTERATURA. CAVALLERESCA.
esagerando
sia
le inaudite
avventure
sia
invocando
allorch le ha
capo
di
re Lurcone
Ma
Che
Qui
il
sotto
(II,
xm,
58).
ad un'affettata seriet
l'iro-
nia del sorriso, che spunta tosto sulle labbra sue e dei colti uditori.
Ma altre volte il sorriso scoppia in una risata sonora; quando per
,
laretti indisciplinati, o se
Nel Morgante
il riso
pi contiuuo , pi spontaneo
anche pi
ne\Y Innamorato pi meditato, pi cosciente pi signorile.
Quella sproporzione tra la forma volgare e la materia epica, che abbiamo notato nel poema del Pulci, si incontra ben di rado presso il
Boiardo, il quale assai pi di frequente che non soglia il rimatore tosca-
sguaiato
no
oggettivo
il
ducazione.
Il
il
quanto
alla
fiorentino portato
a scherzare dalla
sua
le
(l,
xxix, 6),
330
CAPITOLO OTTAVO.
costumi cavallereschi, ma si fa
romanzatoci avevano infiorato
il racconto delle gesta degli eroi,
e non sa intendere n apprezzare il
valore se non gli vadano congiunti amore e cortesia. Il riso germoglia in lui dal contrasto fra l'ideale cavalleresco del mondo carolingio e il concetto della cavalleria che la sua mente vagheggia; ha
i
dunque radice
due
cicli,
che base
del poema.
orlando.
Orlando
ancora
il
Oh quanto
(I,
in, 71).
>
di Orlando acquista rilievo dal contrasto colla gentiamorosa di Brandimarte, che soccorso dal paladino in una perigliosa ventura (I, xx, 17), gli poi quasi sempre al fianco. Legittimo
rammenti il lettore
figlio del connubio dei due cicli epici, Brandimarte
incarna in s l'ideale
11 bel ritratto che ne abbiamo riferito dianzi
La rozzezza
lezza
LETTERATURA CAVALLERESCA.
LA.
331
n altro personaggio trattato con pi assidua benevolenza che il delicato sposo di Fiordelisa. Eppure Brandimarte per nascita un saraceno, cui Orlando converte al cristianesimo
durante la comune prigionia. (II, xn, 12 sgg.). Gli che nel poema
del Boiardo la diversit della fede importa poco meno che niente e,
seriet,
come
un
politicastro
Macone
ei
mi ha
di rettorica patriottica
1*
aria di
ambizioni
egli era
non
sia di
(I,xviii, 42),
ma
Ma
E sempre
Lungo
la
in
(II, in,
40).
caratteri
perS onag K
332
CAPITOLO OTTAVO.
In Ruggero
Ruggero.
tale
Alessandro Magno, a
il
nome
di quel giovinetto
il
sangue di
por via della madre Galaciella, si unisce
lui sceso
al
Risa
v,
(III,
namorasse
di
di
Parean
man d'Amore,
avevano un dolce tanto vivo
dipinti per le
Gli occhi
Che
Ne
dir
non puossi, ed
io
non
descrivo.
lo
Rugger rimase
Parendo
Non
Non
e vinto e sbigottito,
tremare
sentissi
il
core in petto,
sa pi che
fare
il
giovinetto,
Con l'elmo
in testa
Smarrito
mo
non
l'avea temuta,
(III,
v.,
41-2).
Loggia
e leggiadra
(II,
mondo
favola al
quando
fa
valore, bont,
tingono ornamento
carolingia.
e
P
^toflat?
amore
di
(II,
segnate
tra'
quali sono
il
s'
Brandimarte
le
imprese
di dodici Alfonsi
di
Napoli,
il
duca
Calabria vincitore dei Turchi (1481), e il piccolo figliuolo di Ercole I, colui che avr onore dalla protezione concessa al gran Lododi
vico
Le donne.
damonte
di altri
Marfsa,
(I,
xxvn,
ogni
eroi ed
Angelica,
il
ha giurato
di
versa da
lei
Angelica:
Agricane
finch
e Carlo
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
333
Ella
il
segnato
di cai
il
Boiardo ha di-
il
xiii,
89);
come
come
morato compie
la
fu
Tisbina
,
il
Sever0
U
sulfg
JJjj a
Ranaldo
ne consol
dice Fiordelisa a
suo Iroldo
se
vendetta dell'amante
di
Antonia Caprara
che nel
Fu
detto che
il
in
donna dura
(169).
fatti
Vero; ma chi ripensi la figurazione degli eroi nei precedenti poemi, non potr disconoscere che l'Innamorato segna anche per questo rispetto un notevole progresso e
ci che pi monta, schiude la via ad avanzamenti
La psico-
logia
xtAVlnnamoralo.
successivi per la
quale l'amore.
lamenti
di
Il
Mam-
briano
di
Francesco
Cieco.
334
CAPITOLO OTTAVO.
dell'arte
applicare
di
alle meditazioni
un re di Bitinia, e narra la guerra da lui mossa a Rinaldo per vendicare la morte di suo zio Mambrino, ucciso, ei credeva a tradimento,
dal sire di Montalbano. Si combatte con alterna fortuna in Francia ed
in Asia, finch
Mambriano,
vinto,
sottomette a Carlo
si
Magno
La guerra
e con-
72
sgg.).
il quale alla fine sposa Carandina, non pi maga. Orlando ed Astolfo, partiti di Francia in trac-
sua
e impossessandosi della
citt,
muovono
tito,
signora,
carattere
Mambriano.
con tanta
prolissit lo
dell'insieme,
viene
numero
di
sette
e per
riusc nelle
le quali gli
furono
La materia
LA LETTERATURA CAVALLERESCA.
335
cano
(xi
come
il
Turpino a guarentire
la verit delle
invenzioni
meno
credibili; anzi
non
si
le
parvenze
esteriori,
non
il
si d un gran
da fare per convertir saraceni e combinare onesti matrimoni
e sa
predicare la fede con la dottrina d'un teologo (xx, 2-50). Il poeta
poi per suo conto sparge qua e l osservazioni morali e sotto il velo
dell'allegoria pretende di dare co' suoi racconti ammaestramenti al
(v,
26); egli
lettore.
al 1554
una notevole fortuna ma non pot avere la
,
il
Mambriano
feconda
Boiardo aveva creata quell'unica foggia di romanzo
cavalleresco, che ai tempi mutati si convenisse, operando la trasformazione delle gravi ed epiche narrazioni, ormai per difetto di nutrimento ideale ischeletritesi sulle labbra dei giullari plebei, in un vago
balocco della fantasia privo per i nuovi lettori di realt storica ma
appunto per questo mirabilmente acconcio a secondare le tendenze della
nuova arte, non ancora oppressa dall'uggia delle teorie e tutta intesa
di
dell'Innamorato.
vitalit
Il
alla ricerca di
squisitezze formali.
Le imperfezioni idiomatiche
e le
stilistiche
CAPITOLO NONO
Hapoli
di
Il
il
Panormita
dmk
a"
napoletana,
d'Aragona.
il
Ferdinando
tempi
ed.
^ lungo soggiorno del Panormita a Napoli fu, abbiamo detto (p. 83),
singolarmente profittevole alla vita intellettuale di quella citt. Dotato
da natura di un umore giocondo, che ne rendeva gradita la compagnia, e posto dalla munifica protezione dei principi aragonesi in conegli attirava intorno
dizione segnalata per autorit e per ricchezza
a s non pure i dotti, ma quanti erano giovani inclini e sufficienti alle
lettere, e trasfondeva in questi quell'amore agli studi classici, che in lui
era stato fecondo pi che di opere insigni di vane promesse. Ebbe cos
nascimento una vera accademia, di cui re Alfonso accolse con faccia
benigna il disegno ed aiut con largizioni il sorgere e il prosperare.
Si radunava in via dei Tribunali nella casa del Panormita o nel portico
che da lui ebbe nome di Porticus Antonimia; talvolta anche nel suo
Pliniano, la villa che il segretario reale possedeva sulla marina di Resina.
Vi si disputava solitamente di questioni filologiche, ch alla grammatica
disciplinarum omnium principi , era fatto il primo posto; ma anche
di storia, di filosofa e di scienze naturali. Gli accademici napoletani
,
non
si
trasferivano interamente,
come
sodali di
le riunioni
337
d' ARAGONA.
erano lungo
la
strada, inter-
passanti sui fatti della giornata ed osservavano con benetoIo sorriso il devolversi della vita popolaresca. Il Panormita rallegrava col suo brio la conversazione, solito com'egli era, pi che ad
rogavano
GiovanQ
t
^J
(1
3)
negli ultimi anni di sua vita. Costretto dagli odi aviti, dalle civili di-
si
di
re Alfonso
Aragonesi: re Alfonso
egli
gli
tempo
aveva
conferito
un
ufficio
nella regia
Angioini in qualit di promagistro camerario (proministro delle finanze) e combattuto a Troia (1464). D'altro canto aveva levato fama
di s per il suo merito di letterato o,nde al preclaro poeta messer
offerto nel
Fu
Masuccio dedic
labria,
il
il
di lei
opera
conchiusa nel 1484 la pace di Bagnolo; e due anni dopo, ai 12 d'agosto del 1486, fu da lui, che lo aveva negoziato, soscritto a Roma
trattato fra re Ferdinando ed Innocenzo Vili: fatale trattato, che
il
spinse i baroni alla congiura tristamente celebre e spian al Pontano
sua fu
ad onori pi cospicui.
Ferdinando I d'Aragona ha nelle istorie del secolo XV nome di
Ferdu
nd
principe malvagio e crudele: non immeritamente, ch durante il suo d^r a 0 na
g
1458 - 1494
il
popolo
fu
dai
balzelli
reggimento
aggravato e dissanguato
onerosi
e dalle regali incette di derrate e la reggia napoletana fu bruttata
la via
<
Rossi.
La
lett. tal.
nel sec.
XV.
22
338
CAPITOLO NONO.
e sacri;
miniatori
li
segnate; e le candide
perte
fregiavano
volgari,
di iniziali e di figurine
membrane erano
classici
finamente di-
rico-
di
si
Porzio,
uomo
a
di stato dal
era, dice
letterati
che da
maestro
il
ufficio,
Pontano
uomo
Or quando
sul Petrucci, reo di complicit nella congiura, piomb fulminea la vendetta di Ferdinando, il Pontano fu chiamato a succedergli.
Gravi di timori e di sinistri presagi corsero per la casa d'Aragona
dieci
corte.
,,
339
D'ARAGONA.
mettendo
il
re in sospetto, intralciavano l'opera sua, In nome del vostro Diabolo , egli scriveva al eluca di Calabria, abbiate l'animo grande;
libri.
XV
rallegrarsene
a
a
malgrado
della
ripugnanza del re, giudicasse allora necessaria l'amicizia del papa, ncora di salvezza nelle gravi contingenze che apparivano prossime. Anch'egli per vero era fieramente avverso alla potest civile e all'intromissione dei pontefici negli affari mondani, n si stancava di ripetere che governar li stati temporali, spettava alli re ma in lui la
verit effettuale la vinceva sulle teorie e sulla tradizione antipapale
che le lunghe lotte avevano creato nella corte dove avea trovato asilo
il forte oppugnatore della donazione costantiniana.
Successo ad Innocenzo Alessandro VI, il Pontano intese che non
era da fidare se non nelle proprie forze ed esort il re a preparar la
difesa, in un memoriale spietatamente acuto nell'analisi della fosca
',
realt e spirante
animo
tar anno; e lo
Turco
Sete
Spagna
vi correr addosso,
come fanno
le
vecchio
non
mosche
v'aiuall'in-
fermo. Sicch al ben dire aggiungete lo fare, che voi dire ben pro-
Non
li Pontano e
Ferrandmo avevano mantenuto nel suo ufficio, chin il capo alle ne- ^aro viii.
cessit dei tempi. Chi consegn al bastardo di Borbone le chiavi di
vedere.
vi fate
,
?
Castel
,
'
chi
in
un'orazione
signific
340
CAPITOLO NONO.
Cari Vili L'omaggio del popolo napoletano; chi per La lunga pratica
avea del Regno giov al conquistatore aell'inquBrir alcuneco.se ;
chi intae in
nome
cingente
le
il
senso dell'onesto, procurava scusarsene dinanzi alla sua coscienza,
ripensando, quasi per sottrarsi all'obbligo della gratitudine
servigi
i
,
suoi concittadini e non disgustare il vincitore, pu ben merinostro compatimento, non le nostre difese.
Tornati a Napoli gli Aragonesi ai 7 di luglio del 1495, il Pontano,
cere
a'
tare
il
naturale,
non riebbe
l'ufficio
pur troppo ancor tanto da poter dedicare una delle sue ultime
opere a Consalvo di Cordova
il traditore
del giovine re Federigo.
Mor nell'autunno del 1503.
Qual nella vita pubblica, tale egli fu nella vita familiare. Am teneramente Adriana Sassone, che aveva menato in isposa nel 1462; la
ador e vezzeggi madre de' suoi figliuoli e nume indigete della sua
casa; morta, la pianse con lagrime sincere e ne vener la memoria
finch ebbe vita. Eppure non seppe sagrificare a quell'amore gli appetiti del senso che lo trassero a violare la fede coniugale
non si vergogn di scherzare in un dialogo pubblicato l'anno stesso in cui gli
mor la diletta compagna, sui dolori che egli le aveva recato; n quel
sincero e durevole rimpianto lo trattenne dal gettarsi nelle braccia
d'una concubina, certa Stella da Argenta, dalla quale ebbe frutto di
nauseante lascivia senile, un bambino che mor in fasce. Gli che in
lui un egoismo volgare era impulso e limite ad ogni affetto ed il senso
sopraffaceva quasi sempre il sentimento, talch come per interesse e
per paura ruppe fede a' suoi re, cos per insaziata bramosa di piaceri
all'umanista
al
alla moglie. All'artefice di versi di classica tempra
affari,
zattere
Pontano
filosofo
contemporanei, troppo
facili,
sappiamo, a confondere
ma
col buono,
perdonarono
remmo ad
non turber
l'uomo
il
le
colpe dell'uomo;
nostro giudizio
perch
sul poeta,
ci
il
bello
industrie-
La condanna
siili'
umanista
del,
sul
filosofo.
ubn.
11
m
il
Pontano cominci
onore
il
nome
di
lui
come
di
un
mezzo
NAPOLI Al TEMPI
FERDINANDO
DI
341
D'ARAGONA.
non
vi
mancauo
le poesie scritte in
nome
anche
gli
Nera
della sua
quale
ei
vedeva
le
il
De quercu
dare, in versi di
come
memoria
ancora
in patria
elei
presso
quando compose
al
pioppi e della
la
bella
il
dio
ei la cogliesse
quercia. Ecco gi
il
Pontano
Deferri? Scio;
Amas
Vivit
mundior elegantiorve.
te
(1)
patia
umana per
il
il
mondo
esterno.
Non
gli
manca
Ma
la facolt di
riprodurre
a chi vuoi mai, o colomba, essere data in dono ? Ah, lo so ; perch la fanciulla
n v'ha al mondo creatura pi linda e pi elegante. Tu
sarai la sua delizia ed ella ti amer pi de' suoi lucidi occhietti, n le star tanto a cuore
(1)
mia
ti
sua sorella.
Tu
le
^
t
delia
Natura
pontino.
CAPITOLO NONO.
immediatamente
(lelL'acque;
antri,
ma
la bella natura,
riso delle
il
arene fra
mare
silenzio del
ama dar
susurri blandi
gli
echi
degli
forma
di ninfe leggiadre,
atti
rammentano
la
poetici procedi-
menti del pensiero antico e crea simbolici miti che appunto perch
e fuggevoli
non perdono il carattere di figurazioni
concrete, n la loro efficacia rappresentativa di vive e dolci impressioni.
Codesto modo di concepire e ritrarre il mondo esterno diede nascimento alla Lepidina, poemetto in esametri di squisita fattura, nel
quale il Pontano celebr le nozze del dio fluviale Sebeto colla ninfa
Partenope. Adempiva cos una promessa fatta in sulla fine degli Amocandido giovinetto fosse da
res, l dove avea narrato come Sebeto
Nereo trasformato nel fumicello omonimo in punizione de' suoi furtivi
amori con una Nereide.
Il poemetto s'apre con un idillio di ineffabile vaghezza. E scena il
boschetto verde e fresco, ove, gi tempo, Lepidina e Macrone, due
si scambiarono i primi baci d'amore.
villici del contado napoletano
Vi si ritrovano ora, mentre recano agli sposi i cloni nuziali, e ripensano con infinita compiacenza quei dolci momenti e riandano il corso
,
tutto personali
blandizie
anche
allietata di infan-
Lp.
Has
Quum
Mac.
Lep.
il
Partenope e rassicura Macrone
teme di essere ammaliato da questa
e divelto dalle braccia della moglie diletta.. Ed ecco avanzarsi un coro
di uomini e di donne che esalta i gaudi dell'amore e le giovenili bellezze di Sebeto e della sua ninfa; e poscia dispiegarsi sul mare, per
le rive, pei seni la pompa delle Nereidi: la cerula Posilipo,. Mergellina
le lodi di
il
diedi a te
una rosa
e tu fragole a
343
D'ARAGONA.
le stragi del
crone e
intona
di
il
crone arrivano
sobborghi
triste
di Napoli,
per
la
finch ella e
morte recente
di
MaFo-
il
amantum
(1).
sua ninfa parla colla tenerezza con cui si parlerebbe ad una persona
cara e nei Versus lyric, piccola raccolta di saffiche veramente piene
di impeto lirico, la invita a celebrare con lui il ritorno della stagione
Ecco venir la bella Antiniana, onore delle ninfe, vergine ricca di mirti, e pe v suoi
bn nota, famosa pel timo e soprattutto famosissima per il miele. D'ogni dove accorrono amanti tratti dalla fama di lei e molti la desiderano sposa senza dote. Ma ella accarezzando il vecchio, desidera il vecchio; sul tono ch'ei le d, guida le danze, e lieta canta il
carme che ha studiato negli orti la giovent sta a guardare oltre la siepe ammirando. Indi
ella s'avanza sola e pomposa nel passo superbo ed invita il vecchio, ridendosi dei sospiri
degli amanti.
(1)
serpilli
344
CAPITOLO NONO.
la esorta a dir sulla cetra le lodi di Napoli,
fiorita,
la
chiama gi dai
Mergel-
lungo la spiaggia del mare. Ed Antiniana diviene il principal personaggio della Lepiclina, poich tutto il poemetto si appunta nell'epitalamio ch'ella intona
e il coro delle fanciulle e dei garzoni risponde
lina
gi
si
Hende-
Amores
quest'altra fonte di
della volutt
ispirazione dell'arte
yiiab
osserv negli
come cantore
accadeva che
a'
tempi
tal
di cui
andasse Lucrezia
vi
che
gli
mandavano
quel corrotto consorzio. Dal molle ondeggiare degli endecadal lene martellare di
dalla carezza dei frequenti diminutivi
letizia di
sillabi,
un
soffio di
calda sensualit.
E come
il
poeta vedeva le Cariti, classiche dee della grazia, guidar le carole delle
fanciulle danzanti all' ombra dei mirti sulla marina di Baia, cos di
classiche grazie fioriva i suoi versi, mentre trovava immagini delicatis-
nore
gali
'
sime per esprimere l'ebbrezza dei sensi. Nello sfondo guizza e fa plauso
il sorriso voluttuoso della natura circostante.
Leggiadri senza dubbio questi due libri di endecasillabi ma se alcuno li legga continuatamente da capo a fondo, anche sazievoli per l'u;
elegie intitolati
liare,
De amore
originalissimo.
Il
primo
coniugali, vero
componimento ne
le
NAPOLI
AI
TEMPI DI FERDINANDO
D'
315
ARAGONA.
seguire
alla
non parer dimentico della famiglia; augura prossima la pace -e dolcemente si abbandona a pensare la letizia delle domestiche accoglienze.
Nei giorni di Natale, di capo d'anno e della Befana, quando pi punge
il desiderio della famiglia, egli si raffigura la sua Ariadna sconsolata
nella casa ove tutto le parla di lui, e la esorta a star allegra, almeno
per non rattristare i figliuoli, e ad adempiere ilare i suoi uffici di madre.
Preghi colle bambine il cielo per lui, faccia che la casa splenda di feprepari la mensa copiosa ma non ricercata
bruci il
stiva lindezza
lauro, compia gli altri riti familiari e beva al suo prossimo ritorno.
,
al
con-
tento di poter vivere nella quiete idillica della sua Antignano, atten-
dendo
lo
ai lavori della
chiassosi della
parto recente
e vezzeggia
culla,
con
af-
il
Somne, veni;
tibi
Sorane, veni
segue in questa e nell'altre a baloccarsi col latino colla stessa disi baloccano coi loro volgari nelle ninnenanne, e, come in queste suol farsi, ad accumulare e strascicare ingenue persuasioni per indurre il bambino alla calma le carezze delle
sorelle, l'esempio della cagnolina che dorme
l'appressarsi della balia
dai seni ricolmi, le minacce dell'Orco ai bambini cattivi.
Ispirati da affetti che raramente erano prima stati espressi dalla
poesia, i libri dell'amor coniugale sono il capolavoro della musa del
Traduco letteralmente
alla
ti
346
CAPITOLO
Pontano.
NONO.
moglie.
Altre poesie
familiari
Lucio mor che non aveva ancora trentanni nel 1498 e lo strazio
p acj re p er q ue lla sventura ebbe la sua espressione lirica in una
breve serie di poesiole, i Versus jambici, che l'affinit dell'argomento
strettamente collega ai libri dell'amor coniugale. Il Pontano, nella sua
'
gi Eridani.
il
e abbandonasse
baci di
sotto
gli
una
alberi l'arco
gli
strali.
in quei
Dei quali
valse
era di Argenta, sappiamo
per piagare arditamente
Pontano. Con siffatte finzioni mitologiche egli. colorisce la storia
del suo amore, ma pi spesso lo effonde direttamente nella voluttuosa
contemplazione delle nude bellezze di Stella od in inviti ardenti di
desiderio. Adriana ei non l'ha dimenticata; ma la prega di concedere
quello svago alla sua vecchiaia. La morte ha spezzato i vincoli coniugali; l'amore, che vive oltre la tomba, li riannoder quand'egli l'avr
raggiunta nell'Eliso. Contradizioni, che non fan meraviglia a chi giudichi rettamente del suo carattere.
che a malgrado delle sue scappatelle il
L'affetto per la famiglia
r umu n
Pontano sent con una vivezza in lui naturale, vibra di frequente anche nei Tumuli. Quivi abbondano gli epitaffi per Ariadna e per Lucio
ve n'hanno per una sorella del poeta, per il padre, per la madre, per
Stella
si
lui, il
347
D'ARAGONA.
e seguita, consacrando a
lei
il
fuso, la conocchia,
neri
il
lino,
suoi capelli
i
,
monili,
le
il
sue ce-
componimenti lamentano la
Amores e negli endecasono satirici ocl epigrammatici, ed altri infine egli scrisse
tomba di colleghi d'accademia o d'amici. Mentre visse, il
morte
sillabi;
altri
ad onorar la
Panormita ,
Muse
e sulla lira a
lui
rino
zeffiri
primaverili
soave tinta
perfino
idillica,
dei Cristiani;
il
onde chiudendo
dolore, perfino
il
la raccolta delle
pauroso mondo
di l
cantare:
Non unquam
Ma non
soltanto
morte; anche
il
il
(2).
E mirando
dopo
le
prendi questi panieri e questa lana pettinata che ti dono ; colla lana
anche queste lagrime. Figliuola, prendi e l'ago e il filo e prendi i lini
tessuti; con questi e con quelli gradisci anche queste lagrime.
(2) Voi dunque, o giovani, che leggerete le mie inezie e gli scherzi della delicata Talia,
pregate quiete alle mie ceneri
Sia lieve la terra n manchino giammai e rose e viole
sull'urna, e la moglie tua, beata, intrecci teco eternamente carole *ei campi Elisi e intorno
ti scorra l'ambrosia .
(1)
Figliuola,
348
CAPITOLO NONO.
vedeva Ja Fama scorrere in ampi voli fra le genti divulgando con voce sonante il suo nome e la dea della Pace recar fronde
d'oliva .sulle sue ossa per far onore a colui che aveva incatenato la
guerra e ridonato ozi tranquilli alle terre d'Italia. Con queste immagini simboleggianti un pensiero caro agli scrittori romani, egli chiude
acconciamente un poema didascalico, nel quale concetti scientifici sono
esequie,
giate su quelle.
L'Urania.
H Basinio nell' Astronomicon aveva preso ad imitare Manilio, aridamente, senza alcuna vivezza di rappresentazioni. Il Pontano nei cinque libri dell' Urania tratt gli stessi argomenti dei pianeti, delle
:
ma anim
ebbe
nell'
la
fredda
ma-
esametro armo-
morfosi spiegano
libri
De rebus
nando, che coltiv sempre con amore gli studi astrologici ed astronomici. Infatti tradusse e comment con largo corredo di dottrina le cento
.
sentenze
cui
(I)
con
il
Cosi tutta la natura muove dall'alto e segue leggi scritte dal Cielo. Dio stesso guarda
cose mortali.
D'
ARAGONA.
la giustific dalle
349
libro,
breve
il
dell'uomo.
le azioni
modo
di
n Kb
eeo oru
'
ap-
pendice un libro Meteororum, cui danno argomento i fenomeni atmosferici. Quivi la trattazione assume un aspetto pi scientifico che non
abbia nell'Urania e le favole pagane sono in generale semplice accessorio esornativo. Alle mitiche finzioni torniamo nel poemetto in due
libri
De
hortis
Hesperidum
non fu
e il De horlis
HpsP ertdum
-
ter-
minato prima del 1501. Ivi il poeta narra come nei giardini dell'Eil morto Adone fosse, per volere di Venere, trasformato in una
pianta di cedro e come Atlante la trasportasse sui lidi del Mezzogiorno
d'Italia. Poi intreccia ai precetti sulla coltivazione e alle notizie sulle
speria
Patulci e Antiniana
Un
si
studi
prosa latina. Egli odia i moralisti accigliati e intolleranti e, come l'Alberti, vuole che la virt sia dolce, mansueta, pronta ad acconciarsi ai
tempi e alle circostanze, paziente di qualche torto (De bedienlia, IV, 17).
Anche per lui la miglior regola di una vita morigerata il giusto
medocritas, onde insiste fino alla saziet sul concetto ariche la virt un quid medium fra due estremi e lo applica
e svolge largamente nei due libri De fortitudine, nei cinque sulle- virt
che hanno per materia il denaro (liberalit, beneficenza, magnificenza,
splendidezza
ospitalit) e nei due intorno alla magnanimit. Libero
dai pregiudizi dei moralisti medioevali, egli pone nei sensi il primo impulso delle azioni e quindi considera le passioni e gli affetti come i
primi elementi della virt ( prima quaedam virtutis rudimenta ),
per ci che l'uomo primamente manifesti i suoi buoni abiti nel sedare
e. nel reggere le passioni e gli affetti (De fortitud., I, 2). Codesta efficacia moderativa deve essere esercitata dalla ragione direttamente o
mediatamente per via della prudenza, la quale, alunna dell'intelletto e
mezzo,
la
stotelico
trattati
fllosoflci *
quell'idealit egli
CAPITOLO NONO.
regolatrice dell'operare, tramezza fra le virt intellettive e le morali
p. 503). Chi vive secondo ragione, in un savio con(T azione e di contemplazione
vive bene e pu dirsi
non
n della virt, ma
che reca all'uomo il trionfo della ragione sul senso
{De prud., I, 17-9). Questi concetti informano la filosofia del Pontano,
ma precipuamente il trattato De prudentia, che, composto fra il 1495
e il 1500, raccoglie e svolge pi largamente d'ogni altro le teoriche
l'elice,
poich la
felicit
della soddisfazione
dell'autore.
beilo
\i
apohtano
non
ma
umbro ama
aneddoto e ne narratore
suo pieghevole e punto schifiltoso latino. Tale
egli si rivela pure ne' sei libri De bello neapolitano, storia della guerra
di re Ferdinando con Giovanni d'Angi, composti dopo il 1494, e nel
trattato De sermone. In quelli gli episodi particolari e curiosi tengono
1'
.j
sermone,
questo,
il
De sermone,
il
logico concatenamento
addirittura pi
che un'o-
tas, ecc.,
napoletani.
suir urbanitas
veracitas la facetudo o facetison tanti che a' sei libri pontaniani bene si addice un posto accanto alle Facetiae del Poggio.
In fronte ad alcuni dei trattati filosofici test esaminati stan nomi
cap a ^ a s t 0 ria delle lettere nostre ad Azio Sincero, il Sannazzaro,
riuscire gradito
Accademici
di piacevoli racconti.
ma
gli
esemp
la
illustrativi
intitolato quello
De
lber alitate
l'opuscolo
De Magni ficentia
Ga-
NAPOLI
AI
TEMPI
DI
FERDINANDO
351
D'ARAGONA.
stumanza delle riunioni iniziatesi sotto gli auspici del Panormita. Elegante poeta latino, l'Altilio godette i favori degli Aragonesi e in un
epitalamio famoso indusse fanciulle e ninfe di stirpe pontaniana a lamentare la partenza dell'infelice Isabella, sposa di Giangaleazzo Sforza.
A Tristano Caracciolo, gagliarda tempra d'uomo e eli scrittore, danno
buona nominanza i suoi opuscoli di storia napoletana e, pi assai, il
libro De varietale fortunae, dove con vigore taciteo ritrae quella
che il Burckhardt disse la tragedia della vita italiana del Rinascimento. Nulla scrisse il Poderico, ma era uomo di buoni studi e di finissimo gusto; e l'Acquaviva (1458-1529), guerriero insieme e letterato,
era duca d'Atri
rappresentava fra quei dotti la nobilt feudale
piegata dai nuovi tempi al culto degli studi. Con questi e con altri molti
convenivano nella casa di via del Purgatorio ad Arco il Marullo, inneggiante, sappiamo, alle mitiche personificazioni epicamente descritte dal
Pontano neh" Urania, Giovanni Eliseo, in accademia Elisio Calenzio, garbato dipintore ne' suoi copiosi versi latini, di scene villerecce e di alpestri
paesaggi, Pietro
Summonte,
il
come
dittatura illuminano
fu osservato
magine
delle
dell'eletto drappello.
a dissertare sui sogni e sulla veracit delle visioni, alla quale credeva.
Se non che legge dell'Accademia (porticus ipsins lex est), che a tutti
sia
pone
certi dubbi sui primi versi del quarto libro delle Georgiche, Tristano
il
Cariteo
Elisi
raffrontandoli al Paradiso
espone
le dot-
trine di
Dialoghi
Ae v ldtus
CAPITOLO NONO.
352
YAciius,
in cui
dialogo
si
intitola,
monte
e da alcuni altri.
ma
sono
dialoghi
rallegrati
che
si
il
VA.unus,
la
possa. Ci
vendetta, sotto
duca
il
di Calabria,
il
Porzio
prender
suo discepolo
non
oste,
ai grossi
mento a
Dio.
NAPOLI AI TEMPI
parti,
per
la
bella
Di
FERDINANDO
353
D'ARAGONA.
contenuto
al
le
XV.
Quivi
come
non lunghi
sproloqui,
nella conversazione
ma un
il
secolo
non si crederebbe possibile in una lingua morta. L'osua ciarliera allegria, il corriere che passa recando la notizia
della pace e dell'imprigionamento dei baroni, quegli inglesi che l'oste
riconosce al vestito e all'andatura e s'appresta a spennacchiare, sono
seggiare, quanta
ste colla
La
il
studiatamente affettata e
greco
conversazione volgersi a materie letterarie. Il primo ragiona intorno a due
questioni rettoriche e contro l'opinione dei grammatici che anteponevano Quintiliano a Cicerone, si studia di mostrare come questi le risolva pi sennatamente di quello; il Calenzio poi difende Virgilio dalle
censure di Favorino. di Gellio e di Macrobio e con minuta e finissima disamina estetica paragona la descrizione dell' Etna contenuta nel primo
dell'Eneide con quella di Pindaro e mette in evidenza le pi riposte bellezze della pittura virgiliana. Che mala gena codesti grammatici vecchi e nuovi
Il Panormita li paragonava a botoli
che si abbaruffino
per gli ossi o le briciole che cadono sotto la mensa; ora i discepoli di
lui non sanno trovare parole che bastino a detestare la loro presunzione e la tracotante ignoranza. Al Contrario e al Calenzio tengono
bordone, rincarando la dose delle contumelie, il Compatre e gli altri
della brigata. Finiti quei loro discorsi, arriva Suppazio reduce da un
viaggio, nel quale era andato per tutta Italia in traccia di uomini dotti.
E il suo racconto tutto un guizzare di strali satirici: a Siena trov
lo stato in mano eli giovinetti; da Prato, dove si celebrava la festa elei
sacro cingolo, scapp via spaventato, perch non v'ha scabbia pi scabbiosa della superstizione a Firenze vide donne non d'altro studiose che
di acconciarsi bellamente, e i magistrati intenti a pesare con diversa
e in latino e
non discaro
alle
Muse, ed
in
Elisio Calenzio, e la
Rossi.
La
tett.
ital.
nei
sec.
XV.
23
VAniomus,
354
CAPITOLO NONO.
di
conteso
il
guadagno. Ora
il
buona
che
la
gli
occhi.
capitato in mal
punto,
della
assume
vita
si
che ne fu principale
faceta rappresen-
di strada e la satira,
pi diversi atteggiamenti.
Ora
che
ed ora frizzo
magagne
delie corti
passa rapido
;
mordendo
ed ora invettiva fiera contro i grammatici. Uomini di chiesa e grammatici sono fustigati pi duramente che ogni altra classe di persone
anche nel Charon un dialogo di stampo lucianeo che scritto forse
prima dell' Antonius, fu pubblicato pur esso nel 1491. La scena sulle
,
dei cipressi
il
all'
ombra
difetti
umani,
il
vizio dell'ingratitu-
D'ARAGONA.
355
I,
195) allegando la testimonianza di Enosio, il cantiniere
che Orazio gli aveva dichiarato di essere stato astemio e
d'aver tanto lodato il vino in onor di suo padre, il quale non potendo
vincere colla voce i suoi colleghi banditori, li superava nell'alzare il
gomito; che Lucrezio aveva una grande tenerezza per i grammatici,
perch erano matti come lui; che una sola cosa non gli era venuto
fatto di sapere neppure da Cesare, se in treis o in tres partes s'abbia a dire divisa la Gallia Poi Caronte interroga ad una ad una le anime
stipate nel suo legno, e se ne sentono di belle. Una meretrice di Cipro viene al giudizio col suo amante, un vecchio cardinale; c' un
frate che pass da un ordine all'altro non so quante volte per poter
meglio gabbare le donne; un vescovo, gran mangiatore e usuraio, porta
gi all'Inferno il pondo del suo gran ventre; una povera fanciulla,
che sar salva, narra con quali arti un prete l'abbia sedotta; c' infine un toscano, filosofo solitario, che pass la vita ridendo di tutto e
di tutti e procurando di non lasciarsi mai soggiogare dalle vicende
umane, s da tenersele sottomesse. Questi addita a Caronte altre ombre di sua conoscenza e parla della virt con istoica saggezza. La
barca del bruno nocchiero tocca intanto riva e il dialogo finisce col duplice canto delle ombre cattive e delle innocenti.
Nel Charon la satira non pur colpisce fieramente gli ecclesiastici,
ma si inalza sino a sfiorare e a toccare la fede religiosa. Al Pontano
non basta mettere in canzonatura i cristiani Saturnali di S. Martino,
che del resto egli stesso non rifuggiva dal celebrare (Hendecass. I, 17;
Erid. I, 35), e la festa del porcello che si faceva ogni anno in tutte
le chiese di Napoli, ma biasima l'usanza degli ex voto e l'abitudine di
tutxo riferire a Dio, anche i minori eventi. La superstizione, che il Pontano dice, come neY Urania, figlia d'una vana e fredda paura di
comprende per lui quache cosa ,di pi che le volgari credenze
Dio
delle donnicciuole e dei bambini. A Minosse fa dire che non colle de-
rore (Aen.,
di
Enea
Il
Pontano
e Ia chiesa '
si
al
dogma
ma
coll'innocenza,
pone
sulle labbra di
cattolico della
remis-
1187).
Masuccio ?
con cui si mettevano ahV berlina
perch col pi che- altrove la religione
era divenuta e si mantenne superstizione. Poco dopo la> morte del
Pontano, il Galateo combatteva nell' Heremita fantasioso dialogo, le
tradizioni religiose cattoliche, affermava che tutti gli uomini e i santi
stessi sono del pari peccatori e negava alla Chiesa il diritto di condannare. Si direbbe, osserva Eberardo Gothein, acuto indagatore delle
opinioni religiose dei Pontaniani, che l'autor del dialogo fosse un fervente luterano, se la chiusa non fosse un inno di lode alla Vergine.
libert
le
brutture
ricordate
della Chiesa, e
CAPITOLO NONo.
Il
La guerra
Pontano
cllO il Fontano Combatte COll implacabile pertinacia COngrammatici, non forse se non una postuma eco dei dissidi tra
Panormita ed il Valla, rinvigorita dalla ripugnanza che nel geniale
grammatici. tro
il
poeta
i
di
Lepidina destava
cialmente contro
Valla
il
la critica
talvolta
romano tormentavano
si
una
di
ghevolezza
il
sembrano piegarsi
alle necessit
ritmiche
Letteratura
a"
Ki
Gli accademici
non
fastidivano,
abbiamo detto,
lo
spettacolo della
osservavano con occhio benevolo ed il Pontano si dilettava di riprodurne le scene nel latino de' suoi dialoghi. Non
la dunque meraviglia che l'immediata rappresentazione di quella vita,
non paresse sollazzo al tutto indegno di elette radunanze e che mentre il Panormita e i discepoli suoi ripetevano sorridendo giaculaper es., i versicoli onde i Pugliesi si aitorie e scongiuri plebei
vita popolaresca, anzi la
NAPOLI
gomentavano
nius
p.
di
1198)
TEMPI
Al
Di
FERDINANDO
357
D'ARAGONA.
guarire chi fosse morso da un cane rabbioso (Antoaltri porgesse ascolto alla lirica del popolo e ne
Appartengono
agli ultimi
tempi
donne
elei
oppure alcuni di
che abbiamo visto rallegrare
sola che ci si conservi nella
condizione
bassa
di
anche
sua integrit, messer baglivo, il giudice, risolve -col'aiuto di un medico una lite poco pudica sorta fra due giovani sposi; un'altra, che fu
recitata, non si sa bene quando, alla corte, metteva sulla scena un malato,
tre medici, un garzone e una fattucchiera; una terza quattro villani, quali
altri .
Quella de un mercante
quale vende due schiavi uno masculo-et una femina era un semplice
monologo; in un'altra altercavano fra loro due pezzenti. Sebbene di
tutte quest'ultime
non sappiamo
se
non
titoli
fermo che fossero per contenenza e per foggia affini a quella che fu
rammentata per prima vivaci e spesso sboccate rappresentazioni di aned:
forme
un idioma
tutto
rima
brulicante di parole e di
al
ca-
anche d'una farsa del Caracciolo scritta non prima del 1514, della
quale conosciamo ampi frammenti e tali i caratteri delle farse cavatole, continuatrici, pi tardi, delle commediole fiorite sullo scorcio del
Quattrocento. La lesta combinazione di un parentado per opera d'una
comare l'argomento, la stipulazione del contratto nuziale e la celebrazione del matrimonio sono lepidi episodi di quella; queste, le cavatole, ebbero nome dagli abitanti della Cava, terra in quel di Salerno,
che vi erano rappresentati come uomini di grossa pasta e fatti segno
a scherni, a trafitture, a motteggi. Due cavaiuoli sono gi in una
farsa del Caracciolo, ma la maggior voga di quei componimenti fu nel
secolo XVI, quantunque i saggi che a noi ne pervennero, siano rifaratteri
prediletto. Nella
Farsa de
lo
il
momae-
narrativa.
Le
farse,
358
Quando
'
CAPITOLO NONO.
la
durante
Panormita,
gletti
il
munificenza di re Alfonso faceva rifiorir gli studi netempestosa dominazione degli ultimi Angioini, e il Valla,
il Fazio con altri minori
venivano preparando la tempe-
la
per la letteratura
in
nelle povere
di
?)
compose
pochi suoi versi certo prima che nel 1462 egli dovesse fuggire dal
reame col vinto Giovanni d'Angi, di cui aveva seguito le parti contro
il suo re. E gi in quel tempo rimavano un Coletta, forse calabrese,
i
Francesco Galeota e Pietro Jacopo de Jennaro, i nomi dei quali si incontrano insieme con quelli di Francesco Spinello, di Michele Rica,
di Giovanni de Trocculi e d'altri ancora nella silloge poetica raccozzata circa il 1468 dal conte di Popoli, Giovanni Cantelmo. Erano, i
pi, gentiluomini che tenevano gi o tennero poco appresso uffici nella
corte o nell'amministrazione del Regno e si piacevano di rimare su
materia amorosa o faceta o satirica e di corrispondere fra loro in versi
in nome proprio o di donna, rimbeccandosi a vicenda talora con modi
aspri e inurbani. Nella raccolta del conte di Popoli sono strambotti, plebei per contenenza e per forma, e sonetti petrarcheggianti; ma pi vi
abbondano le ballate ottonarie con la ripresa tetrastica e le strofe svolgentisi per due mutazioni distiche ed una volta rimata come la ripresa
{xyyx, ababbxxij), ballate alle quali quei rimatori sogliono accodare
mio strambotto che ne riassume il pensiero e riprende le due rime
(o almeno una) del ritornello. Il metro agile e semplice, la lingua ricca
di forme dialettali e l'ingenua grossolanit delle immagini suggerite
dalla realt danno a codesti componimenti una vivezza non isgradevole
e serbano loro la svelta andatura della poesia popolare. Un incerto
verseggiatore, forse il conte di Campobasso, compose la ballata piena
ove sotto alle frasi
di rude gagliardia Io' nde tegno quanto a te
aspre ed ai paragoni volgari ben si celano e insieme traspaiono il dolore e il dispetto della non conseguita corrispondenza d' amore. Non
senza efficacia la ballata De dolore io me' nde aneto, lamento d'un
,
NAPOLI AI TEMPI
DI
FERDINANDO
359
D'ARAGONA.
Dei rimatori che abbiamo nominato par che due soli tenessero a
lungo fede alle Muse ed affinassero coli' esercizio la loro arte che
appare ancor rozza nella raccolta del Cantelmo Pietro Jacopo de Jennaro e Francesco Galeota, ambedue della pi alta nobilt napoletana,
ambedue spesso chiamati dalla fiducia del re ad onorevoli ambascerie
:
e commissioni.
Il
De Jennaro
1436-1508
),
signore
della
Rocca
delle
Fratte
p. j.
De
(nXfsos').
tazione
dantesca
componendo
tra
il
un
Ammiratore
fu
3(30
CAPITOL NONO.
agili
quando
^ e Jennaro
lira.
scam-
nel
del Galeota.
qua canta
E composto
gli
trice Cassia, l
Grave
di erudizioni e
il
canzoniere
pur ora. Anche il Perleoni ha redato gli artifici estefreddamente le idee del Petrarca, ed raro che gli venga
fatto di racchiudere in versi di fattura delicata concetti non del tutto
volgari, come, per esempio, nei sonetti ch'egli immagina da s scammentre veleggiava il mare lungi dal porto
biati con una rondinella
suo napolitano.
L'imitazione d'un grande esemplare e l'efficacia che specialmente
sugli strambotti e sulle ballate ebbe la coeva fioritura di queste forme
in Toscana, agevolarono al De Jennaro, al Galeota ed al Perleoni l'uso
della lingua letteraria, che in essi raggiunse, bench non sia scevra di
elementi dialettali, una cotal relativa purezza. Di forme e suoni napoletani non meno che di latinismi, brulica invece il breve canzoniere,
quasi tutto di sonetti, di Giannantonio de' Petrucci, conte di Pollama lo stato
stro. Vi si scorgono bens tracce palesi di studi classici
d'animo che lo ispir, gli diede una spiccata impronta personale e non
consent che operasse s nella veste esteriore e s nella sostanza di esso
un qualsiasi determinato modello. Travolto nella catastrofe che cost
la vita al gran segretario Antonello, anche Giannantonio suo figlio ebbe
mozzo il capo sulla Piazza del Mercato l'il dicembre del 1486, ed i
suoi versi, composti nei quattro mesi che stette rinchiuso nella Torre
di cui s' parlato
riori e ripete
g. a.
tr
(in.
i486j!
d' ARAGONA.
361
alla vita.
elementi
tutto le sottoposto
gli animali,
Da
mondo
questo
li
piaeiri et stenti,
L'uomo
di
l'amicizia
da
tutti
nome vano
nemico d'ogni
voglia far fortuna deve essere malvagio, presuntuoso
virt. Qualche rara volta scende al prigioniero un raggio di speranza
,
ed
egli
implora
la liberazione
accoramento
e gli amori;
Accademico pontaniano,
netto, in cui
addita s
il
stesso
d'
un
subito rovescio di
dell'et
aragonese occupa
il
primo posto
pei
la
Da
a Napoli tra
il
1467 e
il
il
68. Catalano
come
non venne
in potere di
Ferdinando
Roma un
il
il
reame
{ Cariteo
(U50?-i5i4).
362
CAPITOLO NONO.
da Consalvo di Cordova nominato
Nola (1504) e in parte ripristinato ne' suoi diritti. Mori
governatore
di
nel 1514.
L'opera principale del Canteo V Endmone, un canzoniere petrarchesco, che fu da lui messo a stampa nel 1506 e di nuovo tre
anni dopo, ampliato e ritoccato. Quasi una met ne occupata da composizioni di argomento storico e politico: sono canzoni e sonetti, dove
con molta rettorica e scarsa determinatezza di allusioni il poeta tesse
le lodi de' suoi Aragonesi; sono sonetti, che ci fanno sfilare innanzi
lunga sequela di .gentildonne, d'uomini di Stato, di giuristi, di letterati, di capitani, quasi tutti evanescenti nel nimbo uniforme dell'apoteosi. Nelle rimanenti liriche il Cariteo, Endimione, canta il suo amore
per una dama ch'egli nomina Luna e che par fosse una Chiaramonte
od una Montalto.
L'originalit di codesto canzoniere ben poca, eh lo scrittore
difetta d' ispirazione ed tutto intento a consertare ingegnosamente
e reminiscenze delle sue copiose e svariate letture. L'efficacia del massimo lirico italiano appare di continuo nello stile, nelle immagini, nella
lingua, nella metrica, bench sia raro il caso di imitazioni che riconducano ad un unico modello petrarchesco tutto intero un componimento. N difficile spiare le tracce dell' amore con cui il Cariteo
leggeva la Divina Commedia e della buona conoscenza ch'egli aveva
dei poeti provenzali. Possedeva infatti un codice ancor oggi apprezzato,
forse tradusse quelle di Folchetto di Marsiglia
di rime trovadoriche
e ricalc fedelmente una cbla di lui in una sua ballata. Ma la contenenza della poesia del Cariteo essenzialmente classica: in molti
sonetti e in moltissime canzoni imita e spesso traduce i latini, spe;
mescolando
giosi.
il
Originali
quella intitolata
le
si
giova,
un
ordito platonico, ed un'altra, che probabilmente fu scritta per eccitamento di Alfonso II, quando Carlo Vili stava per valicare le Alpi,
un mosaico le cui pietruzze provengono da Lucano e da Tibullo,
inquadrato in una cornice petrarchesca.
Superiore di buon tratto ai rimatori poc'anzi annoverati per la
scioltezza dello stile e del verso, per la variet degli elementi costi-
sua arte e per la lindura della lingua, il Cariteo sa qualacconciamente le ansie e i dolori che gli d Amore,
esprimere
che volta
con sufficiente vivezza gli spettacoli sereni della
ritrarre
spesso
e pi
natura. Ci nondimeno i pregi delle sue rime non pareggiano a gran
pezza la fortuna di cui esse godettero nei primi decenni del secolo XVI.
La materia poetica, attinta da molteplici fonti, non vi appare riplasmata in un tutto novamente omogeneo, anzi la forma scabra e prolissa dell'esposizione ben lascia vedere le commettiture degli elementi
tutivi della
svariati.
classici
sfiorisce
nell'ab-
epiteti;
363
D'ARAGONA.
alcune immagini, alcune frasi divengono per lui veri luoghi comuni e
si ripetono con un'insistenza che rivela povert di vocabolario e scarsezza
di immaginazione. Egli imita con particolare predilezione gli artifci rettorici e stilistici del Petrarca e par voglia occultare la freddezza del senti-
nache,
si
la prosa,
napoletani,
dottrinali. In
voltura che- gi
s'
stile
novellistico
,e
che
una
si
l'Issopo di
di legge,
era
uomo
assai
men
Francesco
Dei ruppc"
CAPITOLO
NONO.
una cnftrynaUoeiemplaris, cio un racconto attinto alla storia o alle tradizioni sacre o novellistiche, che giova
a comprovare il principio morale svolto nell'apologo ed us una
sioni sue proprie (allegrici)
del Salernitano, ed
Epistole
congegnati con goffo artificio e sfoggiavano immagini barocche e latinismi, i quali fanno strano contrasto
ciuciano
va privo anche
di
il
trattato
De
non
all'
88 e precettore d'Isabella
si
Grame
rielaborazioni
della dottrina
Come
i
si
Jacopo
ro
un
li-
che furono
XV,
ormai,
i45?-
li
fu,
come sappiamo,
tra
prin-
D'ARAGONA.
365
mentre
il
rendevano sempre
duca di Calabria che nel 1482
10 aveva ascritto fra' suoi officiali de Casa e prendeva gran dilo ebbe seco nella seconda
letto dalle recitazioni di messer Jacopo
guerra contro Innocenzo Vili (1485-86), nella quale il giovine poeta
fece le sue prime armi. Vaghissimo di giocosi spettacoli era l'infante
don Federigo, fratello di Alfonso, onde probabilmente a soddisfazione
di lui il Sannazzaro compose i suoi gliommeri, bizzarri componimenti
la serie di endecasillabi con rima
che della frottola hanno il metro
e la contenenza. Sono infatti monologhi recitativi, nei quali
al mezzo
concetti disparatissimi, allusioni a fatterelli della giornata, canzonature
di persone viventi, ricordi di vecchie storie e d'antiche leggende, rie la sua perizia nell'apprestare sollazzi e feste lo
pi accetto
ai
principi aragonesi.
Il
formano
g u omme
il
m
.
Is farse
corte,
366
CAPITOLO NONO.
de'
tificiati
L'Arcadia.
mantenere l'innocente e pia severit dei costumi. Di quella felice regione, avevano talvolta rammentato il nome e le consuetudini gli scrittori bucolici, e Virgilio aveva riconosciuto solo negli Arcadi la virt
del canto (soli cantare periti Arcades, Egl. X, 32-3). Il Sannazzaro,
1
sotto-
nome
fuggire amore>-e>
dolorosi
pensieri
Appena
prende partito
di
abbandonare
caldi desi
more, allo stormire delle fronde, al fr uscio degli uccelli e delle fiere
nelle-macchie, al risonare delle concave grotte e delie valli, se mai
ella venga a contemplare la sua misera- vita, e tutto assorto in quel
pensiero raffronta mestamente il suo statola quello degli insensati alberi i quali da le care vite amati, dimorano continuamente con quelle
in graziosi abrazzari e allo stato degli animali ardenti d'amore (Prosa VII).
>
comuni
367
D'ARAGONA.
tificio il
quando
fin dalla
puerizia
d'innanzi spaventata
il
che
le
'
come a
dire, principal
nocciolo del romanzo. Sincero, pastore egli stesso, prende parte alla
vita degli Arcadi pastori; ascolta gli amorosi lamenti di Ergasto e il
canto alterno di Montano e di Uranio assiste ai sacrifci ai giochi,
alla gara poetica con che si celebra la lieta festa di Pales e alle
pagane esequie del pastore Androgeo e sente Opico e il venerando Ena,
reto, sacerdote di
Pan
il
di
magiche
arti e di
vil-
sepolcro di Massilia, adorno di storie mitologiche e circondato dal sorriso dei fiori,
racciolo cant
un
il
canto che
il
pastore Ca-
XV
il
canto
di
Sum-
o per via
storali e
menti
alle scene.
a'
suoi paesaggi,
movenze
e atteggia-
YAmeto
gli
suggeriva
di
menversi
Elementi
1
JJjr-^rc
a.
^u
CAPITOLO NONO.
:C8
o in una
coli' altre opere del Cer-1alde.se gli ins ellava particometodi descrittivi non che la grave e solenne andatura del
periodo prosastico. Il Sannazzaro modifica, combina, intreccia tutto questo materiale con piena liberta e con una consapevolezza del proprio
intento
che lo stato del suo animo non lascia mai venir meno. Gli
lirici
larit e
mancano
quella fine e, sto per dire, alala eleganza di tocco, con che
Poliziano coglie e fa suoi i fiori educati nei giardini di Roma e di
Grecia, e la spigliata scioltezza di movimenti che lo studio della poesia
il
popolare e l'ingenito possesso della lingua danno all'arte del poeta tola mano pesante e non riesce a nasconder lo sforzo
scano. Jacopo ha
disparati
si
si
effondono
di pastori e
in
giovinetto ven-
falso,
romanzo
mormoranti
tonazione mestamente
ispiratore che
come
la
forma
idillica rivela
di
stilistica.
un costante
dimenticate canzoni
e che d al libro
una ben
definita
impronta
d'animo dell'autore era altra dalla primiera e in lui prevaleva sull'affetto l'erudizione, quella tinta sentimentale si attenua e non rifiorisce
-se non nel commiato col rifiorire delle memorie.
Fra le tante opere noiose che attristano la nostra letteratura, l'Arcala per un lettore moderno una delle pi noiose; ma tale appunto per quelle doti per cui parve miracolo a' contemporanei del poeta,
per l'abbondanza e la variet delle imitazioni, per quel suo star sempre
sui trampoli dell'ammanierato e per quel lusso di ornamenti quanto mai
disadatti alla figurazione d'una vita rozza e primitiva. Pure talvolta
sentimento sa farsi strada tra le fronde della rettorica. Il canto alterno di Montano e di Uranio (egloga II), a malgrado delle reminiscenze
classiche, ha in alcune parti vivacit e freschezza come di canto popolare; la descrizione d'una campagna in sul meriggio, bench imitata
da Teocrite (prosa X), mostra in qualche frase e in qualche parola le
tracce d'un'impressione immediata; nei lamenti e nell'addio di Carino
(Prosa Vili) scorre una tenera vena d'affetto e perfino si attenuano
il
NAPOLI
Al
TEMPI
DI
FERDINANDO
369
D'ARAGONA.
definiti ricordi
La
domestici
il
Sannazzaro
si
attribuisce di maestro
Muse
Quat-
esule nel
Anche
non
gli spetta
di
Calabria.
voga a certe
forme, non fa per innovatore. Il verso sdrucciolo era gi dianzi giudicato, per quel rude martellare del dattilo finale, acconcio al rozzo
linguaggio dei pastori, e Luca Pulci (m. 1471) ne aveva fatto largo
uso nelle ottave del Driadeo. Della trzina sdrucciola che il Sannazzaro adopera insieme colla piana nella IX egloga dell'Arcadia e sola
in tre altre (VI, Vili, XII), s'erano di gi serviti il Pulci stesso in
tutta l'epistola del Ciclope a Galatea, ove tent, come nota il Mazzoni,
di unire in un solo effetto d'arte le egloghe virgiliane e le Eroidi di
Ovidio, e il Boiardo in tutta la sua egloga settima. Ne il Sannazzaro
fu il primo che introducesse nella poesia pastorale la polimetria e con
questa la rima al mezzo della frottola (egloghe I, II, X); ch fino dalla
prima met del secolo Giusto de' Conti aveva composto, e messer Jacopo
non poteva ignorarlo, una vera egloga di siffatta forma ed il Boiardo
nella quinta sua aveva inserito un canto che frottola insieme e terzine.
Ma il Sannazzaro fu il primo, dopo il Boccaccio, che consertasse
insieme e prosa e versi in un vero romanzo pastorale, il quale racchiude s tutta un'allegoria autobiografica e qua e l allusioni oscure
a personaggi e fatti reali, ma non, come l' Ameto, lo svolgimento di
un arduo concetto filosofico e morale mascherato sotto il velame di
rusticane fantasie. Fosse bisogno di quiete veramente sentito dopo il
,
Rossi.
La
lelt.
XV.
Letteratura
"
p
tolgale.
1
italiane del
24
,,
,
370
CAPITOLO NONO.
signi
la
frammenti
meta
pi alta
di
secolo
XVI ne
il
quale tra
il
uscirono non
meno
di
di
liriche
ri
dff
anazzaro
La lingua
recava certo nella prima stampa una abma nell'edizione definitiva del 1504
appare chiazzata solo di rare e lievi macchie, tanto che il Varchi citava ad onore il Sannazzaro come uno di quelli che senza aver mai
visto Firenze scrivevano fiorentinamente. ben probabile che anche
le liriche italiane di lui uscissero primamente dalla sua penna meno
linde che non ci si presentino nell' edizione che il poeta stesso ne
diede fuori nel 1530, quando l'amicizia del Bembo e il lungo esercizio
avevano affinato il suo gusto e s'era gi cominciato a formular le leggi
del volgare. Di codeste liriche, composte le pi in giovinezza, alcune
poche hanno contenenza politica le altre parlano d'amore dell'amor
giovanile per Carmosina e di quello degli anni maturi per Cassandra
dell' Arcadia
371
D'ARAGONA.
la coltura e
do-
rendevano cara
vilmente per isposare Camilla Gonzaga di Gazzuolo
canzoniere,
fatidedic
il
vane
giovanili
Cassandra
e
al poeta. A
tornite
petrarchescamente,
mano
con
elegante
dice
e
com'egli
che ,
,
leggiera sui modelli del grande lirico e di Giusto De' Conti. Pure una
nota personale risuona tratto tratto fra le reminiscenze della vecchia
musica: dalla canzone Or son pur solo e non chi m'ascolti, spira
nelle frequenti
invocazioni alle
piagge, alle selve, alle valli, agli antri che ripetono i lamenti del poeta,
si palesa la sua intima simpatia per la Natura. Riconosci nel lirico
10 scrittor
dell'Arcadia.
nessuno.
Di bucoliche nell'idioma del Lazio la seconda met del secolo
XV
politica,
li
di
sent
reli-
scrissero allora
di morale. Oltre al Boiardo e al Pontano
egloghe latine Leonardo di Piero Dati che in una smaschera l' ipone ha due solamente
crisia d' uu invidioso maledico e nell'altra
descrive le feste fiorentine del san Giovanni Codro Urceo da Rubiera
in quel di Reggio (1426-1500), il carmelitano Battista Spagnoli detto
ligione
Battista
talvolta (egl.
I, II,
III)
rude ed
di allegorie morali,
ma
di
costumi e d'amori villerecci,ed altri ancora di cui non accade far qui ricordo. Il Sannazzaro sostitu ai custodi delle agnelle i pescatori e compose alcune Eclogce piscatoriae, belle di virgiliana eleganza, spiranti
un sentimento vivo degli incanti del golfo. Arridevano (tale in breve
la loro
del
mare e vogar
Miseno in vista
gellina,
alle veleggianti
navi
mare
(ecl.
I).
Di sullo scoglio di
il
Mer-
pescatore
Licone narra alle mute aure il dolore ond' amareggiato il suo cuore
per la crudelt di Galatea e sta per precipitarsi nei gorghi quando
spunta con lieto augurio dall'estremo oriente la stella di Venere e tutto
illumina il mare d'un rosso chiarore (ecl. II). Cromide e Jola in canto
alterno descrivono le pesche lungo la spiaggia partenopea (III), Proteo
annovera le bellezze di questa e narra il tramutarsi in isola di Nisida)
372
CAPITOLO NONO.
l'infida
Galatea (V).
Quandoquidem nostra
Federigo!
^ nz
cecinisti
primus in acta
(1).
^ re
allusioni,
settembre del 1501. Obblighi di gratitudine ed un affetto quasi palo legavano a quel re mite e intelligente, che gli aveva donato,
luogo d'ozi soavi, la villa di Mergellina. Per venirgli in aiuto nel momento del pericolo il Sannazzaro vendette parte de' suoi beni e con
lui fece vela per i lidi di Francia, mentre in un epigramma latino
pieno di accoramento volgeva un mesto addio a Napoli, alla sua Mer-
terno
ere
d efs
gellina, alle ceneri de' suoi cari, alle rive ombrose del Sebeto. N
torn in Italia prima d'aver chiuso gli occhi al suo regale amico,
ne ^ 15(M; nobile esempio di saldo carattere e di inconcussa fedelt,
nomen
(2).
la
compagni
della giovinezza e
confidenti colloqui col suo Pontano, e nella quiete della villa fuggiva
nei
tre
degli
Epigrammi.
i,o
Elegie.
In un'elegia (II, 2) piena d'esultanza Jacopo invita gli amici dell'Accademia a festeggiare con lui la ricorrenza del suo natalizio, il
la fangiorno di S. Nazzaro; in un'altra (I, 9) parla de' suoi amori
(1)
(Ed.
Ecco, o fanciullo, premi alla tua Musa, dacch primo cantasti sulla nostra spiaggia
II.
(2)
vv. 44-5).
Mi
la fede a'
il
nome
dell'amicizia
sempre salda
ciulla del
Fontano,
una terza
dca
(II,
1),
il
di lui
vincitore di
a Cassandra
il
373
D'ARAGONA.
Calabria ed esorta
di
distici
la gloria
di cui
(El.
Ili,
2)
corsa delle sue vicende, dice di sentire affrante le forze del suo
uigegno prima
di lasciar
nell'elegia ai
numi
di
Il
poeta
scrittore di storie
(I,
20), e di velenosissimi,
come
quelli contro
il
gii
epigrammi
'
Po-
liziano
66-7), contro
(I,
Borgia
(I,
14 sg., 22, 51
sg.
gli endecasillabi
Ad Nnam
(I,
6).
Altri
Codeste liriche spicciolate scritte in tempi diversi via via che l'oc- n De pan
YiT Q inis
si presentava rivelano una sincerit di ispirazione ben rara
-
casione
negli umanisti.
Il
lungo studio e
il
grande amore
vi
si
posti dal
manifestano cos
Sannazzaro
eleganza
nell'
narrano
fatti
dell'
umano
libri,
nei quali
diviso,
riscatto dall'Annunciazione
due primi
Vergine
della
374
CAPITOLO NONO.
d'ogni altro
scrittore
pagane
materia
colla
italiano;
si
fa
nel
terzo
contrasto
il
delle
fantasie
troppo stridente.
di
personaggi si scoloriscano e rimpiccioliscano, trasportati in un'atmosfera artistica non rispondente alla loro
natura- reale. Ma altramente giudicavano gli uomini della Rinascenza.
Essi non avrebbero saputo quale pi alto omaggio rendere al Bambino
celeste, che celebrandolo in versi cesellati col bulino insuperabile dei
i
e pel Sannazzaro in particolare quel genere di poesia scaturiva spontaneo e tutto d'un pezzo dalla fusione di due sentimenti in
classici,
<
aragonese.
CAPITOLO DECIMO
Il
Il
teatro.
Studi
La Historia Baetica e il
Imitazioni di Seneca d'argomento classico
l' Achilles
Fernandus servatus.
del
Commedie umaniLoschi, la Progne di Gregorio Correr, YHiempsal del Dati.
stiche latine: il Panhis di P. P. Vergerio, la Poliscena attribuita al Bruni, il Philodoxus dell'Alberti, la Chrsis del Piccolomini, la Fraudiphila, la Philogenia di UgoLudi studenteschi.
Rappresentazioni di Commedie antiche a Roma
lino Pisani.
le tragedie di
Giovanni Manzini e
di
Drammi mescidati.
Niccol da Correggio e il suo Cefalo.
a Firenze e a Ferrara.
Isabella d'Este e le rappresentazioni mantovane.
La Pan/ila del Pistoia e altri
novellistico.
di
Pan-
Drammi mescidati argomento lucianesco. Galeotto del Car La corte letteraria del Moro: B. Bellincioni e Gaspare Visconti. La Danae
del Taccone
B. Taccone. Rappresentazioni mitologico-allegoriche a Milano
Giovanni Santi).
Domenico Fusco) e ad Urbino
e del Bellincioni), a Bologna
Le egloghe recitative. La. lirica
Tebaldeo, Serafino Aquilano, Panfilo Sasso,
Francesco Cei e
Galeotto
poeti della stessa scuola. La
del Correggio,
Del Carretto, del Visconti del Bellincioni e
Niccol Cosmico. Seguaci della pura
tradizione petrarchesca. Pandolfo Collenuccio e la sua Canzone alla Morte.
Pistoia e la
burlesca. La
dolfo Collenuccio.
d'
retto.
di
(di
(di
Il
lirica
altri
di
di
Il
lirica politica.
lirica
sulle
letterature clas-
una breve
biografa.
primo
moderni, anche
fra'
Studi
cr
sul
t g^t ro
antico,
376
CAPITOLO DECIMO.
nel secolo
XV
il
il
vecchio; l'anno
imitazioni di
Seneca
fl
Manzni
(13?/]
LaucLvio
de' Nobili.
kj c j C
titolo
guri e da nunci la catastrofe del Piccinino (1464). Questo l'ultimo esemdramma storico in cui si manifesti l'influsso di Seneca, poich
X Histova baetica di Carlo Verardi, prelato della curia, e il Fernan-
pio di
Le rappre-
nel 1492 nel palazzo del cardinale Raffaele Riario per celebrare la presa di Granata e Ferdinando il Cattolico scampato al pu-
Roma
gnale di un assassino.
Tragedie
dei Loschi,
IL
377
Loschi, la
Piero
Dati.
Progne
Il
nell'ampollosit
ambedue
orme
delle
di
g. corrr
declamazioni, nel
il primo per
con una maggiore libert nella scelta delle situazioni, il secondo con
arte meno grossolana nell'elaborazione drammatica della materia. In e di l. Dati,
tutto e per tutto ligio all'antico esemplare si tenne pure il Dati, che
nulla prova scrivesse primamente in volgare il suo Hiempsal. Questo
doveva esser letto al secondo certame coronario (1442) ed era senza
dubbio componimento ben acconcio a quella gara, per ci che la tram
formata dal racconto sallustiano vi sia come inquadrata in una favola
allegorica destinata a mostrare l'origine e i perniciosi effetti dell'invidia.
Pi libero dai vincoli dell'imitazione e pi copioso ci appare nella H Pau ls
prima met del secolo XV il teatro comico latino. Come il Petrarca Y ' ^'io
s
in quella sua commedia di cui conosciamo appena il titolo Philologia,
cos Pietro Paolo Vergerio si studi di seguire Terenzio, quando, in
et giovanile, compose il Paidas comeda ad juventini mores corrigendos. Tuttavia le principali figure vi sono disegnate efficacemente
dal vero; non mancano allusioni alla vita studentesca contemporanea
e con vivezza commendevole sono rappresentate le arti che un servo
mette in opera per levar di testa al suo giovine padrone il proponimento di mutar vita e per fomentare in lui e soddisfare la bramosia
d'amori e di bagordi curiosa favola davvero in una commedia che pretende di dare ammaestramenti morali! Proviene certo da Plauto il
La
nome d'uno dei personaggi e da Terenzio derivano alcune frasi spie- Poi:sce:ia
ciolate della. Poliscena ascritta a Lionardo Bruni; ma il colorito del
tempo e del luogo tutto moderno e l'argomento par quello d'una
novella boccaccesca. Il giovine Gracco* ha adocchiato Poliscena nella
chiesa dei frati minori, mentre il predicatore parlava delle pene in-
le
di
Seneca,
i,
cli
vista di sotto
fanciulla.
al velo
Perci
lo
confida,
ha,
il,
preso ed egli
(suo
amore
allo
desidera
schiavo
di lei intra-
posseder la
Gurgulione, il
di
invano.
La
mezzana e
di
tentare
direttamente la
figliuola
non
lo fa
Poliscena, che
si
materna che
costei
di
378
CAPITOLO DECIMO.
presenta
e ci
La
chrisis
piccoiomini.
quella di
Calfurnia
Ma
Leon
il
Battista Alberti,
Enea
di
il
opere
Philodoxus,
di
non ostante
Silvio Piccoiomini,
il
La Chrisis
sapore idiomatico plautino,
quello
scrittore.
&udi
vhiia.
marito
la
novella
del
con
sceneggiata
fatto
scioltezza e
Sigismondo ebbe
l'alloro
come
veri,
dei
talvolta
collitorti.
Zanino e solennemente
della cucina.
si
celebra
il
IL
Rappresentazioni di
media se non
la lingua,
a-,
379
tal fatta, che altro non hanno dell'antica comappartengono alla storia della vita studente-
sierata giocondezza e
il
ver imparato il latino sulle grammatiche del Guarino e del Perotto anzi
che sul Dottrinale e l'ascoltare con assiduo compiacimento ed inestimabil profitto lezioni informate ai nuovi metodi e tutte pervase dallo
spirito de'nuovi tempi, non vietavano di conservare gelosamente la cara
e lieta eredit di buon umore loro tramandata dai predecessori medievali. A Padova negli ultimi decenni del secolo uscirono dall'Universit,
frutto di quella giocondezza beffarda, i primi esemp di poesia macche-
di sollazzi
scolari pavesi.
Le pi ampie commedie umanistiche esaminate poco fa, non sappiamo che fossero mai poste sulla scena. Erano soltanto destinate alla
lettura e dai loro stessi autori tenute in piccolo conto siccome scherzi
o peccati
di giovent. Scritte in
il
Paulus
del
Risurrezione
del teatro
classico
Ver-
a Roma.
CAPITOLO DECIMO.
renzo, vi
te!
si
sbizzarrisce a
commedie senza
di
menar
scombicchera-
Ma
a Ferrara
1
(
8gg*'"
la citt cui si
ramento
di
addicono
primi onori nella storia dell'nstauil duca Ercole non era uomo
di latino;
ma
la fa-
romana.
Battista Guarini
figlio
dell'umanista
famoso,
tradusse
per
lui
1479 l' Aululara e il Gur culto ; pi tardi Battista stesso i Menaechm, un Girolamo Berardi la Casina e la Mostellaria, ilCornazzano
ancora il Cur culto, Paride Ceresari ancora Y Aululara ed altri altre
commedie. Se destinati semplicemente alla lettura, codesti volgarizzamenti potevano essere in prosa; se alla recitazione, erano in versi,
nel
ma
in certi luo-
gli
e spiritose
commedie plautine
La
il
figliuolo concepito da
Almena,
ma
si
diffonde a presa-
La prima
sica, fu ai
25
volta che
di
Sforza furono festeggiate con la recita, splendida di apparati e di iritramesse mitologiche, dei Menaechmt, dell'Anca di Terenzio e an-
IL
cora
del
Lucrezia Borgia, terza sposa di Alfonso, nel 1502. Che sfolgoro d'oro,
di colori, di stemmi nella vasta sala capace di ben cinquemila spettatori
E che lusso di zendadi e di zambellotti negli abiti dei recitanti
!
Ne'
che durarono
Plauto YEpidicus,
sei giorni
medie
di
ria e la Casina.
Fra il succedersi
di
le feste, si
le
quelle
Ma
nel secolo
XV
Dramm
mescidati
un'opera
fogge del teatro sacro popopropose chi rimaneggiando per una rappresentazione
lare.
Questo
si
ferrarese la polizianesca
Orphei tragoedia
Fabula
di Orfeo, le diede
il
pomposo nome
la divise in
accomodato. Qui ci. conviene piuttosto dar passo ad un gentiluomo eleautore della Fabula di
gante e cortese a Niccol da Correggio
Caephalo.
Nipote del duca per parte di madre, il signor di Correggio (1450-1508) n cco i da
primeggi lungamente nella ^corte di Ferrara e fu sempre ben adden- fi^l^s)
tro ne' pi riposti segreti di quella e dell'altre maggiori corti dell'alta
Italia. Non ebbe parte in ambascerie di grande importanza politica,
ma spesso in quelle fastose missioni di che il Rinascimento si compiaceva, e fu a Roma con Borso d'Este, quando questi venne proclamato
duca da Paolo II (1471); due volte a Napoli per prendervi e riaccompagnarvi Eleonora d'Aragona (1473 e 1477); ancora a Roma nel 1492
per prestar omaggio a nome del Moro al nuovo pontefice Alessandro VI
nel 1494 ad Asti inviato a ricevere il duca d'Orlans. Soldato, combatt nell'82 contro i Veneziani e fu fatto prigione; ma a lui pi che
le battaglie cruente
piacquero
cui lo aveva tratto ardore di gloria
forse
ludi cavallereschi, le giostre e le armeggerie, ove poteva sfog,
il
Le dame
lo
ebbero caro
si
382
CAPITOLO DECIMO.
l'avola
cefalo.
i\
di spettacoli
trali
tea-
vide
il
l'ultimo
delle
per un certo studio di rispettare entro a cialuogo e di evitare l'inverosimiglianza dei bruschi passaggi da tempo a tempo, per il prologo espositivo dell'argomento e
insieme critico, infine per la licenza, che parafrasa il plaudite dei commediografi latini, si fa manifesto che un altro ideale d'arte drammadivisione in cinque
scuno
atti,
di questi l'unit di
tica gli si
costumanza delle rappresentazioni classiche e classicheggiante si spandeva nelle terre finitime, specie in quelle corti che pi strettamente
erano legate all'estense dalle parentele, dagli interessi politici e dall'affinit dei gusti e delle
Nel 1490
isabella
dEste
"
la citt
condizioni letterarie,
dove
compo-
suo Orfeo (1471), accolse sposa del marfigliuola primogenita di Ercole d'Este, quella
il
illustri e di be'studi
magnanima
Liberale e
la
il
amioa
(Ori. fur.,
Isabella
magnificenze tutta
XI 11,
59),
suona; la storia
delle lettere e
XVI. Eleganza
fine d'ingegno,
meno
nei giudicare
d'
contemporanei
la
IL
383
trina; solo la coscienza discreta del proprio valore felicemente infrenata da una modesta ritrosia e dal gusto squisito; eppure in lei era
sempre vigile il senso delia vita pratica n punto era irrigidita la
soave tenerezza dell'anima femminile. Gi nel 1494 in una brigata di
cortesi cavalieri, tra i quali si trovava Niccol da Correggio, fu detto
,
Mantova
la
la giovine
consuetudini
di siffatti divertimenti, si
litari gloria di
zioni
compiaceva d'aggiungere
alle
mantovane servivano
le versioni e le
racconciature
di
comme-
Gonzaga via
via commettevano ai letterati della corte ferrarese. Cos fu primamente
dedicata all'Estense nella quaresima del 1499 una tragedia nominata
die antiche gi ordinate da Ercole d'Este od altre che
Panfila
La
del
pnwa
lst0, ' i
il
metro
di tutto
il
non
l'ottava popolaresca.
fu la prima
...
i<
334
CAPITOLO DECIMO.
nate
28 marzo e
pompa
d'
il
ornati rettorici
Drammi
inescidati
ucianei
lucianeschi
drammi
d'
,.
marchese
di
il
ai
quelli
Filippo Lapaccini
cantore al servigio
ridusse in terza rima , probabilmente per
secolo
Mantova
argomento mitico e a
stato
del
,>
quali rifacimenti
teatro
del
Poggio.
della
versione latina
della
commedia
dell'
Aurispa. Originale
soltanto
il
un personaggio
quinto atto
allegorico
Galeotto del
carretto.
lezz
vecchi
critici
d' Este e
Moro?
di
stico.
il
colle
sue
IL
385
tere e delle
di
romano
intralasciava tratto
insieme cogli
altri
dide pergamene
con stemmi
dei codici
con paesaggi
ritratti,
rabescati o
men-
Intorno allo
principale ufficio
poveri e
litigiosi.
dame
p oe ti
sforzeschi -
di
Rosst.
Bellincioni,
La
leti.
il
quale,
XP.
25
b. Beiiin-
Sitano
(1484 ~ 92 )-
386
il
CAPITOLO DECIMO.
1480, egli aveva fatto un breve soggiorno a Mantova presso FedeGonzaga e nel 1484, intercessore forse Niccol da Correggio, s'era
rico
allogato presso
il Moro. Verso
la fine del 1*488 fu mandato a Napoli
a prendere Isabella d'Aragona sposa a Giangaleazzo Sforza, e poi distraendo con le rimate sue lodi, co' suoi lazzi e colle sue improvvisazioni
l'infelice principessa dalle faccende politiche, second probabilmente i
disegni del Moro, che si studiava di tener lontano dallo Stato il
nipote.
Per
-
il
la vile
sua vita
assentatore e
di
per
la
mancanza di dignit
non di rado
corte. Ma non erano
ingaglioffarsi
tutti del
coi buffoni
suo stampo
allietanti
gli
ozi della
pi,
gen-
Muse,
altri
congegnare alla meglio un sonetto miserello tra un'impresa militare e una trattativa politica. Fra il 1490 e il 97 abit
p ep j Q
a Mii an0 n cco 15 da Correggio e, come abbiamo visto, ebbe
dal Moro commissione di onorevoli ambascerie. A Milano fece stabile dimora fin dalla fanciullezza Antonio Fregoso eli nobile famiglia
genovese ed ivi nella familiarit coi poeti pi fecondi componendo
sonetti burleschi e filosofici prepar il suo ingegno austero alla trattazione dei gravi soggetti morali e metafisici, cui si di tutto quando
caduto il Moro, si ritrasse nella solitudine della sua villa di Culturano
e vi rim numerosi poemetti intessuti di allegorie e d'astratte personificazioni. Cavaliere saggio e valoroso fu infine Gaspare Visconti (1461il
pi ragguardevole dei rimatori sforzeschi cos per copia
1499)
come
piccola lode davvero
per bont di versi.
soltanto atti a
correggicA
Milano.
Gaspare
1
(I46i-y9) ;
Il
un
ma
tostoch
politico,
concetti.
Per noi
la
vigoria di alcuni
satirici e narrativi, e la
vivezza
carnescialeschi valgono
egli pubblic
un poemetto
in ottava rima,
rispecchia, se
387
IL
che se ne hanno a
)-
.'
li
388
e in altre
citt
CAPITOLO DECIMO.
Spettacoli di tal fatta, dai quali assai pi diletto ritraeva l'occhio
semplice azione scenica tra una ninfa, Giunone, Diana e Venere, simboleggiandovi il contrasto fra la vita coniugale e il celibato. La palma
si intende
resta a Giunone
che esortava la ninfa al matrimonio.
,
Le egloghe
relative.
tore del genere, che deve esser vissuto alla corte ferrarese, il pastor
Melibeo consiglia Eugenio a prender in moglie una silvana chiara
IL
ne ha una
ad onore e laude
di
389
Colonna
Menandro
e Tirinto sferzano sotto il velo tracorruzione e l' avarizia della curia; insomma quasi non v'ha canzoniere di quel tempo in cui non s'incontri
almeno una di codeste composizioni. In un avvenire non lontano
mover da esse l'impulso alla creazione del dramma pastorale.
,
sparente
Come
nella quale
di frasi pastorali la
le
XV
il
inusati sollazzi
d'
della
letteratura
drammatica
sullo scor-
risorta
La poesia
lirica "
coltura
cipesche
si
determin
mero
dotta a
esercizio
letterario
la
poesia
Roma
di cartone, si
,
simili colpi di
Nato a Ferrara ai 4 di novembre del 1463, Antonio Tebaldi, detto la- Antonio
finamente Tebaldeo giusta il vezzo del tempo, bazzic alla corte degli Este
^f}^-"
fino al 1496, e fu precettore di poesia volgare alla principessa Isabella.
390
CAPITOLO DECIMO.
di
suoi confratelli;
ma
di
dalla stessa
quando in quando
si
melensaggine
che
Il suo artificio consempre nella materializzazione dell'immagine, cio nel dedurre tutte le pi sbalorditive e recondite conseguenze da un traslato
che altri abbia desunto dal mondo fisico ad esprimere un fatto spirituale.
Qual rimatore non aveva parlato degli strali d'Amore? Il Tebaldeo ne
ha tanti ftti nel petto che il cieco dio porta lui per sua faretra (son. 55).
Gocciolano di lagrime e fremono di sospiri tutti i canzonieri da quello
del Petrarca in poi, ma del Tebaldeo si copioso il pianto che ne rimane bagnato il terreno dovunque egli passi (son. 60) e sono s violenti i sospiri che le navi e i nocchier ne hanno spavento (son. 133).
E che lampeggiar di fiamme, che scottar di fuochi per entro ai sonetti
del ferrarese! Egli, manco a dirlo, arde d'amore per la sua Flavia:
siste quasi
membra
panni (son. 37), scioglie in breve tempo la neve (son. 59) e rende anche qualche buon servigio perch riscalda la palla metallica su cui
la bella poser le mani intirizzite (son. 117). I fatti pi naturali e
pi frivoli accidenti si consertano nella mente del Tebaldeo colle immagini cos materializzate e ne risultano le pi strampalate bizzarrie. Un
giorno nevica, e Flavia, andando a messa, scivola e si sloga un braccio
gli che la neve vedendosi vincere di bianchezza, presa da gelosia,
le si agghiacciata sotto i piedi; ma se madonna ardesse come il suo
,
poeta
avrebbe
strutto quel
volta tira
IL
391
pensa che i celesti invidiosi del nostro bene, cerchino serrare la via
onde escou quelle parolette accorte (son. 42) se colta da emorragia nasale il colpevole Amore che voleva piagarla in mezzo al
cuore, ma cieco com', la colse invece al naso (son. 47). Nella sua cincischiata poesia lo scrittore non mira tanto all'esagerazione, quanto all'arzigogolo, da cui l'esagerazione scaturisce poi naturale.
Ingegno pi vivido e fantasia assai pi agile e ricca che il Tebaldeo, ebbe Serafino dei Ciminelli dall' Aquila negli Abruzzi. Nacque
nel 1466 e giovinetto fu da uno zio materno collocato come paggio
alla corte del conte di Potenza a Napoli. Quivi apprese da un fiam,
mingo
1'
del Petrarca.
di
si
studio
il
1484
Roma, dovesi acconci col cardinale Ascanio Sforza e cominci a levar fama di s per la sua perizia nel canto e nel suono
della lira. Spirito irrequieto e geloso della sua libert, non si mantenne
lungamente in buon accordo col suo signore; pure rimase con lui, ecsi
trasfer a
cardinale.
Le turbolenze
del
reame
lano
e,
pi lungamente, di Mantova,
come un nuovo
lieri
Orfeo.
Quando
liuto,
faceva silenzio profondo. Tutti pendevano dalle sue labbra ed egli con
aria di ispirato, come acceso di fuoco divino, recitava, talvolta fingendo di
si
improvvisare,
monie
le
suoi sonetti e
E che
pronta
lira,
il
L'artifziosa fa-
il
tutto esercitava
si compiaceva di possedere componimenti non divulgati del fortunato poeta se lo disputavano le corti e chi
poteva procurarsi qualche cosa zentile eh' egli avesse novamente
composto, si reputava bene avventurato.
Serafino partecipava anche a spettacoli scenici e all' occasione
apprestare molto acceleratamele le parole. Fra le
sapeva
ne
sue rime sono tre egloghe recitative due in terzine sdrucciole la
terza polimetra, a imitazione di quelle dell'Arcala, e un Atto scenico
del Tempo, ch' un monologo in quindici strambotti. Probabilmente il
Tempo
prodigante ammaestra-
Serafino
(if-1500).
392
menti
CAPTOLO decimo.
morali;
come
una sua
in
Una donna pi
bella assai
il
chl
Mantova nel gennaio 1495, apparve molto lascivamente vestito, con il leuto in brazzo a sostenere la parte della
Volutt. Questo personaggio allegorico esort gli spettatori, in terzine
non del tutto spregevoli, a godere i piaceri mondani; venne poi la
Virt che in una serie di versi con rimalmezzo si lament del dispregio in che era tenuta; ed ultima la Fama su di un carro trionfale,
qui ritornano le terzine
del duca di Calabria e del
a dir le lodi
marchese Francesco Gonzaga, i soli che ardessero d'amoroso zelo per
la Virt e per la Fama e loro dessero onorato ricetto.
N la perizia del recitatore e del musico, n altre sue giullaresche
abilit, come far giochi di memoria locale con carte e nomi e giocar alla
palla, n i tre benefici aquilani ottenuti nel 1493, procurarono a Serafino
un'esistenza agiata e tranquilla. Forse avrebbe potuto goderne se avesse
messo giudizio, quando tornato a Roma al principio del 1500 entr
al servigio del Valentino. Ma ai 10 d'agosto una terzana doppia quasi
pestifera lo spense. Ai contemporanei parve mancasse all'Italia un de'
suoi belli ornamenti, e la fama che, agognata, aveva sorriso a lui vivo,
accompagn per lungo tempo la sua memoria. Nel 1504 il bolognese
Giovanni Filoteo Achillini, un rimatore assai pi fecondo che culto,
diede a luce una raccolta di poesie greche, latine e volgari in lode dell'e stinto. Erano queste le ghirlande che non so quante decine di verseggiatori deponevano sulla tomba dell' ardente Serafino aquilano ,
ghirlande conteste di quegli spampanati fiori di serra, di cui egli era
sole e che fu fatta a
stato
poli assentirono
La maniera
di
serafino,
IL
393
render foco,
qualche parte.
Gran cosa pur).
Ma
della
Vento in bocca,
di tre cose
amore
in gli occhi
(str.
sentimento,
simili esagerazioni
poeta non ischerzasse.
il
non
gi ad esprimere
ci
No, no;
egli
diceva sul
e neppure a simulare un
solitamente
non
se
il
dell'Aquilano sono fitti tanti strali, che egli potrebbe, come il Tebaldeo,
fornirne Cupido, se ne restasse privo (son. 125). Ora, guardate: egli
ha nel cuore l'oro degli strali, l'immagine viva della marchesana di
Mantova ed il fuoco, tutto l'occorrente insomma per metter su zecca
e coniar tante medaglie coll'effigie di lei da farne beato mezzo mondo
394
ste.
CAPITOLO DECIMO.
Queste sono
sguardo,
lo
il
viso, la fronte,
seno, e se
il
piedi, le
mani, la bocca
tramutar
di ricamare
le
stille
sui pi
il
pensiero
bella
manca un
tenui e frivoli
Peregrinando vo
di
sasso in sasso,
un
rado, ed avviene
egli riesce a
non
vanno scevri
dei difetti
pur ora
Le barzel
,ett9,
come attenuate
ma
di-
e pro-
codeste
qual fosse
almeno una
metro
il
lettore
rammenta bene
movenze, e
cantate sulla lira nelle feste e nei ritrovi, furono assai accette alla societ elegante dell'estremo Quattrocento e del primo Cinquecento. Fra
le barzellette di Serafino ve n'ha un paio d'argomento satirico; alcune
IL
altre moraleggiano,
le
395
come
pi parlano d'amore, dei tormenti del poeta e della ritrosia delia bella.
Non mi
negar, signora,
Di sporgermi la man,
Ch'io vo da te lontan,
Non mi negar signora.
Una
pietosa vista
Pu
stramche dal frontispizio istoriato suole annunciare che si racchiuda nel volume o volumetto o volumone onusto del poetico patrimonio d'ogni rimatore di proposito fiorito in sul cadere del secolo XV. Sono le forme e i generi cari ai
due solenni archimandriti della scuola, che tutta, com'essi si comSonetti, canzoni, sestine, capitoli, epistole, egloghe, disperate,
botti,
ma-
modenese Panfilo Sasso (14471527) e poeta fecondissimo di elegie e di epigrammi latini. La sua
avversione alla vita cortigianesca, onde fu tratto a dimorare lungamente nella solitudine della villa di Erbeto, e lo studio che pose in
modellare sul Petrarca il suo canzoniere, non valsero a salvarlo da
quei difetti. Pi largamente forse d'ogni altro egli f' uso di domande
rettoriche e di paragoni, disposti questi e quelle in lunghe e monotone file, e negli strambotti anche delle ripetizioni di parole in fin di
verso; sfrutt insomma tutti gli espedienti rettorici in aiuto della
sua scarsa vena di poeta estemporaneo. Dicitore improvviso e sonatore
di lira nelle piacevoli radunanze e nelle serenate notturne sotto alle
finestre delle belle
fu anche lo eccellentissimo Francesco Cei
niera
d'artifici.
Gran
sonettiere fu
il
La maniera
Tebaldeo trionfava alla fine del sequei due s'erano messi Cristoforo fiorentino detto l'Altissimo, Bernardo Accolti da Arezzo, improvvisatori
colo,
di Serafino e del
quando gi
sulle
orme
di
seguaci
Seratno
di
-
396
CAPITOLO DECIMO.
festeggi atissimi l'uno nelle piazze dinanzi al popolo, l'altro negli aristocratici convegni, Benedetto da Cingoli, Timoteo Bendidio da Ferrara,
Vincenzo Calmeta, Jacopo Corsi fiorentino e cent'altri. Nelle corti di
Milano, di Mantova di Ferrara di Urbino lo strambotto svenevole
messo in voga da Serafino era il genere preferito. Breve ed ormai
ischeletritosi in certi moduli fssi, esso riusciva di ben facile composizione e tentava spesso la vena di gentiluomini tutt'altro che cari ad
Apollo. La musica ond'era accompagnato ed il canto parevano ridonar
vita allo scheletro. N il secolo nuovo fastid subito la maniera e le
forme liriche instaurate dal precedente ch ne' suoi primi decenni
si misero a stampa ed ebbero fortuna Y Opera nova amorosa del Notturno Napoletano, le Selce di Marcello Filosseno, i Libri d'Amore variamente intitolati di Baldassare Olimpo da Sassoferrato il Tyrocinio
delle cose vulgari del bolognese Diomede Guidalotti, il Fior de Delia
di Antonio Ricco napoletano e via discorrendo, opere tutte che per
dritta linea discendono, anche se accolgano in maggiore o minor copia
elementi d'altra origine, dai canzonieri di messer Antonio Tebaldeo e
,
^ ua^
11011
S1
Una
Ammanierate,
Moro
n meriterebbero un
Bellincioni piaggi
zesca,
bella margarita.
all'imitazione del
il
maggior
particolare ricordo, se
lirico
rime
colle quali
il
nostro
si
non
delle poesie
del poema
un verseg-
Bellincioni,
IL
397
mantennero
si
amore profondamente
sentito e
il Boiardo,
suo alto ingegno
il
Tommaso
delmente
su
infine
pistoiese
il
Non andr
Antonio Forte-
La fastose e festose costumanze e le svenevoli raffinatezze del vivere cortigiano si specchiano bellamente, abbiamo visto, nella drammatica e nella lirica dell'ultimo Quattrocento. Ma ispiratrici di poesia,
anzi d'una poesia pi vivamente sentita, furono anche le tristi realt
che si covavano sotto a quelle apparenze di giocondit e di gentilezza
dico le nequizie e le perfdie cui era di leggieri esposto chi salisse in
:
Come
...
lirici
napoletani
1
cos tra
si
addice
un
il
Commedia de Jacob
Pandoifo
Collenuccic
(1444-1504)
traduttore
et
dell' Anfitrione
de Josef. Dotto uomo
,
un Compendio della storia del regno di Napoli in cinque libri ed alIn un lungo trattato (1493) difese vivacemente Plinio con-
tri opuscoli.
Ferrara
aveva
fatto
eco
di
ma
Non molte
ma
le
liriche
volgari
la
prima prigionia,
la
Canzone
a sua
alla morte.
398
CAPITOLO DECIMO.
alla Morte. Egli paragona s stesso al pellegrino che, stanco dei viaggi
lunghi e faticosi, sospira la patria, e al navigante cui si affaccia l'immagine elei corsi pericoli e sorride il pensiero di vita pi tranquilla;
ed invoca la Morte come rifugio e porto di salute. Al povero prigioniero la vita appare come una sequela di mali, dove l'anima umana,
pugna angosciosa
si
spoglia del
lume
di
sua gloria
non da corruzione o da
La qual
tristizia di tempi,
ma
dalla
come dicevano
Natura
stessa,
soliti
non
pre-
d'altro
Nella penultima
d'antichi giudizi
stanza
il
suo,
il
ma
Collenuccio
sua invocazione:
Tu
breve, tu
Tu
facil, naturai,
Il
comune
e giusta e grata,
Ed implorando
sua poesia.
La
lirica
burlesca.
dette
sicch nel
novembre
del
1500
instava
and
vagando
di
Novellala, a Ferrara,
lo tolse di
corte
in
corte,
IL
Il
nulla
399
ha
ed
dere
credenza
entrano
rotte , n ha un denaro per farsi raha dato all'ebreo pi d'un farsetto e vive a
scarpe
le
(CF., 78); gi
(R.,
il
36).
sole
tormen-
La sua
casa tutta
e la pioggia;
in
terra
sconnessa; d'ogni
nascon fonghi
parte vi
e
mur
al
'
'
u
Altri
.
burleschi,
Baldino tti
CAPITOLO DECIMO.
Colui che questo Cristo ha fabbricato,
Ha dato un gran favore all'eresia ;
Nel descrivere
mento
fsso
vena
mantel di
Avea
(CF., 147).
che
vigoroso
il
il
Ecco qui un
inesauribile.
gemme
cavaliero dubitava
sopra
non
gli
l'ossi
fusse
e in
bisogno
portar
per la strada
e,
Sia pur
Se
un
d dentro,
gli
il
Berni,
el
non
tiepido
(R., 31).
Del pi profondo
fon-
Pistoia
i suoi rancori.
Con quale lepidezza non vi descrive un beone, cui il
naso diventato gioielieri Di tante perle ch'io mi meraviglio (R., 2);
un gran mangiatore che fa tremare i capponi nella stia (R., 125); una
donna superba che par proprio a vederla il treutamilla mentre i suoi
congiunti sono contadini (R., 179)! Abbondano i sonetti contro i giudici
corrotti e contro gli amministratori malfidi ve n'ha un gruzzoletto contro
un famigerato capitano di giustizia a Ferrara (R. 84-7, 108); alcuni
;
Anche
alle bizze
e alle
antipatie
talvolta
(R.,
161, 162,228).
eco i
annovera e giudica
poeti
contempo-
ranei,
tal
libera
altra
frecce roventi
IL
401
mente figure o scene egli ricorre spesso alla forma del dialogo diretto, e ne vengono fuori quadretti gustosissimi. Sentite, per esempio,
questo sonetto in cui sono collocutori un sensale di matrimoni e la
madre d'una vaga donzella:
,
M.
Io vorrei maritar la
mia
figliola.
M.
Ricco? P.
M.
mansueta
onesta, seria,
gli atti
suoi
e bella .
M,
met ne darem
Adunque adattar pi
inanti la
Che
giovene
'1
lo
intenda e
Per esser
Piacevolezza
religiosi.
S'ei
di fatto;
fa'
contratto .
satisfatto
tutti dui in
un punto
il
raccostamene e
l dove
di inattesi
fa la
il
Il
gergo,
del
noi.
sua
col scavezza
(R., 53).
di
circumlocuzioni proprie
il
poeta
tratta
argomenti
si
litici.
Ne
frasi
concise lo stato
penisola
della
mento ed ora
significando
parte di essi,
nostra in un determinato
sentimenti
si
il
degli Italiani o
succedevano
secolo
gli
mo-
almeno d'una
avvenimenti
nel
codesti
in altri fra
gni.
Rimano
Rossi.
La
cittadini oscuri
lett. ital.
nel sec.
XV.
non
usi a
bazzicar colle
Muse
e poeti
26
j^uri
politlc;
402
CAPITOLO DECIMO.
Quando
d'Italia.
1494 Alfonso
il
nembo
11
d'Aragona
minaccioso,
il
si
indu-
Cariteo, forse
per commissione di lui, lev la sua voce per esortare i principi itaa riunirsi contro l'invasione forestiera, in una canzone certo
piena di impeto lirico, se sincero o simulato o accattato non importa
ora indagare. Pochi mesi dopo, l'esercito di Carlo Vili valicava le Alpi
liani
e la casa d'Aragona doveva cedere alle armi conquistatrici e alla riCedeva e la accompagnavano di Lombardia i sibili
governi colla
Erano
mondo de
li
li
signori
subditi che de
fa pegior
al
nuovo Temistocle,
al
nuovo Sci-
IL
403
la ritirata a'
il
In sul transirti
Tutti
tuoi
il
figli
Sia
gallo le confine,
diventar galline.
come vole
il
fine,
Ma
non
si
estinguer
il
tuo vituperio.
(R., 324).
Ma
CONCLUSIONE
timenti,
racconti,
toni e
le
si
rifiorire,
Da
da un ravvivamento
vennero
altre fonti,
dallo spontaneo
particolari
condizioni
umane contrapposta
alla sommissione, tenuta ineluttabile, a volont ulsentimento vivo del reale terreno contrapposto alla
cieca credulit e all'omaggio reso all'inverosimile, l'invitta energia delle
passioni e del volere, tutte insomma le tendenze morali che contraddistinguono quell'et. La dimestichezza col mondo antico agevol ed
affrett il trionfo di esse, ma direttamente non ebbe efficacia essen-
tramondane
il
giati alla
il
Segretario
fiorentino
cercare nella storia di Roma suffragio alle dottrine che il suo genio
avr fatto rampollare dall'osservazione degli uomini e degli avvenimenti contemporanei. Nel fatto le battaglie erano combattute, orditi i
trattati,
si
le
svolgevano
fuori
insomma
di
della
politica
antiche
italiana
memorie.
Il
405
CONCLUSIONE.
italiana
ma
mondo
classico, le sostitu
una tra-
artificiale.
il
effetti reali.
XV
letteratura
somma
della quale
Dannoso
non mi
ci
siamo ancora
liberati.
il
al libero
modelli classici; dannosa soprattutto la forma, sto per dire, mache assunse codesta imitazione; ma ben proficua invece l'impronta che quel proposito lasciava, inavvertita, negli spiriti, facendo maturare il pensiero, educando il gusto, affinando i procedimenti dell'arte.
Nelle manti meglio temprate da natura gli effetti benefici furono palesi ben tosto, gi nella seconda met del secolo XV, quando fiorivano
le eleganze del Poliziano, del Pontano, del Sannazzaro, e il forte ingegno
del conte di Scandiano creava la poesia romanzesca della Rinascenza
generali divennero poco appresso, n pu disconoscerli chi confronti le
opere dei minori e degli anonimi trecentisti con quelle dei minori cinquecentisti, le une
per le poche eccezioni che mi si possono opporre non
imitare
teriale
406
CONCLUSIONE.
dissimulo
un
giudizio che
sadorne ed ora
pu parere paradossale
infantili nella
forma,
le
almeno
il
meccanismo
ora scabre e
del pensiero.
Tutti presi dal fascino dell'antica bellezza, gli scrittori del secolo
si
sforzarono
di
parve soffocare
il
di-
sempre linde ed
onde si rivela maturo
altre quasi
quando e
XVI
forma
allora e pi tardi
che
il
dalle
ma-
ma anche
l'ultimo
la classica
eleganza
flu
non pure
nutrimento
rinnovamento
letterario.
(*)
all'introduzione.
Indico qui alcune opere generali attinenti al Rinascimento. Per tutto l'avviamento della
morale in quel periodo J Burckhardt. La civilisation en Italie aux temps
de la Renaissance traduzione di M. Schmitt sulla seconda edizione tedesca annotata da
L. Geiger, Parigi, 1885, 2 voli. Veramente questa traduzione francese condotta sulla terza edivita intellettuale e
zione tedesca del Burckhardt, edizione che, se ne togli le note del Geiger, poco differisce
dalla seconda. La versione italiana di D. Valbusa, Firenze 1876, condotta sulla seconda edizine tedesca. E. Gebhardt, Les origines de la Renaissance en Italie, Parigi 1879. Lo stesso,
La Renaissance italienne et la philosophie de V histoire, nella Revue des deuoo mondes*
15 novembre 1885, p. 342 segg. e negli tudes meridionales, Parigi, 1887. H. Janitschek,
Die Gesellschaft der Renaissance in Italien und die Kunst, Stoccarda, 1879. La Vita italiana nel Rinascimento Milano 1893. Per la letteratura in particolare G. Voigt Die
:
ediz. curata
(*) Sono chiusi tra parentesi quadre i titoli e la paginatura di quei libri che per qualunque motivo mi vennero a mano troppo tardi perch potessi trarne alcun partito nel testo.
408
i
precetti morali (la sapentia) cum in ethicam, politicarli et economicam dividantur, et
vitam instituunt et maximam dicendi tum gravitateli] tum copiam subministrant (Epist.
voi. Ili, p. 602,' 604). Qui dunque gli studia literarum e gli studia humanitatis gi
si
confondono in una cosa sola. Ma il Bruni distingue ancora la literarum peritia dagli
studi quae pertinent ad vitam et mores quae propterea humanitatis studia nuncupantur,
quod hominem perficiant atque exornent {Epist. VI, 6) ma vuole che quella vada congiunta con questi (studium vero tibi sit duplex). Il Poggio l sempre la distinzione, ma delYeloquentia e degli humanitatis studia parla come di cose indissolubili (Epist. IX, 2 X, 23).
Quando poi si dice che
omnis bene vivendi norma literarum studio continetur (Pio II,
Opera, Basilea, 1551. p. 601 C) ben chiaro che le literae e gli humanitatis studia sono
considerati come un sol tutto. Cfr. Symonds, The revival of learning, p. 71 sg., e Gaspary,
,
<<
Storia,
II,
342.
i,
Sul significato della parola Rinascimento vedi C. Cipolla, Storia delle signorie
italiane dal 1313 al 1530, Milano 1831, p. 285 in nota.
p. 3-5. Cipolla, o. c. pp. 221-693. Per la poesia politica ispirata da Giangaleazzo Visconti, ivi pp. 234 sgg. e Medin, I Visconti nella poesia contemporanea, neVArch. Stor.
Lomb., XVIII, 1891, p. 758 segg.
p. 6-7. E. Muntz Histoire de l'art pendant la Renaissance-, voi. I, Les primitifs,
Parigi, 1889; voi. II. Uge d'or, Parigi, 1891.
p. 8. Burckhardt, o. e, voi. II, Parte V. Per l'aneddoto di Lodovico il Moro, A. Venturi
nell' Ardi. stor. lomb., XII, 1885, p. 256-7.
p. 8-11. Burckhardt, o. e, voi. I, Parte II e voi. II, Parte IV. Sulla questione dell' mdividualismo nel Rinascimento spero di poter ritornare altrove con miglior agio e di poter
cosi chiarire meglio le mie idee.
p. 3.
La
dal Novati
italiano, n. 4 (1888).
p. 15. La lettera ai cardinali in Rigacci, P.
neWArch.
lett.
IX
quella ai
Romani riassunta
1868, p. 223.
degli Alberti, Bologna, 1867 {Scelta, 86
I,
A. Wesselofsky, Il Paradiso
Su L. Marsili, Novati, Epistolario
p. 15-16.
storico
1
,
862 87,88).
,
p.
17.
Per
il
Crisolora e la sua venuta a Firenze, Klette, o. c. 47 sgg. e Novati, Epi[III, 119-21 nota]. R. Sabbadini, L'ultimo ventennio della vita di M. C.
Su P.
188 e Voigt, Wiederbel., II, 274 nota 1; dell'ediz. ital. II, 266. G. Cogo, Di Ognibene
Scola umanista padovano, nel Nuovo Archivio Veneto, voi. Vili, 1894, p. 115 sgg. cfr. Rass.
Zur Biographie des
bibliografica, II, 313. Sul Conversano, Klette, o. c. e M. Lehnerdt
Giovanni di Conversino von Ravenna. Knigsberg i. Pr. 1893. Non tutte le conclusioni
del Lehnerdt sono accettabili: cfr. Giorn. stor., XXIV, 251.
p. 18-9. Per il giudizio che si recava sul valore politico delle lettere del Salutati -Novati, in Bullett. dell'Ist. stor. ital. n. 4, p. 72. Di Pellegrino Zambeccari, Fantuzzi, Scrittori bolognesi. Vili, 230 sgg,; alcuni sonetti suoi pubblic L. Frati, Bologna, 1887 (per nozze
Renier-Campostrini). Su Matteo d'Orgiano, B. Morsolin, negli Atti del R. Istituto Veneto S. VI,
stole, p.
409
VI, P.
1,
Donato
degli
stor. ital., S. V, voi. VI, 1890. pp. 365 sgg. Su Pasquino Capelli, Novati, La giovinezza di C. S.
pp. 88 sgg. e G. Romano. neWArch. stor. lomb., S. Ili, voi. II, 1894, p. 295 sgg. Gio. Da Schio,
Sulla vita e sugli scritti di Antonio Loschi vicentino, Padova, 1858; cfr. Novati, Epist.
di C. Saint., II, 354-5 nota. Antonio Loschi, Carmina quae supersunt fere omnia, Padova, 1858, a cura di G. Da Schio. La lettera del Loschi, cui alludo a p. 19, stampata
dal Da Schio nella sua monograna, doc. XIV. M. Borsa, Un umanista vigeoanasco del
Genova, 1893 (estr. dal Giornale ligust.). Invettiva
(Ubertino Decembrio)
sec.
Lini Colucii Salutati in Antonium Luschum, Firenze, 1826, per cura di D. Moreni. Quivi,
p. 199 sgg. anche l'invettiva di C. Rinuccini secondo un'antica versione toscana.
p. 19-23. Shepherd, Vita di Poggio Bracciolini, trad. da T. Tonelli, con note ed aggiunte, Firenze, 1825. A. Medin, Documenti per la biografa di P. B., nel Giorn. storico, XII, 1883, p. 351 sgg. Per le condizioni di famiglia del Poggio, anche Novati, Epistolario di C. S., [Ili, 553-5]. Poggii Epistolae, per cura di T. Tonelli, voi. I, Firenze, 1832;
XIV
II,
1859;
III,
1861.
R. Sabbadini, Due questioni storico-critiche su Quintiliano. I. Codici scoperti dal Poggio, nella Riv. di filol. classica, XX, 1891, p. 307 sgg. Lo stesso. I codd. delle
opere rettoriche di Cicerone, ivi, XVI, 1888, p. 97 sgg. Per la scoperta del Plauto, Sabbadini. Guarino Veronese e gli archetipi di Celso e Plauto, Livorno, 1886.
p. 23-4. G. ZippeL Nicolo Niccoli, Firenze, 1890. Quivi a p. 75 sgg. l'orazione del
Bruni contro il Niccoli. L'invettiva del Guarino, in forma di lettera a Biagio Guasconi,
inedita nel cod. Riccard. 779, c. 159 sgg. Zippel, L'invettiva di Lorenzo di Marco Benvenuti contro N. Niccoli, nel Giorn. stor., XXIV, 1894, p. 166 sgg.
r
p. 24-25. C. Monzani, Di Leonardo Bruni Aretino, neVA ch. stor. ital., N. S. voi. V,
P. I, 1857, p. 29 sgg., P. Il, p. 3 sgg. A. Gherardi, Alcune notizie intorno a Leonardo
Aretino e alle sue Storie fiorentine, ivi, S. IV, voi. XV, 1885, p. 416 sgg. Leonardi Brun
Ar retini Epistolarum libri octo, Firenze, 1741, per cura di L. Mehus 2 voli.
p. 25-6. Ambrosii Travsrsarii epistolae a Petro Canneto in libros XXV tributae, Firenze, 1759. La prefazione opera del Mehus e racchiude, oltre alla vita del Traversari,
una storia dell'umanesimo fiorentino dal 1392 al 1440 ancor oggi preziosa. B. Ambrosii camaldolensis Hodoeporicon, Firenze e Lucca, (1680). A. Masius, Ueber die Stellung des Kamaldulensers A. T. zum Papst Eugen IV und zum Baseler Ronzii, programma del
Ginnasio di Dbeln, 1888.
L. A. Ferrai La biblioteca di S. Giustina di
p. 26. Sulla biblioteca dello Strozzi
Padova, nel voi. II, p. 566 dei Manoscritti italiani delle Biblioteche di Francia del Mazp. 20-1.
za tinti.
p. 27. Statuti della Universit e Studio fiorentino dell'anno 1387 seguiti da un appendice di documenti dal 1320 al 1472 pubbl. da A. Gherardi, con un discorso di C. Morelli, Firenze, 1881. Vedi anche G. Rondoni, nel'Arch. stor. ital., S. IV, voi. XIV, 1884,
XV
1895, p. 377.
p. 32. M.
XX,
410
NOTE BIBLIOGRAFICHE
E CRITICHE.
a proposito distans, nisi latino sermone (Muratori, Renan, XX, 1014); in cattivo latino
dunque rispondeva, ma in latino, che, se in volgare, il biografo avrebbe detto nisi sermone
La mia interpretazione anche del Cipolla, Signorie, p. 319.
p. 34. La consolatoria al Marcello nel volumetto F. Phileplii orationes et nonnulla alia
opera, stampato a Milano circa il 1481. La parte storica ne fu ristampata da G. Benadducci, Tolentino, 1894 (per nozze Marcello-Giustinian), p. 35.
F. Gabotto, La terza condotta di F. Filelfo, neWArch. star, ital., S. V, voi. IV, 1889, p. 53 sgg. : ctr. Arch. st.
lombardo, XVI, 1030-31.
p. 35. Benedicti Accolti Aretini Dialogus de praestantia virorum sui aevi, ristampato
da G. G. Galletti insieme con F. Villani, Liber de civitatis Florentiae famosis civibus,
Firenze, 1847, p. 101 sgg. Per la data di composizione Gaspary, Storia, II, i, 168.
p. 35. La storia avventurosa della versione poggiana della Ciropedia vedi in Poggio
Epistolae, IX, 6, 8, 21, 23, 25, 23, 30-32 e X, 10 e Barth. Facii de viris illustribus liber,
,
XV
'
XV
controversa
vedi Rass. bibliogr. II, 314. Ma fu certo scritto poco dopo la battaglia del
24 ottobre 1401, nella quale l'esercito di Francesco da Carrara unito a quello di Roberto di
Baviera fu sconfitto dalle milizie viscontee, perch allude alle prodezze or ora (nuper) compiute in quella battaglia da Ubertino, il giovine figlio di Francesco, cui il trattato dedicato;
v. Rass. bibliogr af.
V, fase. 6. D'altra parte ben certo che quando il Vergerio scriveva, non era ancora cominciata la guerra 'dei Carraresi con Venezia (giugno, 1404). Per
l'imitazione di Quintiliano nel Be ingenuis moribus, vedi D. Bassi, in Riv. di filol. class.,
di M. Vegio in Maxima Bibliotheca veterum
XXII, p. 429-31.
Il trattato j^'agogico
patrum XXVI, Lione, 1677, p. 633 sgg. Tradotto in tedesco da K. A. Kopp con introduzione ed illustrazioni nel [II volume della Bibtiothek der Katholischen Padagogik).
:
411
Per GianM. Minoia, La vita di M. Vegio umanista lodigiano, Lodi. 1896, p. 110 sgg.
galeazzo Sforza il Filelfo scrisse due trattatelli pedagogici uno in latino diretto a Matteo Traviano (1 ottobre 1475) ed uno assai pi breve in volgare alla duchessa Bona (20 febbraio 1477) entrambi in Rosmini, o. e, II, 463, 457 sgg. Il trattatello volgare per Filiberto
,
[La
scuola, ecc: p. 142-4]. Le epistole del Salutati al Zonarini ne\V Epistolario ed. Novati, lib. IV,
14 e 18. La prima lettera di Coluccio a Gio. da San Miniato nell' epistolario [lib. XII, 20] della
-econda solo alcuni frammenti furono pubblicati dal Mehus, Vita A. Traversarti, p. ccxcn sg.
e una versione italiana antica da C. Stoln" nella disp. 80 della Scelta.
ccciv, ccclii, ecc.
;
ma come dimostra ora il Novati, del 21 settembre 1401 ; la seconda del 25 gennaio 1406. Per il Dominici, le sue teorie pedagogiche e le sue polemiche
col Salutati, A. Roesler. Giovanni Dominici, ein Reformatorenbild aus der Zeit des grossen Schisma, Freiburg i. Br. 1893, non che il libro dello stesso autore citato nella nota
La prima non
del 1400,
a pp. 38-41.
p. 45.
XV
La
412
rigi,
58.
1521.
fresco
mori
il
IL
1.
sgg.
p. 64-5. Per la data della versione eY Etica nicomachea del Bruni, Sabbadini, Cento
trenta lettere inedite di F. Barbaro, Salerno 1881, p. IL Estratti dal De recta interpretatione furono dati da C. Wotke, Beitrge zu Leon. Bruni, nei Wiener Studien, XI, 188t>,
pi particolari osservazioni, in Gravino,
p. 291 sgg. Sui criteri dei traduttori del secolo
[o. c. p. 35 sgg.].
p. 66. [Zippel, Per la biografa dell' Argiropulo] nel Giorn. storico, XXVIII, 1896,
p. 92 sgg. A. Badini Confalonieri e F. Gabotto, Notizie biografiche di Demetrio Calcondila,
Genova 1892 (est. dal Giorn. ligust.). Per C. Lascaris, E. Legrand, Bibliographie hellenique, Parigi 1885, I, p. LXXI sgg.
p. 66-7. H. Vast, Le cardinal Bessarion, Parigi 1878.
p. 67-70. F. Schultze, Geschichte der Philosophie der Renaissance. I. Georgios Gernistos Plethon una seme reformatorischen Bestrebungen , Jena 1874. Per il platonismo
prima di Pletone, F. Fiorentino, Il risorgimento filosofico nel Quattrocento, Napoli 1885,
p. 179 sgg. Della difesa di Aristotile assunta dallo Scolarlo gi parola .in una lettera del
FileL'o diretta a lui il 29 marzo 1439: Legrand, Cent dix lettres grecques, ecc. p. 31. Per
la bibliografia e la cronologia della disputa L. Stein, Der humanist Th. Gaza als philosoph, neVArchiv. fur Gesch. der Philos., II, 1889, p. 426 sgg., Gaspary, Zur Chronologie
des Streites der GHechen uber Plato und Aristoteles im 15 Jahrh. , nello stesso Archiv., III, 1890, p. 50 sgg. e Storia, II, i, 149-51, 343 sg. Bessarionis In calumniatorem
Platonis libri quatuor, Venezia, Aldo, 1516. In capo al VI libro Li calumn. il Bessarione
riferisce^ il suo breve scritto sulla questione se la natura agisca consulto (lo ricordo a p. 68)
e poi la dissertazioncella del Trapezunzio sullo stesso tema ; indi continua Haec tum ad
Theodorum breviter perscripsimus ; perci ho giudicato , diversamente dal Gaspary , che
insieme coi primi quattro, non prima. La critica
il VI libro In calumn. sia stato scritto
dell'Argiropulo al proemio dell'opera del Bessarione sconosciuta ne abbiamo notizia da
una lettera del cardinale a lui diretta e pubblicata dal Bandini, Cat. codd. graec. II, 275 sg.
Per la data delle Adnotaliones del Trapezunzio C. Legrand Cent dix lettres grecques de
F. Filelfo, p. 229. La Refutatio del Perotto neJ cod. Marc. Lat. VI, 210 (v. Valentinelli,
Bibl. ms. ad S. Marci Venetiarum, IV, Venezia 1871, p. 8 seg.) ; per la data di essa uria
lettera del Bessarione a Guglielmo Fichet del 22 marzo 1471, nell'appendice alle Cent dix
XV
lettres, p.
230;
i.
249.
osservazioni sul dissidio tra la letteratura dotta e la volgare nella preO. Bacci, [Della prosa volgare del Quattrocento, Firenze 1897, p. 16 sgg.].
p. 70-76.
lezione
cfr. p.
Buone
413
p. 70. Per la ricerca che il Salutati faceva di buoni testi della Commedia, Epistolario,
consigli e gli aiuti a Benvenuto da Imola, Epistolario, lib. Ili, 13 e V, 15,
XI, 10] ; per
In quest'ultima lettera Goluccio anche difende la frase dantesca Nacqui sub Julio da
molti stoltamente dannata, e nelY Epistola V, 18 ribatte la calunnia di chi diceva aver Dante
alluso alla Babilonia d'Egitto nel verso Tenne la terra che il Soldan corregge .
p. 70. Le censure riguardanti Catone, ecc. nei Bialogi ad P. Histrum, che citiamo
[lib.
qui appresso.
p. 71. L'invettiva di Cino Rinuccini, in un'antica traduzione italiana (ch il testo originario latino perduto), in Wesselofsky, Paradiso, I, ti, 303 sgg. ; la dedica di Domenico
da Prato, ivi, 330 sgg. I Dialogi ad Petrum Histrum di Leon. Bruni per cura di G. Kirner, Livorno 1889. La bibliografa di questi dialoghi e giuste osservazioni in Gaspary. StoII, i, 346. L'interpretazione' che io do ai dialoghi stessi rispetto all'estimazione delle tre
corone, ora largamente svolta da D. Gravino, [o. e, pp. 10-23].
p. 71-2 Le letture dantesche del Filelfo e de' suoi discepoli, in Sepulcrum JDantis,
Firenze, Libreria Dante, 1883, p. 25 sgg. : cfr. anche Rosmini, I, 55 sg. e 119 sgg.
p. 72. Il commento all' Inferno di G-uiniforte Barzizza, pubbl. da Q. Zaccheroni, Marsiglia e Firenze, 1838.
p. 72. Intorno a versi volgari di umanisti vedi un cenno di F. Flamini, Versi inediti di Giovati Mario Filelfo, Livorno 1892, per nozze Zuretti-Cognetti, p. 13. Del commento del
Filelfo al Canzoniere, G. Patroni, Antonio da Tempo commentatore del Petrarca e la
critica di G. Grion, nel Propugn. N. S. voi. I. P. II, 1888, p. 57 sgg. Sul commento del
Bittamondo di Guglielmo Cappello, R. Renier, Liriche di Fazio degli liberti, Firenze, 1883,
p. CLI sgg. in nota. Perle versioni di novelle boccaccesche, Gaspary, Storia, II, I, 274, 363.
La versione del Loschi della novella di ser Ciappelletto in un cod. Ambrosiano, G. Da Schio,
Sulla vita e sugli scritti di A. Loschi, Padova, 1858, p. 145.
II, 611 sgg.; una notizia nel
p. 73. Di Matteo Ronto, Agostini, Scrittori veneziani
Gorn. storico, XXII, 1893, p. 438. F. Novati, Nuovi documenti su frate Giovanni da Servatane, nel Bullettino della societ dantesca italiana, V. S. n. 7, 1891, p. 11 sgg. La
versione e il commento di fra Giovanni furono pubblicati dai pp. Marcellino da Civezza e
Teofilo Domenichelli, Prato, 1891; cfr. Gorn, stor. XVIII, 452.
p. 73-4. Sulla disputa intorno -alla lingua Sabbadini, Vita di Guarino Veronese, Genova 1891, p. 117 sgg. e [La scuola e gli studi di G. V., Catania 1896, p. 147 sgg.]. G. Mignini, La epistola di Flavio Biondo Be locutione romana , nel Propugn. N. S. voi. Ili,
P. I, 1890, p. 135 sgg. Per la data Voigt, o. c. II, 448 nota; deh'ediz. ital. II, 439. La risposta
del Bruni nel suo Epistolario, VI, 10. Il Filelfo distingue il cermo latinus dal sermo literarius, la lingua dell'uso dalla lingua scritta, e ad entrambe contrappone il sermo maternus,
il volgare modexmo
lettere a Sforza Secondo 15 febbraio 1451, a Bianca Maria d'Este 27 maggio 1463, a Lorenzo il Magnifico 29 maggio 1473.
p. 74. Prove della non larga diffusione della conoscenza del latino anche nel Quattrocento, in Gravino, [o. e, pp. 30-34]. L'aneddoto del podest di Nicol III d'Este, in una lettera d'Agostino Mosti del 1584 pubbl. da A. Solerti, negli Atti e Mm. della R. Bepir
taz. di stor. patria per le prov. di Romagna, S. Ili, voi. X, 1892, p. 191.
p. 75. Nella citata lettera a Lorenzo il Magnifico, il Filelfo scrive: Nam ex universa
Italia ethruscus sermo et maxime forentinus elegantissimus est et optimus . Cfr. anche un'altra sua lettera in Rosmini, II, 448.
p. 75-6. Sul certame coronario e le poesie relative, F. Flamini. La lirica toscana del
Rinascimento anteriore ai tempi del Magnifico Pisa, 1891, p. 3 sgg. G. Mancini, Un nuovo
documento sul certame coronario di Firenze, nell' J.re/i. stor. ital. S. V, voi. IX, 1892,
p. 326 sgg.
ria,
XV
Ili
p. 80-82. Sugli epistolari umanistici, Voigt, o c. II, 417 sgg.; dell'odia, [fai. li, 408.
edizioni delle epistole del Poggio, del Bruni, del Fillfo e dal Tl'averaari, di cui ini servo,
sono citate qui dietro nelle note alle pagg. 19-23, 24-25. 25-20, 30-35. R. Sabbadini, Giuliano Veronese e il suo epistolario, Salerno 1885, e [La scuola, ecc., pp 83 fgg.] Lettore
Le
Guarino furono pubblicate dal Sabbadini nella Vierteljalirschrift fiir Kultur und Literatur d. Renaiss. L 1880, pp. 1U3 sgg. e 504 sgg. nella Miscellanea per nozze Bia~
dego-Bemardinelli, Verona 1890, pp. 21 sgg. ed altrove. Io ho alluso a frammenti di lettere tradotte dallo stesso nella Vita di Guarino, pp. 69-70, 91, 52.
p. 82-3. L. Barozzi e R. Sabbadini, Studi sul Panormita e sul Valla, Firenze, 1891
(tra lo Pubblicazioni del R. Istituto di studi superiori) _M. v. vVol <L_ Leben und Werhe des
Ant. Beccadelli genannt Paaormita, Lipsia 1891. Per~il tempo dei soggiorno del Panormita a Siena. Ardi. stor. ital. S. V, voi. XV
1895, p. 387 nota. Mercati , Alcune note
sulla vita e sugli scritti di A. Panormita, negli Studi e docum. di storiti e diritto, XV,
1894, p. 319 sgg. [cfr. Sabbadini, in Giom. stor. XXVIII, 1890, p. 342 sgg.]. Antonii Beccadelli Epistola/' um gallicarum libri quatuor. Epistolarum campanarum liber. Napoli 1740. Gaspary, Einige ungedruchte Briefe und Verse von A. Panormita, nella citata
l'ierleljahrschrift del Geiger, I, 1880, p. 474 sgg. F. Ramorino, Notizia di alcune epistole e
carmi ined. di Antonio il P., naW Ardi, stor. ital. S. V, voi. III, 1889, p. 447 seg.: cfr.
Mercati, L' Epistolario di A. B. P. I. c. p. 332 sgg. Le lettere pubbliche del P. ho letto
nel codice Laurenz. XC, Sup. 40 (v. Bandini, Catal., Ili, 000 sgg.), non avendo potuto" vedere il volumetto Regis Ferdinandi et aliorum epistolae ac orationes, Vici Equensis 1580.
p. 84. G. Voigt, Die Briefe des Aeneas Sylvius vor seiner Erhebung auf dea ppsilichen Stuhl chronologisch geordnet, ecc. neh" Ardi, fiir Kunde sterreichischer Geschichts-Quellea, voi. XVI, 1850, p. 321 sgg. Francisci Barbari et aliorum ad ipsum epistolae
Brescia 1743 notizie biografiche del Barbaro nella Diatriba praeliminaris del
card. Quirini Brescia, 1741. Sabbadini, Centotrenta lettere inedite di F. Barbaro, Salerno 1884;
ctr. Wilmanns, in Gttingische Gelehrte Anzeigen, 1884, numero 21.
p. 85. Il De nobilitate tractatus di Buonaccorso, nelle Prose e rime dei due Buonaccorsi da Montemagno, a cura di G. B. Casotti, Firenze 1718, p. 2 sgg. Sul De vera nobilitate del Landino, Bandini, Specimen Li ter alurae florentinae sec. XV, voi. II, Firenze 1751,
p. 100 sgg; sul dialogo dello stesso titolo e sul De falso et vero bono del Platina, S. Bissolati,
Le vite di due illustri cremonesi, Milano 1850, p. 02 sgg. Dell Isagogicon del Bruni la bibliografia in Pastor, Geschichte, I 2 , 13 seg. in nota. F. Tocco,
Isagogicon moralis disciplinae
di
'
di L. B. Aretino, neh' Archiv. fiir Gesch. d. Philos, VI 1893, p. 157 sgg. Sul De vito.e
Braggio, negli Atti della societ ligure di stor. patr. XXII, 1890,
p. 208 sgg. Per la data, 1445, Sabbadini, in Giornale stor., XX, 250 seg.
p. 85-0. B. Platinae De principe libri III, Genova 1037. Il De magistrati^ e il De
dignitate matrimonii del Campano in Campani Opera Venezia 1495. Sul De republica
di Uberto Decembrio, M. Borsa, Un umanista vigevanasco, p. 21 sgg. ; sul De institutione
regiminis dignitatum di Giovanni Tinti, F. Novati, in Archivio stor. per le Marche e V Umbria, II, 1885, p. 119 sgg.
p. 80. G. Volpi, Affetti di famiglia nel Quattrocento, estr. dal periodico Vita Nuova
II, 1891, n. 50. L'aneddoto di Ercole d'Este, riferito da A. Venturi, in Atti e Mem. della
Dep. di st. patr. per le prov. di Romagna, S. Ili, voi. VI, 1888, p. 355. Francisci Barbari de re uxoria libri duo, Argentorati, 1012. La lettera di Guiniforte Barzizza, tra lo
,
dialogo fu
Memorie,
S.
p. 87.
La
Quasi
tutti
De
Per
I,
MDXXXV,
per la data Epist. IX, 20. Il libello di Leonardo Aretino Adversum hypocritas, ibid. I,
307 sgg. Per la lotta degli umanisti contro i monaci Voigt, o. c. II, 212 sgg. dell'ediz.ital.,11, 201.
Per \ De professione del Valla, Mancini, Valla, p. 120 seg.
p. 88. Regola del governo di cura familiare compilata dal B. Giovanni Dominici
data in luce da D. Salvi, Firenze 1800. 17 libro d'amore di carit del fiorentino B. Gio.
;
Dominici,
p.
89.
ed.
Il
trattato di Gio.
ivi.
I,
in
Wesselofsky, Paradiso,
n, 07 sgg. e Novati,
415
lanea fiorentina di erudiz. e storia, I, 1885, n. II. Il Novati conclude, dopo aver esaminato le portate al Catasto, che Giovanni nascesse nel 1367; ma il suo ragionamento mi
pare pecchi di troppa severit logica, non essendo le pre.nesse ben sicure n concordi.
p. 89-90. A. Messeri, Matteo Palmieri cittadino di Firenze del secolo XV, nell' Ardi,
stor. ital. S. V, voi. XIII, 1894, p. 257 sgg. M. Palmieri, Della vita civile trattato, Milano,
Silvestri, 1825. Per le fonti del primo libro, D. Bassi, in Giorn. storico, XXIII, 1894,
p. 182 sgg.; per quelle degli altri E. Bottari, negli Atti delVAccad. lucchese, XXIV, 1886,
p. 408 sgg. cfr. Sabbadini, in Ardi. ital. stor., S. IV, voi. XVII, 1886, p. 149 sgg. La composizione dell'opera deve essere di poco posteriore al 1430, perch l'autore dice che alcuni
lo accusarono di presunzione perch avesse voluto dare precetti della vita civile, nella
quale giovane ancora poco sono vivuto ed esercitato meno (205) sar probabilmente
del 1431 o del 32.
p. 90-96. Or. Mancini, Vita di Leon Battista Alberti, Firenze 1882. Lo stesso, Nuovi
documenti e notizie sulla vita e sugli scritti di L. B. A. neir^4rc/i. stor. ital. S. IV,
voi. XIX
1887, p. 190 sgg. 313 sgg. G. S. Scipioni L'anno della nascita di L. B. A.,
nel Giorn. stor. XVIII, 1891, p. 313 sgg. Opere volgari di L. B. A., pubbl. da A. Bonucci,
Firenze, 1843-49, 5 voli. L. B. Alberti Opera inedita et pauca separatim impressa, a cura
di G. Mancini, Firenze 1890. Su questo lib.ro cfr. F. C. Pellegrini, nel Giorn. stor., XVIII,
:
ne d
il
Pastor
attribuite al Porcari.
Orazione,
ecc. nella
zini,
La Diceria
di Bono di Gio. Boni fatta nel 1445, nel cod. Riccard. 2330 (membr.
85 r sgg. ; il suo Protesto del 1461, ibid. ce. 87 v sgg. L'orazione di L. Bruni
per la consegna del bastone al Piccinino , in Traversari, Epistolae, col. 17-9 nota la sua
risposta agli ambasciatori del re di Aragona, nel cod. riccard. 2544, c. 94 v sgg. Il Protesto
del Palmieri, quando fu gonfaloniere di compagnia nel 1437, fu stampato da C. Guasti, per
nozze Peruzzi-Toscanella, Prato 1850. Protesti di Giannozzo Manetti, per es. nel cod. Riccard. 2204 c. 1 v
20 v. Molti codici del sec. XV racchiudono raccolte di prologhi di- cerie, orazioni di tal fatta: vedi per es. Morpurgo
I mss. della Biblioteca Riccardiana,
Roma, 1893 sgg. codd., 1074, 1080, 1105, ecc.
p. 97-8. L'orazione di Tommaso Mocenigo riferita dal Sanudo, Vite dei Dogi, nel
Muratori, Rerum, XXII, 949 sgg.
p. 98. Vespasiano da Bisticci, Commentario della vita di Giannozzo Manetti, nelle
Vite di uomini illustri del sec. XV, ed. Frati, II, Bologna, 1893, p. 84 sgg. In sul proposito del tenersi le orazioni in volgare, vedi le osservazioni del Gaspary, Storia, II, i, 337.
Delle orazioni del Manetti, alcune in volgare nel cod. Riccard. 2544, c. 139 v, sgg. Messer Nello
di Giuliano da Sangimignano, mandato nel 1425 ambasciatore a Martino V (v. Guasti, Commissioni di R. degli Albizzi, II, 320 sgg.) disse: Ancora sarebbe di bisogno innanzi a
tanta Santit di parlare per gramatica con quello ornamento che si richiederebe e di
quella materia la quale a noi dalla nostra magnifica Signoria stata imposta. Ma perch
e' non di consuetudine degli altri oratori e ambasciadori fiorentini, e etiandio per pi propiamente e pi congruo al proposito di quegli che ce l'anno commesso, per vulgare si poter meglio soddisfare a ciascuna parte con quella facult e brevit, ecc. (cod. Riccard. 2544, c. 123 r).
p. 98. Su Pio II oratore, Voigt, Pius II, voi. II, p. 271 sgg. Pii II P. M. Orationes
politicae et ecclesiasticae, ed. Mansi, Lucca 1755-59, 3 voi. L'orazione cui alludo e che fu
tenuta il 26 settembre nel voi. II, p. 9-29; su di essa Voigt, 111,71 seg, Che lo Sforza parlasse italiano (verbis patriis) dice il Piccolomini stesso nei Commentari, p. 150 B.
p. 99. Le orazioni del Poggio, nella citata edizione delle opere. Si confronti l'orazione
funebre di lui per Leonardo Aretino con quella composta nella stessa occasione dal Manetti:
entrambe in L. Bruni Epistola?, ed. Mehus, p. LXXXIX sgg. Francisci Philelphi Orationes et nonnulla alia opera, Milano circa il 1481.
p. 97.
sec.
XV),
c.
410
c. II,
488 sgg.
G. Romano, Begli studi sul medio evo nella storiografa del Rinascimento in Italia, Pavia,
1892.
p. 106-7. Istoria fiorentina di
ciaiuoli, col testo a fronte, Firenze 1855-60, 3 voi. Per la cronologia dell' opera l'articolo
di A. Gherardi citato nella nota a p. 24-25. Sui giudizi del Bruni e d'altri umanisti intorno
all'impero romano vedi Gaspary, II, i, 337-8.
Rerum, XX,
sto,
Firenze 1623.
A. Masius, Flavio Biondo, sebi Leben und seine Werke Lipsia, 1879:
cfr. la recens. del Wilmanns in Gottingische Gelehrte Anzeigen, 1879, n. 47. Per il periodo dal 1420 al 30, R.Sabbadini, Unedirte Briefevon Guarinus Veronensis. Korresponp.
107-11.
417
denz mit Flavio Biondo, nella Vierteljahrschrift del Geiger, I, 1886, p. 504 sgg. Biondi
Flavii Historiarum ab inclinatione Romanorum Libri XXXI, Basilea, 1559. De Roma
triumphante libri X, cui seguono le altre opere, Basilea 1559. P. Bucbholz, Die Quellen der
Historiarwndecades des FI. Bl. Naumburg, 1881. Per la cronologia della composizione delle
Deche, oltre che il Masius (p. 32-6), R. Sabbadini, in Giorn, ligustico, XVIII, 1891, p. 300.
In una lettera del 5 febbraio 1443 a Leonello d'Este, il Biondo diceva che iquattro libri primitivi della sua storia erano divenuti dodici ma otto mesi prima ne aveva mandato da leggere ad alcuni amici soltanto undici (Masius, p. 32-3 nota) dunque il duodecimo fu scritto
tra il giugno del 1442 e il principio del 43. L'esistenza di questo libro, che sarebbe il secondo
della IV" deca, e la sua contenenza ci sono attestate da una lettera del Biondo ad Alfonso
d'Aragona del 13 giugno 1443 (Masius, p. 31, nota 4). Cosi chiaro come il Biondo potesse
dire e ripetere di avere scritto trentadue libri di storia (De Roma triumph. ecc. p. 2 G, 273 D)
di che il Masius, p. 37, nota 1. si meravigliava. Nel 1459 il Biondo pensava a continuare
e compiere la quarta deca: F. Gabotto, in Bibliot. d. scuole ital. Ili, 1891, n. 7. Perla
,
p.
113-5. Pii
suis contigerunt, Roma 1584; supplementi, pubblicati da Gr. Cugnoni, in Atti della R.
Accad. dei Lincei, Memorie S. Ili, voi. VIII, 1S83, p. 495 sgg. Gr. Lesca, I commentarli
E. S. de' Piccolomini, Pisa 1894: cfr. Rass. bibliog. II, 1894, p. 181 sgg.
p. 115-6. / Gommentarii del Porce!lio,'in Muratori, Rerum, XX, 69 sgsr. XXV, 1 sgg.
Quelli del Bruni, ibid. XIX, 913: cfr. col. 923-24 con Epist. I, 5 ; col. 925 con Epist. II, 3,7.
p. 116. La cronaca di Niccola della Tuccia, in I. Ciampi, Cronache e statuti di
Viterbo, Firenze 1872. Diario della citta di Roma di Stefano Infessura scribasenato
a cura di 0. Tommasini, Roma 1890. Leone Cobelli, Cronache forlivesi, a cura di G. Carducci e L. Frati, Bologna 1874.
p. 166-7. Sulla lingua letteraria intrisa di elementi dialettali, P. Rajna nel Giorn.
,
Vienna 1871,
XV,
Diario fiorentino di Bartolommeo. di Michele del Corazza, ristampato da G. O. Corazzini, nelYArch. stor. ital. S. V., voi. XIV, 1894, p. 233 sgg. Le Storie
del Buoninsegni fino al 1410, Firenze 1581 il resto, Firenze 1637. Ricordi storici di Filippo
di Cino Rinuccini dal 1282 al 1460 colla continuazione di Alamanno e Neri suoi
figli fino al 1506, pubbl. da G. Aiazzi, Firenze 1840. L. Frati, Cantari e sonetti ricordati nella cronaca di Benedetto Dei, nel Giorn. stor. IV, 1884, p. 162 sgg. Lo stesso, Un
cronista fiorentino del Quattrocento alla corte milanese, nelYArch. stor. lomb., S. Ili,
p. 49-80. Il
98 sgg.
ricordanze
S. V. voi. IV, 1889,
Per
Luca
p. 117.
stor. ital.
Rossi.
La
le
lett.
ital.
di
p.
nel sec.
XV.
27
418
NOTE I3IBMOGRAF1CHE E
l^'-O. .(rcjro
CRITICHI:.
Gr.
(p. es.
nismo
p.
256 e l'indice; Geiger, Umaquest'ultimo era ancora vivo nel 1494 e veniva mandato ambasciatore
a Carlo Vili (Villari, Savonarola'1
I
230), mentre il cronista non era pi un bambinello
tra il 1403 e il 1405 [Istorie, voi. I, p. 409).
p. 121-24. Sulla biografia nel Rinascimento, Burckhardt, o. eli, 57; dell'e liz. ital. 73 sgg.
p. 121-2. G. A. Campano, Vita Brachii, in Muratori, XIX, 439 sgg. G. Manetti, Vita Nicolai V, in Muratori, III, II, 907 sgg. F. Pagnotti, La vita di Niccolo
scritta da G. M.,
neWArch. della societ romana di storia patria, XIV, 1891, p. 411 sgg. La Vita d FU. Brunelleschi nelle Operette istoriche edite ed inedite di Antonio Manetti, raccolte da G. Milanesi, Firenze 1887, p. 69 sgg. Nella prefazione le notizie sul Manetti, al quale per A. Chiappelli contesta ora con gravi argomenti la paternit della Vita [xieW Arch. stor. ital. S. V.
voi. XVII, 1896, p. 241 seg.], P. C. Decembrio, Philippi M. Vicecomitis Vita, in Muratori, XX, 985 sgg. Lo stesso, Vita Francisco Sfortiae, ibid, XX, 1023 sgg.
p. 122. Per notizie su Sicco Polentone e le sue biografie, R. Sabbadini, in Museo ital.
III, 1890, p. 319 sgg. Bartholomaei Facii de viris illustribus liber,
d'antichit class.
pubbl. con una prefazione, la vita dell'autore e alcune epistole da L. Mehus, Firenze 1745.
Il De Viris del Piccolomini nell'Appendice ad Orationes Pii II P. M. Operis Pars III,
Lucca 1759, p. 144 sgg. Delle Vitae pontificum del Platina uso l'edizione di maestro Gio.
Vercellese 1485. Su quella collezione di biografie, vedi Pastor , Geschichte, II, 574 sgg. e
140-1)
ma
una
XV
Muratori,
p. 127-39 G. B. Passano, I novellieri italiani in prosa, II ediz. Torino 1878,. M. Landau, Beitrge zur Geschichte der ital. Novelle, Vienna, 1875.
p. 127-8. Le novelle di Gentile Sermini da Siena, Livorno, 1874. La novella, di Bernardo Illicino, tra le Novelle di autori senesi, Milano 1815, II, 3 sgg.
p. 128-31. Il Novellino di Masuccio Salernitano per cura di L. Settembrini, Napoli 1874. Per i riscontri alla novella di Bertramo d'Aquino, E. Gorra, Studi di critica
letteraria, Bologna, 1892, p. 201 sgg.; per riscontri alla novella (XVIII) della gherminella
XVI,
419
U. Dallari, Della vita e degli scritti di Gio. Sabadino degli Arienti, negli Atti
Deput. di stor. pat', per le prov. di Romagna, S. Ili, voi. VI, 1888, p. 178 sgg.
R. Renier, in Giorn. stor. XI, 18S8, p. 205 sgg., XII, 1888, p. 301 seg. Gynevera. De le dare
donne di Joanne Sabadino de li Arienti a cura di C. Ricci e A. Bacchi della Lega, Bologna 1888 {Scelta, 223); che Sabbadino attingesse al Foresti disse F. Gabotto, Lettere ined.
di Jov. Fontano, Bologna 1893, p. 20 sgg. (Scelta, 245). Porretane di M. Sabadino bolognese
dove si narra novelle settanta una (sic.) con moralissimi documenti, Venezia, Sesss, 1531.
Ad illustrazione della novella di Filoconio, G. Rua, Novelle del Mambriano , Torino 188S,
p. 132-3.
e Meni, della
p.
134 sgg.
133. La Deifira dell'Alberti nelle Opere volgari di lui, ed. Bonucci, III, 363.
411 sgg., V, 323 sgg. anche le Epistole amorose dell'Alberti. Sulle epistole amorose
in prosa nel sec. XV, V. Cian, Le Rime di B. Cavassico, voi. I, Bologna 1893 (Scelta, 246),
p. LXII segg. cfr. Giorn. stor. XXVI, 218. L. Frati, Lettere amorose di Galeazzo Marescotti e di Sante Bentivoglio, nel Giorn. stor. XXVI, 2895, p. 305 sgg. Sia qui avvertito che la p di Filocopo non mia, ma di un troppo zelante correttore che sostitu il titolo
erroneo al vero, Filocolo, poi che io ebbi licenziato le ultime bozze unicuiqu suum.
p. 133-4. Il Paradiso degli Alberti. Ritrovi e ragionamenti del 1389 romanzo di
Giovanni da Prato, a cura di A. Wesselofsky, Bologna 1867 (Scelta, 86 1 862 87, 88).
p. 134-36. A. Ronchini, Jacopo Caviceo, negli Atti Mem. d. Dep. di storia patria
per le Provincie Modenesi e- Parmensi, IV, 1868, p. 209 sgg. Il Peregrino di Jacopo Caviceo, Venezia, Elisabetta Rusconi, 1526; su di esso, A. Albertazzi, Romanzieri e Romanzi
del Cinquecento e del Seicento, Bologna 1891, p. 7 sgg.
p. 136-7. La novella del Grasso legnaiuolo, in Antonio Manetti, Operette istoriche
edite ed inedite a cura di Gr. Milanesi, Firenze 1887. p. 1 sgg. Le ragioni che ci inducono
a non attribuirla al Manetti furono rilevate e le varie redazioni di essa studiate da M. Barbi,
Antonio Manetti e la Novella del Grasso legnaiuolo, Firenze 1893, per nozze Cassin-D'Ancona. La novella del Bianco Alfani (di questa mi occuper altrove) tra le aggiunte dal
Borghini al Novellino', nella citata ediz. di questo II, 211 sgg. La novella di madonna Lisetta fa stampata a Lucca, 1857 ma non avendo potuto vederne ressun esemplare impresso,
mi servo del cod. mglb. II, II, 56, c. 157 r.
p. 137. La novella di Buonaccorso di Lapo tra le aggiunte al Novellino-, nella ediz.
citata, p. 175 sgg. La novella di L. Pulci in Raccolta di novellieri italiani, Torino 1853,
pubbl. da I. I^el Lungo, Bologna 1865 (Scelta, 56).
p. 21 sgg. Giacoppo Novella
p. 137-8. Le Facetiae del Poggio nella citata ediz. delle opere. Per la bibliografa
Pitr, Bibliogr. delle tradizioni popolari, Torino-Palermo 1884, p. 54 sgg. La Facezia 138
gi nella Epist. Ili, 8 del 5 novembre 1426. Alla storia della composizione e della graduale divulgazione delle facezie giovano le Epist. Vili, 4, 35 IX, I, 14 X, 17, 22. La data pi
tarda ricordata nelle Facezie il sesto anno del pontificato di Niccol V. (marzo 1452-marzo 53)
nella fac. 248. Per madouna Bambacaia o Bombacaia, F. Novati [nel Giorn. stor. XXVIII,
113 sgg.]; per Pasquino da Siena rimatore, G. Volpi, ivi, XV, 50 e Flamini, Lirica,
p. 743 nota; per Zuccaro le Epistolae del Bruni, III, 17; IV, 1.
e XVI, Bologna, 1874 (Scelta, 138).
p/^%38. Facezie e motti dei secoli
p. 138. Sul Gonnella e sulle sue facezie, F. Gabotto, L'epopea del buffone, Bra 1893
per nozze Manzone-Ricca. Quivi sono ristampate le facezie in ottave: cfr. anche Giornale
storico, XXII, 250.
Le facezie del Pievano Arlotto precedute dalla sua vita e annotate
da G. Baccini, Firenze 1884.
p.
Ivi, III,
XV
120
Le bollato
Fraucesoo
p.
li
l>'
dugento autori,
fascicolo) 1883. Quivi, I, 86, il rispetto toscano riferito. Di un antico repertorio di poesie
popolari d conto T. Casini, nel Propugnatore, N. S. volume II, P. I, 1889, p. 197 so<r
P. II, p. 356 sgg.
p. 145-6. A. D'Ancona, Strambotti di Lionardo Giustiniani, nel Giorn. filol. rom.
1879, p. 179 seg. Altri ventiquattro strambotti ascritti al Giustinian ripubblic non ha
guari [T. Ortolani, Appunti su L. Giustiniani, Feltre 1896] ma l'attribuzione falsa (X. nIT,
p.
13 sgg. la bibliografia
421
der 1892:
cfr.
Rass. bibliogr.
Lirica p. 55 sgg. Sugli araldi dalla Signoria, poeti stipendiati, ibid. p. 192 sgg. cfr. Giom.
stor. XVIII, 381 e XIX, 63 sgg.
p. 158. Per la bibliografia delle rime di Malatesta, Indice delle carte di P. Bilancini, P. I, Bologna 1893, p. 397 sgg. XII sonetti di Malatesta de' Mala testi il Senatore,
pubbl. da G. S. Scipioni, Ancona, 1887, per nozze Renier-Campostrini. [E. Lamma, Rime
inedite di M. de" M., nell'Ateneo Veneto, S. XVIII, voi. I, 1894, p. 3 sgg.].
p. 159. Di Pietro Apollonio Collazio antico poeta novarese il libro sin qui inedito
delle epistole a Pio li per la crociata contro i Turchi, Novara 1877.
p. 159. Sul carattere cortigianesco della lirica quattrocentistica, Flamini. Lirica
p. 355 sgg.
p. 159. Di Jacopo Sanguinacci e delle sue rime, L. Biadene, nel Giom. stor. IX, 1887,
G. Mazzoni, nella Rassegna padovana I, 1891, p. 19 sgg.
p. 190 sgg. 211 sgg.
p. 160. Su Niccol cieco, Flamini, Lirica, alle pagine additate dall'Indice.
p. 160. Odae Francisco Philelphi, (Brescia), Angelo Britannico, 1497. Del Minervae
Carmen di G. M. Filelfo Flanini, Versi ined. di G. M. F. p. 9 sgg.
p. 160-62. G. Zannoni, Porcellio Pandoni ed i Monte feltro, nei Rendiconti dei Lincei
S. V, voi. IV, 1895, p. 104 sge;. e 489 sgg. E. Percopo, P. Pandone, nell' Arch. storico per
le prov. napol. XX, 1895, p. 317 sgg. Ma in pi punti mi diparto dalla cronologia stabilita
da questi studiosi. Il documento della pensione annua milanese fu pubbl. da F. Gabotto, nella
Bibliot. delle scuole ital., III
1893, n. 3. Il primo febbraio del 1459 il Porcellio era ancora a Milano, come rilevo da una sua lettera a Cicco Simonetta stampata nell' Opusculum
aureum de talento a Porcello poeta aetatis suae praestantiss. elucubratum, (s. n. tipogr.
ma del sec. XV), di cui un esemplare nella Magliabechiana. I versi latini del Porcellio
nei Carmina illustriun poetarum, Firenze 1719-"26, VII, 497 sgg. La descrizione del banchetto offerto ad Eleonora d'Aragona, pubbl. da C. Corvisieri, neir Arch. della societ
rom. di stor. patria, X, 1887, p. 675 sgg. Il De amore Jovis in Isoltam liber, nei Trium
poetarum elegantissimorum Porcellii Basinii et Trebanii opuscula, Parigi 1539, c. 7 sgg.
siede. Rimini, tudes sur les lettres et
p. 162. Ch. Y riarte, Un condottiere au
les arts a la cour des Malatesta, Parigi 1882.
p. 162-3. h'Isottaeus nei Trium poetarum elegantissimorum opuscula, c. 37 sgg. Quanto
ai presunti autori vedi Aff e Battaglini, in Basinii parmensis opera praestantiora, Rimini 17&4, IJ, I, 26 sgg. e 108 sgg. La data che gli assegno mi risulta dall'esame della contenenza storica. Che il 22 maggio 1447 mori in fasce un tiglio naturale di Sigismondo, afferma
il Mazzuchelii, Notizie intorno ad Isotta da Rimino, II ediz. Brescia 1759, p. 9 nota.
p. 163-4. Il poema di Basinio, nei citati Basinii parmensis opera, I, 1 sgg.
p. 163. K. Borinski, Das Epos der Renaissance, nella Vie rteljahr sdir, del Geiger,
:
XV
I,
Opera,
I,
122
106. Di
Lorenzo
II,
Spirito, Vermiglioli,
Perugia, 1829,
p.
Veneto voi. VII, 1894, p. 9 sgg. H. Ungemach , La guerra di Parma. Ein italienisches
Gedicht auf die Schlacht bei Fornuovo 1495, Schweinfurt, 1892.
nel primo
p. 108. I due versi per la morte di^ser Giovanni, in Muratori, XXI, 1095 D
si dovr leggere preta . La cantilena narrativa dell'uccisione di Ottobuono pubbl. da T. Cacfr. Piccolomini, Commentar ii, p. 127 A.
sini, in Riv. critica, II, 1885, p. 175
raccolti e ordinati a cura di
e
p. 109-70. Lamenti storici dei secoli XIV,
A. Medin e L. Frati, voi. I, Bologna 1887 voi. II, 1888 voi. III. 1890 {Scelta, 219, 220, 230)
voi. IV, Padova, 1894. In quest'ultimo volume V Introduzione di A. Medin discorre la storia
;
XV XVI
Per
le
Accolti,
Flamini, Li-
De
preparare
la
171-2. G. B. Passano,
XV
423
Cambriano contadino
de'
Bardi
p. 173. Il
della Bibl. Nazion. di Firenze, Roma 1887, I, 60 sgg. Qui voleva essere ricordata, come
imitazione del Filostrato, anche V Istoria di Patrocolo e d'Insidoria, pubbl. da F. Novati,
Torino 1888.
p. 173-4. P. Papa, Un capitolo delle Definizioni di Jacomo Serminocci, Firenze 1887,
per nozze Renief Campostrini. G. Mazzoni, Il Corbaccino di ser Lodovico Bartoli, nel
Propugn. N. S. voi. I, P. II, 188S, p. 240 sgg. Il pome del bel fioretto di ser Domenico
da Prato, a cura di P. Fanfani, Firenze 1863.
in C. Del Balzo, Poesie di mille autori
p. 174-5. Il poema di Giovanni da Prato
intorno a Dante, voi. Ili, Roma 1891, p. 311 sgg. Il poema di Pietro del Giocolo nel cod.
Marciano, Ital. IX, 96 (cart. sec. XV): per qualche notizia sull'autore V. De Bartholomaeis,
negli Studi di filol. rom. VI, 1893, p. 23.1.
p. 175. Sai lettori di Dante a Firenze, Th. Klette, Beitrge, I, Greifswald, 1888, p.54 sgg.
e anche Giorn. storico, XXIV, 1894, p. 253 e, U. Marchesini, nell' Ardi. stor. ital. S. V,
voi. XVI, 1895, p. 273 sgg. Per Siena, Bullettino della societ dantesca ital. N. S. voi. II,
1894-95, p. 79. A Verona spiegava Dante Giammario Filelfo nel 1467.
p. 177-8. E. Frizzi, La citt di Vita poema inedito di M. Palmieri, nel Propugn. XI,
P. I, 1878, p. 140 sgg. E. Bottari, M. Palmieri, negli .-Affi delV Accad. di Lucca, XXIV, 1886,
Top. 446 sgg. Per la condanna del libro, Renier, Strambotti e sonetti dell' Altissimo
rino 1886, p. XXIX, e [D. Angeli, Per un quadro eretico, nell' Archivio storico dell'arte,
F. Ettari, El Giardeno di M. Jonata Agnonese, poema del
N. S. II, 1896, p. 58 sgg.].
sec. XV., nel Giorn. napoletano di filosofa e lettere, IX, 1885, p. 772 sgg. V. Imbriani.
Notizie di M. Jonata, Napoli 1885 (estr. dal Rendiconto della R. Accademia di scienze
G. Romagnoli, Fra Tommaso Sardi e il suo poema inedito dell'amorali e politiche).
Il poema di Bartol. Gennima peregrina, nel Propugn. XVIII, P. II, 1885, p. 289. sgg.
a cura di G. Gazzino Genova, 1877; per l'autore v. Storia letteraria
tile Fallamonica
della Liguria, II, Genova 1824, p. 189 sgg.
Veniezia. Della glorioxa cittade de Veniezia si chomenza il
p. 1/8-9. Cechin de
primo Trionfo, pubbl. in Tacoli, Parte seconda dralcune memorie storielle della citt di
Geographia di Francesco Berlinghieri.
Reggio di Lombardia, Parma 1748, p. 310 sgg.
Impresso in Firenze per Nicol Todescho, circa 1430 ; per l'autore, A. Mori, Un geografo
del Rinascimento, nelYArch. storico italiano, S. V, voi. XIII, 1894, p. 341 sgg.
La descrizione delle feste del 1459 quella citata nella nota alle p. 140-2.
Libro chiamato Ambitione composto per ser Bastiano Foresi, s. note tip ogr. ma Firenze, sec. XV. Il Trionfo
delle virt dello stesso Foresi nei codd. palatini di Firenze 345, 346 e nel mglb. VII, 816;
un saggio ne pubblic F. Novati, Il trionfo di Cosimo de' Medici, Ancona 1883, per nozze.
Il Trionfo d'amore di
Le not&ie biografiche da documenti dell' Aixmivio di Firenze.
Antonio Bonciani pubbl. dal Flamini, in Propugn. N. S.vol. II, P. II, 1889, p. 139 sgg. Quivi
Capitoli tre di Cleofe
anche notizie sul genere poetico dei trionfi e delle visioni-trionfi.
Gabrielli di Gubbio, negli Anecdota literaria ex ms. codd. eruta, IV, 1783, p. 449 sgg.
p. 179-80. Per Federigo di Montefeltro, come protettore di letterati, la biografia che ne
scrisse Vespasiano da Bisticci, e i saggi di G. Zannoni che si sono citati nelle note alle pagg. 160-2
e 164-5. Per l'arte ad Urbino specialmente, A. Schmarsow
Melozzo da Forl, Berlino e
Stoccarda, 1886 descrizioni del palazzo ducale a p. 76 sgg. 350 sgg. C. Guasti, Inventario
della librera Urbinate compilato nel sec.
da Fed. Veterano, nel Giornale storico
degli archivi toscani, VI, 1862, p. 127 sgg., VII, 1863, p. 46 sgg. 130 sgg. Rime di Agostino
Staccoli di Urbino, Bologna 1709. Su Agnolo Galli, B. Feliciangeli nel Giornale storico,
XXIII, 1894, p. 46 seg. in nota.
p. 180-81. Federigo di Montefeltro duca di Urbino. Cronaca di Gio. Santi, pubbl.
da H. Holtzinger, Stoccarda, 1893. A. Schmarsow, Gio. Santi, der Vater Raphaels, nella
Vierteljahrschrift del Geiger, II, 1887, p. 157 sgg. 320 sgg.
p. 181-2. La Buca di Monteferrato, lo Studio d'Atene e il Gagno poemetti satrici
di Stefano di Tommaso Finiguerri, pubbl. da L. Frati, Bologna, 1884 (Scelta, 203); cfr.
Morpurgo, in Riv. critica, I, 1884. 170 sgg. Versi di Gambino d' Arezzo, pubbl. da O. Gamurrini, Bologna 1878 (Scelta, 164). Per la dipendenza di tali componimenti dai Trionfi,
F. Flamini in Studi di storia letteraria italiana e straniera, Livorno 1895, p. 69.
p. 182. Della poesia familiare in lingua italiana, Flamini, Lirica, p. 540 sgg.
p. 182-4. C. Mazzi, Il Burchiello, nel Propugn. IX, P. II, 1876, p. 211 sgg!, 321 sgg.
X, P. I, 1877, pp. 204 sgg., 376 sgg. Alcune notizie da documenti dell'Archivio fiorentino
,
XV
42
e da manoscritti. Sonetti del Burchiello, del Bellincioni e d'a tri poeti fiorentini alla burLondra (Livorno), 1757. Sonetti dell'Orcagna in Tracchi, Poesie ined. II, 25
Sgg. Su Francesco Alberti, Flamini', Lirica p. 259 sgg! 54'J sgg. I tre sonetti di Bartoom-
chiellesca,
Il
p. 185-0. Antonii Panonnitae Hermaphroditus, edidit Frid. Carpi. Forbergius, Coburgo 1824. Quivi anche altre liriche latine del P. Sulla data di composizione e sulle po-
Panormita,
due
articoli
di
A. Gaspiry
F.
Ramorino
p.
p.
321 sgg.
Per
p. 8(J-7.
p.
il
De
citati
p.
ecc.
Milano,
Valdarfer, 1476.
p.
187-8.
Per
p. 49-1-7 e 558-9, e
Studi
citati
Note \l Capitolo
Sesto.
p.
De
dialoghi,
nella
il
Maxima
Bibliot.
p. 192-3.
G. Mazzoni,
in
Padova 1892
(estr. dagli
brane del sec. XV. La vita del sanctissimo Johanni Battista fatta per Francesco Philelpho,
Milano, Mantegazzi, 1494.
p. 193-94. Sul movimento dei Bianchi, Sercambi, Croniche, ediz. Bongi, II, 290-371;
Ser Lapo Mazzei. Lettere di un notaro a un mercante del sec. XIV, per cura di C. Guasti,
Firenze 1880, 1, p. XCVIII sgg.. II, p.358 sgg. Filippo Rinuccini, Bicordi storici, Firenze 1840
;
p.
XLIV.
Laude
115 sgg. Per la laude Di' Maria dolce, vedi D'Ancona, negli Studi sulla letteratura
italiana dei primi secoli, Ancona 1884, p. 90 seg. Al Dominici per nessuno dei codici esaminati dal Feist la attribuisce; uno a m. Lonardo, che potrebbe per essere anche il Giustinian. Sul costume di cantar le laudi sull'aria di canzoni profane, notizie ed osservazioni
del Gaspary, Storia, II, i, 348 seg. Che i Greci venuti per il Concilio condannavano tale costume, afferma H. Vast, Le cardinal Bessarion, Parigi 1878, p. 134.
a
ediz. Torino 1891, 2 voli.
p. 198-213. A. D'Ancona, Origini del teatro italiano, 2.
W. Creizenach, Geschichte des neueren Dramas, voi. I. Mitlelalier und Frihrenaissance,
a cura di
e
Halle a S. 1893, p. 298-339. Il teatro italiano dei secoli XIII,
F. Torraca, Firenze 1885. Perlo svolgimento storico della rappresentazione, Vine. De Bartholomaeis, Di un codice senese di sacre rappresentazioni, nei Rendiconti dei Lincei, S. IV,
p.
XIV
XV
425
Studi di filol. romanza, voi. VI, fase. 16, 1893 (ma pubbl. nel 92), p. 161 sgg. Lo stesso,
Una rappresentazione ined. dell' apparizione ad Emmaus, nei Rendiconti dei Lincei, S. V,
voi. I. 1892, p. 769 sgg.
p. 198-9. E. Monaci, Appunti per la storia del teatro italiano. Uffizj drammatici
dei Disciplinati delf Umbria, nella Riv. di filol. romanza, I, 1874, p. 235 sgg. e II, 1875.
p. 29 sgg. [Lo stesso, Crestomazia italiana dei primi secoli, fase. II, 1897, p. 462 sgg.].
p. 199. Laudi drammatiche aquilane pubbl. da E. Percopo, nel Giorn. storico, Vili, 1886,
IX, 1887 p. 386 sgg. XII, 1888, p. 370 sgg. XVIII, 1891, p. 199 sgg.
p. 195 sgg. 209 sgg.
senesi da G. Rondoni, ibid. II, 1883, p. 272 sgg. Composizioni drammatiche orvietane identiche per la forma alle umbre in un codice di propriet privata
v. Torraca, Teatro, p. VI.
p. 200. A. D'Ancona, Due antiche devozioni italiane, nella Riv. di filol. rom.',
II, 1875, p. 5 sgg. e intorno ad esse Origini, I, 184 sgg. Rappresantazioni simili, quanto
all'assetto, a codeste divozioni saranno anche quelle di cui danno notizia C. De Lollis nel
Bullett. dell'Istituto storico italiano, n. 3, 1887, p. 80 sgg. e Vino. De Bartholomaeis, ibid.
n. 8, 1889, p. 137 sgg. poich non mi persuade l'ipotesi del De Lollis, trattarsi di rappresentazioni mute
di cui le parole fossero recitate dal predicatore. Questi probabilmente
recitava solo la parte narrativa volgare intercalata nei sermoni e dava il tono alla parte
drammatica, della quale aveva nei suoi appunti dei frammenti per sapere, dove >aveva ad
interrompere il suo dire.
p. 200. Le rappresentazioni in forma di ballata sono enumerate dal De Bartholomaeis
negli Studi di filol. rom. VI, 165. Aggiungi la citata Rappresentazione dell' apparizione
;
ad Emmaus.
Lamintu
p. 200-1.
Per
la
XV
XV
XX,
Di Pomponio Leto,
426
NOTE BIBLIOGRAFICHE E
CRITICHI!;.
VArch.
la
in
d. societ rom. di' storia patria, XII, 1880, p. 215 sgg. La Difesa del Leto pubb.
Carini, nella citata miscellanea nuzifile, p. 184 sgg. Ledettero del Platina a Paolo li,
Vairani, I, 30 seg.
I.
XV
nel Lazio, neWArch. d. societ romana di storia patria, XIII, 1890, p. 451 sgg.
p. 222-3. Per il Calderini e per le polemiche di lui col Perotto e col Menila, GabottoBadini Confalonieri, Vita di G. Menda, p. 88-104. Della- Merlanica>.\ G. Pavesi, ibid.
p. 122 seg.
Vossiane, II 348 sgg. Che il Merula fu eletto
p. 223. Su Ermolao Barbaro, Zeno,
maestro di eloquenza a Venezia nel 1468, G. Castellani, nel Nuovo Ardi. Veneto, voi. XI,
,
1896. p. 134.
p. 223-4. P. Ragnisco, Nicoletto Vemia. Studi storici sulla filosofia padovana netta
seconda met del secolo XV, negli Atti dell'Istituto Veneto, S. VII, voi. II, 1890-91, p. 241 sgg.
618 sgg. Lo stesso, Documenti ined. e rari intorno alla vita ed agli scritti di N. V. e di
Elia del Medigo, negli Atti e Memorie dell'Accademia di Padova, N. S. voi. VII, 1891
275 sgg. E. Renan, Averros et V averrosme Parigi, 1852, p. 279 sgg.
p. 224-30. L. Galeotti, Saggio intorno alla vita e agli scritti di Marsilio Ficino,
neWArch. storico italiano, N. S., voi. IX, P. II, 1859, p. 25 sgg. e voi. X, P. I, p. 1 sgg.
Ritter, Geschichte der Philosophie, voi. IX. Gesch. der neueren Philo Sophie, Amburgo 1850,
p. 267 sgg. L. Ferri, Di M. F. e delle cause della rinascenza del Platonismo nel Quatp.
trocento, in
nismo di M.
La
XXVIII, 1883, p. 180 sgg. Lo stesso, Il plato1884, p. 237 sgg. Gaspary, Storia, II, i, 152 sgg. Marsilii Fi-
F., ibid.,
XXIX,
nella Riv.
di filo-
XV
XV
427
cueil de travaux d'rudition ddis la mmoire de J. Havet, Paris 1895, p. 521 sgg. Per
la disputa sostenuta da G. M. Filelfo, F. Gabotto, in Atti della societ ligure d sto-ia
patria, XXIV, p. 80. Di dispute fiorentine, Berti, in Rivista contemporanea, XVI, 8 sgg.
,
di dispute
nel cod.
p.
232.
di
Rialto, notizie
XXV,
1896, p.
Parigi, 1897].
p. 233. Un saggio del
commento
II,
Giovanni
L. Dorez, in
e in chiesa di S.
dei
La
fase. 25).
Sul Landino, Bandini, Specimen literaturae florentinae sec. XV, Firenze 1747Xandra, Mancini, in Ardi. star,
ital. S. IV, voi. XIX, 1887, p. 318 seg.
p. 235. Christophori Landini Fiorentini ad III. Federicum principem urbinatem
Disputationum Camaldulensium liber primus, ecc. s. note tipografiche, ma Firenze verso
il 1480. Per il tempo in cui sono posti i dialoghi e per la data di composizione
Gaspary,
Storia, II , i, 345.
Orazione di C. Landino quando cominci a leggere in Studio i
sonetti di F. Petrarca
in Corazzini, Miscellanea di cose inedite o rare, Firenze, 1853,
p. 125 sgg. Comedia di Danthe Alighieri con l'espositione di Christophoro Landino, Venezia 1529. Sul commento, M. Barbi, Della fortuna di Dante nel secolo XVI, Pisa, 1890,
p. 150 sgg.
p. 236-48. A. Reumont, Lorenzo de' Medici il Magnifico,. Lipsia 1874, 2 voli. Opere di
Lorenzo de" Medici detto il Magnifico, Firenze 1825, 4 voli. Le cose pi importanti anche
nel volumetto diamante Poesie di Lorenzo de? Medici, a cura di G. Carducc i. Firenze # 1859.
p. 237. Della raccolta mandata all'Aragonese s'hanno pi copie; vedi R. Renier, Liriche di Fazio degli liberti, p. CCGXLVIII ; la lettera di dedica anche in Carducci, Poesie
di Lorenzo, p. 23 sgg.
p. 237-41. N. Scarano, Il platonismo nelle poesie di Lorenzo de' Medici, nella Nuova
Antol. S. Ili, voi. XLVI, 1893, p. 605 sgg. e voi. XLVII, p. 49 sgg.
p. 238. Sulla Simonetta Cattaneo, A. Neri, nel Giornale storico, V, 1885, p. 131 sgg.
Dell' amore per- Lucrezia Donati, Del Lungo, in Carducci, Stanze del Poliziano,
p. 234-6.
51, 2 voli. Quivi copiosi saggi delle sue poesie latine. Sulla
p.
XXXII.
p. 238-40.
p. 242. E. Piccolomini, Intorno alle condizioni ed alle vicende della libreria medicea privata, ue\Y Arch. storico italiano, S. Ili, voi. XIX, 1874, p. 101 sgg., 254 sgg.;
voi. XX, p. 51 $gg.; voi. XXI, 1875, p. 102 sgg., 282 sgg. K. K. Muller, Neue Mittheilungen uber Janos Lascaris und die Mediceische Bibliothek, nel Centralblatt fur Bibliothekivesen, I, 1884, p. 333 sgg.
G. Milanesi, Di Attavante degli Attavanti miniatore, nella
Miscellanea storica della Valdelsa, I, 1893, p. 60 sgg. Sugli artisti fiorenti a Firenze ai tempi
del Magnifico, oltre al Reumont, Muntz, Hist. de V art pendant la Renaissance, IL 617 sgg
Di due
p. 243. Sulla Caccia di Belfiore e pur sulla Caccia di Lorenzo, R. Truffi
poemetti di cacce del secolo XV, Perugia 1894 (estr. dalla Favilla). [Cacce in rima dei
secoli
e XV, raccolte da G. Carducci, Bologna, 1896, per nozze Morpurgo-B'ranchetti].
p. 244. La ballata Fatevi all'uscio, in Cantilene e ballate, a cura di G. Carducci,
Pisa 1871, p. 76-7 cfr. anche le due poesie che quivi le precedono.
p. 245-6. Tutti i trionfi, carri, mascherate o canti carnascialesqhi andati per Firenze
dal tempo di Lorenzo il Magnifico fino alV anno 1559, Cosmopoli (Lucca), 1750. Una ristampa a cura di O. Guerrini, Milano 1883. Canzone per andare in maschera per carnesciale
facte da pi persone, rara stampa del secolo XV, riprodotta da S. Ferrari, Biblioteca di
letteratura popolare, I, 13 sgg. Sul musicista Arrigo Isach, G. Milanesi, in Rivista cri-
XIV
p.
I,
246.
Su
fra-
Mariano da Gennazzano
P.
Villari
80 sg.
247. Sul S. Gio. e Paolo di Lorenzo il Magnifico, D'Ancona, Origini, I, 261 sgg.
p. 248-52. F. Flamini, La vita e le liriche di Bernardo Pulci, nel Propugn. N. S.
voi. I, P. I, 1888, p. 217 sgg. G. Volpi, Luigi Pulci. Studio biografico, nel Giornale storico,
XXII, 1893, p. 1 sgg. [C. Carnesecchi, Per la biografia di Luigi Pulci, neir^4rc/i. storico
italiano, S. V, voi.
XVII, 1896,
p.
il
Ma-
428
grfico e
ad
samen te,
in questi scritti,
spai*
XV
cura
249.
di F.
mini, 1481
(stile fiorentino).
La traduzione delle egloghe virgiliane di Bernardo Pulci, nelle Bucoliche elegantissimamente composte da Bernardo Pulci fiorentino e da Francesco de Arsochi senese et da llieronymo Benivieni et da Jacopo Fiorino de Boniasegni senese, Firenze,
Miseomini 1481 (stile fiorentino). La Rappresentazione di Barlaam tra le Sacre rappresentazioni raccolte dal D'Ancona, II, 141 sgg. La Santa Teodora (ibid. p. 323 sgg.)
anonima nelle antiche stampe ma il Benivieni nel prologo alla sua rappresentazione omonima scriveva di aver ordinata questa nella trama di uno de' nostri fiorentini poeti Pulci,
quello che ebbe veramente spirito e concetto poetico (D'Ancona, Origini, I, 268, nota 3).
11 D'Ancona vede in queste parole una chiara allusione a Luigi Pulci e si domanda se sia
di lui la Santa Teodora dal D'Ancona stesso ristampata
il Creizenach, o.
c. I, 322, concorre nella stessa sentenza; il Flamini, in Propugn, N. S., I, P. I, 243 nota 2, crede che il
Benivieni abbia alluso a Bernardo ed inclina ad attribuirgli il sacro dramma. Ma a ben guardare, il Benivieni dice solo che uno dei Pulci (Luigi, io credo) gli diede la trama per la
sua Teodora; onde nessun argomento consiglia di attribuire a Luigi o a Bernardo quella
ristampata dal D'Ancona. Ora dunque sopprimerei nel testo l'inciso: e, se sua, la Santa
Teodora .
p. 252. La Giostra fatta hi Firenze dal Magnifico Lorenzo de' Medici il vecchio
l'anno 1468 col Ciriffo Calvaneo di Luca Pulci, Firenze Giunti, 1572. Che la giostra
deve essere di Luigi, mostr G. Volpi, in Giornale storico, XVI, 1890, p. 361 sgg. Gli
argomenti addotti poi da R. Truffi per sostenere ch' opera di Luca, Giorn. stor. XXIV,
1894, p. 187 sgg. non mi persuadono.
Un'edizione della Beca cito qui appresso nella ni ta
a p. 252-3.
Strambotti di Luigi Pulci fiorentino, Firenze, Libreria Dante, I Serie, 1887
II serie, 1894; a cura di A. Zenatti. Ma si hanno dubbi sulla autenticit dei singoli componimenti;
vedi le note dello Zenatti in fine alle due serie e Volpi, in Rassegna bibliografica, II, 89 seg.
p. 252. Che Piero di Lorenzo de' Medici si dilettava d'improvvisar versi, prova una
lettera del Poliziano, in Del Lungo, Prose volgari, ecc. p. 78. Alcune sue rime ci sono
p.
250.
rimaste nei codici v. Rassegna critica I, 1896, p. 73-4 un suo sonetto petrarchesco fu
pubblicato ora" con una accompagnatoria del Poliziano, da I. Del Lungo, [Florentia, p. 254].
Su Baccio Ugolini, Del Lungo, [ivi, p. 307 sgg.].
p. 252. D. M. Manni, Bartholomaei Scalae Collensis Vita, Firenze 1768. Per l'anno
della nascita, L. Dini, Bartolommeo Scala, nella Miscellanea storica della Valdelsa, IV, 1896,
p. 60 sgg. I sonetti del Pulci contro lo Scala sono a stampa fra quelli del Burchiello, Vitt.
Rossi, nel Giornale storico, XVIII, 1891, p. 382 sgg. Se ne trovano ricordati due (li e IV).
:
nella
prima
G, Volpi, Un cortigiano di Lorenzo il Magnifico {Matteo Franco) ed alGiorn. storico, XVII, 1891, p. 229 seg. Del Lungo, [Un cappellano
mediceo, nel Florentia, p. 422 sgg.] Sonetti di M. Franco e di Luigi Pulci assieme con
la Confessione. Stanze in lode della Beca ed altre rime del medesimo Pulci, Lucca 1759.
Saggio di studi su Bernardo Bellincioni Milano 1892 per il
p. 253. E. Verga
periodo fiorentino della vita di lui, p. 34-48. Le rime di Bernardo Bellincioni ristampate
da P. Fanfani, Bologna 1876-78 {Scelta, 151, 160).
p. 254. G. Levantini Pieroni, Lucrezia Tornabuoni donna di Piero di Cosimo de' Menella Rivista contemporanea, 1888. Sulla Clarice,
dici^, Firenze 1888
cfr. G. Cecioni
G. Volpi, Affetti di famiglia nel Quattrocento, nel periodico Vita Nuova, II. n. 50. La
parole del Franco, da Un viaggio di CI. Orsini nel 1485 descritto da ser M. Franco a
cura di I. Del Lungo, Bologna 1868 {Scelta, 98), p. 18 sg.
p. 254-77. F. O. Mencken, Historia vitae et in literas meritorum Angeli Politiani,
Lipsia 1736. Le sparse monografie di Isidoro Del Lun go, delle quali largamente ho profittato
aumentate , e racnel narrare le vicande di A. Poliziano, posso ora citare rinnovate
colte in un volume sotto il titolo Florentia. Uomini e cose del Quattrocento, Firenze 1897].
E la citazione di questo recentissimo libro quasi mi dispensa da ogni citazione della letteratura polizianesca.
Angeli Politiani Opera, Basilea 1553: quivi tutte le opere btine.
Prose volgari inedite, poesie latine e greche edite e inedite di A. Ambrogini Poliziano^
p. 252-3.
cune sue
lettere, nel
429
illustrate da I. Del Lungo, Firenze 1867; quivi le lettere volgari, alle quali
ne aggiungono ora quattro, in [Florentia. p. 60 sgg. e 250 sgg.]. Le stanze, V Orfeo e
pubblicate con ampia introduzione ed
le Rime di inesser Angelo Ambrogini Poliziano
illustrazioni da G. Carducci. Firenze 1863. Opere volgari di Angelo Ambrogini Poliziano
a cura di T. ,C_asini Firenze 1885.
p. 256 sgg. Al retto apprezzamento dell'arte del Poliziano come poeta volgare giovano
assai l'introduzione e le illustrazioni del Carducci alla sua edizione delle Stanze, ecc. Vedi
anche De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Napoli, 1879, I, 375 sgg. e Gr. Mazzoni,
Il P. e l'umanesimo, nella Vita italiana del Rinascimento, Milano 1893, p. 234 sgg.
p. 258. Che la saffica latina non fosse recitata dall'Ugolini a Mantova durante la Rappresentazione, ma in que' ritrovi non meno solenni e fastosi che furono tra il luglio e
afferma il Del Lungo Flol'agosto del 71 tenuti nelle campestri delizie di Gonzaga
raccolte e
se
rentia, p. 340.
p. 258. Alludo alla prelezione Sopra Quintiliano e le Selve di Stazio, ad un passo
che a p. 494 dell'edizione basileese.
p. 258. L'unico sonetto, che possa essere attribuito con sicurezza al Poliziano fa parte
d'una tenzone poetica con Lorenzo; Del Lungo, Florentia, p. 446 sgg. Su altri sonetti
erroneamente ascrittigli, Flamini, nelle Spigolature , p. 99 sgg.
p. 259. In una lettera famosa, che il Poliziano scrisse a Lorenzo di Acquapendente
add 2 di maggio 1488, mentre con Piero era in viaggio per Roma (Del Lungo, Prose, p. 75)
egli dice: Siamo tutti allegri, e facciamo buona cera, e becchiamo per tutta la via di qualche
rappresaglia, e Canzone di Calen di maggio, che mi sono parate pi fantastiche qui in Acquapendente, alla Romanesca, vel nota ipsa vel argumento . Nelle quali parole c' la
prova dell'attenzione con che il Poliziano ascoltava i canti popolari, quantunque a me non
paia che rappresaglia voglia esser congiunto a Canzone, quasi rappresaglia di canzoni
(D'Ancona, Poesia popolare, p. 126). Si osservi che far buona o gran cera significa
propriamente banchettare lautamente, scialare , e che beccare usa anche il Poliziano
per dire con lieve tinta di scherzo ingoiare cibo o bevanda (Lettera II , in Del Lungo.
Prose, p. 47), e poi si veda se rappresaglia non possa voler dire latte rappreso, panna o
alcunch di simile. Con tal significato registrano la parola il Fanfani, Vocabolario dell'uso
toscano e il Petrocchi. Canzone di Calen di maggio , ecc. sarebbe poi aggiunto senza
una dipendenza diretta con quella libert che nella lingua usa il Poliziano in queste sue lettere,
F- 151 sgg.
p.
262-68.
p. 391 sgg.
Le
Che
Lungo, Florentia
rilevate dal Car-
minutamente
ducci nelle note ;e nell'Introduzione;- p. XLVIII sgg. Sulla Simonetta vedi qui dietro la nota
a p. 238. B. Zumbini, Le Stanze del Poliziano, nella Rassegna critica, I, 1896, p. 23 sgg.
p. 264. Sugli altri componimenti per giostre, Carducci, Stanze, p. XL seg. e Volpi, nel
Giorn. stor. XVI, 1890, p. 364 sgg.
p. 269. Letterine d'un bambino fiorentino alunno di M. Angelo Ambrogini Poliziano
Firenze 1887, a cura di I. Del Lungo , per nozze Bemporad-Vita. Per i dissapori colla
Clarice, le lettere pubblicate dal Fabbroni, Laurentii Medicis Magnifici Vita, Pisa 1784,
II, 186-7 e 288 e dal Del Lungo, Prose, Lett. XXIII-XXV. La frase di Lorenzo in una
letterina di lui alla moglie, che si conserva nell' Arch. di Firenze, Med. av. Princip.
a
f.
doc. 770.
,
Per la data del conseguimento del priorato di S. Paolo Lettere VII-IX in Del Lungo, p. 53 sgg.
p. 269-70. La lettera a Mattia Corvino, Epistolarum, IX, 1; il carteggio col re del
Portogallo, delle stesse, X, 1-3; per l'Erodiano, Del Lungo, Prose, ecc.
p. 262-5.
p. 270. Per il soggiorno nella villa di Fiesole, Epistolarum, IX, 13.
in Opera, p. 451-530 ; le Sylvae in Del Lungo,
p. 270-72. Le prolusioni in prosa
Prose, ecc. p. 285-427. Per la serie annuale dei corsi del Poliziano, Del Lungo, Florentia
p. 176 sgg.; la qual citazione mi dispensa dal trascrivere la nota che aveva preparato a
giustificazione della cronologia da me assegnata a' corsi filosofici.
p. 272. Una- bella versione, italiana della Lamia ha dato il Del Lungo, Florentia,
p. 133 sgg.
LXXX
Miscellanea, in Opera, p. 213 sgg. Per le censure dello Scala, Epistol. V, 1-6.
lo stile del Poliziano e la polemica col Cortese, R. Sabbadini, Storia del
ciceronianismo, p. 32 sgg.
in Epistolar. , XII, 8-19. I giambi del Poliziano
p. 274-5. La polemica collo Scala
p. 272-3.
p. 274.
Per
430
contro di lui in Del Lungo, Prose, ecc. p. 273 seg. Un abbozzo di biglietto con cui Piero
d' Medici assumeva contro lo Scala la difesa del Poliziano morto da poco, fu pubblicato dal
Del Lungo [nella Miscellanea storica della Valdelsa, IV, 18%, p. 179 sgg.].
p. 275. L' epigramma greco del Poliziano in lode di Alessandra Scala,
Del Lungo,
Prose, p. 201. Ivi nelle duo pagine precedenti notizie di lei cfr. anche Del Lungo, nella
Vita italiana del Rinascimento, p. 164 sgg.
Hymni et epigi' animata Marnili, Firenze 1497
ristampati da C. N. Sathas, Documents indits relati fs a Vhistoire de la Grce au moyen
dge, VII, Parigi 1888, p. 173 sgg. Sul Marullo, qualche utile osservazione in Gaspary,
;
Storia, II, i, 354. Per la polemica col Poliziano, Mencken, p. 378 sgg. e Del Lungo, Florentia, p. 67 seg. dove pubblicato un sonetto del Marullo contro il P. Gli epigrammi del
P. contro il Marullo, in Del Lungo, Prose, p. 131 sgg.
p. 276. Per la polemica col Merula, Gabotto-Badini, Vita di G. Merula, p. 318 sgg.
Delle pratiche fatte dal Poliziano por essere nominato bibliotecario apostolico, Del Lungo,
276-7.
p. 277.
p. 280-81. Il
poema
di Gio.
Il
canzoniere,
che
anonimo si conserva nel cod. Riccard. 2962, fu rivendicato al Nesi dal Flamini un cenno
ne ho dato nel Giorn. stor. XXVIII, 1896, p. 425. Johannis Nesii Fiorentini Oraculum
de novo seculo; in fine: Impressit ex archetypo ser Laurentius De Morgianis anno salutis MCCCCLXXXXVII octavo idus Maias. Florentiae . Per quest'opuscolo, Villari, Sa;
vonarola,
p.
a ediz. I, 443.
II,
n.
La sua riduzione
in ottave della
novella
nella
2.
citate
colla
Storia,
II,
190 sgg.
p. 285. E. G. Parodi, 1 rifacimenti e
col.
le
431
prima
del Rinascimento, negli Studj di filol. romanza, II, 1887, p. 97 sgg. Lo stesso, Le
Cesare nella letteratura italiana dei primi secoli, ivi. IV, 1889, p, 237 sgg.
E. Gorra, Testi inediti di storia troiana, preceduti da uno studio sulla leggenda troiana
in Italia, Torino 1887. I nobili fatti di Alessandro Magno, per cura di G. Grion, Bologna 1872. D. Garraroli, La leggenda di Alessandro Magno, Torino 1892.
p. 286-94. Per lo svolgimento storico dell'epopea cavalleresca in Italia, P. Rajna, nelFirenze, 1876.
l' Introduzione alle Fonti dell'Orlando furioso,
p. 286. Sui cantastorie e le narrazioni cavalleresche dei nostri giorni, P. Rajna, I
Rinaldi o cantastorie di Napoli, nella Nuova Antologia, S. II, voi. XII, 1878, p. 557 sgg.;
A. Mazzoleni,
Pitr, Usi costumi del popolo siciliano, voi. I, Palermo 1889, p. 121 sgg
storie di
Gli ultimi echi della leggenda cavalleresca in Sicilia, Acireale 1892 (estr. dal Boll, dell'Accademia dei Zelanti) G. Fusinato, Un cantastorie chioggiotto, nel Giornale di filol.
romanza, IV, 1883 p. 170 seg. e giunte in Renier, La discesa di Ugo d'Alvernia all'In;
Sup. 28,
c.
p. 289.
26 v.
Per
luoghi del
Buovo
Per
voi. Ili, P. II p.
la distinzione delle
due case
di
Chiaramonte
e di
Maganza
nell'epica italiana
432
p. 30-42.
306-7.
Per
Per
p. 309.
Che
il
p. 79; su Rinaldo,
p. 309-10.
di
Luigi
le
osserv
il
Studi su
XXV,
nel volume
Notizie della vita di Matteo Maria Boiardo
1894 p. 1 sgg. N. Campanini, M. M. B. al governo di Regstesso, p. 357 sgg. le Lettere edite ed inedite. Cfr. Giornale stori o
,
M. M. B. Bologna
395-8.
le
XXV,
399 sgg.
Per la data della prima edizione dell' Innamorato, Giornale storico, XXV, 397,
nota 2. Nel canto XXVII della Parte II, st. 57 un accenno alla presa d'Otranto per Alfonso d'Aragona; quel canto non dunque anteriore al 1481. Per la composizione della III Parte
v. A. Luzio, Isabella d'Este e l'Ori. Innamorato, negli Studi, p. 147 sgg.
IV,
p. 320. Per l'episodio di Brunetta e di Bianca nel Morgante, Rajna in Rouiania,
426 sgg e S. Ferrari, nel Giorn. stor. VI, 382 sgg.
p. 319.
433
gna, 1892,
204 sgg.
p.
Su
di esso,
profittato
qua
e l per
alcuna osservazione.
sciano, 1897].
Un
p. 339-40. Dell'orazione
Mayr,
1505.
Fazio nel De viris illustribus, p. 6, parlando del Pontano allude chia Astrologiam, opus multi laboris atque ingenii, hexametris versibus
exorsus est ; e il De viris del 1456. Pongo la fine del poema tra il 1486 e il 91, perch
vi si accenna (negli ultimi versi) alla pace conchiusa con papa Innocenzo, ma non alla morte
Per la data del De hortis Hesperidum, Gaspary, Storia, II, i, 289.
della moglie del poeta.
p. 349-50. Sulla filosofa del Pontano, Fiorentino, Il risorgimento filosofico nel Quattrocento, Napoli 1885, p. 217 sgg. Gothein, p. 567 sgg.; Gaspary, Storia, II, i, 285 seg.
p. 350. Perla data del De prudentia, L. Numa Costantini, Di un'apparente contradizione tra alcune date nella vita di G. Pontano, nel Propugnatore, N. S. voi. VI, P.
II, 1893, p. 456 sgg.
p. 350-51. M. Tafuri, Notizie intorno alla vita di Gabriele Altilio, innanzi alla ristampa dell' Epitalamio, Napoli 1803. Altre notizie sono comunicate da E. Percopo, neiVArchiv. storico per le province napoletane, XIX, 1894, p. 561 sgg. Su Tristano Caracciolo,
oltre al Tafuri, Scrittori napoletani, III,. i, 90 sgg., E. Gothein, p. 333 sgg. Di Francesco Poderico, Tallarigo, 1 , 140 sgg. Su Matteo Acquaviva, Gothein
p. 309 sgg. Su Giovanni Elisio, Gothein, p. 308 e 385 seg. Del Summonte, Tallarigo, I, 170 sgg. N. Barone,
Nuovi studi sulla vita e sulle apere di Antonio Galateo Napoli 1892. B. Croce TI
trattato de educatione di Antonio Galateo, nel Giorn. stor. XXIII, 1894, p. 394 sgg.
Le opere del Galateo nella Collana di scrittori di Terra eT Otranto Lecce 1867 sgg.
voi. II, III, IV, XVIII, XXII. C. Minieri Riccio, Cenno storico dell'Accademia pontaniana,
Gi
p. 349.
ramente
all'
il
Urania:
Napoli 1876.
p. 351-53.
poli,
Rossi.
La
lelt. ital.
nel sec.
XV,
di
28
Na-
434
p. 351.
tane,
XIX,
Di Francesco Pucci, E. Percopo, nell'Archivio storico per le prov. napole1894, p. 390 sgg.
La scena
dell' Asinus
circa
il
1487, perch in
un luogo
(p.
XX
435
sione del Percopo al libro di E. Bellori, Be Sannazarii vita et operibus, Parigi 1895, nella
Rassegna evitica, I, 1896, p. 113 sgg. Il vincitore del concorso al premio Tenore per una
biografia documentata del Sannazzaro fu appunto
il Percopo.
Sannazzaro era tra gli officiali del duca
copo,
il
La prima
Percopo,
Per
il
tempo
La prima
Cdspo.
p. 369. Le egloghe di Jacopo Boninsegni nelle Bucoliche elegantissime citate nella
nota alla p. 250. Sulla metrica delle egloghe dell'Arcadia, Schedilo, p. CCIX sgg. e anche
Percopo, La prima imitazione, p. 39 in nota.
p. 370. Sull'amore per la vita villereccia nel Rinascimento, Burckhardt, voi. II. P. V,
cap. VII. La Pastorale di P. J. De Jennaro, fu pubblicata ed illustrata dal Percopo La
prima imitazione, ecc. Ivi, pag. 173 sgg. l'egloga di Filenio G-allo e a pag. 161 sgg. notizie di costui. Bielle egloghe dell' Arsochi, Schedilo, p. CCXIX sgg. ; e che non possano dirsi
con sicurezza modello del Sannazzaro, Percopo, Prima imitazione, p. 39 nota. Per la poesia pastorale in volgare antedore o contemporanea aXV Arcadia, Carducci, Su V Aminta
di T. Tasso, Sggi tre, Firenze 1896, p. 17 sgg. Per le imitazioni italiane e straniere delper la lingua del romanzo, Schedilo, p. CCLXV sgg.
l' Arcadia, Schedilo, p. CCXXXV sgg.
p. 371. Per le vicende di Cassandra Marchese e l'amore del Sannazzaro per lei, E.
Nunziante, Un divorzio ai tempi di Leone
Lettere inedite di J. S., Roma 1887, e
M. Schedilo, Un vero amore del Sannazaro, nel Giorn. stor. XI, 131 sgg.
p. 371. Sul nome accademico del Sannazzaro, vedi le note di C. Mancini e E. Cocchia
nei Rendiconti delle tornate e dei lavori dell' Accademia di Archeol. lettere e belle arti
di Napoli, N. S., VIII, 1894, p. 12 sgg. e 29 sgg., e C. Mancini, I nomi accademici di J. S. liberati dalle falsit e la simbolica dei medesimi stabilita e coordinata con quella del suo mausoleo, Napoli 1894 (estr. dagli Atti dell' Accad. Pontaniana, XXIV). Il Mancini sostiene che
il S. si chiamasse Actius da Apollo Actius, Apollo Musagete
quindi Actius Sincerus significherebbe Apollo cristiano in contrapposto al pagano. Ma il dotto ragionamento non riesce
a persuadermi per motivi che qui sarebbe troppo lungo esporre.
p. 371. Per la poesia pastorale latina sino allo scorcio del secolo XV, A. Campani,
nel voi. Studi sul Boiardo p. 189 sgg. Delle egloghe di L. Dati la prima fu pubblicata da
L. Cisorio, Pontedera 1893; l'altra da F. Flamini nel Giornale storico, XVI, 79 seg.
p. 372. G. Rosalba. La cronologia delle ecloqae piscatoriae di 3 S., nel Propugn,
N. S. Voi. Vr, P. I, 1893, p. 5 sgg.
La fede di Jacobo Sannazaro nel Propugn. N. S. voi. III,
p. 374. F. Gabotto
P. II, 1890, p. 437 sgg.
p. 374. B. Croce, La tomba di J. S. e la chiesa di S. Maria del Parto; C. Mancini,
I nomi accademici, ecc. p. 17 seg. (estr. dagli Atti dell' Acc. pontaniana).
,
XdaXL
p.
430
De Nolhac
Petrarque
et
155 sgg.
Per la diffusione dei Plauto, Sabbadini,
p.
70 sgg.
Per il Tridentone, Novati, nel Bullettaio senese di storia patria,!!, 1892, p. 92 sgg.
p. 379. Per i primi saggi della poesia maccheronica Zannoni, / precursori di Merlin
Cocai, Citt di Castello 1888; cfr. Giornale storico, XII, 1888, p. 418 sgg. Della poesia maccheronica sar discorso nel volume dedicato al secolo XVI.
Per i mariazi padovani, L. Stoppato. La commedia popolare in Italia, Padova 1887, p. 94 sgg. cfr. Giorn. stor. IX, 1887,
p. 290 seg. I testi sono ristampati da E, Lovarini, Antichi testi di Ut ter attera pavana, Bocritica, Pisa 1895, p.
p. 378.
p. 379-89.
p.
379.
dirette
nell'
Archi-
437
Giovanni Biffi e Piattino Piatti, E. Verga, Saggio di studi su B. Bellincioni, Milano, 1892,
16 sgg. per il Piatti, anche Del Lungo, [Florenti] p. 221. Del Bellincioni, vedi la
bibliografia, qui dietro nella nota a pag. 253. In generale per i poeti volgari della corte sforzesca, R. Renier, nell'Archivio storico lombardo, XIII, 1886, p, 793 sgg; lo stesso, Poeti sforzeschi in un codice di Roma, nella Rassegna emiliana, I, 1888, p. 15 sgg.
p. 386-7. R. Renier, Gasp. Visconti, nelV Arch. stor. lomb. XIII, 1886, p. 509 sgg. 777 sgg.;
esemplare di dedica del poemetto Di Paulo e Daria amanti , nel Giorn. stolo stesso,
Un codicetto di dedica ignoto del rimatore G. V., Bergamo 1895
rico, IX, 1887, p. 336 sg.
(per nozze Flamini-Fanelli).
p. 387. Delle rappresentazioni pavesi del 1493, Luzio-Renier, nelV Archiv. stor. lombardoXVII, 1890, p. 379 sg. La Danae commedia di B. Taccone, pubbl. da A. Spinelli, Bologna 1888 (per nozze Mazzacorati-G-aetani D'Aragona). La frase di Isabella, riferita da LuzioRenier, ne\Y Arch. stor. lomb. XVII, 622.
p. 387. VAtteonee le rime di B. Taccone, pubbl. da F. Bariola, Firenze 1884 (per
nozze Bellotti-Bariola). La Festa del Paradiso tra le Rime del Bellincioni, Bologna, 187678, II, 208 sgg. Certo fu fatta per le nozze di Giangaleazzo Mercurio dice: Dolce concento in gran silenzio ascolto E con Palla Imeneo fare temperia 'p. 213) e Marte Ringrazio or te (Giove) che un chiar sol d' Aragona E di Sforza mi mostri in questa parte
(p. 215). L'altra rappresentazione del Bellincioni pur tra le Rime, II, 238 sgg. Che avesse
luogo a Pavia nel famosissimo dottorato del reverendo monsignore della Torre risulta
dalla rubrica nel 1493, dal raffronto di questi versi; Queste due care sorelle (Beatrice
e Isabella)
Sono albergo di due stelle, che del mondo saran poli Perch portan duoi
figlioli Che d'Italia fien salute (p. 251) con Luzio-Renier, Arch. stor. lomb. XVII. 379 e 381,
p. 388. G. Zannoni, Una rappresentazione allegorica a Bologna nel 1487 nei Rendiconti dell' Accad. dei Lincei, S. IV, voi. VII, 1891, p. 414 sgg. Della rappresentazione del
Santi abbiamo solo una descrizione, non il testo : Luzio-Renier, Mantova e Urbino, p. 21.
p. 388. Per le egloghe recitative, Carducci, Su V Aminta di T. Tasso tre saggi, Firenze 1896, p. 23-31. L'autorit del Carducci non ha scosso la mia vecchia persuasione che
da codeste egloghe sia derivato il dramma pastorale. Per l'egloga di Gualtiero da San Vitale,
inedita nel cod. mglb. II, n, 75, v. Renier, nel Giorn. stor. V, 236 n. 1 ; per Gualtiero stesso,
Rossi, nella* miscellanea Nozze Cian-Sappa Flandinet, Bergamo 1894, p. 199 seg. La Semidea del Correggio inedita nel cod. Estense X.*. 34; la lettera, con cui il poeta la accompagna a Isabella nel Giorn. stor. XXI, 247 sgg.
p. 389-96. D'Ancona, Del secentismo nella poesia cortigiana del secolo XV, negli Studi
sulla letteratura italiana de" primi secoli, Ancona 1884 (o Milano 1891), p. 151 sgg. Flamini,
Per la storia della lirica italiana dal Poliziano al Bembo, nelle Spigolature citate,
pag. 127 sgg. Il convito cui si allude quello dato nel 1473 dal card. Pietro Riario a Leonora d'Aragona Gorvisieri, nell' Arch. della societ romana di storia patria, X, 1887, p. 649
p. 389-96. Per il Tebaldeo, D'Ancona, p. 191 sgg. Cian, Un decennio della vita di
P. Bembo, Torino, 1885, p. 234 seg. e Una baruffa letteraria alla corte di Mantova, nel
Giornale storico, 1886, p. 387 sgg. ; Luzio, I precettori d'Isabella d'Este, Ancona 1887 (per
nozze Renier-Campostrini), p. 51 sgg. Rossi, Pasquinate di P. Aretino ed anonime, Palermo, 1891. p. Ili seg. Percopo, nel Giom. storico XXVIII, 1896, p. 74, sg. nota. La data
della nascita dal cod. mglb. II, IV, 382, c. 166 v. Di M. Antonio Tebaldeo ferrarese, l'opere
d'amore, Venezia, Zoppino, 1534.
p. 391-5. Per Serafino, D'Ancona, p. 161 sgg. 203 sgg. Luzio Renier, Mantova e Urbino, p. 89-96. [F. Flamini, Un virtuoso del Quattrocento, nella Nuova Antol., S. IV,
voi. LXIX, 1897, p. 293 sgg.]. Del Seraphino Aquilano poeta elegantissimo V opere d'amore,
Venezia, Zoppino, 1530. Le rime di Serafino de' Ciminelli dall'Aquila a cura di M. Menghini, con ampia prefazione bibliografica, Bologna 1894: finora solo il primo volume contenente i sonetti, le egloghe, la rappresentazione allegorica mantovana e le epistole. I numeri dei sonetti citati si riferiscono a quest' ultima edizione dove pure ristampata
(p. 1 sgg.) la vita di Serafino scritta dal suo amico Vincenzo Calmeta.
p. 391. Delle feste offerte al principe di Capua nel maggio del 1492 dal cardinal
Ascanio Sforza d notizia un documento pubblicato dal Pastor, Geschichte der Ppste, III,
Freiburg i. Br. 1895, p. 207. Che nel giugno del 1493 Serafino era ancora a Roma, LuzioRenier, o. c. p. 91 n.
Percopo, Chap. 392. Per le imitazioni di poesie del Cariteo in quelle di Serafino
p.
riteo,
I,
p.
CCLII
394-5. Per
p.
XXIV, 243
sgg.
la storia della barzelletta vedi
Flamini
in Giorn. stor.
XX
49 sgg.
sgg.
p. 395. Di Panfilo Sasso, D'Ancona, p. 218 sgg. Opera del precarissimo poeta missere Pamphilo Sasso, Venezia, Bernardino Vercellese, 1511; gli strambotti ristampati sulle
antiche edizioni da S. Ferrari, nella Biblioteca di letteratura popolare italiana, I, Fi-
438
Verona 1893
tine, Stanze
secolo
XV,
nella
Rassegna
bibliografica,
III,
1895, p. 17 sgg.
Dei continuatori nel secolo XVI della maniera di Serafino sar discorso nel
volume dedicato a quel secolo. Per le liriche del Correggio, di Galeotto del Carretto e del
Visconti vedi le pubblicazioni cui direttamente o indirettamente si rinvia nelle note a
p. 381-2, 384, 384-6. La barzelletta citata di Galeotto fu stampata dal Renier, nel Giorn. stor.
VI (1885), 249. Imitazioni o ricordi danteschi nelle liriche del Bellincioni vedansi alle pag. I,
V. Rossi, Niccol
104; II, 1, 9, 101, 127, 157, 168, 186-7, 193, ecc. della citata ediz.
Lelio Cosmico poeta padovano del sec. XV, nel Giornale storico XIII 1889, p. 101 sgg., e
per la biografia del poeta anche Morsolin, Una elegia di B. Pagello, nella Rassegna padovana,
I, 1891, p. 195 sgg, ;Patetta, Una lettera inedita di N. L.C. nel Giorn. stor. XXIII. 1894,
p. , 461. sgg. diretta anche a lui la Lettera di Giovanni Lorenzi a Demetrio Calcondila
pubblicata da G. Dalla Santa, Venezia, 1895 (estr. dal periodico La Scintilla).
p. 397. Dei rimatori ligi alla pura tradizione petrarchesca sar discorso nel volume
dedicato al secolo XVI.
p. 397-8. A. Saviotti, Pandolfo Collenuccio umanista pesarese del secolo XV, Pisa 1888;
cfr. la recensione dello Scipioni nel Giorn. stor. XI, 1888 p. 414 sgg. e Luzio-Renier, ibidem,
XXI, 233 sgg. M. Morici, La famiglia di P, C. Pistoia 1896. La Canzone alla Morte colV Anfitrione, Milano, 1864, p. 19 sgg.
p. 398-401. Rime edite ed inedite di Antonio Cammelli detto il Pistoia, per cura di
A. Cappelli e S. Ferrari, Livorno 1884. Quivi anche la biografia, per la quale cfr. Renier
nella Rivista storica mantovana I, 1885, p. 72 sgg. e nel Giorn. stor. V, 1885, p. 319. I so-,
netti del Pistoia giusta V apografo trivulziano, a cura di R. Renier, Torino 1888. Con CF.
citata la prima, con R. la seconda di queste due edizioni.
p. 399. Pel Braccesi, Zannoni, nella Cultura, XI, 1890. p. 88 e nel Propugn., N. S.,
voi. Ili, P. I, 1890, p. 164. Di una sua raccolta di rime , lo stesso, Relazione a S. E. il
\ nel Bollettino ufficiale del Ministero della
Ministro su di un cod. di rime del secolo
P.
14 marzo 1895. P. Bacci, Notizia della vita e delle rime inedite di Tommaso Baldinotti poeta pistoiese del secolo XV, Pistoia 1894 (nozze Morici-Merlini).
p. 400. Di Giov. Battista Refrigerio, vedi L. Frati, nel Giorn. stor. XII, 1889, p. 325 sgg.
p. 401. I sonetti politici del Pistoia nell'edizione Renier, p. 273 sgg. Illustrazioni storiche di F. Gabotto nel Giornale ligustico, XV, 1888, p. 81 sgg. e di V. Rossi neVArch. Vep. 396.
XV
neto,
XXXV,
p.
207 sgg.
la poesia politica alla fine del secolo D'Ancona, o. c. p. 221 sgg. Sulle
P. Sasso in particolare, F. Gabotto, Francesismo e Antifrancesismo in due
poeti del Quattrocento, nella Rassegna Emiliana I, 1888, p. 283 sgg. D'Ancona-Medin, Poesie storiche del secolo XV, nel Bullettino dell'Istituto storico italiano n. 6. 1888, p. 17 sgg.
Delle poesie ispirate dalla battaglia di Fornovo, Luzio-Renier, neWArchiv. storico italiano S. V,
p. 401-2.
Per
poesie politiche
di
236 sgg.
sulla scoperta d'America sono di Tribaldo de' Rossi nel suo Libro
Berchet, nella Raccolta colombiana, Parte III, voi. II, Roma 1893, p. 1.
Ivi a pag. 8 sgg. ristampato anche il poemetto del Dati. Attestazioni che provano l'impressione fatta dalla notizia nella societ colta italiana, vedi raccolte da C. Merkel nella Rivip. 403.
Le parole
INDICE ALFABETICO
A
Accademia napoletana 336
platonica 229
romana 218,
221
.Acciainoli Donato 51, 66, 96, 106, 235, 279.
Piero 235.
Accolti Benedetto 35, 75, 107, 151, 187, 188.
Bernardo 383, 395.
Francesco 151, 159, 170, 187, 312. 420.
sg.
sg.
Achillini Gio.
sg.
sg.
Baldinotti
111.
Aragona, Alfonso
I d',
55
Alfonso d\ 352.
Ferdinando 337
,
399.
202.
,
387
sg.
Tommaso
Belcari
sg.
II
I,
sa;
loteo, 392.
(*)
sg.
(*) In questo indice sono registrati i luoghi ove di persone o di cose attinenti alla storia letteraria si parla ampiamente o si danno notizie particolari di qualche entit. I numeri in carattere
grassetto rinviano ai luoghi ove dell'argomento indicato si tratta di proposito e con maggior larghezza che negli altri.
440
INDICE ALFABETICO.
Bianchi 193
sg.
Boni Bono
Bramante 385.
Broccardo Domizio 151
Brunelleschi Filippo, 6,
207.
Cacce 243.
Calco Bartolommeo 385.
Calcondila Demetrio 66, 277, 385.
113,
121,
187.
441
INDICE ALFABETICO.
Demostene, tradotto 64.
Devozioni 201.
Diacceto, Francesco da, 230.
Diogene Laerzio, tradotto 26.
Disperate 153.
Dispute pubbliche 231 sg.
Domenichi Lodovico 335.
Burchiello
il
Domenico di Giovanni
Filelfo
124, 160,
37,
180,
165,
187, 232.
84.
Giammario
Fioravante 289.
Fiorentino Francesco 264.
Firenze 23, 26, 136, 140-43, 224 sgg.
Firmico Materno, scoperto 20.
Fonte, Bartolommeo della, 277.
sg. ; giudiziale,
politica 96-98; sacra 101-4.
Epigramma latino 155, 185 sg. , 261, 278.
Epistole d'amore in prosa 133, 364 ; in rima
99-101;
Fusco Domenico
388.
77-84.
Epopea romanzesca: materia
Epistolografia 15,
classica 285;
materia di Francia 279, 285-310; di Brettagna 311-13, 319 sg.
Epopea sacra 191-93, 250, 373.
storica 163-68.
248.
sg.
182.
"
episulla
sg. , 74,
;
Facezie 137-39.
Fallamonica Bartol. Gentile 176, 178.
Famiglia 86, 151 sg., 156 sg. 344-46.
Farse napoletane 357, 365 sg.
Favarotta, barone della, 359.
Fazio Bartolommeo, 61, 72, 85, 122, 126.
Febusso il forte 311.
Fedele Cassandra 42.
vanni
sg.
361, 370.
180.
Filippo 370.
Agnolo
Galli
Gibello 312.
Giocolo, Piero del, 175, 212.
Giogante, Michele del, 159.
Giostre in rima 174, 252, 264.
Giovanni, Domenico di, il Burchiello 18284.
Domenico
di,
Grismirante 311.
Giuristi 35, 55.
Giustiniane 147.
Giustiniano Andreolo 167.
Gliommeri
365.
Gonnella 138.
Gonzaga Francesco 383, 390.
Isabella 382 sg.
Gradenigo Jacopo 192.
Greco, vedi Studi.
Grifo Antonio 396.
'
Leonardo 164.
Gualtieri Lorenzo 166.
Guardati Masuccio 128-31.
Guarini Battista 39, 380.
Guarino veronese
epistole
53, 72, 186, 376
polemiche 24, 42 sg. 64. 99, 101 traduzioni 66, 92; vita, 38-9, 42.
82
197, 288.
442
INDICE ALFABETICO.
Maria zi
I
379.
Marrano Giovanni
Illicino
Bernardo
154.
127.
Improvvisazione 252.
Intessura Stefano 116.
Invettive 99-101.
Isottaeus 162 sg.
Martino V, 46.
Istoria, del Calonaco da Siena 172; di Campidano 172; di Ginevra Almieri 172; di
Liombruno, 172:
di Ottinello e
di
Giulia 171
d'Insidoria, 423
vedi Novella.
della
di Patrocolo e
Reina d'Oriente 312;
;
J
Jennaro,
Pietro
358
sg.
364, 370.
Giammatteo di 143.
Menila Giorgio 112, 222 sg., 276,
Milano 32, 384-87.
Mocenigo Tommaso 97.
Monaci, Lorenzo de\ 63.
385.
Montemagno, Buonaccorso
Morandi Benedetto 62.
157.
N
Naldi Naldo 124, 164 sg. 277.
Napoli 55 sg. 336 sgg.
Nardi Jacopo 383.
Nero, Piero del, 137, 171.
Nesi Giovanni 280 sg.
Niccoli Niccol 17, 23 sg., 28, 52, 71 sg.
Niccol cieco 160, 185, 187.
Niccol V, 47 sg. 65 sg.
,
Novella, del Bianco Alfani 136 sg. di Buonaccorso di Lapo Giovanni 137; di Giacoppo 137; del Grasso legnaiolo 136 sg.
d'Ippolito e Dianora 172,^383; di Lisetta
Levidini 137. Vedi Istoria.
Novelle in prosa 125 sgg. in rima 170-72.
;
O
;
opere sto-
279.
Lorenzo
di Pierfrancesco 202.
Piero ai Cosimo 29, 75.
Piero di Lorenzo 252, 269, 270
Medico, Elia dal, 231.
Meglio, Antonio di, 136, 151, 153, 158, 182
Lamenti, amorosi
Cristoforo 229.
sg.
443
INDICE ALFABETICO.
P
Palmieri Matteo, 89 95 sg. , 96, 176 sg.
Paltroni Pierantonio 181.
Pandolfini Agnolo 90, 96,
Pandoni Giannantonio, v. Porcellio.
Panno'nio Giano 29.
Panormita Antonio, 61, 82-84, 99, 185 sg.,
187, 336 sg. , 376.
,
Tommaso,
v.
sg.
133 sg.
R
di Gri;
di S. Guglielma 204 ; del Re
Superbo 203 ; di Rosana 205 ; di Stella 204
di S. Uliva 203 sg. ; romana della Pas-
selda 205;
Niccol V.
sione 201.
paghini.
181,
238, 248, 265, 272, 278, 280, 316, 359, 360,
362, 367, 37], 386, 390, 392,395, 397.
Petrucci Antonello 338.
Giannantonio 360 sg.
Piacentini Marco 152.
Piatti Piattino 385.
Piccolomini Enea Silvio, commedia 378 ; epistole 84; liriche latine 154; orazioni 98;
opere storiche e geografiche 112-15, 122 ;
storia di due amanti i26 sg. ; trattati 87 ;
vita 48-50, 141.
Pico Giovanni 224, 230-34, 276, 279.
Pilato Leonzio 17, 65.
Pio II, v. Piccolomini E. S.
Pisani Leonardo 195.
Pisani Ugolino 378.
Pistoia Antonio 383, 398-401, 403.
Pitti Buonaccorso 118.
Pizzicotti Ciriaco 75, 111 sg.
Platina Bartolommeo 85, 122, 218 sg. , 221,
Q
Quintiliano, scoperto 20
interpretato 270.
260,
Petrarchismo
sg,
282
99.
Pietro 220.
157.
Risorgimento
3.
Ronto Matteo
230.
sentazione, Teatro.
Polentone Sicco 122.
Polipio, tradotto 65 sg.
Poliziano Angelo 53, 242,
299, 310, 314, 379, 381,
254-77, 279,
364, 369.
160-62,
187.
Poesia didascalica, 167, 178, 348 sg. maccheronica 378 morale e satirica 187 sg.
pastorale 369, 371, 388, 391 popolare, 16770, 144-46. Vedi Epopea, Lirica, Rappre;
73.
Roselli Rosello 150 sg.
Rucellai Giovanni 117.
Rustico Romano 360.
430,
sg.
4ll
INDICE
ALFABETICO.
moderno 376-79
Scambrilla 184.
Sclaricino Tommaso 397.
Scola, Ogni bene della, 18.
Scolari ) >menico 285.
68.
Scoperte di antichi scrittori 14,
28, 47, 107, 113.
Seneca Tommaso 36, 63.
Senofonte, tradotto 65, 315.
Sercambi Giovanni 119 sg.
Sermini Gentile 127 sg.
Serminocci Jacopo 173 sg.
Serravalle, fra Giovanni da, 73.
Serventcse 147.
Sforza Beatrice 384 sg.
Francesco 33.
Galeazzo Maria 41.
Ippolita 41, 66, 128, 337.
Lodovico,
il
Moro 384
19-21,
26,
Tuppo, Francesco
Uggeri
scoperto 20.
V
Valerio Fiacco, scoperto 20.
Valla Lorenzo 53-62, 65 sg.
89.
88,
99
s<r.
186, 356.
295.
seconda 287.
Veneziane
287.
'
il
sir.
del, 363.
82, 154.
Sozomeno
311.
di,
Silio Italico,
Scolano Giorgio
Siena
T
Taccone Baipassare 387, 388.
Tacito, scoperto 47.
Tavola ritonda 311.
Teatro', classico risorto 379-381, 387; latino
147.
Z
Za, vedi Finiguerri.
^ambeccari Pellegrino 18.
166,
179,
CORRIGE
tkilATA
7 linea 44
14
27
29
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