Storia di una letteratura
critica
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UNIVERSITA' DI ROMA LA SAPIENZA
FACOLTA' DI SCIENZE UMANISTICHE
CORSO DI LAUREA IN CURATORE DI EVENTI ARTISTICI E CULTURALI
TESI DI LAUREA
Alighiero Boetti:
Storia di una letteratura critica.
Relatore: Carla Subrizi
Laureanda: Eva Tarei
Matricola: 1276425
ANNO ACCADEMICO: 2008/2009
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Indice
UNA PREMESSA pag. 4
Perchè una storia della letteratura critica su Alighiero Boetti?
INTRODUZIONE pag. 6
ANNI SESSANTA pag. 8
Dall'esperienza dell'arte povera alla “nausea” per l'oggetto
ANNI SETTANTA pag. 12
Il dibattito: “Il critico come archivista, come bibliotecario, come documentarista”
ANNI OTTANTA pag. 23
Clessidra, cerniera, viceversa: un disegno premonitore
ILLUSTRAZIONI pag. 38
ANNI NOVANTA pag. 54
Mi fuma il cervello: l'ironia del caso
ULTIMO DECENNIO pag. 76
Mettere all'arte il mondo
CONCLUSIONI PERSONALI pag. 86
ALIGHIERO&BOETTI pag. 87
Selezione di mostre
OPERE NEL TESTO pag. 94
BIBLIOGRAFIA pag. 96
RINGRAZIAMENTI pag. 105
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UNA PREMESSA
Perchè una storia della letteratura critica su Alighiero Boetti?
Fino a qualche mese fa, ad essere sincera, non avevo mai sentito parlare di Alighiero
Boetti. Nei quattro anni passati a studiare nell'università precedente mi erano mancate le
basi della Storia dell'Arte che in questo ultimo anno a Roma mi sono state date. Durante
una delle lezioni con la professoressa Subrizi, tra le numerosissime immagini che ci
venivano proiettate sullo schermo, la mia attenzione venne attratta da una in particolare.
Si trattava di una vecchia foto in bianco e nero che raffigurava due persone molto simili
che si tenevano per mano lungo un viale alberato. Il titolo era Gemelli. Mi sono chiesta
chi saranno mai questi due gemelli che si tengono per mano? Alighiero&Boetti, fu la
risposta. Mi sembrava un fatto singolare, una coppia di artisti fratelli e per di più
gemelli. Poi iniziai ad informarmi, senza alcun motivo apparente, leggendo qua e là su
internet. Sembrerà sciocco, ma da subito ebbi la certezza che sarebbe stato lui il
protagonista della mia tesi. Poi mi capitò di andare a marzo a Venezia per vedere
"Italics. Arte italiana tra tradizione e rivoluzione, 1968 2008", curata da Francesco
Bonami. La prima opera in mostra non si trattava di "All"(2008), di Maurizio Cattelan, i
nove corpi coperti da un lenzuolo in marmo di Carrara, che ti accoglievano all'ingresso
di Palazzo Grassi. Era, invece, proprio un'opera di Boetti. Non riuscendo a trovarla
dovetti chiedere. Mi risposero che si vedeva dalla finestra a fianco al guardaroba, che
dava direttamente sul canale. A quel punto lo vidi, il suo Autoritratto (1993), una
scultura in bronzo, a grandezza naturale, surriscaldata all'altezza della testa da un
dispositivo di resistenze elettriche, le quali, a contatto con il getto d'acqua che fuoriesce
da un tubo retto in mano, provocano nuvole di vapore. Nella didascalia c'era scritto che
l'opera era stata ideata negli anni '70, ma realizzata solo nel 1993. Avrebbe dovuto
essere l'emblema della creatività della sua testa fumante, ma per uno strano scherzo del
destino ha rappresentato anche un'amara riflessione sulla vita dell'artista, morto per un
tumore al cervello nel 1994. Da quel momento ho deciso di scoprire di più della sua
vicenda artistica, della sua vita, del suo pensiero, ed ho scoperto un mondo. Anzi ho
scoperto una visione del mondo, molto più ampia e sfaccettata, una visione globale che
ti insegna a prenderlo per ciò che è, e a cercare di migliorarlo con le piccole cose, i gesti
minimi, le "felici coincidenze", come era solito chiamarle lui, quelle misteriose affinità
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che si trovano al di sotto di tutto, quello scheletro, quel modo di funzionare che deve
essere alla base di ogni cosa. Vederlo non è poi così difficile, basta aprire la propria
mente a nuove esplorazioni, liberarsi dei preconcetti, delle gabbie del pensiero, delle
limitazioni prestabilite, delle catalogazioni che cercano di continuo di inscatolare tutto
l'infinito flusso della vita. Ma, poiché ho imparato che non si parla senza cognizione di
causa, mi è sembrato interessante conoscere prima cosa è stato detto su di lui, in tutti
questi anni, dalla prima mostra del 1967, fino ad oggi, sui quotidiani, sulle riviste d'arte,
nei cataloghi. Pensieri dei critici per la maggior parte, ma anche di semplici giornalisti,
di altri artisti a lui vicini o che a lui devono molto, come ad esempio Francesco
Clemente e Maurizio Cattelan. Ho così scoperto che Boetti, nel corso della sua attività,
volle raccogliere le opinioni di molte persone nei riguardi del suo lavoro, mentre i
discorsi critici specifici gli interessavano meno. Alla vigilia di ogni pubblicazione
invitava amici e conoscenti a scrivere un breve saggio sull'insieme della sua attività o su
un lavoro in particolare. Le divagazioni di costoro venivano a loro volta a costituire
un'opera all'interno del volume. Questo tipo di approccio rende onore all'artista, ma
presenta alcuni limiti. Mentre tutti gli altri artisti della sua generazione dispongono di
cataloghi voluminosi, che affrontano in modo puntuale la genesi e le ripercussioni del
loro lavoro, da questo punto di vista la bibliografia di Alighiero Boetti si presenta
volutamente povera. È stato l'artista a volere così.
Questo breve scritto non è altro che un piccolo tentativo di seguire il filo di queste
innumerevoli divagazioni, interventi, pensieri sparsi, di tutti coloro che, chi più e chi
meno, sono stati vicini all'artista, lo hanno conosciuto, hanno trascorso un tratto di vita
con lui. È come se per voler conoscere una persona che non c'è più, magari un parente,
scomparso quando si era ancora troppo piccoli, mi sia messa ad ascoltare tutti i racconti
di coloro che l'hanno conosciuto, aneddoti, critiche, ricordi. Lo scopo non è fine a sé
stesso. Tutto è finalizzato a quello che sarà il tema della tesi di Laurea Magistrale,
sempre incentrata su di lui, ma in un modo più approfondito, più personale. Il presente
lavoro, perciò, non vuole assolutamente avere la pretesa di essere esaustivo, ma vuole
solo essere un tentativo di mettere "ordine nel disordine" degli scritti critici che lo
riguardano.
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INTRODUZIONE
Tracciare un storia della letteratura critica riguardo Alighiero Boetti non è un'impresa
facile. Lo scopo della mia ricerca, come già accennato, è tentare di dare un ordine
sistematico e cronologico agli scritti critici che di volta in volta hanno trattato un artista
tanto eclettico quanto a tratti geniale, nell'arco della sua breve (19401994), ma intensa
vita. Alla sua morte le 10000 cose che aveva realizzato non erano che una piccola parte
di quello che aveva in mente e che avrebbe voluto compiere. Porre l'attività artistica di
Boetti in delle schematizzazioni non sarebbe rendergli giustizia. Il suo pensiero è
sempre andato in orizzontale, utilizzando tutte le forme d'arte e a volte inventandole.
Tommaso Trini, che ne è stato uno dei critici più lucidi, nel descrivere la sua opera
sintetizza:
"Un'opera che è un'insieme di fatti disparati, di eventi di tempo, di scarti
continui che talvolta inanellano un ciclo di contraddizioni, di coincidenze.
Manca in Boetti quell'unità spesso imposta che permette di verticalizzare il
pensiero a scapito delle sue espansioni laterali. […] La descrizione del suo
lavoro può terminare qui: è una delle rare opere che che invita a una
discussione in cui nulla sia taciuto o dato per scontato."1
I suoi molteplici interessi, tra i quali la matematica, la filosofia, l'esoterismo, l'Oriente,
rendono il quadro ancora più complesso. Con tutta probabilità da un studio rigoroso di
tutta l'enorme mole del suo lavoro, parte del quale è anche spesso andato perduto,
l'unica regola generale che si può ricavare è che Boetti non aveva regole. Amava il gioco
e l'ironia e a volte ci rendiamo conto che forse è stato un giocatore molto più scaltro di
noi, quando, ad esempio, ci arrendiamo di fronte all'impossibilità di risolvere uno dei
suoi rebus. Per capire la sua opera è necessario lasciarsi tutte le conoscenze acquisite
fino ad ora alle spalle, come suggeriva Giovan Battista Salerno nella prefazione di un
dialogo a tre con Rinaldo Rossi e Andrea Marescalchi:
1 Tommaso Trini, Abeeghiiioortt, in "Data" n.4, maggio 1972.
6
"Nessuno di noi è un sacerdote, il custode di una specie di ortodossia
boettiana, ma noi sappiamo di parlare di un artista unico proprio perchè
quasi niente del nostro sapere precedente al suo incontro ci è stato utile per
capire la verità della sua opera. Ciò sia detto a critica di quanti usano a
proposito di Boetti le categorie ermeneutiche dell'arte e dell'estetica..."2
Ciò che più lascia meravigliati di fronte a uno dei suoi lavori è l'incredibile semplicità
dell'idea di fondo. Citando Maurizio Fagiolo Dell'Arco, Boetti "con l'implacabile
inventività del bambino lavora nella massima libertà e spregiudicatezza." L'essenzialità
del suo lavoro risiede nella " gioia di scoprire il mondo intorno a sé".3
Ed è con le idee che più ama lavorare. Punta sulla creatività, trae le sue intuizioni dagli
innumerevoli dati fornitegli dall'esperienza, costituendo in questo modo un database di
spunti che non ha fine. La realtà è solo il punto di partenza che lo porta ad analizzare le
infinite analogie tra le cose più piccole, più elementari, i gesti minimi. Il percorso a
ritroso lungo questi itinerari lo porta a svelare il senso profondo, più nascosto delle cose,
provocandogli un'esaltazione continua anche per ciò che siamo ormai abituati ad
esperire come il noioso e opaco quotidiano. Ed è proprio dall'inizio di queste azioni in
apparenza banali che traccia una autoironica ma altrettanto seria cronologia dei suoi
primissimi esordi:
"Nel 1948 strappai un grosso foglio di carta marrone ed ottenni piccoli pezzi
quadrangolari, che ammucchiai e con cui eressi una colonna piuttosto
instabile. Nel 1954 lisciai un cartone ondulato che aveva la superficie di un
metro quadrato. Invece dal 1957, interrottamente, uso lisciare la carta
argentata delle scatole di sigarette.[…] Nel 1950 circa venti piccoli bicchieri
da gelato, che avevo raccolto con difficoltà, furono incastrati l'uno con l'altro
in modo da formare un arco. […] Un mucchio di sabbia alto circa 30 cm
sorse nel 1949 ad Alasso, dove del resto scavai anche un grosso buco fino ad
incontrare l'acqua. […]"4
2 Giovan Battista Salerno, Rinaldo Rossi, Andrea Marescalchi (a cura di), Alighiero e Boetti (catalogo mostra),
Studio Gian Galeazzo Visconti, Milano, 8 marzo31 maggio 2006
3 Maurizio Fagiolo Dell'Arco, Boetti: il principio di non averne, in "Il Messaggero", Roma, 22 giugno 1975
4 Alighiero Boetti, testo pubblicato da Germano Celant nel 1967, in Eine KunstGeschichte in Turin 19651983. UNA
STORIA D’ARTE A TORINO 19651983 ölnischer Kunstverein, Köln, 8 ottobre13 novembre 1983
7
A I S N Dall'esperienza dell'arte povera
alla “nausea per l'oggetto”
N S T
tenne alla Galleria Christian Stein
di Torino, nel gennaio del 1967.
Le opere di quel periodo,
8
vi sono tante idee quanti i pezzi. Al suo esordio l'artista si presenta con sei o sette idee,
realizzate in quasi trenta pezzi diversi l'uno dall'altro. Un antisistema con il quale Boetti
vuole affermare la sua non adesione a nessun sistema. Rifiuta di porsi all'interno
dell'evoluzione storica e di dedicarsi ad un'univoca evoluzione personale. In questo
modo l'opera è condotta alle sue estreme conseguenze: l'aperto operare. Trini mette,
però, in guardia Boetti, ricordando che una ruota di bicicletta, una pala da neve e un
orinatoio hanno creato una categoria, il ready made, che è ancora la base intellettuale di
quasi tutti i movimenti artistici. Basterebbe solamente un'altra mostra fatta di oggetti
tutti differenti per fare in modo che venga trovato il filo che li cuce, che l'antisistema
venga sistematizzato. Sta solo all'artista, perciò, fornire il suo filo, proprio così come ha
fatto Duchamp.
Neanche a distanza di un anno Boetti espone nella sua seconda personale, alla Galleria
la Bertasca di Genova. Già i primi commenti critici testimoniano come i fondamenti
dell'opera di Boetti siano stati ben recepiti. Celant, nello scritto Per i ciechi tutto è
improvviso7 punta l'attenzione soprattutto sugli aspetti del lavoro dell'artista che lo
avvicinano al gruppo dell'Arte Povera. Boetti, tra un'arte complessa ed un'arte povera,
avrebbe scelto la "povertà", la semplicità, l'essenzialità degli elementi concreti dell'uomo
e della natura. Il fine ultimo è quello di spogliare l'immagine della sua ambiguità, per
sottolinearne il significato fattuale e primario. È bene evitare di cadere nell'errore di
cercare dietro le immagini dei significati simbolici, dei fini secondari che allontanino
l'attenzione da ciò che l'oggetto contestualmente è. Il discorso, però, non si riduce
neanche ad una semplice apologia dell'oggetto. Il materiale permette di sottolineare il
senso compositivo, la formazione e mai l'effetto. Queste composizioni non risultano
essere nient'altro rispetto a ciò che sono. Di conseguenza l'unica azione a cui ci si può
limitare di fronte ad esse è la costatazione, l'analisi, senza mai tentare di pervenire ad
una sintesi. Boetti non inventa nulla, poichè, come ricorda Tommaso Trini 8,
probabilmente non c'è più nulla da inventare. L'artista si limita a rivelarci come i suoi
blocchi, o i cubetti, o i fogli di eternit, pur essendo oggetti apparentemente differenti tra
loro, in realtà partecipano, sotto la superficie, ad uno strutturarsi di tutte le parti in un
unico insieme. Sarà Boetti stesso, in una intervista con Sandro Lombardi, a svelarci
7 Germano Celant, "Per i ciechi tutto è improvviso", testo per il catalogo Galleria La Bertasca, ed Masnata
n.5,Genova, dicembre 1967, pp.913.
8 Tommaso Trini, Blocchi che sbloccano, testo per il catalogo galleria la Bertasca, op. cit., pp.2125.
9
questo piccolo segreto:
"[…] Bisogna capire che il meccanismo del mondo in definitiva è unico, e si
sviluppa attraverso vari procedimenti e attraverso aspetti diversificati in
qualsiasi realtà.[…] Bisogna allora riuscire a percepire questa unicità nelle
cose, invece di frammentarle sempre in categorie e classificazioni, e
soprattutto in antitesi del tipo buono/cattivo, bianco/nero etc. Le cose sono
sempre estremamente miscelate."9
Henry Martin10 consta poi come di fronte a questi "elementi primi", Boetti opera in un
modo altrettanto primario, accentuando ciò che questi materiali hanno di elementare. I
concetti con cui lavora vengono trattati come se fossero appena stati scoperti. Boetti ci
riporta indietro nel tempo e si identifica con l'uomo delle caverne di Bertrand Russel,
quando per la prima volta si rende conto che i suoi piedi ed un paio di scoiattoli morti
hanno qualcosa in comune, il concetto del numero due. Ciò su cui lavora è la
modificazione concettuale interna di queste cose, che lo porta in quello stato di euforia
dato dal costatare che il mondo è più grande e più ricco di come ci si era immaginati. Il
suo desiderio, come lui stesso ha dichiarato, è di ricostruire quelle prime scoperte che
portarono l'uomo da ciò che era a ciò che è, unito alla trasmissione del desiderio di fare
nuove scoperte che porteranno l'uomo da ciò che è a ciò che vorremmo che fosse. Tutto
questo è evidente nel suo lavoro, anche attraverso il rapporto tra le idee e i materiali e
implicitamente nei materiali stessi.
Tra la prima personale e la seconda alla Galleria la Bertasca partecipa a tutte le
collettive dell'Arte Povera. A quella curata da Germano Celant e Aldo Passoni nella
Galleria Civica d'Arte Moderna di Torino11, segue Arte poveraI'm Spazio, sempre alla
Galleria la Bertasca di Genova.12 Con gli altri artisti del gruppo, in questa fase iniziale
del suo viaggio, si trovava in sintonia, ma ad un certo punto li abbandona. Racconta in
un'intervista a Mirella Bandini:
9 Sandro Lombardi (a cura di) "Alighiero Boetti Dall'oggi al domani", ed L'Obliquo, Brescia, 1988.
10 Henry Martin, testo per il catalogo Galleria la Bertasca, op. cit., pp. 1520.
11 Germano CelantAldo Passoni (a cura di), Museo Sperimentale d'Arte Contemporanea, Galleria Civica d'Arte
Moderna, Torino, dal 26 aprile 1967
12 Germano Celant (a cura di), Arte povera. Imspazio, Galleria La Bertesca, Genova, 27 settembre20 ottobre 1967
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"A me l'oggetto non ha mai interessato. Infondo la Lampada annuale del '66
è più anonima possibile [ … ] Così il ready made in tessuto mimetico e i
pannelli con le scritte. Inoltre non sono mai stato uno scultore.
Successivamente alla mostra del gennaio 1967, nel marzo dello stesso anno
ho eseguito i colori con il beige sahara e altri sei o sette o otto [ … ] E' stata
un po' nefasta l'oggettivazione che dopo ne hanno fatto i critici. Erano
momenti di grande eccitamento, anche a livello di materiali, una scoperta
[ … ] Poi vi è stata un' esagerazione nel '68 che ho vissuto fino alla nausea e
poi basta...chiuso! Infatti alla fine del '68 vi è stata una mostra ad Amalfi
"Arte Povera + Azioni povere"13 dove vi erano tanti miei lavori [ … ] La
mostra di Amalfi è stata proprio la nausea della fine. Il mio lavoro era un
assemblaggio di cose e di idee"14
Finisce così la sua esperienza nell'Arte Povera, ed intraprende un percorso più isolato. Il
suo lavoro artistico comincia a farsi estremamente mentale. Il '69 è quindi un anno di
svolta. Espone nella Galleria Sperone a Torino15 una vetrata con il ritratto a calco di
Walter De Maria ed un suo autoritratto, Io che prendo il sole a Torino il 24/02/'69,
realizzato con sfere di cemento che riportano il calco della sua mano; ricalca a mano
una serie di fogli quadrettati, che chiama Cimento dell'armonia e dell'invenzione; inizia
il Dossier postale, terminato nel '70, risultato di un lavoro di corrispondenza in cui 28
personaggi del mondo dell'arte sono destinatari di lettere inviate presso indirizzi fittizi
lungo le tappe di un viaggio immaginario. Il '69 è anche l'anno in cui partecipa alla
storica collettiva curata da Harold, Szeemann, When Attitudes Becomes Form16. Con
questa mostra si delinearono i confini di un campo in cui si intrecciano e si confrontano
ricerche facenti capo all'arte concettuale, alla land art, alla scultura sociale di Joseph
Beuys e all'arte povera, che costituiva nel panorama europeo il gruppo più rilevante.
13 Germano CelantMarcello Rumma (a cura di), arte povera più azioni povere, Antichi Arsenali della Repubblica,
Amalfi, 46 ottobre 1968
14 Alighiero&Boetti/Mirella Bandini, "NAC", n.3, 1973
15 Alighiero Boetti. Una vetrata Io prendo il sole a Torino il 24/02/'69 – Ritratto di Walter De Maria, Galleria Sperone,
Torino, 19 aprile2 maggio 1969
16 Harald Szeemann (a cura di), Live in your head. When Attitudes Become Form. Works Concepts Processes
Situations – Information, Kunsthalle, Bern, 22 marzo27 aprile 1969/ Musem Haus Lange, Krefeld, 9 maggio15 giugno
1969/ Institute of Contemporary Arts, London, 28 agosto27 settembre 1969
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Il dibattito: “Il critico come
archivista, come
bibliotecario, come
documentarista”.
17 Renato BarilliMaurizio CalvesiAndrea EmilianiTommaso Trini (a cura di), GENNAIO 70. COMPORTAMENTI
PROGETTI MEDIAZIONI. 3a biennale internazionale della giovane pittura, Museo Civico, Bologna, 31 gennaio28
febbraio 1970
18 7e Biennale de Paris, Parc FlorealBois de Vincennes, Paris, 24 settembre1° novembre 1971
19 Susan Sontag, Against Interpretation , University of California, 1964; tr. it. Milano, Mondadori, 1967
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prescrittivi. Tutto ciò portava ad un approccio differente nei confronti di tutti quegli
artisti che dagli anni '70 avevano in parte abbandonato il fare manuale, cimentandosi
nelle più disparate forme artistiche, utilizzando materiali tanto eterogenei tra loro. Molte
espressioni artistiche erano su carta, come per l'appunto una gran quantità della
produzione di Boetti. In Italia la prima ad avvertire la necessità di un cambiamento di
rotta della critica nei confronti degli artisti fu Carla Lonzi, la quale si rese conto di un
disagio nel mondo dell'arte provocato da un controllo troppo repressivo della critica.
Individuò una possibile soluzione in un differente metodo di indagine: il dialogo.
Pubblicò nel 1969 il libro Autoritratto20 costituito da un collage di conversazioni con gli
artisti, trascritte, senza manipolazioni, così come erano state registrate. Germano Celant
stesso, a partire dagli anni '70 dichiarò un diverso comportamento critico. Citando
Susan Sontag sostenne l'esigenza di una «critica acritica»: «l'arte contemporanea»
scrisse «in questo momento chiede di essere lasciata in pace, non vuole essere ridotta a
parole o a letture critiche»21. Delineò la figura del critico come di colui che conserva e
raccoglie l'arte, servendosi di strumenti che non ne stravolgano il senso: cinema,
fotografia, libro, registratore, rivista: «critico quindi come archivista, come
bibliotecario, come documentarista». Lamentando la carenza di «una vera opera
conservativa del presente», definì la funzione critica come impegno per la creazione di
luoghi atti a raccogliere la documentazione e di strutture per la loro gestione.
Conseguenza ne fu la nascita di Information Documentation Archives, un servizio di
documentazione e informazione sull'arte e l'architettura contemporanee fondato a
Genova nel giugno del 1970 e reso operativo a partire dall'ottobre dello stesso anno. La
struttura si risolveva in realtà nell'attività di Germano Celant che ne era il curatore, ma
significativa appariva l'impostazione metodologica, che prevedeva tre dipartimenti:
teoria, informazione, organizzazione, che si occupavano rispettivamente della
elaborazione di nuovi metodi operativi, della raccolta e della diffusione della
documentazione sull'arte e della creazione di eventi da realizzare anche in
collaborazione con altre istituzioni.
Boetti vive nel pieno di questo dibattito critico, del quale la sua opera sembra essere
l'emblema. I critici si pongono in una condizione di disponibilità nei suoi confronti, lo
apprezzano e ne tessono le lodi. Sempre all'interno di quegli Incontri Internazionali
20 Carla Lonzi, Autoritratto, ed. De Donato, Bari, 1969.
21 Germano Celant, Per una critica acritica, "NAC", Milano ottobre 1970.
13
d'Arte di nuovo Tommaso Trini22 definisce l'incontro con Boetti una delle poche
esperienze illuminanti dei tempi più recenti. Si sofferma sulla difficoltà di
documentarne il lavoro, che sfugge dall'essere racchiuso in foto o diapositive. Comincia
a ragionare sull'importanza degli altri nel suo pensiero, Boetti lavora per gli altri e, se
può, lavora con gli altri, ponendosi, però, non ad un livello superiore, sforzandosi,
invece, di rendere la sua arte comprensibile a tutti come un racconto. Sono opere che si
chiudono in una loro circolarità, che non presentano crepe proprio perchè hanno una
loro interna frammentarietà. Di fronte ad esse anche il critico deve fare un passo indietro
e, come allo lo spettatore, resta il compito di rendere conto di sé di fronte all'arte.
Critico e spettatore, quindi, hanno qualcosa in comune, ma anche Boetti stesso è stato
un tempo spettatore, di altre opere, di altri artisti. E questa sua condizione nella sua
opera sopravvive in gran parte. Una delle sue caratteristiche principali è proprio la
messa in scena del soggetto che si attua attraverso forme di esibizionismo e
protagonismo dell'artista. Il lavoro di Boetti ci coinvolge in un insieme di fatti disparati,
di opere, di gesti, di eventi che si protraggono nel tempo. E' molto più vicino
all'invenzione che all'oggetto estetico. All'invenzione segue una seconda fase, di
apprendistato, sommando esperienza dopo esperienza, Boetti si applica alla geometria
intuitiva, cerca, cioè, di dare una misura alle visioni della mente. Nella fase successiva si
impegna nel dare un ordine a tutte queste misure, tentando di accrescerne la logicità. In
questo modo attua la presa di coscienza, il riconoscimento della propria identità. Boetti
è riuscito a trovare un'alternativa alle avanguardie che erano venute incrostandosi nei
decenni, perdendo di vista l'iniziale volontà di trasgressione e scadendo nei più gratuiti
conformismi. Egli, invece, pratica un'arte considerata di punta, a volte anche di difficile
comprensione. Ha inaugurato una nuova serie di circuiti di attività, come ad esempio
quando ha riscoperto la manualità 'meccanica' delle ricamatrici afghane di Kabul,
facendogli eseguire numerosi arazzi. Trini, infine, si interroga su due questioni, compito
necessario per evitare un altro tipo di deragliamento, e cioè riconoscere all'artista meriti
che non ha. Una consiste nel saggiare la resistenza dell'opera (e dell'artista) alla
delazione, poiché è comune di molti artisti di arrestarsi su un solo binario, per non
vedere il resto e tacere quasi su tutto. L'altra riprova è quella della tolleranza, poichè
molti artisti pretendono di trasformare subito una propria idea, un metodo, in legge e
22 Tommaso Trini, Come non deragliare parlando di Boetti, in "Critica in atto", Incontri Internazionali, Roma, 1972/73
14
consuetudine. Ma eravamo solo nel 1973, e Trini avrebbe avuto riscontro del fatto
Boetti non apparteneva né alla prima né alla seconda categoria di artisti.
L'anno seguente espone alla Kunsthalle di Lucerna23. In uno scritto all'interno del
catalogo della mostra JeanChristophe Ammann evidenzia un altro dei problemi di cui si
occupa Boetti: quello dell'armonia. Ciò all'apparenza potrebbe apparire come una
contraddizione. Uno dei concetti sul quale ha lavorato molto è quello di ordine e
disordine. Era convinto che l'armonia risiedesse proprio nel rendersi conto che
Nell'estate dell'anno seguente lo ritroviamo impegnato in una personale alla Galleria
Gian Enzo Sperone25 di Roma. Più o meno contemporaneamente si continua a parlare di
lui nei quotidiani. Oltre al già citato articolo di Maurizio Fagiolo dell'Arco ne Il
Messaggero, anche Achille Bonito Oliva ne scrive su Il Giorno26, considerando il lavoro
di Boetti nell'ambito dell'arte processuale, in cui non è rilevante l'oggetto, ma il processo
creativo che lo promuove. Egli punta su un'idea di creatività, spostando nell'ambito
dell'arte dati ed esperienze del quotidiano, ma senza fargli assumere lo stesso valore
intenzionale che hanno nella vita di tutti i giorni. Lavora a portare la realtà dallo
statistico al probabile. Opera attraverso il sistema combinatorio, utlizzando segni minimi
per evidenziare il processo creativo che poggia sempre tra le due polarità di ragione e
caso, progetto e ironia. Agisce attraverso una consapevole cleptomania, afferrando le
cose dall'esterno, come ad esempio nel lavoro de I Vedenti27, una scritta fatta
immergendo il dito nel gesso bagnato. L'opera era nata guardando in TV una
trasmissione sui ciechi che parlavano dei "vedenti". Ad una tratto si è reso conto di
23 JeanChristophe Ammann (a cura di), ALIGHIERO E BOETTI, Kunstmuseum Luzern, Luzern, 12 maggio16
giugno 1974
24 Sandro Lombardi (a cura di), Alighiero Boetti Dall'oggi al domani, Edizioni L’Obliquo, Brescia, 1988
25 Alighiero Boetti, Per una storia naturale della Moltiplicazione, Gian Enzo Sperone, Roma, dal 10 giugno 1975.
26 Achille Bonito Oliva, La creazione dell'oggetto, in "Il Giorno", Roma, 13 luglio 1975.
27 Achille Bonito Oliva, Dialogo con Alighiero Boetti, Milano, 1973, in "Dialoghi d'artista", ed. Electa, Milano, 1984.
15
essere un "vedente", che spesso viene scambiato per "veggente", ed è un lapsus che fa
riflettere. In quel caso ha fatto un furto a un cieco, così come compie dei furti quando in
Afghanistan fa ricamare dagli altri. In questo modo riesce a dirottare qualsiasi segno o
materiale dal basso della loro esistenza funzionale, al piano della formulazione
linguistica. Il suo linguaggio non risulta mai essere violento, è sempre sottile ed
orizzontale, così come orizzontale è la sua posizione di disponibilità nei confronti del
mondo.
È negli stessi anni che inizia un progetto teso alla dimostrazione di quanto sia insito
nell'uomo il bisogno di classificare il reale, di tentare di dargli un ordine, ma allo stesso
tempo anche di quanto il reale sfugga da queste catalogazioni: Classifyng the Thousand
Longest River in the World (197075), che comprende anche la pubblicazioni di un libro
firmato insieme alla prima moglie Annemarie Sauzeau. La scelta dei fiumi non c'entra
nulla con la geografia, è solo dovuta al fatto che i fiumi sono tra le grandezze più
difficili da misurare, poiché hanno innumerevoli metodi di lettura delle lunghezze.
Inoltre vi sono fiumi stagionali, temporanei, il che rende ancora di più l'opera una
enorme impresa, tanto più vicina all'esperienza scientifica che all'arte. Ne risulta che
“questo lavoro porta un po' di ordine nella geografia e un ulteriore motivo di disordine
nell'arte, equilibratamente”28. Accanto ad ogni fiume sono indicate le misure diverse e
divergenti, tratte da testi geografici che mai concorderanno tra loro. Ed è proprio sul
“margine di errore” che Boetti opera. Citando Paolo Brancacci29, si suggerisce il
concetto della relatività della scienza. Ciò significa che i margini di libertà si allargano
ulteriormente. Le contraddizioni da stanare sono infinite. Proprio poco tempo dopo,
Achille Bonito Oliva si soffermerà sul rapporto tra arte e scienza, in un testo 30
pubblicato all'interno del catalogo di una delle mostre più importanti di Boetti: quella
alla Kunsthalle di Basilea del 1978. Bonito Oliva ci ricorda come l'arte contemporanea
nei confronti della realtà non si è mai posta in una condizione celebrativa, cercando,
anzi, di mettere sempre in discussione le certezze anticipate dalla scienza. Gli artisti
dell'ultima generazione avevano intensificato tale mentalità, della quale è partecipe
anche Alighiero Boetti, sviluppando l'idea di un'arte come “pratica dell'intelligenza
nomade”. Ciò consiste nel porsi costantemente in un'attività critica che realizzi un'opera
28 Tommaso Trini 1970/1973, I primi mille fiumi più lunghi del mondo, in "Data", anno IV, n. 11 primavera 1974
29 Paolo Boccacci, I mille fiumi più lunghi, in "Paese sera", Roma, 1 luglio 1978
30 Achille Bonito Oliva, Tecnica ed intensità dello sbaglio, testo nel catalogo della Kunsthalle di Basilea del 1978,
Roma,1977.
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frutto di una condensazione di nessi inediti, tratti dai dati statici della normalità. Per
Boetti l'artista è colui che progetta e poi delega l'esecuzione ad altri, in un processo
creativo basato sullo stesso meccanismo della catena di montaggio. In questo modo
viene inserito un altro fattore nell'opera: l'errore, dovuto al fatto che all'esecuzione
partecipano altri soggetti. Un esempio che valga su tutti. Ricorda Annemarie Sauzeau
che all'arrivo dei primi arazzi fatti ricamare in Afghanistan, rappresentanti le mappe del
mondo, colorate così come sono le bandiere delle nazioni, si resero conto di non aver
lasciato indicazioni riguardanti il colore del mare. Le donne afghane non avendolo mai
visto, lo inventarono. Così ve ne era uno rosa, uno arancione, etc. Boetti, dopo le prime
perplessità, ne fu entusiasta e si rese conto una volta in più di quanto fosse bello
affidarsi agli altri. Allo stesso modo lo sbaglio rientra nell'opera dei Mille fiumi.
L'imprecisione diventa il massimo risultato del catalogo. Gli autori non rintracciano le
cause delle differenze, riportano solo i numeri poiché si tratta di un lavoro sul potere
relativo dell'informazione e sulla possibilità di sottrarre potere a quelle discipline che
pretendono di fornire certezze assolute sulla realtà riducendola a pure astrazioni. In
definitiva, se catalogare significa definire, la catalogazione non prevede contraddizioni.
Boetti, invece, ha fondato un catalogo delle contraddizioni, che trova la sua identità
proprio nella differenza, intesa sia come scarto di informazioni, che come introduzione
di altri soggetti nella sua opera. La socializzazione è uno dei tratti caratterizzanti
dell'opera di Boetti, diventa un modello di riqualificazione del lavoro collettivo: la
creazione non si riduce al momento del progetto, ma viene protratta anche durante la
produzione che diviene un modo per rivendicare il bisogno collettivo alla creatività. Dal
canto suo Giovan Battista Salerno inserisce nello stesso catalogo un saggio31 in cui
propone di studiare l'artista come il funzionamento di un'arma, nel dettaglio, cercando di
appropriarsi delle sue prassi, concludendo con '"e se c'è il rischio che a forza di parlare
di armi si rimandi ancora il giorno in cui si comincerà a parlare di uomini, c'è nello
stesso tempo l'alibi che si tratta di armi per anticipare l'avvento di quel giorno". Una
delle critiche che ha contribuito alla comprensione dell'opera di Boetti è stata senz'altro
la sua prima moglie, Annemarie Sauzeau. Sempre nel catalogo della mostra di Basilea,
pubblica una serie di “commenti vaganti” che si riferiscono a molti lavori di AeB 32, in
particolare a Cimento dell'armonia e dell'invenzione (1969), a Pack (1969), al videotape
31 Giovan Battista Salerno, L'artista e l'assassino, testo nel catalogo della Kunsthalle di Basilea, op. cit.
32 Dal 1972 l'artista comincia a farsi chiamare Alighiero&Boetti
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Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo (1975), a Serie di merli disposti ad intervalli
regolari lungo gli spalti di una muraglia (19711993) e a Ordine/Disordine (1973)33. Si
nota come il suo modo di rapportarsi all'opera dell'artista sia profondamente influenzato
sia dall'affetto che prova nei suoi confronti sia dal fatto di condividere una stessa visione
del mondo. Ci parla della stravaganza, che non è né nomadismo, né erranza, ma è
qualcosa a “tutto orizzonte” che investe la molteplicità e l'imprevisto degli incontri. Lo
stravagante ama giocare sull'infrazione continua delle consuetudini (si scopre vedente
attraverso lo sguardo bianco dei ciechi), oppure inventa nuove naturalezze (come il sesto
senso, lo sdoppiamento gemellato). Gioca poi ancora con le parole introducendo il
concetto di distrazione, cioè lo stato di tensione estrema delle fibre che si allungano
prima di disgiungersi. La distrazione può raggiungere un punto di tensione perfetto, ma
al di là di questo incontra il dolore, lo squarcio. L'espressione creativa rappresenta una
dilatazione dello spirito e del corpo, distrazione (e tentazione dello squarcio). Questa
distrazione è l'attenzione estrema: l'apertura massima delle braccia segna i confini del
volo, della scrittura e della rappresentazione. Nelle sue realizzazioni umane rappresenta
l'archetipo di simmetria imperfetta poiché la mano sinistra non è lo specchio fedele della
destra perchè non conosce l'automatismo della calligrafia “scrivere con la sinistra è
disegnare”34. Ci racconta, poi, come è nata la serie dei telegrammi, nella quale Alighiero
applica la distrazione al proprio tempo esistenziale. Il punto di partenza è stata una data
apparentemente arbitraria: il due maggio 1971, chiamato oggi. A partire da quell'oggi è
iniziato l'inesorabile stiramento dei giorni scanditi in progressione numerica, secondo la
potenza di due. Man mano che si dilatano i segmenti del tempo vissuto, la posa dei
telegrammi, o merli, si fa più rara, la muraglia si allunga. La serie di merli è un'opera in
corso, aperta come è aperta la vita alla morte. L'arbitrarietà della regola matematica, la
potenza di due, rende possibile la riflessione sul fluire del tempo. Il raddoppio
raddoppia l'esperienza, così come la vita di Alighiero, che vivendo e guardando ciò che
si estende davanti ai suoi occhi, diventa Boetti. Un ultimo appunto la Sauzeau ce lo fa su
un altro segreto che le ha confidato Boetti, quello delle "felici coincidenze", che non si
trovano per caso, ma sono esse stesse le radici del caso. L'incontro non può che avvenire
in situazioni d'avventura totale, il momento in cui tutti gli opposti si ricongiungono.
33 A.M. Sauzeau, Note su alcuni lavori di A e B La stravaganza. Testo nel catalogo della Kunsthalle, op. cit.
34 A. Boetti da “Eine Kungstgeschichte aus Turin 19651983” cat. mostra Kölnischer Kunstverein,
giugno 1983
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Solo una settimana dopo la fine della mostra di Basilea, viene pubblicato su
Repubblica, un articolo35 del critico Giuliano Briganti, che ci mette in guardia riguardo
all'inutilità di cercare di apporre su tutta l'opera di Alighiero Boetti l'etichetta di arte
povera, arte concettuale, o altro. Certo l'artista si avvale di cosegiàfatte, cioè di oggetti
d'uso, ma non è il gioco di specchi, di rimandi a significati altri che lo affascina, quanto
più l'adoperare le cose per quello che servono o per quello che a lui possono servire.
Dunque l'essenziale è capire non tanto cosa adopera, ma a cosa gli serve ciò che
adopera: per lui l'immagine non è mai un punto di arrivo, ma soltanto un momento di
quel processo circolare in cui fruiscono immaginazione, immagine e allusione al
significato. Per questo motivo si è allontanato dalla pittura, intraprendendo un viaggio
che sembra senza ritorno, poiché si è reso conto che trovando continuamente nessi tra
l'uomo e la realtà, i rapporti che stringe con essa, i gesti che compie nei suoi confronti, si
è trovato di fronte a un campo così ricco di avventura da essere percorso all'infinito. Le
due categorie alle quali Boetti fa riferimento con più frequenza sono quelle dello spazio
e del tempo, scoprendo sempre nuove prospettive, nuove interferenze, instabili equilibri
di combinazioni, incontri fortuiti e relazioni circolari. È un gran osservatore della
realtà, che lo porta a ricercare sempre nella singolarità del destino individuale, qualcosa
che sia al di là, e che è difficile da definirsi se non come ciò che tutti gli artisti hanno
sempre cercato. Ma rispetto agli altri, lo distingue il piacere di constatare che nei gesti
più semplici, nei dati più elementari, nelle cose più povere, si nascondano infinite
analogie, corrispondenze, combinazioni che ripercorrendole a ritroso ci fanno compiere
un viaggio al di là dello schermo piatto del quotidiano.
A maggio dello stesso anno inaugura una personale a Bologna, nella galleria Paolo
Diacono36, per la quale proprio Paolo Diacono scriverà un saggio37 che prende avvio da
una affermazione di Sol Le Witt38: "L'idea diventa una macchina che crea l'arte".
Questa, per l'incidenza che ha avuto nella cronaca successiva dell'arte, è un luogo di
partenza per comprendere la prassi del fare artistico dal '67 fino a quel momento.
Nell'artista, infatti, si era affermato uno stacco netto tra il momento ideativo e quello
esecutivo che si era allontanato sempre di più dall'artista per avvicinarsi all'artigiano, al
35 Giuliano Briganti, semplici gesti in fondo a un labirinto, in "La Repubblica", Roma, 9 aprile 1978
36 Alighiero e Boetti, Mario Diacono, Bologna, dal 6 maggio 1978.
37 Mario Diacono, Il segno del disegno: l'autenticità della copia nel messaggio del medium, testo per la mostra alla
Galleria Diacono, Roma, 6 maggio 1978
38 Sol Le Witt, Paragraph of Conceptual Art, in "Artforum", giugno 1967, Celant, Preconistoria, pag. 27.
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tecnico, al tecnologo. Questo tipo di prassi è alla base dell'arte americana "concettuale",
ed anche di quella preconcettuale, minimalistica, che ne è la premessa indispensabile.
Ma la premessa di Le Witt non è neppure del tutto estranea a molto lavoro italiano che si
svolge in parallelo/contemporaneo a quello americano, ma c'è uno scarto sostanziale. Il
lavoro italiano, infatti, possiede una specificità/complessità che ha dei connotati precisi,
vi è una tensione assente nel lavoro americano. Anche il lavoro di Boetti appare tutto
costruito sullo stacco tra idea ed esecuzione, più di qualsiasi altro artista italiano della
sua generazione. Ma ciò che in Boetti è fondamentale è l'esecuzione eseguita con la
"mano sinistra". Questa rappresenta non solo quella con cui ha scritto il testo di Gary
Gilmore (1977), ma anche la e che sta tra Alighiero e Boetti, e soprattutto è
rappresentata da tutti coloro che nel corso degli anni hanno materialmente eseguito
alcuni dei suoi lavori, gli altri, che attraverso la loro scrittura, il loro ricamo, hanno reso
possibile l'irripetibilità poietica di ogni esecuzione. Ed è proprio all'importanza del gesto
altrui che è dedicata la mostra del 1979 nel Chiostro di Volterre, a Gavirate, vicino
Verese. Si tratta de La festa dell'immaginario visivo39, considerata una "personale
collettiva", in cui sono esposte le opere di un solo artista, ma realizzate in gran parte
dalla gente stessa di Gavirate. E' Giovan Battista Salerno a recensirla su Il Manifesto40.
Per questa mostra i cittadini sono stati chiamati a confrontarsi con l'artista. Ognuno di
loro ha avuto l'incarico di realizzare uno dei cento quadrati di cui è fatta l'opera,
intitolata Alternando da uno a cento e viceversa (1977). Ognuno di questi quadrati è a
sua volta suddiviso in cento quadratini. Così secondo le istruzioni c'è chi deve annerire
un quadratino e lasciarne 99 bianchi, chi deve annerirne 98 e lasciarne due bianchi, e poi
3 neri e 97 bianchi, 4 neri e 96 bianchi, e così via, fino al centesimo quadrato che è fatto
di cento quadratini neri. Per fare questo lavoro si può essere bravi, non bravi, disattenti,
benemeriti, basta essere al mondo. Non è chiesto niente che sia di qualcuno, ma solo ciò
che è di ognuno. In quest'opera i quadrati di un artista, di un bambino, di una vecchietta
non sono distinguibili. La gente si è vista sottrarre in blocco l'identità sociale, l'età, la
professione, il sesso, ciò che fa di un soggetto un individuo collocabile in una gerarchia.
L'artista ha poi lavorato con i bambini, per realizzare il manifesto della mostra, che è
gremito di faccine disegnate da lui, colorate dagli scolari di Gavirate. Sono le migliaia
39 Tommaso Trini (a cura di), ALIGHIERO E BOETTI. la festa dell’immaginario visivo, Chiostro di Voltorre, Voltorre
(Gavirate), 527 maggio 1979
40 Giovan Battista Salerno, L'arte è un cruciverba a schema libero, in "Il Manifesto", Roma, 20 maggio 1979
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di dei di cui narra la tradizione Indù, che il popolo dei bambini ha visto uno ad uno tanto
nella loro eterogeneità quanto nella loro incomprensibile unità. L'ultimo giorno della
mostra di Gavirate, Renato Barilli pubblicherà un articolo41 su L'Espresso in cui parte da
una citazione di Bergson, secondo la quale in ogni filosofo si può afferrare un'intuizione
centrale da cui discendono i vari aspetti della sua dottrina, per quando poi eterogenei
possano poi sembrare. Fa un parallelismo tra filosofi e artisti validi. Boetti è proprio la
riprova che un artista può partire da un'idea centrale alla quale essere fedele, dovunque
essa lo porti. La sua è una fede nella serialità, ad ogni evento se ne sussegue un altro e
così all'infinito, con una regola di proliferazione concepita comunque in modo da
lasciare ampio spazio all'imprevisto.
Nello stesso anno a Bologna, si inaugura un'altra personale dedicata all'Ars
combinatoria42. Nel testo del catalogo Giovan Battista Salerno si sofferma su uno dei
materiali utilizzati da Boetti, che partecipano di una realtà esterna alla pittura: i
francobolli. Chiunque abbia inviato una lettera con sei francobolli differenti, li deve aver
posizionati in uno dei 720 modi possibili. Il francobollo ha un valore filatelico e uno
fiscale, entrambi oggettivi. Inoltre data automaticamente l'opera in cui sono usati.
Trasmettono immagini di tutte le categorie ufficialmente riconosciute: la politica, la
storia, l'arte. Funzionano una sola volta e a senso unico. Alla mostra erano presentati sei
pannelli, ognuno con 120 modi di affrancare una lettera cominciando da uno dei sei
francobolli. Nell'omogeneità di questo spazio vi è disegnato l'itinerario arbitrario dei
timbri postali. Le lettere sono state inviate da Dastaghir, un ragazzo di Kabul che
utilizza le buste affrancate per inviare in Italia le pagine del suo diario in lingua
persiana. In ogni foglio del diario c'è un quadrato di Boetti. È un quadrato di 32
quadratini per 32. Il massimo dell'approssimazione per eccesso alla quadratura del
mille. Su ogni foglio sono cancellati in modo diverso i 24 quadratini che eccedono il
numero di mille. I mille modi di questa cancellazione si confrontano con la scrittura
afghana, come le pagine di un altro diario. Le due scritture, i quadrati di Boetti e il
diario di Dastaghir, si distinguono a colpo d'occhio per una differenza di calligrafia.
Entrambe si stagliano sullo sfondo assoluto della permutazione. Da quel momento in poi
far giungere lettere dall'Afghanistan divenne sempre più difficile. Dopo l'occupazione
41 Renato Barilli, Ecco un uomo in due pittori, in "L'Espresso", Roma, 27 maggio 1979.
42 Adelaide AuregliRenato BarilliDeanna FarnetiFranco Solmi (a cura di), Ars combinatoria omaggio a Fahlström,
Galleria Comunale d’Arte Moderna, Bologna, dal 1° giugno 1979
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sovietica di Kabul nel dicembre 1979, non fu più possibile entrare nel Paese. L'ultima
volta che Boetti vide il suo paradiso fu nell'ottobre dello stesso anno. Poi non gli rimase
altro che elaborare il lutto e la sua personale resistenza tramite l'immagine. E' questo il
caso dell'opera del disegno in bianco e nero intitolato Afghanistan (1979), severo e
ossessivo. Vi è ripetuta e disposta ad incastro la forma del Paese, a formare una massa
celebrare, un magma di memoria. Il breve testo manoscritto dice:
Il disegno su carta ha immediatamente conosciuto una diffusione davvero militante: fu
pubblicato nel "Manifesto", al secondo giorno della collaborazione di Boetti con il
quotidiano.43
43 Alighiero Boetti, Afghanistan, "Manifesto",Roma 17 dicembre 1980.
22
Clessidra cerniera viceversa:
un disegno premonitore
Nel 1980 viene pubblicato un
libro d'artista, Da uno a dieci44.
Il libro è costituito da 20 tavole
illustrate e prive di testo. Le
tavole a colori indicano i
numeri dall'uno al dieci; su
queste tavole il bambino può
imparare a leggere i numeri,
contare e conoscere i colori. Le
tavole quadrettate possono essere utilizzate per disegnare oggetti e numeri, fare di conto,
giocare con le quantità, colori e dimensioni. La presentazione è di Gianni Jervis.
Il 2 giugno 1982 Boetti espone un quadro, per una sola sera, alla Galleria Mario
Diacono di Roma. Si tratta di un quadro che misura 1 metro per 1.50. In settembre
Giovan Battista Salerno ce ne parla su Il Manifesto45, ricordando anche come proprio su
quelle pagine, per giorni e giorni, Boetti avesse pubblicato un'immagine del suo lavoro,
una strana ed inedita proposizione del lavoro di un artista, trasformato in una specie di
rubrica quotidiana. Quel giorno, invece, sul giornale, è pubblicata una foto che
rappresenta Clessidra cerniera e viceversa (1981). Un rettangolo tra quattro triangoli, in
realtà è un buco. I quattro triangoli sono quattro direzioni di una scrittura tracciate nel
rettangolo al centro con la mano sinistra. Poi il foglio è stato capovolto, sull'altra faccia,
cioè sulla faccia che di un foglio o una tela non esiste. Il retro di un quadro è una
dimensione impossibile. Ma in questo quadro il punto era raggiungere il grande silenzio
della realtà senza le parole e senza le immagini. Salerno, poi, esorta il lettore a fare lo
stesso, a prendere un foglio, scriverci sopra, rigirarlo, praticarci un buco e strapparlo in
quattro direzioni. In questo modo il quadro che era esposto per una sola sera, invisibile
quasi come in fotografia, chiunque poteva averlo tra le mani. A questo articolo risponde
44 Alighiero Boetti, "Da uno a dieci"; cartella, 20 tavole, con un testo di Gianni Jervis. Progettazione grafica Rinaldo
Rossi. Emme Edizioni, Milano 1980.
45 Giovan Battista Salerno, Silenzio/rumore; il rovescio di un quadro, in "Il Manifesto", Roma, 12 settembre 1982.
23
Dario Trento46, il quale, leggendo la descrizione dell'opera di Boetti di Salerno, aveva
immediatamente pensato alla descrizione della prima realizzazione della prospettiva,
raccontata nella biografia di Filippo Brunelleschi, da un suo discepolo, Antonio
Manetti. Boetti con una serie analoga di procedimenti avrebbe costruito uno strumento
di forza paragonabile a quello di Brunelleschi, ma di direzione completamente opposta.
Brunelleschi ha fissato l'esperienza del visibile dentro una struttura ferrea, mentre Boetti
ha costruito un procedimento altrettanto ferreo per annullare il potere del linguaggio di
determinare l'esperienza della realtà già con le sue forme fisiche. Se Brunelleschi era
riuscito a catturare il visibile dentro una regola, Boetti ha liberato il visibile dalla
convenzione senza passare per il rovesciamento o la negazione (mantenendo la traccia
del foglio di partenza). In un'intervista con Bruno Corà47, l'artista ci parla di quest'opera
che per lui rappresenta qualcosa di straordinario, poiché "è fatto solo di carta e matita e
ne puoi parlare per degli anni", infatti non è solo del buco che si può parlare, ma anche
del testo e di cosa c'è scritto. Boetti racconta che per i cinesi in un quadro ci dovevano
essere la parte visiva, la calligrafia e la poesia. Nel suo lavoro sono presenti tutti e tre
questi ingredienti, poiché, nel suo pensiero, un pittore deve anche essere un buon poeta.
Non sa riesce in questo, ma la sua è una "scrittura del pensiero che va". Poche settimane
dopo che Boetti aveva terminato quest'opera, ebbe un incidente automobilistico molto
grave ed afferma che il disegno era stato un segno premonitore, un po' come nel lavoro
di De Chirico, Il ritratto premonitore di Apollinaire. Si era subito accorto, infatti, che
quello poteva essere tranquillamente il suo ultimo lavoro:
In realtà quella non fu di certo l'ultima opera di Boetti che nel febbraio del 1983 espone
46 Dario Trento, A proposito dell'opera di Alighiero Boetti pubblicata sul "Manifesto" domenica 12 settembre 1982,
Bologna, settembre 1982.
47 Bruno Corà, Alighiero e Boetti. Un disegno del pensiero che va, dialogo con Bruno Corà, "A.E.I.U.O.", Editrice
Inonia, Roma, n. 6, dicembre, 1982, pp. 3449.
24
alla Galleria Pieroni48 di Roma. Sergio Guarino, in un articolo 49, ci parla di questi ultimi
lavori nei quali vede una moderna rilettura, in chiave non dissacratoria, delle antiche
leggende sugli artisti, valide proprio perché inverosimili. Come ad esempio quella del
giovane Giotto che traccia col gesso un circolo perfetto o quella del garzone Canova che
scolpisce nel burro: se il fanciullo si dimostra abile con materiali inferiori, è degno di
passare a imprese più nobili. Boetti, però, replica con la convinzione che si può fare arte
con tutto. Proprio come il maestro di bottega del Quattrocento, che passava senza
distinzione dalla la pala d'altare alle decorazioni dell'alcova del principe, con la stessa
dedizione, la stessa attenzione, così Boetti passa dall'opera più immediata alla più
complicata realizzazione.
Nello stesso anno espone, insieme a Carla Accardi, al Padiglione di Arte
Contemporanea di Milano50. Il catalogo della mostra è curato da Alberto Boatto e dal
fedele Giovan Battista Salerno. Boatto51 dichiara che per avvicinarsi ad un'opera di
Boetti è necessario impiegare gli strumenti della narrazione e dell'analisi critica. La
genesi dell'opera, che è traducibile solo in un racconto, non può stare certo alla pari con
l'opera stessa, ma si presenta allo stesso modo ricca di fascino ed intrigante. Ci racconta,
quindi, come è nata l'opera I mille fiumi, realizzata successivamente al librocatalogo
(1977) dei mille fiumi più lunghi del mondo. Tutto era partito da un'immagine che gli
era balenata alla mente: un gruppo di donne afghane che cuciono in silenzio attorno ad
un tessuto straripante e colorato. Purtroppo a questa sua immagine si frappone
l'invasione del Paese da parte di un esercito "liberatore" e l'interruzione di qualsiasi
contatto con il resto del mondo. Boetti crede che il lavoro sia perduto, ma in realtà fa
solo finta di crederlo. Così l'arazzo compiuto, è tornato indietro ad Alighiero Boetti, ed
è proprio questa opera che ha così meravigliato anche l'artista stesso, che viene esposte
nel P.A.C. L'arazzo, ci dice Boatto, sorprende per la sua apparente modernità spinta fino
ai margini dell'avvenierismo. L'informazione sul nome e la lunghezza dei mille fiumi
più lunghi del mondo ci viene data nello stile freddo ed impersonale della informazione
elettronica del computer. Si presenta come un'opera di frontiera, in equilibrio tra
avvenirismo e nostalgia, tecnica ed artigianato, computer e tessuto, misura meccanica e
48 Alighiero e Boetti molo la jetée pier , Galleria Pieroni, Roma, dall’11 febbraio 1983
49 Sergio Guarini, si può fare arte con tutto, in "L'Avanti", Roma, 3 marzo 1983.
50 Installazioni: Carla Accardi, Alighiero Boetti, Padiglione d'arte Contemporanea (PAC), Milano, 22 aprile23 maggio
1983
51 ALIGHIERO E BOETTI (catalogo), P.A.C. Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano, 22 aprile23 maggio 1983,
(testi di) Alberto Boatto, Giovan Battista Salerno
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misura naturale, pixels e punti di ricamo. Dal canto suo Salerno traccia un lungo elogio
del fiume, inteso in tutte le sue infinite varianti:
"Omnia flumina intrant in mare", recita l'Ecclesiaste. Tutti i fiumi nel senso
di ogni cosa grande, piccola, media, e ogni impresa, ogni gesto individuale e
mirato, ogni applicazione particolare della qualità. Le cose che accadono e
che sono confluiscono ineluttabilmente in un grande contenitore cosmico
indifferenziato: il molteplice è orientato verso il tutto. Ma tra omnia
flumina, che rappresenta il sistema delle mille differenze, e il mare che le
riassorbe, c'è la demarcazione fluida e persistente del dolce e del salato.52
La mostra è recensita anche su "Artforum"53 in un articolo in cui si pone in luce il
confronto paradossale tra la volontà in Boetti di eliminare tutta l'emozionalità della
percezione della realtà, enumerando, codificando, serializzando, e la disuguaglianza
nelle lettere e nei singoli caratteri, dovuta al fatto che, nonostante le apparenze, non si
tratta di un pezzo da computer, ma è comunque esposto alle incalcolabili varianti del
lavoro artigianale. Inoltre, proprio perché contro tutte le previsioni, comprese quelle
dell'artista, il lavoro è stato esposto dopo 5 anni dalla sua ideazione, è implicita anche
una doppia lettura del pezzo; come lavoro sia pianificato che a termine indefinito, e che
contiene in sé gli elementi contraddittori dell'ordine e del caso.
Nell'autunno dell'83, Boetti espone in una collettiva54 a Colonia, dedicata agli artisti
della sua città natale: Torino. La curatrice della mostra, Wulf Erzogenrath, nel
catalogo55, presenta le opere dell'artista come cose che sa da sé di aver fatto perché le
voleva fare. Nel corso degli anni possono essere apparse alla gente come capricci di un
originale, tanto che gli si è attribuita l'etichetta di concettuale. In realtà tutta i suoi
tentativi sono finalizzati a un medesimo desiderio: compiere azioni banali che, tuttavia,
creino una relativa irripetibilità dell'esperienza vissuta. Questi sistemi, però, omettono di
dire in quale rapporto si trovano con l'Io particolare dell'artista, che lascia il compito di
colmare questi vuoti all'interlocutore stesso.
52 Giovan Battista Salerno, ALIGHIERO E BOETTI (catalogo), P.A.C., op. cit
53 AA.VV., Fiumi moli senza titolo, in "Artforum", giugno 1983
54 Wulf Herzogenrath (a cura di), Eine KunstGeschichte in Turin 19651983/Una storia d’arte a Torino 19651983,
Kölnischer Kunstverein, Köln, 8 ottobre13 novembre 1983
55 Wulf Herzogenrath (a cura di), Eine KunstGeschichte in Turin 19651983. UNA STORIA D’ARTE A TORINO
19651983 (catalogo), Daniela Piazza Editore, Torino, 1983
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Alla fine dell'anno torna ad esporre alla galleria Pieroni di Roma, insieme ad altri due
artisti a lui affini, nonché amici: Paolini e Le Witt56.
All'aprirsi del nuovo anno si tengono due sue personali in California: la prima a Los
Angeles57 e la seconda a Northridge58. Nel catalogo della prima, Pier Luigi Tazzi59
ripercorre un po' l'intera opera di Boetti, al quale spetterebbe anche il merito di aver
creato i presupposti per la nascita della Transavanguardia, nel 1975, con l'esposizione 60
di una serie di disegni, Storie naturali della moltiplicazione. Della seconda mostra,
invece, è Giovan Battista Salerno61 a parlarcene, e in particolar modo dei cento
quadratini che formano Alternando e viceversa, con i quali è possibile formare
cinquanta coppie: il quadrato fatto da 99 quadratini bianchi e uno nero con quello
composto da 99 quadratini neri e uno bianco, e così via. Ogni coppia contiene la stessa
somma di bianco e nero. Sarebbe possibile immaginarli come due personaggi, uno quasi
tutto bianco e l'altro quasi tutto nero, per quanto distanti costoro si innamorano e si
attirano, come poi di segno contrario. Gli amanti cercano di assomigliarsi equilibrando
le rispettive parti di bianco e di nero. Ma proprio nella zona in cui le rispettive diversità
si fondono, ecco che scatto al quarantanovesimo passaggio la differenza tra i due amanti
torna a crescere, e questa volta è incolmabile. In tutto ciò Salerno vedrebbe la grande
drammaticità di tutta la storia, storia di due amanti che scoprono di essere giunti non sul
luogo di un incontro galante, ma sulla scena di un efferato delitto.
Alla fine del 1984 esce un catalogo in occasione di una mostra alla Loggetta
Lombardesca di Ravenna. L'esposizione è curata da Alberto Boatto, cui spetta la
prefazione. All'interno troviamo per la prima volta una ricca antologia critica fino al
1984, oltre a una sezione relativa agli scritti e alle interviste all'artista. Boatto62 ammette
che pur sentendo la necessità di avvicinarsi alla folta opera di Boetti, con interesse e
fervore, questa gli sfugge. Possiede, infatti, proprietà tanto volatili che sembra non
trovarsi mai esattamente nel luogo in cui si manifesta, indicando di continuo un al di là,
56 ALIGHIERO E BOETTI. SOL LEWITT. GIULIO PAOLINI, Galleria Pieroni, Roma, dicembre 1983febbraio 1984
57 IL MODO ITALIANO, Los Angeles Institute of Contemporary Art, Los Angeles, gennaio marzo, 1984.
ALIGHIERO BOETTI
58 ART GALLERY California State University, Northridge, 23 gennaio24 febbraio 1984
59 Pier Luigi Tazzi, testo per Boetti, nel catalogo Il modo italiano, ed Laica, Los Angeles, gennaio 1984
60 Alighiero e Boetti, John Weber Gallery, New York, dal 2 febbraio 1975
61 Giovan Battista Salerno, Un testo per un mosaici, ed ciclostilata alla California State University, Northridge, marzo
1984
62 Alberto Boatto (a cura di), BOETTI ALIGHIERO, collana “ARTISTI CONTEMPONAEI”, (a cura di) Giulio
Guberti, Essegi Editrice, Ravenna, dicembre 1985 (volume pubblicato in occasione della mostra Alighiero Boetti,
Loggetta Lombardesca Pinacoteca Comunale, Ravenna, 15 dicembre 1984 24 febbraio 1985)
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altro da sé stessa. La medesima cosa fa l'artista, che sembra disporre del dono
dell'ubiquità, un uomo d'occidente che ha trovato la propria seconda casa in oriente, a
Kabul, una città dell'immaginazione. Il lavoro di Boetti non è affatto semplice, ma
neanche è di difficile comprensione a causa della complicazione della sua apparenza
esterna, anzi se c'è un modo in cui si offre, è quello della semplicità e della leggerezza.
Il suo aspetto è lontano da quello solito dell'arte visiva, è composta da numeri, lettere,
quadratini in bianco e nero, carte geografiche, mappamondi, molto più vicino al campo
della scienza, della didattica e della comunicazione giornaliera. Boatto sa che esiste un
mezzo infallibile per fermare qualsiasi opera, anche la più volatile, ed è quello di
ricorrere alla filologia, allineare l'opera secondo la successione temporale, dare risalto
alle varie correnti a cui l'artista si è avvicinato. È pur vero che quest'opera dispone di
una cronologia, così come il suo autore possiede una biografia, ma coerentemente con la
loro natura intima, l'una e l'altra si mostrano svagate e reticenti. Certo, anche Boetti, ha
avuto le sue brava militanze: l'arte povera, l'arte concettuale, e pure il ritorno alla
figurazione, ma ha sempre tenuto una posizione più decentrata, il suo radicalismo è
quello della sottigliezza e dell'ironia, caso rarissimo in Italia, ma anche fuori. Più che
sostare si può dire che ha transitato nelle varie correnti del tempo. Quest'opera è
sicuramente classificabile cronologicamente, cioè è sempre possibile porre una data tra
parentesi, ma l'essenza stessa dell'opera risiede in un tempo al di fuori dal tempo, che
sfugge sia ai calendari che ai cataloghi dei filologi. Si misura piuttosto con un tempo
biologico, quello scritto nel DNA individuale. Boetti lancia una sfida nei confronti della
vita, dello scorrere del tempo, spedendosi dei telegrammi, secondo scadenze
prestabilite, le regole del gioco della vita non concedono più di quattordici telegrammi.
In questo modo Boatto comprende che Boetti non è altro che un giocatore, e come tutti
giocatori, possiede un senso spiccato per le regole, il suo è un gioco regolato. Queste
sono le stesse imposte dalla società organizzata, regole di comportamento, e soprattutto
linguistiche, fino ai codici che condizionano il funzionamento del nostro pensiero.
Boetti accetta le regole, non per assecondarle, ma per spingerle fino in fondo: punta
sull'azzardo, sulla competizione, impiega la mimesi per stravolgerla. Una delle mosse
affascinanti del gioco è quella del raddoppiare la posta, ed è molto simile alla modalità
che occupa il centro dei procedimenti di Boetti. Nel suo lavoro il raddoppio si nasconde
più sotto forma di tautologia. Questo tipo di procedimento lo incontriamo a tutti i livelli
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della sua opera, come ad esempio in Gemelli (1968) in cui ci appare come simulacro di
sé stesso, oppure in Oggi è venerdì 27 marzo 1970 (1970) in cui fissa con tutte due le
mani sulla parete una frase in cui esalta uno spezzone preciso della durata. Ma se lo
scopo del raddoppio è il guadagno, Boetti dalla partita ne ricava una vincita sulle regole
imposte dalla società: se la società obbliga alla regola dell'1, della coerenza e
dell'identità, vi si attiene ma solo per stravolgerla, per inventarsi, per scovarsi. Ma la
società impone le sue regole non solo sul piano del comportamento, ma anche su quello
dei linguaggi comunicativi. E anche su questo livello l'artista continua a condurre la sua
partita. Come utente, fa uso costantemente improprio, dei servizi comunicativi, non per
comunicare con l'altro ma per comunicare con sé stesso, per accrescere la qualità e la
quantità dell'informazione e di consapevolezza di cui può venire in possesso. Un
esempio ne è l'Autoritratto xerox (1969) che nasce da un uso improprio della macchina
fotocopiatrice. Se ne serve, non tanto per moltiplicare la propria immagine, quanto per
parlare con una macchina che vede ma non sente. Per questo motivo utilizza il
linguaggio dei sordomuti. Così china il volto per 12 volte, tante quante sono le lettere
che compongono la parola autoritratto, accompagnandolo ogni volta con la
corrispondente letteragesto dell'alfabeto digitale. Anche sta volta vince la scommessa,
questa volta nei confronti di una macchina. Un'altra delle modalità centrali del gioco è la
mimesis. Boetti la mette in pratica nei Mille fiumi, imitando un vero scienziato, opera
una classificazione elaborata con tale pedantesca metodologia da poter essere presa e
messa in una vera enciclopedia. In questo modo l'imitazione si rivela alla fine più
scientifica della vera scienza, Boetti mima i metodi della scienza per dimostrare il suo
arbitrio e la sua discutibilità. La dimostrazione della tesi viene condotta proprio con le
forme della dimostrazione per assurdo. Boetti si abbandona, poi, al gioco combinatorio,
servendosi ad esempio dei francobolli, e all'opera seriale, alla quale da inizio in
Cimento dell'armonia e dell'invenzione (1969), adottando per la prima volta il metodo
del ricalco. Lo applica al grado zero del disegno geometrico, il foglio quadrettato,
utilizzando un altro elemento base, la matita di piombo, con la quale ricalca la griglia
dei quadratini. In questo caso il gioco consiste nel modello classico di competizione
senza avversari apparenti, dove l'avversario da battere è il medesimo giocatore e le
regole che si è autoimposto. Noi confronti dei linguaggi elementari, invece, adotta il
criterio di ricondurli ai loro elementi costitutivi, contando di riuscire ad imbrigliare il
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loro funzionamento automatico. Ad esempio come quando scompone il suo nome e il
suo cognome nelle lettere che lo compongono e poi lo ricompone allineando le lettere
seguendo il loro ordine alfabetico. A questo punto, dopo aver esplorato tutte le varie
modalità di gioco, gli si apre un'ultima possibilità estrema: sottrarsi alla costrizione
secondo cui i linguaggi rappresentano degli statuti pubblici accessibili a tutti, mettendo
a punto codici privati. Ci troviamo così nel campo dei rebus e degli enigmi, in cui la
posta in gioco e la soluzione medesima. Comincia nel 1967, con Manifesto, riguardante
un gruppo di artisti, sé compreso, a fianco dei quali ha posto dei simboli
incomprensibili, i cui significati sono depositati presso un notaio di Torino, ed è
possibile consultarli pagando una certa cifra. Sei anni dopo in Mettere al mondo il
mondo (1973), affronta di nuovo l'elaborazione di un codice segreto, ma in questo caso
pone la chiave di risoluzione all'interno dell'opera stessa. Compongono il rebus le
ventisei lettere dell'alfabeto, allineate in caratteri bianchi lungo il bordo del foglio,
insieme a delle virgole bianche, che percorrono lo spazio intessuto dalla biro. La
decifrazione consiste nel ricollegare ciascuna virgola con la corrispondente lettera
dell'alfabeto, in modo da ricostruire la totalità della parola o della frase nascosta. A
questo punto Boatto traccia una sorta di itinerario all'interno dell'opera di Boetti,
all'interno del quale, al 1984, era possibile riconoscere tre periodi, ognuno dei quali
segnato da due opere: una per segnarne l'apertura e l'altra la chiusura. Nel 1969 è Niente
da vedere niente da nascondere, che svolge la funzione di rottura con il periodo
precedente, il primo, composto da un triennio di attività, mentre spetta al Cimento
dell'armonia e dell'invenzione, il compito di aprire il secondo periodo, che comprende
gli anni dal 1969 al 1975. Attorno al 1976 spetta a Perdita d'identità, la funzione di
rottura, mentre è Collo rotto. Braccia lunghe che sporge nell'ultimo periodo di Boetti,
fino appunto a quel momento. Si può dire che il passaggio va da una presenza ancora
marcata dell'elemento fisico, oggettuale, del periodo poverista, ad un processo di
assottigliamento, che recupera la semplicità e la leggerezza della superficie, foglio
arazzo oppure ricamo, fino alla persistenza leggera del foglio dell'ultima stagione. In
questo Boatto vede una sorta di crisi, come un dubbio da parte di Boetti sulla possibilità
e la convenienza di ricorrere ancora a codici. Ciò che emerge, e che prende il posto che
occupavano i segni, è proprio l'immagine: immagini ricalcate dalla cronaca oppure
collegate con sottigliezza alla biografia di Boetti stesso. In questo modo, come in una
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sua vecchia opera, dove un contachilometri segna il passaggio fra la cifra del 9 e quella
dello 0, fra il termine di una serie numerale e il suo azzeramentonuovo inizio, Boetti si
accingeva a scattare dal 17, che segna la somma complessiva degli anni della sua
attività, al 18, una nuova soglia annuale.
Nel 1985 viene pubblicato un articolo63 su Boetti, di Achille Bonito Oliva, all'interno di
un mensile di larga diffusione, Max. In questo modo l'artista, raccontato da un critico
del calibro di Bonito Oliva, comincia ad essere conosciuto anche tra i non addetti ai
lavori. Per spiegare Boetti ai lettori, il critico parte da un'immagine, quella dei Gemelli
del '69, con la didascalia sottostante "non marsalarti". Quella foto mette bene in
evidenza il raddoppiamento dell'arte, la sua capacità di complicare e arricchire il
panorama convenzionale delle cose quotidiane, di giocare un delicato inganno
intellettuale capace di stimolare il muscolo atrofizzato dell'attenzione sociale. Il suo
apporto significativo alla sua generazione di artisti, è stato quello di un' intelligenza
nomade. Il nomadismo è il privilegio della volubilità e della variabilità, dei piccoli
spostamenti della sensibilità, è una qualità che consiste nella capacità di spostamento, di
attenzione, verso situazioni sempre estremamente sottili, nella volontà di liberare le cose
dai luoghi comuni. L'artista sviluppa una dilatazione nel suo campo d'azione, tenta di
porsi come rimedio per scongelare la sensibilità sociale. Porta la pratica artistica fuori
dalla sua cornice tradizionale: il tal modo è la società ad essere spiazzata, come quando,
ad esempio, apre un albergo a Kabul. L'albergo, per Boetti, è il contrario della casa, un
luogo di transito, significa estraneità ma anche bisogno di conoscenza e di
socializzazione. In fondo Boetti mutua dal cinema l'idea del lavoro come montaggio di
ruoli che concorrono ognuno a realizzare alla fine l'opera intera. Boetti, alla fine, è una
sorta di Mefistofele che insegna agli uomini ad utilizzare la mano sinistra, per allargare
l'ambito della creazione, sconfiggere l'abitudine. Attraversa tutti gli ambiti possibili,
svolge un lavoro che attiva la parte femminile della nostra sensibilità, quella parte fatta
di piccole attenzioni, di silenziose concentrazioni. Ha sempre avuto un atteggiamento di
tipo socratico, fatto di dialogo e di aperture. Appartiene a quella linea dell'arte moderna,
laica e disincantata, libera e nello stesso tempo ancorata al bisogno di nobilitare il
destinatario dell'opera, nel senso di arricchirlo di un'altra esperienza senza punirlo e
porlo in un ruolo di contemplazione passiva e frustrante. Se l'arte sembra essere la
63 Achille Bonito Oliva, Alighiero & Boetti. Due gemelli, un solo artista, "Max", Edizioni Rizzoli, Milano, novembre,
1985, pp. 4650.
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pratica che segnala meritocraticamente la differenza tra chi la fa e chi la riceve, quella di
Boetti cerca di ricucire lo strappo.
Il 1986 è l'anno in cui si festeggiano venti anni di attività dell'artista, e lo si fa con una
mostra a Le Nouveau Museé di Villeurbanne. Frana Kaiser nel catalogo 64 della mostra,
parla appunto della necessità di porre in primo piano i fondamenti metodologici che,
attraverso un'estrema varietà di scelte estetiche, danno coerenza a questi venti anni di
operatività. All'origine c'è sempre l'osservazione del gesto semplice, la notazione di
un'idea banale, quasi troppo semplice, quasi troppo banale perché venga presa in
considerazione. Essa si trasforma in un oggetto che valorizza allo stesso tempo il gesto o
l'idea originali: le trovate di Boetti rivelano la dialettica tra pretesto e materializzazione,
caso e sistema. La dialettica si attua in cicli distinti che si sviluppano ciascuno a partire
da una trovata, cicli indefinitivamente aperti, teoricamente infiniti. Tra di essi si
stabilisce un rapporto dialettico dal quale scaturiscono continuamente nuovi sistemi. Il
gesto o l'idea di partenza perdono così la loro semplicità.
Intanto, sui mensili più diffusi, continuano ad uscire articoli su Boetti, scritti dai più
importanti critici del momento. Sul numero di marzo di Vogue, esce uno speciale
all'interno della rubrica "Gli artisti nel loro studio", di Bruno Corà65. Il critico, ed
amico, dell'artista, ci racconta uno dei tanti episodi tra quelli che ha avuto la fortuna e
l'occasione di vivere seguendo il suo lavoro. Si tratta di una volta in cui accompagnò
Alighiero Boetti a New York, in occasione della mostra alla galleria di John Weber, nel
1975. Fu invitato a tenere una conferenza all'Oberlin College nel Connecticut, per gli
studenti dei corsi d'arte. Dopo aver formulato con accattivante esemplarità le idee e i
principi riguardanti la sua opera e risposto alle numerose domande degli studenti,
raccontò loro un breve apologo, rivolto alle società e alle culture che inducono alla
specializzazione e alla divisione del sapere. L'apologo terminava con l'affermazione
premonitrice ed ironica "Sapremo sempre di più su sempre meno cose, finché un giorno
sapremo tutto su niente". In questa frase si esprime tutta la critica boettiana contro
quelle attività che tendono a scindere le capacità e le facoltà individuali per
un'applicazione specialistica, a favore invece di una concezione dell'homo faber e dello
stesso artista volta all'integralità di pensiero ed azione. Inseguendo regole personali,
64 Franz Kaiser, in Alighiero Boetti – Insicuro Noncurante, cat. Mostra, con il Manuale di conoscenza di Giovan
Battista Salerno, Le Nouveau Musée, Villeurbanne, febbraioaprile 1986
65 Bruno Corà, ALIGHIERO BOETTI. l'arte delle felici coincidenze, "Vogue Italia", Edizioni Condé Nast, Milano, n.
13, marzo 1986, pp. 482487.
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autodefinite ma anche coerentemente osservate, Boetti ha inventato con una mobilità di
ingegno leonardesco, una serie di codici, nonché di tecniche adeguate alla creazione di
un vasto sistema di immagini che rappresentava, a suo avviso, un'avventura estetica
unica nell'arte di quegli anni. Tale avventura sfugge alla univocità di una definizione
stilistica, ed ha come unico comun denominatore il sesto senso, il pensiero. Questo trova
continuamente il suo filo all'interno del labirinto della realtà, attraverso visioni arcane.
Spesso, infatti, il pensiero visivo di Boetti si ritrova nelle sue "felici coincidenze". È '
un'impresa inutile tentare di definire con una proposizione quale sia la natura di questa
energia, mentre, al contrario, è un vero e proprio esercizio ludico abbandonarsi ad essa e
rivelare attraverso un linguaggio, i suoi percorsi, le sue espansioni, gli enigmi che
sottostanno all'universale concatenazione di eventi del reale. La sua arte si configura,
perciò, come il linguaggio adeguato ad esprimere questa forza.
L'anno 1987 si apre con una personale alla galleria Lucio Amelio di Napoli66. Tra le
varie recensioni ve n'è una di Carolyn Christov Bakargiev67. Le undici carte intelate
dell'opera Tra sé e sé, esposte in galleria, appaiono profondamente diverse dai lavori
precedenti. Colpisce l'uso euforico di chine colorate, il blu oltremare, il viola
l'arancione, il giallo, il vermiglio e i verdi. Ma queste ultime opere segnano anche una
sorta di continuità del passato con il presente. Si ritrova, infatti, quella lenta e distorta
calligrafia di chi scrive forzatamente con la mano sinistra, trasponendo il testo in un
codice visivo difficilmente abbordabile. Si ritrovano le tracce quasi astratte di oggetti
manipolati dall'artista con grafite e attraverso la carta. Si ritrovano ai bordi superiore e
inferiore di ogni carta, quelle due enigmatiche e sdoppiate immagini del sé che
sembrano sfilare gli oggetti e i colori dal nulla. Come nelle opere del passato, anche in
quelle esposte a Napoli, tutte così silenziose e cariche di un'aura antica e indefinibile,
traspariva un filo conduttore: la ricerca di una reintegrazione attraverso un impossibile,
ma tentato, ordinamento della manipolazione di cose sentite lontane e sacre, come le
forme del Pantheon, davanti al quale avevano preso vita quelle opere (dato che l'artista
aveva da poco cambiato studio). Boetti si comporta, quindi, come un bambino che, nel
suo lungo percorso conoscitivo, mette in fila gli oggetti, li manipola in modo strano, per
stabilire un dominio su di essi ma soprattutto per capire i limiti e i contorni di sé stesso.
A distanza di venti anni torna anche ad esporre nella galleria Christian Stein, dove aveva
66 ALIGHIERO E BOETTI tra sé e sé, Lucio Amelio, Napoli, 27 febbraio20 aprile 1987
67 Carolyn ChristovBakargiev, Oh sudate carte intelate tra presente e passato!
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esordito nel 1967. Francesca Pasini lo intervista per Il Manifesto68. In mostra è presente
la serie Vento (1985), realizzata da un calligrafo giapponese, Enomoto San. Del vento
pararono Alighiero Boetti e Sandro Lombardi in un dialogo pubblicato nel 1988:
Vorrei parlarti del vento. Quella forza che movimenta e trasporta, che rende
tutte le cose leggere, anche quelle pesanti. Il vento è un attimo di grazia. Le
forme create dal vento sono sempre forme di energia. Inoltre il vento rende
tutto provvisorio e dà la dimensione del tempo, perché realizza nelle forme
la successione di istante, dopo istante, dopo istante...un colpo di vento è
anche un colpo di via al passato, alle tracce del passato Il vento trasforma
continuamente le forme, lo si può vedere nella neve, nella polvere, nella
sabbia. E' una forza viva, come quella dei raggi del sole. La sua forza può
essere violentissima ma rimane l'immagine della leggerezza, anche mentale
– parole leggere, ventilate...
Altri quadri esposti raccontano di una giungla coloratissima e incantata, in cui, pian
piano, l'occhio mette a fuoco la presenza di tigri, pantere, lucertole e un brulicare di altri
animali, su tutti dominano felici e dispettose le scimmie, che danzano e volano tra gli
alberi e tra le lettere delle frasi che Boetti ha scritto nelle tele, come fossero liane. Sopra
la fascia con al giungla colorata vi è una stesura di disegni a matita eseguiti direttamente
sulla tela, una specie di diario visivo in cui, come afferma lui stesso, può mettere tutto
ciò che vuole, è un diario e allo stesso tempo un modo di rappresentare la
frammentazione della vita. Le scimmie rappresentano si un rimando a Darwin, ma
anche la stretta connessione tra l'umanità e l'animalità. Boetti ammette che più realizza
cose felici e colorate e più si sente infelice, ma questo è uno degli aspetti della magica
alchimia degli artisti, capaci di trasformare l'infelicità in una cosa bella, anche perché,
alla lunga, raccontare l'infelicità annoia.
Questa serie di opere coloratissime, dopo Milano, viene esposta a Roma, alla galleria
Alessandra Bonomo69. La mostra è recensita da Giovan Battista Salerno70, che definisce
i nuovi lavori i Boetti "micidiali". Si tratta di una recensione appassionata e poetica, in
68 Francesca Pasini, Il gioco del doppio. La giungla colorata di Alighiero e Boetti, 23 aprile 1987
69 ALIGHIERO E BOETTI, ALESSANDRA BONOMO, Roma, 7 maggio30 giugno 1987
70 Giovan Battista Salerno, Alighiero e Boetti energie in rosso, in Paese Sera,10 giugno 1987
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cui si sofferma su questo grande quadro composto da cinque pannelli in cui la parte
bassa è a colori e quella alta in bianco e nero. Nella parte a colori compare un rosso che
è forse l'unico oggetto non rubato direttamente dal mondo, ma costruito in studio
mediante il dosaggio di tre pigmenti differenti. E' l'unica cosa nel quadro, e forse in tutta
l'opera di Boetti, di cui non si vede la struttura, poiché è destinato unicamente alla vista,
mentre la maggior parte dei suoi lavori sono destinati al senso del pensiero. In quella
banda sono visualizzate tutte le energie di base che traggono spunto dalla natura. Su di
esse non sono possibili affermazioni categoriche, ma solo appassionate intuizioni. Nella
stanza attigua, invece, è esposto un quadro con un piano inclinato, la più elementare
nozione della fisica. Verso il margine superiore c'è un'altra fascia di disegni, una serie
continuamente eterogenea di figure. In questa zona vi è la tipica determinazione di chi
vuole visualizzare tutto senza escludere niente, tanto che il critico si domanda se questa
parte è già la realtà, con tutti i suoi effetti e il mistero del suo senso, oppure non è altro
che una costatazione della realtà. Infine indugia su un bellissimo fregio, che si trova
sopra una porta, in cui sono rappresentate sagome filanti di ghepardi in corsa che
diventano a volte macchie, mentre in certi punti una macchia sembra casualmente il
disegno di un ghepardo, proprio come in una leggenda sull'Himalaya, in cui si diceva
che esistessero creature di cui si avvistavano solo le impronte, le quali, però, ne
riproducevano la sagoma.
Nel 1988 viene pubblicato un dialogo tra Sandro Lombardi e Alighiero Boetti, nel
volumetto Dall'oggi al domani71. Più che un dialogo si tratta di un monologo, in cui
Boetti parlò quasi ininterrottamente per la durata di 4 nastri da 20 minuti. Ne deriva
quasi un racconto, un insieme di idee, di pensieri leggeri, semplici, ma allo stesso
tempo, profondissimi. Nella prefazione Sandro Lombardi per spiegare il senso del lavoro
di Boetti, si serve di una poesia di Sandro Penna, che, nella sua semplicità, ha il dono di
vedere con sguardo ampio anche le cose più complesse:
Il mondo che vi pare di catene
tutto è tessuto d'armonie profonde
L'arte di Boetti è tutta una ricerca di libertà, ed è solo a questa che tendono quel suo
71 Sandro Lombardi, Dall'oggi al domani, op. cit.
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desiderio di un'ampia comprensione delle cose, quel bisogno di superare le separazioni e
le categorie imposte quali catene alle armonie del mondo. Boetti è spinto da una
curiosità che gli fa scoprire le analogie e le somiglianze sia tra i prodotti dei lavori delle
mani, che tra quelli del lavoro della mente, tra l'action painting e la millenaria scrittura
dei calligrafi giapponesi. Lombardi si serve ancora di una poesia di Penna per descrivere
cosa si prova a vederlo nel suo studio:
E' bello lavorare
nel buio di una stanza
con la testa in vacanza
lungo un azzurro mare
E nel suo nuovo studio passarono un lungo pomeriggio, in cui Alighiero parlò di sé, del
mondo e della sua idea del mondo. Il suo grande senso della realtà lo spingeva ad evitare
d'istinto le complicazioni inutili, e con esse le teorie troppo concettualizzate. Lombardi
cita ancora una volta Penna, chiedendosi se il suo "intimo accordo" abbia mai reso i
critici discordi. Nelle sue parole non c'era mai il tono di proclama che altri artisti
utilizzano, non contestava né aggrediva mai chi aveva idee differenti dalle sue. Il mondo
gli stava bene così com'era. Semplicemente si limitava a cambiarlo, apportandovi un
grado di bellezza in più, fatta di eleganza e di ironia, di leggerezza. In questo modo ha
compiuto la più concreta delle rivoluzioni, che consiste, secondo le sue stesse parole, nel
trasformare "certi stati di disagio, di tristezza o semplicemente di imbarazzo nell'essere
al mondo, in cose belle".
Nel 1990, oltre ad esporre alla galleria Toselli di Milano, partecipa a una rivoluzionaria
mostra collettiva a Parigi: Magiciens de la Terre, al Centre Georges Pompidou. La
mostra accosta opere provenienti da cinque continenti, mescola protagonisti di fama
indiscussa a "scoperte". Per la selezione di alcuni partecipanti, JeanHubert Martin
chiede al curatore André Magnin di viaggiare per l'Africa scegliendo le opere capaci di
nutrire nel modo più pertinente l'idea di "maghi della terra". Les Magiciens de la Terre
si trasforma nella mostra più citata, criticata, applaudita e nominata: grazie alla sua
esegesi diviene un'icona nel discorso sull' arte contemporanea africana. Il metodo
adottato per la ricerca scatena violenti attacchi e la mostra solleva immediatamente
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molte questioni. Les Magiciens de la Terre mostrano a tutto il mondo e nel modo più
eclatante una nuova possibilità: anche i cosiddetti curatori occidentali possono scegliere
gli artisti che preferiscono in Africa, senza dover fare i conti con il contesto, con il
sistema culturale che l'Africa sta sostenendo, o con i creativi residenti nello stesso
"Occidente". Les Magiciens de la Terre appare a molti come un gabinetto delle
meraviglie, in cui l'opera degli artisti "altri" viene decontestualizzata e trattata con
benevolenza, come un prodotto dal fascino esotico. In questa mostra Boetti si confronta
con artisti appartenenti a diverse culture e conosce Frédéric BrulyBouabré che sarà
coprotagonista della mostra purtroppo postuma al Dia Art Center nel ‘94. E che cos'è
Alighiero Boetti se non un artistamago? In un articolo72 sempre dell'89, Mariuccia
Casadio vede in Boetti una "luce" personale. Rappresenta uno dei rari casi in cui l'artista
e la sua arte riescono a convivere armoniosamente e a comunicare con successo, e cosa
ancora più straordinaria, a qualsiasi tipo di audience. Così, colorando, associando,
studiando e immaginando ha creato centinaia e centinaia di immagini diverse, a volte
apparse dal nulla, altre volte che hanno richiesto tempo e pazienza, ma mai dell'artista, il
quale, attraverso una perfetta organizzazione, ha diretto un esercito di persone,
cinquecento circa, sparse tra Kabul e Venezia.
72 Mariuccia Casadio, Stravagare arte come viaggio Alighiero e Boetti 196989, "Vogue Italia", Edizioni Condé Nast,
Milano, n. 473, novembre, 1989, pp. 248253, p. 271.
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Illustrazioni
Illustrazione 1: Lampada Illustrazione 3: Mimetico (1966)
annuale (1966)
Illustrazione 2: Ping Pong (1966)
38
Illustrazione 4: Zig Zag (1966)
Illustrazione 56: Scala (1966), Sedia (1966)
Illustrazione 8: Catasta
(1966)
39
Illustrazione 9: Rotolo (1966) Illustrazione 10: Stiff Upper Lip (1966)
Illustrazione 11: I vedenti (1967)
Illustrazione 12: Pavimento (1967)
40
Illustrazione 14: Gemelli
(1967)
Illustrazione 13: Manifesto (1967)
Illustrazione 16: Colonna
(1968)
Illustrazione 15: Per un uomo alienato (1968)
41
Illustrazione 18: Niente da vedere
niente da nascondere (1969)
Illustrazione 17: ShamanShowman (1968)
Illustrazione 20: Cimento dell'armonia e
dell'invenzione (1969) Illustrazione 19: Io che prendo il sole a Torino il
20/02/'69 (1969)
42
Illustrazione 24: Senza titolo (Due mani e una matita) (1970)
Illustrazione 23: Dossier Postale (196970)
43
Illustrazione 27: 1.Classifyng the Thousand Longest River in the World
(197075)
Illustrazione 26: Oggi è venerdì
27 marzo 1970 (1970)
Illustrazione 27: Classifyng the Thousand Longest River
in the World (1977)
44
Illustrazione 29: Ordine/Disordine (1973)
Illustrazione 28: Serie di merli disposti
ad intervalli regolari lungo gli spalti di
una muraglia (19711993)
Illustrazione 30: Mettere al mondo il mondo (1973)
45
Illustrazione 33: Storie naturali della
Illustrazione 32: Ciò che sempre parla moltiplicazione (1975)
in silenzio è il corpo (1975)
Illustrazione 34: Perdita d'identità (1976)
46
Illustrazione 35: Collo rotto braccia lunghe (1976)
Illustrazione 36: Regno animale (1977)
47
Illustrazione 38: Alternando da uno a cento e viceversa (1977)
Illustrazione 39: Regno musicale (1978)
48
Illustrazione 40: Afghanistan (1979)
Illustrazione 41: Mappa (1979)
Illustrazione 43: Clessidra cerniera e viceversa
(1981) 49
Illustrazione 44: Vento (1985)
Illustrazione 45: Tra sé e sé (1987)
50
Illustrazione 46: Tutto (1988)
Illustrazione 47: Bugs Bunny (1992)
51
Illustrazione 48: Alternando da uno a
cento e viceversa (1993)
Illustrazione 50: Autoritratto (1993)
52
Illustrazione 50: Autoritratto (particolare) (1993)
53
Mi fuma il cervello: l'ironia del
caso
C'è una mia serie di lavori che si chiama La natura è una faccenda ottusa
nei quali ho voluto presentare un'immagine della natura come realtà senza
forma né colore, solo un insensato correre verso la vita, mentre è lo sguardo
mentale dell'uomo che solo può, grazie all'attenzione che vorrà porre verso
le cose del mondo, coglierne i colori, i profumi, le bellezze...
73 XLIV Esposizione Internazionale d’Arte. La Biennale di Venezia, Venezia, 27 maggio30 settembre 1990. Padiglione
Italia, sezione a cura di Laura Cherubini, Flaminio Gualdoni, Lea Vergine
74 Laura Cherubini, Le divergenze dell'arte, in AA.VV., Dimensione Futuro, L'artista e lo spazio. XLIV Esposizione
Internazionale d'Arte La Biennale di Venezia, Catalogo generale, Edizioni Biennale, Milano, Fabbri Editori, 1990, p.21.
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sofisticata, come testimonia la Mappa (1979). Alla fine del XX secolo, infatti, ogni
mappa della Terra sembra sottolineare le distinzioni nazionali e politiche a scapito di
quelle puramente ambientali. Eppure, proprio grazie alla rappresentazione delle nazioni,
l'osservatore non può fare a meno di mettere in discussione la validità di simili
distinzioni, la validità della politica quale apparato finalizzato a unificare e segregare i
popoli allo stesso tempo. Boetti fa appello al principio opposto, alla natura interconnessa
dell'umanità al di là di qualunque schema imposto artificialmente. Va oltre alle
distinzioni tra l'arte del primo e del terzo mondo, tra gli oggetti raffinati dell'estetica
occidentale e gli oggetti funzionali dell'arte indigena, offrendo un'opera che incarna
l'unione delle culture. Ancora in Parkett troviamo un altro intervento di Friedemann
Malsh75, in cui si analizza l'importanza della scrittura nell'arte di Alighiero Boetti.
Questa dagli anni Sessanta attraversa tutta la sua opera, come una costante tematica. In
questo modo si è inserito all'interno della tradizione dell'arte concettuale, proprio a
partire da quel periodo. Ma a differenza degli altri artisti della sua generazione,
l'impiego del linguaggio non gioca per lui un ruolo autonomo, in quanto egli non è mai
arrivato a proporre una dualità testoimmagine. Al contrario la processualità della
scrittura e il suo simbolismo hanno una funzione costitutiva che è rintracciabile tanto
nel singolo lavoro quanto nell'opera complessiva. La scrittura rappresenta un mezzo
concreto di realizzazione dell'opera. Ad esempio nell'opera Scrivere con la sinistra è
disegnare (1979), affronta un tema classico e controverso, quello del rapporto tra la
scrittura e il disegno. Fin dall'antichità filosofi e artisti hanno equiparato scrittura e
disegno. Il disegno era considerato un atto creativo fondamentale, copia dell'immagine
interiore. La considerazione del disegno come atto creativo ha portato talvolta a
paragonarlo alla creazione divina, in quanto anch'esso è in grado di inventare mondi. Ma
la citazione della teoria artistica classica rinvia solo indirettamente alle posizioni di
Boetti. Per lui la mano sinistra incarna la libertà dell'atto creativo, la mancanza di
vincoli propria dell'agire artistico. La destra, invece, è addomesticata e sottoposta al
controllo cosciente. Essa incarna la mancanza di libertà e di comunicazione. Ma c'è
un'altra opera in cui Boetti riesce attraverso una strategia, a superare le contraddizioni
tra la mano sinistra come luogo della creatività, e la destra come sede dell'educazione:
Due mani, una matita (1970). Si tratta di un lavoro poco appariscente ma
75 Friedemann Malsh, Il gesto interrotto della scrittura, in "Parkett", n. 24, Zurigo, giugno 1990
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straordinariamente significativo nell'opera di Boetti. E' una foto che mostra dall'alto la
testa e le braccia di un uomo che allunga le mani su un foglio. Entrambe tengono la
matita, immobile a causa del contrapporsi delle forze nelle due mani. Con questa opera
l'artista ha sviluppato un simbolo che indica la necessità di nuove tecniche di
percezione. Nelle sue immagini non troviamo mai enunciata nessuna affermazione
teorica, ma mostrano sempre il mondo attraverso la loro esistenza. Un ulteriore intevento
è di JeanPierre Bordaz76 che si sofferma a studiare il rapporto tra logica e infrazione nel
lavoro di Boetti. La sua opera è caratterizzata da una grande unitarità. La costante che si
può osservare è che ogni intervento è anticipato da un principio logico formulato
dall'artista. La logica per lui è il mezzo per arrivare a una conoscenza deduttiva che può
essere poi applicata al mondo e gli deriva da una percezione sottile ed elaborata di esso.
Allo stesso tempo, però, mentre il progetto globale di Boetti si situa in una cornice
razionale, la sua espressione, la sua capacità di dire è ottenuta grazie ai diversi e
imprevisti disturbi che l'artista fa gravare sulle su opere. Ora il caso e ora l'astuzia,
infatti, provocano nel campo dell'immagine sempre nuovi cambiamenti.
Nel 1992 si apre un'antologica alla Galleria Giulia di Roma, Alighiero Boetti opere dal
1967 al 1991. La mostra viene recensita in L'Unità da Enrico Gallian77. Per il critico ciò
che interessa a Boetti è mostrare tutta la devastante realtà delle cose, i materiali e il loro
metodo d'uso. L'artista è profondo conoscitore dei percorsi teatrali teatralizzati dallo
stesso materiale: la materia allora non mostra misteri e neanche cerca di averne. Più che
un autore inscritto nell'Arte Povera, Boetti è artista neoindustrializzato, che non va
confuso con industriale, è un neomanager artigianale, proprio perchè mostra tutte le
fasi di lavorazione del manufatto fino al prodotto finito. La sua è una ricerca liberissima,
diretta alla comprensione delle cose d'arte, per oltrepassare la rigidità degli steccati che
delimitano da tecnica a tecnica e da opera ad opera. Ciò che preme più all'artista è
sempre il gioco. Gioca sui livelli di comprensione, di accettazione, di come gli altri da
lui fanno propria l'opera d'arte. Il gioco potrebbe apparire anche equivoco, ma quello
che conta, alla fine, è il risultato. La sua tela geografica può anche essere appesa nelle
scuole, i suoi mappamondi esposti in un osservatorio scientifico: è il linguaggio artistico
e i suoi possibili equivoci che lo solleticano a produrre manufatti e, se sono
riproducibili, è anche meglio. In un altro articolo uscito in occasione della mostra alla
76 JeanPierre Bordaz, Logica e infrazione nell'opera di Alighiero e Boetti, in "Parkatt", n. 24, Zurigo, giugno 1990
77 Enrico Gallian, I territori di Boetti, in "L'Unità", 12 gennaio 1992
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Galleria Giulia, su Il piacere dell'occhio78, Massimo Carboni ci parla del dell'enorme
quantità di repertori, inventari, codici, forme, macchie, lettere e numeri, presenti nel
lavoro di Boetti. Ma il disordine che si potrebbe creare è solo apparente. Se si fa
attenzione alle relazioni tra le forme, ai filamenti invisibili e visibili che mettono in
contatto i vari elementi, allora ci si accorge delle somiglianze, delle analogie, dei
richiami che tutti insieme compongono una struttura unitaria. Tutto in Boetti si muove e
niente sta mai fermo, le immagini scivolano le une sulle altre, così come scivolano le
etichette di arte povera, concettuale, ecc. Per Boetti si tratta sempre di far agire una
specie di immaginazione materiale: è sempre molto concreto, empirico, parte da giochi,
da acute osservazioni del reale, da cortocircuiti mentali su realtà quotidiane. Tutto ciò
implica sempre quel suo aspetto ludico, un atteggiamento combinatorio, seriale,
manipolatorio, rispetto ai dati che entrano in processo. E questo tipo di atteggiamento
negli anni, dal '67, fino a quel momento, ha sviluppato e reso sempre più preponderante
nel suo lavoro. In questo modo, nel tempo, l'artista avrebbe reso sempre più complessa
la tramatura delle immagini. Anche per Carboni, comunque, l'aspetto più significativo
del lavoro di Boetti, è stato l'eterogeneità degli approcci, la libertà con la quale ha
scandagliato i vari universi dell'informazione, della tecnica, della pubblicità, della
scienza. Questo tutto eterogeneo, che appartiene ai più disparati campi semantici, ha
trovato nel campo delle tensioni istituito da Boetti, una nota comune, un'analogia sottesa
con la quale improvvisamente tutto torna. La sua intuizione più grande è stata quella di
aver capito che deve esistere qualcosa di armonico, di profondamente accordante, che
sorregge la discordia apparente.
Nel 1992 gli viene dedicata un'altra importante mostra itinerante in Germania: Alighiero
e Boetti 19651992 Synchronizität als ein Prinzip akausaler Zusammenhänge, ospitata
prima a Bonn, poi a Münster e infine a Lucerna. Il catalogo 79 della mostra presenta un
gran numero di interventi critici. Nella prefazione la curatrice, Annalie Pohlen, ritorna
ancora su questa visione della globalità, uno dei principi guida essenziali dell'opera di
Boetti. La maggior parte dei suoi lavori è caratterizzata dall'essere composta da piccole
e molteplici parti, o da variazioni di un unico pensiero basilare in unità plurime. I testi
presenti nel catalogo affrontano l'analisi dei singoli lavori attraverso il filtro di
78 Massimo Carboni, Boetti e il movimento, in "Il piacere dell'occhio", 30 gennaio 1992
79 Annalie Pohlen, Scomparireapparire – Strategie poetiche in spazio e tempo in Alighiero Boetti Synchronizität als
ein Prinzip akausaler Zusammenhänge, cat. Mostra
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interpretazione individuale dei singoli critici, tenendo sempre in conto la totalità
dell'opera dell'artista. Questo modo di procedere era stato richiesto espressamente
dall'artista, di modo che questa interattività globale potesse assumere un'ulteriore
valenza. André Magnin80 si sofferma sull'opera Mimetico (1966), che definisce
espressione stessa di un faccia a faccia tra il tutto e la parte, nel senso di un tutto
coerente, di un'organizzazione superiore alla semplice somma degli elementi. Sottolinea
nuovamente l'insistenza di Boetti sull'inseparabilità dell'apparenza e dell'illusione, tesa
al superamento della contraddizione tra mondo vero e mondo apparente, all'abolizione
dei sistemi chiusi. Alain Cueff,81 invece, si sofferma su Lampada annuale (1966), che
accendendosi undici secondi l'anno in un momento imprecisato, con tutta probabilità
non avrà neanche uno spettatore che assista a questo fenomeno. Si trova a metà tra
impazienza e speranza, ferma il tempo di chi la osserva, lo lascia interdetto. Rende il
tempo invisibile ed assente. Francesca Pasini82, dal canto suo, analizza Zig Zag (1966),
con la quale si apre l'immediata associazione con i lavori seguenti, quando con
movimento non lineare Boetti ha intrecciato la sua visione con la mano altrui. La critica
riconosce che questa è solo una delle letture che si possono dare a Zig Zag e l'ha scelta
poiché le è sembrata quella che più risponde alla continua ricerca di imparare nuove
regole del gioco che l'artista, fin dall'inizio, ci ha presentato. Adachiara Zevi83, invece,
analizza Pavimento (1967), una serie di unità modulari accostate a strutturare un
quadrato la cui prerogativa è quella di essere leggermente ruotato rispetto alle
coordinate ortogonali. Boetti ne ha definito l'intento come la presentazione di un
disordine visivo che fosse invece la rappresentazione di un ordine mentale. Un'altra
opera, quindi, in cui si affaccia la polarità ordine/disordine. Giorgio Verzotti84 si
sofferma a riflettere sulle Colonne (1968), un'opera in cui innumerevoli fogli di carta da
pasticceria, di quelli utilizzati per appoggiarvi sopra le torte, rotondi o quadrati, con un
buco al centro, vengono impilati lungo cinque tubi di ferro. Si creano così cinque
colonne che posseggono quell'aurea infantile legata ai ricordi di dolciumi e al gioco
delle costruzioni. Il richiamo all'infanzia per Alighiero Boetti induce a un confronto con
80 André Magnin, Notes sur "Mimetico" 1966, in Alighiero e Boetti Synchronizität als ein Prinzip akausaler
Zusammenhänge, cat mostra
81 Alain Cueff, "Lampada annuale" 1966, in Alighiero e Boetti Synchronizität als ein Prinzip akausaler
Zusammenhänge, cat mostra
82 Francesca Pasini, "Zigzag" 1966, in Alighiero e Boetti Synchronizität als ein Prinzip akausaler Zusammenhänge
83 Adachiara Zevi, "Pavimento" 1967, in Alighiero e Boetti Synchronizität als ein Prinzip akausaler Zusammenhänge
84 Giorgio Verzotti, "Colonne" 1968, in Alighiero e Boetti Synchronizität als ein Prinzip akausaler Zusammenhänge
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un'idea primaria della costruttività, e rappresenta anche qui un primo tentativo di porre
ordine nel disordine. Con l'avvertenza, però, che si tratta sempre di un ordine
provvisorio, che non va preso mai troppo sul serio. Luigi Meneghelli85 prende in esame
l'opera Per un uomo alienato (1968), in cui l'artista sfida i tempi di essiccazione del
cemento a presa rapida provando a scrivere, con una punta, una frase di Herbert
Marcuse per poi lasciare in sospeso il lavoro e il senso dello scritto. Una materia, scrive
Meneghelli, che serba e perde traccia, che non cerca di sembrare niente di più di oltre il
suo essere ed accadere. Un qualcosa, però, che lascia intravedere anche nella sua fase di
rapprendimento, le tappe della sua rapida trasformazione: come un processo concluso
che mostra ancora i segni dell'atto. Dietro il gesto si intuiscono i movimenti della mano,
di tutto il corpo che l'ha compiuto. La verità della scrittura, quindi, è nel tratto, non nella
lettera, nell'errare della linea fino alla produzione della parola: una linea che nel suo
perdersi rinasce scrittura e in cui i tratti sono come segnali estremi, indicazioni tra limite
e limite. Ed è tutto qui il senso dell'opera: non negazione del mondo ma estenuazione di
esso, apertura verso l'attenzione sui dati dell'esperienza, a modo che si presenti la
possibilità dentro la rigidità del quotidiano. Eduardo Cicelyn86 si chiede cosa Boetti
abbia esposto veramente con il Senza titolo (Lavoro postale) (1974), a parte le ovvie
considerazioni che possono essere fatte sul francobollo come oggetto in cui si gioca il
tempo e lo spazio, la carta, il mittente, il destinatario. C'è poi il fatto che le lettere
fossero vuote, simulacri di una comunicazione impossibile. Chiunque mandi un
messaggio, anche gli artisti, lo fa nella speranza che vengano letti. Nel mondo dei media
il mezzo è il messaggio. In quei primi anni settanta Mc Luhan era in gran voga. Eppure
Boetti proponeva qualcosa di diverso, l'effetto di moltiplicazione e di fuga del
messaggio dal contesto in cui veniva offerto. L'idea di serie veniva attivata contro il
limite tecnico del medium. I messaggi non sono il medium, e così quella serie di buste
affrancate, timbrate e spedite testimoniano l'impossibilità di comunicare, che supera
forma e contenuto della comunicazione. La trama di scambi di indirizzi e di passaggi
postali era l'opera. Tra mittente e destinatario s'ingaggiava un patto, una sfida nel
silenzio. L'artista s'inventava un interlocutore e fingeva di raggiungerlo. Ma nello stesso
tempo si negava affrancandosi col gesto anonimo di chi attacca francobolli su una busta.
85 Luigi Meneghelli, "Per un uomo alienato..." 1968, in Alighiero e Boetti Synchronizität als ein Prinzip akausaler
Zusammenhänge op.cit.
86 Eduardo Cicelyn, "Senza titolo (lavoro postale)" 1974, in Alighiero e Boetti Synchronizität als ein Prinzip akausaler
Zusammenhänge, op cit
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Un gesto di infrazione della storia, analogo a quello che molti altri artisti in quell'epoca
compievano, il crearsi una zona d'ombra nella quale il soggetto estetico, disperdendosi
nel meccanismo della creazione, era uno, nessuno e centomila. Per Boetti, però, fu
anche un gesto purificatore, nel riprendere il quadro, negli anni seguenti, come luogo e
simbolo della partecipazione e della sfida intellettuale. Annemarie Sauzeau87 espone
Regno animale (1977) e Regno Musicale (1978), due grandi disegni austeri e misteriosi.
Il disegno si articola da una parte all'altra di un asse verticale che è allo stesso tempo il
significato, prodotto mentale, linea tracciata dalle due mani unite dell'artista, e il
significante, sorta di colonna vertebrale della materia grigia. Un cervello, una mano, una
matita, una linea: nient'altro che gli elementi essenziali dell'arte. Il Regno animale è uno
spazio concettuale, un luogo in cui regna un ordine, un'armonia. Ogni specie animale è
situata sul suo proprio asse, sul suo destino. Il Regno musicale già dal titolo è curioso. È
come se entrasse una serie logica al posto del regno vegetale, caratteristico di Boetti, il
tentare di dare un ordine a tutto e allo stesso tempo trasgredendo l'omogeneità che è
condizione di ogni ordinamento. Anche il Regno musicale è uno spazio mentale, ma al
posto della danza delle traiettorie animali, c'è il corpo della musica. E' quasi un
bassorilievo. Ciò che è offerto è la corporeità del corpo polifonico e lirico dell'ordine
musicale, fatto di melodia (il violino) e ritmo (percussioni). Nel Regno musicale, Boetti
pratica al massimo grado quello che egli considera il sesto senso, l'intelligenza sensitiva,
l'alta tensione speculativa ed estetica come prolungamento armonico del corpo
sensoriale. Ralf Lauter88 si occupa di Tutto (1988), una serie di lavori in cui per la prima
volta la concentrazione di contenuti diversi diventa opera unitaria e complessa. Sono
quadri ricamanti, composti secondo il principio dell'horror vacui, per cui le più diverse
forme colorate non lasciano il più piccolo spazio. Da questo tutto così complesso
emergono, nei punti più disparati, forme di animali, accanto a quelle di persone di
diversa grandezza e forma, in gesti che li fanno appartenere a precisi gruppi
professionali. Vi si riconoscono parti isolate del corpo, collegate ad oggetti simbolici e a
personaggi mitici dell'antichità, esseri favolosi, personaggi famosi, opere importanti
della storia dell'arte, segni e simboli della politica, della religione, della pubblicità,
oggetti di uso quotidiano. Con questa serie l'artista ha messo insieme un esteso
87 Annemarie Sauzeau, "Regno animale" 1977, "Regno musicale" 1978, in Alighiero e Boetti Synchronizität als ein
Prinzip akausaler Zusammenhänge
88 Ralf Lauter, "Tutto" o un panorama metaforico del mondo, 1988, in Alighiero e Boetti Synchronizität als ein
Prinzip akausaler Zusammenhänge
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panorama di motivi naturali, culturali e della civilizzazione. Collega tra loro elementi
del cosmo, dell'essere e del mondo. L'unità dell'opera rinvia alle connessioni tra micro e
macrocosmo, che vengono parafrasate da Boetti come la regolarità originaria della
compagine del mondo. Il principio di questa serie verrà ripresa dall'artista a distanza di
qualche anno, nel 1992 appunto, in un'altra serie, Bugs Bunny (1992), della quale parla
nel catalogo della mostra Marco Meneguzzo. Come in certi cartoon, Bugs Bunny si
appoggia alla metà dello schermo che è, appunto, piena di notizie, di forme e di parole.
La sua metà, invece, è completamente vuota, rivelando la pura funzione dell'immagine,
il suo assoluto e innocente cinismo, non nuovo in Boetti, ma che in quest'opera ha
assunto un maggior quoziente di disinvoltura che lo avvicina ancora di più a quella
evidenza, a quell'onestà che non nasconde neppure le cose più turpi, proprio perchè non
ci si accorge che lo sono. Da una parte un cartoon, quindi, e dall'altra la nostra era
informatica, riempita di notizie provenienti dai ritagli delle guerre più sanguinose di
quegli anni, la guerra del Golfo, le guerriglie in Croazia e in Bosnia, la disperazione
umana filtrata dai mass media che si accavallano l'una sull'altra ma ancora leggibili,
confuse in un magma di informazioni tutte uguali, per quanto tragiche. L'occhio e la
mente saltano da una parte all'altra senza sapere dove appoggiarsi, se sulla realtà,
l'orrore della vita o sull'assoluta finzione dell'immagine del cartoon, la cui vita diviene
molto più reale di quella delle notizie riportate, proprio perchè non può che realizzarsi
lì, sulla superficie della tela. É un lavoro fondato sul dualismo, una bipartizione tra la
verità e la finzione, il gioco della violenza e la violenza vera. Eppure c'è qualcosa di zen
in queste opere e in tutto il suo percorso. L'essenza è il nondue, recita una vecchia
storia zen che si adatta perfettamente a questi lavori. Quello che sembra preciso, dato
assodato, infatti, si rivela più ambiguo di quello che si pensa. Michele Bonuomo89 fa un
intervento a proposito dell'opera Tra sé e sé (1987). Per Bonuomo Boetti dialoga solo
con la sua eco. L'artista sarebbe attratto dall'oscuro e vi si immerge solo per sondare le
profondità di un fondale, forse sperando segretamente di non far ritorno alla luce. Ma il
critico crede anche che gli sia d'obbligo tornare alla superficie per poi ricominciare
l'azzardo. L'artista vaga e sprofonda, come Flaubert, nelle sue peregrinazioni mentali
porta con sé la malinconia dei barbari che con quel loro istinto di migrazione e l'innato
disgusto della vita che li spingeva ad abbandonare le loro terre per lasciare sé stessi.
89 Michele Buonuomo, Tra sé e sé 1987 scrittura come linea di confine dell'orizzonte, in Alighiero e Boetti
Synchronizität als ein Prinzip akausaler Zusammenhänge
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Instancabile viaggiatore di terre lontane non è ossessionato dal vivere e dal fare
inimitabile. Se proprio deve far suo un eroismo, sceglie quello del banale. Con pazienza
aspetta che dall'abisso emerga l'idea di base, a questa non aggiunge altro che il suo
doppio, ovvero lo costringe a riflettersi su sé stesso. Così facendo è giunto a realizzare
opere sul Nulla che si tengono da sole per la forza interiore dello stile.
La corale approvazione di un gran numero di critici conferma il fatto che Boetti a
quell'epoca era considerato il migliore rappresentante italiano di un concettualismo
prettamente europeo, di matrice dadaista e surrealista, non analitico e autoreferenziale
come quello anglosassone, ma sintetico e attento ai processi di libera associazione tra
immagini e idee.
Il '93 è l'anno in cui si apre l'ultima importante mostra dedicatagli mentre l'artista era
ancora in vita. Si tratta di De bouche à oreille90, a cura di Adelina Von Fürstenberg al
Centre National d'Art Contemporain de Grenoble. Negli spazi del Megasian di Eiffel,
presenta due lavori molto complessi: a terra cinquanta tappeti, kilim per l’esattezza, il
più nudo e astratto dei tappeti, realizzati a Peshawar, in Pakistan, dove si era spostata
una piccola comunità afghana. Qui i kilim incarnano un’idea matematica: Alternando
da 1 a 100 e viceversa (1993), secondo le regole dettate dall’artista. Un quadrato bianco,
poi due neri, poi tre bianchi e così via fino ai novantanove dell’ultimo scomparto della
scacchiera, dove la presenza di un unico quadrato di colore opposto suggerisce un punto
di partenza per il percorso inverso. Questo lavoro ha richiesto la collaborazione di trenta
scuole d’arte più altre venti persone e per una volta i “delegati” di Boetti non restano
anonimi, come pure hanno un volto i tessitori, che appaiono per la prima volta nelle
pagine del catalogo. È un grande lavoro corale e la voce della collettività affiora anche
nell’altra opera intitolata De bouche à oreille (1993), frase idiomatica francese per dire
“di bocca in bocca”, una sorta di passaparola che funziona secondo una progressione
numerica: 1 francobollo su 1 busta, 4 francobolli su 4 buste (2x2), 9 (3x3)... Le lettere,
che recano i timbri degli uffici postali dei confini francesi contengono un disegno.
Angela Vettese91, nel testo del catalogo, ci parla del kilim, il tappeto più semplice, più
povero e più leggero, che risulta solamente dall'accordo tra trama e ordito. La sua
90 Adelina Von FürstenbergSophie Nagiscarde (a cura di), ALIGHIERO E BOETTI. De bouche à oreille. En alternant
de 1 a 100 et vice versa. oeuvre postale d’Alighiero E Boetti, MAGASIN Centre National d’Art Contemporain de
Grenoble, Grenoble, 28 novembre 199327 marzo 1994/ Musée de la Poste, Paris, 5 maggio18 giugno 1994
91 Angela Vettese, in Alighiero e Boetti – De Bouche a oreille, cat. Mostra a cura di Adelina Von Fürstenberg,
Magasin Centre National d’Art Contemporain de Grenoble, Grenoble, 28 novembre 199327 marzo 1994
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decorazione non consente le curve, e di conseguenza i motivi naturalistici: sono
concessi solo giochi tra orizzontale e verticale, accoglie solo lo scheletro, l'essenzialità
dell'idea. Come ogni tappeto il kilim delimita un luogo su cui si svolge una parte della
vita: sul tappeto anche i nomadi si fermano, parlano, dormono, lavorano, pregano. In
questo spazio sacralizzato la decorazione assume il compito di descrivere il senso
dell'esistenza o comunque il suo versante estetico, meditativo ed astratto. L'esecuzione
dei progetti dei kilim è stata affidata a cinquanta diverse persone provenienti da diversi
contesti. Implicita tra le regole dettate tra l'artista regista stava quella di utilizzare il
maggior grado di libertà possibile. Ciascuno nello svolgimento del compito ha
impiegato il massimo grado di creatività di cui era capace, a volte in cerca di simmetrie,
altre dandosi un metodo nel metodo. In questi kilim, maggiormente che nelle altre
opere, si è data importanza alla differenza soggettiva dell'opera, tanto che, come già
detto, per la prima volta in questo catalogo l'artista consente a ciascun autore delegato di
firmare il progetto. Solo il bordo rimane identico e integralmente deciso dall'artista: tra
il bordo e il centro passa un rapporto simile a quello che ci propone Boetti in molte
fotografie in cui egli stesso compare di profilo e sempre relazionato al profilo di un
altro: c'è una costante, una variabile e un rapporto. In questo senso i kilim, coerenti con
tutto lo sviluppo dell'opera di Boetti e quasi una loro sintesi, ci si presentano come una
riflessione sull'uomo nei suoi termini universali, anche se espressi attraverso l'intervento
di mille soggettività ed etnie differenti. L'individuo si diluisce disperdendosi, il suo
tempo, il suo luogo di provenienza si dissolvono e ne rimane l'ossatura comune.
La mostra di Grenoble è stato l'ultimo grande dono di Alighiero Boetti, che si spense il
24 aprile 1994. Sono molti gli articoli, sfogliando i quotidiani di quei giorni, che hanno
voluto dare un saluto a modo loro all'artista. Daniela Bigi92 ha voluto vedere in questo
ultimo lavoro dei kilim una sintesi di tutta l'opera dell'artista. Esiste, infatti, uno
sdoppiamento tra l'idea prima e l'idea ultima, risultato dell'attività di un altro. Esiste,
poi, un ulteriore scarto tra chi ha realizzato il progetto e chi lo ha tessuto,
interpretandolo sulla scorta del proprio immaginario. E ancora: il kilim è stato
progettato da un occidentale e viene eseguito da un orientale, è stato disegnato in
Francia e tessuto in Pakistan, pensato da un'Accademia di Belle Arti e viene realizzato
nel laboratorio di un artigiano. Lo sdoppiamento, infine, sta nell'idea stessa del kilim.
92 Daniela Bigi, Dalla ripetizione all'invenzione – Alighiero Boetti, in Rivista di arte e crtitica, giugno 1994.
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Esso rappresenta la sintesi di tutte queste istanze differenti, è una risposta alla
complessità della realtà, ma sicuramente è una sintesi sdoppiata.
Alla sua morte Boetti stava preparando una mostra coprodotta dal DIA Center for Art di
New York insieme all'American Center di Parigi, Mondes (World Envisioned93), assieme
a Frédéric Bruly Bouabré. I due artisti, come già visto, si erano conosciuti alla collettiva
del 1989, ed erano rimasti affascinati l'uno dall'altro. Frédéric Bruly Bouabré cerca la
verità, crede che tutto è decifrabile e attraverso le sue opere rivela la sostanza e l'idea
delle cose, Boetti dal canto suo si impegna a descrivere i segni, ama il paradosso,
utilizza il sotterfugio e la metafora per prendersi gioco della realtà. Frédéric Bruly
Bouabré parla di lui con grande affetto " Mi manca una voce, manca qualcuno con me
che mi guidi"94. Nel testo del catalogo, Lynne Cook95, torna di nuovo su un'opera che ha
il titolo di uno dei concetti fondamentali di Boetti, Ordine e disordine(1973), e in
generale sul formato utilizzato: la griglia. La poesia di quest'opera, e la sua rilevanza per
Boetti, ha a che fare con il rigore severo del gioco, con le restrizioni formali che esso
impone. Più e più volte questa struttura formale è stata utilizzata per quantificare,
regolare, misurare, riducendo il testuale al tattile e trasformando la superficie grafica in
una proliferazione di unità segniche discrete. Il segno diventa disegno e quella che
potrebbe essere definita come incertezza operativa informa Ordine e disordine e si
propaga in forme diverse attraverso l'intera opera di Boetti. Ancora nel catalogo
Warren Niesluchowsky96 prende in esame l'ultimo autoritratto di Boetti: Mi fuma il
cervello (Autoritratto) (1993). Questa ci si offre come una rappresentazione piuttosto
che come una mimesi o un monumento, e rientra nella categoria delle statue semoventi.
La testa in bronzo, riscaldata, trasforma in vapore il getto d'acqua che scende su di essa,
ricordando l'episodio della glorificazione di Alessandro da parte di Apelle. Il gemello in
bronzo di Boetti è la rappresentazione in minima materia dell'attività di una grande
psyche. Per i greci psyche significava spirito, mente, anima e fantasma ed era spesso
rappresentata sotto forma di vapore o di respiro. Questa immagine forte e commovente
93 Lynne CookeAndré Magnin (a cura di), Worlds Envisioned: Alighiero e Boetti and Frédéric Bruly Bouabré, Dia
Center for the Arts, New York, 6 ottobre 199425 giugno 1995/ American Center, Paris, 6 settembre 199528
gennaio 1996
94 Frédéric Bruly Bouabré, in Liberation, 2 ottobre 1995. Traduzione a cura del redattore.
95 Lynne Cook, Jeu d'esprit, in WORLDS ENVISIONED Alighiero e Boetti, Frédéric Bruly Bouabré, cat. Mostra a
cura di André Magnin, Dia Center for the Arts, New York, 6 ottobre 199425 giugno 1995/ American Center, Paris,
6 settembre 199528 gennaio 1996
96 Warren Niesluchowsky, Alighiero, Alessandro, Atlantide, in Worlds Envisioned, op. cit.
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può anche essere vista come un moderno Ecce Homo che descrive la passione e il
pathos dell'agone al quale noi tutti siamo chiamati. Ma allo stesso tempo Boetti ci
presenta un esempio di scultura pubblica, civica. L'autoritratto, infatti, è realizzato in più
esemplari, uno dei quali si trova nel Sonsbeek Park, in Olanda. Il suo scopo non è quello
di arruolare lo spettatore, semplicemente l'arte ci si rivolge come oggetto che ci rende
soggetti, nel significato a doppio taglio di questo termine. Questo Autoritratto parla e sta
per noi, muto ma eloquente, poiché, come lui stesso ci ha ricordato "ciò che sempre
parla in silenzio è il corpo".
Il 1996 è l'anno della prima grande restrospettiva97 curata da due altrettanto grandi critici
vicini a Boetti: JeanChristophe Ammann e Annamarie Sauzeau, nella Galleria Civica
d'Arte della sua città natale: Torino.
All'interno del catalogo troviamo un lungo intervento di JeanChristophe Amman98, a
proposito del tempo nell'opera di Boetti. Nell'opera dell'artista, secondo Ammann,
devono essere considerati in primo luogo i principi generativi, come l'ordine e il
disordine, il caso e la necessità, il cercare e il trovare, il simile e il diverso. A essi si
affiancano criteri tematici complementari, quali il tempo, la paura, la morte e la
sessualità. Fra questi ultimi il tempo ha per Boetti un ruolo decisivo. Per Boetti il tempo
è un tema centrale proprio perchè non è formalizzabile. La logica classica poggia sul
principio aristotelico del "tertium non datur". Ma il "tertium" esiste ed è il tempo. Boetti
non è interessato agli opposti, ma a ciò che li unisce e li divide. Egli è dotato di una
strordinaria capacità di estrapolazione con cui ci richiama alla memoria la nostra
personale struttura di ordine e disordine. Il tempo non è formalizzabile. Alighiero
Boetti, quindi, si immerge in esso ed emergendone struttura concetti. Egli ha preso alla
lettera il tempo come "tertium", modificando il suo nome in "Alighiero e Boetti",
introducendo quindi un elemento di contraddizione all'interno della sua stessa persona,
chiedendo ad altre persone di eseguire i suoi lavori con la loro specifica competenza. Si
è trattato in un certo senso di un progetto strategico. Tornando al concetto di ordine e
disordine, le vie contorte tra di essi sono il dramma, la commedia e la tragedia della
storia dell'umanità. Di questo parla l'opera di Boetti, ed è difficile dire che non riguarda
97 Jean Christophe AmmannMaria Teresa RobertoAnneMarie Sauzeau (a cura di), ALIGHIERO BOETTI 1965
1994, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino, 10 maggio1° settembre 1996/ Musée d’Art
Moderne, Villeneuve d’Ascq, 28 settembre 199612 gennaio 1997/ Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwi, Wien,
31 gennaio31 marzo1997
98 Jean Christophe Ammann, Dare tempo al tempo, in Alighiero e Boetti 19651994, cat mostra, op. cit.
65
ognuno di noi. Nella seconda metà degli anni '90 si stava assistendo, sul piano sociale, al
più significativo cambiamento strutturale dalla seconda guerra mondiale. In un'epoca di
quel tipo l'attività degli artisti è quella di essere un ricercatore. Pur non essendo un
creatore di opinioni, una figura che appartiene alla politica, la loro ricerca influisce più
fortemente sulla politica che fa opinione. Tutta la sua opera parla per esempio delle
potenzialità ludiche dell'uomo, di quella leggibilità del mondo che si perde giorno dopo
giorno, perchè all'interno della nostra società il sapere si identifica sempre di più con
l'informazione. Anche di questo parla Boetti, armonizzando l'azione con il massimo
livello dell'astrazione, e cercando di dominare la dimensione del tempo. Ammann
rinuncia deliberatamente a definire la posizione dell'artista nel contesto dell'arte
contemporanea. Eppure pensa che egli sia il corrispettivo europeo di Bruce Nauman,
innanzitutto per quanto concerne la non linearità del metodo e delle modalità di
pensiero. Boetti fonda la legittimità del pensare e dell'operare nella ricerca incessante di
nuovi territori. In un articolo recentemente pubblicato su Flash Art 99 di Alessandra
Troncone approfondisce questo parallelismo tra i due artisti, partendo proprio da questa
affermazione di Ammann del 1996. Avvicinare Nauman a Boetti significa, innanzi tutto,
cercare di mettere a confronto l'Italia poverista con l'America concettualista, sebbene
entrambi gli artisti siano l'esempio più evidente di un'identificazione impossibile e
riduttiva. Allo stesso tempo la vicinanza tra i due artisti non è riconducibile solamente a
modalità di pensiero individuali, quanto a scelte espressive che si fanno sintomo di una
più vasta tendenza internazionale, raccolta sotto la definizione di "Postminimalismo" .
Nonostante in un'intervista con Ian Wallace100, Nauman dichiarò di non aver visto nulla
in Italia che lo interessasse, risulta difficile credere che la ricerca di Boetti non abbia
quantomeno incuriosito il giovane coetaneo americano. Quasi trentenni i due si
incontrano a Berna per When attitudes becomes forms, ed è proprio questo confronto
ravvicinato a suggerire una prima vicinanza tra i due artisti. In entrambe le loro opere,
Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969 e Neon templates of the left half of my
body taken at teninch intervals, ci troviamo di fronte a una traccia lasciata dal corpo
dell'artista. La forza di aggettivo e pronome personali nel titolo indica un procedimento
99 Alessandra Troncone, Nauman/Boetti, Flash Art n. 276, giugnoluglio 2009
100 B. Nauman cit. in I. Wallace, R. Keziere, “Bruce Nauman”, in Vanguard 8, n. 1, febbraio 1979, pp. 1518; trad. it.
“Intervista a Bruce Nauman”, in F. Rahimi, Bruce Nauman. Inventa e muori, interviste 19672001, a+mbookstore,
Milano 2005
66
che ha per centro il soggetto. Il my di Nauman trova perfetta corrispondenza nell'Io
boettiano. Oltre allo sdoppiamento, è forse la dialettica ordine/disordine a suggerire una
corrispondenza ancora più interessante. La combinazione di necessità e caos attraversa
tutte le opere di Boetti in cui l'artista fa sfoggio della propria ars combinatoria come ad
esempio in opere come Manifesto (1967) e Mettere al mondo il mondo (197273). La
stessa associazione di forma tabulare e criterio strutturale si ritrova in First Poem Piece
(1968) di Nauman, nel quale l'artista passa da una frase all'altra cambiando solo una
lettera. Procedimenti, quindi, diversi, ma che condividono lo stesso gusto per le
combinazioni variabili del dato linguistico. Proprio l'uso del linguaggio, identificato da
Henry Flynt già nel 1961 come come materia prima della Concept Art — può servire da
ulteriore termine di paragone tra i due artisti. Infatti, è possibile notare come Boetti sia
sensibile ai “rovesciamenti di senso” che costituiscono il punto di partenza dei lavori al
neon di Nauman, incentrati sulla messa in discussione del valore assoluto e universale
del contenuto in relazione al contesto. Un’opera di Boetti particolarmente in linea con
tali riflessioni sullo slittamento dei significati è Vedenti (1967). Come già detto a
proposito di quest'opera, a incantare l’artista è il ribaltamento del punto di vista, la
creazione di un significato che affonda le radici nel concetto di alterità: l’accezione di
vedente, così forte proprio per chi non vede, porta l’artista a riflettere sul senso delle
parole in rapporto al contesto. È la stessa ricerca che Nauman conduce sotto forma di
giochi linguistici, a proposito della quale è necessario citare la fonte wittgensteiniana.
Proprio alle riflessioni di Ludwig Wittgenstein sembrano legate le considerazioni di
Boetti a proposito della “magia delle parole”: l’artista è attratto da quelle particelle che
si mettono davanti ai verbi e ne mutano completamente il senso. È evidente a questo
punto la vicinanza alle riflessioni linguistiche di Nauman, che giocano sulla mutabilità
dei segni per dimostrare quanto la parola “nell’accezione saussuriana” sia effimera.
Alighiero Boetti utilizza inoltre enunciati nonsense per le sue cartoline, quali “non
marsalarti” e “decantiamoci su” che, insieme ai veri e propri giochi di parole
(Shaman/Showman e casuale/caosale), ricordano da vicino le assonanze linguistiche
protagoniste dei lavori al neon di Nauman. Al di là della corrispondenza tra alcune
opere degli stessi anni, la vicinanza tra Nauman e Boetti va letta anche e soprattutto alla
luce di un interesse comune per il ripensamento critico del ruolo dell’artista; il mistico
del primo potrebbe essere lo Shaman/Showman del secondo. È anche per questo motivo
67
che questi parallelismi sono emblematici riguardo alla medesima difficoltà di
classificare e circoscrivere il lavoro di questi due artisti. La critica conclude con due
opere che ben evidenziano il senso del confronto tra i due: di fronte alla scultura
Autoritratto (1993), infatti, non si può non pensare a Selfportrait as a Fountain (1966
67) di Nauman, dove l’artista è intento a spruzzare acqua dalla bocca. Risulta evidente,
quindi, quanto entrambi siano permeati dalla medesima ironia e dalla stessa volontà di
mettere in gioco la propria persona, quanto il proprio ruolo all'interno del sistema
dell'arte.
Tornando agli scritti critici nel catalogo della retrospettiva del 1996, dopo quello di
Amman, sono presenti due interventi di Maria Teresa Roberto101 e Giovan Battista
Salerno.102 La prima rintraccia un po' tutta la storia delle esposizioni di Boetti con un
veloce accenno alle opere e agli scritti critici. Il secondo traccia un poetico ritratto
dell'artista in riferimento ad alcune delle sue opere più importanti, ma anche meno
conosciute, in cui emergono i principali concetti del suo operare. Angela Vettese103,
invece, ci da delle istruzioni per l'uso di Boetti. Spesso capita che le informazioni,
passando di bocca in bocca, cambino, ed il messaggio finale è difficilmente
riconducibile all'origine. Neppure le opere di Boetti sono immuni da suggerimenti di
altri, pur stravolgendone l'esito finale. Potrebbe accadere di pensare, infatti, leggendo i
Paragraphs on Conceptual Art104 di Sol Le Witt, da cui aveva già preso spunto Paolo
Diacono per il catalogo della mostra del '78, che Boetti abbia adottato quasi
letteralmente alcune indicazioni. Vi si legge tra l'altro "Quando un artista adotta una
forma d'arte concettuale, significa che tutti i progetti e le decisioni sono portati a
termine preliminariamente e l'esecuzione è una faccenda funzionale […]. Le buone idee
hanno di solito un'apparenza di semplicità […]. Meno decisioni si prendono nel corso
del completamento del lavoro meglio è..." L'insieme dei testi di Le Witt, inoltre,
conduce alla conclusione che l'aspetto esecutivo dell'opera possa essere affidato al altri.
Nel 1969 Sieglaub e Wender editarono un libro d'arte fatto di fascicoli di xerocopie,
ciascuno affidato a Carl Andre, Rober Barry, Douglas Huebler, Joseph Kosuth (che ne
aveva già concepito uno in proprio), Sol Le Witt, Robert Morris e Lawrence Wiener:
101 Maria Teresa Roberto, Alighiero Boetti 19661970, in Alighiero Boetti 19651994, cat. Mostra, op. cit.
102 Giovan Battista Salerno, Arte della copia e misteri della produzione, in Alighiero Boetti 19651994, cat. Mostra, op.
cit.
103Angela Vettese, Non marsalarti: istruzioni per l'uso di Boetti, in Alighiero Boetti 19651994, cat. Mostra, op. cit.
104 Pubblicati per la prima volta in "Artforum, vol. V, n. 10, estate 1967, pp 7983
68
Boetti non è stato il primo in questo capo. Ma l'utilizzo che egli ha fatto della xerocopia
è andato in direzione molto più soggettiva, a partire dall'Autoritratto Xerox (1969) fino a
giungere alla serie di libri rossi 111. Ancora, il primo lavoro posale è stato concepito da
Douglas Huebler nel 1968, come completamento dell'opera 42° Parallelo: il suo
Duration Piece 9 prevedeva l'invio di un pacchetto a un indirizzo inesistente di Berkeley,
ritornato al mittente esso venne inserito in un contenitore più largo e spedito a Riverton;
la stessa operazione venne ripetuta sino a tracciare sulla mappa degli Stati uniti una
linea che congiungeva le due coste. È evidente l'assonanza con i lavori postali di Boetti,
specialmente con l'ultimo del 1993 che ha disegnato i confini della Francia. D'altra parte
l'artista ha dato a questa forma artistica nuovi significati: l'esterno delle sue buste è
sempre stato caratterizzato da un gioco formale e combinatorio tra i francobolli;
l'interno ha contenuto messaggi personali e significanti. Boetti non si è molto interessato
al linguaggio dell'arte in quanto tale: " Non mi pongo il problema, soprattutto adesso se
quello che faccio è arte o no. A me serve per vivere delle mie avventure"105. Le sue
opere, anche quelle decisamente poveriste, hanno sempre tenuto presente il valore di una
bellezza che non teme di sfociare nella decorazione, a patto di porsi come veicolo di
comunicazione e di stupore. Boetti ha superato l'impasse di una pretesa oggettività
concettuale, ammettendo e mettendo nelle opere l'inevitabile soggettività emozionale
propria e altrui. Malgrado Boetti abbia sempre mantenuto un ruolo di regista che tocca
poco il suo lavoro, ha diretto quest'ultimo in maniera molto attenta alla pratica che
avrebbe trasformato l'idea in oggetto fisico; la prima, anzi, non è mai nata prescindendo
dalla seconda. Così è accaduto ovviamente che anche il lavoro di Alighiero Boetti sia
diventato una fonte di istruzioni e invenzioni. Nella schiera degli assistenti c'è chi ne ha
subito quasi un plagio e chi al contrario gli si è rivoltato contro. Tra questi la Vettese cita
solo Francesco Clemente, legato all'artista da un legame personale così stretto, di amore
e odio, che ha costretto i due a separarsi per un lungo periodo, per riavvicinarsi solo
negli ultimi mesi di vita dell'artista. Vi sono anche molti altri artisti italiani della
generazione successiva, nati paradossalmente contro quella transavanguardia di cui
Clemente è stato esponente, che sono entrati a contatto con Boetti, il quale, in quegli
stessi anni Ottanta, andava creando le sue realizzazioni più piene. Sono presenti, a
questo punto, due testimonianze di giovani artisti, all'epoca trentenni, con cui ha
105 Dialogo con Alighiero Boetti, in A. Bonito Oliva, Dialoghi d'artista, Milano 1984.
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desiderato tra l'altro condividere una mostra collettiva106. Il primo intervento è quello di
Amedeo Martegani107 secondo il quale con Boetti la storia dell'arte gira un angolo.
L'artista non conclude un ciclo, non ha avuto la vocazione del becchino, quanto piuttosto
quella dell'eliminatore: prima di sé, poi dell'opera, intesa come oggetto che oscilla tra
critica e collezione. Boetti semina disperdendosi, va avanti ad ossimori e sinossi, la sua
forza è nella parola che descrive e che pensa di concludere, pensa di mettere in ordine,
di mettere al mondo. La parola in Boetti nemmeno sigilla, ma piuttosto accompagna.
L'altro ritratto dell'immagine dell'artista lo si deve a Mario Dellavedova108, il quale
esordisce dicendo che in questo encomio tradisce Boetti. Racconta, infatti, un aneddoto
che l'artista non avrebbe voluto rivelare, il fatto, cioè, che tra una foto e l'altra, nell'opera
Gemelli, si sia andato a fare uno shampoo. La cosa parve subito a Dellavedova
illuminante e divertente, pensare al fotografo che era lì ad aspettare questo nuovo Godot
delle chiome, riflettere su come la gente pensi alla capigliatura nei momenti più frivoli o
più difficili. In definitiva definisce il lavoro di Boetti come ciò che resta della digestione
di un onnivoro. Per quanto riguarda gli altri artisti, sia quelli che in passato hanno fatto
riferimento a lui, sia quelli delle nuove generazioni, possono essere considerati come i
figli, i quali vengono messi a mondo non per volerne fare replicanti, quanto per
inventare la giusta digressione. Sta a loro, perciò, decidere se rimanere suoi epigoni o
tradirlo tanto degnamente quanto si sarebbe meritato. Non poteva mancare, ovviamente,
l'intervento di Annamarie Sauzeau109 che cita la bella riflessione di Boetti sul sesto
senso, che in qualche modo racchiude tutto il suo pensiero:
106 Tenutasi a Venezia nel giugno 1993 e corredata da un manifesto a otto mani con Mario Dellavedova, Stefano Arienti
e Massimo Kaufmann.
107 Amedeo Martegani, Boetti tra mille manine, in Alighiero Boetti 19651994, cat. Mostra, op. cit.
108 Mario Dellavedova, Superficiale profondità, in Alighiero Boetti 19651994, cat. Mostra, op. cit.
109 Annemarie Sauzeau, in in Alighiero Boetti 19651994, cat. Mostra, op. cit.
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forse di tempi antichissimi in cui eravamo un'altra cosa e forse non eravamo
neanche sulla terra. Insomma, di quando eravamo forse più vicini agli dei."
La Sauzeau afferma che per valutare l'insieme dell'opera di Boetti, qualsiasi tipo di
approccio si scelga, si deve prendere atto dell'elementarità dell'enunciato iniziale di un
qualsiasi suo lavoro. Non si tratta di gesti poveri, minimalisti o concettualisti. Boetti fa
cose molto meno auliche. Gioca come un bambino, come un giovane artista a cui manca
la formazione accademica e non gli dispiace. In questi giochi d'arte, non essendo coperti
da nessuna patina di mestiere, si mette in atto quella messa in opera della verità che la
filosofia riconosce all'arte. Proprio a causa di questa spaesante produzione, spesso la
critica ha faticato a leggere la funzione di verità, ripiegando sulle lodi della qualità
ludica, narrativa, estraniante, misterica, ecc...creando una sorta di micromitologia, mai
ricercata né sconfessata dall'artista. Come ricorda la Sauzeau, Boetti era si un viandante,
ma per quanto riguardava le proprie opere andava dritto alla meta, sapeva perfettamente
ciò che cercava e spesso lo trovava. La Sauzeau, per sostenere le sue riflessioni su
alcuni dei suoi processi mentali, si serve del pensiero di Diderot, molto presente
nell'opera di Boetti che lo conosceva bene, e di quello di MerleauPonty, autore de
L'occhio e lo spirito, del quale, invece, non aveva mai letto nulla, ma che in realtà ha
molti punti contatto con l'artista. Di MerleauPonty cita la doppia ipotesi secondo cui
"Il semplice vedere è già un delirio partecipe della segreta nascita delle cose nel mondo,
e il vedere artistico ne è il prolungamento all'ultima potenza", nella quale sembra
emergere quell'occhio, nella pratica di Boetti, che esplora alla ricerca di un qualcosa che
va oltre al dato sensoriale, per sfondare la superficie e rendere visibile l'invisibile che
sottostà al mondo. La fenomenologia di MerleauPonty, inoltre, esclude l'idealismo
considerato da lui "crampo riflessivo", esattamente come avviene in Boetti.
Di questa prima retrospettiva se ne parlò a lungo anche in tutti i quotidiani e le riviste
d'arte. Ne "Il Manifesto"110, ad esempio esce uno speciale che titola: "Il futuro è di
Boetti", Maestri sottovalutati. L'artista a quell'epoca, infatti, aveva ancora all'interno del
mercato d'arte, dei prezzi ridicoli, paragonabili a quelli degli esordienti, tanto che Fiz
consiglia di acquistare le sue opere con raziocinio, essendo certi di fare un buon affare.
Già a due anni dalla sua morte, però, le quotazioni si stavano alzando del 4050%. Nello
110 Pagine a cura di Alberto Fiz, Il futuro è di Boetti, ne Il Manifesto, 6 maggio 1996
71
speciale vi è anche un trafiletto in cui si ricorda quel lungo periodo di circa cinque mesi,
nei quali l'artista lavorò per Il Manifesto, dal 16 dicembre 1980, pubblicando disegni
inediti e riproduzioni dei suoi lavori, per illustrare gli articoli sugli argomenti più
disparati. La prima opera che finì tra le pagine di questo catalogo fu Ordine e disordine .
L'immagine d'arte comincio così un avventuroso percorso, in simbiosi (ma senza alcun
intento didascalico) con l'informazione. S'infrangeva e si trasgrediva in tal modo il
luogo deputato alla comunicazione artistica (la galleria, il museo) per entrare nella
quotidianità. Due erano i concetti che si venivano a fondere in questo laboratorio:
scrittura come elaborazione del pensiero (analisi) e visione come riassunto creativo del
mondo (sintesi). Ancora è Renato Barilli111 a recensire la Mostra di Torino su Il corriere
della sera, il quale rintraccia il fascino dell'arte di Alighiero Boetti nel suo essere
qualcosa di sfuggente, come il pensiero, come l'atto mentale che tuttavia trova modo di
manifestarsi in modi corposi, violentemente policromi, piacevolmente artigianali,
seppure con l'aiuto di maestranze adatte. Walter Guadagnini112 in Repubblica, scrive che
dire che la retrospettiva celebra con un'antologica Alighiero Boetti, non è utilizzare il
termine adatto per un artista le cui intuizioni sono sorte sotto il segno dell'ambiguità,
dell'ironia e di un sentimento ludico che mal si concilia con la retorica dell'ufficialità.
Ancora nel 1996 furono altre due le mostre a lui dedicate: una alla Galleria d'Arte
Moderna di Roma – L'opera ultima113 – e l'altra al Palais de BeauxArts di Bruxelles –
Origin and Destination. Alighiero e Boetti – Douglas Huebler. Nella prima Sandra
Pinto volle raccogliere in un allestimento unitario le ultime opere dell'artista. Nel grande
salone centrale, erano disposti gran parte dei kilim realizzati nel 1993 per la mostra al
MegasinCentre di Grenoble, che, grazie a un'illuminazione semplicissima, dovevano
ricordare l'atmosfera vasta e spoglia delle moschee. La mostra, recensita da Ester
Coen114 su Repubblica, costituisce quella visione un po' ludica e soprattutto non
intellettuale, che si era imbevuta di "felici coincidenze" fino a toccare la soglia di una
conoscenza insolitamente primaria. La generazione di Boetti, e l'artista in testa, ha
contribuito per prima ad allargare i confini dell'arte a quel nomadismo culturale di cui
tuttora si parla. All'interno del catalogo figura un dialogo della curatrice con Annamarie
111 Renato Barilli, Dipingere. A colpi di dadi, in Il corriere della sera, 25 maggio 1996
112 Walter Guadagnini, Quando la geografia diventa un'arte, in Repubblica, 6 maggio 1996.
113 Sandra PintoMariastella MargozziAnna MattiroloMassimo Mininni (a cura di), ALIGHIERO E BOETTI.
L’opera ultima, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 16 dicembre 199627 aprile 1997
114 Ester Coen, Alighiero lo sciamano, in Repubblica, 24 dicembre 1996.
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Sauzeau e Corrado Levi, oltre a diversi scritti ognuno dei quali curato da un critico e
dedicato a una delle sezioni della mostra: a Mariastella Margozzi si deve la sezione
Alternando da uno a cento e viceversa, a Massimo Mininni l'Ouvre postale, a Anna
Mattirolo Tutto e Tappeto. Il catalogo della mostra di Bruxelles, invece, presenta
interventi di Corrado Levi115 e Carolyn Christov Bakargiev116. Il primo si sofferma ad
analizzare la visione del mondo di un allievo di Boetti, il quale cerca di capire cosa e
come ha lavorato il lui l'esperienza dell'artista, per interrogarsi sull'intervallo che sente
rispetto ad essa. Nel suo allievo e nei nuovi artisti che a lui si ispirano vi è una
metodologia dell'essere e del fare mai tentata prima dal sistema. L'intervento critico di
CristovBakargiev è incentrato sul rapporto tra Boetti e l'Arte Povera, nel quale, in
conclusione, afferma che per Boetti la povertà dell'arte era una questione di metodi e di
mezzi più che di materiali.
Nel 1998 si inaugura Mettere al mondo il mondo117, a cura di Rolf Lauter, al MMK di
Francoforte sul meno, dal sottotitolo Il tesoro nascosto. Il curatore nel suo intervento118
si concentra sulla manifestazione del mondo nell'opera di Boetti. Molte delle opere
dell'artista rispecchiano le sue esperienze di vita, sono pezzi di un mosaico che
racchiude la sua visione del mondo. Per questo non stupisce che Boetti si confrontasse
sempre con il tema delle date. Queste rimandano sempre all'esistenza di una persona, o a
un'esperienza e sono legate al fattore tempo al passato, al presente e al futuro. Boetti
procedeva nella sua ricerca di ciò che tiene insieme il mondo, come un biologo. Alla
ricerca della propria identità era legata la conoscenza della struttura fondamentale del
mondo, basata soprattutto su dualismi. Il principio del dualismo si mostra nel principio
arcaico della filosofia greca, in Eraclito da Efeso. Accanto alla filosofia greca per Boetti
erano un'importante fonte di conoscenza la filosofia cinese, poesie e pensieri del
sufismo, diffuso nell'Islam. Per la riunione di due parti, stanno i simboli, segno del
legame del visibile con l'invisibile. Per Boetti il concetto di simbolo era principale in
quanto cercava nella sua arte l'incarnazione dell'idea a capo dell'armonia della totalità.
115 Corrado Levi, in Corredo Levi on Alighiero e Boetti, in Origin and Destination, Alighiero e Boetti – Douglas
Huebler, cat mostra, Palais des BeauxArts, Bruxelles, 1997.
116 Carolyn ChristovBakargiev, Shaman/Showman of Alighiero Boetti and Arte Povera, in Origin and destinatin,
Alighiero Boetti – Douglas Huebler, cat mostra, Palais des BeauxArts, Bruxelles, 1997.
117 Rolf Lauter (a cura di), Alighiero Boetti. Mettere al mondo il mondo, MMK Museum für Moderne Kunst, Frankfurt
am Main, 30 gennaio10 maggio 1998/ Jahrhunderthalle Hoechst, 1 marzo19 aprile 1998
118 Rolf Lauter, La manifestazione del mondo nell'opera di Alighiero e Boetti: fonti per comprendere l'artista, in IL
TESORO NASCOSTO ALIGHIERO BOETTI METTERE AL MONDO IL MONDO (catalogo), MMK Museum
für Moderne Kunst; Jahrhunderthalle Hoechst, Frankfurt am Main, 30 gennaio10 maggio 1998
73
Oltre alla scrittura, nella sua doppia funzione di segno e simbolo, Boetti si occupò
intensivamente di calligrammi (carmi figurati), i disegni del pensiero. Accanto al
confronto figurativo con i temi di scrittura e immagine per Boetti era importante
l'integrazione di lettere e numeri che rappresentano contenuti importanti di immagini
poiché essi erano fissati in funzione della comunicazione. Egli analizzò in molte opere
sistemi linguistici o numerici per avvicinarsi così alle strutture di pensiero di persone
delle culture più svariate. La genesi delle lettere dell'alfabeto si trasformò nelle sue
opere in immagine. Come la lingua anche la matematica era per Boetti una lingua
universale, cosmica, la sola forma di comunicazione oggettiva di fatti reali. Non è raro
trovare nelle sue opere formule e leggi matematiche, come ad esempio nei quadrati
magici, in cui la somma delle file orizzontali e verticali, così come quella delle
diagonali è costante. Ancora all'interno del catalogo troviamo altre riflessioni sulla
lettera e il numero nello opere di Boetti di Klaus Gorner 119. Il critico, in particolare,
analizza la relazione che intercorre tra le opere e i diversi modelli che risalgono a volte
ad epoche molto lontane. Un fattore sostanziale da tenere in considerazione è che le
parole e le frasi in forma figurata contrastano con le nostre abitudini di lettura e di
ricezione, e nel loro modo di apparire come immagine, nonché nella loro tecnica
conducono al di là di una forma letteraria. Nell'incontro dell'artista con la cultura
islamica, sono nate opere che superano l'aspetto puramente tecnico della scrittura come
mezzo di comunicazione fra i tanti, per arrivare all'osservazione della scrittura come
immagine. Ancora sul rapporto tra Boetti e l'Oriente è incentrato l'altro intervento
presente nel catalogo, di Caterina MadernaLauter120. L'artista possedeva numerosi
sigilli orientali, moderni e antichi, di diversa. Segni di sigilli compaiono nelle sue opere
dagli anni Ottanta e si possono ravvisare in seguito anche nei suoi lavori su carta. Il suo
segno, sempre uguale a se stesso rende l'opera in sé unica ed individuale. In nessun caso
vengono a coincidere meglio serialità di forma e continuità di tempo. La singolare
bellezza di un sigillo è data dalla sua capacità peculiare di concentrare il tempo e di
fondere immagini e parole. Egli si avvalse di uno stesso sigillo per lungo tempo anche in
modo giocoso, per se stesso, apponendo su numerosi lavori il segno di un grosso leone,
sua sigla personale, dietro la quale era racchiusa una grande quantità di riferimenti che
119 Klaus Gorner, L'ordine bello. Riflessioni sulla lettera e il numero nelle opere di Alighiero e Boetti,(catalogo), MMK
Museum für Moderne Kunst; Jahrhunderthalle Hoechst, Frankfurt am Main, 30 gennaio10 maggio 1998
120 Caterina MadernaLauter, Fusione tra oriente e occidente continuità di passato e presente, La struttura del
mondo nell'opera di Alighiero Boetti, in Alighiero Boetti, Mettere al mondo il mondo,(catalogo mostra)
74
solo un osservatore esperto può cogliere. Sempre all'idea fondamentale e costante
dell'unione di immagini e parole è legato il concetto secondo cui le lettere dell'alfabeto
non solo narrano, ma relativizzano i nostri concetti di lingua e testo, mostrandoceli
come meri aspetti parziali di un ben più complesso principio di trasmissione dei
contenuti. Oltre al fatto che Boetti nelle sue opere con scrittura si confrontasse
consapevolmente con una lunga ed importante tradizione occidentale, la critica
sottolinea come proprio negli arazzi dove è presente testo ricamato trova espressione un
ulteriore, centrale motivo dell'artista: il sogno di realizzare una compenetrazione fra
atteggiamenti spirituali, ideali e strutture di pensiero occidentali ed orientali. Così
l'unione di tradizioni orientali ed occidentali diventa altrettanto evidente nell'ordine del
quadrato, che è comune a tutti questi lavori. Nei grandi arazzi quadrati si leggono uniti a
proverbi e frasi di Boetti, i più diversi messaggi. Spesso nei testi persiani viene
nominato come autore ed onorato. Le sue opere si trasformano in veicoli di storie, sui
quali nel corso del fluire del tempo si depositano sempre più numerosi strati di
significato. Quando si tenta di studiare la sua opera ci si scontra sempre con i veri
grandi quesiti che stanno alla base della nostra concezione del mondo, sull'essenza del
tempo, della vita, dell'evoluzione, dell'ordine. In tal senso ci si rende conto che gruppi di
opere che presentano in un primo momento aspetti molto differenziati tra loro, in verità
sono parti integranti di uno stesso principio concettuale.
Il XX secolo si conclude con una retrospettiva alla Whitechapel di Londra. In questa
elegante ed accattivante mostra Boetti sembra aver superato quella personale diffidenza
per il popolo e la cultura anglosassone alla quale anche una delle sue opere più pop, Stiff
Upper Lip (1966) accessoriamente e con leggera ironia si riferisce121. La mostra Boetti:
the maverick spirit of Arte Povera; faceva parte di una più ampia serie di manifestazioni
che celebravano tra il Settembre 1999 e il Gennaio 2000 la cultura e l'arte italiana nel
Regno Unito.
121 Irene Amore, Alighiero Boetti: the maverick spirit of Arte Povera, in Bollettino telematico dell'arte n. 206, 11 luglio
2000.
75
Mettere all'arte il mondo
L'inizio del XXI secolo vede Boetti
protagonista di numerose mostre,
soprattutto al di fuori dai confini
nazionali. Ricordiamo, tra le altre,
tre esposizioni, tutte a New York,
tra il 2000 e il 2001: Alighiero
Boetti. Works on Paper, 19671989,
alla Gladstone Gallery, Around
1984: A Look at Art in the Eighties,
presso il Contemporary Art Center, Alighiero e Boetti alla Gagosian Gallery. Nel
catalogo di quest'ultima mostra alla Gagosian Gallery, Norman Rosenthal122 ammette di
aver capito l'importanza dalla figura di Boetti solo dopo la sua prematura scomparsa. In
quel momento ancora una volta il mondo dell'arte stava cambiando e così facendo
rivelava che Boetti era stato un pioniere, uno di quegli artisti che indicano la strada agli
altri. Grazie a lui il discorso artistico si aprì a idee non esclusivamente radicate nella
tradizione mediterranea classica. È stato uno di quei pochi artisti che è riuscito
sinceramente ad abbracciare il mondo cercando di sottrarvisi, trovando il modo di
comunicare quel senso di ordine che ci rende più consapevoli della sua sottesa unità.
Boetti si è preso carico di dimostrare un concetto del quale anche Beuys era convinto, e
cioè che ogni uomo e ogni donna poteva aspirare a diventare un artista, grazie al capitale
creativo connaturato ad ogni essere umano. Boetti dimostrò anche che le mappe del
mondo dovevano ed potevano essere cambiate. I Kilim e gli arazzi si presentano come
spazi su cui meditare sulla possibilità di dialogo tra Occidente e Oriente, tra ricchi e
poveri, tra presupposti culturali molto lontani tra loro. Propongono modelli utopici che
da un lato offrono l'opportunità di godere di un piacevole oggetto e dall'altro si
presentano come meditazione sulla follia della storia umana che divide il mondo in
infiniti sottomondi. A sei o sette anni dopo la sua morte (e oggi ancora di più) le
Mappe documentano i decisivi cambiamenti intervenuti nel mondo. Boetti ha indicato la
122 Norman Rosenthal, Recognising Alighiero Recognising Boetti, in Alighiero Boetti, cat. Mostra, Gagosian Gallery,
New York, 2001.
76
strada da seguire anche per quanto riguarda un movimento internazionalista delle arti
visive, più vasto di tutti quelli che lo hanno preceduto e che ha avuto per risultato
l'entrata in scena di artisti dei più diversi Paesi che sono diventati i nuovi centri artistici
dell'arte contemporanea. Anche i problemi legati all'anonimità e all'identità sembrano
legati al presente. Le Mappe e gli ultimi lavori di Boetti sono spudoratamente politici
sotto il profilo del significato. Per Rosenthal dimostrano sia l'assurdità che l'inevitabilità
dei nazionalismi, dei confini politici, dei simboli nazionali e delle disuguaglianze
economiche. Il loro scopo all'interno del mercato è del tutto ambiguo, sembrano essere
fatte per il pubblico e non per la sfera privata del consumo dell'arte. Sembrano essere
un'esortazione a diventare più coscienti, nella speranza che gradualmente le barriere
politiche, culturali ed estetiche che ostacolano la comunicazione cadano grazie al suo e
ad altri esempi.
Nel 2001 è presente anche alla XLIX Biennale di Venezia, in occasione della quale
viene edita una pubblicazione123 a cura di Germano Celant e Antonella Soldaini per la
mostra “Alighiero Boetti. Niente da vedere niente da nascondere”.
Nello stesso anno viene pubblicato una monografia sull'artista di Annamarie Sauzeau:
Shaman/Showman124 Alighiero Boetti. Si tratta di un album di immagini particolari, un
racconto, una testimonianza privata e allo stesso tempo un'esegesi critica. Il tutto
narrato, appunto, dalla sua prima moglie, compagna di venti anni di una carriera
artistica appassionante, nonché critica d'arte. ShamanShowman non è il solito libro di
critica d'arte, o per lo meno lo rappresenta solo parzialmente. E' soprattutto un diario
intimo, un'attestazione privata, che per forza di cose è diventata pubblica, nella quale la
Sauzeau narra alcune vicende personali e artistiche di cui Boetti è stato l'assoluto
protagonista. Vicende che per gioco del destino si sono trasformate in eventi critici sul
lavoro, in considerazioni teoriche, in viaggi – metafisici e realizzati e nelle imprese
quotidiane dell'artista. L'espressione Shaman Showman, che deriva dal titolo dell'opera
omonima del 1968, può significare sia gemelli, sia sciamano/uomo dello spettacolo e
richiama alla mente i suoi giochi linguistici. È un testo in cui si narra, come in una
favola mediorientale, dei suoi quadrati magici, delle sue ricerche sulla simbologia dei
segni e sulla sua ininterrotta indagine cabalistica. La Sauzeau confessa:
123 Germano CelantAntonella Soldaini (a cura di), Alighiero Boetti, Skira Editore, Milano, 2001 (pubblicazione edita
in occasione della mostra “Alighiero Boetti. Niente da vedere niente da nascondere”, Padiglione Venezia, XLIX
Esposizione Internazionale d’Arte, La Biennale di Venezia, Venezia, 10 giugno4 novembre 2001)
124 Annemarie Sauzeau, ALIGHIERO E BOETTI “SHAMAN/SHOWMAN”, Umberto Allemandi & C., Torino, 2001
77
"La mia posizione ha l'ambiguo privilegio del sentimento, del sodalizio
intellettuale e ormai della lettura professionale. Vorrei riuscire a restituire il
flusso consonante tra l'esistenza e l'elaborazione artistica di Alighiero e
Boetti, una doppia e inscindibile avventura. Un intreccio lirico, quasi
romantico, tra due registri basati sulle stesse scelte, gli stessi rischi, le stesse
fortune e sfortune. Vorrei fornire alcune chiavi inedite, semplici e concrete,
per meglio avvicinare l'opera. Un insieme di casualità, quelle "felici
coincidenze" che di tanto in tanto facevano scattare in lui nuovi processi
mentali: incontri con una parola, con un paesaggio, con una melodia,
un'immagine, un gesto".
Il volume è stato riedito nel 2008, da Luca Sossella editore, abbinato ad un film di
Emidio Greco di 60 minuti realizzato nel 1978, girato a colori in 16 mm sull'opera di
Alighiero Boetti. Nella riedizione è presente anche un testo di Maurizio Cattelan,
Infiniti Noi125, nel quale l'artista ricorda il suo primo incontro con Boetti alla Biennale di
Venezia nel 1990. Parlarono per un po' nel padiglione americano, accanto a una pila di
poster di Jenny Holzer. Boetti ne prese uno, vi scrisse sopra "Non Scrivere Mai
Cazzate", lo firmò e glielo regalò. Con questa intervista immaginaria, fatta di domande
le cui risposte sono riprese da testi reali di Boetti, Cattelan intende restituire il regalo.
A dieci anni dalla morte dell'artista, nel 2004, è la Galleria d'Arte Moderna e
Contemporanea (GAMeC) di Bergamo a rendergli il dovuto omaggio con un'antologica
dall'emblematico titolo: Alighiero Boetti Quasi Tutto. Il curatore, Giacinto di
Pietrantonio, dichiara:"Allestire una mostra su Boetti significa fare il punto non solo
sull'artista ma sulla nostra contemporaneità che Boetti ci ha proposto come antiretorica e
anticelebrativa"126. La mostra riuniva oltre cento opere realizzate a partire dal 1962, con
una serie di disegni inediti, fino agli inizi del 1994. La selezione, però, ha privilegiato
quei lavori che implicano un rapporto molto stretto tra opera e spettatore, a prescindere
da qualsiasi approccio cronologico o tematico. Il titolo è un gioco di parole che con
125 Edito per la prima volta in Maurizio Cattelan, Infiniti Noi, "Flash Art", Giancarlo Politi Editore, Milano, anno
XXXIV, n. 230, ottobrenovembre 2001, pp. 9496.
126 Giacinto Di Pietrantonio, ALIGHIERO BOETTI QUASI TUTTO (catalogo), Galleria d’Arte Moderna e
Contemporanea, Bergamo, 6 aprile 18 luglio 2004/ Fundación Proa, Buenos Aires, 18 settembre21 novembre 2004,
Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, Milano, 2004
78
ironia rimette in discussione la possibilità di poter raccontare l'intera vicenda di un
artista all'interno di un'antologica. Il riferimento esplicito è alla sua serie di lavori
chiamati per l'appunto Tutto (1984). Il catalogo è stato concepito secondo un duplice
approccio che considera la complessità delle opere di Boetti sia sul piano della ricchezza
della sua produzione, sia su quello tematico e concettuale. L'obiettivo è quello di
dimostrare come l'artista nel corso degli anni abbia non solo teorizzato la complessità,
ma la abbia anche attuato sul piano formale. Il catalogo è concepito come un dizionario:
ciascuna lettera da vita a due voci, la prima legata alla produzione artistica (es A per
arazzo, B per biro, ecc), la seconda rimanda a concetti più vasti e più strettamente
connessi al pensiero e all'arte di Boetti (es. A per Afghanistan, C per complessità, E per
elenco, ecc...). I testi sono stati affidati per la prima parte a storici dell’arte, curatori, e
critici, mentre gli interventi del secondo gruppo sono stati redatti da filosofi,
antropologi, scrittori e storici. La struttura di questo catalogo è basata su una forte
interdisciplinarità che ha sempre caratterizzato l’arte di Boetti. Il catalogo, inoltre,
comprende una conversazione tra Giacinto di Pietrantonio e Corrado Levi, un testo
storicocritico di Laura Cherubini e una selezione di scritti di Boetti a cura di Emanuela
de Cecco.
In coincidenza con la mostra di Bergamo di apre alla Galleria d'Arte Moderna a Roma
Tuttolibro. Vi sono esposti una sessantina di lavori tra libri d'artista, manifesti, cartoline
ed inviti. Curata da Maura Picciau e dallo storico dell'arte Giorgio Maffei, venne
preceduta da una tavola rotonda con esperti dal Centro Luigi Pecci di Prato, del Mart di
Rovereto, dell'Archivio Boetti di Roma. Nell'opera di Boetti il libro d'artista ha un valore
fondamentale: in questi era cucito quel tot di ludico che connotava appieno l' invenzione
dei suoi anni migliori. L' artista «riconosceva nel libro il luogo per eccellenza delle idee
prima ancora che della parola ricorda Picciau127 è perciò lecito affermare che i libri
boettiani non sono solo dei libri ma dei lavori in progresso a stento trattenuti dalle
pagine». Per forza vero, riferito a qualcuno che è stato capace di dire: «Se vuoi
veramente una cosa, mettila per iscritto128». Nel suo intervento al curatrice si sofferma
sui libri dell'artista, che si possono contare sulle dita di una mano. Sebbene assai
differenti tra loro presentano caratteristiche simili: sono oggetti dal marcato tratto
127 Maura Picciau, Luoghi incerti, in ALIGHIEROBOETTI TUTTOLIBRO (catalogo), Galleria Nazionale d’Arte
Moderna, Roma, 23 giugno26 settembre 2004
128 Alighiero Boetti
79
artigianale, sono pubblicati in proprio con tirature ridottissime, solo legati
lussuosamente con copertine in tela rossa e caratteri oro. Boetti si è accostato all'oggetto
libro con rispetto, riconoscendo in esso il luogo per eccellenza delle idee, prima ancora
che della parola. Essi sono luoghi, degli spazi fondati ma incerti. Luoghi incerti sono gli
intervalli tra la vita e la morte, l'infanzia, i momenti prima del decesso, il tempo sospeso
del trapasso. Dal Dossier Postale ai 111 – I quindici libri, i libri di Boetti manifestano in
modo evidente la fascinazione epifanica piuttosto che fenomenologica. Senza
soffermarsi molto sul Dossier Postale o sui Mille fiumi, certamente le opere più note, la
critica si sofferma su Accanto al Pantheon, flusso di pagine colorate che documentano
l'attività allo studio dell'artista, e soprattutto su i 111, la più straordinaria e complessa tra
le opere in forma di libro di Boetti, detti anche i Quindici libri o Libri rossi. Questa
opera monumentale, in formato A4, contiene delle fotocopie, solo recto, di materiale
eterogeneo: ritagli di stampa, appunti di pugno dell'artista, foto di famiglia, fax, biglietti
della lotteria e tutto ciò che può uscire dalle tasche o da un cassetto o da un ricordo.
L'opera, iniziata nel 1992 si è interrotta con la morte; ogni volume conta 111 fogli,
l'insieme supera i 1600. Davanti a una simile proposta il punto interrogativo, quasi il
fastidio, è d'obbligo. Ci si chiede il perchè di tale operazione, a chi è rivolta. La Picciau,
dopo aver riletto più volte quest'opera senza indice né numerazione, è arrivata a una sua
personale conclusione. Scorrendo le pagine si intravedono dei temi che ricorrono sia in
diversi tomi che nello specifico dei volumi. A suo avviso globalmente si tratterebbe di
una riflessione sul corpo. Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo, aveva scritto
Boetti da giovane. Negli ultimi anni della sua vita soppesa la semplice verità che ogni
esistenza vive, oltre che nel tempo (sua eterna ossessione) soprattutto nel corpo. Infatti
sono centinaia le immagini di corpi offesi dalla guerra, sublimati dalla danza, reclusi
dalla prigionia, duplicati dal gemello, eroici nello sport. E' il corpo che traduce in atti i
pensieri, che misura le cose, che le conosce a volte per le vie che la mente non percorre.
Le immagini stemperate dalla riproduzione meccanica, trasformano la vicenda di Boetti
in una storia possibile, eventuale, un intreccio di storie.
Nel 2006 nello studio Gian Galeazzo Visconti di Milano, gli viene dedicata un'altra
personale129. Anche il catalogo di questa mostra ha una struttura particolare. Nella
prefazione Giovan Battista Salerno spiega che si tratta del tentativo di un dialogo a tre
129 Giovan Battista Salerno, Rinaldo Rossi, Andrea Marescalchi (a cura di), Alighiero e Boetti, Studio Gian Galeazzo
Visconti, Milano, 8 marzo31 maggio 2006
80
tra lui, Rinaldo Rossi e Andrea Marescalchi. Tranne Salerno, gli altri due hanno
lavorato alla realizzazione di molte opere dell'artista, sanno, perciò, cose che risultano
illuminanti. Spesso si è parlato di questo delegare ad altri di Boetti. In realtà l'artista non
delega, anzi include sempre, incorpora l'estraneo in un movimento che presuppone alla
base intelligenza, creatività e a volte infinita pazienza e tempo. Bisogna considerare che
i rapporti di Boetti sono stati sempre a due, non c'era quasi comunicazione tra i vari
esecutori materiali, sempre e solo con l'artista, era lui stesso che ci teneva a tenerli
separati. Perciò un dialogo di questo tipo, a tre, fa in modo che vengano fuori quasi
sempre nuove scoperte, poiché ognuno porta la sua grande o piccola esperienza. La cosa
più utile, però, rimane il metodo del dialogo e del confronto, poiché può capitare che
qualcuno si accorga di un pensiero, un concetto che venti anni prima, quando Boetti era
in vita, non l'avrebbe nemmeno sfiorato. Nel catalogo, quindi, è presente questa
conversazione registrata in appena tre ore, che rappresenta nient'altro che una finestra su
un discorso che non finirebbe mai.
Quest'anno, a quindici anni dalla scomparsa dell'artista, si è inaugurata una delle più
ampie retrospettive dedicate a Boetti a cura di Achille Bonito Oliva, nella cornice del
Museo d'Arte Contemporanea Donna Regina di Napoli (MADRE). Il titolo della mostra,
Mettere all'arte il Mondo 19931962, parafrasa uno dei suoi lavori Mettere al mondo il
mondo, ma più propriamente è un riferimento all'idea di nomadismo e alla perenne
curiosità di Boetti che più di qualunque artista, nelle parole di Bonito Oliva, è un
"inviato speciale nella realtà"130, capace di cogliere da qualsiasi elemento non solo
materiale di informazione ma un'occasione creativa. Come già fatto per la mostra
Contemporanea (1973) nel parcheggio di Villa Borghese, anche qui il critico procede a
ritroso. Si parte, infatti, dalle opere realizzate nell'ultimo anno di vita dell'artista, 1993,
per poi retrocedere fino a quelle iniziali, 1962. Da tale percorso, per Bonito Oliva 131, si
desume come Alighiero e Boetti abbia operato sulla molteplicità dell’io, singolare,
duale e plurale. Inoltre si desume anche come Alighiero e Boetti, retrocedendo nel
tempo, abbia finito la sua vita di grande artista lavorando sul noi, essendo partito dall’io.
Nel saggio presente nel catalogo, Bonito Oliva torna nuovamente a parlare di Boetti,
affermando che rispettosamente è stata presa la decisione di sostituire la e tra Alighiero
130 Achille Bonito Oliva intervistato da Chiara Pasqualetti, Vi presento Boetti, in Amadeus, 2 febbraio 2009, pagg 92
98.
131 Achille Bonito Oliva, Tempo circolare di Alighiero & Boetti, in Alighiero&Boetti, Mettere all'arte il mondo
1993/1962 , catalogo mostra, Ed. Electa, 2009.
81
e Boetti, con una & che meglio rappresenta la relazione tra l'artista che concepisce
l'opera e gli artefici che la realizzano. A&B pratica una cultura dell'espansione, il primo
giocando sulla pelle delle cose, il secondo grattando sotto la pelle del soggetto.
Entrambi, comunque, cercano una dilatazione che va oltre la fenomenologia dell'oggetto
e del soggetto, oltre il principio di identità che aveva dominato tutto il razionalismo
positivistico dell'Ottocento. Così come la ragione non è più in grado di dominare i
processi di trasformazione del mondo, così l'arte non può, con il solo ausilio delle
tecniche tradizionali, tutte giocate sul controllo, esaurire il proprio percorso nel progetto
dell'artista. Se l'arte passa attraverso la nominazione delle cose, un riconoscimento
normatico del reale, A&B produce un'antiarte che capovolge l'atteggiamento di
ragionevolezza nei confronti del mondo con un attacco ad esso mediante l'assunzione
del mondo stesso, nei suoi frammenti e reperti quotidiani, alleggeriti dal loro senso
comune e caricati di inutilità. Per far si che ciò avvenga è necessario che l'artista sia
consapevole dell'onnipotenza del linguaggio. Il readymade di Duchamp è l'esempio
lampante di un'arte che capovolge l'intenzionalità tradizionale dell'opera. L'elementarità
del prelievo dell'oggetto bello e fatto è la prova proprio della mentalità dell'arte di
ridurre i propri livelli di complessità tecnica. Per A&B la complessità ora sta nella
compenetrazione tra intervento dell'artista e caso, ora nella rottura del rapporto di causa
ed effetto che introduce nell'opera la possibilità di un elemento di perturbazione e con
questa uno strappo all'inerzia del quotidiano. Ciò è possibile in quanto il linguaggio
dell'arte ha un potere di condensazione al di fuori delle regole della comunicazione
codificata. Automatismo, perciò, significa libertà del linguaggio di aggregare nuovi
sensi, anche al di fuori della volontà dell'artista, il quale, anzi, lascia che altre volontà
intervengano nell'opera a determinare un alleggerimento di senso. La mentalità di A&B
è quella di un artista che vuole estrarre dalla realtà una regola interna che nessuna
perizia tecnica, che nasca da un'applicazione tutta razionale, può esplicitare. I titoli delle
sue opere sottolineano sempre questa possibilità di incontrare un nuovo senso. Questa
creazione avviene senza la partecipazione emotiva dell'artista che mette solo il
linguaggio nella condizione di creare un nuovo senso. A&B riesce a portare sulla
superficie dell'arte i dati del profondo. L'elaborazione delle sue opere serve a produrre
un doppio risultato: nuovi processi di conoscenza del mondo che l'artista strada facendo
scopre ed affida successivamente alla contemplazione attiva del pubblico. In ogni caso
82
negli anni settanta l'io individuale si è fatto plurale con la congiunzione tra nome e
cognome, fino a che amplia ulteriormente il suo io, non più singolare, non più duale ma
plurale. A&B si presenta al mondo armato di progetti fecondi e creativi. L'io singolare
viene depotenziato a favore dell'io plurale. Tutta la sua opera è sistematicamente
mentale e manuale, è il portato di una grande capacità di astrazione che sposta lo
spettatore sempre in nuove dimensioni. In fondo A&B è un artista iconoclasta che non
ama l'immagine a tutto tondo. Preferisce un'iconografia che è frutto di un intreccio tra
astrazione e figurazione. Ma Per Bonito Oliva il suo più grande amore nascosto rimane
il disegno, frutto di una manualità che è tesa verso l'essenza del segno. Quando A&B
spinge verso le estremità del foglio, non significa che vuole uscire dal confine, ma
desidera assaggiare l'ebbrezza di toccare l'emozione dello sconfinamento e di
un'intenzione. Il segno è anche retrattile, pronto a tornare sulla propria rotta. A volte
rompe gli argini verso i quali si era incamminato. Preferisce vivere una in una
condizione di potenzialità germinante, non conosce arresti alla propria crescita. In
definitiva A&B ci ha lasciato un'opera che, attraverso le sue formali proposte di
bellezza, tende ad affermare la promessa della felicità, se è vero come dicevano
Baudelaire e Stendhal che la bellezza è una promessa di felicità. Se la sua morte ci
conferma che l'artista è un errore biologico rispetto all'opera d'arte, la sua opera resta tra
noi a ricordare che A&B con il suo desiderio creativo, ha voluto lasciarci le tracce di
uno struggente bisogno di durata. All'interno del catalogo è, inoltre, presente un
interessante dialogo tra l'artista e il filosofo Sergio Givone, raccolto durante un
seminario presso il Monastero di Sant'Orsola Benincasa di Napoli, nel 1991. Vi si trova
poi un'intervista a Francesco Clemente, che risale al 2000, da parte di Louise Neri,
attualmente direttrice della Gagosian Gallery di NewYork. Clemente, per aiutarsi ad
illustrare le idee di Boetti, utilizza a titolo di esempio diverse opere, tenendo molto al
dato psicanalitico del doppio, o dell'uomo moderno che, racchiuso all'interno della sua
mente, non riesce ad entrare in contatto con un qualcosa di diverso da sé stesso.
Nell'intervento di Giovan Battista Salerno132 si parla di quella che è considerata l'ultima
opera di Boetti, il tappeto Tutto, del quale Salerno ci racconta un aneddoto della sua
creazione. Un assistente di Boetti aveva il compito di cercare gli oggetti più svariati da
riprodurre sul tappeto. Era diventato così attento che per strada trovò anche due
132 Giovan Battista Salerno, Un tappeto per vecchi bambini, in Alighiero&Boetti Mettere all'arte il mondo, cat. Mostra,
op cit.
83
portafogli. La morale per il critico è che l'attenzione, nella vita come nell'arte, è
un'attitudine che ripaga in moneta d'oro. Fare attenzione è come ricordarsi quando si era
nell'età dell'oro, quando, come diceva Boetti, tutte le pietre erano preziose. E l'artista ha
fatto un tappeto per volare nel tempo, per tornare in un'età felice, quando nessun oggetto
apparteneva alla vita quotidiana, all'abitudine, alla smemoratezza. Boetti ci dice che la
bellezza del mondo magari si sarà racchiusa in uno sgabuzzino, ma non si è mai
perduta. Il tempo, come la casa, nasconde ma non ruba. E proprio del tempo millenario
è intessuto il tappeto, frutto di una tecnica antecedente al Diluvio. Ci sono moltissime
sagome, alcune riconoscibili, altre un po' meno, oltre a frasi dell'artista, alcune
commoventi come "inizia la rinascita, così sembrerebbe, da alcuni giorni e i risvegli
mattutini sono meno dolorosi quasi se non allegri", scritto quando era già molto malato
e stava ancora lavorando a questo progetto così lussuoso e pieno di maestria.
L'intervento della seconda moglie, Caterina Boetti133, è incentrato sulla collezione
Boetti, che racconta dell'Alighiero viaggiatore, il quale venne subito attratto, durante
uno dei suoi viaggi in Afghanistan, da questi sigilli. Di queste antiche pietre incise
apprezza la pregiata fattura e il fatto che avevano la funzione di collegare terre e culture
diverse, circolando per gran parte del Medio Oriente e dell'Asia Centrale. La collezione
comprende un insieme eterogeneo di oggetti, per origine, materiale, tipologia e
cronologia. Completano il catalogo una bella bibliografia di Pino Corrìas, una serie di
scritti, interviste e testimonianze dell'artista, oltre a un'ampia selezione per un'antologia
della critica, con interventi fino al 2001.
La più recente mostra di Boetti si è inaugurata nel mese di Agosto 2009 nell'Ex Chiesa
Anglicana di Alasso, in collaborazione con la Galleria Carlina di Torino, ed è stata
curata da Nicola Davide Angerame. Il curatore134 ammette di non aver mai conosciuto
Boetti, se non per interposta persona, attraverso le parole di chi coloro che lo hanno
incontrato e lo hanno raccontato. Per lui Boetti è un accumulo di parole, una quadratura
di lettere che fanno capo a un senso, a quelle "infinite possibilità di esistere" che l'artista
ha sempre voluto rincorrere nella sua vita e nella sua opera. Per Angerame approcciarsi
al lavoro di Boetti è un'avventura intellettuale affascinante, poiché l'artista gioca
d'azzardo sul tavolo dell'arte mettendo sul piatto idee che rilanciano costantemente la
133 Caterina Boetti, Il viaggio infinito di AlìGhiero E Boetti, in Alighiero&Boetti Mettere all'arte il mondo, cat.
Mostra, op cit.
134 Boetti (a cura di Nicola Davide Angerame), Ex Chiesa Anglicana di Alasso, 230 agosto 2009, cat. Mostra.
84
posta in gioco, finendo per tramutare la partita in una conquista le cui regole di partenza
sono rivolte contro se stesse, mostrando in tal modo l'impossibilità stessa del gioco.
Quest'anno è uscito anche un libro su Boetti, le Mappe di Luca Cerizza, edito da Electa.
Cerizza analizza le mappe e il lavoro di Boetti in generale, attraverso una fitta rete di
riferimenti che vanno dalla critica artistica e letterari, fino all'analisi storica e sociale.
La convergenza delle due strutture dell'Archivio Boetti e della Fondazione Boetti,
inoltre, sta per rendere possibile la pubblicazione del Catalogo Ragionato, da tempo
annunciato poi rinviato, redatto dall'Archivio sotto la direzione scientifica di una
prestigiosa figura scelta di comune accordo tra Archivio e Fondazione. L'uscita del
primo volume è prevista per la fine dell'anno 2009, iniziato di buon auspicio con la
celebrazione partenopea.
85
CONCLUSIONI PERSONALI
La decisione di seguire la linea del tempo cronologico è stata presa proprio per giocare
con l'artista. Volevo provare a sfidare le sue regole, scoprire se davvero è stato un
giocatore sublime, superiore a tutti. L'opera di Boetti è restia ad una catalogazione
filologica, ci scappa, ci sfugge proprio nel momento in cui stiamo per convincerci di
averla in pugno. Ripercorrere cronologicamente la storia della letteratura critica di un
artista la cui opera già all'inizio viene ritenuta sfuggevole, è un bluff. L'intero lavoro mi
è servito per giungere alla conclusione che più ci si affanna a mettere le cose in ordine,
più queste sembra che si divertano a porsi disordine. È come tentare di inscatolare
qualcosa di impalpabile, un po' come l'ombra di Peter Pan, sempre sfuggente, sempre
ironica e sorniona. Ed è proprio questo che più mi ha affascinato in Boetti, il non voler
mai sottostare alle regole prestabilite, al massimo inventarle; il voler rimettere
continuamente tutto in discussione; il contraddirsi mantenendo sempre un'ostentata
coerenza con l'unica certezza di base, che è quella della semplicità; il gioco sempre e
comunque, non prendersi mai troppo sul serio, non prendere mai nulla troppo sul serio,
ma senza rimanere sulla superficie, anzi con una curiosità che spinge a ricercare le
cause dei perchè primari delle cose più elementari, l'allegria insieme alla malinconia di
ricercare l'aspetto magico del quotidiano, le "felici coincidenze", quel qualcosa che ti fa
sorridere sempre, che ti fa trovare il lato positivo delle cose, nonostante tutto. Il prendere
da tutte le situazioni, anche le peggiori, il lato migliore, quello che ti porta a pensare che
anche la cosa più noiosa sia in realtà bellissima, che in qualche modo ti accresca.
L'ottimismo, meraviglioso, di una persona sempre sorridente e disponibile, entusiasta
della vita che, per uno strano scherzo del destino, l'ha portato a finire la sua esistenza
con ben 29 anni di anticipo rispetto alle sue, appunto sempre ottimistiche, previsioni.
86
ALIGHIERO BOETTI
Selezione di mostre
ANNI '60
• ALIGHIERO BOETTI, Christian Stein, Torino, dal 19 gennaio 1967 (personale)
• Alighiero Boetti, Galleria La Bertesca, Genova, dicembre 1967 (personale)
• Germano CelantAldo Passoni (a cura di), Museo Sperimentale d'Arte
Contemporanea, Galleria Civica d'Arte Moderna, Torino, dal 26 aprile 1967 (collettiva)
• Germano Celant (a cura di), Arte povera. Imspazio, Galleria La Bertesca, Genova, 27
settembre20 ottobre 1967 (collettiva)
• Daniela Palazzoli (a cura di), Con temp l’azione, Galleria Christian Stein, Galleria
Sperone, Galleria il Punto, Torino, dicembre 1967febbraio 1968/ Galleria Flaviana,
Lugano, dal 17 febbraio 1968 (collettiva)
• Alighiero Boetti, Christian Stein, Torino, febbraio 1968 (personale)
• Alighiero Boetti. Shaman Showman, Galleria De Nieubourg, Milano, 23 aprile12
maggio 1968 (personale)
• Germano Celant (a cura di), Arte Povera, Galleria de’ Foscherari, Bologna, 24
febbraio15 marzo 1968 (collettiva)
• Maurizio Calvesi (a cura di), Il Teatro delle Mostre, Galleria La Tartaruga, Roma, 631
maggio 1968 (collettiva)
• Germano CelantMarcello Rumma (a cura di), arte povera più azioni povere, Antichi
Arsenali della Repubblica, Amalfi, 46 ottobre 1968 (collettiva)
• ALIGHIERO BOETTI. UNA VETRATA IO PRENDO IL SOLE A TORINO IL 24
21969 RITRATTO DI WALTER DE MARIA, Galleria Sperone, Torino, 19 aprile2
maggio 1969 (personale)
• Harald Szeemann (a cura di), Live in your head. When Attitudes Become Form. Works
Concepts Processes Situations – Information, Kunsthalle, Bern, 22 marzo27 aprile
1969/ Musem Haus Lange, Krefeld, 9 maggio15 giugno 1969/ Institute of
Contemporary Arts, London, 28 agosto27 settembre 1969 (collettiva)
87
ANNI '70
88
• Achille Bonito Oliva (a cura di), Contemporanea, Parcheggio di Villa Borghese,
Roma, 30 novembre 197328 febbraio 1974 (collettiva)
• JeanChristophe Ammann (a cura di), ALIGHIERO E BOETTI, Kunstmuseum
Luzern, Luzern, 12 maggio16 giugno 1974 (personale)
• ALIGHIERO BOETTI. PER UNA STORIA NATURALE DELLA
MOLTIPLICAZIONE, Gian Enzo Sperone, Roma, dal 10 giugno 1975 (personale)
• XIII Bienal de São Paulo, Parque Ibirapuera, São Paulo, 17 ottobre15 dicembre 1975
(collettiva)
• “Insicuro Noncurante”, Studio Marconi, Milano, marzo 1976 (personale)
• JeanChristophe Ammann (a cura di), ALIGHIERO BOETTI, Kunsthalle Basel, Basel,
4 marzo2 aprile 1978 (personale)
• Alighiero e boetti, Mario Diacono, Bologna, dal 6 maggio 1978 (personale)
• Tommaso Trini (a cura di), ALIGHIERO E BOETTI. la festa dell’immaginario visivo,
Chiostro di Voltorre, Voltorre (Gavirate), 527 maggio 1979 (personale)
• Adelaide AuregliRenato BarilliDeanna FarnetiFranco Solmi (a cura di), ARS
COMBINATORIA omaggio a Fahlström, Galleria Comunale d’Arte Moderna, Bologna,
dal 1° giugno 1979 (personale)
ANNI '80
• ALIGHIERO E BOETTI, Salvatore Ala, New York, dal 23 febbraio 1980 (personale)
• ALIGHIERO E BOETTI, ART AGENCY CO., Tokyo, 27 giugno26 luglio 1980
(personale)
• ALIGHIERO E BOETTI. La natura, una faccenda ottusa, Galleria Minini, Brescia,19
dicembre 198030 gennaio 1981 (personale)
• Germano Celant (a cura di), Identité italienne. L’art en Italie depuis 1959, Centre
Georges Pompidou Musée National d’Art Moderne, Paris, 25 giugno7 settembre 1981
(collettiva)
• ALIGHIERO E BOETTI, Franco Toselli, Milano, dal 30 novembre 1982 (personale)
• Achille Bonito Oliva (a cura di), Avanguardia Transavanguardia, Mura Aureliane,
89
Roma, aprileluglio 1982 (collettiva)
• Alighiero e Boetti molo la jetée pier , Galleria Pieroni, Roma, dall’11 febbraio
1983 (personale)
• ALIGHIERO E BOETTI. I mille fiumi più lunghi del mondo, Franz Paludetto / LP
220, Torino, dal 16 marzo 1983
• Installazioni: Carla Accardi, Alighiero Boetti, Padiglione d'arte Contemporanea (PAC),
Milano, 22 aprile23 maggio 1983 (personale)
• Wulf Herzogenrath (a cura di), Eine KunstGeschichte in Turin 19651983/Una storia
d’arte a Torino 19651983, Kölnischer Kunstverein, Köln, 8 ottobre13 novembre 1983
(collettiva)
• ALIGHIERO E BOETTI. SOL LEWITT. GIULIO PAOLINI, Galleria Pieroni, Roma,
dicembre 1983febbraio 1984 (collettiva)
• Alberto Boatto (a cura di), Alighiero Boetti, Loggetta Lombardesca Pinacoteca
Comunale, Ravenna, 15 dicembre 198424 febbraio 1985 (personale)
• IL MODO ITALIANO, Los Angeles Institute of Contemporary Art, Los Angeles,
gennaio marzo, 1984. ALIGHIERO BOETTI (mostra personale), ART GALLERY
California State University, Northridge, 23 gennaio24 febbraio 1984 (personale)
• Germano Celant (a cura di), THE KNOT. ARTE POVERA AT P.S.1, P.S.1, New York,
ottobredicembre 1985 (collettiva)
• ALIGHIERO E BOETTI. INSICURO NONCURANTE, Nouveau Musée,
Villeurbanne, 7 febbraio20 aprile 1986/ Villa Arson, Nice, 30 aprile30 giugno 1986/
Stedelijk Van Abbemuseum, Eindhoven, 30 novembre 198611 gennaio 1987 (personale)
• ALIGHIERO E BOETTI, Lucio Amelio, Napoli, 27 febbraio20 aprile 1987
(personale)
• ALIGHIERO E BOETTI, Christian Stein, Milano, dal 25 marzo 1987 (personale)
• ALIGHIERO E BOETTI, ALESSANDRA BONOMO, Roma, 7 maggio30 giugno
1987 (personale)
• Alighiero E Boetti, John Weber Gallery, New York, 5 dicembre 19879 gennaio 1988
(personale)
• ALIGHIERO E BOETTI. PIOPERMARIEMONTI, MONTI Associazione Culturale,
Roma, dal 20 dicembre 1988 (personale)
90
• ALIGHIERO E BOETTI, Galleria Toselli, Milano, 8 giugno29 luglio 1989
(personale)
• JeanHubert Martin (a cura di), Magiciens de la terre, Centre Georges Pompidou, La
Grand HalleLa Villette, Paris, 18 maggio14 agosto 1989 (collettiva)
ANNI '90
91
bouche à oreille. En alternant de 1 a 100 et vice versa. oeuvre postale d’Alighiero E
Boetti, MAGASIN Centre National d’Art Contemporain de Grenoble, Grenoble, 28
novembre 199327 marzo 1994/ Musée de la Poste, Paris, 5 maggio18 giugno 1994
(personale)
• Germano CelantPaolo FossatiIda Giannelli (a cura di), UN’AVVENTURA
INTERNAZIONALE. TORINO E LE ARTI 19501970, Castello di Rivoli, Rivoli, 5
febbraio25 aprile 1993 (collettiva)
• Marianne Van Leeuw (a cura di), Origine et Destination ALIGHIERO E BOETTI,
Palais des BeauxArts, Bruxelles, 17 febbraio3 aprile 1994 (personale)
• Lynne CookeAndré Magnin (a cura di), Worlds Envisioned: Alighiero e Boetti and
Frédéric Bruly Bouabré, Dia Center for the Arts, New York, 6 ottobre 199425 giugno
1995/ American Center, Paris, 6 settembre 199528 gennaio 1996 (collettiva)
• Rolf Lauter (a cura di), Zeitgenössische Kunst aus Frankfurter Banken, MMK
Museum für Moderne Kunst, Frankfurt am Main, 10 ottobre20 novembre 1994
(collettiva)
• Jean Christophe AmmannMaria Teresa RobertoAnneMarie Sauzeau (a cura di),
ALIGHIERO BOETTI 19651994, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea,
Torino, 10 maggio1° settembre 1996/ Musée d’Art Moderne, Villeneuve d’Ascq, 28
settembre 199612 gennaio 1997/ Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwi, Wien, 31
gennaio31 marzo1997 (pesonale)
• Sandra PintoMariastella MargozziAnna MattiroloMassimo Mininni (a cura di),
ALIGHIERO E BOETTI. L’opera ultima, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 16
dicembre 199627 aprile 1997
• Origin and destination. Alighiero e Boetti – Douglas Huebler, Palais des BeauxArts,
Bruxelles, 1996.
• Rolf Lauter (a cura di), Alighiero Boetti. Mettere al mondo il mondo, MMK Museum
für Moderne Kunst, Frankfurt am Main, 30 gennaio10 maggio 1998/ Jahrhunderthalle
Hoechst, 1 marzo19 aprile 1998 (personale)
• Judith NesbittAntonella Soldaini (a cura di), Alighiero e Boetti, Whitechapel Art
Gallery, London, 15 settembre7 novembre 1999 (personale)
92
ULTIMO DECENNIO
• Alighiero Boetti. Works on Paper, 19671989, Barbara Gladstone Gallery, New York,
23 febbraio8 aprile 2000 (personale)
• Carolyn ChristovBakargiev (a cura di), Around 1984: A Look at Art in the Eighties,
P.S.1Contemporary Art Center, New York, 21 maggio30 settembre 2000 (collettiva)
• Maurizio Calvesi Paul Ginsborg (a cura di), Novecento. Arte e Storia in Italia,
Scuderie Papali al Quirinale, Mercati di Traiano, Roma, 30 dicembre 20001 aprile 2001
(collettiva)
• ALIGHIERO E BOETTI, Gagosian Gallery, New York, 10 febbraio31 marzo 2001
(personale)
• Paola Morsiani (a cura di), When 1 is 2: the art of Alighiero e Boetti, Contemporary
Arts Museum, Houston 22 giugno6 ottobre 2002 (personale)
• Annemarie Sauzeau (a cura di), Alighiero e Boetti. Ordre et désordre du monde ouvres
19671990, Frac Bourgogne, Dijon, 21 giugno 27 settembre 2003 (personale)
• Giacinto Di PietrantonioCorrado Levi (a cura di), Alighiero Boetti. Quasi tutto,
Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Bergamo, 6 aprile 18 luglio / Fundación
Proa, Buenos Aires, 18 settembre 21 novembre 2004 (personale)
• Alighiero e Boetti, Barbara Gladstone Gallery, New York, 28 febbraio27 marzo 2004
(personale)
• Maura PicciauGiorgio Maffei (a cura di), AlighieroBoetti. Tuttolibro, Galleria
Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 23 giugno26 settembre 2004/ M.A.R.T.Museo
d’Arte Moderna e Contempranea di Trento e Rovereto, Rovereto, dal 25 febbraio 2005
(personale)
• Giovan Battista Salerno, Rinaldo Rossi, Andrea Marescalchi (a cura di), Alighiero e
Boetti, Studio Gian Galeazzo Visconti, Milano, 8 marzo31 maggio 2006 (personale)
• Achille Bonito Oliva (a cura di), Alighiero&Boetti, Mettere all'arte il mondo, Museo
d'Arte Donna Regina, Napoli, dal 21 febbraio all'11 maggio 2009 (personale)
• Nicola Davide Angerame (a cura di), Boetti, Ex Chiesa Anglicana di Alasso, dal 2 al
30 agosto 2009.
93
OPERE NEL TESTO
1. Lampada annuale (1966)
2. Ping Pong (1966)
3. Mimetico (1966)
4. Zig – Zag (1966)
5. Scala (1966)
6. Sedia (1966)
7. Mazzo (1966)
8. Catasta (1966)
9. Rotolo (1966)
10. Stiff Upper Lip (1966)
11. I vedenti (1967)
12. Pavimento (1967)
13. Manifesto (1967)
14. Gemelli (1968)
15. Per un uomo alienato...(1968)
16. Colonne (1968)
17. Shaman/Showman (1968)
18. Niente da vedere niente da nascondere (1969)
19. Io che prendo il sole a Torino il 24/02/'69 (1969)
20. Cimento dell'armonia e dell'invenzione (1969)
21. Pack (1969)
22. Autoritratto xerox (1969)
23. Dossier postale (196970)
24. Due mani una matita (1970)
25. Scrivere con la sinistra è disegnare (1970)
26. Oggi è venerdì 27 marzo 1970 (1970)
27. Classifyng the Thousand Longest River in the World (197075)
28. Serie di merli disposti ad intervalli regolari lungo gli spalti di una muraglia (19711993)
29. Ordine/Disordine (1973)
30. Mettere al mondo il mondo (1973)
94
31. Senza titolo (Lavoro postale) (1974)
32. Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo (1975)
33. Storie naturali della moltiplicazione (1975)
34. Perdita d'identità (1976)
35. Collo rotto braccia lunghe (1976)
36. Regno animale (1977)
37. Gary Gilmore (1977)
38. Alternando da uno a cento e viceversa (1977)
39. Regno musicale (1978)
40. Afghanistan (1979)
41. Mappa (1989)
42. Scrivere con la sinistra è disegnare (1979)
43. Clessidra cerniera e viceversa (1981)
44. Vento (1985)
45. Tra sé e sé (1987)
46. Tutto (1988)
47. Bugs Bunny (1992)
48. Alternando da uno a cento e viceversa (1993)
49. De bouche à oreille (1993)
50. Mi fuma il cervello (Autoritratto) (1993)
95
BIBLIOGRAFIA
LIBRI SULL'ARTISTA
• Sandro Lombardi (a cura di), Alighiero Boetti. Dall'oggi al domani, testi del curatore e
dell'artista, 500 copie di cui 100 con una serigrafia, Edizioni L'Obliquo, Brescia, 1988.
• Martina De Luca, in collaborazione con Massimo Mininni, (a cura di) Alighiero e
Boetti, Edizioni Essegi, Ravenna 1990.
• Annemarie Sauzeau, Alighiero e Boetti 'Shaman/Showman', Umberto Allemandi & C.,
Torino 2001.
• Annemarie Sauzeau, Shaman showman. Alighiero e Boetti, con inteventi di Jonathan
Monk e Maurizio Cattelan e un DVD del film di Emidio Greco, Niente da vedere niente
da nascondere, colore, 60', Luca Sossella editore, Roma 2006.
• Luca Cerizza, "Alighiero e Boetti. Mappa", One work series, edizione Afterall Books,
London 2008
• Luca Cerizza, Le mappe di Alighiero Boetti, Edizioni Electa, Milano, 2009
LIBRI D'ARTISTA
• Alighiero Boetti, AnneMarie Sauzeau, Classifying the thousand longest rivers in the
world, 19701977, libro a stampa, edizione in 500 esemplari firmati e numerati, cm 21,5
x 16,5 x 5,5 cad., pp. 1018. Tipografia Sergio D'Auria, Ascoli Piceno 1977.
96
Progettazione grafica Rinaldo Rossi. Emme Edizioni, Milano 1980
• Alighiero Boetti, Randi Malkin, Accanto al Pantheon, libro a stampa in 2000 copie di
cui 100 numerate e dedicate "ad personam" con un testo di Boetti; testi di AA.VV.,
fotografie di Randi Malkin, Prearo Editore, Milano 1991.
CATALOGHI
• Alighiero Boetti (catalogo), Galleria La Bertesca, Genova, dal 10 dicembre 1967, (testi
di) Germano Celant (pp. 913), Henry Martin (pp. 1520), Tommaso Trini (pp. 2125),
Ed. Masnata, Genova, 1967
• ALIGHIERO E BOETTI LA FESTA DELL’IMMAGINARIO VISIVO L’ART VENTURA
(brochure), Seminari di Gavirate, Chiostro di Voltorre, Gavirate, 527 maggio 1979,
(testi di) Alighiero Boetti (pp. 36), Tommaso Trini (pp. 715)
• ALIGHIERO E BOETTI (catalogo), P.A.C. Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano,
22 aprile23 maggio 1983, (testi di) Alberto Boatto, Giovan Battista Salerno, Ed PAC,
Milano, 1983
• Una storia d'arte a Torino 19651983 : Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti ... :
Kolnischer", Kunstverein, 8 ottobre13 novembre 1983, con una introduzione di
Germano Celant e profili degli artisti di Marlis Gruterich, a cura di Wulf Herzogenrath.
Torino, 1983, (catalogo della mostra tenuta a Colonia).
97
• Alberto Boatto (a cura di), BOETTI ALIGHIERO, collana “ARTISTI
CONTEMPONAEI”, (a cura di) Giulio Guberti, Essegi Editrice, Ravenna, dicembre
1985 (volume pubblicato in occasione della mostra Alighiero Boetti, Loggetta
Lombardesca Pinacoteca Comunale, Ravenna, 15 dicembre 1984 24 febbraio 1985)
• ALIGHIERO E BOETTI tra sé e sé, “NAPOLI E DINTORNI” – Informatore d’Arte”,
n. 6, febbraio 1987 (edito in occasione della mostra ALIGHIERO E BOETTI, Lucio
Amelio, Napoli, 27 febbraio20 aprile 1987
• Alberto Boatto (a cura di), Guido Nati (materiali e apparato biobibliografico a cura
di), "Alighiero & Boetti", Essegi edizioni, Ravenna, 1984.
• ALIGHIERO E BOETTI opere dal 1967 al 1991 (catalogo), Galleria Giulia, Roma 10
gennaio12 febbraio 1992
98
(pp. 3343), Anna Mattirolo (pp. 4556)
• Marianne Van LeeuwAnne Pontégnie (a cura di), Origine et Destination ALIGHIERO
E BOETTI DOUGLAS HUEBLER, pubblicazione relativa alla mostra personale
ALIGHIERO BOETTI, Palais des BeauxArts, Bruxelles, 18 febbraio3 aprile 1994,
Edizioni della Societé des Expositions du Palais des BeauxArts, Bruxelles, 1997
• Rolf Lauter (a cura di), IL TESORO NASCOSTO ALIGHIERO BOETTI METTERE AL
MONDO IL MONDO (catalogo), MMK Museum für Moderne Kunst; Jahrhunderthalle
Hoechst, Frankfurt am Main, 30 gennaio10 maggio 1998
• Maura PicciauGiorgio Maffei (a cura di), ALIGHIEROBOETTI Tuttolibro (catalogo),
Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 23 giugno26 settembre 2004/ M.A.R.T.
Museo d’Arte Moderna e Contempranea di Trento e Rovereto, Rovereto, dal 25 febbraio
2005
• Giovan Battista Salerno, Rinaldo Rossi, Andrea Marescalchi (a cura di), Alighiero e
Boetti (catalogo mostra), Studio Gian Galeazzo Visconti, Milano, 8 marzo31 maggio
2006
99
ARTICOLI E SAGGI SULL'ARTISTA IN PERIODICI E LIBRI
• Tommaso Trini, Boetti o la ricostruzione non costruita, in "Domus", n. 457, Milano
gennaio 1967.
• Tommaso Trini, Alighiero Boetti, in "Bit", n. 1, Milano, marzo 1967
• Tommaso Trini, Blocchi che sbloccano, testo per il catalogo galleria la Bertasca, op.
cit., pp.2125.
• Tommaso Trini, Abeeghiiioortt, in "Data" n.4, maggio 1972.
• Tommaso Trini, Come non deragliare parlando di Boetti, in "Critica in atto", Incontri
Internazionali, Roma, 19721973
• Achille Bonito Oliva, La creazione dell'oggetto, in "Il Giorno", Roma, 13 luglio 1975.
• Achelle Bonito Oliva, Dialogo con Alighiero Boetti, Milano, 1973, in "Dialoghi
d'artista", ed. Electa, Milano, 1984.
• Tommaso Trini, 1970/1973, I primi mille fiumi più lunghi del mondo, in "Data", anno
IV, n. 11 primavera 1974
• Maurizio Fagiolo Dell'Arco, Boetti: il principio di non averne, in "Il Messaggero",
Roma, 22 giugno 1975
• Achille Bonito Oliva, Tecnica ed intensità dello sbaglio, testo nel catalogo della
Kunsthalle di Basilea del 1978, Roma,1977.
100
• Paolo Boccacci, I mille fiumi più lunghi, in "Paese sera", Roma, 1 luglio 1978
• Giovan Battista Salerno, L'artista e l'assassino, testo nel catalogo della Kunsthalle di
Basilea
• Giuliano Briganti, Semplici gesti in fondo a un labirinto, in "La Repubblica", Roma, 9
aprile 1978
• Mario Diacono, Il segno del disegno: l'autenticità della copia nel messaggio del
medium, testo per la mostra alla Galleria Diacono, Roma, 6 maggio 1978
• Giovan Battista Salerno, L'arte è un cruciverba a schema libero, in "Il Manifesto",
Roma, 20 maggio 1979
• Renato Barilli, Ecco un uomo in due pittori, in "L'Espresso", Roma, 27 maggio 1979
• Giovan Battista Salerno, Silenzio/rumore; il rovescio di un quadro, in "Il Manifesto",
Roma, 12 settembre 1982.
• Bruno Corà, Alighiero e Boetti. Un disegno del pensiero che va, dialogo con Bruno
Corà, "A.E.I.U.O.", Editrice Inonia, Roma, n. 6, dicembre, 1982, pp. 3449.
• Sergio Guarini, Si può fare arte con tutto, in "L'Avanti", Roma, 3 marzo 1983.
• AA.VV., Fiumi moli senza titolo, in "Artforum", giugno 1983
101
• Giovan Battista Salerno, Un testo per un mosaici, ed ciclostilata alla California State
University, Northridge, marzo 1984
• Achille Bonito Oliva, Alighiero & Boetti. Due gemelli, un solo artista, "Max",
Edizioni Rizzoli, Milano, novembre, 1985, pp. 4650.
• Bruno Corà, ALIGHIERO BOETTI. L'arte delle felici coincidenze, "Vogue Italia",
Edizioni Condé Nast, Milano, n. 13, marzo 1986, pp. 482487.
• Giovan Battista Salerno, Alighiero e Boetti energie in rosso, in "Paese Sera",10 giugno
1987
• Mariuccia Casadio, Stravagare arte come viaggio Alighiero e Boetti 196989, "Vogue
Italia", Edizioni Condé Nast, Milano, n. 473, novembre, 1989, pp. 248253, p. 271
• JeanPierre Bordaz, Logica e infrazione nell'opera di Alighiero e Boetti, in "Parkatt",
n. 24, Zurigo, giugno 1990
• Enrico Gallian, I territori di Boetti, in "L'Unità", 12 gennaio 1992
• Massimo Carboni, Boetti e il movimento, in "Il piacere dell'occhio", 30 gennaio 1992
• Daniela Bigi, Dalla ripetizione all'invenzione – Alighiero Boetti, in "Rivista di arte e
crtitica", giugno 1994.
102
• Alberto Fiz, Il futuro è di Boetti, ne "Il manifesto", 6 maggio 1996
• Renato Barilli, Dipingere. A colpi di dadi, in "Il corriere della sera", 25 maggio 1996
• Walter Guadagnini, Quando la geografia diventa un'arte, in "Repubblica", 6 maggio
1996
• Ester Coen, Alighiero lo sciamano, in "Repubblica", 24 dicembre 1996
• Irene Amore, Alighiero Boetti: the maverick spirit of Arte Povera, in Bollettino
telematico dell'arte n. 206, 11 luglio 2000.
• Maurizio Cattelan, Infiniti Noi, "Flash Art", Giancarlo Politi Editore, Milano, anno
XXXIV, n. 230, ottobrenovembre 2001, pp. 9496.
• Achille Bonito Oliva intervistato da Chiara Pasqualetti, Vi presento Boetti, in
Amadeus, 2 febbraio 2009, pagg 9298.
• Alessandra Troncone, Nauman/Boetti, Flash Art n. 276, giugnoluglio 2009
SITOGRAFIA
www.archivioalighieroboetti.it
www.fondazioneboetti.it
www.boettiealighiero.virtuale.org
www.wikipedia.org/wiki/Alighiero_Boetti
www.undo.net/Pressrelease/pdf/focus24.PDF
103
www.docomomo.uniroma2.it/PLASTI/OPEN/DanLan.html
www.museomadre.it
www.lucasossellaeditore.it
www.wikipedia.it
104