Sei sulla pagina 1di 7

Br ani d a L a m i a vit a , d i M ar c Ch ag a l l (e d .

SE , 1998)
(p p . 44 - 47)
Avete visto il nostro fiume, la Dvina, nei giorni di festa dautunno?
Le cabine sono smontate. Non si fanno pi i bagni. Fa freddo.
Lungo le rive gli ebrei scrollano nellacqua i loro peccati. Nellombra,
un canotto galleggia. Si ode il rumore dei remi.
Nellacqua profonda, a testa rovesciata, fluttua lieve limmagine riflessa
di mio padre.
Anche lui si scuote dai panni il pulviscolo dei peccati.
Per queste feste mi svegliavano alluna o alle due del mattino e io
correvo a cantare alla sinagoga. Perch corro cos nella notte buia? Starei molto
meglio nel mio letto.
Nelloscurit tutta una folla si precipitava verso la sinagoga, scuotendosi
di dosso il sonno.
Non torneranno a coricarsi se non dopo aver finito la preghiera.
Il t mattutino con i dolci dal colore e dalla forma duna reliquia
orientale, i vassoi del festino, tutti ben allineati e attraverso i quali volavano
brevi preghiere, prima che si potesse assaggiarli.
I piatti del giorno del Perdono, la veglia, la sera.
Una sera di pollastri, di brodo.
Lunghe candele brillano lontane.
Tra poco le porteranno alla sinagoga.
Sono gi per la via, quelle candele bianche, ben tagliate, mentre si prega
e simplora.
Sono loro che brillano per i morti, per mia madre, mio padre, i miei
fratelli, mio nonno, per tutti coloro che riposano sottoterra.
Centinaia di candele bruciano nelle casse riempite di terra, come giacinti
fiammeggianti.
Ingrandiscono e fiammeggiano.
Volti, barbe, chiazze bianche si tengono stretti, in piedi, seduti o curvi.
Mio padre, prima di recarsi al tempio, curvo e trafelato, cerca per mia
madre i libri di preghiera e, rivolto a lei, le segna le pagine facendoci le
orecchie.
Allora, da qui fin l.
Seduto davanti alla tavola, sottolinea le pagine scelte con la matita, con
le unghie.
In un angolo, scrive: Comincia da qui.
Accanto ad un passaggio emozionante, segna: Piangi. E pi avanti:
Ascolta il cantore.
E la mamma andava al tempio sicura che non avrebbe versato lacrime
invano, ma soltanto l dove bisognava.
Alla peggio - se smarriva il filo della preghiera - guardava in gi, dal balcone
dove stavano le donne.
Quando il segno Piangi si avvicinava, lei, come tutte le altre, cominciava a
versare lacrime divine. Le guance delle donne si arrossavano e piccoli diamanti
liquidi colavano goccia a goccia, scivolando sulle pagine.
Pap tutto vestito di bianco.
Una volta allanno, il giorno del Grande Perdono, pap mi sembrava il
profeta Elia.
La sua faccia un po pi gialla del solito: rosa-mattone, dopo le lacrime.
Piangeva senza ritegno, silenziosamente e l dove conveniva.
Nessun gesto eccessivo.
A volte lanciava un grido: Ah, ah! voltandosi verso i vicini, a chieder loro
di serbare il silenzio durante la preghiera, o per domandare una presa di
tabacco.
Io scappavo dalla sinagoga e correvo verso la cinta del giardino. Non appena
montato lass, coglievo una gran mela verde.

La mordevo, in quel giorno di digiuno.


Solo il cielo azzurro mi guardava e, da quel peccatore che ero, assorbivo
attraverso i denti tremanti il succo e il cuore della mela.
Non ero capace di digiunare fino allultimo e la sera, quando mamma
chiedeva:
Hai digiunato? rispondevo, come un condannato: S.
Non ho parole per esprimere le ore della preghiera serale.
A quellora il tempio mi pareva totalmente popolato di santi.
Lentamente, gravemente, gli ebrei spiegano i loro veli sacri, pieni delle
lacrime di tutta la giornata di preghiere.
Le loro vesti si spiegano come ventagli.
Il rumore delle loro voci penetra nellarca, i cui sportelli vengono ora
scoperti ora celati.
Soffoco. Resto immobile.
Giorno infinito! Prendimi, fammi pi vicino a te. D una parola, spiega!
Ecco, per tutto il giorno odo Amen! Amen! e li vedo tutti inginocchiati.
Se Tu esisti, rendimi azzurro, focoso, lunare, nascondimi nellaltare con la
Torah, fa qualcosa, Dio, in nome di noi, di me.
Il nostro spirito evapora e da sotto i vetri colorati si levano braccia.
Fuori, i rami secchi degli alti pioppi oscillano quietamente.
In pieno giorno, nuvolette vagano, si disperdono, si fondono.
Presto la luna, la mezzaluna, apparir.
Le candele sono agli sgoccioli e le fiammelle brillano nellaria innocente.
A tratti la candela sale verso la luna, a tratti la luna scende volando verso le
nostre braccia.
Perfino la strada prega. Le case piangono.
Il cielo passa da ogni parte.
Le stelle saccendono e laria fresca entra nella bocca aperta.
Cos facciamo ritorno a casa.
Quale sera pi chiara, quale notte pi trasparente di questa?
Pap si corica stanco, affamato.
I suoi peccati sono tutti perdonati, e cos quelli di mamma.
Solo io, forse, resto ancora un po peccatore.

(pp. 61 - 66)
Un bel giorno
(ma tutti i giorni sono belli), mentre mia madre stava mettendo il pane in
forno, mi avvicinai a lei che teneva la paletta e afferrandola per il gomito
infarinato le dissi:
Mamma... vorrei fare il pittore.
finita, non posso pi fare il commesso n il contabile. Basta. Non ho sentito
invano che qualcosa stava per accadere.
Lo vedi tu stessa, mamma, sono forse un uomo come gli altri?
Cosa so fare?
Vorrei essere pittore. Salvami, mamma. Vieni con me. Andiamo, andiamo!
C un posto in citt; se mi accettano e se concludo i corsi, sar un artista fatto e
finito. Sarei cos felice!.
Cosa? Un pittore? Sei pazzo, tu. Lasciami mettere il pane in forno: non mi
seccare. Ho il pane da fare.
Mamma, non ne posso pi. Andiamo!.
Lasciami in pace.
Alla fine deciso. Andremo dal signor Pen. E se lui riconosce che ho del
talento, allora ci si penser. Ma in caso contrario...
(Sar pittore lo stesso, pensavo tra me, ma per conto mio).
chiaro, il mio destino nelle mani del signor Pen, perlomeno agli occhi di
mia madre, la regina della casa.

Mio padre mi diede i cinque rubli, il costo mensile delle lezioni, ma li fece
ruzzolare in cortile, e l dovetti correre a raccoglierli.
Avevo scoperto Pen nel momento in cui, sulla piattaforma del tramway che
correva in discesa verso piazza del Duomo, ero rimasto colpito da una
iscrizione bianca su fondo blu: Scuola di pittura di Pen.
Ah, pensai che citt intelligente la nostra Vitebsk!.
Decisi immediatamente di fare la conoscenza del maestro.
In fondo, quellinsegna non era che una grande targa blu, in latta, del tutto
simile a quelle che si vedono dappertutto sulla porta dei negozi.
In effetti, nella nostra citt, le piccole carte da visita, le piccole targhe alle
porte non avevano alcun senso.
Nessuno vi prestava attenzione.
PANETTERIA E PASTICCERIA GUREVIC
TABACCHI, OGNI SPECIE DI TABACCHI
FRUTTERIA E DROGHERIA
SARTORIA DARSOVIA
LE MODE DI PARIGI
SCUOLA DI PITTURA E DI DISEGNO DEL PITTORE PEN...

Tutto questo il commercio.


Ma lultima insegna mi parve di un altro mondo.
Il suo colore blu come quello del cielo.
E trema al sole e sotto la pioggia.
Dopo aver arrotolato i miei disegni laceri, tremante, emozionato, mi
incammino verso lo studio di Pen, assieme a mia madre.
Gi salendo le scale ero inebriato, esaltato dallodore dei colori e dei quadri.
Ritratti da tutte le parti. La moglie del governatore della citt. Il governatore
stesso. Il signor L... e la signora L..., il barone K... con la baronessa e molti altri.
Li conoscevo?
Studio pieno zeppo di quadri, dal pavimento fino al soffitto. Anche
sullimpiantito sono ammucchiate pile di carta e di rotoli. Solo il soffitto resta
libero.
Sul soffitto, le ragnatele e la libert assoluta.
Ovunque teste greche in gesso, braccia, gambe, ornamenti, oggetti bianchi, e
sono tutti coperti di polvere.
Sento istintivamente che la via di questo artista non la mia. Non so quale.
Non ho il tempo di pensarci.
La vivacit dei volti mi sorprende.
possibile?
Salendo le scale, tocco i nasi, le guance.
Il maestro non in casa. Non dir nulla delle espressioni e dei sentimenti di
mia madre, che si trovava nello studio di un artista per la prima volta.
Gettava occhiate in tutti gli angoli, lanciava ripetuti sguardi verso le tele.
Bruscamente si gira verso di me e, quasi supplicando, ma con voce netta e
chiara, mi dice:
Figlio mio, allora... Lo vedi bene: non potrai mai fare altrettanto. Torniamo
a casa.
Aspettiamo, mamma!.
Dentro di me, ho gi deciso che non dipinger mai cos. Bisogna forse?
unaltra cosa. Ma cosa? Non lo so.
Aspettiamo il maestro. Deve decidere la mia sorte.
Dio mio! E se di cattivo umore, taglier corto: roba che non vale
niente.
(Tutto possibile - preparati, con mamma, o senza di lei!)
Non c nessuno nello studio. Ma nellaltra stanza qualcuno si muove. Un
allievo di Pen, senza dubbio.
Entriamo. Ci nota appena.
Buongiorno.
Buongiorno, se volete.

A cavalcioni su una sedia, fa un disegno. Mi piace.


Mia madre gli pone subito una domanda:
Ditemi, vi prego, signor S..., che cos questaffare, la pittura, niente male,
vero?.
Eh! che vuole... N bottega , n mercanzia....
Non ci si poteva aspettare una risposta meno cinica e meno volgare, ovvio.
Essa fu sufficiente per confermare a mia madre che aveva ragione e per
versare dentro di me, ragazzotto balbuziente, qualche goccia di amarezza.
Ma ecco il caro maestro.
Mancherei di talento se non riuscissi a descriverlo.
Che sia piccolo, non fa niente. La sua figura cos pi intima.
Le punte della giacchetta pendono ad angolo verso le gambe.
Volteggiano a destra, a sinistra, in alto, in basso, e, con lo stesso ritmo, la
catena dellorologio tien loro dietro.
La sua barbetta bionda, appuntita e mobile, traduce ora la malinconia, ora
un complimento, un buongiorno.
Noi ci facciamo innanzi. Lui saluta distrattamente.
(Con deferenza si salutano soltanto il governatore della citt e i ricconi)
Desiderate?.
Ecco, non so, io... lui vuol diventare pittore... pazzo, certo! Guardate, per
piacere, i suoi disegni... Se ha del talento, forse potr valere la pena di prendere
delle lezioni, altrimenti... Torniamo a casa, figlio mio.
Pen non strizzava affatto locchio! (Cattivo, pensai, strizzami locchio!)
Sfoglia macchinalmente le mie copie di Niva e borbotta:
S... ha disposizione....
Ah! tu... pensai fra me a mia volta.
Certo, mia madre non capiva molto di pi.
Ma a me quello era bastato.
Cos ricevetti da mio padre alcune monete da cinque rubli e mistruii nel
corso di soli due mesi, nella scuola di Pen, a Vitebsk.
Che cosa vi facevo? Non lo so.
Un gesso era appeso di fronte a me. Bisognava disegnarlo insieme agli altri.
Mi mettevo alacremente al lavoro.
Premevo la matita davanti agli occhi, misuravo, misuravo.
Mai giusto.
Il naso di Voltaire tende sempre verso il basso.
Pen si avvicina.
Vendevano dei colori nella bottega accanto. Avevo una cassetta dove i tubetti
rotolavano qua e l come cadaveri di bimbi.
Niente soldi. Andavo a fare i disegni allaltro capo della citt. Pi
mallontanavo, pi avevo paura.
Nel terrore di aver varcato la frontiera e di trovarmi in prossimit dei
campi militari, i miei colori tendevano al blu, la mia pittura inacidiva.
Dove sono quei disegni su grosse tele che stavano appesi sopra il letto di
mamma: portatori dacqua, casette, lanterne, processioni sulle colline?
Sembra che, trattandosi di tele rozze, le abbiano distese in terra a guisa di
tappeti.
buffo!
Bisogna asciugarsi i piedi. In casa hanno appena lavato i pavimenti.
Le mie sorelle pensano che i quadri siano fatti apposta per questo, soprattutto
quando sono dipinti su grosse tele.
Io ho sospirato e sono stato sul punto di strozzarmi.
In lacrime ho raccolto le mie tele e le ho appese di nuovo alla porta, ma alla
fine sono state portate nel granaio dove, coprendosi a poco a poco di terra, sono
sprofondate quietamente per sempre.
Nello studio di Pen solo io dipingevo col colore viola. Come mai?
Da che mi viene?

La cosa apparve di una tale audacia che, in seguito, ho frequentato la scuola


gratuitamente finch essa non fu pi per me, secondo lespressione di S..., n
bottega n mercanzia. I dintorni di Vitebsk. Pen.
La terra dove dormono i miei genitori - tutto quel che mi resta di caro oggi.
Amo Pen. Rivedo la sua figura tremolante.
Vive nella mia memoria come mio padre.
Spesso, quando penso alle strade deserte della mia citt, lo vedo ora qui, ora
l.
Pi duna volta, dinanzi alla sua porta, alla soglia di casa sua, avrei voluto
supplicarlo.
Non ho bisogno di gloria, ma dessere soltanto un artigiano silenzioso come
voi; come i vostri quadri, anchio vorrei essere appeso nella vostra strada,
accanto a voi, a casa vostra. Permettete!

(pp. 72 - 73)
lo stesso, pensai con o senza denaro, partir ugualmente.
Possibile che da qualche parte non mi diano neppure una tazza di t?
Possibile che non trovi da qualche parte nemmeno un pezzo di pane, su una
panchina o su un paracarro?
Capita, a volte, di lasciare un pezzo di pane, avvolto nella carta.
Lessenziale larte, la pittura, una pittura diversa da quella che fanno tutti.
Ma quale? Dio, o non so chi altro, mi dar la forza di soffiare nelle mie tele il
mio respiro, il respiro della preghiera e della tristezza, la preghiera della
salvezza, della rinascita?.
Ora ricordo che neppure un giorno, neppure unora passavano senza che mi
ripetessi: Sono ancora un ragazzino.
No. Lo spavento mi afferrava, come far a sfamarmi, visto che non sono
buono a nulla, salvo, forse, a disegnare?
Neppure il commesso, come mio padre, sarei stato in grado di fare, perch
per sollevare, come occorreva, grossi barili, mi mancava la forza fisica.
Ero contento, in fondo, che non mi restasse altro che divenire artista. Era un
buon pretesto per non essere costretto a guadagnarmi la vita. E certamente,
pensavo, quando sar artista diverr un uomo.
Ma per poter vivere a Pietroburgo non occorre soltanto del denaro, ma
anche unautorizzazione speciale.
Io sono ebreo. Ora, lo zar ha fissato una determinata zona di residenza da
cui gli ebrei non hanno il diritto di uscire.
Mio padre ha ottenuto da un commerciante un certificato provvisorio, come
se avessi lincarico di andare a sdoganare per lui certa mercanzia.
Sono partito (nel 1907) verso una vita nuova, in una citt nuova.

(pp. 100 - 101)


Tutti sono a casa. A Pietrogrado, siede la Duma di Stato. Il giornale Retz.
Latmosfera carica.
E io dipingo i miei quadri. Mamma dirige la mia pittura. Ritiene, per
esempio, che nel quadro Nascita bisognerebbe fasciare il ventre della puerpera.
Soddisfo immediatamente il suo desiderio.
Era giusto: il corpo si anima.
Bella mi porta dei fiori azzurri misti a verzura. tutta vestita di bianco, con i
guanti neri. Le faccio il ritratto.
Dopo aver controllato il polso di tutti i miei parenti dipingo Il matrimonio.
Ma avevo limpressione che se restavo ancora a Vitebsk mi sarei coperto di
peli e di muschio.

Vagavo nelle strade, cercavo e pregavo:


Dio, tu che ti celi nelle nuvole, o dietro la casa del calzolaio, fa che la mia
anima, anima dolorosa di ragazzo balbuziente, si riveli, mostri la strada. Non
vorrei essere uguale a tutti gli altri; voglio vedere un mondo nuovo.
In risposta, la citt pare spaccarsi, come le corde di un violino, e tutti gli
abitanti si mettono a camminare al di sopra della terra, abbandonando i loro
posti abituali. I personaggi familiari si installano sui tetti e l si riposano.
Tutti i colori si rovesciano, si trasformano in vino che zampilla dalle mie tele.
Sto molto bene con voi tutti. Ma... avete sentito parlare delle tradizioni, di
Aix, del pittore che si tagli lorecchio, di cubi, di quadrati, di Parigi?
Vitebsk, ti abbandono.
Restate soli con le vostre aringhe!

(pp. 113 - 115)


A quellepoca erano rare le mostre personali; Matisse, e Bonnard erano quasi
i soli a farne. Era unidea che non ci passava neanche per la testa.
Frequentavo gli studi e le accademie di Montparnasse e, al tempo stesso, mi
preparavo ardentemente per i Saloni.
Ma come trasportare attraverso la Ruche e tutta Parigi le mie tele cos
vistose?
Un bravo emigrato si incaric di tutto, anche perch cera da divertirsi.
Lungo la strada, il mio carretto a mano incontr quelli degli altri che
portavano i loro quadri al Salone.
Tutti erano diretti verso le baracche di legno presso place de lAlma.
l che in poco tempo avrei scoperto quel che mi distingue dalla pittura
francese tradizionale.
Finalmente i quadri sono appesi. Tra unora il vernissage. Ma il censore si
avvicina alle mie tele e d ordine di toglierne una: Lasino e la donna.
Il mio compagno ed io cerchiamo di persuaderlo:
Ma, signore, non v nulla di quel che pensate, nessuna pornografia.
Tutto sistemato. Il quadro viene riappeso.
La moglie di un dottore da cui mi recavo talvolta per distrarmi e consolarmi,
mi disse, poich mi lagnavo desser perseguitato perfino al Salone:
S? Ebbene, meglio cos, ci che meritate; cercate dunque di non fare
quadri di quel genere!.
Non avevo che ventanni, ma gi cominciavo ad aver paura della gente.
Ma veniva il poeta Rubiner, veniva Cendrars, che mi consolava solo col
lampo dei suoi occhi.
Spesso mi consigliava, si preoccupava per me; ma io non gli obbedivo,
bench avesse ragione.
Cercava di convincermi che potevo lavorare tranquillamente accanto ai
cubisti orgogliosi, per i quali forse non ero niente di niente.
Loro non mi davano noia. Li guardavo di traverso e pensavo:
Che mangino pure a saziet le loro pere quadrate sulle loro tavole
triangolari!.
Senza dubbio le mie tendenze originarie apparivano un po strane ai francesi.
E io li contemplavo con tanto amore. Era una cosa penosa.
Ma la mia arte, pensavo, forse unarte insensata, un mercurio
fiammeggiante, unanima azzurra, zampillante sulle mie tele.
E rimuginavo: Abbasso il naturalismo, limpressionismo, e il cubismo
realista!.
Mi rendono triste e impacciato.
Tutti i problemi - volume, prospettiva, Czanne, la scultura africana - sono di
nuovo sul tappeto.
Dove andiamo? Cos mai questepoca, che canta inni allarte tecnica, che
divinizza il formalismo?

Che la nostra follia sia la benvenuta!


Un bagno espiatorio. Una rivoluzione di fondo, non soltanto di superficie.
Non chiamatemi lunatico! Al contrario, sono realista. Amo la terra.

Potrebbero piacerti anche