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Prof. TULLIO [LEVL-CIVITA J Lezioni di (caleolo differenziale) assoluto 2 > RACCOLTE E COMPILATE DAL Dott. ENRICO PERSICO MCMXXV ALBERTO STOCK - EDITORE ROMA PREFAZIONE La metrica generale di RIEMANN e una formula del CHRISTOFFEL costituiscono i presupposti del caleolo differenziale assoluto, il quale tuttavia fu concepito solo posteriormente quale organismo sistema- tico dal Rrcct, e da lui corredato nel decennio 1887-1896 di tutti quegli eleganti e comprensivi algoritmi.che ne assicurano l’agile adattamento a svariate questioni analitiche, geometriche e fisiche. Il Ricct stesso, in una memoria comparsa nel T. XVI del Buil- letin des Sciences Mathématiques (1892) fece una prima esposizione dei suvi metodi e ne diede qualche applicazione alla geometria dif- ferenziale e alla fisica matematica. Pit tardi altre applicazioni inte- ressanti, fattene da lui e dai suoi scolari diretti, alla cerchia dei quali mi onoro di appartenere, consigliarono di raccogliere, in una esposizione sommaria, metodi, risultati e indicazioni bibliografiche. Da cid la memoria intitolata Méthodes de calcul différentiel absolu et leurs applications, che, per cortese invito del Kirin, fu redatta in collaborazione dal Prof. Ricct e da me, e apparve nel volume 54 dei Math. Ann. (1901). Un capitolo sui fondamenti del caleolo assoluto, con speciale rignardo alla trasformazione delle equazioni dinamiche, si trova nel volumetto del Wricut: Invariants of quadratic differential forms (Cambridge: University Press, 1908); del resto si pud dire che, pur continuandosi, dopo il 1901, da un ristretto numero di studiosi ri- cerche speciali basate sull’impiego di quei metodi, l’'attenzione ge- nerale vi fu richiamata soltanto dal grandioso rinnovamento ein- steiniano della filosofia naturale, che appunto nel calcolo differen- ge aziale assoluto trovo i mezzi necessari per la formulazione matematica e per Pulteriore sviluppo quantitativo. Nella celebre nota Zur allgemeinen Relativitdtstheorie (+) la sco- perta delletquazioni gravitazionali fu dall’ENsTEIN annunciata colle parole: «...sie bedeutet einen wahren Triumph der durch Gauss, RIEMANN, CHRISTOFFEL, Ricci... begriindeten Methode des allge- meinen Differentialkalculus ». In una memoria anteriore lo stesso EINSTEIN aveva fatto una nuova esposizione di quegli elementi e di quelle formule di calcolo assoluto che pil specificamente servivano ai suoi fini. Analogo cri- terio fu in seguito adottato dai pik insigni trattatisti della relativita generale, in particolare dal WEYL (?), dal Laus (?), dall’EppineTon (‘), e dal Birxuorr (°), i quali apportarono cospicuo contributo di pen- siero e di sviluppi originali alle teorie fisiche, nonché utili, eleganti complementi anche alle premesse di calcolo tensoriale. E lo stesso fe- cero — per citare, nella vasta letteratura, soltanto i libri che ho avuto occasione di consultare — CARMICHAEL (*), MARCOLONGO (7), Koprr (°), BEcQUEREL (*), mentre il DE Donper (") ha evitato Valgoritmo del calcolo assoluto, ricorrendo alla teoria degli invarianti integrali. Recenteniente fu dedicata al calcolo assoluto anche qualche opera d’insieme: ricorderd i volumi del Juver ("), del GALBRUN (), (@) Sitzungsberichte der Preuss. Ak. der Wissenschaften, 11 novembre 1915, pp. 778-786. ) Raum, Zeit, Materie (5* ediz.), Berlin: Springer, 1923, (8) Die Relativitdtstheorie, B. II, Braunschweig: Vieweg, 1921. (+) The mathematical theory of relativity, Cambridge: University Press, 1923. (8) Relativity and modern physics, Cambridge (Mass.): Harvard University Press, 1923. (8) The theory of relativity (2% ediz.), New York: Wiley, 1920. (*) Relativita (2° ediz.), Messina: Principato, 1923. (8) I fondamenti della relativita einsteiniana (ediz. italiana con prefazione di G. ARMELLINI), Milano: Hoepli, 1923. (8) Le principe de relativité ot la théorie de la gravitation, Paris: Gauthier-Vil- lars, 1923. : : (°) La gravifique cinsteinienne, ibidem, 1921. (*) Introduction au caloul tensoriel et au calcul différentiel absolu, Paris: Blan- chard, 1922. (2) Introduction géometrique al étude dela relativité, Pai Gauthier- Villars, 1923 = del Marais (+). Infine un calcolo non meno comprensivo, anzi pit generale, fu, su nuovi criteri, ideato dallo ScHouTEN, che ebbe tosto nello Struik (?) un fervido collaboratore. In tanta copia di eccellenti referenze una nuova elaborazione dei metodi del Riccr potrebbe apparire superflua: e lo @ forse in linea concettuale. . Invero i perfezionamenti ¢ le aggiunte rispetto allo schema del 1901 (memoria dei Math. Annalen), che derivano sostanzialmente dalla nozione di parallelismo (*) @ che in base ad essa, mi venne fatto di introdurre in due corsi tenuti all’Universita di Roma negli anni scolastici 1920-1921, 1922-1923, finiscono col figurare tutti o quasi tutti, per indipendente iniziativa degli Autori citati, un po’ in questo, un po’ in quello dei loro libri. Cosi, per es., la definizione di tensore e alcuni accorgimenti al- gebrici intesi a semplificare le verificazioni materiali si trovano in WEYL, LAvE e Marais, i quali tutti, al pari dell*BpDINGTON, col-* legano pi o meno intimamente la derivazione covariante al pa- rallelismo. D’altra parte SuveT e GALBRUN offrono al Lettore uno studio approfondito di quest’ultimo. Comunque il collegamento al- Vimpostazione algebrico-tensoriale e ai primi elementi di geometria () Introduction a la théorie de la relativité. Caloul différenticl absolu et géo- métrie, Paris: Gauthier-Villars, 1923. (*) Cfr. in particolare D. J. StrutK, Grundsiige der mehrdimensionalen Diffe- rentialgeometrie, Berlin: Springer, 1922, che contiene anche una copiosa e accurata bibliografia; nonchéil libro dello stesso ScuoutEN, Der Ricci-Kalkul, testé pubbli- cato (1924) presso il medesimo editore. Accanto alla estensione dei metodi debbo qui segnalare (pur non avendo potuto farlo in lezione) lestensione della geometria oltre i confini, gia si larghi, tracciati da Rrewann. Alludo alle epeculazioni fisiche del Wet. dell’EDpiNcT0N, culminate recentemente in una ulteriore generalizzazione dello schema relativistico ad opera dello stesso Exysrern. La struttura spaziale in rolazione al nuovo con- cetto del Wext (connessione affine) fu oggetto di studi di questo Autore, gi rac- colti in volume (Mathematsche Analyse des Raumproblems, Berlin: Springer, 1928), di altre notevoli ricerche sistematiche del Cartan e di numerose note concernenti problemi particolari dei signori Berwanp, Biascike, Drees, E1senware, Kaswer, VEREEN... (*) Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, fascicolo XLII, 1917, pp. 173-215. ag differenziale @ sempre meno circostanziato e sistematico di quello che cercai di stabilire nelle mie lezioni. Percid lo sviluppo ivi dato alla materia presenta una particolare compagine, e pud apparirne oggi ancora giustificata la stampa. Il manoseritto fu redatto dal Dott. ENR1co Prersico, su appunti di lezione, coordinati con intelligente solerzia. Grato a lui per il va- lido aiuto prestato in tal guisa, ringrazio altresi l’Editore, sig. Srock (che fu pure tra i miei uditori), al cui incitamento ripetuto si deve la presente pubblicazione. Roma, Dicembre 1923. TULLIO LEVI-CIVITA, PARTE PRIMA Teorie introduttive CAPITOLO I. Determinanti'e matrici funzionali. § 1.— Locuzion1 GromETRICHE. — Avviene frequentemente in geometria analitica che relazioni algebriche di forma complicata traducano proprieti geometriche semplici, si che, mentre quelle relazioni algebriche mal si prestano ad essere enunciate in parole, si pud invece, usando il linguaggio della geometria, esprimere le equi- valenti relazioni geometriche in modo chiaro, conciso, ed accessi- bile all’intuizione; spesso poi le relazioni geometriche sono pit facili a scoprire che non quelle analitiche corrispondenti, si che il lin- guaggio geometrico fornisce non solo un espressivo mezzo di esposi- zione, ma anche un efficace strumento di ricerca. Si pud quindi pre- vedere che sara vantaggioso adottare denominazioni tolte alla geo- metria in svariate questioni di analisi, E fondamentale, sotto tale riguardo, la convenzione di chia- mare punto di una varieta astratta ad n dimensioni (n designando un intero positive qualsiasi) una ennupla di valori attribuiti ad n va- riabili quali si vogliono a, a2,..., an. Cid costituisce un’ovvia esten- sione nominale della corrispondenza biunivoca che, nei casi di n = 2 e n = 3, si pud stabilire fra le coppie o terne di coordinate e i punti del piano o rispettivamente dello spazio. Si pud cosi parlare anche nel caso di n variabili di campo di punti (anziché di valori attribuiti alle x) e di intorno diun punto determinato a (i=1, 2,...,n). — 10 — Se le asono n funzioni 2,(t) di una variabile reale i, quando ¢ varia con continuita fra due valori t e t:, si ha una successione sempli- cemente infinita di punti, il cui insieme si chiama (come per n =2 o n = 8) linea, e pitt precisamente arco 0 segmento di linea. § 2. — DBTERMINANTI FUNZIONALI BE CAMBIAMENTI DI VARIA= BILI. — Si abbiano n funzioni di altrettante variabili, e si suppon- gano finite, continue e derivabili quante volte occorre nel campo che si considera: us (M1, iy ery Bn). Per semplificare la notazione, rappresenteremo talora con «# (senza aleun indice), non solo (come si fa sempre) una qualunque delle n variabili a, a ,...,@, ma anche (come si fa talvolta) il eom- plesso da esse costituito, e cosi per altre lettere, che ricorreranno pit innanzi. Con tale convenzione potremo scrivere le funzioni date sotto la forma abbreviata: U; (x). Ricordiamo che si dice determinante funzionale 0 jacobiano delle u il determinante, di ordine n, formato con le derivate prime delle wu, cio’ dm Om du | dm dm 9" dan [ous dua ous D=de mm 9" deni }dun tn atin| joa. da *"" dan| Un tale determinante si indica talora con la notazione abbre- viata 1 Ua... Un Tr Le... Bn) analoga a quella delle frazioni e delle sostituzioni (ove si faccia fun- gere da numeratore al complesso delle funzioni ue da denomina- a tore al complesso delle variabili x). L'analogia del simbolo @ giusti- ficata da analogia di proprieta, come apparisce considerando il modo di comportarsi di un determinante funzionale di fronte a un cambiamento di variabili. E, precisamente, si suppongano le # fun- zioni di altrettante variabili y, Hr = Hr (Yr, v0 Yn) | a By) Wn = An (Yay vey Yn) 5 e si supponga inoltre che queste equazioni rappresentino un’effet- tiva trasformazione, cioé definiscano anche le y come funzioni delle x (siano risolubili rispetto alle y). Se allora si risguardano Je u come funzioni delle y (attraverso le «) e si forma il relativo determinante funzionale Dea ("~ ) : Yr oe yn} © si trova, come vedremo al § 4, che Di é uguale a D moltiplicato per il determinante delle [1], cioé per a=(™ *) ya. Yn) § 3. — RICHIAMO DELLA PROPOSIZIONE FONDAMENTALE SULLE FUNZIONI IMPLICIT. — Prima di dimostrare questo teorema, ri- chiamiamo una proposizione fondamentale relativa alle funzioni implicite. E noto che una relazione (fra due variabili) del tipo f (#, 9) =0 é atta a definire la y in funzione della v, purché soltanto siano soddi- sfatte convenienti condizioni qualitative (+), Una forma classica di tali condizioni (sufficienti ad assicurare la risolubilita) @ la (@) In questo concetto di risolubiliti, si prescinde dalle eventuali difficolta algo- ritmiche. ig ee seguente, Sia a, ye un punto in cui la fsi annulla mantenendosi continua in un suo intorno (superficiale) I. In I esiste la a diversa da zero per w=, y=y®. Allora in un certo ce nes) del valore «° resta definita una funzione continua y(x) tale che f [y(#), #] @ identicamente zero, Per le funzioni implicite di pit variabili, vale il teorema seguente, che & una generalizzazione di quello ricordato testé. Siano date m equazioni fra altrettante variabili y e quante si vogliono variabili w: fhiy|a)= (@=1,2,...,m). Esista un sistema di valori 2°, y° che soddisfano queste equa- zioni; in un intorno di quel punto le f siano continue, assieme alle loro derivate, rapporto alle y, e il determinante Lene fal e sia diverso da zero: allora le equazioni date definiscono, in un in- torno del sistema di valori 2°, le y come funzioni delle 2. Si vede da questo che il determinante funzionale di pit funzioni di altret- tante variabili costituisce, sotto un certo punto di vista, la naturale generalizzazione della derivata di una funzione di una variabile. Tutto cid risultera in modo espressivo dalle applicazioni del para- grafo seguente, § 4, — COMPORTAMENTO DI UN DETERMINANTE FUNZIONALE DI FRONTE A UN CAMBIAMENTO DI VARIABILI. — Cominciamo dalla condizione (sufficiente) di risolubilita delle [1]. Immaginiamole scritte sotto la forma BYss vey Ya) — (§=1,2,...,m), e ammettiamo che esista almeno un sistema di valori per le y e le a, per cui sono soddisfatte (e le a;(y) sono continue assieme alle loro derivate); allora, per applicare il teorema precedente, dovremo 1a ealcolare le derivate parziali dei primi membririspetto alle y, e for- marne il determinante: ma quelle derivate sono le oh (J=1,2, 0450), Ys e quindi la condizione di risolubilita rispetto alle y A= (* ie *) Yan s Yr) Riprendiamo ora il teorema enunciato nel § 2, e ammettiamo che sia A=|=0, Formiamo il prodotto dei due determinanti De A, cioé (scambiando in A le righe con le colonne) dei due seguenti: 0. | 2% Ot ou oa, Oa Orn joa da. °° dan ay dy a Oy: dus Ota 2 ua) Om. Oma 2am dar Date Dan! a = dyel, dun Dt dun da da» 2am Om Oe Ome dyn Yn 2yn Se facciamo il prodotto per righe, tenendo presente la nota re- gola, troviamo che l’elemento generico a,, del determinante prodotto & del tipo : nm Date 2a _ Pte DS ay Ys Ys 7 (ricordando la regola di derivazione delle funzioni composte). Dunque il prodotto @ il determinante Di, come avevamo annunciato, Cid si traduce nella formula (" ar *) x (= aaa *) = (" “| (2) Bi ves Wn, Yr ee Yn, Yr vee Yr, che costituisce appunto la giustificazione del simbolo adottato pei determinanti funzionali. To § 5. — INDIPENDENZA DI” FUNZIONI DI ALTRETTANTE VARIABILI. CoNDIZIONE NECESSARIA E SUFFICIENTE. — Risulta da quanto pre- cede, che, se il determinante funzionale din funzioni di altrettante variabili non 6 identicamente zero, questa proprieta si conserva anche quando alle primitive variabili se ne sostituiscono altre mediante Ja trasformazione [1] (con la clausol: 0), ©, come si suol dire, questa proprieta & invariantiva. pee ss la seguente Definizione. Si dice che n funzioni di n variabili sono indipendenti, quando il loro determinante funzionale non @ identica- mente zero. La ragione per cui questa proprieté si designa con la parola indipendenza, risulta dal seguente Teorema. Condizione necessaria ¢ sufficiente perche n fun- zioni u di altrettanie variabili x non siano legate da alewna relazione (derivabile) del tipo f(r, tay oy tn) = 0, (3) involgente le sole ue non le «, é che il determinante funzionale non sia identicamente zero. Dimostreremo dapprima che la condizione @ sufficiente; poi dimostreremo che 8 anche necessaria, ma limitandoci, per ora, ad un caso particolare: il teorema in tutta la sua generalita risulterd poi contenuto in un altro teorema, ancora pia generale (cfr. § 7). Supponiamo ‘che sia soddisfatta la condizione a a 0; [4] toes aa) dimostreremo allora che non puo esistere alcuna relazione del tipo [3] (beninteso, non identica; escludiamo civé che la [3] sia soddisfatta prendendo le. u« arbitrariamente, nel qual caso essa. non rappresen+ terebbe aleun legame fra le u). Difatti, se esistesse, derivandola ri- spetto a w,,...,%,, Si avrebbero n equazioni => 0 i=1,2,...,n), bg Dade c oe of lineari ed omogenee nelle j ora, poiché f é per ipotesi una effet- a. tiva funzione, queste derivate non sono tutte nulle, e allora le equa- —b— zioni ora scritte dovrebbero aver nullo il determinante dei coeffi- cienti, il quale 8 D, cid che contraddice alVipotesi. La condi- zione [4] @ dunque sufficiente perché non esista aleuna relazione del tipo [3]. Per dimostrare che la condizione [4] é necessaria, faremo ve- dere che, se essa non 6 soddisfatta, cioé se D=0, [5] le u sono legate da una relazione (almeno) del tipo [3]; ci limiteremo, per ora, al caso che fra i minori d’ordine »—1 del determinante D ve ne sia almeno uno non nullo. Questo sari, in generale, del tipo dove pi,...;Pn+@ Gi; +++, Qn—1 Tappresentano due qualunque dispo- sizioni di n —1 indici, scelti senza ripetizione tra i numeri 1, 2,..., n. Ma poiché @ indifferente Vordine col quale si fanno corrispondere le # e le wai numeri 1,...,, potremo, senza diminuire la generalita, sup- porte la designazione delle variabili fatta in modo che D’ sia il minore formato dalle prime n—1 righe ed n—1 colonne; avremo dunque p _(® vt ree: Questa condizione esprime il fatto che fra le prime n—1 fun- zioni non passa aleuna relazione. Ora sappiamo, che se si eseguisce sulle x una trasformazione (ef- fettiva), dall’ipotesi [5] segue che @ anche nullo il determinante delle u rispetto alle nuove variabili y. Prendiamo queste legate alle « dalle seguenti relazioni: Yr = ts (r,s. -y Mn), oa (7) Yaa = Uys (Wry vey Bn) y Yn = tne —16— Notiamo che queste formule definiscono una effettiva trasfor- mazione, poiché il determinante funzionale delle y rispetto alle w & oan dan ous ta. ty te Ons Dt Digs oar Oana 2am 0 0 al che, sviluppato rispetto all’ultima linea, risulta uguale a D’, per ipo- tesi non nullo. Consideriamo dunque le * come funzioni delle y: esse saranno, in virth delle [7], way a (8] Una = Yrs \ : Un = Un (Yr, +++) Ynay Yn). f pat [ » geo «ss, Seriviamo che il determinante delle u rispetto alle y @ zero; avremo ene es o 0 0} i aR saeec ti 0 | . : + fatto. a o) 7% * [ony ium Duin Duin! dy: ye Dye Dya| Risulta dunque che Pultima delle [8] non contiene y,; tenendo poi presenti le rimanenti [8], si vede che quella diviene Un = Un (ti, ery Una) cio’ una relazione fra le u, non contenente le a -li— Dunque dalle ipotesi [6] e [5’] segue che esiste una relazione del tipo [3], e precisamente, che la u, é esprimibile mediante le ri- manenti u; questa relazione é poi unica, perché se ve ne fosse un’altra, eliminando fra di esse la u, si avrebbe una relazione fra le w, ..., Un—y il che, come si @ osservato, é escluso dall’ipotesi [6]. § 6. — MATRICI FUNZIONALI. DEFINIZIONE DELL’INDIPENDENZA DIm FUNZIONI DI 2 VARIABILI. — Passeremo ora a studiare il caso, pit generale, in cui il numero m delle funzioni u non uguaglia quello » delle variabiliw. Torna allora opportuno considerare la matrice fun- zionale delle assegnate funzioni, cioé la seguente matrice ad m righe e n colonne: du a; ate 7 ate Mm oun | dee 7° an! Essa verra nel seguito designata con la lettera M; é da rilevare pero che al simbolo non é coordinato alcun valore numerico, e quindi la lettera M non rappresenta una quantita, ma una abbreviazione dello schema di cui parliamo. Ricordiamo anche che si dice caratteristica di una matrice il massimo ordine dei determinanti non nulli che se ne possono estrarre; la caratteristica non pud evidentemente superare il pit piccolo dei numeri delle righe e delle colonne, Diamo ora una definizione, che verra giustificata nel § seguente. Si dice che m funzioni di quante si vogliono variabili sono indipendenti, quando la caratteristica della loro matrice funzionale ém. Se ne deduce subito, che se il numero delle funzioni supera quello delle variabili, le funzioni non possono essere indipendenti; se poi i due numeri sono uguali, la definizione coincide con quella data precedentemente, poiché la matrice diviene un determinante Wordine m, e Vessere la caratteristica m significa che questo deter- minante non é@ nullo, § 7. —TEOREMA. — Date m funzioni u di quantesivogliono va- riabili x, se la caratteristica della loro matrice funzionale @ k, tra le u passano m —k relazioni (e non pitt) non involgenti le x, Si dedurra 2— T. Luvi-Crvrra, Lesioni di calcolo diferensiate assoluto. —18— subito il corollario, che se le funzioni sono indipendenti (k = m), fra esse non passa aleuna relazione. Il teorema ora enunciato & stato da noi dimostrato (§ 5) nei casi particolari in cui il numero delle fun- zioni eguaglia quello delle variabili, e inoltre % =m, oppure k =m —1; passiamo a dimostrarlo in generale, considerando successivamente vari casi, secondo lo schema seguente: (2) B= me quindi m sm), caso dellindipendenza. 2)k=n, [2) k Hoe + da, dug ray day = 3 dug “xe. (8) 1) oo ' 7 relazioni del tipo F(x|u)=0. (57 Esse, come si vede, contengono in generale non solo le a, ma anche le w(al contrario delle [3]); queste si debbono intendere sosti- tuite da quelle incognite funzioni delle w, che soddisfano il sistema proposto. Non é quindi possibile scrivere esplicitamente le condizioni di integrabilita, senza -conoscere precedentemente le soluzioni del sistema, Per l’equazione [2] cid non si presentava, perché le X, e quindi le loro derivate, non contenevano la funzione incognita. Ma pud avvenire — ed @ il caso pit interessante — che le (5) non solo siano soddisfatte per quelle particolari w che risolvono il sistema, ma lo siano identicamente, cioé per qualsivoglia sistema di valori delle uw e delle w. In tal caso, come vedremo, esse sono a condizioni non solo necessarie, ma anche sufficienti per l’integrabilita del sistema, il quale si dice allora illimitatamente integrabile, o completo. §3. — L’INTEGRAZIONE DI UN SISTEMA CHE NON SIA INCOMPA+ TIBILE, 81 PUO SEMPRE RIDURRE A QUELLA DI UN SISTEMA ILLIMITA- TAMBNTH INTEGRABILE. — Ora mostreremo che ogni qualvolta un sistema di equazioni ai differenziali totali @ integrabile (nel senso che esiste almeno un’ennupla di funzioni u, (a1 ,%,...,%) che lo rendono soddisfatto), la sua integrazione si riduce a quella di un sistema completo; potremo cosi limitare in seguito le nostre con- siderazioni ai sistemi di quest’ultima specie. Le condizioni di integrabilita [5’] sono, come abbiamo detto, in n(n—1) numero di m » mentre le u sono in numero di m, cio meno di quelle (per n>2). In generale, quindi, non esistono m funzioni u che le soddisfino, e allora il sistema non pud certo ammettere soluzioni. Se in- vece quelle condizioni sono compatibili potraé avvenire che ve ne siano m indipendenti, e allora vi é un solo sistema di valori, per le u, che le soddisfi e non resta che verificare se queste verificano anche il sistema proposto; oppure che siano tutte identicamente soddisfatte (e allora il sistema é@ completo); o infine, e sar’ questo il caso pit generale, che esse si riducano a un numero yom di equazioni com- patibili e indipendenti. In tal caso, da esse” BT ‘possono ricavare, in termini finiti, v delle incognite, espresse mediante le e le rima- nenti m—v =p. Ordinando convenientemente gli indici delle u, po- tremo supporre che le [5'] ci diano le ultime v funzioni u, cioé posto =m—y, 4 Uae Wagga rears ton ‘ fi we espresse mediante le we le rimanenti » Per maggiore chiarezza, designeremo con w) (« = 1, 2,..., #) queste_prime u funzioni w e con us =%.¢ (6 =1,2,...,») le ul time y. Le [5’) potranno in conformita presentarsi sotto forma riso- Xuta, scrivendo = fz (| w) (B= 1,2, ...,v)- 5") —27— Dopo cid, si immaginera scisso il sistema [4] in due gruppi di equazioni: uno formato dalle prime p n gull uy = ZX qj (@|-u) day, Be WG [44] v e Valtro dalle rimanenti v tty on WA = xz Xa 15 (w| u) den, (@=e+1p+2,..,.m=B+y). A quest’ultimo, ponendovi «=p + 6, attribuiremo la forma ee n du’, =, Xp x gyi (@] a) da Coty (a 1 = I due membri, tenendo conto delle [5”] delle [4,], divengono in definitiva espressioni lineari nei differenziali dx, & coefficienti che dipendono unicamente dalle we dalle w’. Dovyendo i coefficienti nei due membri coincidere (per Pindipendenza dei differenziali da;), le [4,] si riducono in sostanza ad equazioni in termini finiti (in numero di ny) fra le we le x. . Se queste si riducono tutte ad identita, basta oceuparsi del sistema [4,], in cui le w’ si devono rigguardare sostituite mediante le loro espressioni [5'), sicché si ha un sistema ai differenziali totali, della stessa forma. dell’originario [4], nelle sole w’, in numero di u=m—v 2 de, Bay — yo, ae, ae ay OF Ma sul valore di una sommatoria non ha evidentemente aleuna influenza il designare gli indici, rispetto a cui si somma, con una o con altra lettera dell’alfabeto; percid, nella seconda sommatoria della formula precedente, potremo scambiare fra loro gli indici i e j, il che ci permettera di scrivere ’eguaglianza sotto la forma Bya—dby = > — T a sn) a, 82, . ty day day AlVespressione 8), — dp; si da il nome di covariante bilineare relativo all’assegnato pfaffiano: appellativo di bilineare é sufficien- temente giustificato dall’espressione test scritta, che é lineare sia rispetto agli argomenti da, sia rispetto agli argomenti 3*. Quanto al nome covariante, esso é dovuto alla circostanza che il valore nume- — 31— rico e la struttura formale dei due membri della [11] rimangono sempre gli stessi, quando si cambiano in modo qualunque le varia- bili indipendenti x. Ma su questo punto torneremo pit innanzi (cfr. Cap. VI) in relazione alla nozione generale di enti (funzioni o forme differenziali) invarianti. Notiamo intanto che, se il pfaffiano 4, é un differenziale esatto, eioé se sono soddisfatte le [3], il secondo membro della [11] risulta nullo, e si ritrova un risultato gid noto (v. formula [10]). Tutto cid premesso, riprendiamo in esame il sistema [4], e le sue condizioni di illimitata integrabilita. Consideriamo gli m pfaffiani che costituiscono i secondi membri delle [4]: y X,y\; da, T e formiamone i covarianti bilineari. Dimostreremo che V’essere questi identicamente nulli (comunque siano scelti i da e 8”) 8 una con- dizione perfettamente equivalente all’essere le [5} verificate identi- camente per qualunque determinazione delle u, talché la condizione di illimitata integrabilita potra scriversi sotto la forma ay” ay =o (219): 13] con l’intesa che tale eguaglianza deve aver luogo per valori arbi- trari dei dx e Sx (?). Infatti, seriviamo, a norma della [11], V’espressione esplicita di questi covarianti bilineari, tenendo presente perd che nel fare le derivazioni le X debbono considerarsi funzioni delle aw, e diretta- mente, e per il tramite delle u, onde le derivate dovranno indicarsi, secondo la convenzione gid fatta, col simbolo di derivata totale; la [12] diverra dunque —— (ax, ax, > ¢ el a) da, 8a; =0. m2") u\ da, da, rs ( In verita ai differenziali seeondi 3dz; abbiamo imposto le restrizioni (5), ma queste lasciano ancora perfettamente arbitrari gli incrementi infinitesimi dz ,22; da attribuire alle 2 nel posto (generico) che si considera. — 32 — Ora, se sono soddisfatte le condizioni di illimitata integrabilita [5], i coefficienti di questa forma bilineare (cioé le espressioni in parentesi) sono tutti nulli, e quindi Peguaglianza & soddisfatta co- munque si prendano i dae i8s. Viceversa, supponiamo che quest’ul- tima circostanza abbia luogo;-allora dovranno necessariamente essere nulli tutti i coefficienti: per vederlo basterebbe prendere tutti i dz, $x nulli, salvo una coppia, p. es. da, 3a; (dove i e j sono due indici scelti fra 1, 2,...,, arbitrari, ma ben “determinati); allora, nella [12’] la sommatoria si ridurrebbe al solo termine AX: AX) da, 3x; da, day. il quale non potrebbe esser nullo se non fosse AKy) Xai, dx; da, Si pud dunque concludere che le condizioni [5) possono compendiarsi nella [12]. _, § 5. — Meropo DIINTEGRAZIONE DEL Morera ('). — Dimostreremo ora che le condizioni di illimitata integrabilita sono sufficienti per Vintegrabilita, pii precisamente che, se esse sono soddisfatte, esiste una (e una sola) emmupla-di funzioni u(#) che soddisfa il sistema di equazioni proposto, e assume valori arbitrariamente prefissati in un punto pure prefissato. Risguardando (come @ evidentemente il easo) questi valori iniziali delle « quali costanti arbitrarie, si potra dire in forma pit sbrigativa che Vintegrale generale dipende da m costanti arbitrarie, oppure che esistono co” integrali, Per la dimostrazione, cominciamo appunto col fissare a_piaci- mento, nel campo di variabilits delle «, in eui sono definite le X, un punto generico, Ps (#!,a;,...,a%). Sia poi Pi (a, a), ..., #1) un altro punto arbitrario nel campo, e immaginiamolo congiunto a Po mediante una linea Z, la quale non esca mai da quel campo. Essa sara definita mediante equazioni parametriche [ 00) elon) (13) () Zur Integration der vollstandigen Differentiale, Math. Ann,, B. 27, 1886, pp. 403-411. fr. altresl Savert, Sul metodo di Mayer per Uintegrazione delle equazions lineart ai differenziali totali, Arti del RB, Ist. Veneto, T. LXIX, 1910, pp. 419-425. 330 dove ¢ 6 un parametro che assume il valore ¢. in Po e il valore t: in Pi. Limiteremo provvisoriamente il nostro studio ai punti di questa linea, cosicché le eventuali funzioni del posto w saranno, per ora, da con- siderarsi quali funzioni della sola variabile ¢ (pel tramite delle « e delle [13]). Le loro derivate saranno a du, Oy de, (% =1,2,...,m), ovvero indicando con un punto la derivazione rispetto a 1, e ba- dando alle [4’), du, : a =D, Xaiiei (14) “ye t o anche a ae dt dt (4=1,2,...,m). (44, Le a, sono funzioni conoseiute dita norma delle [13]; quindi queste equazioni sono del tipo du, wa = Ua (t\jtay «45 tn) (#=1,2,...,m), [14] it : cioé formano un sistema di equazioni differenziali ordinarie, in forma normale. 2 noto dal calcolo come (sotto limitazioni qualita- tive di continuité e derivabilita, che qui supponiamo senz’altro sod- disfatte), assegnate ad arbitrio m costanti u), u;,..., u’,, esistono m fun- zioni u, (t) che soddisfano quel sistema, e che, per ¢ = fo, a8sumono quei valori: dati dunque ad arbitrio i valori delle uw in Po, queste restano definite lungo tutta la linea 7, e quindi anche in P:. Potra darsi perd (e, in generale, cosi avviene) che, sei punti Po e Pi si congiungono con un’altra linea, invece che con’ 7, si trovino, per le win Pi, dei valori diversi. Ma ora dimostreremo che, se sono soddisfatte Ie condizioni di illimitata integrabilita, il valore delle u in P:, trovato col metodo ora deseritto, 8 indipendente dalla linea’ 7, sicché queste wu saranno funzioni solo delle coordinate di P:, ossia funzioni del posto: esse soddisferanno il sistema di equazioni pro- 3 T. LevicCivira, Lezioni di eqleolo diderensiale assoluto. aes posto non solo Inngo una linea, ma lungo tutte le infinite linee che si possono tracciare nel. campo dato, ossia in tutto questo campo: e costituiranno quindi, come verificheremo ulteriormente, proprio le richieste soluzioni del sistema ai differenziali totali [4]. Faciliteremo il nostro compito ricorrendo a considerazioni infi- nitesimali, cio@ facendo intanto vedere che i valori delle u in Pi non variano, se la linea 7 si deforma infinitamente poco: ne verrda di conseguenza che essi saranno gli stessi, per qualunque linea che si possa ottenere da T con una successione di deformazioni infinite- sime, cioé con una deformazione continua della T; se supponiamo poi che il campo sia tale che ogni linea congiungente P. con Pi possa ottenersi in tal modo, non ci sara altro da aggiungere. Campi siffatti (quali ad es. un triangolo o un cerchio nel piano, un cubo 0 una sfera nello spazio) si dicono semplicemente connessi. Consideriamo dunque una linea 7’ infinitamente prossima a T: possiamo pensarla ottenuta trasportando ciaseun punto P della 7, di coordinate 2; in un punto P’ di coordinate x, + 3x,, e gli inerementi infinitesimi $a; potremo per es. assumerli sotto la forma cy,, essendo ogni x; una quantita finita variabile da punto a punto della curva (e quindi funzione di t) e « un fattore infinitesimo (costante, cioé) indi- pendente da t. Con tali determinazioni le equazioni parametriche della curva 7” saranno @ + 8a = 9i(t) + ex (t). {15] Le funzioni y; si possono risguardare arbitrarie, salvo la condi- zione di annullarsi per t= e per t=, affinché le linee Te 7 abbiano gli stessi estremi. Indicheremo — come é naturale — con Voperatore 3 l’incremento che subisce una generica quantita (scalare o vettoriale) nel passaggio dal punto Pdi Tal punto corrispon- dente P' di 7". . Cid premesso, immaginiamo integrate le [14’’]lungo 7”: avremo delle funzioni di t,u, + 8u, , oddisfacenti le equazioni us a) ay Gy te +m) = a, (ve + 88,") (a =1,2,...,m), ossia oh sfruttando Vipotesi [12], esprimente Ja illimitata integrabilita, pos- siamo anche scrivere (@) abu, aye = a 16) at at Dal teorema di esistenza degli integrali dei sistemi differenziali ordinari (gia richiamato a proposito delle [12’]) segue che le 3u, sono determinate univocamente da queste condizioni e da quella di annul- larsi in Po: ora, queste equazioni [16] sono evidentemente soddisfatte prendendo [te yea or dyes © meee = GX ibe aq ? (cioé assumendo per le 8%, le espressioni_loro spettanti nel caso che le siano effettivamente funzioni_del posto}: tali espressioni si annullano dove si annullano le z,“cio8 in P. — e con cid verificano Ja condizione iniziale che, associata alle [16], le individua univoca- mente — nonché in P:, il che dimostra cid che si voleva. Resta — provato che per costruire lé pan wi cui differen- ziali totali sono gli assegnati pfaffiani ee > (soddistacenti identica- | mente la [12] ovvero le originarie [5]) e che in un punto dato Py assu- | mono dati valori u{, basta congiungere P. con il punto generico Pi };mediante una linea qualunque 7, e integrare lingo Til sistema di equazioni differenziali ordinarie [14]. Per essere completi, conviene ora far vedere che le funzioni delle coordinate di P., che cosi si ottengono, hanno effettivamente per differenziali i ve. Consideriamo infatti un punto P. infinita- mente vicino a P:, e, per costruire i valori delle win Ps, utilizziamo la spezzata formata da 7, e dal segmentino P; Ps. E evidente allora che eseguendo V’integrazione delle [14] lungo questa linea si ha, nel passaggio da P: a Ps, Vincremento ite ve 7 § 6. —Cenno sui meropo pr MAYER. — II metodo, seguito nel § precedente, per dimiostrare lesistenza degli integrali di un sistema ai differenziali totali completo, é dovuto al Morera. A) nude g 6 ade vie bho pate I — 36 — Prima di esso era stato proposto dal Mayer un altro metodo, assai meno luminoso, che pareva dominato da un artificio pura- mente formale. I] metodo di Morera, guidato da un’intuizione geome- trica, lascia. scorgere l’intima ragione del successo dell’artificio del Mayer, e permette di indicarne il criterio in due parole. Questo consiste nel congiungere i punti P,e P: con un segmento di retta, anziché con una linea qualunque 7, cioé nell’attribuire alle [13] la forma : @; = WF + (a, — we) t (é=1,2,..., 0); si sostituiscono poi verificazioni puramente algoritmiche alle consi- derazioni testé svolte quasi senza caleolo. Inoltre, mentre per appli- care il metodo di Morera basta supporre che il campo in cui sono valide le equazioni date sia semplicemente connesso, per l’altro é evidentemente necessaria una ipotesi pil restrittiva: che cioé due punti qualunque del campo si possano congiungere mediante una retta, senza uscire dal campo medesimo, ‘il che si esprime dicendo, che questo & convesso. f + § 7. — Appiicazione. — Sia dato un generico pfaffiano b= 5, Lele) da,: F domandiamoci se é possibile stabilire fra le w una relazione del tipo © flar, %,..., an) =C (C costante) , (18) che sia integrale della equazione $= 3, Xda, =0, [19] 7 nel senso che la relazione proveniente dalla differenziazione della [18], co : => gasn0, {18"] sia equivalente alla [19}. oT Alluopo & manifestamente necessario e basta che le derivate dell’incognita funzione f risultino proporzionali alle assegnate fun- zioni X,. i Si tratta pertanto di riconoscere sulle X, stesse, quando si dd la circostanza particolare che siano proporzionali alle derivate di una medesima funzione a priori indeterminata. Questo problema, che si presenta anche in questioni geometriche (come vedremo in particolare nel Cap. X), si riconduce subito a un caso particolare di sistema ai differenziali totali. Infatti, supponiamo, come é sempre lecito, dato che » non si annulla identicamente e ha quindi almeno uno dei suoi coefficienti diverso da zero, che Xn non sia identicamente nullo: potremo allora scrivere la [19] sotto la forma 19) «Per la supposta equivalenza colla [18’] dovra essere in questa of dat, a definire una funzione 0, il che assicura che Vequazione in termini finiti [18] & atta By = (1, Way. 2+ aay), (18"'] * * Ja quale rende identicamente verificata la [18] stessa, e per conse- guenza anche la [18'], nonché le equivalenti [19] e [19’]. Quest’ul- tima, che rientra manifestameute nei sistemi di tipo [4] con una sola equazione e una sola funzioue incognita ap, deve in conformita risultare illimitatamente integrabile, ammettendo Vintegrale [18"] che dipende dalla costante arbitraria C. Reciprocamente Villimitata integrabilita della [19'] assicura l’esistenza di una soluzione [18’'] di- pendente da una costante arbitraria 0, e quindi, risolvendo rispetto a O, di una relazione integrale della voluta forma [18]. Tutto si riduce pertanto ad esprimere che la [19'] é illimitatamente integrabile. Le condizioni di illimitata integrabilita della [19] sono, confor- memente alla [5], aX a ky = (i,f=1,2,.. da; Xn da; Xn oe 2% D J a ae relazioni che, sviluppando le derivate, si mettono facilmente sotto la forma seguente a(S oe) + a) +x, 0a; = aX (,j=1,2,-.. Introduciamo per un momento Vipotesi restrittiva che, al pari di Xn, anche tutte le altre funzioni X siano diverse da zero, Potremo allora porre senza riserve (Jide, NX YG i Q oe oe oe Drs = Ce, Ce iva (r,8=1,2,...,n) (21) e presentare le condizioni di integrabilita sotto la forma pi com- prensiva Dis + Pin + Pu =O (€,f=1,2,....n—1;i=l-j). [22] Le [22] sono in iumero di Baer h, ciod quante le possi- bili coppie di indici distinti i e j, essendo fisso n. Esse rappresen- tano tutte le condizioni di integrabilita; sicecome pero la scelta della variabile a come funzione delle rimanenti # era arbitraria (sog- getta solo alla condizione Xx-|=0), cosi dovranno esser verificate, pit in generale, le relazioni Pi + Pj + PaO, (22") dove i, j, & sono tre indici qualunque, diversi fra loro, scelti fra mn (n—1) (n—2) 6 tante sono quindi le [22’]: si capisce perd che esse non possono esser tutte indipendenti dal momento che bastano le [22] (che sono sol- tanto una parte delle [22']) ad assicurare la illimitata integrabilita. Effettivamente @ facile mostrare per via diretta che delle [22’] ie) a) 2 riducendosi a conseguenze algebriche di quelle. 1,2,..., . Le terne i, j, k sono in numero di soltanto , per es. le [22], sono essenziali, le altre — 39 — Cid si desume dal seguente lemma, valido qualunque sia il _ significato delle pix. Se pix (i, #=1,2,...,2) @ un sistema doppio emisimmetrico (*), € se, « designando un indice fisso, per ogni coppia i, k, vale la relazione ciclica Pir + Pha + Poi = 9; questa sussiste pure per una terna qualsiasi i, k, l. Basta associare alla relazione precedente le due analoghe, relative alle coppie k, 1, ed 1, i, cio’ Pas + Pia + Pax = 05 Pi + Pint Par = 95 e sommare membro a membro. Attesa l’emisimmetria, Pha + Pak = 0; ece., e rimane Pi + Pat pi =O, ed. d. Tenute presenti le espressioni [21] delle p, le (22'], ridotte a forma intera, ioe moltiplieate per X,X,X;,, danno Inogo alle equa- zioni di condizione 28, oi) x (Ee 9 PX, _ 9X) nati iba) ) \ oa; dx; (23) (i,j, F=1,2, 0050). Queste si presentano cosi come conseguenza necessaria di una loro parte, quella in cui uno degli indici & fisso — diciamo delle (20] — sotto la limitazione (sfruttata nelle precedenti tra- sformazioni, dividendo per prodotti di X) che siano diverse da zero tutte le X. Tale limitazione é@ perd inessenziale, e pud in definitiva essere tolta, ragionando come segue. Essendosi riconosciuto che le [23] sono conseguenza necessaria delle [20] per determinazioni non nulle, ( Cioé un sistema di numeri oorrispondenti biunivocamente, con legge deter- minata, alle ooppie di numeri interi é,# (= 1,2,..., m); inoltre tale, che per qualun- que coppia di indici sia px =— pai. V. pag. 79. thre welt " vtatdina —40— ma comunque piccole, delle X, & lecito, data la forma intera di queste equazioni (nelle X e loro derivate), passare al limite quando qual- cuna delle X converge allo zero. Si pud pertanto ritenere che le [23] — 0 anche soltanto una parte di esse del tipo [20] — costituiseono le condizioni necessarie ¢ sufficienti per Villimitata integrabilita delle [19], ossia affinché le n funzioni Xi (a:, a2, ...,@n) siano proporzio- nali alle derivate di wna medesima funzione. § 8. — SisreMI mistTI. — In certi problemi si presentano dei sistemi misti, cioe formati da equazioni ai differenziali totali, e da equazioni in termini finiti: du, = 3, Xai de (ent mn) (4] i P, (| u) =0 (k==1,2,..4,9). [24] La discussione é concettualmente identica a quella svolta nel § 3. Vogliamo tuttavia riprenderla, onde indicare, sotto una forma comoda pei casi concreti, le condizioni sotto cui un sistema misto del tipo [4], [24] @ illimitatamente integrabile. B evidente in primo luogo. che, affinché esistano soluzioni, & necessario che le equazioni [24] (che supporremo compatibili e indi- pendenti) siano in numero non superiore a m (numero delle inco- gnite u)*Se poi esse fossero proprio m, ne resterebbero completamente determinate le u, enon ci sarebbe che da verificars se queste soddi- sfano le equazioni [4]. Supporremo dunque v ee! aaa. 2a, —_ 0 ossia, per le [25] e (26), ox, i J] ¥ PXaia} fs Fs] + 3 ee] 2+ 8 eral Pet] +5, Ps) et a 3 u, 1F | Ou g a’ | __ [?Xe B vy fox, of, & =| +8 Re wt, ae | atte [ ls L i t e infine, per la [28], Se ora si tien conto che gli m argomenti wrisultano dai due gruppi u’ ed uw’, si riconosce immediatamente che questo non é che il primo membro delle (27]. Scambiando é con j si identificherebbe il secondo membro di [29] con quello di (27): si -vede cosi che le [29} sono sod- disfatte identicamente. Dunque: Pintegrazione di un sistema misto COMPLETO del tipo [4], [24], st riduce a quella di un sistema ai differenziali totali, com- PLETO (€ quindi integrabile) in wu incognite. L’integrale generale contiene quindi » = m—v costanti arbitrarie. Se il sistema misto non é completo, cioé se le condizioni a) e b) non sono senz’altro soddisfatte, la discussione, condotta come al § 3, mostra ovviamenté che (dovendo sussistere le [12] ogni qualvolta esiste un’emmupla di integrali w,) bisogna aggiungere alle [24] quelle* »“~ =; tra le condizioni a) e 4)’ che non si riducono ad identita in virth(a 7) 24) delle [24] stesse. Ripetendo poi il medesimo procedimento, si arriva, j.—. o @ constatare delle incompatibilita e quindi ad escludere che il sistema [4], [24] comporti soluzioni, oppure ad un sistema completo con meno di w incognite. In tal caso @ pure

Labe) 2 dey (* fs Oe, | > of an) a o y bp ——— = Ta, + 4, b, a day d. Boe 7 . ® day dap” T T ae Analogamente (scambiando A con B, e quindi a con b): N 7 of af BAf— > pba PY + > wp 0 Bey dm , T Di qui apparisce che i due operatori A Bfe BAfnon sono uguali: perd la parte del secondo ordine é la stessa, come si vede seambiando fra loro gli indici v e p in una delle due sommatorie doppic. Segue da cid che la differenza dei due operatori di cui parliamo é un operatore lineare del prime ordine: esso si chiama funzione alternata 0 parentesi di Poisson’ relativa ai due operatori A e B, e si indica col simbolo operativo (A, B), talehé » (4 B)f = ABS— BAS =) (Aby — Bay? 143 y dev . Dalla definizione stessa risulta (A, B)f=—(B,A)f. {5} Stabiliremo ora una proprieta formale degli operatori lineari, di cui ci serviremo pit avanti. Abbiansi n operatori lineari of Axf By 53, (k=1,2,...,2), 7 e si formino con essi due qualunque combinazioni lineari (che saranno pure operatori lineari) : x Bf = Em Anh, n == Eh tn Ans Je 4 e le » essendo funzioni (derivabili) qualisivogliono. delle variabili indipendenti 2. — 48 — Si tratta di far vedere che la funzione alternata (B, C) f ¢ una com- binazione lineare: degli operatori A e delle loro funzioni alternate. Basta a tal uopo scrivere per disteso la (B, @) f, il che da (B, O)f = BCf—C Bf = Ede ds (Cf) a Enna (Bf) = = Ban Dads (taf) — edn Ondad)]« Applicando la regola di derivazione dei prodotti, ultima espres- sione diviene Eun [eA ethn) nf — (tn dade) Anfi + Edun AcArnf— Arad] » sicché risulta (By O)f = Zin [i Aaten) Anf — (tr Aade) Aaf + Mitta (Arey Alf, ed. d. §2. — INTEGRALI DI UN SISTEMA DIFFERENZIALE ORDINARIO ED EQUAZIONE ALLE DERIVATE PARZIALI CHE LI DEFINISCE. — Conside- riamo un sistema di equazioni differenziali ordinarie, del primo ordine, in » incognite a; Indicando con ¢ la variabile indipendente, e supponendo le equazioni risolte rispetto alle derivate delle funzioni incognite, avremo la forma, cosi detta normale, 8% _ ¥ (elt) (6 =1,2,...,0). 16} dt Si chiama soluzione di questo sistema ogni ennupla di funzioni 2, (t) che soddisfi le equazioni stesse. Si chiama invece integrale del sistema ogni funzione f (wit tale che, ponendovi in luogo delle ~ una qualunque soluzione delle [6], si riduce ad una costante. Si pud anche dire che f 6 un integrale, ogni qualvolta f (w| t) = cost. é una conseguenza necessaria delle equazioni differenziali [6]. — 49 — Ora mostreremo che tutte (e sole) le funzioni f che hanno questa proprieta soddisfano a un’equazione lineare omogenea a derivate parziali del 1° ordine: e, in virth di tal fatto, che Pintegrazione di una ‘equazione di questa forma si pud sempre ridurre a quella di un sistema del tipo [6], come vedremo pitt innanzi. Sia dunque f (a|t) un integrale delle [6]: qualora per le a si inten- dano tali funzioni di t da soddisfare le [6], si potra serivere f (a|t) = cost., e quindi, derivando rispetto a t, LS Fae ot 0m; dt 5 ovvero, in quanto le a; (t) verificano le [6], cos rt eae. (7j : : BE questa l’equazione a derivate parziali, di cui parlavamo: po- tremo scriverla compendiosamente sotto la forma Af =0, introducendo per brevita loperatore lineare : a + > Xi. (7'] _ aa, 5) aha ote dad. oy ey Va rilevato che la [7], al pari della f = cost., da cui proviene wlepon Ob per derivazione, diviene per ipotesi una identita, ogni qualvolta le a “® che in essa figurano siano sostituite da soluzioni (qualisivogliano) del sistema [6]; da cid é facile dedurre che la [7] sussiste identicamente, 4) cioé (entro un campo conveniente) per valori qualisivogliono attri- buiti agli argomenti «, ¢ da cui dipende la f-“Infatti dati ad arbitrio Ope ow 4— T. Levi-Civrra, Lecioni di caleolo diferensiale asgoluto. Velln fo cme Vuelos ale = nw +1 numeri a!,..., #,t, (di un campo entro il quale sia valido, per il sistema [6], il teorema generale di esistenza) sappiamo che esiste sempre una soluzione z; del sistema [6], la quale, per t = to, assume i valori a®, ..., 0%. Ora la [7] deve valere (qualunque sia t) quando per le « introdu- ciamo questa particolare soluzione a; (t). Facendo in particolare t = t& essa si trova verificata in corrispondenza ai valori arbitrariamente prescelti a!, to, ed. d. Daltra parte & evidente che qualunque funzione f (xt), la quale soddisfi la [7], quando vi si trattano le a e la t come variabili indipen- denti, costituisce un integrale del sistema [6]. Difatti la [7], sussistendo comunque si scelgano le 2, sari in particolare soddisfatta quando si ssume per le « una soluzione del sistema [6]; ma in tale accezione il a Ht & Lv ocentcte ae primo membro della [7] si identifica con ue La funzione f @ dunque tale che, quando Ie @ si risguardano soluzioni delle [6], a =0, ossia f = cost. Riassumendo, possiamo affermare che condizione necessaria ¢ sufficiente perché una funzione f(ait) sia un integrale del sistema [6] 2 che essa soddisfi Vequazione a derivate parziali [7], dove le x e lat sono n +1 variabili indipendenti, § 3. — INTEGRALI PRINCIPALI. — Fra gli integrali f del sistema [6] (che si chiamano anche, per quanto si & visto nel § precedente, inte- grali dell’equazione [7]) ve ne sono, per ogni valore t: di t, n partico- larmente importanti, che ora passiamo a specificare. Partiamo dalla pit generale soluzione delle [6], che é, come é noto, una ennupla di funzioni della t, contenenti n costanti arbi- trarie af, ..., 0°: m= % (t| a) (@=1,2,....2). {8] Le « sono i valori assunti dalle a per un dato valore t, della t, talehé (Pi)emeo (9) a Dimostriamo in primo Inogo che le [8] sono risolubili rispetto alle 2, in'un intorno del punto to. Difatti, scriviamole sotto la forma % (t| a) — a = 0 e consideriamo il determinante funzionale dei primi membri rispetto alle a, che é (piano se Qu an ie 0 ° a Ce oe ovvero, poiché le 2 sono contenute solo nelle g, e non nelle a: = Calcoliamone i] valore Dy per t = t. Poiché nel determinante stesso non figurano derivate rispetto a t, otterremo lo stesso risultato, sia derivando le 9 (f! x) rispetto alle a, formandone il determinante, e ponendo da ultimo t= %, sia ponendo fin da principio ¢ = to nelle 9, e formando poi il determinante delle derivate. Atteniamoci @ questa seconda alternativa, e ricordando le [9] vedremo subito che quel determinante diviene Ora, se D, che & una funzione continua di t, & = sara tale anche in un intorno di t, e percid, in questo intorno, si potranno risolvere le {8] rispetto alle a. Eseguita tale risoluzione, si otterra, ~ uo = w; (w|t), (¢ =1,2,...,m), [10] e i secondi membri w coétituiscono altrettanti integrali del sistema [6], perehé se in essi poniamo per le # una qualunque soluzione (ciod una ennupla di funzioni, ottenute dalle [8] dando alle. 2 particolari valori arbitrari) le w, per la loro stessa costruzione, divengono uguali alle a*, cioé a delle costanti. — 52 — Gli integrali dell’equazione [7] cos ottenuti si dicono integrali principal relativi at =to. Dalla definizione risulta che ww, (2° | to) Scrivendo materialmente « al posto delle 2, si vede che proprieta earatteristica degli integrali principali w;, relativi a t=t si é che le funzioni w,(z\t) si riducono ordinatamente alle n variabili a per t=to. Senza approfondire lo studio degli n integrali principali, vogliamo pero rilevare che nessuno di essi é esprimibile in funzione soltanto dei rimanenti, cioé che essi, considerati come n tunzioni delle n +1 variabili # e t, sono indipendenti. All’uopo occorre e basta che la ma- trice funzionale (ad n righe e n +1 colonne) delle w rispetto alle a, t abbia per caratteristica n, vale a dire che esista in essa un determi- nante d’ordine m non nullo: ora, se prendiamo il determinante (° Wa... *) ti Dr Be... Gn e facciamo le stesse considerazioni fatte a proposito di D,troviamo che esso é = 1 pert = te (perché ivi w, = 2), e quindié =|=0 in un intorno di t: dunque la caratteristica é n e gli integrali principali sono indipendenti. §4.— INTHGRALI INDIPENDENTI. INTEGRALE GENERALE. — Pit in generale si dicono indipendenti n integrali v:, v2, ..., Un della [7], se tali sono le funzioni v(«|t) (i = 1,2,...,). Naturalmente ogni funzione TCH yee) 12] delle (sole) v @ ancora un integrale, come risulta immediata- mente dalla [3], tenendo conto che (colla determinazione [7’] di A) si ha, per ogni 0;, Ma sussiste anche la reciproca, ossia ogni integrale della [7] si pud porre sotto la forma [12], la quale, pertanto, rappresenta linte- grale generale dell’equazione (7).

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