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LUIGI MENEGHELLO OPERE SCELTE di Francesca Caput «on uno seritto di Domenico Starmone 5 g z . ai ae g 2 To entrai nella malga ¢ la Simonetta mi venne dietro; da- va scimpre limpressione di venir dietro, come una cuc- cola. Aveva i capelli un po’ arruffati era senza rossetto, mma bella e fresca. La guerra era finita da qualche se ‘mana, II malgaro ci diede latte nella ciotola di legno, e lo ‘bevemmo a tumo. Poi lui disse: ‘«Ho sentito spararc» «Sono venuto a ripigliarmi questo qui dissi. Portavo il parabello in spalla, e lavevo provato nel bosco. Fun- sionava perfettamente. ‘«Siamo sotto il Colombara con la tend» disi. «Sono ‘tre giomi che siamo qui» Lui domands se eravamo fratelli cla Simonetta disse dino, Quando andammo fuori lui mi chiamd da parte ¢ ni disse a mezza voce: «Tu hai un fiore>. Aveva 'aria di dire che avrebbe preferito averlo lui, ma che almeno cercassi di essere degno. -Eravamo in una tendina celeste. La notte venivano se- golarmente i temporal, ¢ la tenda a ogni lampo s‘illumi- di una luce fluorescente. Lasciava filtrae la luce come un velo, e atrettanto Pacqua; il resto dell acqua arrivava per di sotto, Passavamo le notti seduti sui sac- chi fianco a fianco, con le ginocchie ralzatee le braccia attoro alle gambe; ciascuno le sue, s'intende, ioe mie ¢ J Simonetta le sue. Ho sempre odiato i fossetti che bisognerebbe fare at- tomo alle tende; e poi sulle laste di roceia sotto il Colom- bara come si fa? ci vorrebbero gli scalpel, i punteruoli. Perd é caleare, mi ero detto, non occorrono i fosseti, be- vel’acqua, Invece risultd che non beveva. 340 Tico mast Pioveva forte, a sventapliate,e il tessuro della tenda simandava all'intemo un controspruzzo vaporizzato: an- iché parare la piogeia, questa tendina celeste sexviva a captarla e a iniettarcela addosso, La Simonetta aveva un san sonno: ai lampi la vedevo al mio fianco con gl oe- chi chiusi e le labbra imbronciate, bagnata come un sor- ‘cio, espiritualmente assente ‘Eecomi qua con qiuesto fire, pensavo, in questa sede irvigua. Stranamente non ero artabbiato: Ia notte ¢ la pioggia non erano oss; cera un groppo che si sciogie va, Si, pensavo, la Simonetta & un po’ insonnolit, il po- sto umido, il pan-biscosto (che masticavo di fuia) frol oe fangoso: non importa. Si potrebbe vivere anche cosi, postulata una grotta piena di pan-biscoto. Siamo vivi, Mi sentivo sulla soglia di un mondo chiuso, sul punto di sbucar fuori; uno di quei moment che vengo- no ogni tanto, quando finisce una guerra o si baruffa con la famiglia 0 sono rerminati gli esami, esi ha la sen- sazione che la cosas gira, la si sente girare ‘Mi venne un soprassaito di quella forma di encrgia che chiamiamo gioia; misi gti piedi nell’acqua corren- te, puntellai la Simonetta col mio sacco ¢ useil diguaz zando, col parabello in mano. Fuori c'erano i cespugli dei mughi, groppi di roccia,alberature di pini, Si udiva- fo sparate i tuoni, con scrosci magnific; i lampi erano continui. Mi misia sparare anch'io, ¢ a gridare, ma non sisentiva niente in quel fracasso. Spargevo raffiche in aria: facevo piccolilampi blu di forma ellungata gall agli ori stentavo a riconoscere gli scoppi, ¢ invece mi pareva di distinguere lo scricchiolio dei rami di pino sveatagliati, un rumorino minuto isolato dal rest. E una grande soddisfazione spatare di pieno, ostinata! ‘Quando tomai nella tenda emi ripresi la Simonetta con: tro la spalla, lei si sveglid e disse: «Non si pud neanche dormire con questi tuonin: poi siriaddormentd subito, Tn questo modo fin! la guerra per me, perché fu pro- Tpiccoli mast sat prio in quel punto che la sentifnire. Cos io, tutto ba- gnato, con la Simonetta precariamente al mio fianco, en- trai nella pace. La banda non cera pid, perché c'é la jguerra per bande, ma la pace per bande no. IEro andato per cercaze un buco. Lavevo cercato ¢ cercato, con la collaborszione un po' svoglista della Si- fnonetta, Ore ore: pli spazi non erano grandi, ma intsi- ‘ate aggrovigiai, Ero emozionato fin da be principio. ‘Ogni tanto mi pareva che ci incanalassimo nel solco gi ‘0, rconoscevo l'andamento delle pliche (che in coor iio ho sempre conosciuto), mi orientavo un attimo tra fe capziose armonie dei rialti e delle conchette. Poi i- perdevo il fio. ‘Eravamo tutti e due sudati ¢ sporchi di terra; ormai si ‘apiva che era stata una gran sciocchezea mettersi a que- sta ricerca, Invece improvvisamente lo trovai. ‘Ci sino» diss alla Simonetta. «E qua> Lei disse: «Benissimo». Penso che cominciasse a stu- farsi. Era in calzoacini di fustagno, ¢ aveva una blusetta ditela con lerighe. Una crepa orizzontale, uno spacco ia un tavolato di roccia, Il paesaggio intorno era come lo ricordavo, forse tun po” pit ameno, Una fessura, come tante atte; a nes suno sarebbe mai venuto in mente che sotto potesse starci una persona, anche due. Bisognava inflarsi di sbieco pet passare; ¢ anche di sbieco si passava appena, Mi calai git fin che fui tutto sottoterra, c mi lasciai andare un altro po’. Sapevo che avrei toccato quando le braccia fossero estese circa tre quart, ¢ infattitoccai, Avevo gli occhi chiusi, e stetti un fmomento cos poi li riapersi. Riconobbi le barbe dei smughi,'umidore delle pareti di roccia, lo spazio model- lato, ombroso, un bozzolo irtegolare schiacciato ai due ‘eapi. Cera tutto: il libretto era per terra, ¢ quando lo presi in mano si aperse alla pagina pit macchiata. I! pa- tabello era al suo posto, con la canna in sa, nero, quasi 1 pico mest senza ruggine; aspettavo una fits, ¢ invece non venne;j ‘due catieator erano su uno zoccolo a mezza altezza, ed ‘erano asciutti. Uno era pieno, uno meta. “Apettai un altro po’, ma non successe nulla, Si affac. cave il pensiero: “Quests cosa non ha senso”. ‘Ma si durante un rastellamento sono venuto a finire qua; ara sono qua di nuovo. Il legame tra allora e adesso 2 tutto li, enon lega molto, Ma si, &in questo punto del- Te erosta dela terra che ho passato il momento pia vivi- ddo della mia vita, parte sopra la crosta, correndo, parte subito sotto, fermo. E-con questo? Gili oggettiattorno a me erano cosi chiusi nei propri ‘contorni, cost isolati, che non percepive pitt le loro di- mension’ vere. Un momento mi pareva di vederl ingi- fantit!attraverso una lente, ma che appartenessero in Fealta al mondo dei microbi, un altro momento mi figu- rave invece che fossezo le immagini capovolte ¢ impic ciolite di grandi corpi astral. ‘Chiamai la Simonetta e le dissi di venir git anche Ii Prima mi artivd ana gamba, poi I'eltra, le presi fra le Dbracci, ¢ trai git i resto, Ci stavamo giusti gins, ma non é che ne avanzasse. ‘Non vedevo bene Ja sua faccia, perché la luce che spiovera dal pertugio cadeva quasi tutta dietro dle, Ri ‘comminciavano i pensicri senza scala, ¢ ho limpressione the qualcosa se ne comunicasse anche a lei. Ogni tanto si geattava, un po’ le gambe nude e un po’ Ja blusa, € an ch'io mi davo qualche grattatina: Ii sull’Alspiano & sem- pre casi, ogni tanto viene da grattarsi, forse perché si striscia cos spesso contro i mughi ele rocce. ‘Siamo incapsulati in questa nicebia, sotto il livello della crosta della terra, in un momento vivo ma privo di senso, che commemora un momento e un senso gid mort Siamo dentro ala terra, la quale gira nel verso op- posto a quello de! sole, dalla mia sinista alla mia deste, € allincontrario per la Simonetta. To ¢ lei siamo vicini [peo esr Po quanto spud esere i tocchiamo in pi luoghis sento le Se game, ai sento ub po in mezz0 ai sui capell Seambiamo terciccio, chioccioline, umori se non proprio fensiri e forse anche qualche pensiero scombinat, Riot qui siamo fermi, eppure giiamo; siamo in questo ante del tempo, che pare fermo, ma in vert viage ‘La Simonetta non disse nulla finché stemmo_ neanche dopo, quando tormammo fuori. Le spiegai che fucsti buchi sf chiamano safe; a occa in Alpiano @ Gia fattacosi «ls perch€ 2 calcare» le diss. Beve Fae igan,€ Facqua fa questi buchi rovai i parabello nel bosco, e sparava; mostai il li; bretto alla Simonetta, perd non era molto curiosa: pot teadamino dal malgero a chiedere latte, ora nelle malghe areea di nuove, il latte; poi venne buio,€ andammo sotto {a tenda, e poco dopo venne il solito temporale ¢ comin «dd a piovere e a tuonare. ‘Quallo che ¢privato& privat, e quando & stato 8 sta- to Tu non puoi pid pretendere di riviverlo, ricestruiro: ‘Presta in mano una crisalide, Non sono vere forme que teri dicevo, questa & materia grezza, Se Cera una for soa, era spars in tutta la nostra storia. Bisognerebbe rac- vontare tuta la storia, e alora il seaso della faceenda, se Ge forse verrebbe fuori; qua certo non Ce pth € neat” Che sull Ontigara, scommetto, ein nessun altra part. Mi restavano questo libretto, ¢ questo parabello, spo, re disseceate. I libretto non mi faceva né caldo ne fred- Fo (¢infati a suo tempo lo persi di nuovo, perché io le ove le perdo, ail parabelo, pensavo, ora che Iho ti- Govato me lo voglio tenere da conto. Ne avevo altri act: sa neal armadi cerano pit ermi che vest, ma questo ton era un parabello qualsiasi era il mio parabello. Ave Jo una gran paura, prima di rtrovarlo, che vedendolo nivenisse una erisi di emozione c di vergogns: dopotut plo avevo abbandonato nel bel mezzo della guerre. In rece non mi venne la crisi, anzi seativo bensi un po! di sat I picol mest vergogna in termini generali, perché quella si sente sem. pre, ein particolare all fine di una guerra in cui non si ‘nemmeno morti; ma sentivo anche le prime avvisaglie di tun‘ombra oscura di sollievo. Ora é fnita, mi dievo, In fondo non 2 colpa nostra se siamo ancora viv. Si, &stata tutta una serie di sbagl, la nostra guerra; non siamo sta- fi alTaktezza. Siamo un po’ venuti a mancare a quel di- sgtaziato del popolo italiano, Almeno io, gli sono cera. ‘mente venuto a mancare; si vede che non siamo fatti Puno per Ialtro, Alla mattina cera il sole, PAlipiano s'era sia asciuga. to, La Simonetta si pettinava davanti a un pezzettino di speechio che aveva; fo la guardavo e lei mi faceva le fac- ‘ce; la tendina celeste appariva aggraziata, serena. E robe della pace, pensavo. Adesso 8 la pace. ‘Tutto era asciutto, tranne un senso di umido nel sede. te. Ci mettcmmo coi sederi al sole, a pancia in git sulle lastre di roccia. Io timettevo le palle nel earicatore. Le avevo trate fuori con la scusa di contarle; erano belle, dorate; ce n’era ventuna. «Come i tuoi annie dissi alla Simonetta, “ diss, «Non vedi che ho perf no abbandonato il parabello>» «Gilt disse lei. «Perch Phailasciato qui?» «Cosa vuoi sapere?» dissi. «Li lasciavamo da tutte le parti» ‘ ‘«Credevo che non ce ne fossero pili» diceva Lelio. C2 lui» dicevo io. «E si pud dire che noi siamo i suoi discepoli>» “Casa vuoi discepolare?» diceva Lelio; ma io gli spie ¢gavo che chi frequentava Toni Giuriolo diventava fatal mente suo discepolo, cin fondo anche chi frequentava i uo! discepoli, «Ormai sei suo discepolo anche tu» gli dicevo. ‘ «Saremo una dozzina» «Come quelli di G. Cristo» ‘. Da Giuriolo simpara quello che si dovrebbe impa- rate a scuola» ‘Centravano gli apostoli con Italia? c’entravano mol tissimo. Che cos'é una patria s¢ non & un ambiente cul- turale? cio conoscere e capite le cose. «Purtroppo pet thoi personalmente & gia tardie dicevo; «ci hanno tenuti troppo a lungo nel pozzo, non ci nerteremo mai del tat to da questa muffas e Lelio diceva: «Allegrian. Nella eris di settembre, coi compagni vicentini non ei 1 pico mas 369 ‘trovammo subito. Antonio era fuori zona; era con cert eparti verso il confine jugostavo, detii partigiani, Pare- Ya robs slava, smmirevole ma un po’ estranea, virta bar- para, Qualcuno dei nostri compagni pid aurorevoli era anche iui fuori uso; Franco era in prigione. In pratica ‘dovemmo arrangiarci,ciascuno per conto suo. ‘Sentivamo chiaramente, pero, di formare un gruppo anche cost dispersie istintivamente volevamo comincia: fea funzionare come un gruppo, une piccola squadra Scelte di perfezionisti vicentini, io, Bene, Bruno, Nello, Lelio, Mario, Enrico e qualche altro. Ci riunimmo una sera ¢ decidemmo intanto di procurazci noi stessi le no- fire armi personali. «E un lavoretto da nulla» diss; «ma per cominciare andra bene Discuternmo a lungo sui Frodi pit consoni;venivano fuori tute le stramberic del Ip nostra educazione borghese; efferati nei concett, ers ‘yamo molto sensibilie scrupolosi nella pratice Se lo scopo & la scancellazione corporale del disar- mando, ogni mezzo ® buono; ma se Jo scopo @ soltanto Je sottrazione della pistol, bisogna scegliere con curs Scelto (tala legna da ardere) un cilindrico palewo dalla scorza blusstra, sospirando decidemimo di bendario con Galle fasce. «Noi non possiamo non direierstianin dice- va Bene. ‘La sera, a Vicenza, giravamo per le strade in piccole patcuglie di amici, a exe a tre, rut: col!impermeabile, tutti con le mani in tasca; quello in mezzo aveva il palet- to, Sceglievamo con cura gli ufficili, e ci mettevamo @ feguit Il paletto usei di tascaalcune volte, ¢ sali anche jn aria: ma se il bersaglio camumina, il momento che il peletto sinnalza, 'itervallo tra es30 ¢ la testa automat: Pamente s'alhunga. Decidemmo di sdoppiare le squadre tino viene avanti, ferma Pufficiale dicendo: «Scust ha un Bemmifero?», Gli altri due arrivano da diet € usano il paletto su un hersaglio ferme, ‘Lffciale si sedette per terra; con mani tremanti per on 1 pic mses To € Lelio ci sceglievamo, potendo, i paesi del cui aspetto lontano eravarno innamorati ui amava Tessin, € Barbarano, io avevo varie piccole cotte; € cost andava- fo ofa ai Tyetti montanini, ora agli assurdi Cogoll, «i Poléi, agli Arcugnani, ai Gambugliani, alle Tezze pol- vverote e2i Giavenal di fiaba, cad in mezzo alle cam, page, proprio dove fuoriesce dala terra asse del Trondo, atorno al quale hanno costruto un campanile Trovavamo le cucine a mattai, le stanze con le travaare nce, Ie salle, le tezze, i cortl; bevevamo l'acqua dalle ecchie di rame; sedevamo sulle seggiole spapiate, sulla pietra dei focolai; cospiravamo, parte in casa parte in piazza, in mezzo ala gente delle nore pati, in dialetto, {oro modo di fare di palate, ci inteneriva, Per laser: dda chiacchieravamo ci poesia, di flosofia, especialmente {Fcateica: perche in mezzo a tutti questi sconquassi cre evamo sempre importante Pesctica. Quasi tutti i mci ‘miei a eredevano importante; sembra strano oggi ma cosiera. Si partva con le alegre biciclette nuave, comprate « credito: i filava, ora verso nord, ora git per la Riviera ‘erica, per andare diciamo a Noventa, C’era un allarme gereo a Vicenza, eta verso mezzogiomo, ¢Cerano ati a thin atia sopra la cittatanti acroplanini di stagnola. Si ta fatta una specie di langa colonna di gente che scap- pava gaiamente in bicileta chiscchierando ¢ ridendo. Sotto Monte Berico cominciarono degli sbufli ci aria e 1 polvere lungo questa colonna, uno dietro Valero in f- Ja, nella stessa direzione in cui ci si stava movendo, ma pai veloc. Improvvisamente la strada pareva tutta smos- Ea: davanti alla ruota delle noste alegre biciclette cera: to delle buche spropositate, e gran mucchi di terra sof fice, tutto un ingombro di fagotti, anzi a un certo punto la sada non cera pit ¢cosi ci femamimo. he la colonia della gente in bicicletta non cera Stavano banchi di aria polverosa, © quae [a sagome di 1 plc mses x” persone sonnambulate, Appoggiilabicicltta al cancel- Io divunuillino (era perferia, e Cerano vllni col giardi fpetto davanti e ilcancello), fi cera uaa ragazza che si ea getata per terra trai due plastrni del cancello. Pen- Sai che sifosse fata male, ¢ anda atearla su. Era una ra- fgazza dl campagna, owiamente una servetta, formosa, Srraente, avra avuto sediei anni. Teneva gli occhi chiust € pareva come sbiancata in faccia; cominciai a parlarle fenendola in braccio, ma rat's un tratto con viva sor- presa mi accor che era morta, Doveva eserescoppiata, {quell scoppi inter’ che producevano le bornbe; di fuo- Gijon si vedeva nulla, La bomba aveva fatto un crater fo propio davanti al cancello; stl labbro del craterino ‘Pera un omo vestio di scuro; aveva solo qualche pic: ola ferita, ma era scoppiato anche Iui; non era morte pero, stava solo morendo, Io mi misi a sbottonargli Ia faced el clletc, ma Lelio mi disse di lasciarlo morire rpace. Dalla bocca gli usciva una specie di panna mon- tata color vaniglia. ‘Restammo la tar su i mort e sbottonarc i frit per tun bel pezzo. C’era un uomo che girava chiamando; sot- tol braccio aveva un fagotto che era un bambino bien: do, robusto, morto, con la faccia simpatica, ei capelli Junghi, di quell che si pettinano alla mascagna, arove: scat allngid, Cerano molt crate e mucchi di terra si Seavava dove diceva la gente esterrefatta: veniva fuori tuna valigeta di fibra, e uno diceva: «E dela mia bambi- ‘paw; poi veniva fuori un piede di donna, con la sua se pa, € un altso diceva: «E di mia moglie». Ognuno si ri prendeva la sua roba, € quando Vavevano in mano non sapevano cosa farne ‘Ogni tanto ripassavano stormi di aeroplani bassis una parte della gente si spaventava, altri no, Quando i mort t ferti furono sistemati,ripartimmo; nel frattempo qual- feuno mi aveva rubato la bicicletta. Lingegno degli italia- fi non cedeva ai bombardamenti, Pensavo di rubarne I pico ested ” PH ,cap non melo ticordo pit bene, sar stato press’a poco a metit strada fra |'Ortigara ¢ la malga Fossetta. La luce si che me Ja ticordo, era color cachi, calda, poco meno che arancio- ‘ne, In questa luce siamo davanti a questo capo, il Cocehe {a rapport, ec presenta come “fermatie disarmati” «Al partigiano Cocchen dissi io «manca solo il senso del ideslow ‘Cominciai a dare un breve resoconto; il capo cono- sceva Antonio Giuriolo, e disse che era contento di sen- feo che em rll” Alpiano, e comin a fare le scuse. Al lors io mi mis immedatamente a difendere 'operato {id Coccher dist quanto scrupoloo, punigiosoe sm patico 'avevo trovato. I capo disse se volevamo favori- Te. dato che i rancio era pronto, ip per bigolo comin- Guia faare, dcendo che non volevamo far tard, pet vedere se Lelio sarebbe andato in svanimento. “Altra sgambetto della memoria; cadiamo, quei quat tro rageatotil eheeravamo,faot della mia memoria, Sempre in una luce la cui impostazione generale era co- jer ettacione; sopeawiene un orgasmo melmoso Dol siamo seduti con qualcosa di caldo ¢ liquido in un reci- Heute che teniamo tra ginocch,sprofondiamo fuor della mia memoria. ‘Si ricomincia quando incontriamo Antonio e i due in- glesi, Walter e Douglas, alla malga che si chiamava la Fossts gl sbbiamo portato quiloss da mangire, do ‘yevano avere una brutta fame anche loro, perd bisogna dire che Antonio pareva sempre un po’ fuori da questa hnostra rozza dialettica della fame, forse perché era pitt Vecchio di noi; i due inglesi erano duri come chiodi, TeSERS gem al cenzo, come io ho spestotovato che ‘sono nel loro intimo gli inglesi, quasi femminei. ‘La malga era vuota, nuda: in cuta la zona alta dell’ Al- tipiano le malghe quel!'anno furono senza occupstori, ‘naturalmente la gente aveva paura, c inoltre Je autorita facevano i loro divieti, contando di affamarci. Questo “4 1 pico maar G4 un emo, fame ne avevamo gi tanta che fama pit era praticamente impossible, ma le autoritaten- favano, tentare non nuoce. A noi delle autoriti non ce ne interessava niente, ¢ si prendeva per naturale che le ‘malghe fossero vuote. _, Questa malga perd era singolarmente vuote e nuda, era intomo una pulizia, una poverti, una lindura che mi rurbarono. Sentivo un fondo di contentezza turbata, piacere fisico di dire qualche parola in inglese, pudore. Antonio e gli inglesi si eggiravano di qua e di con aria uietae circospetta, rsicchiando quello che avevamo portato, chincchierndoc un po nwa che palrane tutti sottovoce. Toe Nello stavamo ad ascoltari. Cosi devessere stato per i primi crstiani quando git errivava un apostolo in casa, Antonio non era solo tees Tutoette dee anni pid vecchio di noi era un anello della catena apo- stolica, quasi un womo santo. Senza di lui non avevamo veramente senso, eravamo solo un gruppo di studenti alla macchia, serupolosi e malcontent; con lui diventavamo tutta un’altra cosa er quest'uomo passava le sola tradizione alla quale si poteva senza arrossire dare il nome di italiana; Antonio era un italiano in un senso in cui nessun altro nostz0 co- oscente lo era; stando vicino a lui ci sentivamo entrare anche noi in questa tradizione. Sapevamo appena ripe tere qualche nome, Salvemini, Gobetti, Rosselli, Gram- sci, ma la virtt della cosa ci investive, Eravamo catecu- ‘meni, apprendisti italiani, In fondo era proprio per questo che eravamo in giro per le montagne; facevam fuorileage per Rosselli, Salvemini, Gobetti, Grams per Toni Giuriolo. Ora tuto appariva semplice e chiar. Sompitvume di soddefiione peché er arivato T « anche nelle rocce, nel bosco, pareva che se ne vedesse un segnale. pico mes 452 Quando Antonio giudied venuto il momento, ci stac- cammo dal Castagna, Ora si vedeva chiaramente che trano oppo legati alla loro impostazione locale pez po- ter continuare insieme: e Antonio non intendeve fargie- la cambiare controvoglia. A differenza di noi, Antonio ‘non aveva alcun dubbio sull'orientamento generale de la nostra attviti: sapeva esattamente come andava im postara lintera faccenda, ¢ nei momenti di crisi non esi- tava mai. Era l'ora dei bandi e degli sbandati, acrivava gente da tutte le parti; ma Antonio non prendeva siem- meno in considerazione V'idea di araffare questa gente ¢ imbandarla in qualche modo. Non voleva sbandati-im ‘bandati, ma partigiani gia convintis una 0 due vote, nei momenti pit critici, fece anche un discorso, sforzandosi Gi parlare in italiano anaiché in dialeto, per aggiungere igravith acid che diceva. Sono tra le cose pit belle che r- ‘Cordiamo di luis si rivolgeva con estrema semplicita alle ‘volonti ste della gente, mostrando di credere che su null'altr al mondo si pud costruire. «Chi sente che vuo- Te fare il partigiano, cio’ resistere con le armi, perch & ‘iusto cosl, non si spaventeri di quello che trova qui ‘isagio, ci rischi, ele fatiches chi non sente cosi, & bene che vada via; non @ vergogme, se uno non sente cosi; ma ron deve iluderi di fare il parigiano; il suo posto non é qua.» Cera qualcosa di semplice e grave in questa impo- Stazione. Dopo che Antonio aveva patlato, quelli che re- Stavano con noi si sapeva che erano pavtigiani. Ora si ca- piva che presso il Castagna, ¢ tra le nuove reclute, i partigianie gli sbandati erano mescolati insieme: ¢ fin the stavano i, non cera nessuno veramente capace di sceverarli, La “politica” nella guerra civle signficava ‘questo; non centravano i partti, era questione di avere ‘0 di pon avere interesse per aspetto politico (cioé ant fascista, ¢ quindirinnovatore) della guerra, "Antonio, che era ant-militarsta, ion sentiva molto la guerra come problema tecnico; ea del tutto indifferente 1 pico mace ” al sipo di scoppi e di spari, ¢ ogni rigido programma, non perché volesse aflidarsi al caso, ma perché credeva che di che veramente importa nell ateggiamento della pente, il esto viene dopo. A me ogni tanto passavano per la testa i dilemmi: piecolicolpi o grosse azioni dimo- ftrative? arroccarsi o ambulare? specializzarsi o expan- dessi? Per Antonio non erano dilemmi, ma pessbilia, astratte per ora, e di poce importanza. Dove affioravano Je cose importanti, quelle che distinguono un reparto partigiano da un’accozzaglia di sbandati,interveniva con fautorita. Aveva un braecio al collo, perché smoatando luna rivoltella aveva esploso un colpo e s'era trapassata tuna mano; non era affatto imbarazzato di questa ferita ppoco eroica, € non cercava di inacerbirla coi sarcasmi, ome certamente avremmo fatto noi. «Ma guarda che seccaturas mi disse. Era quasi un mese che aveva questa ‘mano bucata “Pensa mi disse. «f! un mese che non mi lav la fac- cia» Mi venne da ridere e li si arrabbi, tanto che do- vetti dirgli: «Ma @ solo un tiflesso condizionato! E come sentir dire una brutta parola. Ci hanno allevati cos» "Toni disse: «Ma si, hai regione, «De resto» diss, «credi che in questo mese io me la sia lavata molto spesso, la faccia? Non patliamo poi di Bene; hi se la sar lavata sie no due volte.» Toni si mise a ridere. Chissi che cos'é veramente il iso? Forse c'en- tava con la sua mano bucata. Gli diss: «Sai, quando & orto Bergson io ho scritto un articolo idiotae ignoran- te, penso che me ne vergognerd per un bel pezzo>. ‘Lui mi disse: af giusto fare i conti con se stesi, ma a tun certo punto bisogna chien To gli dissi: eB solo un aspetto di fare i conti col mondo: non me la sento molto. Mi pare di avercela cal mondor. ‘Ti piacciono troppo le stramberie» disse Antonio, istuferai» 454 1 pect macs «Sc cifosse un buon pastto anarchico» diss, «forse i rio posto sarebbe i» ‘ disse Antonio. ‘cLo som disss «ma prefertei lo stesso. ‘Antonio disse: «Guarda: mi si fermato Yorologiow: aveva un orologio nel taschino dei calzoni, € ogni tanto Io tirava fuori con un gesto nervoso. ‘Di queste cose parlavamo di rado con Tui. Stava un po al di sopra dei nostri traffic, cot suo braccio al colo, fi occhi azzurzi chiar, il viso arrossato dal sole. Ci la Sciava traficare, sorvepliandoci vagtmente con lo sguar- do, Era ben piantato, robusto; tutti Jo chiamavano il ca pitano; armi non ne portava, tranne una pistola, quella con cui sera bucata Ia mano. “Tendeva aisolarsi, a camminare da solo come pet 1: ‘eonascere i post; qualche volta andavamo con lui a fare passegaiate ci Stato Maggiore, parlando di politica, di Jetterarura¢ di flosofia, anzi della storia di queste cose, perché Antonio storicizzava tutto spontaneamente. Era Jin italiano calmo: sdrammatizzava le cose che noi erava- mo indlini a drammatizzare. Anche quelle selatvamente ddrammatiche, quando noi gliele proponevamo, e lui da- val suo assenso, non parevano pil drammatiche, ma sensate eragionevali ‘Non fu per suo errore, se appena fummo organizzati “Sir disse il Suster. «C'era una camionetta tedesca.» “Doe in cabina, ¢ tre 0 quatro dietro» dist io. Si» disse il Suster. «Li hai visti anche tu?» “Sono veruto fuori con loro» dissi. Sono smontato ui dietro» ‘Salute» disse il Suster. La donna era una staetta appena venuta su dalla val le, Era un gran bel pezzo di ragazza, in blusa¢ calzoni, Facova pensare un po’ a una lanciatrce di peso, un po a ‘una viella Si chiamava la Gina, "«Pensavo che ci fosser0 i miei compagni» diss. “Dov'é che hai detzo che site stati rastrellat?» disse al Suster. To veramente non avevo detto niente, si vede che bar stava guardarm. «Sul Colombaray diss. Il Suster disse ‘che allora potevano essere in qualungue parte. «Dovrs andar git in pianura» diss: «Si faranno viv, se sono viv. ‘Dotimimmo all’aperto, senza guardia, Eravamo in cin- ‘qucin tutto, quatro loro, e io. Uno aveva un'infezione a tin piede, e pensavano di star ad aspettare che gli pas sasse ‘La Ging, il Suster gentilmente la mise a dormire fra mee lui. Era una montanara praticamente da quintale, ‘Ogni volta che I'occhio mi cascava sui rialti det fianchie i volumi delle cosce, nel sangue mi si faceva un vuoto daria. Mi veniva la tentazione di tocearla, anche solo ‘con la punta del dito; ma non osavo assolutamente. Do- ‘po un po’ si giro sul fianco, voltandomi la schiena, C’e+ pico mest rano poche stelle; ¢ fra me ¢ loro la grandiosa montegma ner del seer, chee lo unr dati te “Se artivo a vederl, la pace” pensavo, “voglio procs sarin dere con anche is grand, horernclo <«E poi pensano, eutto quello che pensane filosofia» » «E poide 4 poi muoiono.» * Poi lei ci salutd, e riparti verso le frature a oriente 326 I picol mest che saltano in Valsugana, per tornar gid in valle. Noi re- Stammo fi senza far niente, alcune ore, €a un certo pune tori accorsi che si preparava un temporale, qn alto monte col cappello della nuvolaglias soto, le ‘bracciate di nebbia che calavano qua ¢ lia imbotrigiare Tp valle come tappi. Tutto avveniva sveltamente; cera una tensione meraviglioss, eC’ un rastrellamenton mi disse il Suster “A questora qui?» dss io, Sara stato mezzo batto. SSivede che hanno Forologio indietro» disse il Suster Li scongevamo distintamente « meta valle, mezz0 chi- ometro davanti a noi, dalla parte dove ero venuto st io It era prima, Erano italiani, Tl vemporale era quasi pronto. Lara era divencata violet, erano quegl ulti prepara drammatici, con tutte le nuvole che vanno @ Pender oro post, le coste del monte ce scarica. Pal elttricta. Sentivamo ques cletticta accumularsi ‘ache in no, fo avevo preso il parabello de! ragazzo con Tinfevione, Facevamo lereralmente scintile, if parabello imi crepitava tra le mani. Queli con Vorologio indietro Tomineiarono a sparare da tre 0 quattro punti soto di noi, si schieravano per venit Su ‘Non potevamo pit muoverci 8.noje il borco cert tun tratto scoperto che finiva in un pendio erto e nud. ‘eRestiamo quar disse il Suster ‘Gli schiocebi dei primi goccioloni venivano a spiace- cans sulle nostee facce come sbecle. In un atimo eravamo che noi in mezzo a un pulvscolo ci nebbia clrtiazata, drama tensione accresciuta, quas isterica,inverosimie. “Non possibile” mi dicevo. “Non &credibile.” Sparave- smo qualche colpo singolo, a cassccio. Poi cominci® una Specie di finimondo: sffiche di pioggia, grandine, step we Dicxro di noi, sulla chiostra dei monti, c'era un pa- tapetto i fulmini turchini, comic Fitts i fulmini che o ballavano davant erano bianchi: sivedeve la nebbia strac- has ela forca accecante balare a mezz aria. Ora in bas- pool macs su ‘so non si distingueva pit nulla, altro che un'enorme con- fasione To ero stufo di essere sempre in mezzo a questi ra- sclaent fo obo. Mi sen vogaents exo per il gran rumore, il senso di esser preso tra forzeirre- sistibili, Mi venne in mente che sarebbe facile farla fini. ta, andargiincontro; ia mezzo al chiasso sentivo un lan- guore, una voglia irresponsabile di scherzare. «Che andiamo a fare come la plebe vile?» dissi al Suster. Cova ido Suse ion si capiva niente. Ci avviammo in tre, git per Ia Sen ee Soca en naeca dpa ‘dine da montagna, sparacchiando. A un certo punto ti- rai la canadese, affidandola ai vortici della pioggia. Scen- demmo tutto il mezzo chilometro senza danno; non mi sentivo bagnato, mi sentivo un ruscello, l'acqua scorreva dappertutto; quando fummo in fondo, noa c'era pid nessuno. Si vede che li aveva dispersi il temporale; tem- po petmettendo, avrebbero facilmente potuto acquista- re altri nove punti in Rastrellamento (parte pratica), per ali esami di sergente. ‘Non tuonava pit, pioveva liscio ¢ fitto, Le canne dei parabeli traboceevano di acqua. Li sgocciolammo, poi avendo: ne ieee oon ciascuno, lo seari- ammo addosso al bosco. Laltro ragazzo si - Tecche-Tecche. ine hemwal Credo che al Suster piacesse questa curiosa escursione, eckcleoekee ds paemia ora prov dlcorggi «Vuoi restare con noi?» disse mentre ci asciugavamo; ‘fo mi seni ventato, ma ressttt ‘Il Suster mi disse che potevo fare il vice-comandante, se stavo con loro cpa dissi. «Voglio trovare wane dei miei com- pagni, qualcuno ce ne sari ancora. E meglio che stiacon Joro, perché li non devo né comandare re Na. turalmente tra i mici compagni sdottorerd un pochino, 58 I peal mes perché #Ja mia natura, ma in complesso sdottorano an- che gli als, e cos saremo sempre par.» «cChe lungo discorsom disse il Suster, «per dire che qui con noi non ti piace.» ‘eMi piace troppo» dissi, «Non si pud sempre diver- tissi> Ci dicemmo arrivederci, col Suster, ma non ci si& pid eivisti; perché lui in settembre mori impiccato a Bassano, ¢ se restavo con loro, chissi se questa fine la facevo anch'io, Ogai volta che passo sul viale degli im- piccati, a Bassano, ho la sensazione di sapere qual era il rio albero,j Tnsomma ci salutammo e io parti, disarmato,e in un poio d'ore ero di nuovo sul ciglio meridionale dell Ali- piano, come Paltra volta, nello stesso punto, alla stessa fra, con una lunga ombra soto ai piedi, come se liner- ‘mezzo me lo fossi sognato, e guardavo la pianura li sot- to, fumigante, e studiavo il mio itinerario come su un plastico della zona Timiei compagai in quel momento erano a non pitt di un’ora di strada alle mia desta, in Bosco Nero: bastava solo saperio. E dite che c’@ gi tutto in Mazzini; perché Mazzini & daveero anche lui uno di quell in cui c® git tutto, come Sant Agostino. 1 Capitano non ordiness mai un esalto (intends né una fuga] senz'ver prima indicato ai mili pel caso di dspersione inevitable, i puto di iunione dopo la zfs Col punto di riunione ei saremmo risparmiati, dopo la zuffa, un sacco di fatiche,e io vari giomi di strada. I miei compagni superstiti erano li in Bosco Neto, io rnon me lo sognavo nemmeno, ¢ pet cercarli doverti an- dar gi in pianura, Bastava saperle le cose, ma noi non le sapevamo, e dovevamo scoprircele per conto nostro. fine delle scoperte fossero finiti anche gli scopritori. Ad Era un modo lento e dispendioso, col pericolo che alla 2 1 pico mses ‘ogni modo io dopo aver guardato la mia ombra hunga ¢ sciocea sui prati di smeraldo, andai gt. TI giorno stesso del nostro secondo rastrellamento, il dieci giugno, Guaktiero e Giampa, nostri compagni di studi, terminavano i preparativi per venir su da noi ‘Vennero infati ¢ io penso che per la strada siincrocias- sero coi rastrellatori di ritorno. Erano alti tutti e due, ¢ gran bei ragazzi; uno biondo, strambo, sportivo, Palio scuro di capelie di barba, rffinato, angoloso. Arrivato: 1o proprio il giorno che io stavo camminando verso nord-est in trance, mentre Dante dormiva « Gallio per dimenticare ifantasmi;e trovarono in Zebio i resi della piceola banda stracciata «C8 stato un po! di movimento» disse Bene, per spi gate la situazione. «Toni non c’é pit, e neanche Nello, € reanche Dante e neanche Lelio.» Di me dissero che ave- vano trovato le scarpe. «Dove saranno andati?» disse Giampa «Mah» disse Bene, «Cosa vuoi sapere, dove si va?» «Gencricamente in mona» disse Enrico, «Alegria» disse Giampa. «Ci sono armi» disse Gualtiero Cenverano, e gliene diedero, «Magnifiche» disse Gual- tiero, ‘Andava cos), disfatta una incamazione della band ‘cominciava subito a formarsene un'altr Il nostro no ie, anche quando eravamo git andati genericamente in ‘mona, atirava nuovi partigiani. Facevamo gia scuola, Dove cerano due o tre di noi si pud dite che c'era la banda, spesso & difficile oggi stabilire chi c'era o non ‘era personalmente in un dato momento; bisogns do amandarlo a lui ditettamente, se @ ancora vivo, € s€ no, pce: non si pub pit sapesto. Era la cosa migliore in tut ta questa faccenda, che avevamo davero un senso col- 1 peo meses «Dove sono i tusi?» ‘Sono andati gi in pianura; dicevano ch re il terrorismo concreto.» ‘eB, quando tomano allora?» aMloh» 2 per me, cosa hanno lasciato detto?» aNiente» “Puttaniers dice Renzo; e per dispetto riparte subito in cetea di comunisti, ne trova sul ciglio occidentale, si ette con loro, e comineia a tempestare. Gid gli spunts- no i terribili bafi rossi su cui I'aurunno ¢ Vinverno son prevarranno. ye vanno a fa- Eravamo di nuovo una dozaina, nove fissi due o tre ageregat saltuat,tuti armati di parabello, salvo Raffae, fe che era venuto con un mitra, ¢ Marietto che aveva i 91, Lo mettevamo ultimo quando camminavamo in fla per uno, co suo bislungo 91 in spalla, La canna slta pa- eva un'antenna. Marietto era miope, vergine di naia, € fon questo fucilone in spallaarrossiva di piacere. Era i pit giovane di noi, matricola di filosofia, ¢ brevissimo. La squadea pareva perfetta. C’era pitt grammatics tra oi, pil sintassi, pit eloquenza, pit daletica, pid scien Ze naturali pure e applicate che in ogni altra squadra partigiana dal tempo dei Maccabi. Turavia delle nestre ravare di studenti eravamo piuttosto imbarezzati, spe- cic coi nuovi venuti, Raffaele, Severino, che erano wom ni di altra provenienza. ‘Eran vero sollievo avere tra noi uno come Severino. Noi parlavamo delPatto puro, lui di quelli impuri noi discorrevamo delle operazioni della Gironda ¢ della Montagna, e lui ci raccontava di quel suo amico con le temortoidi, che non aveva i soldi per farsi fare 'operazio- he, pereid sera dovuto ingegnare a operatsi da sé. Si ‘re fatto lepare peri piedi a una trave in camera da leto, in modo da spenzolare con la testa in git davanti alla Tiel meri 37 specchiers dell'armadio, e con un rasoio a mano si era ‘perato. Il sangue cadeva in un catino collocato pet ter- +8. Questo suo amico faceva quasi tutto con le corde, anche 'amore con la moglie. «Non si potrebbe reclutarlo?» dicevamo noi. Ma Se- verino 'aveva perso di vista e diceva: «Forse sari con le Brigate Nere>. ‘Anche Raffaele era una novita tra noi aveva la nostra efi, ma pareva pit giovane; cid che siricorda un ragez: 20 biondo, ¢ di espetto deicato gentile, che attivd con tun mitra, Pareva scappato via dal cortle di casa, inter sompendo i giochi coi fratelli, Invece aveva pratica dei pericol della violenza, ne aveva pit dinoi. In pace ar rampicava rischiosamente in roccia, in guerra era stato in un teparto anti-partigiano in Croazia, Andavano in gio peri boschi che ci sono laggtt, non gia a rastrellare, ma a sterminare partigiani da pari a paris gitavano per ‘questi boschi come se fossero partigiani anche loro, ¢ do trovavano un branco di partigiani veri, seduti in ‘eerchio attorno al fuoco, si avvicinavano pian piano, ¢ li sterminavano, Qualche volta saranno stati i partigiani a sterminare loro; ad ogni modo Reflaele era restato vivo, ¢ all armistizio si era tenuto il mitra, questo mitra da semninio, ¢ ora era qui con ni. 1 capo ulficioso era Dante, Pavevamo rieletto infor- malmente, Luisi era schermito, ma noi eravamo stair. removibili, gi avevamo ordinato di comandare. In reat nostro comandante era una specie di presidente; le de- ion venivano prese democraticamente, anche in pre senza del nemico. Si andava ai voti, magari bisbigliando pernon farci sentire. Accadeva che, a turno, ciascuno si ‘rovasse a fare le funzioni di un vice-comandante di fat- to, quando qualcosa gli stava particolarmente a cuore; i pit vice-comandante di tuti credo che fossi io, almeno in pratca: vero che mi consideravo pari grado con tut tipli altri, ma anche vero che davo un sacco di ordini a8 1 pice mace \ Fu la nostra seconda manicra, Possedevamo una no- stra tecnica, non i sentivamo pid apprendisti, ma mae- stri in proprio, gelosamente incipendenti da ogni scuo- Ia, eigorosi, esigenti. I comunisti sparavano di pid, € guastavano con mano pid pesinte; ma noi avevamo pit tive il senso delle conseguenze dei guasti e degli spar In certi momenti ci pareva di sparare poco, © guastare male, eravamo inclini ad accusarci di inefficienza, ma tadesso mi & chiaro che la nostra scrupolosita.non era priva di pregio anche nel confronto coi comunisti. Loro fvevano comandanti e commissari gia sposati a una dot- trina generale sull'uomo, e la societa,¢ la guerra in gene re, e quest in ispecie; avevano alle spalle tutto limpisn- 10 del comunismo intemazionale, che & certo uno degli impianti pit impressionanti del mondo (perd non Tave- vvano mica fatto loro). Noi non avevamo niente: doveva- ‘mo giustificerci ogni pid modesta esplosione, ogni pit piccola morte. “Arcigni nei conceti di fondo, garbati¢ quasi soavi nel- 1a fattspecie, non prendevamo nemrmeno in considers. zione Pea di fucilare qualcuno villanamente, Inoltre, ron volevamo rompere senza pagamento (coi buoni), non spaventare senza bisogno, non assassinare senza spiega- oni. Queste erano le intenzioni: in pratica poi, non rom- ‘pevamo molto, non spaventavamo che mediocremente, € zon assassinavamo quasi nulla; un gruppo di artigiani-ac- ‘st, dalla produzione severamente limitata, ¢ con un for- te senso di autonomia professionale ¢ personale : Credo che siamo stati gli unici, in tutta la zona, a ti- fiutare fino in fondo di essumere nomi di bataglia. Lu- tlita ci pareva dubbia, «come fato di stile ci ipugnava Larcadia dei nomi @ antica malattia italiana, semmai i nomi che spettavano a noi sarebbero stati quelli deg ar- ‘adi e dei pastori, Menalca, Coridone, Melibeo; o forse degli accademici in maschera, lInzuccato, Intronato, Viperbolico. Coal in mezzo a Tigre, Incendio, Sacra, re- 1 coli mace a stammo Mario, Severino, Bruno. Questo Bruno era uno dei nostri da Vicenza, ma non fu con noi tutto il perio: do: quando venivano a trovarci i comunist, si infilava una lunga penna bianca nei capelli ner, eli iceveva co- si. Mentre russic alleat tiravano il collo al nazismo, noi cescavamo almeno di tirarlo alla retorce. Forse la cosa pid importante era di esserci di farcive- dere armati sul lungo crinale che accompagna dall’ato Pandamento della strada, fino a Vicenza. Lo percorreva- ‘mo spesso, da Torreselle a Ignago « Monteviale; 2 sotto, la pianura epparteneva a loro, almeno di giomo e lungo Je strade; qua in cima, a un tio di fionda, i piccolo rea me delle colline apparteneva a noi. C’erano convenzioni analoghe a quelle che sepatano gli stati. Cerano tolle- sanze. Noi potevamo andar git a nostro rischio, ¢infati i andavamo; loro potevano venir su a restrellare un po’, e infati qualche volta vennero, Ma come noi non presu mevamo di oceupare il loro territori, cost loro non pre- sumevano seriamente di occupare il nostro. Il problema del tertitorio si era risolto da sé: non era piut la zona chivsa e fortificata da difendere palmo a palmo, cose as- surde; era aperto, accessible. Ma in realtt non vi ace: devano se non per breve tempo, ¢ con poco sugo. Si esercitava questa signoria precaria, avventurosa, sulle caine e sui paesetti lass; la notte siscendeva a vorare la buia campagna, Avevarno i novi esplosiv pl stici, che un tecnico con la valigetta era venuto da Vicen- 2a a spiegarci. Era venuto in bicicletta, con Je sue carte false, impersonando un commerciante di maglie e mu- tande. I detonatoti erano tubetti di rame tenero, verni- ‘ati a tinte vivac o blu, 0 0880, 0 viola; dentro avevano ‘una fialetta di acido che si spezzava schiacciando P'invo- Incro di rame coi dent. Il colore indicave il tempo, ma rei momenti di debolezza si poteva figurarsi che ci fos- sexo scoppi azzursi,e scoppi viola, e scoppi arancione. Lealba al campo ci trovava coi visi votatia oriente, ver 330 1 pico macs 0 Villaverla, Marano, Dueville: con gli occhi spalancati per captare ilampi delle esplosioni serninate nel seno del- Ja notte. Veramente Ja prima volta che mandammo Gigi e Marietto, per fargi far pratca (perché Marierto era ine sperto, ¢ Gigi pacifista) alla mattina non siuscimmo a identficare trai molt alt il oro scoppio particolare. Gli avevamo scelto un bel pezzetto della Vicenza-Thiene, lon- tanuccio ma agevole; oro si erano preparati con cura, ma anche con qualche riserva. «Ms ¢ importante la Vicenza- ‘Thiene?» diceva Gigi dstribuendosi i detonatori colorai in gro pei taschini. Tornarono « giorno fatto, perpless. Si ‘erano fermati sulla via del ritmo, ad aspettare anche loro To scoppio, il primo di loro fatture. Aspettando, avevano rmangiato i formaggio che Gigi sera portato in tasca; ma siccome lo scoppio non arrivava, « Gigi venne in mente che la fetta del formaggio e quella del'esplosivo erano {quasi uguali di formato e di colore; enon gli parve vero di poter giocare un po’ con l'dea di aver sbagliato tasca. A ‘oi disse che, se cera stato un errore il gusto dell esplosi- vo & un misto di sapone e di creta, ma provale la creta, ‘Aggiungo che quello del formaggio era press'a poco lo ‘stesso, ma forse prevaleva il sapone. “Atm, camicie inglesi, detonatori ¢ margarina ci arti- vavano di notte. Sceglievo io i messaggi per i lnc, ma dovevo tinunciate ai pit belli che mi venivano in mente. Gili annunciatori di Radio Londre avrebbero scioperato piuttosto che indursi a pronunciarli ad alta voce. Uno che mi pareva carino ¢ possibile mi fu timandato indie- tro dalloperatore, Diceva: Hanno ucciso il re con palle dre. Naturalmente @ una citazione. Avevo accluso un chiatimento, che il testo non vuol dire, come potrebbe voler dire: Il re aveva tre pale, ¢ loro Ubanno wcciso, ma semplicemente: Per uccidere il re, banno scelto il metodo delle tre palle. Ma non servi a mull, in queste cose gli in- lesi sono permelosissimi. Tlanci in pianura erano memorabili. Buio pesto, per- I picol macsi os ‘ché si sceglievano le notti senza luna; incontr alla cieca, frotte che sbucano dai quattro cantoni dell orizzonte, bi- sbigli in mezzo alla campagna. Quando artivava il ronzio dell'seroplano, si secendevano le fascine per campire il prato; una pila segnalava in Morse: E qui, moll, Tl cielo nto si riempiva dei fantasmi dei grandi paracadute in arrivo; si spartiva in frtta il materiale, ¢ si cominciava a portarlo via. I cani abbaiavano per chilometriintorno. ‘Mi trovai solo con Matieto in mezzo ai campi, col so- lito carico spropositato, barcollando tea solchi disugus- Ii, Lui2 miope anche di giomo, e andd subito a sbattere contro un flare, ¢ fece un'impressionante caduta. Porta- te mezzo quintale non 2 niente, il bello & metterselo in spalla. Passammo la notte a provare. Marietto era osti- rato ma inesperto, Quando andava su il carico, andava sid Mariette viceversa, Non so se anche « lui venivano in mente i miti appropriati Era un pezzo che li avevamo trai pied, quello che facevamo veniva disfatto, quello che portavamo sul monte rotolava git; su e git! quaran tanove, non era mai finite, Rotolando e strascinando er- rivammo sotto al campo che albeggiava. ttorno a noi 'abbondanza ¢ la varieta intrecciofito della partigianeriaestiva, Ie vitalita dell'Italia, inal Nei paesi c'erano territorial, sistemati nelle proprie ‘ease, 0 in stato di occultamento parziale, 0 pit spesso con qualche esenzione ¢ mimetizzazione autorizzata ‘Arevano armi nascoste in orto 0 in solaio; partecipavano ‘t qualche riunioncina nottuena, per contarsi, ricevere ‘rdini, andare a prelevare un lancio, Erano in fondo gli ‘eredi direrti di quelli che fin da principio volevano, in ‘ascun pacse, “difendere il paese”, teners in serbo per *l momento opportuno”. Rapprescntavano lala mode ‘ata, attesista della Resistenza, Ora perd si vedeva quan: ‘to importante era diventata la loro funzione. Erano loro 560 1 picli macs to», Per ambientati gh si dava qualcosa da fare, ancora Al primo giorno, una piccola spedizione in piamura, una mnissioncina a un reparto vicino. Berto arrivd una notte, ‘on an amico, e alla mattina li mandammo dal Negro a prendere alcuni caricatori ?artizono di buon pasto canticchiando motivi di can- oni, qualcosa di mezzo tra gli Aspiranti ¢ la Giovane Montagna. Si vedeva che erano ragazzini bene allevati, puntuali alle messe, ani certamente cepaci di risponden di per- Sona, prodotti tipici dei nostri oratori vicentini, queste forge di chierichett-caleiatorie di cantos-alpinist. Non cerano perd ragazzi bigott, anziallegr e perlino scanzo- nati: non avrebbero mai detto una bestemmia, ma le brutte parole si, come i bambini. II loro interesse per la Resistenza era difficile da valutare, Dice Berto che quan- do arrivd su da noi, i che ero a riceverli, dopo le prime Sccoplienze, gli domandai severamente: «Perch sci qua, tude e lui, preso alla sprovvista, non sapendo cosa altro ‘dirmi, sperando di farmi piacere, disse: «Perla bandiere della Patrian. Sfortunatamente io avevo la lune, e eli dis si ancora pi severamente: «E cosa te ne importa a te ella bandiera della Patria?» (ma non dissi te ne impor ta). Berto aggiomandosi immediatamente, disse: «Non tne importa un fico secco>;e i gli dissi con estrema Severita: «Perché?». Qui Berto smise di rispondere, ¢ pensava; “Si vede che questa é la banda dei perché” nsomma questi due sincamminarono verso i crinali di “orresellecantiechiando canzoni, amezza mattina. “Puri e fori” pensavo; “sempre primi sulle vette: simpatici pero.” Ritornarono molto pallid, nel tardo pomeriggio. TErano stati accolticordialmente, al reparto del Negro: Era un ambiente pittoresco; c'eta un po’ di trumbusto, pperché quella mattina era in prograroma la distribuzione elle camicie. «Potete assstere anche vob» disse il Com- tmissario. Erano arsivate dal cielo, con le armi ei formag- 1 pico mas vo gio canadese; erano le solite camicic militar ingles, que EeaFpanno ac con a cunend sci pen. Berto e il suo compagno, vestiti in borghese, concepiro- ‘no una mezza speranza di beneficiere della distribuzione anche loro. Un aiuto chiam 'adunata, ei panigiani ven- nero a frotte, raggruppandosi davant al Negro ¢ al Com missatio, Berto ¢ il suo amico erano aggrepati a questo ‘gruppetto dele autorta. Il cielo ere ako sereno. 1 Commissario comincid « parlare con la sua aia ne sligence,¢ annuncid uffcialmence a dstibuzione delle cance Samo un sas ance discarpen dma {tanto cominciamo con le camicie> Lui personalmente rain cubated pez calor cenereeracmpre coh la ‘cosa si adiceva alla sua aria negligent; pareva un vezo, ‘un modo di viziate i pied. Era un uomo rachitico, che ssn ed ee pos apogee man come tno che éstanco, l piccolo micragiatore fuori ordinanz Evo pear anh 7 al ml ane suche samo cua dices ene arproisiano sache pet fate un controll delle armi per conto del Co- eev ann Pees tlt Gli aut si misero a fare il gro, ei partigiani consegns- vvano le armi. Improvvisamente si fece un trambusto, un rimescolio come quando si sizano delle bes. Il grup- po dei partigian disarmati si allargformando wn semi terchio: in mezzo, steti fra tre © quettro sgherri con le fanne puntate, cerano due uomini con le mani in alo. rano visibilmente duc fratelli, abbastanza anziani ‘molto robusti “Che sia una specie di Vestizione?” si ‘mandava Berto. I ginocchi impensieriti si facevano an: che lore delle piccole domande. Le canne degli sgherti erano disposte a raggiera; il Commissarissveva lato qualehe paso avant, sempre appoggiando le mani al suo piccolo mitragliatore. Ora faceva perno sul calcagno del piede sinistro, ¢ con la punta della ciabatta di pezza accompagnava le parole. I pion macs 62 Diceva: «Riale Giovanni e Riale Saverio, colpevoli di farto, condannati a morte. Liesecuzione avri luogo ora» T due frateli grdarono: «No, dio-ladro! 11 Commissario gridd: «Si, dio-boia!» Tl resto del dibatrto si svolse concitatamente, ciascu- na parte portando gli argomenti dell ara. ‘Riale Giovanni e Riale Saverio: «Dio-boia!». Commissario: «Dio-ladso! Riale Giovanni e Riale Sa Commissario: «Dio-boia!». ‘Ora il Commissario sparava, sempre continuando a sostenere il suo punto di vista; i due fratell,rimbeccan- do, cominciarono a scendere ¢ si accartocciarono. 1 gi- nocehi di Berto bartevano forte ¢ a Berto pareva che il battito si sentisse. Tl Commissario tomd indietro un paio di passiciabar tando, ¢ disse a Berto: «Vista la mira?» poi diede dispo. sizione per la riconsegna delle armi. Berto guard® di sfuggita due fratelli aceartocciati: sul corpo avevano spruzzi scuri che si allargavano. ‘Questa fu la distribuzione delle camicie. Da allora Berto e il suo amico ogni volta che veniva annunciata qualche distribuzione, trasalivano. TRisulio in seguito che sapevano praticamente tuti gl inni dell’ Azione Cattolica e del Littorio, specie quelli delle organizzazioni femminili, dalle beniamine alle ma- ‘dri prolfiche, dalle figlie della Iupa alle figlic di Maria. Era il loro modo, estroverso e umotistico, di crticare le cose tra le quali erano stat allevati, In fondo era il loro perche. La pid bella di tutte era quella delle “mamme di ‘domani” che diceva 1 nostri piccioleuor picciol ma ardent amor ome uccellin gorehegsiant cattano: Salve Duce liberator! I pico meer 50 Questi due avevano capito benissimo che il centro della cosa & quel piccio! maschile plutale,e infattlo can- tevano in modo squisito. Le giomata era piena di cose. Colle prime luci del siomno arrivavano auromezzi rubatis la consegna avveniva Sulla strada asfaltata, in pieno territorio nemico, davanti Al cimitero vecchio di Isola. Ci davano anche le parole ‘ordine, perché i catturatori erano vestiti da tedeschi fscisti: ma non si vede a cosa servissero. La prima volta che ci andammo la parols era “barba”; cutioto, trovarsi all'alba sul cancello di un cimiterino, infreddoliti, mor- rmorando: «barba, barbs», attomo a un camion di tede- chi che parlavano il dialetto di Thiene. La preda era molto mista, quella volta, ¢ solo indirettamente bellca: ‘cera fra lato un gran sacco di galline di perina bianca, ‘ive. “Tl cerchio é chiuso” mi sicordo che pensais “siamo aurivat alle galin "A volte toccava a noi far sparire gli automezzi nei campi; qualcuno s'impuntava su un ponticello rustico, seivolava in un fosso; ¢ non restava che portarne via il pid possibile in forma di pezzi di ricambio. Poi ceranole visite al Q.G. del Ta, che ci riceveva se duto per terra suonando la chitarre, accanto « qualche prigioniero sedto anche lui per terra a torso nudo. Da tun arbusto pendeva una cinghia di cuoio; I aecanto un Tuogotenente, davanti a uno specchio appeso a un rarn0- scello, si faceva la barbe ‘Ceerano lunghi giri per le colline, « cercare contatti coi partigiani delle zone pitt lontane, in Val dell’ Agno, fui mont di Recosro. Ogni lungo giro era un'avventura, Sincontrava continuamente gente che pretendeva di ar- restarti, di sequesteare le tue armi,o addiriteura di pas- ‘arti per le sue. In cee vali contavail mio nome, in al- ‘ne quello di Enrico, che era di Valdagno, in altre ancora Janostra pratica, ea {pc mec Cerano riunioni tecniche, per preparare i “coli, com aecelerati di addesteamenco alluso dei plastic, so ealuogh, peefino udienze. Veniva gente da tte Pat Pr edtarch, come piccoli oracoli sul monte. Chi “jgedova consiglt militar, chi mora alcuni portavano Fi augur del semainaro, ats le svances del questo, are ancora, Tuts fungevamo talvolta da consulenss Taaereceatr Le anime in pena, li davarno a Gigi, che era pazicatee rllerante ‘Le apine si facevano verso sera, sempre di conten te schisttamente poitco,¢ delicate nella forma Si entrava seat pistale in pugno, ma domandando permesso; st se eavs la famigliola seduta a cena @ non spaventars i spegava la natura legal e ordinata dell operaions,« wecdevaa fri, Severino corzeva con Fecchio ai Pied Tice uomini, perché aveva le scurpe Forte, ¢ speraet sea re di trovare qualcuno col piede grande come i ‘uo, ma senza fortuna. Ciena bens fra i nosts sostenitor di pianura un grosso fabbrieante di scarpe, disposto a rifornici dei suoi pro: drei ma il numero i Severino non I'aveva neanche I Qeio sostenitore i mandava periodicamente qualche prio di searpe e un messagio, sempre lo stesso: “Non Paceare” Aveva la fissazione del! attacco riservato. ‘Jor weniva la note, quando si va in gro a dissodare le ota sidiae 1 deposit di marmellata nist, ¢ gt (erSelanveci del campo di Vilaverla, e potendo # 80 pazeare ramatt “Duantn alle scarpe di Severino, il mamero buono 1> eden un giom 1 lui e Raffacle stano sulla sada i Priabona, in Val di Li ce Sreando un carretto quasi arcaico, titato da un arcaico scott. Parevano tesitoriali della Prima guerra, cones: trot! anriani coi baffi; anzi non parevano soldat ma siatosto magna, 0 forse crit mapas da qualche Fale non molto diversa dalla Val di La I phl mats ss [ Assivati proprio davanti a noi si fermarono per orina- ye. Uno si voltd verso T'impluvio della valle, l'altro si ac- eat alla masiera dov ero io si mise a orinarmi pat mente sul muso. Fu a questo punto che vedemmo che pied avevano,e tut etre venne Ia stesa tentazione Sepevamo perd che bisognava, a ogni costo, evitare di provocare itedeschi in quel tratto delle valle, Quest: due discorrevano bonariamente, in un loro dialetto, coi gragniti cori di gente che in complesso ne ha le scatole Sine, Quelo che stava avanti ame, separato da ano schermo semitrasparente di foglie d’acacia, aveva la te- sta all’altezza della mia, a un paio di spanne, ma teneva i oechi in basso, come si faorinando, Se alzava gli oc ‘chi, avrebbe visto i miei in mezzo alle fogliette delle aca- de in questo 280, ‘Sparare addosso alle persone, se capita per incidens, non fa impressione; si cammina per un sentieruolo di ‘monte notte fatta, col Gios in ‘Valstagna; a una svolta dal sentiervolo il Gios salta, pare un gatto, in un lampo ‘qualcosa di mulipfo, ti investe una ventata, un Sfabo di baccano;sbati per terra col ecto e col vis, pari anche tu come un matto, da sotto in su. Queste {Pir cove che vi rotolano addesso sono omini ammaz- dati; questo non niente ‘Altra cosa col ragazzotto tedesco, sull’ Altipiano; ave- va detto di aver disertato per unirsi a noi, é stato qui {palche tempo, poi ha tentato di scappare, & stato pres, dopo un po’ ba confessato, é una spia. Non abbiamo ‘celta. Siamo tutti d’accordo, anche lui, Gli abbiamo le- gato le mani con lo spago in questa piccola dolina di toccia. Abbiamo scacciato il Finco: che si disponeva a jiargli un orecchio, senza: alcuna autorizzazione. ‘Si domanda a questo biondino se vuol lasciar detto quleosa, per qualcuno a casa sua in Germania, e sare: Bo ancora al mondo alla fine della guerra. Esita, poi di- ce dino. Gli si domanda chi vuole che resti con lui, ¢ lui Scale, Gi alti vann ; ‘Si sentono ronzare le api. Qui la stagione € tarda per "Sein pid, quasi csi roca. In une speci pare di morireinsieme) LLeestate andava avanti per conto su0, tenevano dietto faticando. Sconquasse strutture, Telia tivelav La terra continuava a frutta fronde; fa gran massa della ‘propri campett, consinuava Tastrellate, segare, zappare, ‘sempre gli stessi esti. In ce violentemente in ozio. ‘in una valle fuori quattro contadine che verso la fine di luglio, qu lun paio di spanne e i contadin 0 lo zappettavan le ‘bello-alto. Eravamo in un be ce ai margini dei campi. ‘Guarda quelle povere cri vvano in testa fzzclettoni e ca Udo afoso: se avevamo caldo noi, render su il parabe otto il sole a zappettare “diss a Enrico, «Qua le fatiche della guerra ef i piaceri dela pace» Enrico non rispose niente: * Je fatiche della guerra sarem ppace;invece per loro i piacert. ‘Domandai a Enrico e sapeva in Italia: ma lui di se, ¢ pli aberi a mettere lazione sural, legata ai ‘d giro del suo lavoro-tatice: reccoglire; sempre fatica, a moment ci sentivamo della nostra zona, eran tre © 1e zappettavano il sorgo; fando il sorgo cinguantine & alto ni lo zappettano, solo che ‘ontadine. Ul sorgo nor- iste la» mi disse Enrico. Ave- per queste donne curve oveun essere un vero strapazz0 io dissi: «Nota che noi dal 0 sollevati quando viene la della pace durano sempre». ‘quanti sono i contadini jase: «Andiamo a ait 1 pico mes 367 probabilmente riusito solo a spaventarie, ma Enrico Fpuntando sul marine del campo chiamé «Ehi-la, don- Balm con perfeita naturalezza, ¢ quelle non si spavents Teno affatto, nonostante i parabelli,¢ dissero anche loro ‘Bhi e Enrico disse: «Volete una mano?» ‘Ci metiemmo a zappettare ala brava, press'a poco con la forza che ci vuole per spaccare la legna. Il lavoro eeniva bene, ma la forea calava a velocita vertiginosa Tevoravamo sportivamente, cioé come gente che ha da appettare un quarto d’ora, « poi pud fare quslcosatro: Jprece la gente che ha da zappettare, lavora come gente che ba da zappettare tutto il giorno. ‘Una o due donne lavoravano con noi, ¢ le altre che ci avevano dato la zappa ci stavano a guardare. «Si vede She non avete pratica> dicevano, Entro dieci mimuti io Gro ridotto come quando si fa una fuga inconsulta in ‘Sele, che fin dai primi strappi si sente che sista esa- ferando, ma invece di ralleatare si gettano le ulime Brfeciate di forza in questa fornace di stanchezza Ih su- dove mi zampillava da tutte le pari, le mani mi si erano ffi tiempite di vesciche, vesciche geloppanti, mutste Silla papa del caldo; il sangue ronzandor in testa ten eva ad annerire il pacsaggio, le piantine del granoturco parevaro di metallo nero verniciato, Diss a Enrico: «Bi Bogue cambiare stile». Si trattava di lavorare allo stesso fimo delle donne; appaiatsie copiare il ritmo. GG mertemmo a fare cost. Non erano rose ¢ fiori, ma sgndava molto meglio, Un po’ alla voka mi abituavo, tor- fv0 pian piano a gala, In principio avevamo veduto le Pontavine come un gruppo, ma ora che ne avevo una al jaio fianco, cominciai a vederla separatamente. Era fra i frenta ei quaranta, de tipo castano-biondo che @ re ‘elle nostre campagne. Era scalza, con la sortana a0 a meti trail ginocchio e la cavigla. Era vestita di tela fe, aveva shottonato due bottoni sotto i} collo, ¢ le fivedeva spuntare la maglia di flanella. Lavoravamo fian- ew 1 pico macs ‘no. Allora intervene Zacchéo, ¢ fu immediatamente al- Taltezza: teneva T'edmetto soto il braecio, a bocca in su; scattd sullattentie annuncid con voce forte e precisa: “cinformo il Comitato che il comandante dei gruppi dazione padovani & caduto in combattimento questa sattina, a Voltabaroz20.» T suoi occhi lampeggiavano dictro le lent degli oc- hiali a pince-nez. Gli uomini attorno al tavolo presero to della notizia con discrezione, e pareva che dicesse- fo. “Bene, bene; bravi ragazzi. Segretario, si faccia un ppunto”, Poi tomnarono alla questione dei manifest Tandai a prendere i tre morti col camion alla sera. Era no stati messi nella chiesetta ’eflerto principale era co tne se foseero infagottati nei vestit. Tutto bene ormal: la werita@ proprio questa, il dolore ha a che fare con la ve- in Caricammo questi ragazzi infagoctati ¢ li iportam- mo a Padova. ‘Andai io di persona a ticevere Fottava armata alleata quindo i decisero a cotzare a Padova, Ero in patuglia tra Santo e il Bassanello, un po’ prima di mezzanotte, Ai post di bloeco avvenivano scene curiose. Le parle d'or: She erano cute diverse arigore avremmo dovuto sparar tra noi ogni tenta mete solo euforia generic imped, ‘redo, una strage universale interna. Dicono che l'euforia fpromuave gi spai; ma certo che non promuove la mira vAvevo passato [ultimo posto di blocco con a mia pat- tugia (cera anche la Simonetta col mitra) si carmmning Vane buio pesto della periferia oscurata, un lungo st ‘Fone fra le case, che porta fuori Padova, verso sud. Non (Cera nessuno nella strada, navuralmente; si sapeva che talent erano vicini, ma reparti tedeschi continuavano & passe nei dintorni,alcuni arrendevoli, altel compact @ feroci, Ecco dunque come finisce una guerra. Prima parte ui esercto, poi ne arriva un altro; ma questa non @ Peramente la fine. La guerra finisce negli animi della Tick masini on ‘gente, in uno un po’ prima, nella un po! dopo; ¢ per {gucsto che ci sono ancora quest sparatore insensate. Daiin fondo allo stradone cominciava ad arrvarei uno strepito di grossi motori; era una cosa compatta intense ‘Sono inglesi» dss alla Simonetta per buon augurio; ‘¢ mi domandavo quante probabilita c'erano che fosse jnvece Iuktima colonna tedesca. Decisi meno del trenta ento. “Sei sicuro?» disse le. ‘Sicurissimo» le diss, ¢ lei mormord: «Sembra un ‘Sembrava infatt letteralmente un sogno. In fondo censade due ei he kaspettavamo, na pater Ne ose lunga lungs. To ho una certa esperienza di cose che pare non vogliano pi finire, ea un certo punto si crede ‘he non finiranno pil, € poi quando finiscono tutto a un initio, pare ancora impossibile, ¢ si ha fortemente l'm- pressione di sognare. ‘Camminavamo in mezzo alla strada, andando incontro lfettava armata, almeno al settanta per cento. Il rumore dieu sempre i grande en mezo alla strada ‘sempre pid piccoli. Sincominciavano a distinguere confusamente i volumi scuri dei cari armati: erano encr- mii. Quando fummo a cinquanta met feci fermare lt patugle; avevamo due ple, ¢ ci metemmo a fare sexna {ezioni Poi andai avanti un alto po" con la Simonetta. ‘Com’® strana la vita, sono arrivai gli inglesi. Benve- uti, Quest catri sono i nostri alleat, Con queste loro gobbe, con quest orl di grandi borchie ribattute, questi sferragliamenti, queste cane, vogliono quello che vo ‘iamo noi, L}Europa tutta piena di questi nostri enormi flleati; che figura da nulla dobbiamo fare noialsi vist da sopra uno di quei carri! Branchi di straccioni; bande. Banditi, Certo siamo ancora la cosa pith decente che & restata in Talia; non lo hanno sempre pensato gli stra- teri che questo @ un paese di bandisi? sn 1 pico mes Il primo carro si ferma; sopra c’era un ufficiale con tun soldato, Avrei voluto dirgli qualcosa di storico. «Non sicte mica tedeschi, eh?> dissi. , con parallela intensita di emozioni... E infine il to che entrambi abbiamo poi seritto su quella materia separatamente, sulla gente dei nostsi luoghi di origine, K Vicentino, ele Langhe. Gio che vorrei dire su di lui verte sul rapporto tra il modo di vivere di raccontare Ia guerra civile~e i Per cid che lo riguarda, la mia fonte sono in esseniza suo} scritti, Non ho mai potuto ~ in verti non ho mai oluto, peruna forma di profondo riguardo~rinteaccia- in dettaglio i dati storicidisponibil sulla guerra civile n Piemonte c in particolare sulla partecipazione perso: dello scrittore. 08 Quseit el bess B questa la prima volta, la prima in assoluto, che mj trovo a patlare in pubblico di Fenoglio, Ho deciso di ac. cettare il vostro invito pesché vorrei registrare cié che sento, prima che sia troppo tard. B un modesto debito di onore letterario. Se non mi sono sdebitato finora non € stato per poca partecipazione o imperfetta simpatia, ‘ma per la ragione opposta —Yefeto profondo, per cert yersi sconvolgente, che ha avuto per me 4 suo tempg Tincontro con Fenoglio scrttote. TI contatto di avwiamento, il kick-stars, & stata la Letts ra del Partigiono Johnny nella prima edizione del 1968, Lio percepito, con viva emozione, la presenza di ung particolare qualita delle pit alte seritture lettrarie, sulla natura della quale non ho mai saputo indagare a fondo, Di questo ho detto qualcosa, per stimolo indiretto di Italo Calvino, alcuni anni fa, in una conversazione ad ‘Asiago (sll'Altopiano, il luogo per me mitico dela mia guerra civile) poi trascritta nel saggio che ha per titolo La vinta senza nome che si legge nella raccolta La mate- ria di Reading. ‘Mi ero proposto di provare una volta di pi dere alla domanda: che cosa mi interessa nelle scritture leterarie? e avevo preso lo spunto dalle Lezioni americane di Calvino (le avevo letteinizialmente nella versione inglese con quel titolo scelto dall’sutore stesso, Six Memos for the Next Millennia, dove memos sta per «note, appunti», un termine alla buona che ert piaciuto «molissimo» a Calvino, e che serve per contre: stare l'implicita solennita di un messaggio rivolto al fur turo). Come sapete 'assunto delle Lezioni& quello dire- gistrare le qualita o i valori della letteratura che pid stavano a cuore all'autoree che gli sarebbe piaciuto mae- ‘comandare ai posteri—in pratica una specie di suo «pie colo testamento» leterari. Cinque qualita, da chiamar- sin italiano Leggerezza, Rapidita, Esattezza, Visibilith Molteplicita (doveva essercene una sesta, progetata ma vont dele palotale 169 restata inesposta, che in inglese si sarebbe chiamata Consistency, traducibile con Coerenza), Le scelte di Calvino hanno una doppia valenza: da un Jato riflettono le pid tipiche quali del suo lavoro di ar- tista, dall'altro offrono un quadro molto articolato dei suoi gustie crteri di lettore e di critico. Ad Asiago mi sono artischiato ad aggiungere un mio «piccolo supple- mento» al piccolo testamento letterario di quest alto i: lustre coetaneo, con qualche nuova esemplificazione ‘eploratoria per ciascuna delle sue qualita, € una mode- fea proposts ci possibili aggiunteal'slenco: per eserupio la Semplicita, o meglio la coppia contrapposta di Sem- plicita e Complessita (con alcuni loro isotopi come la Sobrieta e !’Abbondanza, o forse addirittura il Crudo Cotto}; ¢ ancora e specialmente Ironia, la cui funzo- ne (dicevo) & di far sentive lambiguita delle cose, ma fon Vintesa che per funzionare appieno anch’essa deve contenere una dose complementare di Sericti, un tessu- to connettivo di sostanze non ironiche... Non ct dubbio che troppa ironia stroppia, ma ¢'altro canto ls earnest: ness pud stroppiare anche lei. ‘Aleune di queste qualita non sono particolarmente pertinenti per Fenoglio. Ma alle fine de! mio discorso di ‘Asiago ho toccato un punto - un punto cruciale ~ che invece pertinente. «C’2 infine ~ ho detto ~ la qualita delle scristure letterarie che considero suprema, la pit tara di tutte, I pid peeziosa, Purroppo trovo che & pra- ticamente impossible definrlae perfino darle un nome. Sarebbe come fornire la definizione stesa della capaciti di “scrivere”: di scrivere in modo creativo.» Dietro a ‘questo punto di vista c® Ia convinzione che ogni nostra ‘sperienza contenga qualcoss di singolare, non accessi- bile con i normalistrumenti conosctivi, un frammento i realthil cui pregio & incommensurabile;e che sia pri- vilegio delle pit ate scritture letterari ~ narrative o lr the o raziocinanti~ illuminare questi nucle essenziali 1810 uci nella bide ellesperienza, «Un nome almeno prowisorio, per que- sta percepita qualita suprema dello severe e del pens. 3 Non Tho mai wovato, meplio lasciarla innominata.» ‘Bil diolo del saggio derivato dal mio discorso @ ap- punto La vinta senza nome. In Fenoglio ho avuto, in maniera quasi traumatic, le censazione di essere in presenza din caso specifica di fale qualita, e ne ho dato un segnale ~in forma reticene, (gua crptica~ nel convegmo che si tenuto a Bergamo, $a 1986. interno al mio libro sulla «guerra civile. TE qui deve patlrvi un po’ di questo libro, perché i amici lege leterati ed emotvi col mondo di Fenoglio Tiguardano in buona parte ~ forse in essenza la relaio. tetra il suo «partigiano» ci miei epiccoli maestri Timio ? ua libro seritto quaranta anni fa, nell'nno della morte di Fenoglio, 1965. Uscl nel 1964, «fu poi vis cemente riveduto, dodici anni dopo, «in una specie di Neconda ultima stesura, quasi una versione 1976 del te. tte del 1964», un processo non dissimile da quello di trolti testi fenogliani, A questa nuova edizione é pre- essa una Nola iniroduttiva col sotttitolo Di un libro ¢ “Truna guerra in cui si prendono polemicamente le di- . il saggio tivisita in modo affertuoso ¢ intenso (e sem pre vagamente maniacale), le particolarita della nostra frierra i fuoghi, i tempi, gli «atti di valoren Je fughe, i ito dei pensierie dei sentiment, la nostra forza cla no- Stra pochezza, ¢ il profondo legame con i miei compa: gni, Del reparto in montagna nato dal nostro gruppo v= Fentino mi & parso giusto dire che «questa singolare Squadgetta io Iho sentta come une delle istituzioni pit significative della mia vita, Come il paese era stato per wiz Qusgpi nel besfors ‘me il luogo dellinfanzia, cosi questo @ stato il luogo del. la gioventty il suo ambiente e il suo culmine naturale, Uno straordinario momento di armonia tra la nostra sto. ria personale e il sistema di fini che avremmo chismato Italia, o Europa. Armonia, in quanto cid che si voleva pili appassionatamente era anche cid che si sentiva il do- vere di fare. Tempo di intensa emozione morale e di pungente, quasi onirica vividezzav. A Bergamo ho volu- to precisare perd che forse il gruppo e il reparto dei miei «, & poieticoe stilistco, iguarda un modo di per- eepire ¢ rappresentare le cose del mondo, non in mo- éello convenzionalmente retorico di comportamento. Non P’ha capito un mio antico compagno presente a Bergamo che ha penseto a una svolte nelle mie personali cisposizioni anti-eroiche, un cedimento, selling rhe pass, una resal Forse vale la pena di so:tolineare che avevo in mente in modo partcolare il testo composito del Partigiano nel Vedizione in cui Tho conosciuto, quella «iniziaticam del 1968, quattro anni dopo Puscita dei Piccoli maesiri. Na- fturalmente in seguito ho preso atto delle due redazioni sutografe e dela possibiliti di un diverso modo di utiiz- tale, ma questo non ha alterat la mia reazione di fondo, sulla quale non incidono le presumibili fasi delle stesure, ole loro dat, o le altre question di filologia fenogliana, C2 per’ nel mio «omaggio» (la mia effusione dovrei dice) una curiosa ambiguita di fondo. Cid di cui parlo zon @ in verita, © non solo, o noa principalmente la per- ona dello scrittore di Alba, ma quella del suo compae- 1614 Qusggi nels bof vento del palotole sos sano Johnny, dlla cui guerra partigina lo scrttore cibg feo" una grimness ominous» Le ultime tre parole non dato la storia. in una singolare sublimazione die stegeg, js000 italiano né inglese. Lartcolo ne fa una frase quasi Non @ una distinzione capziosa. Il coctaneo piemontege italiana, ma cid che segue non 2 del tutto inglese (nor- che mi sono figurato di incontrare «in Altipianom, dalle jmalmente si dizebbe with ominous grimness). Lincastro hostre pari, @ certamente il partigiano Johnny, use delle due lingue & a volte affidato « un procedimento Gal suo e nostro antico tempo di allora, € venuto breye, che familiar a chi lea in uso entrambe: af valloni ele sneate denteo al mio presente ~ come in breve licenag forre ertno as bleak as lassi». A me 8 capitato di scrve dal proprio destino. re addirittura, a titolo di esempio e di autogiusificazio- ‘Devo agsiungere che se nell storia di Johnny tissky fe: «lo sono as italiano di lingua as the next mano pitsnetto i diaspro dell'ate di Fenoglio, mi ben chiar ff L'uso delfinglese va accostato 2 quello delle «irrego- the anche negl altri suoi scritti @ in evidenza un grado plait» linguistche, i neologismi, le neoformazioni ecc., fon comune di vigore e ineisivia ctestiva, con impror. fiche conferiscono al testo il suo eccezionale potere di iige emozionanti accensioni poetiche. Penso a luoghi ftraniamento, Perch scrivere per esempio eviviitio al come quello per me straordinatio in La sposa bumbing, ff post di evividezza»? FE. come se Jo serttore cercasse le ol viaggio dl nozze in carrtto, Yarrivo a Savona, verge fpparole in se stesso ~ non nell'uso corrente. In che cosa mezzogiomo: differisce «una figura invisibilizeata quasi dalla stessa in- NeLo sposo disse: “Quello fi davanti él mare”, che tensita della luce lunare» da «una figura resa qua invi- Catiina gia ci aveva affogati gli occhi bile»? Sono esempi degli effetti stranianti di questo “Che bestione’ diceva Catinina del mare, “che be. ff modo di scrvere, in sintonia con T'espetienca straniante della guerra partigiana, ‘Meraviglioso. ‘Non é certo il caso che provi ora a definire con preci- ‘Anche Paccenno al «diversiloguio» richiede un com- ff sione 'enzima poetico della storia di Johnny, la presenza mento, Cid che avverto nei testi pertinenti & un senso di [fin essa di cid che ho chiamato a virtd senza nome delle tingenga espressiva in forme a trati estreme, quasi pato- pit alte scrtture ettcravc, la loro noumenics qualit su Togiche. Leffetto di una lingua scoavolta& legato alla ff prema. Posso solo segnalare aleuni trai caraterizzantis presenza nel'animo dello serttore di una sottostante [primo fra tut la capacita di darciinsieme i senso dello Prateria che ribolle. C'? un magma rovente di percezioni ff streordinario ¢ quello del vero. C’é un effetto di sorpre- he si accavallano ¢ fanno ressa, ela mente che leconce- ff s#¢ insieme di assoluta attendibilica. pisce non resce a esporle per vie ordinarie, non ne hail J Ai partigiani di un presidio artiva Pavviso che un loro tempo si crea un ingorgo di spunti ¢ conati espressivi, ff compagno é stato carturato ¢ fucilat, c& chi sta parten ‘quasi un effetto di balbusie.. [detagli deleffettivo as- ff do per ricuperare il corpo del moro, e qualeuno racco- ettolinguistico dei test, per esempio le isruzioni del. ff manda: «E portatevi qualcosa da far leva, ché per il gelo Tinglese~ di quel"inglese sui generis non mi sembra- [sé tutto attaccato alla ghiaia». Eun dettaglio crudo e in no di eruciale importanza sieme sobrio: inatteso, sconvolgente. Sentiamo di entrare "sFattore campo, disse il Biondo semplicemente, ma f& contatco con aspettiintensi dell'esperienza partigiana,

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