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Associazione Ortonese di Storia Patria Quaderno di ricerca storica - gennaio 2000 ANTONIO FALCONE I TESORI D'ARTE DIS. MARIA DI COSTANTINOPOLI Patrocinio: {4 41 Consiglio Regionale dell'Abruzzo Comune di Ortona Introduzione Dal 25 luglio all’ 11 agosto 1999, 1’Unione Ex Allievi Don Bosco ¢ I’ Associazione Ortonese di Storia Patria, gra- zie alla disponibilita del Parroco don Francesco Fabrizi, han- no organizzato una Mostra documentaria all’interno della Chiesa di S. Maria di Costantinopoli per illustrarne i “tesori d’arte”: dalla storia della ricca architettura all’affresco trecentesco della Madonna con il Bambino, alle tele pittori- che tardocinquecentesche. L’intento delle Associazioni era quello di promuovere la conoscenza di opere architettoniche € pittoriche di grande valore e non solo per la zona ortonese. Questo opuscolo continua nella direzione della Mo- stra; si basa in gran parte sulle didascalie ¢ sulle foto esposte nella Mostra. Queste iniziative non rappresentano un punto finale, un approdo nelle ricerche, ma solo un momento di un cammino che deve ancora continuare. Nel frattempo, per®, i visitatori della Chiesa possono comprendere sempre pit) che i] monumento architettonico e Je opere pittoriche rendono il luogo un vero Museo, ricco di significati storici e culturali. Ho messo insieme questi appunti sulla base delle ri- cerche compiute dai soci dell’ Associazione di Storia Patria; in particolare ringrazio Enrico Coletti, Elio Giannetti, Paride Di Lullo, Emilia Polidoro per i loro contributi essenziali per la redazione dell’opuscolo. Per le foto, ringrazio l’Unione Ex Allievi Don Bosco. Cemni storici sulla chiesa di S. Maria di Costantinopoli Pietro da Morrone, prima che divenisse Papa, tra il 1275 e il 1293, proba- bilmente fond6 la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli in Ortona, allora deno- minata Santo Spirito. Tre documenti: il privilegio di Carlo II, una bolla pontificia dello stesso Celestino V e l’annuario dei Celestini, tutti del 1294, riportano che la chiesa era gia esistente in quell’anno alle dipendenze del Monastero di Sulmona. II primo complesso celestiniano era cosi costituito: la chiesa, una cella principale dove viveva un eremita, pid altre celle di monaci, spesso distanti tra loro. Una cella era situata nella zona di S. Antonio, nell’ attuale area del villaggio turistico, dove una presenza eremitica si sussegue fino al 1854. Nel 1600 il Monastero di S. Spirito prende il nome di Abbazia e il superio- re di Abate. Nel 1653, per un decreto del Papa Innocenzo X, il Monastero viene soppresso poiché aveva pochi monaci; i beni furono incamerati dalle corti vescovili ei frati rimasti vennero tutti richiamati in seno all’ ordine stesso, ma in altra sede La Congrega di S. Maria di Costantinopoli, associazione di laici voluta dai mo- naci celestini, che compare nel 1603 per la prima volta negli atti notarili, ma che sicuramente é nata molto tempo prima, rimase amministratrice e garante del cul- to della Madonna di Costantinopoli. Restera in vita fino al 1952, quando Monsignor Migliorini provvedera con relativo decreto a scioglierla definitivamente. Architettura La chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, sul piano architettonico, ha reperti e testimonianze relative a tre fasi di interventi. La prima fase della chiesa medievale, la seconda @ quella relativa alla riedificazione alla fine del Cinque- cento, la terza é quella relativa agli interventi eseguiti nell’ Ottocento e nell’ ulti- mo dopoguerra. Lo storico Giovan Battista de Lectis nel 1576 scriveva: “Fuori della citta (di Ortona) vi é il monastero dei padri Celestini di S. Spirito, bellissimo et anticho, per essere stato fabbricato da S. Pietro Celestino, anchora che si ritrovi a terra, per cagione dell’antichita del tempo, e per cagione della ferita de’ Turchi et anchora per haver una chiesola dentro la citta, dove al presente stanziano, detta la Nunziata”. Domenico Romanelli alla fine del Settecento scrive: “il monastero dei Celestini fu il primo ad essere assalito (dai Turchi). Fu saccheggiato e smantel- lato. I monaci si salvarono colla fuga’. La chiesa fu fondata dai Celestini intorno al 1280. I Celestini costituirono un Ordine fondato nel 1264 da Pietro da Morrone, poi divenuto Papa con il nome =1= di Celestino V. Seguirono la stretta regola benedettina. La chiesa medievale si riconosce nell’impianto originario, con I'abside ri- volto ad est, verso il sole che sorge, come tutte le chiese di ispirazione benedetti- na. Dalla finestra absidale, ancora conservata in parte ¢ visibile dall’esterno, da Via Michetti, entrava la luce del sole ogni mattina, all’alba, e illuminava l’altare dove con la Messa c’era il Cristo Risorto. I portale appare della seconda meta del XIII secolo; ha caratteristiche strut- turali ogivali, con semicolonna aggettante con scanalatura; i caratteri sono quelli dell’eta sveva, come il portale di S. Caterina ¢ il portale antico di S. Tommaso. Le pietre recenti dovute al restauro sono pit chiare, quelle originarie sono pid scure. La struttura muraria in Via Michetti é un reperto medievale. In particolare vi appaiono due finestre monofore trilobate ¢ strombate, successivamente e tut- tora murate. Nella parte absidale, all’interno del rifacimento postbellico, vi é un reperto d’origine coeva medievale. Con il restauro operato dalla Sovrintendenza alcuni decenni or sono, & ve- nuto fuori sulla facciata un rosone mutilo di gran parte dell’impianto; il rosone originario fu costruito probabilmente poco dopo il portale. Il restauro ha awvici- nato la struttura della chiesa alla sua origine medievale, con la eliminazione di alcune aggiunte seicentesche, quali il porticato davanti al portale. La chiesa all’interno, all’epoca della fondazione, aveva molto probabil- mente un pavimento pill basso rispetto a quello attuale. Cid si evince anche con la comparazione con altre chiese di origine medievale, sia in Abruzzo sia in altre regioni. Dalla strada attraverso il portale alcuni gradini permettevano di scendere su un pavimento che forse era 70-80 cm. pitt basso dell’ attuale livello. Probabil- mente i] pavimento fu rialzato con la ricostruzione alla fine del Cinquecento. Dopo la distruzione operata dai Turchi, il 1° agosto 1566, fu operata una ricostruzione con sopraelevazione della chiesa. La datazione dovrebbe collocarsi tra il 1576 anno in cui de Lectis parla ancora di “chiesa distrutta” ¢ il 1583, anno della prima tela pittorica datata. Di questa costruzione tardo cinquecentesca si vedono dal’ oratorio due gran- di arconi a tutto sesto, con una struttura muraria non pid regolare, con resti di contrafforti con funzione plastico-strutturale. Da via Michetti & visibile in alto una sopraelevazione databile alla fine del Cinquecento, risistemata nel dopo- guerra; l'impianto tuttavia conserva sempre elementi tardo cinquecenteschi. In un certo senso la chiesa seicentesca e quella successiva furono ricostru- ite all’interno della struttura e in alto. Per questo motivo, il visitatore attento nota all’esterno nella parte bassa chiari reperti medievali, nella parte alta dall’esterno nota una chiesa seicentesca; all’interno, invece, gli appare una chiesa moderna. Le foto scattate nell’anteguerra c in ogni caso prima degli ultimi interventi testimoniano I’antichita di tutto il complesso celestiniano. Esso si caratterizza soprattutto con il chiostro cinquecentesco che si svi- luppa su due livelli sovrapposti, con caratteristiche proprie del periodo tridentino (1580-1600). 5 3 g = g 3 2 5 8 g 3 3 & & a g g 8 2 $ & ‘ione della Chiesa con finestroni, tutti reperti del tardo cinquecento campanaria, sopraeleva Molto bello anche un campanile a vela attaccato alla sopraelevazione cin- quecentesca, con arconi a tutto sesto. Si notano netti i contrafforti della sopraelevazione. I] chiostro del primo piano venne murato successivamente per ricavarne locali. II rosone sulla facciata era stato chiuso. Il porticato stesso sem- bra di poco susseguente all’intervento tardo cinquecentesco con lesene a sola funzione decorativa. Il pozzo all’interno del chiostro appare di chiara fattura del- lepoca. Appare anche la scala esterna per accedere al livello superiore. Sulla vela campanaria ¢ su strutture murarie appaiono aperture per inserire i pali per i ponti; anche questo fatto testimonia la coevita dell’intervento globale, anche se appaiono alcune integrazioni successive. Le foto di tutti questi reperti, ora scomparsi in gran parte, testimoniano che il complesso monastico era di un certo spessore. Affresco “Madonna con Bambino” La realizzazione dell’ affresco per alcuni aspetti tradisce una mano un po’ incerta, particolarmente nella esecuzione dei volti e del panneggio. La composi- zione & apprezzabile nella sua struttura simmetrica e nel chiaro equilibrio cromatico; essa riecheggia moduli compositivi trecenteschi di derivazione “giottesca”. Dal punto di vista iconografico, si tratta di una interpretazione molto rara del tema classico della Madre di Dio. Tale iconografia @ definita anche “Madre di Dio della Tenerezza”: essa & caratterizzata dalla posizione della mano del Bam- bino che si aggrappa al lembo dorato del “maphorion”; € una variante di tale iconografia che si incontra raramente nelle icone ¢ nei numerosi affreschi di de- rivazione bizantina, Tali composizioni simboliche diventano caratteristiche nel- Varte ortodossa, come “scuola di Novgorod”. 1 mantello della Vergine & simile a quello usato nelle cerimonie ufficiali dall’Imperatore d’ Oriente, in veste di capo spirituale della Chiesa, a partire dalla dinastia paleologa. Questo elemento avvalora ancora di pid P'ipotesi di un riferi- mento diretto alla cultura orientale. Appaiono come elementi di derivazione o scuola occidentale: il trono con il mantello; i diversi piani prospettici, che porta- no ad un certo spessore spaziale; la struttura simmetrica dell’insieme; la cromiae Timpianto; la decorazione del trono é di tipologia gotica, con la croce lombata; gotico é anche l’impianto a sesto acuto della lunetta. All interno dell’impianto occidentale, c’é l'inserimento “bizantino”, come Viconografia del Bambino, il peplo della Vergine. Si pud pensare ad un autore italiano che abbia avuto conoscenza di affre- schi e tavole bizantini. E’ possibile anche supporre in base ai vari elementi che V'affresco sia stato realizzato tra il 1300 e il 1330. Alcuni ritengono che l’affresco -4- Portale duecentesco di derivazione sveva e rosone nella facciata 55 possa essere anche anteriore di qualche decennio. Limpianto risente delle tesi compositive giottesche. Ipotesi sulla collocazione originaria dell’affresco E’ importante notare la forma della lunetta su cui c’é I’affresco: & presente una evidente impostazione ogivale, marcata e sottolineata dal bordo dipinto, che incornicia la composizione. La chiesa di S. Spirito, con il Monastero dei Celestini annesso, costruito verso il 1280, fu in parte rovinata dai Turchi il I? Agosto 1566. Alla fine del Cinquecento la chiesa fu riparata e ampliata. Nel 1653 il Monastero dei Celestini fu soppresso: nel documento notarile con I’elenco dei beni della chiesa, |’affresco della Madonna viene indicato come “un capialtare di gesso indorato con Vimmagine di Santa Maria di Costantinopoli dipinia nel muro”. Si pud avanzare questa ipotesi. Nella primitiva chiesa di S. Spirito, l'affre- sco potrebbe essere stato realizzato nella lunetta sopra una porta interna alla chiesa, che permetteva I’accesso nel chiostro antico del Monastero. Una porta collocata in tale posizione & ancora presente in diversi monasteri cistercensi, come S. Gio- vanni in Venere, Chiaravalle ed in Francia. Nella ricostruzione dopo Ia distruzione operata dai Turchi, verso il 1580- 90, probabilmente il pavimento fu rialzato, come fu sopraelevata la chiesa; e al posto della porticina tra chiesa e chiostro fu eretto un altare. I segni dei lapicidi Dal recente intervento di restauro, molto ben riuscito, avvenuto nel 1999 a cura della Sovrintendenza ai Monumenti dell’ Aquila, sono emersi alla sini- stra del trono alcuni segni di grande interesse. Essi caratterizzano un intervento di lapicidi, maestri muratori e artisti che lavorano la pietra per le costruzioni. Due frecce con la punta verso I’alto sono tipici segni di maestranze lapicidi. Segni simili sono presenti in diverse chiese e castelli edificati lungo le rote medievali del pellegrinaggio in Terra Santa. Questi segni di lapicidi in Italia sono oggetto di recentissimi studi di gran- de interesse che tendono a recuperare il loro valore storico documentario; testi- moniano anche la presenza di rotte culturali legate agli Ordini mendicanti e mili- tari. Evidentemente nella costruzione della chiesa di S. Spirito, 1280 circa, in- tervennero maestri lapicidi esterni, forse di passaggio in un cammino verso l’Orien- te. La partecipazione dei lapicidi pud essere collegata alla esistenza in Ortona di un porto ben attrezzato durante |’eta sveva. Finestroni della sopraelevazione Le pale Nell’inventario celestiniano del 1653 appare questa descrizione: “Jn mezzo all’aliar maggiore un quadro grande sotto il titolo dell’Assunta della Madonna Santissima con pittura delli Apostoli e la venuta dello Spirito Santo. A man de- stra di detto altare un quadro con l’immagine di Pietro Celestino, a man sinistra un quadro con Vimmagine di §. Benedetio”. Sull’abside della chiesa medievale, ricostruito con Vintervento tardo cin- quecentesco, era stato apposto un trittico: nella pala centrale, la Madonna Assun- ta in cielo, con Apostoli e Spirito Santo; ai lati il Papa Celestino e S. Benedetto. Oggi sono nella chiesa le pale laterali: Papa Celestino (con Ia tiara) e S. Benedetto. La pala centrale doveva avere circa due metri di base ed essere di circa tre metri di altezza, poiché ciascuna delle due pale laterali conservate misura cm. 104 di base, corrispondenti a quattro palmi medicvali; sono alte due metri e 4 centimetri. Le tele risalgono chiaramente al tardo Cinquecento. Sono di autore ignoto. Necessitano di un restauro urgente. Portano i segni del degrado del tempo e della guerra. Sul piano iconografico sono molto interessanti soprattutto per i drappeggi degli abiti e per una certa staticita solenne delle figure. Un restauro le farebbe tornare ai loro colori originari. Il quadro centrale con I’Assunta in chiesa sino a circa 35 anni or sono e consegnato alla Sovrintendenza dell’ Aquila é rimasto Ni; tuttavia dalle fotografie si evince che esso non corrisponde alla pala centrale del trittico tardo cinquecen- tesco, come descritto nel documento del 1653: i soggetti sono in gran parte diver- si §S. Giovanni Battista Lautore del dipinto & ignoto. Nel 1653 il quadro non stava nella chiesa. Probabilmente vi @ stato portato nell’Ottocento. Risale agli ultimi decenni del secolo XVI. Lopera evidenzia una derivazione stilistica dall’ambiente figurativo vene- ziano del Cinquecento. Sono presenti elementi cromatici che denotano una cono- scenza dell’impianto compositivo tipico dei grandi maestri veneziani della prima meta del Cinquecento, a cui si accompagnano le espressioni dei volti che sem- brano assimilabili ad alcuni maestri del manierismo toscano. La tela dimostra evidenti segni di ridipintura, operata in epoche pit recenti. In particolare, tutto il registro basso del dipinto sembrerebbe appartenere ad epo- ca successiva. In basso c’é un impoverimento notevole della decorazione; anche il rapporto tra le strutture architettoniche e gli elementi figurativi risulta alterato. 2 Be Affresco in lunetta "Madonna con Bambino", probabile (S00: Autore ignoto, Luca Fornaci, “Ecce Homo’, tela datata 1583. Tela con "Giovanni Battist latazione e autore ignoti, Tela con “t Annunciazione”, datata 1583, autore ignoto. La Chiesa da Via Michetti: in basso, il muro medievale, con finestra a sidale e finestre strombate, di cui una anche tribolata; in alto, la sopraelevazione. 298 Stessa cosa nel particolare a sinistra in alto, dove emergono contraddizioni figurative vistose: rapporto dimensionale tra le figure e gli alberi. Nel fondo sono presenti alcune strutture architettoniche, tra cui un castello che nel suo impianto con torri cilindriche sovrapposte a strutture con scarpa fa pensare al Maschio Angioino. Singolare, ed anche molto interessante, la presenza di una donna con bam- bino che volge il viso verso lo spettatore invitandolo al silenzio: un particolare molto bello e di antica tradizione pittorica. In rilievo la figura di Giovanni Battista, che molto probabilmente con la mano indica una figura non sulla tela, che pud essere, perd, il Cristo sull’altare. Lautore dell’ opera, ignoto a tutt’ oggi, denota chiaramente una formazione culturale eclettica. Ecce Homo La tela é datata: 1583. A destra per chi guarda, intorno ad una colonna, c’é il cartiglio con il nome dell’autore: si trata di Luca Fornaci, artista abruzzese del secondo Cinquecento. Sul cartiglio @ scritto anche: “invitor et pinsit”: cid significa che il pittore fu anche l’ideatore del tema da rappresentare, non solo I’artista che dipinse. Il clima culturale di fondo é quello del Concilio di Trento. La tela denota precise derivazioni stilistiche della grande tradizione roma- na ed umbra della prima meta del Cinquecento. L interno del tempio, come appa- re nella tela, @ impreziosita dal pregevole disegno del pavimento e del tappeto disteso sotto i piedi del Cristo. La prospettica spaziale & precisa. Il modulo compositivo deriva dai grandi cicli pittorici cinquecenteschi della Capitale. La fuga prospettica, la cromia, la presenza del personaggio che, abbracciato alla colonna, reca il cartiglio con il nome del pittore, fanno pensare alla decorazione delle stanze Vaticane, in particolare a quella di Eliodoro, di scuola di Raffaello (seconda stanza). Il tappeto, finemente decorato e disegnato con elementi razionali, é un ele- mento ben preciso nell’ opera. Il gruppo di angeli in alto appare tipico del manierismo post-tridentino, michelangiolesco, prebarocco, Interessante anche la volta a cassettone sulla destra in alto. Gli apostoli sono come una corona intorno a Cristo. La fuga di colonne e le figure disegnano tre piani diversi. L'apostolo Tommaso appare stupito. Nel 1652 la tela era nella chiesa, come appare dall’inventario dei padri Celestini che lasciano il Convento annesso; essa & cosi descritta: “/tem un altro capialtare similmente di gesso con quadro di S. Tommaso Apostolo che tocca al lato a Nostro Signore della famiglia Camarra di detta Citta”. e105 La tela, realizzata da Luca Fornaci, fu offerta dalla nobile famiglia ortonese Camarra per la chiesa che allora veniva ricostruita e riconsacrata dopo la distru- zione ad opera dei Turchi. L’Annunciazione Tl quadro é datato: 1583. La data appare in basso a destra. L’autore & igno- to. La tela é alta cm. 285 e larga cm. 196. La composizione é molto dinamica e Ticca di personaggi. In alto, a destra, sull’ apertura al cielo, Dio Onnipotente, con una schiera di Angeli, invia la colomba dello Spirito Santo ad illuminare il volto della Vergine. Appare uno squarcio sul cielo. In alto, al centro sulla balaustra lignea, appare un personaggio regale: Re Davide, riconoscibile dalla lira, con cui ha composto i salmi. Sopra, su un balconcino, una donna si affaccia. La finestra sormontata da un timpano trian- golare, con la scritta: Dio aiutera. Al di sotto della figura del Re Davide, appaiono tre grossi personaggi: sono i profeti con i loro libri. A fianco, un personaggio si affaccia, muovendo un drappo da una finestra, su cui & lo stemma della famiglia De Sanctis. Il per- sonaggio potrebbe essere Agostino De Sanctis, nobile di antica famiglia ortonese, committente di molti quadri per chiese ed anche di questa tela. Inalto a sinistra appare un paesaggio collinare, con alberi mossi dal vento; la colonna spezzata presumibilmente rappresenta la distruzione del Tempio di Gerusalemme, elemento veterotestamentale, che allude chiaramente all’ opera di tiedificazione morale operata dal futuro Messia Del tutto canonico é I’aspetto iconologico dell’immagine a sinistra-centra- le: l’angelo, con il cartiglio Ave Maria, reca la lieta novella alla Madonna, illumi- nata dallo Spirito Santo, mentre si trova in preghiera. Intorno alla Vergine, diversi segni di regalita: la sedia curile, il tavolo co- perto da una ricca tovaglia, il libro, un ampio drappeggio finemente lavorato, la balaustra con le colonne a tortiglioni, il pavimento che da l’idea dello spazio, il tappeto ben lavorato. Interessanti le forbici da sarto e gli strumenti da lavoro tutti dipinti in detta- gio; forse una committenza a latere, ordinata da qualche corporazione? La prospettiva @ a piani diversi. Si evidenzia una rappresentazione metastorica tra Antico e Nuovo Testamento. Dalla rottura tra Dio e uomo, rap- presentata dalla colonna spezzata, si giunge al Re Davide ¢ ai Profeti, di ispira- zione michelangiolesca e a Cristo. Presente anche un senso monografico; diversi anche gli spunti raffaelleschi Altri elementi da sottolineare: il vaso di gigli & sempre stato un elemento di ele Pala laterale del trit con la Madonna: Papa Celestino ie purezza, come la sedia curile rappresenta la potesta, che porta al trono. C’é anche una ricerca di preziosita, come ad esempio nei tortiglioni, dai particolari finissimi. Particolari molto ricchi sono in ogni parte della tela. Ad esempio: la copertura del letto, il putto che scopre un ricchissimo mantello 0 coperta; la gabbia degli uccellini appesa ad una colonna. Probabilmente alcuni di questi elementi hanno un significato di messaggio allegorico non comprensibile tuttora. Notevole anche il numero dei personaggi; oltre la Madonna eI’ Angelo, ci sono ben undici personaggi, a cui si aggiungono Dio e dieci angeli. La centralita della figura della Madonna é essenziale. Il suo viso é molto bello. Evidenzia caratteristiche precise della pittura italiana, ma conserva tratti bizantini, come nella curva sopraciliare che é unica con il naso: un tetaggio della pittura su tavola. Se la fonte dell’illuminazione colpisce di fianco la tela e il visitatore & attento, pud scorgere in basso a sinistra una figura che altrimenti non vede. E’ una immagine, eseguita a basso profilo, quasi ectoplasmatica, che emerge sul fondo verde del cuscino su di una panca. Raffigura un uomo, vestito con un abito signorile, probabilmente broccato 0 damascato, con baffi e barba lunga e curata, che volge lo sguardo verso I’alto a destra, sino ad incontrare il viso della Vergine, quasi in atto devozionale. La figura non @ in rapporto dimensionale con le altre del dipinto. A livello iconologico si pud affermare che si trata di una immagine sicuramente coeva alla data di esecuzione dell’ opera. Forse si tratta del committente, 0 pil probabil- mente, dello stesso pittore che esegui la tela, gid cosi ricca di significazioni, di allegoric, di riferimenti veterotestamentali. Il problema rimane aperto, come tan- ti altri riguardanti la tela. Nell’inventario celestiniano del 1653 il quadro & cosi descritto: “Item un altro capialtare similmente di gesso indorato con|’armi della famiglia De Sanctis di detta citta di Ortona con un quadro grande in mezzo con la figura dell’Annunziata toccata similmente ad oro con panno turchino avanti”. Varie ipotesi possono essere avanzate sull’autore. Innanzi tutto, la tela, che si sviluppa su quasi sei metri quadrati di superficie, dovrebbe essere studiata attentamente, quasi centimetro per centimetro, perché potrebbe evidenziare varie sorprese o elementi ulteriori di identificazione, quali una sigla dell’autore; una stessa firma potrebbe essere coperta dalla cornice. Il quadro potrebbe essere stato realizzato originariamente per la chiesetta della “Nunziata” dove si erano rifu- giati i Celestini dopo il 1566; la chiesetta si trovava all’interno delle mura caldoriane, lungo I’attuale Corso Vittorio Emanuele. Si potrebbe pensare a qualche autore ortonese, come il pittore Giovanni de Fabritiis che operava alla fine del Cinquecento. In questo caso, la ideazione del soggetto della pittura e 1a sua realizzazione forse sono di due persone diverse. Infatti, il soggetto della tela, cost complesso, cosi ricco di allegorie e di =13= Pala laterale con S. Benedetto. Datazione probabile, fine Cinquecemo Se significazioni non ancora chiare, deve essere stato pensato da un uomo colto, esperto dell’ Antico e del Nuovo Testamento, ma anche del neoplatonismo. Se pittore e ideatore del soggetto (pictor et inventor) si identificano nello stesso personaggio, dovremmo ipotizzare qualcuno con ricche esperienze culturali, do- vute magari a viaggi, a letture diverse e a conoscenze di ambienti non locali. Un’altra ipotesi potrebbe essere questa. Il personaggio che si affaccia sul balcone nella parte centro-alta della tela conVeffigie della famiglia de Sanctis dovrebbe essere Giovan Agostino de Sanctis. Costui aveva stipulato un contratto con il pittore aquilano Giovan Paolo Donati, il 16 maggio 1578, con il soggetto “S. Agostino, Madonna con bambini ed angeli”. In un altro contratto, i] 24 gennaio 1579, De Sanctis incaricd Donati di dipingere una tela per S. Maria delle Grazie. In entrambi i contratti c’8 l’obbligo per il pittore di rappresentare nelle tele lo stesso Giovan Agostino De Sanctis 0 i suoi genitori. La misura del pri- mo quadro poi doveva essere di “dieci palmi di altezza e sete di lunghezza”: misure quasi simili a quelle della tela dell’ Annunciazione. Poiché il quadro dell’ Annunciazione commissionato dalla famiglia De Sanctis & del 1583, ed é di circa undici palmi di altezza, si potrebbe anche pensa- re che I’autore sia Giovan Paolo Donati, artista che lavord per i De Sanctis in quegli anni Progetto del camposanto Nel 1829 il Consiglio Comunale (Decurionato) di Ortona decise di realiz- zare un Camposanto attiguo alla Chiesa di S. Maria di Costantinopoli. A redigerne il progetto fu incaricato il perito agrimensore Giambattista Francia, di Ortona, che disegnd il progetto (originale presso I’ Archivio di Stato — Chieti), firmandolo con una perizia allegata il 28 luglio 1829. Le tombe erano sei, ciascuna per pid defunti, site nel lato del porticato del chiostro contiguo al muro della chiesa. L’intera area tra la chiesa e porta Caldari era priva di case. La distanza tra la chiesa e porta Caldari era di 229 canne, ovvero 1832 palmi, paria circa 477 metri. Il progetto prevedeva anche la costruzione di un muro per superare agevol- mente il fosso di S. Rocco. Il Camposanto rimase in quel sito sino al 1882. -i5e

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