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Quando stavo progettando il Prototipo N. 22, invece, avevo assunto una forma completamen
Ma noto che date segni dinsofferenza e non vedete lora che vi descriva la creazione della v
Comunque, dopo aver fatto pratica con gli altri pianeti, pensai di aver risolto quasi tutti i prob
2 | a margine
La settimana in cui creai Adamo ed Eva avevo assunto laspetto di un bipede antropoide e c
Quando stavo progettando il Prototipo N. 22, invece, avevo assunto una forma completamen
Ma noto che date segni dinsofferenza e non vedete lora che vi descriva la creazione della v
Comunque, dopo aver fatto pratica con gli altri pianeti, pensai di aver risolto quasi tutti i prob
La settimana in cui creai Adamo ed Eva avevo assunto laspetto di un bipede antropoide e c
Quando stavo progettando il Prototipo N. 22, invece, avevo assunto una forma completamen
Ma noto che date segni dinsofferenza e non vedete lora che vi descriva la creazione della v
Comunque, dopo aver fatto pratica con gli altri pianeti, pensai di aver risolto quasi tutti i prob
ALESSANDRO VOLPI
La settimana in cui creai Adamo ed Eva avevo assunto laspetto di un bipede antropoide e c
Quando stavo progettando il Prototipo N. 22, invece, avevo assunto una forma completamen
Ma noto che date segni dinsofferenza e non vedete lora che vi descriva la creazione della v
Comunque, dopo aver fatto pratica con gli altri pianeti, pensai di aver risolto quasi tutti i prob
2009
BFS edizioni
Biblioteca Franco Serantini
Amministrazione e distribuzione:
Libercoop
via I. Bargagna, 60 56124 Pisa
tel./fax 050 9711432
acquisti@bfs-edizioni.it
www.bfs-edizioni.it
ISBN 978-88-89413-40-1
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Comunque, dopo aver fatto pratica con gli altri pianeti, pensai di aver risolto quasi tutti i prob
INDICE
19
27
I PREZZI IMPAZZISCONO
33
ARRIVA LO STATO
45
LE POLITICHE COMMERCIALI
49
59
69
INCUBI EUROPEI
75
SOLUZIONI NAZIONALI
87
101
EPILOGO
La settimana in cui creai Adamo ed Eva avevo assunto laspetto di un bipede antropoide e c
Quando stavo progettando il Prototipo N. 22, invece, avevo assunto una forma completamen
Ma noto che date segni dinsofferenza e non vedete lora che vi descriva la creazione della v
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Comunque, dopo aver fatto pratica con gli altri pianeti, pensai di aver risolto quasi tutti i prob
La natura stessa dellattuale crisi finanziaria, esplosa con una forza per molti versi inattesa e in verit difficilmente prevedibile, consiglia unestrema cautela nel tracciare scenari futuri1. Diverse sono infatti le contraddizioni in atto ma sicuramente una delle pi gravi, che
rende complessa ogni analisi del futuro, data dalla modifica profonda intervenuta nelle strutture proprietarie del sistema economico
internazionale. Dalla met degli anni Ottanta si assistito ad unestensione della nozione stessa di mercato finanziario, con laccresciuto ruolo di vari soggetti a partire dalle banche che in molti
ordinamenti hanno ottenuto la prerogativa di creare prodotti finanziari, di acquisire partecipazioni rilevanti in imprese e di produrre in
proprio gli strumenti per sostenere tali imprese, spesso attingendo a
piene mani alle innovazioni dellingegneria finanziaria. Espressione
tipica di questo processo stata labolizione nel 1999 da parte dellamministrazione Clinton dello storico Glass-Steagall Act, introdot1. Tra le opere dedicate agli attuali sviluppi della crisi finanziaria, di particolare interesse risulta il contributo di R. SHILLER, Finanza shock, Milano, Egea, 2008. Lo stesso Shiller
aveva dedicato allanalisi delle criticit finanziarie il volume Il nuovo ordine finanziario,
pubblicato in Italia dalla casa editrice Il Sole 24 ore. Ancora molto utili sono poi le notazioni
espresse da L. BINI SMAGHI, Chi ci salva dalla prossima crisi finanziaria?, Bologna, Il
Mulino, 2000; cos come assai stimolante il contributo di M. AGLIETTA, Le capitalisme, de
bulle en bulle, Le Monde, 1 settembre 2007. Letture molto singolari sono invece quelle
di: G. SOROS, Cattiva finanza. Come uscire dalla crisi: un nuovo paradigma per i mercati,
Roma, Fazi, 2008, B. EMMOTT, Asia contro Asia, Milano, Rizzoli, 2008, H.J. CHANG, Cattivi
samaritani. Il mito del libero mercato e leconomia globale, Milano, Universit Bocconi,
2008, F. ZAKARIA, Lera post americana, Milano, Rizzoli, 2008, G. SAPELLI, La crisi economica mondiale, Torino, Bollati Boringhieri, 2008. Decisamente pi ortodossa linterpretazione di F. ALLEN, D. GALE, Understanding Financial Crises, Oxford, Oxford University
Press, 2008. Di notevole interesse risulta il dossier dedicato alla crisi finanziaria 20072008 presente sul sito www.lavoce.info, curato da Massimo Bordigon. Fra le ultime uscite: A. BERRINI, Come si esce dalla crisi finanziaria, Torino, Bollati Boringhieri, 2009,
M. GAGGI, La valanga. Dalla crisi americana alla recessione globale, Roma, Laterza,
2009. La casa editrice Garzanti ha pubblicato una nuova edizione aggiornata e ampliata di
P. KRUGMAN, Il ritorno delleconomia della depressione e la crisi del 2008, che di fatto non
aggiunge molto alle precedenti edizioni e in realt tratta pochissimo della crisi in atto.
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UNA CRISI TANTE CRISI
to nel 1931 dopo la grande crisi il quale imponeva una netta distinzione delle banche commerciali da quelle di investimento. Simili
processi non solo hanno modificato la nozione stessa di rischio per
milioni di utenti bancari, inseriti di fatto senza troppa consapevolezza nel mercato finanziario, ma hanno anche alterato la catena di controllo delle societ, riproponendo e amplificando a dismisura i conflitti di interesse tipici delle banche miste2. La stessa ingegneria finanziaria ha poi permesso a queste banche proprietarie di distribuire
i pericoli delle operazioni aperte creando appositi strumenti-veicolo
che determinano una vera e propria invisibilit delle esposizioni e
delle stesse filiere di controllo. Accanto al nuovo ruolo delle banche
esiste, come noto, il peso crescente dei fondi hedge e private che
hanno comprato utilizzando un pronunciato effetto leva, destinato a
costringerli a rispondere in termini brevissimi ai loro sottoscrittori,
con la preoccupante conseguenza della trimestralizzazione degli
andamenti perseguiti; sempre pi evidente quindi una prospettiva
interamente finanziaria, attratta dalle sirene della speculazione e che
certo mal si concilia con i tempi degli investimenti di natura produttiva. Un fenomeno tuttaltro che trascurabile qualora si tenga presente, solo per citare un dato, che in Inghilterra oltre 3 milioni di lavoratori, il 20% degli occupati nel settore privato, erano ancora nel luglio
2008 dipendenti di imprese di propriet dei fondi o da essi partecipate; si tratta di un comparto ora talmente in crisi da costringere ad un
ripensamento lintero sistema economico britannico, il quale paga il
peso di una eccessiva terziarizzazione finanziarizzata e il venir meno
di grandi marchi nazionali: ormai solo 1/3 del sistema manifatturiero britannico in mani inglesi3.
La distinzione tra fondi attivisti, che intendono cio partecipare
alla gestione delle imprese finanziate, e fondi neutrali pare, in ultima
analisi, abbastanza debole visto che comunque entrambe le tipologie
devono rispondere ai loro sottoscrittori sulla base di scadenze molto
ravvicinate. In particolare i fondi hedge hanno ulteriori controindicazioni proprio in relazione alla struttura proprietaria; il fatto di ricorrere cos massicciamente allindebitamento per finanziarsi, con
2. Si possono citare fra gli altri i contributi di R. RAJAN, L. ZINGALES, Salvare il capitalismo dai capitalisti, Torino, Einaudi, 2004, C. BBAR, P. MANIRE, Uccideranno il capitalismo, Milano, Bompiani, 2004, R. R. BOTTLE, Soldi dal nulla, Milano, Il Sole 24 ore, 2006,
J. SACHS, La fine della povert, Milano, Mondadori, 2005, M. VITALE, America punto a capo. Una lettura non conformista della crisi dei mercati mobiliari, Milano, Scheiwiller, 2002,
S. ANDRIANI, Lascesa della finanza. Risparmio, banche, assicurazioni: i nuovi assetti delleconomia mondiale, Roma, Donzelli, 2006.
3. L. MAISANO, Londra rimpiange le sue fabbriche, Il Sole 24 ore, 22 gennaio 2009.
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UNA CRISI TANTE CRISI
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Ma noto che date segni dinsofferenza e non vedete lora che vi descriva la creazione della v
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UNA CRISI TANTE CRISI
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UNA CRISI TANTE CRISI
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UNA CRISI TANTE CRISI
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Comunque, dopo aver fatto pratica con gli altri pianeti, pensai di aver risolto quasi tutti i prob
Pur tra mille incertezze, tuttavia alcuni elementi sembrano profilarsi gi con una notevole evidenza tanto da suggerire almeno qualche
ipotesi credibile di lettura delle trasformazioni in atto. In primo luogo,
di fronte alla crisi finanziaria mondiale in corso un fenomeno di evidente ritorno a casa dei capitali; i grandi investitori internazionali
che avevano fatto ampio uso negli anni passati del carry trade, indebitandosi laddove il denaro costava poco, per effetto dei bassi tassi e dellampia liquidit, e mettendo le risorse cos ottenute nei mercati emergenti pi redditizi stanno smontando queste posizioni divenute
troppo rischiose per tornare a impiegare le loro disponibilit nelle economie di provenienza, Stati Uniti in primis, dove puntano a rimborsare
ed estinguere crediti contratti a tassi molto bassi. I flussi di capitale dai
paesi occidentali a quelli in via di sviluppo sono crollati tra il 2007 e il
2009 dell82%, coinvolgendo persino gli investimenti diretti esteri, la
forma pi stabile dei flussi, che sono scesi dai 304 miliardi di dollari
dal 2007 ai 197 del 2009. Anche le rimesse degli emigrati stanno subendo una marcata riduzione per effetto della crisi, con una diminuzione del 20% nel corso degli ultimi mesi del 2008. Crescono invece i
flussi netti, dati dalla differenza fra gli acquisti e le vendite, di capitali
verso gli Stati Uniti, pari a quasi 160 miliardi di dollari che si articolano in rientro di capitali dallestero, passivit bancarie e acquisto di titoli di Stato USA. Questo fenomeno crea grandi tensioni valutarie perch rende ostica ogni previsione sulle sorti del dollaro, da un lato rafforzato dal ritorno in patria dei capitali nonostante il bassissimo tasso di interesse praticato dalla Federal reserve, fissato a met dicembre
2008 tra lo 0 e lo 0,25% e dallaltro penalizzato dalle stime relative
alleconomia USA e al debito federale. Difficile dire come si evolver
una tale situazione, decisamente anomala e legata anche ai giganteschi
piani di sostegno messi in campo dai governi nazionali, con fini di stabilizzazione. Si profila infatti uno scenario in cui leconomia americana attrae la propria moneta grazie agli aiuti pubblici ma al tempo stesso il tasso zero spinge gli investitori a dar corpo ad un nuovo carry tra-
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UNA CRISI TANTE CRISI
de, questa volta con la presa in prestito gratis del denaro negli Stati
Uniti per impiegarlo altrove. La crisi e i bassi rendimenti generalizzati
in giro per il mondo rendono per difficile trovare soluzioni realmente
alternative; le autorit americane sembrano scommettere sulla permanenza in patria dei capitali presi in prestito e per questo hanno fatto in
dodici mesi quello che il Giappone ha impiegato 12 anni a fare1. In tal
senso, dopo un brusco arresto del processo di globalizzazione sembra
essersi avviata una vera e propria deglobalizzazione. certo che il
quadro di riferimento internazionale sta mettendo in tensione le valute
pi fragili e in una simile ottica le questioni monetarie risultano particolarmente spinose per i microstati, per gli Stati di ridottissime dimensioni che ormai da tempo dimostrano di soffrire le instabilit delle
proprie valute di riferimento. Le vicende dellIslanda, che ha conosciuto una vera e propria bancarotta del sistema bancario ed ha avuto
bisogno di ben 10 miliardi di dollari di aiuti internazionali, sono emblematiche di questa condizione; il cambio rapidamente crollato,
rendendo molto difficili le importazioni e azzerando le riserve valutarie, con immediata scomparsa degli investitori esteri. Si tratta di realt
piccole che per, come gi avvenuto in passato, possono innescare
fenomeni di pi ampie dimensioni, scatenando reazioni a catena.
Stanno sparendo, in parallelo con i fenomeni sopra ricordati, i prestiti internazionali ad opera delle banche che sono coinvolte in maniera profonda nella crisi: i dati della Banca dei regolamenti internazionali indicano in 1.100 miliardi di dollari, pari al 3%, la riduzione che si
verificata nel solo 2008; una fuga che, bene precisarlo, si avviata
negli ultimi mesi dellanno con una notevolissima consistenza e non fa
presumere nulla di buono. In maniera analoga, si stima che nel 2009 il
credito ai paesi emergenti crolli da oltre mille miliardi a 150 miliardi
di dollari. Solo le banche americane, che hanno subto nel terzo trimestre 2008 il ritiro dai loro conti correnti di 483 miliardi di dollari da
parte di possessori esteri, hanno erogato 587 miliardi di dollari in meno agli investitori non americani. Dopo il noto fallimento del fondo
LTCM, avvenuto nel 1998, il calo dei prestiti bancari internazionali fu
soltanto dell1,2% mentre in seguito allo scoppio della bolla di internet, nel 2001, la contrazione sfior appena l1%. In questo contesto
particolari preoccupazioni interessano lAfrica subsahariana dove 11
paesi hanno un sistema bancario per oltre il 70% in mani estere e dunque subiscono il rischio di un rapido rientro dei capitali. Anche i fondi
hedge, che come le banche daffari si finanziano sul mercato emettendo titoli, hanno scontato enormi difficolt e per ripagare le proprie
1. R. SORRENTINO, Calo record per il dollaro, Il Sole 24 ore, 18 dicembre 2008.
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Stati Uniti
Giappone
Cina
Germania
Francia
Gran Bretagna
PREVISIONI 2009
41.200
15.800
4.570
30.100
56.000
28.500
+50%
+8%
+10%
+12%
+12%
+34%
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UNA CRISI TANTE CRISI
dinvestimento: Lehman Brothers fallita, Merrill Lynch stata acquistata da Bank of America, Bear Stearns, grazie ad un prestito ponte,
stata rilevata da JP Morgan Chase, che ha acquisito anche Washington
Mutual, mentre Wachovia stata comprata da WellsFargo. inevitabile
dunque una fortissima contrazione del credito specializzato. Nel pi
generale comparto bancario poi Citigroup ha dovuto accettare, in
cambio di uniniezione di liquidit pari a 52 miliardi di dollari e di garanzie per oltre 300 da parte del Tesoro federale, una profonda ristrutturazione con il siluramento di Robert Rubin e soprattutto con labbandono del modello, a lungo inseguito, del conglomerato finanziario globale, peraltro perdendo subito molti soldi vista la cessione di Smith
Barney ad un prezzo di 2,7 miliardi contro gli 11 a cui era valutata dal
mercato. Leffetto di ci un sostanziale ridimensionamento dellistituto, che dovrebbe ridurre le proprie ambizioni, stabilendo maggiori legami con Morgan Stanley in tema di brokeraggio.
JP Morgan Chase
Citigroup
Bank of America
Morgan Stanley
Goldman Sachs
Lehman Brothers
BNP Paribas
Royal Bank of Scotland
Deutsche Bank
Lloyd Bank
Barclays
Ubs
Credit Suisse
GENNAIO 2007
GENNAIO 2009
167
273
239
86
84
41
101
123
69
63
93
127
84
84
20
42
17
27
0,03
28
7
13
10
7
32
23
Nel febbraio 2009 lamministrazione americana di fronte, al perdurare delle difficolt dellistituto, ha prefigurato lipotesi di acquistare fino al 40% del capitale di Citigroup, convertendo in azioni ordinarie i titoli privilegiati gi ottenuti in precedenza in cambio di iniezioni di capitali pubblici per circa 45 miliardi di dollari. Anche Bank of America, dopo il salvataggio di Merrill Lynch, ha registrato in un trimestre perdite
per quasi 1,8 miliardi di dollari e ha avuto bisogno quindi dellinterven-
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UNA CRISI TANTE CRISI
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Stati e aziende, in una simile bufera, sembrano essere nella medesima situazione; a reggere meglio sono quelle realt in cui il credito
continua ad essere erogato come avviene nel caso del Brasile dove il
rapporto tra credito e PIL salito dal 28 al 35% nel periodo 2005-2008.
In questo paese, per, alla stregua di quanto accade in altre realt sudamericane, per consentire il normale funzionamento del sistema bancario in atto una riduzione del costo del denaro: il tasso brasiliano cos
sceso gi a gennaio 2009 al 13,75%, quello dellArgentina al 12,
quello della Colombia al 9,50, quello del Messico al 7,75 e quello del
Per al 6,50. Questo sta determinando una bassa remunerazione garantita dai titoli di Stato di tali paesi e gli effetti di ci potrebbero essere
una rapida fuga dei capitali esteri8. Contro un simile rischio le politiche
economiche di alcuni Stati latinoamericani hanno previsto un ingente
stanziamento di fondi pubblici nel settore delle infrastrutture; il Brasile
ha messo sul tavolo 280 miliardi di dollari dal 2007 al 2010, il Messico
44,6, la Colombia 24,5 e il Per 10. Nonostante ci le stime per il 2009
vedono per il Brasile una crescita del PIL ferma allo 0,5% contro il 5,5
del 2008 soprattutto per le difficolt dellindustria siderurgica, meccanica e della plastica. Ormai le difficolt investono anche la Svezia, dove il PIL ha registrato una perdita vicina al 5% nel quarto trimestre
2008, la Finlandia, ufficialmente in recessione dal febbraio 2009, e la
Danimarca. Di fronte alla crisi il mondo diventato realmente piatto,
pi di quanto non lo sia stato duramente la globalizzazione.
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ARRIVA LO STATO
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UNA CRISI TANTE CRISI
gli spreads pagati dai paesi con debiti maggiori e soprattutto con rating
in forte ribasso, come nel caso di Grecia, Spagna e Portogallo, con un
deficit della bilancia commerciale del 10%. Il rischio insito in questo
contesto rappresentato dal fatto che molti governi, nella speranza di
far rientrare i capitali finiti nei paradisi fiscali, costruiscano percorsi di
recupero basati sulla sottoscrizione di titoli pubblici, in maniera tale
che la riduzione delle aliquote per il rientro sia legata proprio allacquisizione di debito pubblico da parte degli evasori di ritorno. In un panorama simile, se i paesi pi deboli per finanziarsi dovranno tornare a rialzare i tassi probabile che conoscano difficolt analoghe a quelle gi
vissute alla fine degli anni Novanta, questa volta senza la necessit di
difendere le proprie monete. Il nuovo statalismo avr conseguenze anche sul piano delle politiche di cooperazione, in termini di disponibilit
di aiuti, e su quello degli accordi commerciali, rafforzando la gi decisa
spinta alla conclusione di accordi bilaterali a scapito delle sedi multilaterali. evidente inoltre che gli interventi statali faranno lievitare il deficit dei conti pubblici, che dovrebbe crescere dal 2,6% del 2008 al
6,8% del 2009, con punte del 7,7 per le economie pi ricche, raggiungendo un livello sconosciuto ormai da cinquantanni.
Il dato che maggiormente balza agli occhi di tale finanziamento del
debito costituito dalle sue dimensioni; il governo statunitense aveva
gi stanziato, a fine 2008, 8.560 miliardi di dollari a sostegno della
propria economia. Ben 3.800 miliardi erano stati destinati allacquisto
di azioni e debiti di banche e societ, insieme a mutui e quote di credito al consumo, altri 1.700 sono stati indirizzati a fornire liquidit per
garantire prestiti di dubbia solvibilit e altri 3.100 miliardi, emessi con
lappoggio della Federal reserve, per garantire prestiti interbancari, valori mobiliari e depositi di vario titolo. Si tratta di una somma gigantesca pari ad oltre la met del PIL americano2. Ad essa il presidente
Obama ha aggiunto ulteriori misure riprendendo la strategia degli
sgravi fiscali a famiglie e aziende per oltre 300 miliardi di dollari. Si
tratta di una cifra superiore a quella prevista da George W. Bush, che
aveva contemplato nellambito di un programma decennale da 1.350
miliardi di dollari un primo biennio di 174 miliardi. Nellottica di
Obama, invece, il piano in due anni dovrebbe superare, come detto, i
300 miliardi. Tuttavia la differenza con la presidenza repubblicana sta
nella natura degli sgravi, non pi generalizzati, ma mirati ai ceti medio
bassi e ai lavoratori dipendenti3. Gi a marzo 2009 per queste cifre
2. M. MARGIOCCO, Oltre la met del PIL USA a sostegno delleconomia, Il Sole 24 ore,
27 novembre 2008.
3. M. VALSANIA, Obama, tagli fiscali da 300 miliardi, Il Sole 24 ore, 6 gennaio 2009.
La settimana in cui creai Adamo ed Eva avevo assunto laspetto di un bipede antropoide e c
Quando stavo progettando il Prototipo N. 22, invece, avevo assunto una forma completamen
Ma noto che date segni dinsofferenza e non vedete lora che vi descriva la creazione della v
Comunque, dopo aver fatto pratica con gli altri pianeti, pensai di aver risolto quasi tutti i prob
Arriva lo Stato
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La settimana in cui creai Adamo ed Eva avevo assunto laspetto di un bipede antropoide e c
Quando stavo progettando il Prototipo N. 22, invece, avevo assunto una forma completamen
Ma noto che date segni dinsofferenza e non vedete lora che vi descriva la creazione della v
Comunque, dopo aver fatto pratica con gli altri pianeti, pensai di aver risolto quasi tutti i prob
UNA CRISI TANTE CRISI
La settimana in cui creai Adamo ed Eva avevo assunto laspetto di un bipede antropoide e c
Quando stavo progettando il Prototipo N. 22, invece, avevo assunto una forma completamen
Ma noto che date segni dinsofferenza e non vedete lora che vi descriva la creazione della v
Comunque, dopo aver fatto pratica con gli altri pianeti, pensai di aver risolto quasi tutti i prob
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bile in simili scelte condotte dallistituto centrale. Persino gli swaps tra
titoli di Stato e portafogli critici delle banche, annunciati dalla Banca
dItalia, imporranno selezioni non neutre e potranno dare adito a rischiose preferenze. In estrema sintesi, il massiccio intervento degli
Stati, nelle pi diverse forme, apre scenari in cui la discrezionalit e la
valutazione dellopportunit maturate in sedi ben distinte dal mercato
avranno un peso crescente. Nel rapporto tra politica e mercato, che negli ultimi decenni ha visto la ritirata della prima, le cose stanno quindi
cambiando con estrema rapidit; una trasformazione a cui contribuiscono in maniera molto avvertibile i fondi sovrani, che dispongono
complessivamente di quasi 3 mila miliardi di dollari e che hanno dato
gi prova di scegliere i propri impieghi abbinando valutazioni economiche e considerazioni politiche. Per capire quanto possano pesare
questi fondi sufficiente ricordare che le migliori societ italiane avevano alla fine del 2008 un valore complessivo di circa 200 miliardi di
euro, poco meno del 7% del portafoglio dei fondi sovrani. A complicare le cose contribuisce lassenza di una definizione comunemente accettata di cosa sia un fondo sovrano: secondo lOCSE si tratta di strumenti di propriet dei governi che vengono finanziati dagli scambi con
lestero, mentre per il Tesoro degli Stati Uniti sono strumenti statali
che gestiscono in maniera separata i propri beni rispetto alle riserve ufficiali delle autorit monetarie. A giudizio del McKinsey Global
Institute i fondi sovrani hanno tale qualit in quanto finanziati dalle riserve della Banca centrale di un paese e hanno lobiettivo di massimizzare il ritorno finanziario entro certi margini di rischio7. Alla luce di simili differenze risulta assai complesso individuare regole comuni sia in
termini di regolamentazione della operativit dei fondi sia in relazione
alla richiesta di una vera trasparenza. Anche da questo punto di vista
quindi la discrezionalit della politica risulta accresciuta.
In un panorama mondiale cos agitato sta cambiando rapidamente
anche il ruolo della Cina, una delle economie pi statalizzate del pianeta e ormai al terzo posto mondiale per ricchezza generata (le stime
aggiornate del 2007 indicano un PIL di 3.380 miliardi di dollari ). Di
fronte ad un sia pur parziale rallentamento del suo sistema produttivo,
testimoniato dal brusco raffreddamento dellinflazione, la Cina ha
messo a disposizione di esso e del proprio mercato 585 miliardi di
dollari, investendo nelledilizia, nelle infrastrutture, nella rete energetica, nella sanit e nellambiente. Agli interventi del governo centrale
si affiancano le misure adottate dalle province, che stanno imponendo
alle imprese locali di utilizzare materie prime e semilavorati cinesi.
7. A. DINI, La geografia dei fondi sovrani, Il Sole 24 ore, 11 novembre 2008.
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UNA CRISI TANTE CRISI
Nella stessa direzione si muovono la deducibilit dellIVA sugli investimenti in conto capitale e labolizione del massimale bancario alla concessione di crediti alle imprese, destinate a evitare il crollo dei
consumi, certificato da una rapida discesa dellinflazione dal 7 al 4%
in pochi mesi. Questi impegni interni, resi possibili dalla disponibilit di riserve valutarie per oltre 2 mila miliardi di dollari e da un debito pubblico estremamente basso, rischiano di andare a discapito degli investimenti diretti esteri e dunque di sottrarre risorse alle economie pi fragili, negli ultimissimi anni terra di destinazione dei capitali
cinesi. Lunico settore nel quale proseguono gli impieghi cinesi sembra essere quello petrolifero: 20 miliardi di dollari sono stati investiti
in Australia, 25 in Russia e altri 10 in Brasile, attraverso un accordo
tra China Development Bank e Petrobras. Persino i conti pubblici
stanno subendo gli effetti di questi interventi dal momento che, dopo
aver chiuso il 2007 con un surplus di 174 miliardi di yuan, lo Stato cinese ha registrato nel 2008 un deficit per 110 miliardi di yuan, pari a
circa 16 miliardi di dollari. In tale ottica significativo rilevare come
il surplus commerciale di ottobre 2008 registrato dalla Cina sia stato
non solo pi basso del previsto nellambito di una riduzione dellexport del 2,2% su base annua ma soprattutto sia dipeso dal forte
calo delle importazioni in termini di prezzo e in termini di quantit:
fra novembre 2007 e novembre 2008 si registrata una diminuzione
del 17,9%8 e la diminuzione proseguita a gennaio con un calo del
43% su base annua, a fronte di un calo delle esportazioni del 17,5%;
stanno diminuendo ugualmente gli ordinativi dellindustria cinese con
inevitabili effetti sui mercati internazionali. In Cina inoltre in atto
una crisi strisciante delle piccole e medie imprese che continuano a
costituire lossatura portante delleconomia con un contributo al PIL
superiore al 60%, con un apporto alle esportazioni intorno al 70% e al
gettito fiscale del 50%. Danno origine al 75% dei nuovi posti di lavoro, ma si scontrano ora con un almeno parziale rialzo del costo della
manodopera, mentre i grandi gruppi come Lenovo o Foxconn, che
produce componenti per Sony, Samsung, Dell, Nokia e Apple, faticano di fronte alle difficolt mondiali dellelettronica e dellinformatica
e procedono a massicci licenziamenti. Anche i consumi interni della
Cina stentano a decollare; continuano a comporre solo il 30% del PIL
e la crescita nel corso del 2008 stata del 15%, al di sotto delle aspettative, per quanto le retribuzioni dei lavoratori cinesi siano cresciute
da una media di 1.470 dollari del 2003 ai 4.140 del 2008, avvicinandosi ormai a quelle dei lavoratori messicani. Un segnale non rassicu8. L. VINCIGUERRA, Export cinese in retromarcia, Il Sole 24 ore, 11 dicembre 2008.
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rante proviene poi dal settore bancario dove si registra la fuga di molti istituti esteri, solerti nel vendere le proprie partecipazioni alle banche cinesi: Bank of America ha venduto il 2,5% di China
Construction Bank, Ubs ha ceduto l1,33% di Bank of China, di cui
Royal Bank of Scotland ha a sua volta venduto il 4,3%. Linsieme di
questi dati accentua un fenomeno gi visibile costituito dalla progressiva fuga di cinesi dalle grandi citt in direzione delle campagne; oltre 20 milioni di cinesi, circa il 15% dei 130 milioni di nuovi immigrati giunti nei principali centri urbani dalle campagne, stanno tornando rapidamente a casa dopo aver perso il lavoro. Si stima infatti
che il numero dei disoccupati nelle periferie del paese sar nel 2009
di circa 26 milioni.
Lunico dato che sembra ulteriormente consolidarsi rappresentato dalla gigantesca mole di titoli di Stato USA acquistati dalla Cina,
pari nel novembre 2008 a 585 miliardi di dollari, poi saliti in poche
settimane a 740 miliardi, una cifra superiore ai 573 miliardi nelle mani dei risparmiatori, delle istituzioni e delle autorit giapponesi e tale
da fare dellex impero celeste il principale possessore planetario di
debito statunitense.
In questo senso la crisi in atto tende a produrre il duplice effetto di
spingere leconomia cinese ad un maggior ripiegamento su se stessa,
intensificando ancora di pi la propria natura pubblica, e al contempo
di rinsaldare il gi stretto nesso tra Cina e Stati Uniti. Oltre che sui titoli pubblici, la relazione tra i due paesi basata sulla mole di azioni
e obbligazioni di societ a stelle e strisce nei portafogli cinesi, dove
sono presenti in maniera massiccia titoli di Freddie Mac, Fannie Mae
e alcuni altri investimenti ben poco remunerativi come i 3 miliardi di
dollari impiegati da China Investment Corporation in Blackstone, acquistati con il titolo a 31 dollari e ormai sotto i 69. Su tale legame, che
ha chiari risvolti politici, pesa per la sempre pi evidente concorrenza che stanno facendosi in termini di svalutazione competitiva lo
yuan e il dollaro, con un cambio sceso da 8 a 6,8 fra il 2005 e la fine
del 2008, le cui debolezze sono utilizzate dalle rispettive banche centrali come strumenti a sostegno delle esportazioni nazionali (per
quanto le autorit cinesi stiano puntando anche a internazionalizzare la loro moneta a partire da due zone di influenza come Hong
Kong e la macroregione confinante con lo Yunnan). Per ragioni di
competizione Ben Bernanke dimostra quindi di non essere pi troppo
preoccupato dal fatto di aver portato i tassi di interesse vicinissimi al9. L. VINCINGUERRA, Cina primo creditore dellAmerica, Il Sole 24 Ore, 19 novembre 2008.
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UNA CRISI TANTE CRISI
lo zero10; se infatti lo yuan si indebolisce pi del dollaro, oltre che dagli effetti di una pericolosa concorrenza svalutativa, il vero pericolo
per il Tesoro USA proviene dalle maggiori difficolt per leconomia
cinese di continuare a sottoscrivere i buoni del Tesoro americani, tanto pi in una fase in cui si stanno riducendo le riserve della Banca del
popolo di Pechino scese da 1.900 miliardi di dollari a settembre
2008 a circa 1.800 solo due mesi dopo sia per la perdita di valore
degli asset nei quali erano investite sia per una almeno parziale fuga di capitali11. Bernanke sembra convinto che la Cina dotata di
una notevole capacit di reazione in termini di politica monetaria tanto da aver messo mano ai tassi cinque volte in tre mesi non intenda
in alcun modo rinunciare al ruolo di elemento di stabilizzazione monetaria dellintera area del Sud-Est asiatico, secondo un modello di
comportamento gi seguito in occasione della crisi del 1997, quando
le dimensioni delleconomia cinese erano decisamente pi limitate. In
tale ottica le dichiarazioni del nuovo segretario al Tesoro Timothy
Geithner, duramente polemiche nei confronti di una manipolazione
da parte delle autorit cinesi della moneta nazionale, sembrano rispondere a logiche politiche, finalizzate alla necessit di rivedere la
regolazione del sistema commerciale con la Cina piuttosto che a una
vera preoccupazione di ordine meramente monetario12. Il mercato per ha dato subito un segnale chiaro; mentre Wall Street perdeva terreno, i buoni del Tesoro americani, invece di trovare facile accoglienza
fra risparmiatori e investitori alla ricerca di un porto sicuro, erano costretti a pagare ben 40 centesimi di pi in conto interessi per rendersi
allettanti. Non a caso quindi una delle prime destinazioni estere del
nuovo segretario di Stato, Hillary Clinton, stata la Cina, dove non
ha esitato a ringraziare il governo per la costante fiducia riposta nei Tbond USA e dove ha ribadito che il tema dei diritti umani non pu interferire nelle relazioni economiche tra i due paesi. evidente che lo
stretto legame, quasi simbiotico, fra USA e Cina sia fondato in larga
misura su elementi politici che risultano prioritari rispetto alle questioni monetarie e alle strategie di investimento. In termini politici e
di rapporti di forza devono essere probabilmente valutate le ipotesi
poste in essere dalle autorit cinesi che insistono con sempre maggior
forza sullidea di una valuta di riserva internazionale, senza legami
con alcuna nazione e capace, a differenza del dollaro attuale, di garantire una stabilit di lungo termine.
10. F. FUBINI, Tonfo delle Borse mondiali, Corriere della sera, 2 dicembre 2008.
11. R. SORRENTINO, Lo yuan debole? Oggi non piace pi, Il Sole 24 ore, 11 gennaio 2009.
12. L. VINCIGUERRA, Sullo yuan accuse infondate, Il Sole 24 ore, 24 gennaio 2009.
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Tutto questo avviene nellambito di una significativa trasformazione della natura stessa delle banche centrali che, mentre perdono gran
parte della loro indipendenza, stanno accrescendo le loro funzioni attraverso lintermediazione di ingenti flussi di denaro tra le banche vigilate, assumendo posizioni molto rischiose13. La Federal reserve, solo
per citare un esempio evidentissimo, ha triplicato nel giro di poco tempo il proprio bilancio, passando dagli 850 miliardi di dollari dellagosto 2007 a circa 2.500 del novembre 2008, con un capitale fermo a 42
miliardi e con un chiaro deterioramento delle qualit dellattivo, in
passato composto da titoli del Tesoro e ora popolato da titoli di qualit molto dubbia, consegnati dalle banche per ricevere liquidit, quasi
si trattasse di un hedge fund14. Laver portato il tasso a zero e la conseguente necessit di acquisto titoli per fare politica monetaria non contribuiscono a migliorare i conti dellistituto centrale ma spingono in
direzione del quantitative easing, lallentamento quantitativo (seguito
dal 2001 al 2006 dalla Banca centrale giapponese), per effetto del quale si cancella di fatto la distinzione tra attivit di politica monetaria,
condotta attraverso i tassi, e iniziative di stabilizzazione dei mercati,
realizzate mediante iniezioni di liquidit. Lincremento di rischiosit
dei portafogli delle banche centrali che potrebbe derivare da queste situazioni stato contrastato imponendo pi consistenti margini di garanzia sui titoli ricevuti a fronte dei finanziamenti ricevuti. Il corrispondente incremento delle passivit iscritte in bilancio stato orientato, nello specifico della Federal reserve, da un aumento delle riserve
e dei depositi detenuti dal sistema bancario e dal Tesoro statunitense
presso la banca centrale.
Non deve essere troppo celebrato, alla luce di ci, il fatto che la
stessa FED abbia chiuso il bilancio del 2008 con un utile di quasi 39
miliardi di dollari perch tale risultato non registra ancora il marcato
appesantimento verificatosi in conclusione di annata. Persino la BCE,
tradizionalmente ostile al quantitative easing, ha visto lievitare le proprie attivit da 1.400 a 2.050 miliardi di dollari nella seconda parte del
200815. Considerazioni analoghe sono possibili ormai anche per la
Banca dInghilterra che ha portato il tasso all1%, tagliando il costo
del denaro di 4 punti da ottobre 2008 agli inizi di febbraio 2009 fino
13. M. MUCCHETTI, Il nuovo volto delle banche centrali, Corriere della sera, 14 novembre 2008.
14. M. GAGGI, Debito pubblico, stiamo diventando tutti italiani, Corriere della sera, 7 dicembre 2008, M. MUCCHETTI, Se la banca centrale diventa un hedge fund, Corriere
della sera, 11 gennaio 2009.
15. R. SORRENTINO, BCE e FED unite nellesplosione dei bilanci, Il Sole 24 ore, 21 dicembre 2008.
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UNA CRISI TANTE CRISI
ad un livello mai raggiunto nella sua storia che sceso a marzo allo
0,5%, avviando la stampa di nuova moneta per fare acquisti di asset
tossici e titoli di Stato. Ci avvenuto in un contesto in cui il governo
inglese dovuto intervenire con 50 miliardi di sterline a disposizione
della Banca dInghilterra, mentre il PIL scendeva nellultimo trimestre
del 2008 dell1,5%, segnando di fatto linizio della peggiore recessione dal 1980. La stessa Banca dInghilterra ha ricevuto altri 250 miliardi di sterline per garantire nuove linee di credito o in scadenza, mentre
lurgenza del momento ha costretto il governo a salire al 70% in Royal
Bank of Scotland in previsione di una totale nazionalizzazione, a fronte di una perdita di 24 miliardi di euro la pi grande mai registrata da
una azienda inglese , e a pianificare un intervento di 17 miliardi di
sterline nel capitale della banca risultante dalla fusione di HBOS e
Lloyd TSB: ci ha provocato perdite tali da costringere poi il governo
inglese alla nazionalizzazione anche di Lloyds Bank, con una quota di
capitale pubblica al 77%. Simili impegni sembrano destinati a spingere anche lInghilterra in direzione delleuro, alla luce della necessit di
proteggere meglio una moneta nazionale che sta diventando troppo
fragile; un percorso forse condiviso in maniera analoga da Svezia e
Danimarca. Da tempo la pratica del quantitative easing seguita dalla
Banca del Giappone che con tassi allo 0,1% sta procedendo ad un forte aumento degli acquisti di titoli del proprio debito pubblico e di commercial paper delle imprese nipponiche, unendo lazione monetaria a
sostegni diretti alleconomia nazionale con un piano pari al 2% del PIL
destinato a generare un forte disavanzo primario16. Agli inizi di febbraio del 2009, poi, la stessa Banca centrale giapponese ha dichiarato
di essere disposta ad acquistare dalle banche del paese azioni in loro
possesso fino ad un ammontare di 11 miliardi di dollari, prefigurando
una linea di condotta del tutto nuova e ben poco ortodossa rispetto ai
suoi tradizionali comportamenti. Le banche centrali, attraverso nuove
condotte spesso ben poco convenzionali, tendono dunque ad acquisire
i caratteri degli strumenti di sostegno alle economie dei loro paesi. In
una situazione cos complicata naturale che emergano ipotesi di bad
banks costruite dalle autorit statali nei diversi contesti per alleggerire
i compiti delle stesse banche centrali; magari persino pi bad banks
nello stesso paese, come nelle ipotesi pi recenti di Obama, al fine di
collocarvi dentro i titoli inquinanti e rimettere cos il mercato del
credito in condizioni di almeno parziale normalit.
Oltre la Cina, una serie di difficolt sta investendo altre economie
statalizzate come lIndia, la cui economia dipende meno di quella ci16. S. CARRER, Il Giappone segue la FED, Il Sole 24 ore, 20 dicembre 2008.
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nese dalle esportazioni 22% del PIL, su un totale del 35% garantito
dal commercio nel suo complesso ma sconta le ristrettezze del credito e il calo degli investimenti diretti esteri, nonostante la scelta del governo di raddoppiare in pochi mesi lammontare di bond indiani detenuti da investitori esteri e soprattutto un deficit del bilancio pubblico
pari all11% del PIL, in gran parte dovuto ad un piano di interventi
pubblici pari a 23 miliardi di euro in un contesto dove solo il 4% della
popolazione paga unimposta sul reddito. Le stime per il 2009 indicano una crescita indiana del 6%, ben al di sotto del 9% preventivato fino a pochi mesi fa dopo il 9,5 del 2005, il 9,7 del 2006 e il 9 del
2007 e molto probabilmente insufficiente a garantire il contenimento
della disoccupazione, tanto che si valutano in 10 milioni i posti di lavoro persi nel 2008 nel settore dellexport, in forte calo da novembre
2008 a febbraio 200917. Lo scandalo Satyam, il colosso indiano delloutsourcing che ha registrato un buco di bilancio di 1,1 miliardi di
dollari a causa di una pessima governance societaria, ha inoltre indebolito molto la fiducia nellefficienza del sistema indiano dellIt18. Nel
caso indiano si pu immaginare una situazione in cui la crisi delleconomia reale si trasmetter al settore finanziario e al credito per effetto
del moltiplicarsi dei prestiti divenuti inesigibili, secondo una dinamica
inversa a quella verificatasi negli Stati Uniti e in Europa. Problematiche simili colpiranno Indonesia e Malaysia, duramente penalizzate dal
ribasso del prezzo delle materie prime, mentre la Thailandia ormai
da tempo preda di una singolare crisi politica.
Larrivo dello Stato dunque caratterizzato da molte contraddizioni che si colgono bene alla luce delle diverse cause della crisi in atto
,sintetizzabili per maggiore chiarezza in pochi punti: 1) il sistema economico e finanziario stato a lungo abituato a stare in piedi ricorrendo
ad un massiccio indebitamento; 2) questo indebitamento avvenuto
grazie al basso costo del denaro praticato in primis dalla Federal reserve; 3) i rendimenti finanziari delle aziende e delle banche indebitate
premiavano i sottoscrittori dei titoli di esse e queste sottoscrizioni consentivano a banche e aziende di aver un alto valore di capitalizzazione
e di disporre di liquidit ulteriore; 4) lo scoppio della bolla immobiliare ha avviato una verifica globale dei conti delle banche e delle
aziende perch i mercati hanno cominciato bruscamente ad aprire gli
occhi sullartificiosit del sistema e hanno espresso grandi paure nel
rimettere risorse in circolazione; 5) la mancanza di trasparenza dei
17. T. KHANNA, 2.4 miliardi di imprenditori. Cina e India nel nostro futuro, Milano,
Francesco Brioschi editore, 2008.
18. M. MASCIAGA, A Delhi giro di vite sulla governance, Il Sole 24 ore, 13 gennaio 2009.
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LE POLITICHE COMMERCIALI
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Le politiche commerciali
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UNA CRISI TANTE CRISI
del Fondo stesso sulla base dellaumento del fondo NUB, nato dopo la
crisi del 1998, e una terza stabilisce un incremento permanente delle
disponibilit con il coinvolgimento a pieno titolo dei paesi emergenti.
Si discute sempre con maggiore insistenza anche dellipotesi di una
nuova moneta internazionale, che si affiancherebbe senza sostituirli ad
euro e dollaro, con funzioni di garanzia dei rapporti di debito-credito
tra i vari paesi e con compiti di stabilizzazione delle riserve delle banche centrali, magari mediante la cessione di titoli di Stato. Nella sostanza in atto dunque un decisivo ripensamento dei contorni fondamentali del mercato che pare muovere in primo luogo dalla riflessione
politica e che ha uno degli aspetti pi controversi nelle istituzioni del
commercio internazionale. Senza una rapida e profonda riforma delle
istituzioni globali, che sancisca regole in grado di ridurre drasticamente la volatilit dei prezzi e delle monete, molto difficile tuttavia
che il commercio riesca ad assumere una dimensione reale, non soggetta a spinte estranee al rapporto tra domanda e offerta di merci, evitando di cadere preda di costanti speculazioni. Si tratta di unesigenza
tanto pi avvertita dopo che il 2008 ha registrato per la prima volta
da decenni un regresso del commercio internazionale del 2%. La finanziarizzazione degli ultimi due decenni ha stravolto il sistema delle
commodities su cui si fonda una porzione importante del mercato e
quindi non avrebbe senso avviare una modifica del World trade organization o degli istituti commerciali se essa non si lega alla modifica dellingegneria delle istituzioni finanziarie nate a Bretton Woods.
Ormai finanza e commercio non appaiono disgiungibili; fino a quando saranno possibili futures su ogni tipologia di merci, non avr alcun
significato definire il commercio internazionale in termini autonomi.
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Ma noto che date segni dinsofferenza e non vedete lora che vi descriva la creazione della v
Comunque, dopo aver fatto pratica con gli altri pianeti, pensai di aver risolto quasi tutti i prob
Nel particolare contesto statunitense si sta profilando una crisi evidente del sistema pensionistico a carico di imprese che non sono pi
solvibili per le loro hanno sia sui mercati reali, dove non vendono pi,
sia sui mercati finanziari, in relazione alla propria capitalizzazione e al
valore dei titoli acquistati e posseduti in portafoglio. Le autorit federali registrano un deficit annuo pari a 1.200 miliardi di dollari; per sanare tale deficit dovrebbero procedere ad un aumento delle tasse, rischiando di intaccare i consumi. Anche da questa prospettiva ormai
evidente come la crisi finanziaria sia diventata una crisi industriale e
sociale. Non a caso il neoeletto Barack Obama nella sua prima conferenza pubblica ha fatto esplicito riferimento alle difficolt del settore
automobilistico USA in quanto asse portante di una complessa rete di
relazioni economiche e sociali. Le tre grandi case americane, Ford,
General Motors e Chrysler hanno registrato una riduzione delle loro
vendite in soli 10 mesi di oltre un milione e mezzo di veicoli; ci significa la messa a repentaglio di 3 milioni di posti di lavoro, in un
quadro in cui molti osservatori prefigurano una veloce crescita della
disoccupazione negli Stati Uniti dal 6,5 al 10%. Solo nel novembre
2008 sono scomparsi 533 mila posti di lavoro il numero pi alto dal
1974 e altre 422 mila persone sono sparite dalle statistiche ministeriali perch hanno rinunciato a cercare una nuova occupazione 1. Si
vendono meno auto negli USA si passati da 17 a 14 milioni di unit
in un anno ma si vendono anche meno case, meno elettrodomestici,
meno computer. La settimana lavorativa media si ridotta a 33 ore e
mezzo, con una parallela riduzione dei salari, mentre i mutui in sofferenza sono gi oltre il 10% del totale. Persino Toyota, in particolare
negli States, vive una situazione non troppo differente da quella dei
grandi gruppi americani essendo passata da un attivo di 6 miliardi e
mezzo di dollari a una perdita di 2,9 miliardi, ben tre volte superiore
rispetto alle previsioni, con un calo del fatturato del 20% e il declassa1. M. VALSANIA, America, mercato del lavoro a picco, Il Sole 24 ore, 6 dicembre 2008.
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La settimana in cui creai Adamo ed Eva avevo assunto laspetto di un bipede antropoide e c
Quando stavo progettando il Prototipo N. 22, invece, avevo assunto una forma completamen
Ma noto che date segni dinsofferenza e non vedete lora che vi descriva la creazione della v
Comunque, dopo aver fatto pratica con gli altri pianeti, pensai di aver risolto quasi tutti i prob
UNA CRISI TANTE CRISI
La settimana in cui creai Adamo ed Eva avevo assunto laspetto di un bipede antropoide e c
Quando stavo progettando il Prototipo N. 22, invece, avevo assunto una forma completamen
Ma noto che date segni dinsofferenza e non vedete lora che vi descriva la creazione della v
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UNA CRISI TANTE CRISI
verso la ripresa dei prezzi di azioni e obbligazioni contenute in centinaia di migliaia di fondi pensione e polizze assicurative, ne potessero
beneficiare fasce estese di popolazione. Il libero mercato restava dunque il cardine del programma repubblicano che sembrava riproporre
persino le idee reaganiane sullesigenza primaria per gli States di attrarre grandi quantit di capitale estero. La visione delleconomia di
Obama nella sostanza antitetica e parte dal presupposto che la globalizzazione sia avvolta in una crisi drammatica. Per il candidato democratico occorre tassare le multinazionali USA che delocalizzano,
necessario aumentare limposta sui capital gain e bisogna, in tempi
brevi, rivedere lintero sistema di accordi commerciali con quei paesi
dove la manodopera duramente sfruttata e i sindacati vengono criminalizzati. Obama si dichiarato poi convinto fautore delle sedi
multilaterali per risolvere le grandi controversie con i paesi emergenti, a condizione che tali sedi, a partire dal WTO, siano profondamente
riformate in senso democratico e possano imporre regole vincolanti
per tutti i membri. In tema di energia contrario allapertura di nuove
centrali e ritiene di dover investire ben 120 miliardi di dollari in biocarburanti, fornendo cos un incentivo forte allagricoltura a stelle
strisce e ottenendo il voto decisivo dellAmerica rurale. Il candidato
democratico sembrava convinto che la grande fiducia nei confronti
dei mercati internazionali dovesse essere ripensata con attenzione e
gli Stati Uniti, per ripartire, avessero bisogno di maggiore protezione,
investendo su se stessi.
A corroborare questa analisi sono intervenuti in pochi mesi i guasti provocati dagli eccessi della finanza che hanno messo in ginocchio
leconomia reale: prima la speculazione sui titoli petroliferi ha portato il prezzo del petrolio e dellenergia a livelli insostenibili per qualsiasi settore produttivo che operasse al di fuori della Cina e di un
gruppo molto ristretto di paesi emergenti, poi limprovvisa fine della
liquidit facile e della conseguente possibilit di indebitarsi a basso
costo per sostenere i consumi ha di fatto cancellato fette intere di
mercato. La finanziarizzazione in meno di un anno ha finito per
schiantare in successione i produttori, con gli alti prezzi speculativi, e i consumatori, per la sostanziale scomparsa del credito. Spesso
i guasti del sistema finanziario si sono fatti sentire contemporaneamente. Le aziende automobilistiche statunitensi hanno perso nel 2008
ben oltre i due terzi del loro valore di Borsa. A inizio 2009 Ford capitalizza 3,7 miliardi di dollari e General Motors meno di 2, valori
quindi inferiori a quelli di aziende italiane di medie dimensioni; e il
crollo pare non arrestarsi, rafforzato dalla scomparsa delle vendite
che nel gennaio 2009 hanno visto una contrazione del 49% per
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General Motors, del 39% per Ford e quasi del 55% per Chrysler. La
crisi tuttavia non esclusivamente automobilistica. In un solo giorno,
a met gennaio 2009, alcune imprese americane hanno annunciato 45
mila licenziamenti: 20 mila Caterpillar, 8 mila Sprint Nextel, 7 mila
Home Depot, 2 mila General Motors, 8 mila dalla fusione di Pfizer e
Wyeth2. A inizio 2009 unazione di General Electric valeva circa 9
dollari contro i 38 di qualche mese prima e la compagnia di assicurazione Aig perdeva 67 miliardi di dollari in un trimestre. Dai massimi
del 2007, lindice Stoxx ha perso il 59% e lo S&P il 55%, con i bancari USA che hanno cancellato l85% del loro valore. Che strategia industriale possibile immaginare per recuperare una distruzione di valore cos gigantesca e repentina persino nella pi grande economia
del mondo? Probabilmente nessuna, ed ovvio che lunico strumento
concepibile nel breve periodo sia quello citato dal presidente Obama,
capace di fargli vincere le elezioni ed individuato negli aiuti di Stato,
per una nuova tranche di oltre 700 miliardi di dollari che in origine
doveva consentire alle big three di essere ammesse al programma federale di acquisto delle attivit finanziarie tossiche e allinterno del
quale stata definita poi una porzione di circa 130 miliardi destinata
specificatamente alle auto. Si trattava di un programma distinto dal
piano Paulson che, una volta accertata limpossibilit di stabilire a
quanto ammontino gli asset pi rischiosi, si tradotto nellingresso
dello Stato nelle principali banche a stelle e strisce3. Allinizio di dicembre, mentre il PIL dellultimo trimestre 2008 crollava del 3,8%,
stato presentato un altro piano di prestiti a Chrysler e General Motors
per 15-17 miliardi di dollari, ad un tasso di interesse del 5% per i primi cinque anni e in seguito del 9%4. Le resistenze del Congresso, gi
duramente critico sul modo con cui sono stati utilizzati i primi aiuti
alle banche5, hanno per convinto la presidenza uscente di tornare allipotesi originaria di finanziare le big three con il piano Paulson, anche perch da pi parti si stima in 125 miliardi il fabbisogno necessario per superare le difficolt del settore auto; al fine di salvare le banche si ritiene inoltre necessario creare una bad bank di Stato in cui riversare tutti gli asset tossici per consentire ai mercati di superare la
paura. In un panorama cos pericolante non sono praticabili neppure
fusioni che porterebbero comunque costi di ristrutturazione e inevitabili eccessi di produzione. Nella patria del liberismo repubblicano
non si tratta tanto di operare attraverso i mercati, di fatto ridotti al2. E. DI CARO, USA, 45 mila licenziamenti in un giorno, Il Sole 24 ore, 27 gennaio, 2009.
3. M. VALSANIA, Paulson, dietrofront sul fondo, Il Sole 24 ore, 13 novembre 2008.
4. M. LONGO, Il piano Obama fa volare i mercati, Il Sole 24 ore, 9 dicembre 2008.
5. D. ROVEDA, Banche, attacco al Tesoro USA, Il Sole 24 ore, 11 dicembre 2008.
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losso, quanto di fare appello allautorit dello Stato federale, a condizione che questa autorit riesca a conciliare massicce dosi di populismo e giustizialismo con una linea coerente di politica economica e
sappia svolgere le sue funzioni, senza erodere ancora di pi la capacit dacquisto con nuove tasse, emettendo invece oltre 2.000 miliardi
in buoni del Tesoro e finanziando una bad bank. Il problema, almeno
per ora, non tuttavia chi accetter di comprarli e a quali condizioni
dal momento che, nonostante un debito pubblico di 10 mila miliardi
di dollari il 75% del PIL degli Stati Uniti per il 44% in mano straniere e un debito estero di 2.500 miliardi di dollari, nellasta di dicembre 2008 i titoli del Tesoro USA, con un rendimento vicinissimo
allo zero, sono stati rapidamente acquistati e quasi il 50% dellintera
partita stata sottoscritta da banche estere. La questione pi spinosa
rappresentata invece dal fatto che una simile offerta di titoli di Stato
da parte della principale potenza del pianeta far una dura concorrenza in maniera continuativa al sistema industriale drammaticamente affamato di denaro sia negli Stati Uniti sia nel resto del mondo, con pericolosi rischi di circoli viziosi rispetto a settori produttivi alimentati
finanziariamente da una sola fonte e per giunta ad essi esterna. Le
esplicite dichiarazioni di Obama a difesa della classe media a stelle e
strisce, che hanno contribuito a fargli vincere le elezioni, esprimono
dunque in primo luogo la volont di provare a ricostruire leconomia
reale utilizzando denaro pubblico preso a prestito a buon prezzo sia
con una politica monetaria nuova, a tasso zero, sia per effetto della
paura di guai peggiori e di nuove bolle che continuano purtroppo ad
esplodere senza tregua. A met dicembre 2008 Bernard Madoff, titolare di uno dei fondi pi gettonati dai gestori di fondi hedge, ha registrato perdite per oltre 50 miliardi di dollari in una manciata di ore,
gettando nel panico intere piazze finanziarie; a partire dalla Svizzera,
dove le banche temono buchi per pi di 5 miliardi di euro, e dal mercato italiano, in cui alcuni istituti avevano affidato significative risorse a Madoff. Dopo le prime indagini sono emersi quasi 14 mila conti
di clienti vittime della truffa, ma al di l delle cifre, tanto ingenti,
quello che colpisce la dinamica della fortuna e del fallimento dello
speculatore americano, ingegnoso nel costruire uno schema in realt
abbastanza semplice. Madoff pagava infatti i rimborsi dei suoi vecchi
clienti impiegando le somme dei nuovi clienti, che gli affidavano le
loro fortune convinti proprio dalla straordinaria capacit di Madoff di
raggiungere i rendimenti promessi. In sostanza si trattava di una gigantesca catena di SantAntonio che ha retto fino a quando la richiesta di rimborsi non ha superato le nuove sottoscrizioni; ha retto cio
fino a quando le paure innescate dalla crisi finanziaria non hanno
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chiesto il conto, rendendo conclamata la fine della festa. Questa vicenda, che potrebbe apparire molto particolare, invece paradigmatica della natura della crisi stessa. Madoff ha potuto fare soldi per anni
approfittando della opacit dei mercati; nessuno sapeva, e voleva sapere, in cosa investisse per garantire i rendimenti che prometteva.
Poteva inoltre disporre, per aggiustare le eventuali difficolt temporanee, di un credito bancario e finanziario a ottimo prezzo. Nessuno infine si preoccupava di chiedergli quanto fosse indebitato. Quando la
bolla scoppiata tutti i nodi sono venuti, contemporaneamente e in
maniera rapidissima, al pettine, costringendo il fisco degli Stati Uniti
per limitare limpatto sociale del crack a consentire ai truffati di
detrarre dalle tasse gran parte delle loro perdite. Il caso Madoff
molto simile a quello delle grandi aziende che producono automobili
o delle grandi banche e probabilmente non neppure lultimo di una
lunga serie6. Dopo Madoff infatti comparso, anzi scomparso, per alcuni giorni sir Robert Allen Stanford, facoltoso texano accusato dalla
Securities and Exchange Commission di una colossale frode da 8 miliardi di dollari nei confronti di migliaia di risparmiatori in giro per il
mondo, persino nel Venezuela di Chavez. In pi occasioni dunque negli ultimi mesi gli elementi del giallo dautore sono emersi con evidenza: scambi oscuri di mail in codice, colossali frodi nei confronti di
migliaia di investitori ignari, tanti fantasiosi prodotti finanziari, una
buona dose di insider trading e infine grosse retate di nomi eccellenti.
Le recenti inchieste che hanno scosso Wall Street hanno presentato
una trama tanto affascinante quanto emblematica del peso assunto
dalla finanza selvaggia del crea e distribuisci il rischio nelle tasche
e nellimmaginario dei cittadini statunitensi. I risparmiatori hanno
perso in meno di un anno 1,6 miliardi di dollari solo con il fallimento
di pochissimi fondi, mentre lesplosione della bolla dei subprime ha
messo moltissimi titolari di mutuo nella infelice condizione di dover
pagare un mutuo dal valore divenuto decisamente superiore a quello
della casa acquistata. Il malessere montato rapidamente e neppure il
massiccio intervento della Federal reserve nelle vesti di prestatore di
ultima istanza, sollecita nel togliere dal mercato carta commerciale di
pessima qualit, unitamente ai salvataggi guidati, sono bastati a
rasserenare il clima. La strada obbligata, secondo il modello USA affermatosi dopo il varo della legge Sarbanes-Oaxley, risultata allora
quella della massima severit penale, ribadita dal nuovo presidente
Obama attraverso lidea della creazione di un procuratore generale
con lincarico di indagare sulla crisi finanziaria e di recuperare per
6. M. VALSANIA, Uragano Madoff su Wall Street, Il Sole 24 ore, 14 dicembre 2008.
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via giudiziaria almeno una parte delle somme sottratte agli americani. Sembra profilarsi in maniera sempre pi nitida un nesso stringente fra processi di finanziarizzazione e inasprimento duro dei reati
finanziari. peraltro singolare che quando gli effetti della crisi divengono molto aspri in termini di ricaduta sociale, allora si fa appello alla modifica del diritto fallimentare per ammorbidirlo. Cos avvenuto
con i nuovi provvedimenti varati da Obama che, oltre a garantire i titolari di mutui rispetto a rate troppo onerose, superiori al 31% del
reddito lordo, hanno sancito la possibilit per i giudici di modificare
le condizioni stesse dei mutui. Anche da questo punto di vista risulta
centrale il deflagrare del populismo che, unito allavvitarsi della crisi,
esige soluzioni semplici, forse semplicistiche, e immediate, con il pericolo che siano pi politiche che tecniche: la politica mette i soldi e
la politica cerca prima di tutto consenso anche a spese di altri effetti.
La difesa degli investitori nei confronti dei rischi appare affidata
alla giustizia penale e assai meno allindividuazione di regole di mercato in grado di contrastare gli eccessi speculativi; alla luce di ci
Obama ha accompagnato allinasprimento delle pene un progetto di
riforma dei regolatori con laffidamento alla Federal reserve del compito di vigilare sugli asset tossici e alla FDIC, lagenzia che assicura i
depositi bancari, quello di sorvegliare pi da vicino le societ finanziarie in difficolt: ma con risorse troppo scarse per rendere la loro azione efficace. Decisamente deficitarie sono inoltre le forme di
autoregolamentazione delle condotte dei nuovi soggetti finanziari, come i fondi hedge, e i meccanismi di attribuzione dei rating cadono
spesso sotto i colpi dei molteplici conflitti dinteresse e dellinsider
trading. Malicious mortgage, mutuo malevolo questa leloquente
e suggestiva denominazione data dall FBI alloperazione iniziata a
marzo 2008 ha costituito la risposta pi netta e decisa allinsieme di
simili pericoli e ha teso a fornire una soluzione giudiziaria alla scarsa
eticit dei mercati. Strumenti dindagine come le intercettazioni telefoniche e i controlli sulle mail rappresentano elementi cruciali e insostituibili che la stessa FBI, su sollecitazione della SEC, lautorit di
Borsa USA, ha disposto nel giro di pochissimi giorni. Se il controllo di
natura giudiziaria diviene uno dei cardini per garantire la regolarit
delle operazioni finanziarie a difesa dei soggetti pi deboli, chiaro
che gli strumenti ad esso necessari, a partire dalle intercettazioni, devono essere potenziati anche se rischiano di essere in contrasto con la
privacy. Senza le intercettazioni e i controlli informatici non sarebbe
stato possibile smascherare i furbetti del quartierino e il caso
Parmalat avrebbe avuto probabilmente unevoluzione molto diversa.
Ci che successo negli Stati Uniti offre pi di uno stimolo a riflette-
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re sulla centralit di forme di vigilanza che le ardite costruzioni finanziarie richiedono, vista lestrema inefficacia di modelli di vigilanza
puramente interna ai mercati. Il rischio che la volont di sconfiggere la crisi porti con s lidea di rafforzare la dimensione penale dei
controlli riducendo i margini di libert individuale. La crisi finanziaria pu risultare simile alla lotta al terrorismo nellaccrescere il peso
dello Stato vigilante.
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Con cos tante fibrillazioni ancora in atto, pensare che la FED cominci ad emettere propri titoli e che debba poggiare la sua azione su
acquisti di titoli immobiliari e del debito pubblico a lunga scadenza
non appare, neppure questo, tranquillizzante; soprattutto alla luce del
sempre pi colossale deficit federale. Le stime compiute a inizio 2009
dallufficio di bilancio del Congresso valutavano in 1.200 miliardi tale
disavanzo, pari all8,5% del PIL, un record assoluto anche rispetto al
precedente picco del 1983, quando il deficit raggiunse il 6%. Questa
stima presenta forse un eccesso di ottimismo perch non contabilizza
gli effetti del piano di intervento straordinario concepito dal presidente
Obama. Se infatti si aggiungessero i costi di esso, il deficit per il 2009
salirebbe a 1.600 miliardi di dollari; una cifra molto pesante per un
paese dove il debito complessivo di famiglie, imprese, banche, finanziarie, amministrazioni pubbliche centrali e periferiche assomma ormai a quasi 52 mila miliardi di dollari; se poi a tale somma si aggiungono le esposizioni del Tesoro USA verso i trust funds si raggiungono i
56 mila miliardi, pari al 393% del PIL. In questo senso le ricette proposte dal presidente Obama per fronteggiare quella che lui stesso ha definito una possibile crisi irreversibile mettono in discussione molti degli elementi di fondo del linguaggio politico degli ultimi due decenni.
In primo luogo evidente infatti che il nuovo leader democratico considera il problema del deficit un vero e proprio tab a cui prestare ben
poca attenzione. chiaro quindi che le regole fissate dallEuropa di
Maastricht, il famoso e doloroso limite del 3% deficit-PIL, gli impegni
imposti per anni in giro per il mondo dal Fondo monetario e le politiche di rigore dei conti pubblici vengono di fatto rapidamente messe da
parte in nome della necessit di superare la crisi. Allo stesso tempo,
Obama ha dichiarato di condividere la politica monetaria della Federal
reserve di portare il costo del denaro vicinissimo allo zero, con la conseguenza di generare un sensibile deprezzamento del dollaro che certamente favorir le esportazioni statunitensi ma contribuir a indebolire altrettanto sicuramente ogni ipotesi di stabilizzazione monetaria a
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riprendendo una pratica gi avviata durante la Seconda guerra mondiale, per mettere liquidit a disposizione del sistema finanziario e per coprire la spesa pubblica. La Federal reserve andata ancora oltre impegnandosi a comprare buoni del Tesoro per 300 miliardi di dollari e titoli legati a mutui pericolanti per altri 750 miliardi; nella sostanza
1.000 miliardi di carta moneta fittizia gettati su mercati duramente
irrigiditi. Il primo effetto di simili misure rappresentato da una repentina perdita di valore delle monete di riferimento, sterlina e dollaro, che si presuppone saranno oggetto di svalutazione alla luce proprio
della loro grande disponibilit liquida. Dopo tanti anni il prezzo delle
valute tender quindi a dipendere piuttosto che dai fondamentali delle
economie di riferimento tasso dinflazione, livello di indebitamento,
andamento del PIL dalla produzione di carta moneta e di carta commerciale. Per tutto lOttocento e per buona parte del Novecento il
prezzo delle monete dipendeva dalla loro convertibilit in oro e in argento, che determinava la possibilit di emettere senza svalutazione.
Dopo gli accordi di Bretton Woods del 1944, e fino al 1971, il prezzo
si legava invece ad una parit di cambio fisso stabilita in relazione al
dollaro. Dalla fine della convertibilit aurea del dollaro in poi, le quotazioni monetarie sono dipese appunto dal valore dato dal mercato alle
economie che le emettevano. Ora le nuove pratiche seguite dalla
Banca dInghilterra, dalla Federal reserve e anche dalla Banca centrale
giapponese stanno sfornando masse di carta moneta tali da rendere la
quantit lelemento decisivo per definire la qualit delle monete; un
po come avveniva in passato, senza tuttavia lagganciamento al metallo prezioso. evidente che si tratta di pratiche rischiose giustificate
dalla gravit della crisi e dalla necessit di finanziare lindebitamento
degli Stati che corrono in soccorso delle loro economie: si emette tanta
carta moneta per comprare titoli di Stato cos che i tassi rimangano
bassi non solo nel breve ma anche nel lungo periodo e in tal modo chi
si indebita, a partire dallo Stato stesso, paghi poco la sua esposizione.
Limpressione che se gli anni Novanta hanno favorito lindebitamento privato attraverso lingegneria finanziaria e la liquidit resa facile
dalla riduzione artificiale del rischio, la crisi finanziaria globale finir
per generare nuovi strumenti di indebitamento pubblico chiamato a
coprire i debiti privati divenuti ormai scoperti. Si configura in tal modo uno spostamento colossale dellasse delleconomia mondiale, reso
possibile dalla produzione straordinaria di carta moneta, la quale diventa il cardine della rinazionalizzazione degli assetti pi consueti
del capitalismo. In questottica si pone la domanda iniziale circa la natura della moneta perch ovvio che lungo un simile percorso tende a
diventare pi di quanto non lo sia mai stata un pezzo decisivo di
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politica economica nazionale, persino per gli Stati Uniti che saranno
costretti a ripensare in profondit la natura internazionale della loro
moneta. Moneta e debito pubblico appaiono i due elementi su cui la
parte pi ricca di questo pianeta scommette per la propria tenuta: qualora si abusasse di entrambi tuttavia lo spettro di un brutale passaggio
dalla deflazione allinflazione galoppante diverrebbe tristemente reale.
Ancora una volta la capacit di riuscita degli strumenti tecnici delleconomia sembra dipendere dalla fiducia collettiva. Nelle condizioni attuali solo questa infatti che stabilisce il limite oltre il quale debito e
moneta vengono considerati carta straccia.
Conti pubblici a rischio, moneta debole ed emissioni di titoli di
Stato a dosi massicce, acquistati in primo luogo dalla Federal reserve,
paiono essere i tratti della nuova frontiera di Obama che assomiglia
per molto, purtroppo, alleconomia italiana della fine degli anni
Settanta. Certo, sono diversi i contesti di riferimento e la forza delle
due realt; oggi siamo di fronte al pericolo di una grande deflazione,
preludio di una vera e propria depressione, con la disoccupazione negli USA per la prima volta che si avvicina al 9% e con un intero sistema
produttivo in panne per mancanza di liquidit e di mercati. Quindi occorre una scossa. Gli Stati Uniti inoltre continuano ad essere la pi
forte economia del pianeta e il dollaro, nonostante le sue debolezze, la
moneta con cui si fanno l80% degli scambi mondiali. Tuttavia non
pu non colpire il fatto che per uscire dalla crisi si abbandonino in
fretta quasi tutti i princpi ispiratori di quelle che sono state considerate per anni, soprattutto dai governi progressisti e di centro-sinistra,
le politiche economiche virtuose e si ritorni allallegro deficit spending degli anni cupi, foriero di nefaste conseguenze. Cos come non
pu non colpire che Obama, dopo una campagna elettorale condotta
contro i guasti degli epigoni di Reagan, si appresti a varare il pi grande taglio fiscale della storia americana: lannunciata strategia degli
sgravi fiscali a famiglie e aziende per oltre 300 miliardi di dollari contiene una cifra superiore a quella prevista da George W. Bush, che aveva contemplato nellambito di un programma decennale da 1.350
miliardi di dollari un primo biennio di 174 miliardi. Nellottica di
Obama il piano di sgravi, approvato il 29 gennaio 2009 alla Camera
con lopposizione di tutti i deputati repubblicani, dovrebbe superare in
due anni i 300 miliardi e raggiungere, oltre alle imprese, il 95% delle
famiglie americane, riservando 500 dollari per ogni lavoratore e 1.000
per ogni coppia; neppure Reagan avrebbe immaginato tanto e non poteva certo pensare di spendere 2 mila miliardi di denaro pubblico per
sostenere il sistema finanziario. Se si mettono insieme tutti gli stanziamenti varati da Bush prima e da Obama poi tra dicembre 2007 e gen-
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duro e onest, coraggio e fair play, tolleranza e curiosit, lealt e patriottismo , sembra annunciare la fine della centralit del turbocapitalismo, gi duramente piegato dalla crisi. Lambizione della politica
di riprendersi il proprio ruolo viene cos punita da mercati che non
sono pi abituati a sottostare a forme di vera sovranit democratica,
soprattutto se corroborate dalla maggiore severit penale. Per capire
la diffidenza dei mercati occorre per aggiungere un altro dato, rappresentato dalla sempre pi marcata convinzione che circola nei mercati stessi circa limpossibilit persino per giganteschi interventi statali di ridare fiato e fiducia alle diverse economie del pianeta. Le
Borse hanno paura delle regole e, al contempo, non credono negli
aiuti dello Stato che pure invocano a sostegno di un sistema in crisi di
liquidit. Si verifica in tal modo una sorta di previsione che si autorealizza vanificando ogni impegno di capitale pubblico: in poche settimane le massicce risorse iniettate dal Tesoro degli Stati Uniti nelle
principali banche del paese hanno perso la met del loro valore per
effetto della brusca caduta dei prezzi delle azioni delle banche medesime. In una simile situazione il rischio che le cifre necessarie a
porre in essere gli auspici contenuti nel discorso di Obama siano sempre insufficienti anche quando sono enormi perch i mercati temono
il nuovo corso del presidente, ritenendolo da un lato rivolto a cancellare i benefici drogati della finanza allegra e dallaltro incapace per di sostituire tali benefici con una politica economica che sappia
prescinderne. Il tasso di risparmio delle famiglie americane ormai
all1,2%, la met di quello del 2001, il deficit federale attestato intorno ai 1.200-1.300 miliardi di dollari e la produzione industriale praticamente in corso di sparizione forniscono un supporto pericolosissimo al pessimismo dei mercati che, pur nel baratro, tendono ad essere
pi forti delle speranze di una nazione. Quando Chrysler ha bisogno
di unalleanza strategica con Fiat per abbattere i costi e rientrare nel
piano di aiuti pubblici del governo USA, cedendo il 35% del proprio
capitale di fatto gratis e promettendo un altro 20% per 25 milioni di
dollari 10 anni fa Daimler aveva pagato 36 miliardi di dollari per
Chrysler , evidente che lorgoglio nazionale americano ha bisogno
di corroboranti davvero straordinari. La principale scommessa di
Obama pare quindi essere questa: restituire agli Stati Uniti una centralit nei mercati, modificando la nozione stessa di mercato e affrontandone le molteplici resistenze. Pi Stato, pi rigore in sede penale,
pi controlli invocati a gran voce da un populismo sempre meno sotterraneo alimentano la difficile scommessa di Obama, il quale deve
cambiare le dinamiche del mercato stando ben dentro la sua attuale
conformazione. I mercati hanno paura delle loro stesse azioni e se il
La settimana in cui creai Adamo ed Eva avevo assunto laspetto di un bipede antropoide e c
Quando stavo progettando il Prototipo N. 22, invece, avevo assunto una forma completamen
Ma noto che date segni dinsofferenza e non vedete lora che vi descriva la creazione della v
Comunque, dopo aver fatto pratica con gli altri pianeti, pensai di aver risolto quasi tutti i prob
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sistema finanziario non collabora anche le misure socialisteggianti come lultima versione del piano di Geithner non sono efficaci.
Molti insistono sulla necessit di nazionalizzazioni temporanee, attraverso strumenti come i warrants pensati da Jeffrey Sachs, per ridare
fiducia e rimettere ordine senza cancellare la prospettiva futura della
rinascita del mercato; passare dal privato al pubblico per tornare al
privato appare ora per una dinamica difficile da configurare, in primo luogo in termini di costo complessivo del sistema. Solo il rapido
diffondersi di ipotesi di nazionalizzazione, sia pure temporanea, di alcune banche USA ne ha provocato un drammatico crollo azionario,
con Citigroup che ha perso il 22% in ununica seduta, toccando il
prezzo di 2 dollari contro i 50 di un anno e mezzo fa. La paura della
nazionalizzazione statale risulta un elemento che deteriora, piuttosto
che sanare, il panico indotto dalla prospettiva che le attivit iscritte
nel bilancio delle banche non valgano nulla. Lo statalismo, in tal senso, rischia di essere inutilizzabile prima ancora di essersi realmente
concretizzato oppure, come alcuni pensano, un semplice transito per
ripianare i costi dellincertezza e rimettere poi le banche e le imprese
sul mercato. In altre parole, il mercato abdica temporaneamente alle
proprie funzioni solo a condizione di essere reintegrato nei suoi pieni
poteri in una prospettiva decisamente poco accettabile per contribuenti che devono pagare il conto. Ma se quei contribuenti, come avviene
negli Stati Uniti, sono anche partecipi del gioco finanziario in qualit
di azionisti, di sottoscrittori di fondi pensione o di titolari di mutuo,
forse lindigesto salvataggio per conto terzi diventa pi digeribile, soprattutto se il compito dello Stato diventasse quello di fornire garanzie sulla base dei prezzi di mercato precedenti non allesplosione della crisi, ma alla sua fase pi acuta3. Cosa rimane in tutto ci delle
tradizionali dinamiche del capitalismo assai difficile da definire.
Ipotesi come la gi menzionata bad bank atta a separare le colossali
attivit illiquide da quelle buone o il fantasioso sidecar pensato da
George Soros, che trasferisce al sistema bancario nel suo complesso
strumenti tipici dei fondi hedge, erano del tutto inconcepibili solo una
decina danni fa e ben poco soggetti a codificazioni conosciute.
Stiamo assistendo dunque al crollo dellimpero economico a stelle
e strisce? Una domanda di questo genere poteva apparire decisamente
provocatoria ancora qualche mese fa ma gli ultimi eventi la rendono
molto concreta. Mentre il presidente Obama presentava la sua proposta per il budget federale del 2010, in sostanza la sua prima legge finanziaria, annunciando interventi per 3.600 miliardi, il dipartimento
3. F. GIAVAZZI, Come salvarci dallabisso, Corriere della sera, 22 febbraio 2009.
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UNA CRISI TANTE CRISI
del Tesoro forniva cifre da incubo sulla caduta del PIL statunitense, pari a 6,2% negli ultimi tre mesi del 2008, un dato decisamente peggiore di ogni stima possibile e che non si ripeteva da una trentina di anni.
Per capire cosa stia succedendo, questi due aspetti gigantesco budget
federale e crisi vanno letti insieme. Di fronte ad una crisi che sembra
non avere pi confini, Obama annuncia un bilancio che segna la comparsa di un deficit nei conti pubblici vicino ai 1800 miliardi di dollari,
molto pi alto quindi dellintera ricchezza prodotta in un anno dal nostro paese; un deficit pari al 12,3% del PIL americano, quindi 4 volte
superiore ai parametri virtuosi imposti allEuropa dal trattato di
Maastricht e al deficit USA dellanno prima. Un simile disavanzo deriva innanzi tutto dalle risorse che continuano ad indirizzarsi verso le
banche, sempre pi in affanno, come dimostra la necessit per lo Stato
di salire fino al 36% della propriet azionaria di Citigroup, la pi grande banca del mondo. Dipende poi dalla caccia agli asset tossici che
lamministrazione statunitense vuole cancellare dai bilanci di banche,
assicurazioni e societ con spese miliardarie. Ma oltre al settore finanziario Obama vuole destinare soldi alla sanit, con un piano da 634
miliardi di dollari in 10 anni, ai lavori pubblici, allambiente e al settore manifatturiero. Si tratta di un vero e proprio cambio di prospettiva
rispetto al passato, che al fine di reperire le enormi liquidit necessarie, colpisce alcuni gruppi sociali storicamente molto forti, dagli agricoltori, con un taglio dei sussidi, ai petrolieri, sottoposti ad una serie
di inasprimenti fiscali, che dovrebbero portare nelle casse USA 31 miliardi di dollari in una decina di anni; dai titolari di redditi superiori ai
500 mila dollari alle imprese che subiranno, per la prima volta, la tassazione dei profitti allestero. LAmerica di Obama sembra costretta
dalle difficolt a concentrarsi su se stessa, mettendosi in discussione
senza avere per certezze circa la riuscita reale dei propri sforzi. Pu
vantare tuttavia alcuni elementi di indubbia forza: in questo momento
nessun altro paese al mondo pu iniettare nella propria economia 3600
miliardi di dollari e dunque evidente che una tale prerogativa pu
consolidare il primato americano. Per disporre di una simile montagna
di risorse gli Stati Uniti devono per cambiare in profondit la loro
stessa geografia sociale e il loro ruolo internazionale. Per difendere i
redditi degli americani e far ripartire i consumi interni necessaria una
colossale redistribuzione di ricchezza che ponga fine al crescente e rapido impoverimento del ceto medio verificatosi negli ultimi venti anni.
Bisogna, al tempo stesso, ripensare il peso delle banche e dei mercati
finanziari, a cui non pu pi essere demandato il compito di produrre
ricchezza per lintero sistema paese. Soprattutto indispensabile che
tenga la capacit del governo degli Stati Uniti di indebitarsi per trovare
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i mezzi necessari ai propri interventi, visto che un aumento generalizzato della tassazione o un aumento del PIL da cui trarre risorse non sono pensabili. In questottica diventa fondamentale il ridimensionamento del ruolo internazionale degli USA che non potranno pi continuare
a svolgere lazione del gendarme internazionale rispetto ai sempre pi
numerosi conflitti regionali e saranno costretti ad una vera e propria
sottomissione alle richieste che provverranno dai loro grandi finanziatori, a partire dalla Cina, in possesso di una parte colossale del debito pubblico americano e dei dollari circolanti. Il paradosso in cui si
trova invischiato il presidente Obama costituito dal fatto che la sua
capacit di salvare la propria economia vincolata a doppio filo alla
volont degli investitori internazionali, Cina su tutti, di finanziarla.
Questo significa dover rinunciare al ruolo di superpotenza e accettare
un nuovo rapporto con il mondo e con la propria identit. La fissazione della data dellestate 2010 per il la fine della guerra in Iraq proclamata da Obama uno dei primi segni dellera post-americana.
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UNA CRISI TANTE CRISI
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INCUBI EUROPEI
Come negli USA, anche in Europa bisogna fare presto; questo sembra essere il monito che scuote i governi europei e le banche centrali.
La crisi industriale ormai esplosa pure qui e sta colpendo duramente
il settore automobilistico, chimico, minerario e siderurgico, oltre ad
aggravare i ritardi di altri comparti gi in affanno. I benefici che possono derivare dalla decisa e improvvisa riduzione del prezzo del petrolio e delle materie prime sono infatti vanificati dal pesante indebitamento in cui versano molte imprese, dalla loro difficolt nel reperire liquidit e dalla scomparsa di numerosi mercati di destinazione finale delle produzioni. La continua distruzione di valore borsistico che
subiscono le societ quotate contribuisce a rendere ancora pi cupo
tale clima. Di fronte ad una situazione simile finalmente ripartita in
Europa una politica monetaria volta a dare fiato alleconomia reale,
con chiari segnali di abbassamento dei tassi fino all1,5% e forse oltre; una scelta quasi obbligata che si inserisce in un panorama internazionale di generale riduzione del costo del denaro, ora decisamente
necessaria per evitare guai peggiori e resa possibile dal repentino venir meno dei pericoli inflazionistici, sostituiti da tangibili sintomi di
deflazione. In questottica sono assai meno cogenti sia il vincolo
strutturale che il Trattato di Maastricht impone alla BCE allo scopo
di difendere il potere dacquisto degli europei, contenendo linflazione al di sotto del 2% sia la paura di fiammate inflattive legate ai rinnovi dei contratti nazionali di categoria che anche in Germania hanno
mostrato, al di l delle dichiarazioni bellicose, una sostanziale moderazione. Le previsioni per il 2009 registrano che ben 11 dei 16 paesi
di Eurolandia subiranno una decisa recessione e lo sforamento del limite del 3% avverr in quasi tutta la UE con casi eclatanti come quello
dellIrlanda, dove si prevede un segno negativo pari all11%, della
Spagna con un deficit del 6,2%, della Francia con un meno 5,4%1.
Nel caso spagnolo, dove la recessione si manifestata a partire dal1. A. CERRETELLI, UE: nel 2009 PIL italiano al -2%, Il Sole 24 Ore, 20 gennaio 2009.
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UNA CRISI TANTE CRISI
lultimo trimestre 2008, appare particolarmente acuta la crisi del settore immobiliare che pesa in maniera profonda sullintero comparto
bancario: nel corso del 2008 i sette principali istituti di credito iberici
hanno acquisito case per un controvalore di 7,7 miliardi di euro nello
sforzo di tamponare i 315 miliardi di euro di crediti che le stesse banche vantano nei confronti delle societ immobiliari. Intanto la disoccupazione ha superato i 4 milioni di unit, con una porzione superiore
al 30% di senza lavoro di lungo periodo. Alla luce di simili difficolt
la nuova BCE, oltre a iniettare liquidit, dovrebbe, secondo il suo
stesso presidente Trichet, assumere in proprio i compiti di vigilanza
diretta e prudenziale sui sistemi finanziari dei vari stati europei sottoposti a ben 50 diverse authorities, svolgendo funzioni che, almeno in
parte previste dal trattato, non sono mai state esercitate per le resistenze dei governatori delle banche centrali nazionali; una asimmetria poco comprensibile in virt del fatto che oltre il 70% dei depositi
totali nellUnione europea sono conservati presso banche transfrontaliere. Come ha notato Lorenzo Bini Smaghi, le resistenze nazionali
sono originate dalle paure di ogni autorit bancaria di perdere peso
specifico. In questo senso il vero problema il rapporto tra BCE e
Banca dInghilterra che, rispetto allistituto centrale europeo, dispone
gi di una possibilit di coordinamento con il proprio sistema di vigilanza finanziaria e dunque tende a frenare gli sforzi di integrazione in
termini di vigilanza europea con chiari rischi per di sostanziale opacit del quadro.
I due timori principali sono costituiti infatti dalle fiammate speculative e dalla deflazione, associata ad una spinosa recessione che le
stime pi recenti valutano in oltre due punti percentuali per le principali economie europee nel corso del 2009; nel caso tedesco le ipotesi
pi credibili stimano la recessione al 3%. Oltre ad un solerte intervento sul versante monetario, si profilano cos altre misure di primo soccorso a partire dallapplicazione soft del patto di stabilit che, sulla
base della versione concordata gi nel 2005, dovrebbe consentire agli
Stati del Vecchio continente di sopportare un maggiore indebitamento
pubblico, stimolando il finanziamento delle infrastrutture, le varie
forme della spesa sociale e gli sconti di natura fiscale e tariffaria. La
Gran Bretagna avr nel 2009 un rapporto deficit-PIL superiore al 7%,
con una crescita colossale del rapporto debito PIL dallattuale 47% ad
una percentuale compresa tra il 70 e il 100%, la Francia sar di nuovo
sopra il 3%. Questi dati sono comunque meno preoccupanti rispetto
al pericolo di una brusca impennata della disoccupazione che, secondo le cifre fornite dallILO, per il 2009 si dovrebbe attestare a quasi 50
milioni di nuovi disoccupati a livello planetario con una tasso del 7%;
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Incubi europei
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di questi, 11 milioni saranno nellUnione europea. Proprio per scongiurare ci, la Commissione europea ha messo a punto un pacchetto
di contributi anti-recessione pari a 200 miliardi di euro, secondo alcuni analisti ancora troppo limitati dal momento che si tratta
dell1,5% circa del PIL dei paesi dellUnione europea; persino il sempre prudente Fondo monetario auspicherebbe un intervento pari almeno al 2%, lo stesso FMI che ricever dallEuropa 75 miliardi di euro
per finanziare soprattutto la difficile ripresa dei paesi dellEst. Si tratta in gran parte di misure di stimolo fiscale di carattere nazionale e
solo in misura limitata di interventi basati su risorse comunitarie; nel
complesso dovranno avere natura temporanea e non produrre distorsioni della concorrenza2, secondo quanto ha ribadito la commissaria
Kroes, ferma nel distinguere fra ricapitalizzazioni pubbliche di banche sane e in crisi (per le quali necessario un tasso di mercato aumentato di un premio di rischio). evidente che almeno in una prima
fase gli interventi maggiori sono stati destinati a fornire garanzie al
sistema bancario in difficolt, considerato come il settore pi a rischio e suscettibile di provocare guai molto pesanti alleconomia nel
suo complesso.
Germania Francia Spagna Gran Bretagna Stati Uniti Giappone Cina
12,3
17,1
408,2
78,9 398,6
Spesa pubblica
64,8
14,3
Ricapitalizzazione
40
10,5
40,8
180,3
Garanzie
621,8
412,7
198,3
695,4
428,6
414,1
Totale impegni
726,6
437,5
210,6
753,3
1.017
493 398,6
Spesa in %
2,6
0,7
1,1
1,0
4,2
2,4
4,8
del PIL
Var. del debito
29,3
22,2
19,1
42,1
10,5
14,8 14,5
in % del PIL
* Fonte Prometeia, previsioni 2009, dati in miliardi di euro (gennaio 2009)
La gravit della crisi obbligherebbe invece lEuropa ad attivare politiche ancora pi eccezionali che superino alcune delle rigidit degli
anni passati, quando il problema centrale era identificato nella necessit di avere una moneta forte e conti pubblici in regola per dare stabilit
ad un assetto istituzionale in corso di costruzione e per difenderlo da2. E. BRIVIO, Bruxelles: 200 miliardi per rilanciare leconomia, Il Sole 24 ore, 27 novembre 2008. Su questo tema si vedano anche le considerazioni espresse da James A.
Mirrlees in una recente intervista (V. DA ROLD, Giusti gli aiuti, purch temporanei, Il
Sole 24 ore, 23 novembre 2008). Gi a inizio dicembre Almunia e Trichet notavano come i
piani di intervento adottati dai governi fossero solo 18 su 27 Stati membri, per una percentuale pari allo 0,7% del PIL continentale (E. BRIVIO, Governi troppo lenti, DOV E ?, 9 dicembre 2008).
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gli shock interni. Il caso della Germania sta dimostrando che, nonostante un piano pubblico di 500 miliardi di euro tra garanzie e ricapitalizzazioni, il sistema bancario ancora in affanno e da pi parti si ventila un nuovo intervento da 30 miliardi. A inizio gennaio 2009 il governo tedesco ha iniettato 10 miliardi di euro nel capitale di
Commerzbank: dopo tale intervento e dopo la fusione in atto con
Dresdner Bank, lo Stato ne deterr il 25%, procedendo al contempo ad
ottenere il 10% di Deutsche Bank, attraverso lacquisizione da parte di
tale istituto di Postbank, la banca al dettaglio pi importante della
Germania, partecipata da Deutsche Post3. A febbraio la presa datto
del tracollo di Hypo Real Estate ha spinto il governo di Angela Merkel
a proporre un progetto di legge che consente la nazionalizzazione forzata di un istituto di credito in crisi. Tale norma segna un evidente salto di qualit in termini di rilievo dellintervento statale, soprattutto in
relazione allordinamento tedesco dove larticolo 14 della legge fondamentale stabilisce precisi limiti allesproprio e contiene solo un generico rimando alla possibilit di indennizzo per gli azionisti espropriati.
Le difficolt continuano a caratterizzare anche leconomia della
Francia dove il governo, sottoposto a forti critiche, fin dal 12 ottobre
2008 ha presentato un piano che offriva una garanzia a copertura dei
titoli emessi dalla Socit franaise de financiement de lconomie entro il 31 dicembre 2009, con una scadenza da uno a cinque anni e a
tassi di mercato per un ammontare complessivo pari a 320 miliardi di
euro. Lo Stato francese si impegnato inoltre a offrire una garanzia
sui finanziamenti concessi alle societ del gruppo Dexia, in accordo
con i governi lussemburghese e belga4, questultimo gi coinvolto in
maniera massiccia nel difficoltoso salvataggio dellistituto finanziario
Fortis. In Spagna si assistito alla parallela creazione di un fondo, con
una dotazione iniziale di 30 miliardi di euro e con la possibilit di acquistare titoli da istituzioni finanziarie operanti in Spagna; pure in
questo caso molte delle criticit continuano tuttavia a permanere sebbene in un quadro bancario pi solido.
Lesigenza di pronte repliche europee deriva dal fatto che, a differenza di quanto avveniva in passato, ora la crisi ha origine fuori
dallEuropa e i diversi poli delleconomia mondiale Stati Uniti,
Cina, Russia, America Latina stanno attrezzandosi per riportare i
capitali a casa o per trattenerli allinterno dei propri mercati, a cui
fornire sia pur con esiti incerti stimoli decisi per rilanciare i consumi. In particolare la Russia, che ha visto crollare lindice MICEX
3. E.B. ROMANO, Deutsche Bank fa posto allo Stato, Il Sole 24 ore, 14 gennaio 2009.
4. Banca dItalia, Bollettino economico, n. 55, gennaio 2009, p. 11.
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SOLUZIONI NAZIONALI
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Soluzioni nazionali
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UNA CRISI TANTE CRISI
stessa piazza milanese ha subto perdite pari al 50%. Oggi questi dati
sono messi pesantemente a rischio se si pensa che nellultimo trimestre
del 2008 il PIL italiano crollato del 2,6% rispetto al 2007 e dell1,8%
nei confronti del trimestre precedente: numeri negativi che non si registravano dal 1980, tanto pi se accompagnati ad una caduta del PIL nel
2008, pari complessivamente allo 0,9%, la peggiore dal 1993.
Le dure proteste espresse dai lavoratori inglesi della raffineria
Lindsey Oil, a Grimsby nel Lincolnshire, contro gli sporchi immigrati italiani accusati di accettare salari da fame, costituiscono uno degli
esempi pi chiari del nuovo clima determinato dalla recessione economica. Lorigine delle manifestazioni di piazza riconducibile alla decisione di Total, che gestisce la raffineria di Grimsby, di affidare una
serie di importanti lavori allazienda siciliana Irem, evitando di ricorrere a manodopera inglese. La maggiore sigla sindacale britannica,
Unite, ha giustificato la sollevazione degli operai nazionali dichiarando che le aziende estere starebbero ormai da tempo discriminando
la manodopera locale, mentre la stampa popolare ha soffiato sul fuoco
della polemica indicando i lavoratori italiani come poco attenti alle
norme di sicurezza e disposti ad un vero e proprio crumiraggio. Il
primo ministro Gordon Brown, decisamente imbarazzato, ha criticato
liniziativa dei lavoratori inglesi, limitandosi per a definirla soprattutto inopportuna; il ministro della Sanit Alan Johnson si spinto oltre, chiedendo una revisione profonda della normativa a tutela dei lavoratori, indebolita, a suo giudizio, dalle recenti sentenze della Corte
europea. A sostegno dei lavoratori della raffineria Lindsey si sono avute poi numerose manifestazioni in altri impianti a partire da quelli
scozzesi di Grangenouth e del gassificatore di South Hook nel Galles,
a cui ha fatto seguito una aperta dichiarazione di supporto alle ragioni
dei lavoratori inglesi dellex leader dei minatori Arthur Scargill, ora
esponente del Socialist Labour Party. Ben venga il protezionismo
ha detto per tutelare salari e occupazione4. Gi queste reazioni fanno capire che la vicenda della Lindsey Oil, conclusasi solo dopo limpegno della Total ad assumere un numero di lavoratori britannici pari a
quello di lavoratori stranieri, rischia di anticiparne molte altre. Se la
possibilit per le singole economie nazionali di uscire dalla crisi, salvando migliaia di posti di lavoro, dipende sempre pi dallintervento
dello Stato, sia sotto forma di aiuti sia attraverso ladozione di rigide
politiche protezionistiche, evidente che lappello allappartenenza
nazionale come criterio di destinazione delle risorse statali sar sempre pi marcato. I dati certificano per quanto gli appelli alla difesa
4. L. MAISANO, Il leone Scargill torna sulle barricate, Il Sole 24 ore, 3 febbraio 2009.
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UN CASO SPECIFICO.
IL MERCATO DEI PRODOTTI AGRICOLI
IN AFRICA DI FRONTE ALLA CRISI
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UNA CRISI TANTE CRISI
mento aveva toccato il record dei 9,39 dollari per bushel, pi del doppio rispetto ad un anno prima1.
Le cause di tali aumenti sono state molteplici, a cominciare proprio
dalla speculazione finanziaria che ha trasformato per alcuni mesi i beni agricoli in beni rifugio. Nel 2006 i futures sui cereali negoziati alla
Borsa di Chicago hanno superato il valore di 3 mila miliardi di dollari
e sono stati tenuti alti solo in minima parte dalla crescita della domanda reale. Nel 2007 e nel 2008 il volume degli scambi ulteriormente
cresciuto e ad incidere sulle quotazioni ha contribuito anche la decisione di molti fondi di investimento di impiegare gran parte delle proprie risorse di liquidit nel settore delle commodities cos che gli investimenti basati sullindice delle materie prime sono cresciuti dai 30
miliardi di dollari del 2003 ai 160 miliardi del 2007. In termini finanziari interessante rilevare che lAfrica subshariana viene ormai inserita negli indici EMEA, i quali mettono insieme, allinterno dei vari fondi, i paesi emergenti europei, il Medio Oriente e appunto lAfrica
subshariana. Un accostamento assai forzato, dovuto in parte proprio
alla comune natura di aree produttrici ed esportatrici di materie prime
e commodities sempre pi indirizzate verso Cina e India. Questo inserimento ha favorito certamente una maggiore volatilit delle piazze
africane anche in relazione ai prezzi dei beni primari vista la loro crescente scarsit in tali aree. Al definirsi dellagroinflazione hanno contribuito a lungo poi le debolezze del dollaro che ha messo in difficolt
alcune valute e ne ha rafforzato altre, come avvenuto per il rand sudafricano, colpito da pronunciata debolezza, al contrario per esempio
del kwacha dello Zambia. In momenti di grande tensione inflazionistica il ruolo delle monete assume un rilievo centrale rispetto alle bilance
commerciali soprattutto per i paesi dalle economie pi fragili e specializzate in pochi prodotti sottoposti a concorrenza2. Per tali paesi, se
hanno scelto di applicare un controllo sulle proprie valute al fine di
evitare linflazione, le operazioni relative al cambio possono risultare
molto costose, come dimostra il caso della Nigeria. Il naira infatti, in
presenza di un forte afflusso di capitale estero e di alti prezzi del petrolio, ha cominciato a salire di prezzo, costringendo la Banca centrale
a stamparlo in gran quantit per venderlo sul mercato dei cambi, accumulando riserve valutarie. Ci ha finito per stimolare di nuovo linflazione, che era faticosamente scesa dall11 al 6%, inducendo la stessa
autorit monetaria a brusche sterilizzazioni. Il grande problema rap1. P. ROBERTS, The end of food. The coming crisis in the world food industry, London,
Bloomsbury Publishing, 2008.
2. FAO, Southern Africa, 2006/2007 Mid-season Update, gennaio 2007.
La settimana in cui creai Adamo ed Eva avevo assunto laspetto di un bipede antropoide e c
Quando stavo progettando il Prototipo N. 22, invece, avevo assunto una forma completamen
Ma noto che date segni dinsofferenza e non vedete lora che vi descriva la creazione della v
Comunque, dopo aver fatto pratica con gli altri pianeti, pensai di aver risolto quasi tutti i prob
Un caso specifico
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presentato dalla debole capacit delle pochissime banche centrali africane sovrane di definire i contorni di una vera politica monetaria;
una questione che ha coinvolto anche il Sudafrica, la cui Banca centrale ha posto in essere nel corso del 2007 alcune strette sul costo del denaro senza riscuotere troppo successo nel frenare linflazione.
Laumento di prezzo dei generi cerealicoli infatti ha surriscaldato un
quadro economico gi sospinto da una crescita nel 2006 vicina al 5%.
Sui prezzi cominciano a pesare anche i cambiamenti climatici: un
recente studio delleconomista William R. Cline, Global warming and
agricolture: impact estimates by country, prevede un calo della produzione agricola sudafricana del 39-47% per il 2080 se la concentrazione
dei gas serra continuer a crescere al ritmo attuale. Un dato allarmante
per i contadini africani che gi combattono contro una cronica insufficienza alimentare. Particolarmente drammatiche sono le conseguenze
delle alluvioni che con periodicit frequente colpiscono il continente
africano. Nellagosto-settembre 2007 le precipitazioni hanno flagellato
buona parte dellAfrica subsahariana a ridosso della stagione del raccolto. Nel 2006 ad essere devastate sono state le aree del Corno
dAfrica, mentre nel 2000 fu paralizzato lintero Mozambico. I periodi
delle piogge intense si alternano a drammatiche siccit senza che siano
state ancora realizzate le necessarie opere infrastrutturali, a partire dai
grandi invasi3. Unaltra causa dellincremento dei prezzi dei cereali
rappresentata dal forte sviluppo della produzione dei cosiddetti agrocarburanti, soprattutto in alcune zone del pianeta. Lamministrazione
Bush ha previsto una produzione di biocarburante per trasporto di 132
miliardi di litri entro il 2016 al fine di ridurre la dipendenza dal petrolio; sembra pi probabile tuttavia che lobiettivo da raggiungere si fermi a circa 650 milioni di ettolitri per evitare di esercitare pressioni insostenibili sui mercati agricoli. Questo obiettivo stato confermato nella sostanza dal nuovo presidente Obama che nel suo programma elettorale non ha rimosso i sussidi in tale direzione. In Africa sono stati stanziati diversi milioni di dollari per produrre bioetanolo e biodiesel, in
particolare in Angola, Zambia, Kenya e Mozambico. Il Sudafrica ha varato un programma, stimato in 828 milioni di dollari, per coprire entro
il 2013 con i biocarburanti il 75% del target complessivo di energia rinnovabile del paese. La Nigeria ha proceduto ad assegnare due concessioni alla Inc. Natural resources per portare a termine un progetto da 4
miliardi di dollari per produrre etanolo nello stato settentrionale di
Jigawa. Nel maggio del 2007 a Nairobi stato approntato un piano per
forniture di energia rinnovabile a 20 milioni di abitazioni in ben 25 stati
3. G. ALBANESE, LAfrica delleterna emergenza, Avvenire, 22 settembre 2007.
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UNA CRISI TANTE CRISI
africani4. Al di l delle diverse stime che circolano fra gli esperti circa
la reale potenzialit di questi carburanti, indubbio che la loro coltivazione necessita di molta acqua ottenere un litro di etanolo richiede
da tre a cinque litri di acqua dirrigazione e genera fino a tredici litri di
acque reflue , accelera processi di deforestazione e tende a ridurre
loccupazione (nelle zone tropicali, 100 ettari destinati allagricoltura
familiare creano 35 posti di lavoro, mentre la palma da olio e la canna
da zucchero solamente una decina)5. Lo sviluppo dei biocarburanti
stato reso possibile dal prezzo del barile di petrolio ampiamente sopra i
100 dollari; con il greggio tornato a inizio 2009 tra i 40 e i 50 dollari
molto probabile che tale settore subisca un drastico ridimensionamento,
contribuendo alla gi marcata riduzione del prezzo dei beni agricoli.
Alla luce di ci si tratta di capire quali siano state le conseguenze
di questa fase rialziasta dei prezzi soprattutto per le economie pi sensibili ad essi, le pi aperte, come quella africana. Qualche dato pu
essere utile per cogliere le dimensioni del fenomeno: dal 1995 al 2003
le esportazioni agroalimentari dellAfrica dellOvest sono cresciute
del 50% (per oltre 6 miliardi di dollari) ma il deficit dei suoi scambi
alimentari salito in misura maggiore, arrivando al 55% (pari a quasi
5 miliardi). LAfrica occidentale si ridotta da forte esportatrice a regione importatrice di prodotti alimentari. Dal 1993 al 2002 questarea
ha aumentato le proprie importazioni di cereali del 60% (per il resto
del mondo laumento stato del 18,2%), mentre la loro produzione
aumentata solo del 16,3% (6% per la media mondiale). Nellarea di libero scambio dellAfrica occidentale la produzione agricola specializzata destinata al mercato interno solo per una percentuale compresa tra l8 e il 13%6, mentre assai pi ampia la parte destinata al
consumo domestico costituita dalla produzione non specializzata. In
tutta lAfrica subsahariana la bilancia commerciale agricola divenuta
passiva dal 2000, con una fortissima crescita dellimportazione dei cereali; questo in un contesto mondiale dove, invece, gli scambi commerciali di beni agricoli interessano solo il 5% della produzione agricola mondiale.
Nel corso del 2007 Benin e Burkina hanno presentato un pesante
problema commerciale: il forte aumento del prezzo del grano non
stato compensato da un analogo incremento del prezzo del cotone; in
Gambia la produzione di cereali ha coperto meno della met del fabbi4. M. COCHI, Pericolo verde, Nigrizia, ottobre 2007, pp. 30-33.
5. E. HOLTZ-GIMENEZ, I cinque miti della transizione verso gli agrocarburanti, Le
Monde diplomatique, n. 4, 2007.
6. D. DIALLO, La concorrenza sleale uccide. SOS per lagricoltura africana, il manifesto, 3 marzo 2007.
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re chiave per aumentare la produttivit e controllare lerosione del terreno; obiettivi raggiungibili attraverso lalterazione minima del suolo,
precise tempistiche di semina, rotazione e associazione delle colture,
copertura dei terreni. Sarebbe opportuno favorire, con pi convinzione
di quanto si sia fatto finora, proprio lintegrazione dei mercati africani
in ununica area regionale che dipenda meno dallapprovvigionamento
esterno e sia nelle condizioni di autoregolarsi e di provvedere ai propri
bisogni, magari contenendo quanto pi pezzi possibili della filiera
agroalimentare11. Questa prospettiva renderebbe pi efficienti anche gli
aiuti europei, sicuramente assai ingenti; nel decimo FES sono previsti
per i paesi dellAfrica subsahariana circa 4 miliardi lanno che si dovrebbero spendere con cognizione, facilitando le procedure formali per
la stessa richiesta di aiuti. Sarebbe altres necessario rivitalizzare una
sede realmente multilaterale per discutere di regole commerciali e di tariffe, dal momento che la logica degli accordi bilaterali, attraverso la
quale passa oggi oltre il 65% delle riduzioni tariffarie, favorisce i pivot
pi forti e non consente di affrontare temi generali come la riduzione
della povert, la lotta allinquinamento e la redistribuzione sociale
della ricchezza planetaria. Questo tanto pi necessario in relazione alle esigenze dei paesi in via di sviluppo, dove la spesa per il consumo di
cibo raggiunge il 65% della spesa totale, a fronte di una percentuale fra
il 10 e il 20% nei paesi industrializzati. Gli accordi bilaterali tendono a
semplificare gli scambi liberandoli da vincoli di carattere generale
e, al tempo stesso, mirano ad ampliare i benefici dei singoli contraenti a
scapito di garanzie ambientali e sociali, con effetti tuttaltro che benefici proprio nella distribuzione della ricchezza.
In una simile ottica assume allora un rilievo significativo la valorizzazione della struttura delleconomia agricola africana dove, nonostante il processo sopra descritto, resta centrale limportanza dellagricoltura familiare. Questa forma di societ soprattutto nellAfrica subsahariana, nella quale 2/3 degli abitanti vivono in villaggi con meno di
2.000 abitanti assicura pi del 90% della produzione agricola e gestisce pi del 95% delle terre agricole. A dispetto della spietata concorrenza internazionale, i piccoli produttori dellagricoltura familiare continuano ad assicurare fino al 90% dellapprovvigionamento alimentare
delle comunit locali. Lagricoltura ha per subto negli ultimi anni un
processo di indebolimento dovuto alla riduzione dei sussidi ai piccoli
agricoltori, alleliminazione del controllo dei prezzi dei fattori di pro11. Si vedano in tal senso le dichiarazioni di Mamadou Cissokho, presidente e fondatore
di ROPPA, la rete dei produttori agricoli dellAfrica occidentale (S. MORANDI, Prendere o lasciare. Cos lEuropa ci impone gli accordi, Liberazione, 24 aprile 2007).
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fallimento del Doha round, molto probabile che le sorti dei mercati
agricoli africani siano schiacciate da una vera e propria frantumazione
localistica: senza monete di riferimento, senza sbocchi internazionali,
con una scarsa remunerazione sui mercati interni e con prezzi dei terreni a picco, gli spazi per uneconomia reale, capace di garantire migliori condizioni di vita e soprattutto una vera sovranit alimentare,
sono molto limitati. Negli scenari di una crisi molto cupa potrebbero
prendere consistenza soluzioni assai particolari come le ipotesi di sviluppare la coltivazione del riso OGM: lesperienza di Nerica, il riso che
resiste alla siccit e fornisce grandi raccolti, costituisce uno degli
esempi pi chiari in tal senso15. La possibilit che queste soluzioni si
concilino con la struttura familiare dellagricoltura africana tuttavia
quantomeno da verificare. Pu essere sfruttata invece ladattabilit
delle agricolture famigliari per ricostruire una maggiore autonomia regionale anche perch in molti casi le dimensioni delle cosiddette agricolture domestiche, in particolare in Africa occidentale, comprendono
sia aziende di 2-3 persone sia quelle con un centinaio di lavoratori,
senza reali differenze di fondo nel loro funzionamento. Fanno infatti
parte del medesimo modello quelli che secondo le definizioni OECDDAC sono descritti come tradizionalisti (family farms con qualche
rapporto con il mercato) e come superstiti (proprietari di piccoli appezzamenti che producono solo per lalimentazione famigliare): un
esteso gruppo che dipende dalle fragilit dellecosistema e dai raccolti,
sottoposto al rischio di scadere nei ben pi precari insiemi dei salariati e degli schiavi. Migliorare lefficienza delle agricolture famigliari pu pertanto consentire di frenare le migrazioni dalle zone rurali
alle megalopoli, conseguenza del rapido impoverimento di tali aree sociali, favorendo altres la nascita di capoluoghi rurali, snodi che permettono di razionalizzare la mobilit contadina, rendendola meno invasiva e inserendola in una efficace pluriattivit, nellambito della quale i redditi non agricoli, uniti alle rimesse dallestero, compongono circa il 50% dei budget famigliari negli ambienti rurali16. Unesigenza
rafforzata dal fatto che gli investimenti diretti esteri hanno determinato
in molte zone africane ricadute molto limitate e si sono tradotti soprattutto in profit remittances: nel periodo 1995-2003 su 10,761 milioni di
dollari diretti in Angola questa voce stata pari a oltre 7 milioni, in
Botswana su 943 mila dollari ben 5 milioni, nella Repubblica democratica del Congo su 1,6 milioni quasi 3 milioni, in Nigeria su 11 mi15. L. DELLAGLIO, Riso, lOGM buono che salver lAfrica, Avvenire, 10 dicembre 2008.
16. F. LOVISOLO, S. VITALE, Povert, sviluppo e mobilit rurale in Africa occidentale,
Working papere, n. 13, 2006.
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lioni oltre 1217. Resta ugualmente molto intensa la fuga di capitali dal
continente africano: secondo stime pubblicate da Jeune Afrique
stata superiore nel 2006 ai 30 miliardi di dollari. Il Rapporto UNCTAD
del 2007 relativo agli investimenti diretti esteri ha messo in rilievo come lunica loro ricaduta reale nei paesi dellAfrica subshariana provenga dalle entrate fiscali; di fronte a prezzi in rialzo di materie prime
e minerali, molti di questi paesi hanno avviato una ridefinizione degli
appalti e dei regimi di concessione accordati alle societ transnazionali. Lo stesso rapporto ha insistito sul fatto che nel 2006 gli investimenti
diretti esteri in Africa, saliti a 35 miliardi di dollari, hanno rappresentato una percentuale sul totale pi bassa rispetto al 2005, passando dal
3,1 al 2,7%, e si sono soprattutto indirizzati per ben 10 miliardi
allEgitto. La crescita del valore assoluto dipesa prevalentemente
dallaumento del prezzo delle commodities, contrastata dallo sforzo di
riacquisto di azioni di societ concessionarie da parte degli Stati titolari delle concessioni. In molti paesi africani gli investimenti diretti esteri sono stati attratti in larga prevalenza dal settore minerario; cos avvenuto in Ghana, Zambia, Tanzania e Mali18. Allo sviluppo rurale endogeno e locale non sembra quindi possano essere sostituite altre forme centrate sullapertura allesterno, anche se una simile evoluzione
ha bisogno di alcuni elementi ulteriori rappresentati da vere e proprie
politiche sociali per le fasce pi deboli, da misure in campo educativo
e sanitario, da politiche di contenimento delle nascite e da un sistema
di interventi infrastrutturali. Vi bisogno anche di un migliore utilizzo
delle centralissime rimesse degli emigrati che per lintero continente
africano hanno assommato nel 2007 a quasi 40 miliardi di dollari, di
cui circa 11 nellAfrica occidentale e pi di 5 in quella orientale. Una
somma tuttavia limitata dai pesanti costi di trasmissione, compresi fra
il 25-30%, e dalla scarsa sicurezza dei trasferimenti, in relazione almeno in parte alle carenze del sistema finanziario dei paesi destinatari.
Solo il 20% di tali rimesse si traduce in investimenti per attivit economiche locali19 e nel 2009 il complesso dei trasferimenti destinato a
subire una forte contrazione del 13% in Africa del Nord e Medio
Oriente e del 7% in Africa subsahariana.
sempre pi evidente che la globalizzazione ha trasformato in tensioni mondiali condotte politiche ed economiche che hanno origine
nelle singole aree. Eventi come il vertice della FAO a Roma si sono
17. K. SINGH, Why investment matters, Fern?, 2007, pp. 44-45.
18. CHRISTIAN AID, A reach seam: who benefits from rising commodity price?, DOVE?,
gennaio 2007, pp. 4-5.
19. A. MERLI, Dagli emigrati risorse per 300 miliardi di dollari, Il Sole 24 ore, 17 ottobre 2007.
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aperti nel segno della preoccupazione condivisa per la nuova drammatica inflazione legata al rialzo del prezzo dei beni agricoli, ma si sono
chiusi con un sostanziale nulla di fatto a causa delle resistenze di alcuni paesi ad assumere impegni realmente vincolanti sulla limitazione
delle coltivazioni destinate a biocarburanti e ad evitare (GIUSTO EVITARE LE RESISTENZE?) ladozione di barriere doganali in uscita
delle merci agricole. Leffetto di tutto ci stato laumento del numero degli affamati che sicuramente non potranno disporre degli euro
forti per fare acquisti. La grande trappola dei tassi di interesse si materializza pertanto nella contraddizione fra la difesa del potere dacquisto e delloccupazione di una parte del pianeta e il parallelo, brusco indebolimento delle condizioni di altre e ben pi estese zone della terra.
Siamo di fronte a scenari complessi ormai assolutamente interdipendenti tra loro, la capacit di pensare in forme globali le grandi tematiche risulta indispensabile. Aumentare la produttivit dei terreni, creare
una banca del cibo e altre importanti soluzioni in materia di alimentazione, cos come migliorare la produttivit del lavoro e la concorrenza
per ridurre i prezzi, non bastano pi se non si riesce ad impedire che
alcune variabili fondamentali frutto di scelte regionali e parziali
a partire proprio da quella monetaria, non destabilizzino continuamente il pianeta. E la crisi ovviamente non ha solo un risvolto economico:
anche perch le tensioni tornano sempre da dove sono state avviate.
Quando si riprende a parlare con forza di nazionalismi bene avere
chiaro tutto ci, tenendo presente che il mondo attuale sempre meno
occidentale: se nel 1995, anno della prima riunione del G8, Stati
Uniti, Francia, Gran Bretagna, Germania, Giappone e Italia costituivano quasi il 50% del prodotto interno lordo mondiale, oggi questi stessi
paesi, a cui si sono uniti Canada e Russia, arrivano appena al 43% del
totale e gli effetti della recessione stanno limando ulteriormente tale
percentuale. Al contempo la tenuta delleconomia mondiale passa altrove, soprattutto da Cina, India e Brasile. Proprio gli Stati Uniti sono
ritenuti da molti i responsabili principali della ripresa dellinflazione
planetaria prima e della deflazioni poi. Il dollaro che sembra strutturalmente debole, tenuto dalla Federal reserve a livelli decisamente
bassi per garantire liquidit al febbricitante mercato finanziario a stelle
e strisce, genera continua instabilit nei prezzi dei beni, i quali vengono scambiati in valuta USA: in pratica l80% delle merci mondiali, a
cominciare da energia e alimentari. Sempre dai mercati maturi provenuta e proviene gran parte della speculazione messa in campo dagli
strumenti dellingegneria finanziaria che, nati per ridurre il rischio degli investitori distribuendolo su platee estese di soggetti, stanno terremotando le quotazioni dei listini con pericoli tangibili di eccessiva vo-
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latilit e di dannosissime ricadute reali. I prezzi dei futures e dei derivati sulle commodities, e sui beni agricoli in particolare, finiscono per
determinare ampi margini speculativi anche sui prezzi dei prodotti reali pagati dai consumatori globali. Esiste lulteriore pericolo che si tenti
di uscire dalla crisi mondiale favorendo una nuova ripresa dellinflazione nelle economie mature diretta a pagare meno il gigantesco indebitamento messo in essere dagli Stati per salvare le proprie economie.
Leggere una simile complessit e interpretare le nuove gerarchie economiche mondiali con lenti ottocentesche, a partire appunto dai nazionalismi, costituirebbe un pericolo molto grave.
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EPILOGO
Non era mai successo. Questa espressione sta diventando ormai fin
troppo ricorrente. Non era mai successo che il tasso di interesse della
BCE raggiungesse livelli cos bassi, mai toccati dal 1999, da quando le
stata affidata la gestione delle politiche monetarie europee. Non era
mai successo neppure che le banche reagissero cos male ad un taglio
tanto marcato dei tassi di interesse, a dimostrazione che la politica monetaria in questa fase unarma assolutamente spuntata. La Banca
dInghilterra, storicamente molto severa nei confronti dei mercati, ha
portato il tasso alla soglia record dello 0,50%, lo stesso della Banca canadese, procedendo persino a stampare sterline per 75 miliardi e a ricorrere quindi a strumenti non convenzionali. Non era mai successo
che il denaro fosse gratis in gran parte del mondo e che le banche non
riuscissero in nessun modo a riprendersi, costituendo, anzi, il principale problema economico contemporaneo. Non era mai successo che
aziende iper capitalizzate e solide fino a pochi mesi prima si siano trovate con tale rapidit sullorlo del baratro. General Motors solo lesempio pi evidente di un fenomeno di questo tipo. Non era neppure
mai successo che lenorme messe di aiuti, peraltro anchessi senza precedenti, posti in gioco dal governo degli Stati Uniti guidato dal pi carismatico dei presidenti, non riuscisse a scalfire la perdita di valore delle aziende americane e a frenare lemorragia dei posti di lavoro che
dallinizio della crisi al marzo 2009 hanno raggiunto la colossale cifra
di 4,4 milioni. In 17 mesi, tra il 2008 e il 2009, lindice della Borsa USA
ha ceduto il 57%, pi di quanto aveva perso con la crisi dei titoli tecnologici allinizio del nuovo millennio, quando la perdita fu del 49%, pi
della crisi petrolifera degli anni Settanta che aveva registrato una contrazione del 48% e pi della crisi del 1929, allorch lindice era sceso
del 47,9%. Appare evidente che n il libero mercato n il protezionismo paiono ora capaci di invertire gli indici economici. Non era mai
successo che il governo giapponese decidesse di attingere alle riserve
della propria banca centrale per sostenere il sistema bancario; cos come non era mai successo che uno stato comunista come la Cina iniettasse in due tranche pi di mille miliardi di dollari per alimentare i pro-
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UNA CRISI TANTE CRISI
pri consumatori, senza ottenere neppure in questo modo risposte convincenti. Non era mai successo che la tenuta delleuro fosse cos minacciata dalla crisi delle economie pi deboli da poco entrate nella UE,
quasi che la sorte della valuta anticipasse gli effetti negativi di una recessione dei mercati. Lattuale crisi materializza tutte le paure suscitate
da un allargamento forse troppo rapido, trovando alimento nelle pesanti esposizioni delle banche europee nei paesi dellest dove si erano immaginati ritorni ben pi lucrosi. Nello specifico italiano non era mai
successo che il valore delle aziende bancarie venisse bruciato con questo ritmo, a prescindere persino dal numero di sportelli posseduti, e che
il mercato finanziario divenisse una sorta di terra di nessuno, dove non
possibile azzardare alcuna previsione, con la capitalizzazione della
Borsa di Milano scesa a precipizio in pochi mesi dal 35 al 17% del PIL.
Non era mai successo neppure che un ministro delle finanze passasse
in una manciata di settimane da un grande ottimismo ad un vero e proprio catastrofismo, definendo orribile quello che aveva indicato come
lanno della ripresa. Intanto i 3 milioni di lavoratori titolari di contratti
atipici, che hanno rappresentato lo strumento per aumentare il numero
degli occupati, rischiano seriamente di perdere il posto di lavoro, insieme ai 300 mila giovani che entrano ogni anno nel mercato del lavoro e
alle migliaia di cassaintegrati. Non era mai successo che il debito pubblico di tutte le principali economie del pianeta crescesse contemporaneamente di 10-20 punti in pochi mesi, attraverso un vero e proprio allagamento dei mercati con titoli di Stato che rendono pochissimo ma
sono richiestissimi. Non era mai successo che si parlasse di default di
cos tante economie statali. Lelenco delle cose mai avvenute prima potrebbe continuare ancora e purtroppo andrebbe ampliato ogni giorno.
Siamo veramente in unera nuova e dobbiamo capirne i caratteri mentre cambia velocemente. difficile, ma dobbiamo farlo prima di tutto
abbandonando subito molti dei vecchi arnesi del mestiere. Il primo e
decisivo passo in tal senso costituito da una nuova etica dei mercati
finanziari. evidente infatti che molte delle difficolt attuali si legano
alla sostanziale assenza di regole non solo di natura giuridica ma anche
di ordine etico, in grado di condizionare i comportamenti degli attori
economici internazionali. Lassenza di regole stata fortemente voluta
nellambito di pi ordinamenti, a partire da quello americano dove si
cancellata ogni distinzione vera tra banche commerciali e banche dinvestimento, creando una nuova tipologia di conglomerati a cui si permesso di entrare in maniera massiccia nel campo delle assicurazioni.
Questi istituti hanno alimentato comportamenti inclini al cosiddetto
azzardo morale favorito al tempo stesso dalla modificazione degli
strumenti di riduzione del rischio e dei modelli di indebitamento. Con
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Quando stavo progettando il Prototipo N. 22, invece, avevo assunto una forma completamen
Ma noto che date segni dinsofferenza e non vedete lora che vi descriva la creazione della v
Comunque, dopo aver fatto pratica con gli altri pianeti, pensai di aver risolto quasi tutti i prob
UNA CRISI TANTE CRISI
La settimana in cui creai Adamo ed Eva avevo assunto laspetto di un bipede antropoide e c
Quando stavo progettando il Prototipo N. 22, invece, avevo assunto una forma completamen
Ma noto che date segni dinsofferenza e non vedete lora che vi descriva la creazione della v
Comunque, dopo aver fatto pratica con gli altri pianeti, pensai di aver risolto quasi tutti i prob
Epilogo 105
alla luce della riforma e della nazionalizzazione di molti istituti, comprese le banche popolari certamente un punto decisivo, altrettanto
importante non perdere di vista, soprattutto adesso, la profonda natura
culturale che le banche etiche portano con s. Soprattutto nel momento
in cui, nonostante la gravit della crisi o forse proprio a causa di essa,
gli strumenti per contrastarla sembrano tornare al turbocapitalismo.
Mentre questo libro andava in stampa, il presidente Obama presentava
un ulteriore piano destinato a consentire la pulizia dei bilanci delle
banche e delle compagnie di assicurazione da 500 miliardi di asset tossici, tornando a puntare molto sullingegneria finanziaria e introducendo le garanzie della FDIC, lagenzia di assicurazione dei depositi, e della Federal reserve: un procedimento che deve coinvolgere lintervento
dei privati, in primo luogo hedge fund, private equity, fondi pensione e
le stesse compagnie di assicurazione, consentendo loro di impiegare
solo 7 dollari ogni 100 di investimento e di ottenere, con tale partecipazione, ben il 50% di qualsiasi guadagno si generasse dalloperazione.
Obama sembra convinto di poter rianimare il mercato affidandosi
esclusivamente ai soggetti che in larga misura lhanno sfasciato e affiancando loro un gigantesco ombrello statale. Le difficolt incontrate
dallo statalismo rispetto alle resistenze dei titolari di capitale grandi e
piccoli hanno rapidamente trasformato il ruolo delle autorit pubbliche
in garanti e pagatori di istituti sullorlo del fallimento, giudicati per i
soli in grado di rimettere in moto le Borse. Se prevale una simile ipotesi anche questa crisi, dopo un ventennio che ha stravolto lidea di mercato, avr prodotto veramente solo danni.
In questo contesto non possibile peraltro attendersi miracoli da soluzioni parziali: la profondit e lassoluta originalit della crisi in atto
stanno mettendo a nudo infatti molte delle carenze delle istituzioni finanziarie internazionali. Due elementi in particolare stanno modificando la loro natura consolidatasi nel tempo e pongono serie questioni in
merito alla possibilit di intervenire concretamente da parte di organismi come il Fondo monetario e la Banca mondiale. Si tratta della moneta e del debito pubblico: nel corso del 2008 sono cresciuti in maniera
significativa in termini quantitativi per molti paesi del mondo assumendo caratteri nuovi. La decisione della Federal reserve, della Banca
dInghilterra, della Banca giapponese e di alcune altre banche centrali
di portare i tassi vicini allo zero le ha costrette, di fronte alla continua e
pervicace riluttanza del mercato del credito a rianimarsi, ad avviare forme di quantitative easing, di produzione di carta moneta destinata ad
acquistare titoli tossicie non solo, modificando per in maniera sostanziale la quantit di biglietti in circolazione. Nel caso della Federal
reserve una tale attivit ha superato nel giro di pochissimi mesi i mille
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La settimana in cui creai Adamo ed Eva avevo assunto laspetto di un bipede antropoide e c
Quando stavo progettando il Prototipo N. 22, invece, avevo assunto una forma completamen
Ma noto che date segni dinsofferenza e non vedete lora che vi descriva la creazione della v
Comunque, dopo aver fatto pratica con gli altri pianeti, pensai di aver risolto quasi tutti i prob
UNA CRISI TANTE CRISI
miliardi di dollari, fino a risultare difficile da sostenere anche per il dollaro che pure dispone di una condizione di signoraggio, potendo essere
emesso per consentire gli scambi non di una sola economia ma dellintero sistema del commercio mondiale. Nonostante una evidente frenata
del commercio internazionale stimata per il 2009 intorno al 13%, negli
ultimi mesi la quantit di carta moneta in circolazione e nella riserva
delle banche cresciuta a dismisura, in particolare per finanziare la gi
accennata lievitazione del debito pubblico di alcuni paesi, a cominciare
dagli Stati Uniti. Molte delle ricette individuate per uscire dalla crisi
passano attraverso la creazione di carta moneta per finanziare il debito,
emesso a sua volta per rianimare il mercato del credito vicino al baratro. In breve, il Tesoro degli Stati Uniti, principale artefice di simili
condotte, emette bond per dotarsi di liquidit con il fine di evitare il
blocco del credito e, per garantirsi bassi tassi dinteresse a lungo termine emette carta moneta e compra titoli in modo da toglierne una parte
dal mercato. chiaro che questo sistema regge nella fase attuale perch
le spinte recessive evitano lesplosione della bolla della svalutazione e
di conseguenza dellinflazione, ma si tratta di una situazione molto particolare e delicata. Una riflessione sul nuovo ruolo delle istituzioni finanziarie internazionali deve tener conto di questi cambiamenti. Se il
prezzo delle monete dipender dalla loro quantit pi che dalla qualit,
servirebbe un organo che, prima ancora degli standard finanziari e di
capitalizzazione delle banche, fosse in grado di svolgere una costante
vigilanza sulla moneta; in tale prospettiva il Fondo monetario potrebbe
riassumere molte delle funzioni che aveva negli anni immediatamente
successivi a Bretton Woods, per quanto non esista pi il riferimento alla
convertibilit aurea del dollaro. Una considerazione che deve essere tenuta ben presente nel momento in cui si invita il Fondo monetario a
vendere oro per finanziare la propria azione di stimolo delleconomia,
privando di fatto il sistema di ulteriori elementi, sia pur molto parziali,
di stabilizzazione monetaria e puntando alla creazione di stimoli nuovamente molto artificiali. Dopo il G20 londinese tenutosi il 2 aprile, oltre
a poter vendere oro, lo stesso Fondo monetario stato dotato di circa
750 miliardi di dollari da gestire in prestiti di varia natura, persino con
funzioni di prevenzione delle crisi; superato lo storico veto statunitense,
stato trasformato nel principale erogatore dei nuovi dollari emessi e
garantiti dalla partecipazione allargata ai diritti di prelievo che decorrer dal 2011. Si profila cos una sorta di fulminea riforma del Fondo monetario, dettata dal forte incremento delle sue disponibilit liquide e posta in essere nella prassi, che lo mette nelle condizioni di essere pivot
del sistema finanziario, deciso nella fase pi acuta della crisi ad affidarsi ancora al dollaro con limpegno di ridimensionarne il peso una volta
La settimana in cui creai Adamo ed Eva avevo assunto laspetto di un bipede antropoide e c
Quando stavo progettando il Prototipo N. 22, invece, avevo assunto una forma completamen
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Epilogo 107
superato il picco, nel 2011, per evitare effetti inflattivi determinati proprio dalleccesso della carta moneta sfornata (PERIODO A ME POCO
CHIARO...). Una condizione resa incerta dal futuro comportamento
della Cina, principale depositaria di dollari, che ha dichiarato di voler
finanziare il Fondo