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Universit del Salento

FACOLT DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI


Corso di Laurea in Fisica

INTRODUZIONE ALLA FISICA MODERNA

ROSARIO ANTONIO LEO

Anno Accademico 2009/2010

INDICE
nozioni elementari. richiami
v
0.1 Punto materiale
v
0.1.1 Esempio: pendolo semplice
0.2 Sistemi di particelle
ix

vi

i meccanica analitica
1
1 principio di dalembert ed equazioni di lagrange
2
1.1 Vincoli
2
1.1.1 Definizioni
2
1.1.2 Classificazione dei vincoli
2
1.2 Gradi di libert e coordinate lagrangiane
3
1.3 Principio di dAlembert ed equazioni di Lagrange
3
1.3.1 Esempi nel caso statico
7
1.3.2 Esempio nel caso dinamico
8
1.4 Potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione
9
1.4.1 Potenziali generalizzati
9
1.4.2 Equazioni di Lagrange in presenza di forze non derivabili
da un potenziale
10
1.4.3 Trasformazioni di gauge e lagrangiana di una particella immersa in un campo elettromagnetico
12
2 principio variazionale di hamilton ed equazioni di lagrange
15
2.1 Principio di Hamilton
15
2.2 Applicazioni del calcolo delle variazioni
19
2.2.1 Cammino pi breve fra due punti in un piano
19
2.2.2 Il problema della brachistocrona
21
2.3 Leggi di conservazione
24
2.3.1 Coordinate cicliche
24
2.3.2 Funzione energia
26
3 applicazioni delle equazioni di lagrange
28
3.1 Problema dei due corpi
28
3.1.1 Movimento in un campo centrale
29
3.1.2 Il problema di Keplero
33
3.2 Piccole oscillazioni
37
3.2.1 Impostazione del problema
37
3.2.2 Riepilogo
41
3.2.3 Osservazioni
41
3.2.4 Un particolare problema
42
4 formalismo hamiltoniano
47
4.1 Equazioni di Hamilton
47
4.1.1 Un esempio
52

ii

indice

Notazione simplettica
53
Coordinate cicliche e metodo di Routh
54
Principio variazionale di Hamilton modificato
57
Parentesi di Poisson
58
Trasformazioni canoniche
60
Equazioni di Hamilton-Jacobi
70
Variabili angolo-azione nel caso unidimensionale
72
4.8.1 Esempio: loscillatore armonico unidimensionale
Riferimenti bibliografici della parte i
75
4.2
4.3
4.4
4.5
4.6
4.7
4.8

ii

73

relativit ristretta e introduzione alla meccanica quantistica


76
5 relativit speciale
77
5.1 Trasformazioni di Lorentz
77
5.1.1 Premessa
77
5.1.2 Concetto di evento
77
5.1.3 Principio di inerzia
78
5.1.4 Postulati della Relativit Ristretta e trasformazioni di Lorentz
78
5.2 Alcune conseguenze delle trasformazioni di Lorentz
84
5.2.1 Legge di trasformazione delle velocit
84
5.2.2 Contrazione delle lunghezze
86
5.2.3 Dilatazione dei tempi
86
5.3 Lo spazio di Minkowski
88
5.4 Quadrivelocit e quadriaccelerazione
92
5.5 Dinamica relativistica
93
5.6 Energia cinetica e momenti
95
5.7 Quadrimomento, tensore momento angolare
96
5.8 Equazioni del moto
97
5.9 Meccanica analitica relativistica (cenni)
98
5.9.1 Carica in moto in un campo elettromagnetico 101
5.10 *Linterferometro di Michelson e Morley 104
6 introduzione alla meccanica quantistica
107
6.1 *Il corpo nero 107
6.2 Leffetto fotoelettrico
110
6.3 Effetto Compton 112
6.4 Onde di materia di de Broglie
113
Riferimenti bibliografici della parte ii
116
iii appendici
117
a la trasformata di legendre
a.1 Definizione 118
b la successione di fibonacci
c note sulle unit di misura

118
122
123

iii

indice

d costanti fisiche fondamentali


Indice analitico
125

iv

124

NOZIONI ELEMENTARI. RICHIAMI

0.1

punto materiale

Lidea di punto materiale uno dei concetti di base della meccanica analitica. Il
punto materiale caratterizzato dalla sua massa. La posizione di un punto materiale in un sistema di riferimento Oxyz, supposto inerziale salvo avviso contrario,
determinata dal raggio vettore r = x x + yy + zz.
Definiamo velocit
v=

dr
= x x + y y + z z,

dt

quantit di moto
p = mv,
e accelerazione
a=

dv
d2 r
= 2.
dt
dt

Sappiamo che, in un sistema di riferimento inerziale, valgono i principi della


dinamica. Se F la forza risultante agente sulla particella di massa m si ha che,
per il secondo principio della dinamica,
F=

dp
dv
=m
= ma,
dt
dt

(0.1)

con m supposta costante rispetto al tempo.


Supponiamo che la particella sia libera. Allora x (t), y(t), z(t) sono tra loro
y,
z;
t) dalle (0.1) otteniamo:
indipendenti. Se F = F (r, v, t) = F ( x, y, z; x,
y,
z;
t) ,
m x (t) = Fx ( x, y, z; x,
y,
z;
t) ,
my (t) = Fy ( x, y, z; x,

(0.2)

y,
z;
t) .
mz (t) = Fz ( x, y, z; x,
Assegnate le condizioni iniziali r (0) = r0 e v(0) = v0 , se in un intorno di (r0 , v0 , 0)
le funzioni Fx , Fy e Fz sono buone (per esempio sono lisce, cio sono di classe
C ), allora il sistema di equazioni (0.2) per t > 0 ammette, almeno in un intorno
di (r0 , v0 , 0), ununica soluzione. Viene cos soddisfatto, almeno localmente, il
principio deterministico newtoniano. Le equazioni (0.2) sono dette equazioni del
moto.
Osservazione. la quantit di moto si conserva, cio p costante, se F = 0 identicamente.

0.1 punto materiale

Definiamo momento angolare della particella rispetto a O


LO = r p = mr v.

(0.3)

Definiamo momento della forza F (o momento torcente) rispetto al punto O


dLO
dp
=r
= r F NO .
dt
dt

(0.4)

Dalla (0.4) si vede che il momento angolare si conserva, cio LO costante,


se NO = 0 identicamente. Per esempio se consideriamo F forza centrale tale
che il centro della forza O, allora NO = 0 e quindi LO costante. Il momento
angolare della particella rispetto a un punto O0 individuato rispetto a O dal vettore
posizione rO0 dato da
LO0 = (r rO0 ) p.
Si vede facilmente che
dLO0
dr 0
dr 0
= (r rO0 ) F O p = NO0 O p ,
dt
dt
dt
dove NO0 il momento delle forze rispetto a O0 .
Se F una forza conservativa allora F = U (r ), dove U (r ) lenergia
potenziale.
Indichiamo con T = mv2 /2 lenergia cinetica della particella. Sappiamo che se F
una forza conservativa vale il principio di conservazione dellenergia meccanica:
T + U = costante.
Ricordiamo che vale, anche se la forza non conservativa, il teorema dellenergia
cinetica:
L=

Z B
A

F dr =

1 2 1 2
mv mv = TB TA .
2 B 2 A

0.1.1 Esempio: pendolo semplice


Studiamo il moto del pendolo in Figura 0.1. Le forze agenti su m sono
T + P = ma.
La componente radiale della risultante uguale a
T mg cos = m

v2
,
l

mentre la componente trasversa

mg sin = maT

vi

0.1 punto materiale

l
T

U=0

m
P

Figura 0.1: Il pendolo semplice.

dove aT la componente trasversa dellaccelerazione. In generale, per un moto


nel piano abbiamo, in coordinate polari:
r = rr ,
d r
dr
r + r
r + r n,
= r
= r

v=
dt
dt
dv
d
r + r n ) = rr + r n + r n + r n r 2 r =
a=
= (r
dt
dt
= (r r 2 )r + (r + 2r 2 )n.

Nel caso particolare del pendolo semplice r = l = costante, quindi laccelerazione


trasversa data da:
aT = l n = g sin n,

da cui ricaviamo
g
+ sin = 0.
l

(0.5)

Questa una equazione differenziale non lineare e la soluzione una funzione ellittica. Lequazione diventa lineare se supponiamo che le oscillazioni siano piccole
in modo da poter porre sin . In questo caso risulta:
g
+ = 0.
l
La soluzione di questa equazione
= 0 cos(t 0 )
dove 0 e 0 sono determinati dalle condizioni iniziali, mentre =
pendolo oscilla con periodo
s
l
2
= 2
.
T=

vii

g/l. Il

0.1 punto materiale

Nel caso in cui le oscillazioni non siano piccole, si dimostra che il periodo del
pendolo dato da
s 

1
32
l
2 m
4 m
1 + 2 sin
+ 2 2 sin
+ ,
T = 2
g
2
2
2 4
2
dove m lampiezza angolare delle oscillazioni.
Lequazione del moto del pendolo pu essere ricavata anche nel modo seguente:


x = l cos
=
y = l sin

x (t) = l sin
.
y (t) = l cos

(0.6)

Allora v2 (t) = x 2 (t) + y 2 (t) = l 2 2 . Applicando il principio di conservazione


dellenergia abbiamo:
1 2
1
mv (t) + mgl (1 cos (t)) = ml 2 2 + mgl (1 cos (t)) =
2
2
= costante.

E=

Poich E = costante deve risultare




g
dE
= ml 2 + mgl sin = ml 2 + sin = 0
dt
l
da cui
g
+ sin = 0,
l
cio la (0.5). In generale 6= 0.
Il moto del pendolo pu ancora essere dedotto in questo modo. Abbiamo
L0 = r mv = m(l cos x + l sin y ) (l sin x + l cos y ) =
= ml 2 z.

Lunico contributo al momento torcente quello della forza peso, quindi


N0 = r P = (l cos x + l sin y ) (mg x ) = lmg sin z.

Dunque, ricordando la (0.4), abbiamo:


dL0
dL0
dml 2
=
z =
z = ml 2 z = lmg sin z
dt
dt
dt
da cui
g
+ sin = 0,
l
cio di nuovo la (0.5).

viii

0.2 sistemi di particelle

Esercizi
1. Studiare il moto di una particella di massa m soggetta alla forza
F = kr v

(k, > 0)

dove r vettore posizione della particella e v velocit, con le condizioni iniziali


r (0) = r0 6= 0 e v(0) = v0 k r0 .
2. Studiare il moto di una particella di massa m e carica q in un campo magnetico B uniforme e costante. Siano r (0) = r0 e v(0) = v0 6= 0.
3. Studiare il moto di una particella di massa m e carica q in un campo elettrico
E e in un campo magnetico B, uniformi e costanti e tra loro ortogonali.
0.2

sistemi di particelle

Supponiamo di avere un sistema di N particelle puntiformi. Sia Oxyz il sistema di


riferimento (inerziale). Siano mi e ri rispettivamente la massa e il vettore posizione
delli-esima particella. Definiamo centro di massa
rCM =

iN=1 mi ri
,
M

con M = iN=1 mi . Detta inoltre vi = dri /dt la velocit delli-esima particella, la


velocit del centro di massa sar:
vCM =

iN=1 mi vi
.
M

Definiamo infine la quantit di moto


pCM =

mi vi = MvCM .

i =1

Osserviamo che la quantit di moto una grandezza additiva. Ogni particella del
sistema interagisce con le altre particelle e con il mondo esterno. Sia Fij la forza
che la j-esima particella ( j 6= i ) esercita sulla i-esima. Se vale la forma debole del
principio di azione e reazione allora
Fij + Fji = 0.
Per la seconda legge della dinamica
N
d pi
(e)
= Fi = Fi + Fji ,
dt
j =1
j 6 =i

ix

0.2 sistemi di particelle


(e)

dove Fi la forza totale agente sulla i-esima particella, Fi la forza totale esterna
agente sulla i-esima particella e N
j=1,j6=i Fji la forza totale interna agente sulla
N
N
i-esima particella. Poich i=1 j=1,j6=i Fji = 0 allora
N
d pCM
(e)
= Fi = F (e) ,
dt
i =1

dove F (e) la risultante delle forze esterne. Se F (e) = 0 allora pCM costante e
quindi il centro di massa si muove di moto rettilineo uniforme, assumendo che la
massa M sia costante. Definiamo momento angolare del sistema di N particelle
puntiformi rispetto a O
LO =

ri pi .

i =1

Si ricava banalmente che


N
dLO
= ri Fi = NO .
dt
i =1

Osserviamo
che se vale la forma forte del principio di azione e reazione, cio se

ri r j Fji = 0 i, j 6= i, allora
NO =

(e)

ri Fi

i =1

(e)

= NO .

(e)

Se NO = 0 allora LO costante.
Sia ri0 il vettore posizione delli-esima particella rispetto al centro di massa, cio
si ha ri0 = ri rCM . Allora
LO =

(rCM + ri rCM ) pi = rCM pCM + LCM .

i =1

Definiamo energia cinetica del sistema di N particelle


T=

2 mv2i .

i =1

Vale ancora il teorema dellenergia cinetica:


L=

Z 2

i =1 1

Fi dri = T2 T1 ,

dove 1 e 2 sono rispettivamente le configurazioni iniziale e finale del sistema.


Osserviamo che
N

Z 2

i =1 1

Fi dri =

Z 2
(e)

i =1 1

Fi

dri +

Z 2

i =1 j =1 1
j 6 =i

Fji dri

0.2 sistemi di particelle

e inoltre

Fji dri + Fij dr j = Fji dri dr j = Fji dr ji
con Fji dr ji 6= 0 in generale.
Se tutte le forze sono conservative allora
L=

i =1

(e)

Ui

(e)

(1) Ui


(2)


1 N 
Uij (1) Uij (2) .

2 i,j=1
j 6 =i

Vale il principio di conservazione dellenergia meccanica:


N

(e)

T + U = T + Ui
i =1

1 N
Uji = costante.
2 i,j
=1
i6= j

Esercizi
1. Dimostrare che
dLCM
= NCM .
dt
2. Dimostrare che
LCM =

(ri rCM ) pi0 ,

i =1

con pi0 = mi (vi vCM ).

xi

Parte I
MECCANICA ANALITICA

PRINCIPIO DI DALEMBERT ED EQUAZIONI DI LAGRANGE

1.1

vincoli

1.1.1 Definizioni
Fissato un sistema di riferimento inerziale, la posizione di una particella puntiforme , a ogni istante, individuata dal vettore r (t). La particella libera se non
soggetta ad alcuna condizione che ne limiti la traiettoria; in caso contrario si
dice che essa vincolata. Allo stesso modo per un sistema di N particelle, se
tutte le particelle che costituiscono il sistema sono libere, il sistema detto libero;
altrimenti si dice che vincolato.
La presenza di vincoli comporta lintroduzione di forze che agiscono sulle particelle limitandone la mobilit. Queste forze sono dette forze vincolari o reazioni
vincolari. Chiameremo attive le forze che non sono dovute a vincoli.
1.1.2 Classificazione dei vincoli
Classifichiamo i vincoli:
In base alla forma delle relazioni che legano le coordinate delle particelle:
vincoli olnomi: possono essere espressi da relazioni del tipo
f (r1 , r2 , . . . , r N , t) = 0.

(1.1)

Il sistema si dir, in tal caso, olonomo. Per esempio:


* una particella che si muove nel piano xy lungo la retta y = mx + q;
2
2
* il corpo rigido: le reazioni vincolari sono del tipo kri r j k cij = 0
(la distanza tra due punti generici del corpo rigido costante);
vincoli anolnomi: non possono essere espressi da relazioni del tipo
(1.1). Tali vincoli possono essere espressi da vincoli di diseguaglianza
o equivalentemente da vincoli di uguaglianza in cui compaiono anche
le velocit. Esempi:
* particella vincolata a stare allinterno di una sfera di centro O e
raggio a. In tal caso il vincolo si esprime con kr k2 a2 < 0.
In base alla dipendenza dal tempo:
vincoli scleronomi: non dipendono dal tempo;
vincoli reonomi: dipendono dal tempo. Per esempio, se una particella
si muove su una retta che ruota con velocit angolare , questa avr
unequazione del tipo y = tan(t) x + q.

1.2 gradi di libert e coordinate lagrangiane

In base al tipo di reazione vincolare


vincoli lisci: la reazione vincolare sempre normale al vincolo. Per
esempio, se il vincolo olonomo una superficie di equazione f (r, t), la
reazione vincolare sar parallela al gradiente di f : = (t) f ;
vincoli scabri: la reazione vincolare ha una componente tangenziale al
vincolo (sono presenti forze di attrito).
1.2

gradi di libert e coordinate lagrangiane

La configurazione di un sistema libero formato da N particelle definita dagli N


vettori posizione ri (t), con i = 1, . . . , N, ed quindi individuata, in uno spazio
tridimensionale, da 3N quantit scalari o coordinate indipendenti.
Definiamo numero di gradi di libert del sistema il minimo numero di coordinate indipendenti in grado di individuare la configurazione. Secondo questa
definizione un sistema libero di N particelle in uno spazio tridimensionale ha 3N
gradi di libert. In un sistema vincolato le coordinate non sono tra loro indipendenti. Se i vincoli sono olonomi e sono espressi mediante k equazioni del tipo (1.1),
allora il numero di coordinate indipendenti sar n = 3N k e quindi si avranno
n gradi di libert. Possiamo pertanto introdurre n coordinate indipendenti che
tengano conto dei vincoli. Siano q1 , q2 , . . . , qn tali coordinate. Esse non hanno in
generale le dimensioni di una lunghezza e non possono essere raggruppate per
formare le tre componenti di un vettore.
Per esempio, si consideri un pendolo nel piano. Il sistema avrebbe due gradi
di libert se non fosse vincolato; dato che la distanza tra la particella e lorigine
fissata uguale a l si ha invece un solo grado di libert. Si pu allora individuare
lo stato del sistema in ogni istante utilizzando una sola coordinata quale, per
esempio, langolo .
possibile esprimere i vettori posizione mediante le nuove coordinate tramite
le trasformazioni
r i = r i ( q1 , q2 , . . . , q n , t )

(i = 1, . . . , N ).

Le coordinate qi , con i = 1, . . . , n, sono dette coordinate lagrangiane o generalizzate


del sistema. Esse, ovviamente, non sono uniche.
1.3

principio di dalembert ed equazioni di lagrange

Definiamo spostamento virtuale infinitesimo di un sistema un cambiamento di configurazione relativo a una variazione ri delle coordinate, compatibile con le forze
e i vincoli a cui il sistema sottoposto a un dato istante t. Chiamiamo tale spostamento virtuale per distinguerlo da uno spostamento reale dri in cui si considera
un intervallo dt nel quale variano forze e vincoli.

1.3 principio di dalembert ed equazioni di lagrange

Consideriamo un sistema di N particelle. Supponiamo che il sistema sia in


equilibrio, cio che ogni particella del sistema in equilibrio. Allora
Fi = 0 = Fi ri = 0 =
L =

Fi ri = 0,

(1.2)

i =1

con i = 1, . . . , N, dove L il lavoro virtuale infinitesimo. Le Fi sono le risultanti


di tutte le forze agenti sulli-esima particella (interazione con lUniverso, con le
(a)
(a)
altre particelle, forza vincolare). Se poniamo Fi = Fi + i , dove Fi e i sono rispettivamente la forza attiva totale e la forza vincolare agenti sulla i-esima
particella, la (1.2) diventa:
L =

(a)

Fi

i =1

ri + i ri = 0.

(1.3)

i =1

Assumeremo dora in avanti che il lavoro virtuale delle forze vincolari sia nullo, cio iN=1 i ri = 0, e che i vincoli siano olonomi bilaterali e lisci. Allora
possiamo scrivere la (1.3) come
N

(a)

Fi

i =1

ri = 0,

(1.4)

che il principio dei lavori virtuali. Osserviamo che i ri , con i = 1, . . . , N, non sono
(a)
in generale linearmente indipendenti e quindi i Fi non sono automaticamente
nulli.
Siano q1 , q2 , . . . , qn le coordinate lagrangiane del sistema scelte. Allora
r i = r i ( q1 , q2 , . . . , q n , t ) ,
ri =

(1.5a)

ri

qk qk ,

(1.5b)

k =1

con i = 1, . . . , N. Supponendo che il lavoro virtuale delle forze vincolari sia nullo
si ha
!
N
N
n
n
N
r
r
(a)
(a)
(a)
i
i
L = Fi ri = Fi
qk = Fi
qk =
q
q
k
k
i =1
i =1
k =1
k =1 i =1

( a)

Qk

k =1

qk ,

dove
(a)

Qk =

(a)

Fi

i =1

ri
qk

(k = 1, . . . , n)

sono dette forze generalizzate (attive). Poich le qk sono indipendenti si ha


(a)

L = 0 = Qk = 0

(k = 1, . . . , n).

(1.6)

1.3 principio di dalembert ed equazioni di lagrange


(a)

Si pu dimostrare che Qk = 0 con k = 1, . . . , n condizione necessaria e


sufficiente per lequilibrio, in presenza di vincoli olonomi bilaterali lisci.
La relazione (1.4) applicabile solo al caso statico. Se si vuole applicare il
principio dei lavori virtuali anche al caso di moto del sistema, bisogna partire
dalle N equazioni del moto d pi /dt = Fi Fi d pi /dt = 0 per i = 1, . . . , N.
Se continuiamo ad assumere che le forze vincolari non compiono lavoro virtuale,
la (1.4) diventa:

N 
d pi
(a)
(Principio di dAlembert) (1.7)
Fi dt ri = 0.
i =1
Osserviamo che le forze vincolari non compaiono esplicitamente.
Indichiamo dora in poi con Fi la forza attiva totale agente sulli-esima particella,
togliendo lapice (a). Come nel caso statico occorre ottenere unespressione che
contenga solo gli spostamenti virtuali delle coordinate generalizzate (che sono
indipendenti). Partiamo, come nel caso statico, dalle trasformazioni
r i = r i ( q1 , . . . , q n , t )
ri =

(i = 1, . . . , N )

ri

qk qk

k =1

n
dri
r
r
vi =
= i qk + i .
dt
qk
t
k =1

(1.8)

Come prima abbiamo


N

i =1

k =1

Fi ri = Qk qk ,

dove Qk = iN=1 Fi ri /qk . Osserviamo che le qk non hanno necessariamente le dimensioni di una lunghezza, cos come le Qk non hanno in generale le
dimensioni di una forza. Consideriamo ora
!
N
n
N
d pi
dvi ri
dt ri = mi dt qk qk =
i =1
k =1 i =1
(  
(1.9)

)
n
N
ri
d ri
d
mi vi
mi vi
qk .
=
dt
qk
dt qk
k =1 i =1
Osserviamo che dalla (1.8) si ricava
vi
dri
r
=
= i.
q k
q k dt
qk

(1.10)

Inoltre, in analogia con la (1.8) si ha


n

2 r i
2 r i
qk q j q j + qk t =
j =1


d ri
=
.
dt qk

vi
=
qk

q j
j =1

ri
qk

q j +
t

ri
qk

=
(1.11)

1.3 principio di dalembert ed equazioni di lagrange

In base a queste osservazioni possiamo scrivere:


(  

)
N
n
N
vi
d pi
d
vi
dt ri = dt mi vi q k mi vi qk qk =
i =1
k =1 i =1
( "
#
)


n
d
N 1
N 1
2
2
=
mi vi

mi vi
qk =
dt q k i
2
qk i
2
=1
=1
k =1



n 
d T
T

qk ,
=
dt q k
qk
k =1
dove T = iN=1 mi v2i /2. Allora il principio di dAlembert nel nostro caso equivalente alla relazione




n 
d T
T
dt q k qk Qk qk = 0.
k =1
Dato che gli spostamenti virtuali infinitesimi qk , con k = 1, . . . , n, sono indipendenti, possiamo scrivere n equazioni del moto


d T
T

= Qk .
(1.12)
dt q k
qk
Se supponiamo che le forze attive siano tutte conservative e derivino da un unico
potenziale U, si ha Fi = i U (con i = (/xi , /yi , /zi )) e quindi
Qk =

Fi

i =1

N
U
ri
r
= i U i =
.
qk
qk
qk
i =1

Tenendo presente che U dipende solo da q e non da q (cio U/q k = 0; k =


1, . . . , n), le n equazioni del moto (1.12) possono essere scritte nel modo seguente:


d

(T U )
( T U ) = 0.
dt q k
qk
Definendo
L = TU

(1.13)

lagrangiana del sistema, possiamo scrivere le equazioni di Lagrange:




d

L
L
= 0.
dt q k
qk

(1.14)

Osservazione. Se consideriamo F = F (q, t) funzione di classe opportuna, si pu


dimostrare che L0 (q, q,
t) = L(q, q,
t) + dF/dt unaltra funzione lagrangiana che
porta alle stesse equazioni del moto.1
1 Si qui utilizzata la notazione, che ricorrer per brevit in seguito, q = (q1 , q2 , . . . , qn ) per indicare
lennupla delle coordinate generalizzate; tuttavia bisogna tenere sempre presente che tale ennupla
non , in generale, un vettore (basti pensare che, come gi osservato, le qi possono avere anche
dimensioni diverse).

1.3 principio di dalembert ed equazioni di lagrange

Osservazione. Le equazioni di Lagrange possono essere ancora scritte nella forma


usuale se U = U (q, q,
t) e


U
d U
Qk =
+
.
(1.15)
qk
dt q k
La funzione U detta potenziale generalizzato, o potenziale dipendente anche
dalle velocit e dal tempo. La funzione lagrangiana pu ancora essere definita
come L = T U.
1.3.1 Esempi nel caso statico
Determiniamo le condizioni di equilibrio del pendolo semplice (si veda Figura 0.1
a pagina vii). Il sistema ha un solo grado di libert e lunica forza attiva la forza
peso P, quindi
r = l cos x + l sin x,




L = P r = P
(l cos ) x + (l sin )y =

= mg x (l sin x + l cos y ) = mgl sin


Q = mgl sin = 0 = sin = 0 = = 0

oppure

= .

Consideriamo ora il punto materiale P di massa m in Figura 1.1 vincolato senza


attrito su una circonferenza di raggio R e centro O, posto in un piano verticale.
La particella connessa al punto pi alto mediante una molla di costante elastica
k e lunghezza a riposo nulla. Anche questo sistema ha un solo grado di libert.
Abbiamo

x P = R sin
,
y P = R cos


x p
y p
r P =
x +
y = R(cos x sin y ).

La forza peso data da P = mgy.


Inoltre r A = Ry,
quindi r P r A = R sin x +
R(1 + cos )y.
Pertanto la forza elastica agente sulla particella Fel = k (r P
r A ) = kR[sin x + (1 + cos )y ]. Dunque:
P r P = mgR sin ,
Fel r P = kR2 [sin cos sin (1 + cos )] = kR2 sin .
La forza generalizzata attiva :
Q = mgR sin + kR2 sin = R sin (kR mg).
La condizione di equilibrio si ha per Q = 0 cio:
1. sin = 0, vale a dire = 0 oppure = ;
2. [0, 2 ] se mg = kR.

1.3 principio di dalembert ed equazioni di lagrange


A

k
x

R
P
y

Figura 1.1: Pendolo collegato a una molla.

Esercizi
1. Si consideri il sistema in figura formato da due aste di lunghezza l e massa
m, incernierate in A e O, in un piano verticale. Lasta AB reca al suo estremo
un carrello connesso in O da una molla di costante elastica k e lunghezza a
riposo nulla. Si determinino le eventuali condizioni di equilibrio.
2. Il sistema in figura formato da una lamina quadrata di lato l e massa m,
poggiata su un piano orizzontale senza attrito, e da unasta incernierata in
O di lunghezza l e massa m. Lasta appoggiata in un punto nel lato AB
della lamina (senza attrito) e nel punto B applicata una molla di costante
elastica k e lunghezza a riposo nulla. Si determini il valore di k per cui lasta
in posizione di equilibrio formi un angolo di /6 con lorizzontale.
1.3.2 Esempio nel caso dinamico
Riprendiamo in considerazione il pendolo semplice (vedi Figura 0.1 a pagina vii).
Il sistema ha un grado di libert, quindi sar sufficiente scrivere una sola equazione di Lagrange. Valgono sempre le (0.6), dunque lenergia cinetica data
da
T=

1 2
1
1
mv = m( x 2 + y 2 ) = ml 2 2 ,
2
2
2

mentre lenergia potenziale (fissando come punto a potenziale gravitazionale


nullo il punto pi basso del pendolo, come mostrato in figura)
U = mgl (1 cos ).
Pertanto la lagrangiana del sistema
L = TU =

1 2 2
ml mgl (1 cos )
2

1.4 potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione

e lequazione di Lagrange
ml 2 + mgl sin = 0
che equivalente alla (0.5).
1.4

potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione

1.4.1 Potenziali generalizzati


Consideriamo una particella puntiforme di massa m e carica q in un campo
elettromagnetico E, B. Su di essa agisce la forza di Lorentz:


v
F = q E+ B .
(1.16)
c
Le equazioni del moto sono perci
m



dv
d2 r
v
= m 2 = q E+ B .
dt
dt
c

Siano ora = ( x, y, z, t) e A = A( x, y, z, t) i potenziali scalare e vettoriale


rispettivamente in modo che
E =
B = A.

1 A
,
c t

(1.17)
(1.18)

Riscriviamo la forza di Lorentz mediante le precedenti:




1 A v
F = q
+ ( A) =
c t
c


1
1 A 1
= q
+ ( A v) (v ) A
c t
c
c

(1.19)

dove si tenuto conto del fatto che v = 0 e quindi v ( A) = ( A


v) (v ) A. Osserviamo ora che d A/dt = A/t + (v ) A; inoltre dad v ( Av)
= d A/dt; infine v = 0 (dove v =
to che A non dipende da v,
dt
(/ x i , /y i , /z i )). Allora




1
1 dA
F = q A v
=
c
c dt






1
d
1
(1.20)
v A v
=
= q A v +
c
dt
c
d v U
= U +
,
dt
dove U = q qA v/c un esempio di potenziale generalizzato, ovvero potenziale
dipendente dalle derivate rispetto al tempo delle coordinate generalizzate (che

1.4 potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione

qui corrispondono con le solite coordinate cartesiane). La funzione lagrangiana ,


allora, la seguente:
L = TU =

1 2
q
mv q + A v =
2
c

1
= m( x 2 + y 2 + z 2 ) q( x, y, z, t)+
2
q
x ( x, y, z, t) + yA
y ( x, y, z, t) + zA
z ( x, y, z, t)).
+ ( xA
c
Esercizi
1. Scrivere le equazioni di Lagrange di una carica puntiforme in un campo
elettromagnetico. Dimostrare che esse coincidono con le equazioni del moto
di partenza.
2. Scrivere la lagrangiana e le equazioni di Lagrange per i seguenti sistemi:
a) pendolo piano semplice;
b) pendolo piano doppio;
c) pendolo piano il cui punto di sospensione libero di muoversi orizzontalmente su una retta liscia .
3. Due punti materiali, uno di massa m1 e laltro di massa m2 , sono collegati
da una fune (inestensibile e di massa trascurabile) che passa attraverso un
foro in un tavolo perfettamente liscio, in modo che m1 , per t = 0, abbia un
moto circolare uniforme sulla superficie del tavolo ed m2 rimanga sospesa.
Nellipotesi che m2 possa muoversi solo in direzione verticale, si scriva la
lagrangiana e si ricavino le equazioni di Lagrange. Discutere la presenza di
integrali primi del moto .

Figura 1.2: Da sinistra: problema 2b, problema 2c, problema 3.

1.4.2 Equazioni di Lagrange in presenza di forze non derivabili da un potenziale


Supponiamo che su una particella puntiforme agisca anche la seguente forza
viscosa:
Fa = ( x v x + y vy + z vz k )

10

1.4 potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione

dove i coefficienti x , y , z sono caratteristici del mezzo2 e , , k sono i versori


degli assi coordinati. Osserviamo che, se introduciamo la cosiddetta funzione di
dissipazione di Rayleigh
F=

1
( x v2x + y v2y + z v2z ),
2

abbiamo che Fa = v F. Pi in generale se il sistema formato da N particelle,


la forza viscosa totale data da:
Fa =

(x vkx + y vky + z vkz k ),

k =1

dove si intende vk = (vkx , vky , vkz ) la velocit della k-esima particella.


funzione di dissipazione in questo caso data da:
F=

La

1 N
( x v2kx + y v2ky + z v2kz ).
2 k
=1

La forza viscosa agente sulla k-esima particella pu ovviamente essere scritta


come Fa,k = vk F. Se il sistema ha n gradi di libert e q j con j = 1, . . . , n sono le
coordinate generalizzate, le equazioni di Lagrange sono le seguenti:


d
L
L

= Qj
(1.21)
dt qj
q j
dove le Q j sono le forze generalizzate associate alle forze viscose e non derivabili
da un potenziale, e L la lagrangiana, scritta tenendo conto di tutte le forze
conservative. Sappiamo che:
Qj =

k =1

Fa,k
N

N
rk
r
= vk F k =
q j
q j
k =1

= vk F
k =1

F
vk
= .
qj
qj

Allora in conclusione possiamo scrivere le equazioni di Lagrange (1.21) nel modo


seguente:


d
L
L
F

+
= 0.
dt qj
q j
qj
Evidentemente siamo in grado di scrivere esplicitamente le equazioni del moto
conoscendo le due funzioni scalari L e F.

2 In realt questi coefficienti dipendono oltre che dal mezzo anche dalla forma e dalle dimensioni del
corpo immerso nel fluido.

11

1.4 potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione

1.4.3 Trasformazioni di gauge e lagrangiana di una particella immersa in un campo


elettromagnetico
Siano e A i potenziali scalare e vettoriale nel campo elettromagnetico. Sappiamo
che la lagrangiana assume la forma: L = mv2 /2 q + qA v/c. Il sistema ha tre
gradi di libert. Operiamo le seguenti trasformazioni di gauge:
1 (r, t)
;
c t
A A0 = A + (r, t).
0 =

Il campo elettromagnetico invariante per trasformazioni di gauge. Sia ora L0 =


mv2 /2 q0 + qA0 v/c la nuova lagrangiana. Allora:
mv2
q q
q
q +
+ A v + v =
2
c t
c
c
q q
= L+
+ v =
c t
c
q d
= L+
.
c dt

L0 =

Concludendo, L0 ed L differiscono per la derivata totale rispetto al tempo di una


funzione scalare di r e di t. Le equazioni di Lagrange sono, di conseguenza,
invarianti per trasformazioni di gauge.
Problemi
1. Se L = L(q, q,
t) una lagrangiana per un sistema a n gradi di libert che
verifica le equazioni di Lagrange, dimostrare che L0 = L + dF (q, t)/dt, con
F funzione arbitraria di classe opportuna, verifica anchessa le equazioni di
Lagrange.
Dimostrazione. Osserviamo che
n
dF (q, t)
F (q, t)
F (q, t)
=
q k +
.
dt
qk
t
k =1

Allora per j = 1, . . . , n
L0 (q, q,
t)
L(q, q,
t) F (q, t)
=
+
qj
q j
q j
L0 (q, q,
t)
L(q, q,
t)
dF (q, t)
=
+
.
q j
q j
q j
dt
Supponendo che
dF (q, t)
d F (q, t)
=
q j
dt
dt q j

12

1.4 potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione

abbiamo dunque, sempre per j = 1, . . . , n, che




d
L
L

= 0
dt q j
q j


F (q, t)
d F (q, t) L0
d L0

+
= 0

dt q j
dt q j
q j
q j
t


d L0
L0

= 0.
dt q j
q j
2. Siano q1 , . . . , qn un insieme di coordinate generalizzate indipendenti di un
sistema a n gradi di libert con lagrangiana L(q, q,
t), dove q = (q1 , . . . , qn )
e q = (q 1 , . . . , q n ). Si supponga di passare a un altro sistema di coordinate
generalizzate indipendenti s1 , . . . , sn per mezzo di una trasformazione puntuale qk = qk (s, t) con k = 1, . . . , n ed s = (s1 , . . . , sn ). Dimostrare che la
forma delle equazioni di Lagrange invariante rispetto alle trasformazioni
puntuali.
Dimostrazione. Per j, k = 1, . . . , n abbiamo
q j =

q j

si si +

i =1

q j
q j
q j
=
=
t
s i
si

Ora, L = L(q(s, t), q (s, s,


t), t), dunque
L
=
sk

L q j

L q j

q j sk + q j sk

j =1

j =1

n
L q j
L q j
=
q j sk q j sk
j =1
j =1



n 
n
d L q j
L d q j
dt q j sk + q j dt sk =
j =1
j =1

n 
n
d L q j
L q j
=
+
.
dt q j sk j=1 q j sk
j =1

L
=
s k


L
d
=
dt s k

In conclusione, per k = 1, . . . , n, ricordando che




d
L
L

=0
dt q j
q j
per j = 1, . . . , n,


d
L
L

=
dt s k
sk

n 
n
n
d L q j
L q j
L q j
=
+

+
dt q j sk j=1 q j sk j=1 q j sk
j =1

n
n 
L q j
d L
L q j
=

= 0.

q j sk
dt q j
q j sk
j =1
j =1

13

1.4 potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione

3. Dimostrare che vale la seguente forma di Nielsen delle equazioni di Lagrange:


T
T
2
= Qj
q j
q j

( j = 1, . . . , n)

dove T = T (q, q,
t) lenergia cinetica, T dT/dt e Q j la j-esima forza
generalizzata.
Dimostrazione. Partiamo dalle equazioni di Lagrange (1.12), valide anche in
presenza di forze attive generalizzate non conservative. Osserviamo che:
dT (q, q,
t)
=
dt


T
T
T
q j +
q j +
q j
q j
t


n
T
+
q j +
q k q j
j =1

n 
T
+
q j +
q j q k
j =1


d T
+
.
dt q k

j =1

T
T
=
q k
qk

T
qk

T
qk

Allora
T
T
2
= Qk
q k
qk


d T
T
T
+
2
= Qk
qk
dt q k
qk


d T
T

= Qk .
dt q k
qk

14

=

2 T
T
=
q j +
q k q j
t q j
 


T
T
q j +
=
q j q k
t q j

PRINCIPIO VARIAZIONALE DI HAMILTON ED EQUAZIONI


DI LAGRANGE

2.1

principio di hamilton

Prenderemo ora in considerazione solo quei sistemi di N particelle puntiformi,


con vincoli olonomi lisci, per i quali tutte le forze attive sono derivabili da un
solo potenziale scalare generalizzato (questa richiesta fatta solo per semplicit e
senza perdere in generalit), funzione cio delle coordinate e delle velocit delle
particelle e del tempo. Questi sistemi sono detti monogenici. In particolare, se il
potenziale funzione esplicita solo delle coordinate di posizione delle particelle
il sistema detto conservativo. Vedremo fra poco, come sia possibile ottenere le
equazioni di Lagrange relative a un sistema monogenico a partire da un principio
integrale (il principio variazionale di Hamilton), il quale prende in considerazione
lintero moto del sistema tra due istanti t0 e t1 e le piccole variazioni di questo
moto rispetto a quello reale. Per fare questo avremo bisogno di elementi di calcolo
delle variazioni, che cercheremo di esporre nel modo pi elementare possibile,
utilizzando soltanto le tecniche familiari del calcolo differenziale.
La configurazione del sistema (olonomo e monogenico), oggetto di studio,
supposta descritta dai valori di n coordinate generalizzate q1 , q2 , . . . , qn e corrisponde alla posizione di un punto q = (q1 , . . . , qn ) in uno spazio n-dimensionale
che, come sappiamo, detto spazio delle configurazioni. Al variare del tempo il
punto q(t), che rappresenta il sistema, si muove nello spazio delle configurazioni
descrivendo una curva che , ovviamente, la traiettoria del moto del sistema. Come abbiamo gi accennato, il principio variazionale prende in considerazione solo
quelle traiettorie che costituiscono un insieme di traiettorie variate sincrone. In altre parole, si considerano tutti quei movimenti q = q(t) del sistema con t [t0 , t1 ],
intervallo base, tali che q(t0 ) = q(0) e q(t1 ) = q(1) . Chiameremo ammissibile un
movimento q(t) che gode di questa propriet. Noi supporremo sempre, salvo
avviso contrario, che le funzioni siano di classe C .
In Figura 2.1 sono riportate, in uno spazio delle configurazioni bidimensionale,
alcune traiettorie ammissibili, che partono dalla configurazione iniziale q(0) al
tempo t0 e arrivano alla configurazione finale q(1) al tempo t1 . Sappiamo che
possibile introdurre per il nostro sistema (olonomo e monogenico) la funzione
lagrangiana
L = T V,

(2.1)

dove T lenergia cinetica del sistema e V il potenziale generalizzato. Naturalmente si avr


L = L (q, q,
t) .

(2.2)

15

2.1 principio di hamilton

q2
(1)

q2

(0)

q2

(0)

(0)

q1

q1

q1

Figura 2.1: Alcune traiettorie ammissibili in uno spazio delle configurazioni bidimensionale

Consideriamo il funzionale azione


S [q(t)] =

Z t1
t0

L (q(t), q (t), t) dt,

(2.3)

dove q(t) un moto ammissibile (cio q(t0 ) = q(0) e q(t1 ) = q(1) ). Osserviamo
che S [q(t)] ha valori in R e non una funzione di funzione (non una funzione
del tempo), ma un integrale di linea che dipende dal moto q(t). Il valore che
S [q(t)] assume dipende ovviamente dal moto ammissibile q(t) scelto.
Introduciamo il
Principio (variazionale di Hamilton) - Tra i moti ammissibili del sistema compresi
tra gli istanti t0 e t1 , il moto reale quello che rende stazionaria lazione.
Ricordiamo cosa si intende per punto stazionario di una funzione f : R R di
classe opportuna. Si dice che x0 R un punto stazionario di f se f 0 ( x0 ) = 0.
Un punto stazionario (o critico) di una funzione pu allora essere un estremante
relativo (di massimo o di minimo) o di flesso orizzontale oppure n estremante
relativo n flesso orizzontale. Inoltre se x0 un punto stazionario si ha
f ( x0 + e) f ( x0 ) = f 0 ( x0 )e + O(e2 ) = O(e2 ).
In modo analogo diremo che lazione stazionaria lungo una certa traiettoria
se su di essa assume, a meno di infinitesimi di ordine superiore al primo, lo
stesso valore corrispondente a traiettorie che differiscono da quella considerata
per uno spostamento infinitesimo. Pi precisamente se indichiamo con q(t) un
moto ammissibile che rende stazionaria lazione e con q(t, e) = q(t) + eh(t) una
traiettoria diversa, dipendente dal parametro e R (assumiamo |e|  1) e dalla
funzione vettoriale h(t) = (h1 (t), . . . , hn (t)) soggetta alla condizione
h ( t0 ) = h ( t1 ) = 0

(2.4)

16

2.1 principio di hamilton

(infatti q(t, e) deve essere un moto ammissibile e pertanto q(t0 , e) = q(0) e q(t1 , e) =
q(1) ), abbiamo che
S [q(t, e)] S [q(t)] = O(e2 ).

(2.5)

Vogliamo ora provare che una traiettoria ammissibile q(t) che rende stazionaria
lazione soddisfa le equazioni di Lagrange


d L(q, q,
t)
L(q, q,
t)
=0
(k = 1, . . . , n).
(2.6)

dt
q k
qk
Abbiamo infatti:
S [q(t, e)] S [q(t)] =
Z t1 h 

i
=
L q(t) + eh(t), q (t) + e h (t), t L (q(t), q,
t) dt =
(2.7)
t0

Z t1 n 
L (q(t), q (t), t)
L (q(t), q (t), t)
=
hi ( t ) +
hi (t) e dt + O(e2 ).

qi
q i
t0 i =1
Osserviamo che

 

d L
L
d L
h i ( t );
hi ( t )
hi ( t ) =
q i
dt q i
dt q i



 t1
Z t1
d L
L
hi (t) dt =
hi ( t ) = 0
q i
q i
t0 dt
t0
perch valgono le (2.4). Allora la (2.7) pu essere riscritta come
S [q(t, e)] S [q(t)] =

n Z t1 
d L (q(t), q (t), t)
L (q(t), q (t), t)

hi (t)e dt + O(e2 ).
=

q
dt

q
t
i
i
i =1 0

(2.8)

Se imponiamo la condizione che lazione sia stazionaria lungo q(t), valga cio la
(2.5), e teniamo presente che hi (t), con i = 1, . . . , n, sono funzioni di classe C
arbitrarie, soggette soltanto alla condizione hi (t0 ) = hi (t1 ) = 0, abbiamo

Z t1 
L (q(t), q (t), t)
d L (q(t), q (t), t)

hi (t) dt = 0
(i = 1, . . . , n). (2.9)
qi
dt
q i
t0
Vogliamo ora provare che queste equazioni implicano che


d L (q(t), q (t), t)
L (q(t), q (t), t)

=0
(i = 1, . . . , n),
qi
dt
q i
cio sono soddisfatte le equazioni di Lagrange. Vale il seguente
Lemma (fondamentale del calcolo variazionale) - Se una funzione liscia f : [t0 , t1 ]
R verifica la propriet
Z t1
t0

f (t) g(t) dt = 0

(2.10)

per ogni funzione liscia g : [t0 , t1 ] R, soggetta alla condizione g(t0 ) = g(t1 ) = 0,
allora f (t) = 0 t [t0 , t1 ].

17

2.1 principio di hamilton

Dimostrazione. Ragioniamo per assurdo e supponiamo che t (t0 , t1 ) in cui


f non si annulli. Senza perdere in generalit possiamo supporre f (t ) > 0.
Per continuit I (t ) (t0 , t1 ), intorno di t , in cui f sempre positiva, avendo indicato con I (t ) un intorno aperto di t . Possiamo sempre prendere una
funzione liscia g, stante la sua arbitrariet,
che sia positiva in I1 (t ) I (t ) e
R
t
nulla altrove.1 Ne consegue che t01 f (t) g(t) dt > 0. Questo assurdo. Allora
f (t) = 0 t (t0 , t1 ) = f (t) = 0 t [t0 , t1 ].
Se chiamiamo qi (t) = ehi (t) la variazione delli-esima componente di q(t)
e con S la corrispondente variazione dellazione, relativa allinfinitesimo q, la
relazione (2.8) pu essere scritta nella forma:

n Z t1 
L
d L
S =

qi (t) dt.
qi
dt q i
i =1 t0
Questo risultato ci dice, anche per il lemma precedente, che se lazione stazionaria lungo q(t), cio se S = 0, allora valgono le equazioni di Lagrange. In modo
sintetico possiamo scrivere:


L(q, q,
t)
d L(q, q,
t)
S = 0

=0
(i = 1, . . . , n)
qi
dt
q i
e vale il viceversa.
Osservazione. Abbiamo visto che le equazioni di Lagrange (o di Eulero-Lagrange)
nelle ipotesi fatte (sistemi, cio, olonomi e monogenici) discendono da una legge
generale, il principio variazionale di Hamilton. Non possiamo stabilire, a priori,
se il moto reale q(t), che soddisfa le equazioni di Lagrange, ha la propriet di
minimizzare lazione, anche se il principio di Hamilton spesso detto principio
della minima azione.
Osservazione. Nel Capitolo 1 abbiamo visto che le equazioni di Lagrange sono
invarianti per la trasformazione
L0 = L +

dF
.
dt

Anche il principio variazionale di Hamilton ancora valido se alla lagrangiana


aggiungiamo la derivata totale rispetto al tempo di unarbitraria funzione scalare
F (q(t), t) di classe opportuna, infatti:

Z t1 
dF (q(t), t)
0
S [q(t)] =
dt =
L(q(t), q (t), t) +
dt
t0
t
= S + F ( q ( t ), t ) 1 = S + F ( q ( t1 ), t1 ) F ( q ( t0 ), t0 ),
t0

cio S ed S0 differiscono per un termine supplementare che si annulla quando


varia lazione. Dunque la condizione S0 = 0 coincide con la condizione S = 0 e
la forma delle equazioni del moto resta immutata.
1 Osserviamo che la funzione g scelta si annulla, ovviamente, in t0 e t1 .

18

2.2 applicazioni del calcolo delle variazioni

2.2

applicazioni del calcolo delle variazioni

Possiamo utilizzare il principio variazionale per studiare le propriet di stazionariet o estremali di funzionali diversi dallazione.
Supponiamo in particolare di avere una famiglia di curve in uno spazio ndimensionale, ognuna descritta da una funzione vettoriale liscia y( x ) con x
[ x0 , x1 ], tutte soggette alle condizioni y( x0 ) = y(0) e y( x1 ) = y(1) , e una funzione scalare liscia U = U (y( x ), y ( x ), x ). Vogliamo determinare y( x ) che rende
stazionario il funzionale
J [y( x )] =

Z x1
x0

u (y( x ), y ( x ), x ) dx.

Notiamo che possono esserci casi pi complessi, in cui per esempio U funzione anche di derivate di ordine superiore al primo di y( x ), oppure x Rm con
m 2. La trattazione del problema pu anche essere portata avanti esattamente
come nel caso dellazione: si ricerca y( x ) che rende stazionario il funzionale J.
Non sempre semplice stabilire poi se la funzione trovata abbia la propriet di
minimizzare o di massimizzare J. Ricordiamo che condizione necessaria perch
y( x ) sia un minimo o un massimo locale per J che esso sia un punto stazionario. Si arriver ovviamente a n equazioni scalari che continueremo a chiamare di
Lagrange o di Eulero-Lagrange:


d
u
u

=0
(k = 1, . . . , n).

dx yk
yk
2.2.1 Cammino pi breve fra due punti in un piano
Siano dati A( x0 , y0 ) e B( x1 , y1 ) in un piano (vedi Figura 2.2). Supponiamo che
x0 < x1 . Se indichiamo2 una generica curva regolare3 con y = y( x ) di estremi A
e B e con s lascissa curvilinea, abbiamo che:
q
q
2
2
ds = (dx ) + (dy) = 1 + y 2 ( x ) dx.
In questo caso allora
Z x1 q
J [y( x )] =
1 + y 2 ( x ) dx.
x0

p
Ovviamente u = u(y ) = 1 + y 2 ( x ) e y( x ) nel nostro caso una funzione scalare.
Adoperando le equazioni di Eulero-Lagrange:
 
u
d u

= 0.
dx y
y
2 Se x0 = x1 possiamo considerare funzioni del tipo x = x (y).
3 In realt possiamo sempre supporre che y sia liscia.

19

2.2 applicazioni del calcolo delle variazioni


y
B

y1

y0

A
x0

x1

Figura 2.2: Cammini ammessi tra due punti nel piano.

Essendo u/y = 0 risulta


u
y
= c,
=p
y
1 + y 2
dove c una costante
rispetto a x. Di conseguenza y ( x ) = a, con a costante
legata a c da a = c/ 1 c2 . Quindi y( x ) = ax + b, cio la curva che minimizza
il funzionale J il segmento di estremi A e B. Imponendo in particolare che
y( x0 ) = y0 e y( x1 ) = y1 otteniamo le costanti di integrazione
y1 y0
x1 x0
x1 y0 x0 y1
b=
.
x1 x0
a=

Si prova facilmente, in questo caso, che y( x ), che rende stazionario J, minimizza il


funzionale. In altre parole possiamo dire che la curva che nel piano xy congiunge
A e B e ha lunghezza minima il segmento di estremi A e B.
e 2 x1
uy y (y ( x ))h 2 ( x ) dx + O(e3 ).
2 x0
p
Nel nostro caso uy y (y ( x )) = 1/ (1 + y 2 ( x ))3 > 0. Perci, per |e|  1, J [y( x ) +
eh( x )] J [y( x )], cio la funzione trovata minimizza il funzionale (se h ( x ) non
identicamente nulla).
J [y( x ) + eh( x )] J [y( x )] =

Esercizi
1. Verificare che il moto reale di una particella libera e isolata rende minima
lazione.
2. Una particella soggetta al potenziale U ( x ) = Fx, con F costante. La particella si muove dal punto x = 0 al punto x = a nellintervallo di tempo
t0 . Si assuma che il moto della particella si possa esprimere nella forma
x (t) = A + Bt + Ct2 . Trovare i valori di A, B, C che rendono minima lazione.

20

2.2 applicazioni del calcolo delle variazioni


x1

y1

U=0

Figura 2.3: Schema del problema della brachistocrona.

2.2.2 Il problema della brachistocrona


Il problema della brachistocrona pu essere espresso nel modo seguente:
Problema (della brachistocrona) - Dati due punti A e B in un piano verticale, con
A ad altezza maggiore di B, trovare tra tutti gli archi di curva che li congiungono, la
traiettoria che una particella puntiforme di massa m, con velocit iniziale nulla, deve
percorrere per andare da A a B in modo che il tempo di percorrenza sia il minimo possibile.
Per risolvere il problema poniamo lorigine degli assi in A (0, 0) e orientiamo
lasse delle ordinate verso il basso (vedi Figura 2.3). Supponiamo B ( x1 , y1 )
con x1 > 0 e y1 > 0 (se x1 = 0, cio se B appartiene allasse delle y il problema
banale: la soluzione data dal segmento AB). Le equazioni della traiettoria
(passante per i punti assegnati):
y = y( x )
y (0) = 0

( x [0, x1 ])

y ( x1 ) = y1
Consideriamo la solita ascissa curvilinea s a partire da A:
q
q
ds = (dx )2 + (dy)2 = 1 + y 2 ( x ) dx.
Supponiamo i vincolo olonomi e lisci. Fissiamo in y = 0 il livello 0 dellenergia
potenziale (relativa alla forza peso). Allora:
p
1 2
mv mgy = 0 = v = 2gy,
2
dove g laccelerazione di gravit e v la velocit in y (notare che y > 0, v > 0 se
x (0, x1 ]).
s
ds
1 + y 2 ( x )
dt =
=
dx
( x (0, x1 ]).
v
2gy( x )

21

2.2 applicazioni del calcolo delle variazioni

Poniamo
s
u(y( x ), y ( x )) =

1 + y 2 ( x )
y( x )

quindi
p

2g

Z T
0

dT J [y( x )] =

Z x1
0

u(y( x ), y ( x )) dx.

Fra tutte le traiettorie, passanti per A e B, quella che rende stazionario il funzionale J (condizione necessaria per il minimo) soddisfa le equazioni di Lagrange con
x (0, x1 ]:


d u(y, y )
u(y, y )

= 0.
(2.11)
dx
y
y
Ora,
u
y
= p
y
y 1 + y 2
e dunque

y
u(y, y )
y 2
+ p
= p
2
y
2y y 1 + y
y (1 + y 2 )3
p
1 + y 2
u
=
.
y
2y y

d
dx

(2.12)
(2.13)

Lequazione (2.11), per le relazioni (2.12) e (2.13), diventa, x (0, x1 ]:


p
1 + y 2
y 2
y
p
+ p
+
= 0
2y y
2y y 1 + y 2
y (1 + y 2 )3
y ( x )
1
+
=0
2
1 + y ( x ) 2y( x )
Moltiplicando ambo i membri per y ( x ) abbiamo
y ( x )
y ( x )y ( x )
1 d
1 d
+
= 0
ln (1 + y ( x )) +
ln y( x ) = 0
1 + y 2 ( x ) 2y( x )
2 dx
2 dx
1 d
(ln(1 + y ( x )) + ln y( x )) = 0 (1 + y 2 ( x ))y( x ) = c
2
dx
s
s
y( x )
y ( x ) = 1 =
c y( x )

y( x )
dy =
c y( x )

Posto
y=

c
c
(1 cos ) = dy = sin d
2
2

22

dx.

(2.14)

2.2 applicazioni del calcolo delle variazioni

dove un parametro (con y( = 0) = 0), dalla (2.14) abbiamo


s
s
0
Z
Z
c
0) c
c sin2 2
(
1

cos

c
0
0
2
x=
sin

d
=
sin 0 d 0 =
c
c
0) 2
0) 2
c

(
1

cos

(
1
+
cos

0
0
2
2
v
u
0
0
Z u
Z
c sin2 2 c
sin 2 c
0
0
t
=
sin d =
sin 0 d 0 =
0 2
0 2
2
0
0 cos
c cos 2
2

Z
0

0
c sin
d 0 =
2
2

Z
c

c
= ( sin ).
2

(1 cos 0 ) d 0 =

Nota che x (0) = 0. Concludendo, le equazioni parametriche della traiettoria sono


date da:
c
x ( ) = ( sin )
2
c
y( ) = (1 cos )
2
con [0, 1 ]. Le equazioni trovate sono quelle di una cicloide. Sostituendo i
valori delle coordinate di B si trovano dalle precedenti c e 1 . Il sistema siffatto
ammette sempre soluzione. Rimane da provare (cosa non banale) che la soluzione
trovata minimizza il funzionale.
Possiamo tentare una soluzione del problema cambiando semplicemente punto
di vista e cercando unespressione del tipo x = x (y). In tal caso
s
ds
1 + x 2
dt =
=
dy.
v
2gy
Posto
s
=

1 + x 2
y

risulta
p

2g

Z T
0

dt = F [ x (y)] =

Z y1
0

( x (y), x (y), y) dy.

Le equazioni di Lagrange sono


 
d

= 0.
dy x
x
Poich /x = 0, / x = costante, abbiamo
x
1
=

a
y 1 + x 2
 2
x 2
y
dx
ay
=
=
=1
2
1 + x
a
dy
y

23

2.3 leggi di conservazione

da cui si prosegue come in


p precedenza. Osserviamo per che in questo caso xx =
x x = 0 e che x x = 1/ y(1 + x 2 (y))3 > 0. Allora, se x (y) rende stazionario il
funzionale, abbiamo che
F [ x (y) + eh(y)] F [ x (y)] =

e2
2

Z y1
0

x x h 2 (y) dy + O(e3 ) 0

ovvero F [ x (y) + eh(y)] F [ x (y)], se h (y) non identicamente nulla, cio x (y) un
minimo.
2.3
2.3.1

leggi di conservazione
Coordinate cicliche

Abbiamo visto che il moto di un sistema di particelle olonomo e monogenico con


n gradi di libert governato dalle equazioni di Lagrange
d L (q, q,
t) L (q, q,
t)

=0

dt
q
qk

(k = 1, . . . , n)

dove L = T U e qk sono le coordinate generalizzate. Apriamo una piccola


parentesi. Introdotto un sistema di assi cartesiani solidale con un sistema di riferimento inerziale, nel caso di un punto materiale soggetto a una forza conservativa
abbiamo:
L=


1
m x 2 + y 2 + z 2 U ( x, y, z).
2

Si vede che
L
= m x p x ,
x
L
= my py ,
y
L
= mz pz ,
z
dove p x , py e pz sono le componenti rispettivamente lungo x, y e z della quantit
di moto. In analogia nel caso pi generale possiamo chiamare
pk =

L (q, q,
t)
q k

il momento canonico o momento coniugato alla coordinata generalizzata qk . Osserviamo che se L/qk = 0, cio se la lagrangiana non dipende esplicitamente da qk , si
ha
d L
d pk
=
= 0.
dt q k
dt
Allora pk costante rispetto al tempo. Diamo allora la seguente

24

2.3 leggi di conservazione

Definizione - Una coordinata generalizzata si dice ciclica o ignorabile se la lagrangiana L, pur essendo funzione esplicita di q k , non dipende esplicitamente da
qk .
Possiamo pertanto enunciare la seguente propriet: il momento coniugato a una
coordinata generalizzata ciclica si conserva. In modo equivalente possiamo dire che
il momento coniugato a una coordinata ciclica un integrale primo del moto, in
quanto si traduce in una relazione del tipo f (q1 , . . . , qn , q 1 , . . . , q n , t) = costante.
Se qk una coordinata ciclica, allora L invariante rispetto a una trasformazione
qk qk + , con costante. Ora, se qk , coordinata ciclica, uno spostamento, si
ha che una traslazione rigida lungo tale direzione non ha effetto alcuno sul moto
del sistema e il corrispondente momento coniugato, che una quantit di moto,
si conserva. Se invece la coordinata ciclica qk un angolo il sistema invariante
per rotazioni intorno allasse corrispondente e il relativo momento coniugato, che
un momento angolare, si conserva.
Troviamo per esempio i momenti generalizzati nel caso di una particella in
moto in un campo elettromagnetico. Abbiamo visto che la lagrangiana di una
particella di massa m e carica4 q in un campo elettromagnetico data da:
L=

1
q
m( x 2 + y 2 + z 2 ) q + A v
2
c

dove v = x x + y y + z z la velocit della particella, c la velocit della luce nel


vuoto, , A sono il potenziale scalare e vettoriale rispettivamente. Il momento
coniugato a x dato da
q
q
Px = m x + A x = p x + A x
c
c
dove p x = m x la componente lungo x dellusuale quantit di moto della particella. In maniera analoga i momenti coniugati a y e z sono rispettivamente:
q
Py = py + Ay ,
c
q
Pz = pz + Az .
c
Possiamo scrivere allora in forma vettoriale il momento generalizzato come
q
P = p + A.
c
Ora, se per ipotesi , A non dipendono esplicitamente da x, cio x una variabile
ciclica, allora il momento coniugato rispetto a x, cio Px , una costante del moto.
Esercizi
Verificare lesistenza di una coordinata ciclica nellesercizio 2c di pagina 10.
Dare uninterpretazione fisica del corrispondente momento coniugato.
4 Qui con il simbolo q non indichiamo una coordinata generalizzata!

25

2.3 leggi di conservazione

Verificare lesistenza di una coordinata ciclica nellesercizio 3 di pagina 10.


Dare uninterpretazione fisica del corrispondente momento coniugato.
Si scriva in coordinate cilindriche la lagrangiana di una particella di massa
m e carica q in un campo magnetico (costante) generato da un filo rettilineo
percorso da corrente stazionaria I. Esistono coordinate cicliche? (Piccolo
suggerimento: scrivere il potenziale vettore A imponendo che valga la gauge di
Coulomb, div A = 0.)
2.3.2 Funzione energia
Sia L = L (q, q,
t) la lagrangiana di un sistema con n gradi di libert, dove q =
(q1 , . . . , qn ). Si ha che

n 
dL
L
L
L

qk +
qk + .
=

dt
q

q
t
k
k
k =1
Poich per k = 1, . . . , n si ha, dalle equazioni di Lagrange,
d L
L
=
qk
dt q k
allora:
n
dL
=
dt
k =1



dt

"

d L
dt q k

q k +




n
L
d
L
L
L
=

qk +
q k +

q k
t
dt

q
t
k
k =1

#
L
L
q k q k L + t = 0.
k =1

(2.15)

Chiamiamo funzione energia la quantit


h (q, q,
t) =

q k q k L.

k =1

Allora la relazione (2.15) si scrive anche:


dh
L
= .
dt
t
Se L = L(q, q ), cio se L/t = 0, h una costante del moto. Sotto opportune
ipotesi h proprio lenergia totale del sistema. Se lenergia cinetica una funzione
omogenea di secondo grado delle q k , cio
T=

k,j=1

A jk (q, t)q k q j

con Akj = A jk , e se il potenziale V non dipende da q,


allora
n
L
= 2 Aik q k
q i
k =1

26

2.3 leggi di conservazione

e quindi
n

q i q i = 2T.

i =1

Allora
h=

q i q i L = 2T T + V = T + V

i =1

che lenergia totale del sistema. Se la lagrangiana non dipende esplicitamente


dal tempo abbiamo allora che lenergia del sistema una costante del moto.

27

APPLICAZIONI DELLE EQUAZIONI DI LAGRANGE

3.1

problema dei due corpi

Supponiamo di avere un sistema isolato di due particelle di massa m1 ed m2 ,


soggette alla mutua interazione di natura conservativa. Rispetto a un osservatore
O inerziale indichiamo con r1 ed r2 i vettori posizione delle due particelle. Il
vettore posizione del centro di massa :
R=

m1 r1 + m2 r2
,
m1 + m2

(3.1)

mentre il vettore posizione relativa dato da


r = r2 r1 .

(3.2)

Possiamo esprimere r1 ed r2 mediante i vettori appena introdotti:


m2
r,
m1 + m2
m1
r2 = R +
r.
m1 + m2

r1 = R

(3.3)

Assumiamo che lenergia potenziale (relativa alla mutua interazione) abbia la


seguente propriet:
U = U (r ).

(3.4)

La forza agente sulla particella 2 data da F2 = r2 U (r ) = r U (r ), mentre


la forza agente sulla particella 1 F1 = r1 U (r ) = r U (r ). Abbiamo pertanto
F1 + F2 = 0 (forma debole del principio di azione e reazione). Notiamo che se
U = U (r ) allora F2 = dU/dr r = F1 (forma forte del principio di azione e
reazione). La lagrangiana del sistema delle due particelle
L=

1
1
m1 kr 1 k2 + m2 kr 2 k2 U (r ).
2
2

(3.5)

Sulla base delle relazioni (3.3), la (3.5) si pu scrivere come


L=

m1 + m2 2 1 m1 m2
k Rk +
kr k2 U (r )
2
2 m1 + m2

(3.6)

La quantit = m1 m2 /(m1 + m2 ) detta massa ridotta (si noti che 1/ = 1/m1 +


1/m2 e che se m2  m1 , allora r1 R e m2 ).
Dallespressione (3.6) si deduce che R = V costante, essendo R ciclica. Il centro di massa perci in quiete o si muove di moto rettilineo uniforme. Possiamo

28

3.1 problema dei due corpi

prendere in ogni caso come sistema di riferimento proprio quello del centro di
massa e avremo:
m1 r1 + m2 r2 = 0
m2
r1 =
r
m1 + m2
m1
r2 =
r.
m1 + m2
Dunque la lagrangiana sar nella forma:
L=

1
kr k2 U (r ).
2

interessante notare come il problema dei due corpi si riconduca al problema di


una particella di massa pari alla massa ridotta immersa in un campo esterno.
3.1.1 Movimento in un campo centrale
Si abbia una particella P di massa m (che possiamo riguardare anche come la
massa ridotta di due particelle puntiformi) in un campo esterno. Assumiamo che
tale campo sia conservativo e che lenergia potenziale (o potenziale) dipenda solo
dalla distanza della particella P da un punto O, fisso rispetto a un sistema di
riferimento inerziale. Chiamiamo come al solito vettore posizione della particella

r = OP e v = r il vettore velocit. Abbiamo allora:


L=

1 2
mv U (r ),
2

dove r = kr k, v2 = v v e U (r ) lenergia potenziale. La forza agente sulla


particella
F = U (r ) =

dU
r.
dr

Essa centrale e il centro della forza il punto O.


Notiamo che lenergia potenziale ha simmetria sferica, dunque ogni soluzione
delle equazioni del moto deve essere invariante per rotazioni attorno a un asse
arbitrario passante per O. Il momento angolare della particella P rispetto a O,
cio l = mr v = r p (con p quantit di moto della particella), si conserva. Si
dimostra facilmente che il moto si svolge in un piano (piano dellorbita) ortogonale alla direzione (costante) di l, sempre che l 6= 0. Se l = 0, r parallelo a p e il
moto unidimensionale.
Supponiamo che l = l0 6= 0 (l0 costante). Il sistema ha due gradi di libert,
considerato che il moto avviene in un piano. Possiamo, pertanto, esprimere la
lagrangiana in coordinate polari:
L=

1
m(r 2 + r2 2 ) U (r ).
2

(3.7)

29

3.1 problema dei due corpi

Si vede subito che ciclica e dunque il suo momento coniugato p = L/ =


mr2 costante. Osserviamo che
p = mr2 = l0

(3.8)

che costante. Notiamo, per inciso, che


1 l0
1
= r2
2m
2
la cosiddetta velocit areolare ed una costante del moto. Abbiamo cos ottenuto,
in modo semplice, la
Legge (Seconda legge di Keplero) - Il vettore posizione della particella (o di un pianeta
considerato puntiforme) rispetto al centro dellorbita (o centro della forza) spazza aree
uguali in intervalli di tempo uguali.
Osservazione. Questa legge stata ottenuta semplicemente supponendo che la forza agente sulle particelle sia centrale (senza assegnare la dipendenza esplicita da
r di U).
Utilizzando le equazioni di Lagrange
 
d L
L

= 0
dt r
r
U (r )
mr mr 2 +
= 0.
r

(3.9)

Per la (3.8) abbiamo


mr 2 =

l02
.
mr3

Allora la (3.9) pu essere riscritta nel modo seguente:


mr

l02
U (r )
+
= 0.
3
mr
r

Osserviamo che nel nostro caso la lagrangiana non dipende esplicitamente dal
tempo e che lenergia cinetica una funzione omogenea di secondo grado rispetto
Ne consegue che la funzione energia h una costante del moto ed proprio
a r e .
lenergia totale della particella E. Possiamo, allora, scrivere:
L
L
r + L =
r

1
1
1 l02
= m(r 2 + r2 2 ) + U (r ) = mr 2 +
+ U (r )
2
2
2 mr2

E=

dove abbiamo tenuto conto della (3.8).

30

(3.10)

3.1 problema dei due corpi

Osservazione. Grazie alla conservazione del momento angolare, il moto come


unidimensionale con un potenziale efficace
Ueff (r ) =

1 l02
+ U (r ).
2 mr2

(3.11)

Se r (0) = r0 , supposto che nellintervallo di tempo considerato r = r (t)


crescente,
r
dr
2
=
( E Ueff (r ))
dt
m
e, quindi,
t=

dr 0

Z r (t)

r0

2
m (E

Ueff (r 0 ))

(3.12)

Si pu ricavare anche lanomalia in funzione di r. Infatti dalla (3.8) otteniamo:


d =

l0 1
l0 1
dr
q
dt =
2
2
mr
mr
2
m ( E Ueff (r ))

(abbiamo qui considerato un intervallo di tempo in cui r = r (t) crescente) e, di


conseguenza,
l0
(r ) (r0 ) =
m

dr 0

Z r (t)
1

r0

q
02

2
m (E

Ueff (r 0 ))

Se il dominio di variazione di r ha due limiti, rmin ed rmax , il movimento limitato


e tutta lorbita contenuta nella corona circolare centrata in O, con raggio interno
rmin e raggio esterno rmax . Questo discorso non vuol dire affatto che lorbita, nel
caso di moto limitato, chiusa. Perch ci accada, necessario e sufficiente che
=

2l0
m

dr 0

Z rmax
1
rmin

q
02

2
m (E

Ueff (r 0 ))

= 2

j
n

(3.13)

con j, n N. Ricordiamo, per inciso, che lanomalia definita sempre a meno di


multipli di 2. Ora, se indichiamo con
T0 = 2

dr 0

Z rmax
rmin

2
m (E

Ueff

(3.14)

(r 0 ))

il periodo della funzione r = r (t) (stiamo supponendo che il moto sia limitato e
che r [rmin , rmax ]), dopo un tempo pari a nT0 , si avr una variazione di pari
a 2j (multiplo di 2) e, pertanto, il vettore posizione ritorner a essere quello
iniziale, cio r (nT0 ) = r (0).
In generale, per un potenziale generico U (r ), supponendo lesistenza di moti
limitati, la traiettoria non unorbita chiusa.

31

3.1 problema dei due corpi


Ueff

E2

rmin r0

rmax

E1
E0

Figura 3.1: Andamento del potenziale efficace nel problema dei due corpi.

Teorema (di Bertrand) - Le uniche forze centrali che danno luogo a orbite chiuse per
ogni condizione iniziale corrispondente a moti limitati sono:
quella proporzionale allinverso del quadrato di r (come la forza gravitazionale);
quella corrispondente alla legge di Hooke (dipendenza lineare da r).
Supponiamo ora che F = k/r2 r o, in modo equivalente, U (r ) = k/r, con
k > 0. Per il teorema di Bertrand, le orbite relative a moti limitati sono chiuse. Il
potenziale efficace, in questo caso, :
Ueff =

1 l02
k
.
2 mr2
r


Per r = r0 = l02 /(mk ), Ueff ha il valore minimo, esattamente pari a mk2 / 2l02 .
Dal grafico di Ueff (si veda Figura 3.1) possiamo ricavare le seguenti informazioni:

E = E0 = mk2 / 2l02 , r (t) = 0 = r (t) = r0 costante. In questo
caso lorbita della particella circolare. Il moto circolare uniforme con
frequenza = l0 /(mr02 ) (questa espressione discende in modo immediato
dalla (3.8)).
 
Se E = E1 mk2 / 2l02 , 0 , il moto limitato con r [rmin , rmax ]. Si pu
dimostrare che la traiettoria unellisse.
Se E = E2 0, r (t) inferiormente limitato e superiormente non limitato.
Si pu dimostrare che la traiettoria per E2 = 0 una parabola e per E2 > 0
uniperbole.

32

3.1 problema dei due corpi


y
b
Q( x, y)

F2

F1

Figura 3.2: Ellisse in coordinate cartesiane.

Esercizio
1. Nellipotesi che la forza centrale sia F = k/r2 r dimostrare che il vettore
A = p l mkr
una costante del moto. A detto vettore di Laplace-Runge-Lenz. Calcolare
inoltre A l.
3.1.2 Il problema di Keplero
Ricordiamo lespressione dellellisse in coordinate polari e alcune sue propriet.
Detti a il semiasse maggiore e b il semiasse minore, lequazione dellellisse in
coordinate cartesiane
x2
y2
+
= 1.
a2
b2
Siano F1 = (c, 0) e F2 = (c, 0) (con c 0) i due fuochi e Q = ( x, y) un punto
generico dellellisse (vedi Figura 3.2). Allora, per definizione di ellisse abbiamo
che
QF1 + QF2 = 2a.
Inoltre vale la relazione
c2 = a2 b2 .
Il quadrato della distanza del punto Q dal fuoco F1 dato da:
2

QF1 = ( x c) + y = x 2xc + c + y = x 2xc + a b + b




b2 2
b2
2
2
= x 2xc + a 2 x = 1 2 x2 2xc + a2 .
a
a

33

x2
1 2
a

3.1 problema dei due corpi

Q( x, y)
r
F2

F1

Figura 3.3: Ellisse in coordinate polari.

Introduciamo leccentricit e = c/a. Notiamo che e (0, 1) e che per e = 0 lellisse


diventa una circonferenza. Inoltre c = ea. Abbiamo quindi
2

a2 b2 2
c2 2
2
x

2xc
+
a
=
x 2xc + a2 = e2 x2 2eax + a2 =
a2
a2
= ( a ex )2

QF1 =

da cui
QF1 = a ex.
Analogamente si trova che
2

QF2 = ( a + ex )2 = QF2 = a + ex
ed quindi soddisfatta la condizione QF1 + QF2 = 2a. In coordinate polari fissiamo come polo uno dei fuochi, per esempio F1 (vedi Figura 3.3), quindi QF1 = r.
Le coordinate ( x, y) di Q sono date da

x = ea + r cos
y = r sin
pertanto
QF1 = r = a e(ea + r cos ) = a(1 e2 ) er cos =
r (1 + e cos ) = a(1 e2 ) = r ( ) =

a (1 e2 )
.
1 + e cos

Ponendo P = a(1 e2 ), detto parametro dellellisse, otteniamo lequazione dellellisse in coordinate polari:
r ( ) =

P
.
1 + e cos

34

3.1 problema dei due corpi

Inoltre
b2 = a2 c2 = a2 e2 a2 = a2 (1 e2 ) = b = a

1 e2 =

P
1 e2

Il perielio si ha per = 0 quindi


rmin =

P
= a (1 e )
1+e

mentre lafelio raggiunto in = :


rmax =

P
= a (1 + e ).
1e

Osserviamo infine che r (/2) = P.


Consideriamo ora un corpo puntiforme di massa m in moto in un campo
centrale F = k/r2 r e soggetto al potenziale
k
k>0
r
1 l02
k
Ueff (r ) =
.
2 mr2
r
U (r ) =

Come visto precedentemente, dalla (3.8) si ottiene


l0 1
r 
m r2
2

d =

dr
E

2
1 l0
2 mr2

k
r

.

Introducendo la variabile
w=

1
1
= dw = 2 dr
r
r

abbiamo
d = q

dw
2mE
l02

2km
w
l02

w2

= r

dw
2mE
l02

k 2 m2
l04


w

km
l02

2

con E (mk2 /(2l02 ), 0). Notiamo che


A2 =

2mE k2 m2
+ 4 0
l02
l0

con il segno di uguaglianza che vale quando E assume il valore minimo. Ponendo
x = w km/l02 e integrando abbiamo
=

w km
x
l02
q
= arccos + costante = arccos
+ costante =
2 2
2mE
A
A2 x 2
+ k lm4
l2
dx

= arccos

l02
w
km
q

1+

2El02
mk2

+ costante.

35

3.1 problema dei due corpi

Quindi risulta
l02 1
1 =
mk r

2El02
cos( + 0 )
mk2

1+

dove 0 la costante di integrazione. Senza perdita di generalit possiamo ruotare


il sistema di riferimento in modo che 0 = 0 per cui

s
2
2El0
1
mk
= 2 1 + 1 +
cos .
r
mk2
l0
Ponendo inoltre
s
e=

1+

2El02
(0, 1)
mk2

abbiamo
r=

l02
mk

1 + e cos

P
1 + e cos

con P = l02 /(mk ). Questa lequazione polare di unellisse pertanto abbiamo


dimostrato la
Legge (Prima legge di Keplero) - I pianeti (considerati puntiformi) descrivono orbite
ellittiche di cui il Sole occupa uno dei fuoci.
Ricordiamo che la velocit areolare data da
1 l0
1 l0
= dS =
dt = l0 dt = 2m dS.
S =
2m
2m
Larea di unellisse vale ab, quindi integrando abbiamo:
Z T
0

l0 dt = l0 T = 2mab

dove T il periodo di rivoluzione del corpo. Ora osserviamo che


P
a=
=
1 e2

l02
mk
2| E|l02
mk2

k
,
2| E |

quindi
2mab
2m 2
=
a
T=
l0
l0
r
m
3/2
= 2a
.
k

2m 2
1 e2 =
a
l0

2| E|l02
= 2a2
mk2

2m| E|
=
k2

Abbiamo infine ricavato anche la


Legge (Terza legge di Keplero) - Il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta
proporzionale al cubo del semiasse maggiore dellorbita.

36

3.2 piccole oscillazioni

3.2

piccole oscillazioni

3.2.1 Impostazione del problema


Supponiamo di avere un sistema di N particelle con vincoli olonomi e scleronomi
con n gradi di libert, soggette a forze conservative. Indichiamo con q1 , q2 , . . . , qn
le coordinate generalizzate e con V = V (q1 , . . . , qn ) lenergia potenziale. Il sistema
si dice in equilibrio nella configurazione q0 = (q01 , . . . , q0n ) se le forze generalizzate
che agiscono su di esso sono nulle, ossia:

V (q)
Qj =
=0
( j = 1, . . . , n).
q j q=q
0

Lenergia potenziale nella configurazione di equilibrio q0 ha un valore estremale


o in generale stazionario. Se tutte le velocit generalizzate nella configurazione di
equilibrio sono nulle, il sistema rimarr nella posizione di equilibrio per un tempo
indefinito. Una configurazione di equilibrio si dice stabile se una piccola perturbazione del sistema provoca un moto che raggiunge configurazioni vicine; al contrario si dir instabile se una perturbazione infinitesima provoca un allontanamento
indefinito da tale configurazione.
Noi intendiamo studiare il moto del sistema nelle immediate vicinanze di una
configurazione di equilibrio stabile, dove lenergia potenziale ha un minimo. Indichiamo con i gli spostamenti delle coordinate generalizzate dallequilibrio;
ovvero:
qi = q0i + i

i = 1, . . . , n.

Consideriamo lo sviluppo dellenergia potenziale1 attorno alla configurazione di


equilibrio stabile q0 :


n
V
1 n
2 V
V (q1 , . . . , qn ) = V (q01 , . . . , q0n ) +
j +
j k + .
q j q=q
2 j,k=1 q j qk q=q
j =1
0

Poich per ipotesi



V (q)
=0
q j q=q

j = 1, . . . , n

e V (q01 , . . . , q0n ) una costante che pu essere posta uguale a zero senza perdere in generalit,2 abbiamo in definitiva, fermandoci al termine quadratico dello
sviluppo:

1 n
2 V
1 n
V ( q1 , . . . , q n ) =
j k =
V jk j k .
(3.15)


2 j,k=1 q j qk q=q
2 j,k
=1
0

1 Supponiamo sempre le funzioni che trattiamo di grado opportuno.


2 Ricordiamo infatti che lenergia potenziale definita a meno di una costante additiva.

37

3.2 piccole oscillazioni

La matrice n n V = (V jk ) una matrice simmetrica e reale. La condizione che


q0 sia una configurazione di minimo implica che = (1 , . . . , n ) Rn si abbia
T V =

j,k =1

V jk j k 0,

ovvero V semidefinita positiva.


Anche lenergia cinetica pu essere sviluppata in modo simile. Mostriamo prima che in presenza di vincoli olonomi e scleronomi lenergia cinetica una forma
quadratica omogenea delle velocit generalizzate. Infatti, detta mk la massa della
k-esima particella e vk la sua velocit:3
!
N
N
n n
1 N
r
1
1
r
T = mk v2k = mk vk vk = mk k k q i q j
2 k =1
2 k =1
2 k =1
qi q j
i =1 j =1
dove si ricordato che
vk =

qkj q j

j =1

= v2k =

r r

qki qkj q i q j .

i =1 j =1

Ne consegue:
1 n n
T=
2 i =1 j =1

r r
mk qki qkj
k =1

!
q i q j

che quanto era nostra intenzione dimostrare.


Considerando ora spostamenti i rispetto alla configurazione di equilibrio e
fermandoci al primo termine (quadratico) nelle i , abbiamo:
"
#


N
1 n
rk rk
1 n

T = mk

=
Tij i j .
(3.16)
i j
2 i,j=1 k=1
qi q j q=q
2 i,j
=1
0

La matrice (costante) T = (Tij ) simmetrica, reale ed definita positiva in senso


stretto, cio
n

i,j=1

Tij ai a j > 0

a = ( a 1 , . . . , a n ) Rn \ { 0 } .

Pertanto i suoi autovalori sono reali e strettamente positivi e quindi T senzaltro


diagonalizzabile.
La lagrangiana del sistema nelle approssimazioni fatte pu scriversi:
L=

1 n
1 n

Vkj k j .
kj k j
2 k,j
2 k,j
=1
=1

(3.17)

3 Indichiamo con rk il vettore posizione della k-esima particella rispetto a un punto O solidale con un
sistema di riferimento inerziale

38

3.2 piccole oscillazioni

Si vede che le i assumono de facto il ruolo di nuove coordinate generalizzate. La


k-esima equazione di Lagrange assume la forma:


d
L
L

=0
dt k
k
e cio
1
2

Tkj j + 2 Vkj j = 0.

j =1

(3.18)

j =1

Posto (t) = (1 (t), . . . , n (t)), linsieme delle equazioni pu essere sintetizzato


nella scrittura

T (t) + V (t) = 0.

(3.19)

Le equazioni (3.18) (o lequazione matriciale (3.19)) sono equazioni differenziali


del secondo ordine lineari a coefficienti costanti omogenee. Vedremo, ora, come
sia possibile scrivere un sistema di n equazioni differenziali del secondo ordine
lineari disaccoppiate perfettamente equivalente al sistema trovato.
Cerchiamo soluzioni delle (3.19) del tipo:
= aeit

(3.20)

con R e a Rn \ {0} costante.4 Richiedendo che la (3.20) sia soluzione della


(3.19) otteniamo:

( 2 T + V ) aeit = 0 (V 2 T ) a = 0
dove 2 = ha il significato di autovalore e a 6= 0 di autovettore corrispondente.
Non si tratta per di un classico problema agli autovalori: infatti si tratta qui
di determinare gli autovalori della matrice V rispetto alla matrice T .5 Sar importante far vedere che tutti i nostri autovalori sono maggiori o uguali a zero,
perch altrimenti non sarebbe reale.6 Gli autovalori di V rispetto a T sono dati
dallequazione:
det(V T ) = 0.

(3.21)

Osservazione. Un autovalore deve rendere non invertibile V T ; inoltre la


somma delle molteplicit delle radici della (3.21) uguale a n.
Ora, come detto T diagonalizzabile, ovvero detta M = Diag(1 , . . . , n ), dove
k > 0 k = 1, . . . , n sono gli autovalori di T non tutti necessariamente distinti,
4 Una soluzione fisicamente accettabile deve essere reale; naturalmente la parte reale della (3.20)
che descrive il sistema.
5 Avremmo ancora il classico problema agli autovalori se T fosse proporzionale alla matrice identit
In .
6 Se ci avvenisse avremmo un moto con andamento esponenziale (crescente o decrescente) con
conseguente allontanamento dalla posizione di equilibrio.

39

3.2 piccole oscillazioni

esiste una trasformazione di similitudine U matrice ortogonale a valori reali, cio


U 1 = U T , tale che:

T = U T MU.

(3.22)

Ovviamente se T gi diagonale, allora T = M e U = In . Definiamo inoltre

M1 = Diag( 1 , . . . , n ). Si vede immediatamente che M1 simmetrica a valori


reali positivi e che M = M12 . La (3.22) pu essere riscritta:

T = U T M1 M1 U = ( M1 U )T M1 U.

(3.23)

la matrice simmetrica a valori reali definita positiva non in senso stretto,


Sia V
che soddisfa la seguente relazione:

V = ( M1 U )T V M1 U.

(3.24)

e V sono legate da una trasformazione di congruenza. In base alle


Pertanto V
(3.23) e alle (3.24), lequazione (3.21) diventa
M1 U ( M1 U )T M1 U ] = 0
det[( M1 U )T V
I ] det[ M1 U ] = 0
det[( M1 U )T ] det[V
I ] = 0.
det[V
ovvero trovare gli autovalori di V rispetto a T vuol dire trovare gli autovalori
. I suoi autovalori saranno necessariamente, in virt delle
(nel senso usuale) di V
propriet gi citate, maggiori o uguali a zero.
Ritorniamo ora allequazione di Lagrange (3.19), che pu essere riscritta per le
(3.23) e (3.24):

( M1 U )T M1 U (t) + ( M1 U )T V M1 U(t) = 0 =
( M1 U )T [ M1 U (t) + V M1 U(t)] = 0 =
M1 U(t) = 0
M1 U (t) + V
Se poniamo M1 U(t) = (t), otteniamo (ricordando che M1 U una matrice
costante)
(t) + V (t) = 0.

(3.25)

, simmetrica e a valori reali, definita positiva non in


Sappiamo che la matrice V
senso stretto, diagonalizzabile. I suoi autovalori i 0 non sono tutti necessariamente distinti. Sia = Diag(1 , . . . , n ) la matrice diagonale degli autovalori
. Esiste (essendo V
diagonalizzabile) una matrice ortogonale S tale che
di V

V = ST S.
Lequazione (3.25) diventa perci:
(t) + S T S(t) = 0 S
(t) + S(t) = 0.

40

3.2 piccole oscillazioni

Posto S(t) = Q(t) = ( Q1 (t), . . . , Qn (t)) (ricordiamo che S una matrice costante) abbiamo in definitiva
Q (t) + Q(t) = 0

(3.26)

ovvero k, ricordando che k = k2 :


Q k (t) + k2 Qk (t) = 0

(k = 1, . . . , n)

(3.27)

cio n oscillatori armonici disaccoppiati; ciascuno di essi vibra con una propria frequenza (modo normale). Le Qk vengono dette coordinate normali o principali. Osserviamo che le k2 non sono tutte necessariamente distinte e che se k = 0, la k-esima
equazione del tipo Q k = 0, quindi non si tratta di un oscillatore armonico.
3.2.2 Riepilogo
Q(t) = S(t) = (SM1 U )(t).
Osserviamo che se T = In , con > 0, allora M1 =

S(t).
Se sono noti (0), (0), stato iniziale, si ha:

(3.28)
In , U = In e Q(t) =

Q(0) = (SM1 U )(0),


Q (0) = (SM1 U ) (0).
Possiamo allora risolvere il sistema (3.26) con queste condizioni iniziali. Determinato Q = Q(t), abbiamo poi:
(t) = S(t) = (SM1 U )1 Q(t).
3.2.3 Osservazioni
Abbiamo ottenuto, in concreto, nelle pagine precedenti il seguente risultato, noto
in algebra lineare:
Teorema - Siano date due matrici n n simmetriche a valori reali, la prima T definita
positiva e la seconda V semidefinita positiva. Allora esiste una matrice invertibile a valori
reali C tale che
CT T C = I

(3.29)

C T V C = Diag(1 , . . . n ) =

(3.30)

dove i j 0 sono le radici dellequazione caratteristica det(V T ) = 0.

41

3.2 piccole oscillazioni

Possiamo ovviamente scrivere j = 2j , con j 0. facile far vedere, usando


le notazioni precedenti, che C 1 = SM1 U. In base alle relazioni (3.29) e (3.30) si
ottengono in modo agevolo e immediato i modi normali di vibrazione. Infatti:

T (t) + V (t) = 0 =
C T T (t) + C T V (t) = 0 =
C T T CC 1 (t) + C T V CC 1 (t) = 0 =

(3.31)

Q = C 1

C 1 (t) + C 1 (t) = 0 =
Q (t) + Q(t) = 0.
3.2.4 Un particolare problema

Siano dati N + 1 oscillatori di costante k vincolati agli estremi come in Figura 3.4.
Siano gli N oggetti a essi vincolati di massa m. La lunghezza a riposo di ciascuna
molla sia l0 cosicch la distanza tra le pareti sia ( N + 1)l0 . Indichiamo con x j (t) la
posizione della j-esima particella allistante t e con la x0,j la sua posizione iniziale.
A riposo risulta x0,j x0,j1 = l0 . Posto x0 = x N +1 = 0, lenergia potenziale
elastica associata al sistema
V=

N
1 2
1
1 N +1
kx1 + ( x j x j1 l0 )2 + kx2N = k ( x j x j1 l0 )2 .
2
2
2 j =1
j =2

Se ora indichiamo con q j la deviazione dalla posizione di equilibrio della j-esima


particella, cio q j = x j x0,j , posto q0 = q N +1 = 0, lenergia diventa
V=

1 N +1
1 N +1
2
k (q j + x0,j q j1 x0,j1 l0 )2 = k (q j q j1 ) .
2 j =1
2 j =1

Osservando che q j = x j possiamo scrivere la lagrangiana del sistema:


L=

1 N 2 1 N +1
m
q j k (q j q j1 ).
2 j
2 j =1
=1

Lequazione del moto della j-esima particella :


mq j + k (2q j q j1 q j+1 ) = 0.

Figura 3.4: Schema del problema.

42

3.2 piccole oscillazioni

Dora in poi poniamo per semplicit nella trattazione m = 1. Indichiamo ora:

2 1 0 0
0

1 2 1 . . . 0

q1

q2
0 1 2 . . . 0

= kV 0 = 2 V 0 .
q=
V = k
0
..

. . .
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.

qN

..
0
. 2 1
0
0
0
0
0 1 2
La matrice V 0 (e quindi anche V ) simmetrica definita positiva. Infatti sia
assegnato un vettore x di dimensioni opportune,
xT V 0 x =

N 1

V0,ij xi x j = x12 + (xi xi+1 )2 + x2N 0.


i =1

i,j

La quantit sopra nulla solo se x il vettore nullo. Le equazioni del moto


possono sintetizzarsi nella relazione:
q + V q = 0.
Per risolvere il nostro problema occorre trovare gli autovalori della matrice V 0 .
Essendo la matrice simmetrica definita positiva gli autovalori saranno tutti reali e
positivi. Abbiamo visto che lenergia potenziale data da
V (q) =

1
1 N
1
1
(q, V q) = kq21 + k (q j q j1 )2 + kq2N .
2
2
2 j =2
2

(3.32)

Se x = ( x1 , x2 , . . . , x N ) un autovettore associato allautovalore abbiamo


N

( x, V 0 x) = ( x, x) = ( x, x) = x2j = k xk2 .
j =1

Daltra parte dalla (3.32) risulta


N

( x, V 0 x) = x12 + ( x j x j1 )2 + x2N .
j =2

Inoltre

( x j x j1 )2 = x2j 2x j x j1 + x2j1 2x2j + 2x2j1


e
N

N 1

j =2

j =2

x2j =

x2j + x2N ,

N 1

j =2

i =1

x2j1 =

xi2 = x12 +

N 1

j =2

x2j

43

(3.33)

3.2 piccole oscillazioni

quindi
N

j =2

j =2

j =2

(x j x j1 )2 2 x2j + 2 x2j1 =
= 2x2N + 2

N 1

j =2

N 1

x2j + 2

= 2x12 + 2x2N + 4

N 1

j =2

j =2

x2j + 2x12 =

x2j .

Pertanto

( x, V 0 x) 3x12 + 3x2N + 4

N 1

j =2

x2j < 4 x2j = 4k xk2 .


j =1

(3.34)

Lultima maggiorazione stretta perch, dovendo essere x 6= 0 in quanto autovettore deve risultare necessariamente x1 , x N 6= 0. Infatti, partendo dallequazione
(V 0 I ) x = 0 abbiamo che la prima componente

(2 ) x1 x2 = 0.
Ma se x1 = 0 allora x2 = 0. La seconda componente del vettore

x1 + (2 ) x2 x3 = 0
che implica x3 = 0. Procedendo in questo modo si troverebbe quindi che x = 0.
Confrontando la (3.33) con la (3.34) ricaviamo che 0 < < 4.
Per trovare gli autovalori procediamo ora nel modo solito. Indichiamo con
D N () = det(V 0 IN ). Osserviamo che
D1 = 2 ,


2 1
= (2 )2 1.
D2 =
1 2
In generale, vista la struttura della matrice si vede che D N () = (2 ) D N 1 ()
D N 2 (). Per risolvere questo problema adottiamo un sistema simile a quello che
si pu utilizzare per trovare la forma chiusa della successione di Fibonacci (si
veda lAppendice B), cerchiamo cio soluzioni del tipo D N () = N , con 6= 0.
Lequazione diventa:
N (2 ) N 1 + N 1 = 0 2 (2 ) + 1 = 0 =
p
2 (2 )2 4
= cos i sin = ei
1,2 =
2
dove si effettuata lopportuna sostituzione 2 cos = 2 (in virt del fatto
che ]0, 4[) e si tenuto conto delle relazioni di Eulero. Ora occorre trovare
a, a C tali che D N () = a()eiN + a ()eiN e affinch la soluzione sia reale a

44

3.2 piccole oscillazioni

deve essere il complesso coniugato di a. Imponiamo come condizioni iniziali i


due determinanti gi noti:

D2 () = ae2i + a e2i = (2 )2 1 = 4 cos2 1 = e2i + e2i + 1
D1 () = aei + a ei = 2 = 2 cos = ei + ei
 2i

2i = 1
( a 1)e2i + ( a 1)e2i = 1
be + be

i = 0
( a 1)ei + ( a 1)ei = 0
bei + be
ove si posto b = a 1. Risolvendo il sistema si ha
b() =

ei
ei
=
a
=
,
ei ei
ei ei

a =

ei
.
ei ei

Perci:
D N () =

sin [( N + 1) ]
ei ( N + 1 ) e i ( N + 1 )
2i sin [( N + 1) ]
=
=
i

i
2i sin
sin
e e

Poich siamo alla ricerca degli zeri della funzione, occorre che sia
sin[ ( N + 1)] = 0,
cio
m =

m
N+1

m = 1, . . . , N.

Ricordando la relazione che lega a , necessario che


m = 4 sin2

m
.
2( N + 1)

Gli autovalori sono tutti distinti. Le frequenze del sistema sono


2
m
= 02 m = 402 sin2

m
.
2( N + 1)

Sia ora = (ij i )i,j=1,...,N . Cerchiamo la matrice S tale che V 0 = S T S. noto


che per costruire la matrice S occorre disporre degli autovettori. Perci in generale,
per m = 1, . . . , N, da (V 0 m I ) xm = 0, ponendo come al solito 2 m = 2 cos m
e xm,1 = m sin m

(
2

)
x

x
=
0
xm,1 = m sin m
m
m,2
m,1

xm,1 + (2 m ) xm,2 xm,3 = 0


xm,2 = 2m sin m cos m = m sin(2m )
=
.

...
...

xm,N 1 + (2 m ) xm,N = x0
xm,N = m sin( Nm )
Possiamo perci scrivere:

m
sin
N + 1

2m

sin
x m = m

N
+
1

...

Nm
sin
N+1

45

3.2 piccole oscillazioni

dove m una costante da scegliere opportunamente. Per esempio, volendo


normalizzare lautovettore:
N

1 cos(2jm )
=
2
j =1

2
1 = k x m k 2 = m
sin2 ( jm ) = m2
j =1

2
= m
2

N cos(2jm )

j =1

2
m
( N + 1).
2

Lultima uguaglianza deriva dal fatto che


N

cos(2jm ) = <ei2j

j =1

j =1

= < ei2jm .
j =1

Questa una progressione geometrica di ragione ei2m quindi:


N

j =1

j =1

cos(2jm ) = < ei2jm = <

Perci m =
autovettore

ei2( N +1)m e2im


= 1.
e2im 1

2/( N + 1) (osserviamo che m non dipende da m) e lm-esimo

m
N + 1

r
2m
2
sin

xm =

.
N
+
1

N+1

...

Nm
sin
N+1

sin

La matrice S ha per righe gli autovettori xm ed quindi definita da


r
2
mj
Smj = xm,j =
sin
.
N+1
N+1
Poich xm,j = x j,m la matrice S simmetrica, cio S = S T . Inoltre, avendo normalizzato gli autovettori xm , risulta ( xm , xn ) = mn pertanto si ha anche S = S1 da
cui S2 = IN . Ricordando poi che
Qm =

Smj q j

j =1

possibile individuare mediante queste trasformazioni come stimolare il sistema


(ovvero come agire sulle q j ) per ottenere il moto normale associato alla coordinata
Qm .

46

FORMALISMO HAMILTONIANO

4.1

equazioni di hamilton

Vedremo ora una formulazione diversa della meccanica, nota come formulazione
hamiltoniana. La sua rilevanza risiede nel fatto che in grado di fornire unimpostazione teorica adatta a essere estesa ad altre aree della fisica. Cos, per esempio
lapproccio hamiltoniano costituisce il linguaggio con cui formulata la meccanica
quantistica.
Nella formulazione hamiltoniana della meccanica si descrive il modo di un sistema di particelle con un insieme di equazioni differenziali del primo ordine
(ricordiamo che le equazioni di Lagrange, tipiche della formulazione lagrangiana, sono equazioni differenziali del secondo ordine). Il numero complessivo di
condizioni iniziali in grado di determinare in modo univoco il moto dovr sempre essere uguale a 2n, dove n il numero di gradi di libert del sistema di
particelle. Di conseguenza nellapproccio hamiltoniano dovranno esserci 2n equazioni differenziali del primo ordine, le quali descriveranno levoluzione del punto
rappresentativo del sistema in uno spazio 2n-dimensionale, detto spazio delle fasi.
Avremo allora 2n coordinate indipendenti in grado di definire lo stato del sistema.
Un modo naturale, anche se non unico, per introdurle , nota la lagrangiana del
sistema, associare a ogni coordinata generalizzata qk , con k = 1, . . . , n, unaltra
coordinata data dal momento coniugato a essa, cio pk = L/q k . Le variabili
(q, p) sono dette canoniche. Si passa, in ultima analisi, dal sistema di variabili (q, q,
t), proprio della formulazione lagrangiana, al sistema di nuove variabili
(q, p, t), con il quale possiamo formulare la meccanica hamiltoniana. Il metodo
che ci permette di passare da un sistema allaltro fornito dalle trasformazioni
di Legendre (per un approfondimento sulle trasformazioni di Legendre si veda
lAppendice A). Studieremo prima un caso semplice, cio un sistema a un solo
t) la lagrangiana del sistema. Abbiamo:
grado di libert. Sia L = L(q, q,
dL =

L
L
L
L
dq +
dq +
dt = p dq + p dq +
dt
q
q
t
t

(4.1)

dove abbiamo utilizzato la definizione di momento coniugato p = L/q e led L


Lhamiltoniana del sistema H(q, p, t)
quazione di Lagrange L/q = dt
q = p.
definita mediante la seguente trasformazione detta di Legendre:
L(q, q,
t ).
H(q, p, t) = qp

(4.2)

47

4.1 equazioni di hamilton

Notiamo che lhamiltoniana risulta in realt funzione di (q, p, t) solo dopo aver
t)/q.
Valespresso q in funzione di (q, p, t) utilizzando la relazione p = L(q, q,
gono le seguenti relazioni:
dH =

H
H
H
dq +
dp +
dt
q
p
t

(4.3)

Inoltre, per le (4.1) e (4.2), si ha


dH = q dp + p dq p dq p dq

L
L
dt = q dp p dq
dt
t
t

Dal confronto tra la (4.3) e la (4.4) emerge che

H(q, p, t)

= q

p
H(q, p, t)

= p
q

(4.4)

(4.5)

e
H
L
= .
t
t

(4.6)

Le relazioni (4.5) sono dette equazioni di Hamilton e costituiscono un sistema di due


equazioni differenziali del primo ordine nelle due variabili indipendenti (coordinate canoniche) q e p. Queste nuove variabili definiscono lo stato del sistema nel
cosiddetto spazio delle fasi, che ovviamente di dimensione 2.
La procedura precedente si pu generalizzare al caso di un sistema avente n
gradi di libert. Sia L = L (q, q,
t) la lagrangiana del sistema, con q = (q1 , . . . , qn )
e q = (q 1 , . . . , q n ). Si ha:
dL =

n
L
L
L
dq
+
q j j q j dq j + t dt =
j =1
j =1
n

j =1

L
dt
p j dq j + p j dq j +
t

(4.7)

(si utilizzato L/q j = p j e L/q j =

d L
dt q j

= p j ). Posto p = ( p1 , . . . , pn ),
possiamo come prima definire lhamiltoniana del sistema in funzione di (q, p, t)
mediante la trasformazione di Legendre
H(q, p, t) =

q j p j L(q, q, t).

(4.8)

j =1

Avremo allora
dH =

j =1

H
H
dq j +
dp j
q j
p j

H
dt
t

48

(4.9)

4.1 equazioni di hamilton

e, per la (4.7) e la (4.8),


dH =

j =1

j =1

(q j dp j + p j dq j ) ( p j dq j + p j dq j )

L
dt =
t

L
= (q j dp j p j dq j )
dt.
t
j =1
Dalla (4.9) e dalla (4.10) si deduce che per i = 1, . . . , n

H(q, p, t)

= q i

pi
H(q, p, t)

= p i
qi

(4.10)

(4.11)

e
H
L
= .
t
t

(4.12)

Le equazioni (4.11) vengono chiamate, come nel caso di un solo grado di libert,
equazioni di Hamilton e costituiscono 2n equazioni differenziali nelle variabili
canoniche q e p.
In conclusione, la costruzione dellhamiltoniana avviene attraverso i seguenti
passaggi:
si costruisce la lagrangiana L in funzione delle coordinate generalizzate q,
delle velocit generalizzate q ed eventualmente del tempo t attraverso la
relazione L = T V (supponendo le forze derivanti da un unico potenziale
o potenziale generalizzato);
si definiscono i momenti coniugati pi attraverso la relazione
pi =

L(q, q,
t)
q i

(i = 1, . . . , n);

(4.13)

si scrive lhamiltoniana del sistema utilizzando la trasformazione di Legendre (4.8) (ovviamente in questa scrittura intervengono q, q,
p e t);
a partire dalle (4.13) si cerca di ottenere q in funzione di q, p e t;
con lausilio del risultato precedente si pu, infine, esprimere lhamiltoniana
H in funzione di q, p e t.
Esercizi
1. Si consideri una particella di massa m in un campo conservativo. Sia U =
U (r ) lenergia potenziale. Scrivere lhamiltoniana del sistema
a) in coordinate cartesiane;
b) in coordinate sferiche;

49

4.1 equazioni di hamilton

c) in coordinate cilindriche.
Soluzione. In coordinate cartesiane x, y, z la lagrangiana della particella
L=

1
m( x 2 + y 2 + z 2 ) U ( x, y, z).
2

Abbiamo:
L
px
= m x = x =

x
m
py
L
= my = y =
py =
y
m
pz
L
= mz = z = .
pz =
z
m
px =

Quindi, per la (4.8) e tenendo presenti le relazioni fra le velocit generalizzate e i momenti coniugati appena determinate, lhamiltoniana
x + yp
y + zp
zL =
H = xp
1
1
= ( p2x + p2y + p2z )
( p2 + p2y + p2z ) + U ( x, y, z) =
m
2m x
1
=
( p2 + p2y + p2z ) + U ( x, y, z).
2m x
In coordinate sferiche r, , la lagrangiana della particella
L=

1
m(r 2 + r2 2 + r2 sin2 2 ) U (r, , ).
2

Calcoliamo i momenti coniugati e le relazioni fra le velocit generalizzate e


questi:
L
pr
= mr = r =
r
m
L
p
p =
= mr2 = = 2

mr

p
L
2
2
p =
= mr sin = =
.
2

mr sin2
pr =

Dunque lhamiltoniana
L=
r + p + p
H = rp
p2
p2
p2r + 2 +
r
r2 sin2

1
=
m

1
2m

p2r +

p2
p2
+
r2
r2 sin2

2m
!

p2
p2
p2r + 2 +
r
r2 sin2

+ U (r, , ) =

+ U (r, , ).

Infine, nelle coordinate cilindriche r, , z la lagrangiana della particella si


scrive:
L=

1
m(r 2 + r2 2 + z 2 ) U (r, , z).
2

50

4.1 equazioni di hamilton

Come al solito troviamo i momenti coniugati e poi esprimiamo le velocit


generalizzate in funzione dei momenti:
L
pr
= mr = r =
r
m
p
L
= mr2 = =
p =

mr2

L
pz
pz =
= mz = z = .
z
m
pr =

Abbiamo che lhamiltoniana data da:


+ zp
r + p
zL =
H = rp
!
!
p2
p2
1
1
2
2
2
2
=
pr + 2 + p z
pr + 2 + pz + U (r, , z) =
m
r
2m
r
!
p2
1
=
p2r + 2 + p2z + U (r, , z).
2m
r
2. Scrivere lhamiltoniana di una particella di massa m e carica q in un campo
elettromagnetico, i cui potenziali sono rispettivamente e A.
Soluzione. Nel Capitolo 1 abbiamo visto che la lagrangiana della particella
carica nel campo elettromagnetico data da
L=

1 2
q
mv q + A v.
2
c

I momenti coniugati sono allora


q
p = v L = mv + A.
c
Da qui ricaviamo la velocit in funzione dei momenti coniugati:
v=

1 
q 
p A .
m
c

Allora lhamiltoniana :
H = v pL =
 1 1 

q 2
1  2 q
q
q 
A p A =
=
p A p m 2 p A + q
m
c
2 m
c
mc
c



2
2
1
q
q
1
q
=
p2 2 A p + 2 A2
p A + q =
m
c
c
2m
c
1 
q 2
=
p A + q.
2m
c

51

4.1 equazioni di hamilton

Possiamo anche scrivere le sei equazioni di Hamilton che descrivono il moto


della particella:
H
1 
q 

x =
=
px Ax + q
p x
m
c
p x


H
1
q

y =
=
py Ay + q
py
m
c
py
H
1 

q 
z =
=
pz Az + q
pz
m
c
pz


H
1
q A x

q
p x =
=
q
px Ax
x
m
c
c x
x
H
1 
q  q Ay

p y =
=
py Ay
q
y
m
c
c y
y
1 

H
q  q Az
=
q .
p z =
pz Az
z
m
c
c z
z
Se i potenziali e A non dipendono esplicitamente dalle coordinate allora
il momento coniugato p risulta costante.
4.1.1 Un esempio
Supponiamo che le equazioni che definiscono le coordinate generalizzate non
dipendano esplicitamente dal tempo e che le forze in gioco derivino da un potenziale V funzione solo delle coordinate generalizzate. Vogliamo vedere come
possiamo scrivere lhamiltoniana del sistema. Siano n i gradi di libert e siano
q1 , . . . , qn le coordinate generalizzate. semplice dimostrare che lenergia cinetica
si pu scrivere
T=

1 n
ij (q)q i q j
2 i,j
=1

dove q = (q1 , . . . , qn ). La lagrangiana data da


L = T V ( q ).
Il momento coniugato a qi
pi =

L
=
q i

ij (q)q j .

j =1


La matrice simmetrica = ij definita positiva ed quindi invertibile. Allora
q j =

i =1


ij

pi .

Si pu dimostrare che nel nostro caso lhamiltoniana uguale allenergia totale,


cio
H=

q i pi L(q, q ) = T + V.

i =1

52

4.2 notazione simplettica

Osserviamo che
 

n 
1 n
1
1

(
q
)

pk pl =
ij

2 i,j
ik
jl
=1
k,l =1
1 n  1 
=
ik il pk pl =
2 i,k,l
=1

n 
1
= 1 p i p k .
2 i,k=1
ik

T=

In definitiva otteniamo che:


H=

1 n  1 
p i p k + V ( q ).

2 i,k
jk
=1

Se diagonale, lo sar anche la sua inversa e dunque


H=

4.2

1 n  1 

p i 2 + V ( q ).
2 i
ii
=1

notazione simplettica

Le equazioni di Hamilton non trattano le coordinate generalizzate e i momenti


coniugati in modo simmetrico, come si evince immediatamente dalle (4.5). Accenniamo qui brevemente a un modo elegante di scrivere queste equazioni in forma
unitaria attraverso la cosiddetta notazione simplettica.
Se il sistema ha n gradi di libert, possiamo costruire un vettore colonna formato
da 2n elementi (righe), e cio:
i = q i ,

(i = 1, . . . , n)

i + n = p i .
Il vettore colonna cos costruito dato da

q1
..
.

qn

=
p1 .

.
..
pn
Si ha ovviamente
H
H
=
,
i
qi
H
H
=
.
i+n
pi

(i = 1, . . . , n)

53

4.3 coordinate cicliche e metodo di routh

Definiamo la seguente matrice 2n 2n formata da quattro matrici n n:


J=

0n In
In 0n

dove In la matrice identit n n e 0n la matrice nulla n n. Notiamo che




0n In
J T = J 1 =
.
In 0n
Si vede che J 1 = J. Allora J 2 = I2n e det J = 1. La matrice J detta
matrice simplettica standard. Possiamo scrivere le equazioni di Hamilton nel modo
seguente
k =

2n

Jkj j

j =1

(k = 1, . . . , 2n)

o in maniera sintetica
= J

H
.

Per maggiore chiarezza esplicitiamo il caso bidimensionale:



q 1
0
0
q 2 0
0
=
p 1 1 0
p 2
0 1

1
0
0
0

p 1
0

1
p 2 .
0 q 1
q 2
0

Questa notazione detta simplettica.


4.3

coordinate cicliche e metodo di routh

Sia H = H(q, p, t) lhamiltoniana del sistema di particelle con n gradi di libert, dove q = (q1 , . . . , qn ) e p = ( p1 , . . . , pn ) sono le coordinate canoniche (indipendenti).
Si ha:
dH
=
dt

q j q j + p j p j +

j =1

j =1

H
.
t

(4.14)

Per le equazioni di Hamilton (4.5) e per la (4.12), la (4.14) diventa:


n
n
dH
H
H
L
= p j q j + q j p j +
=
=
dt
t
t
t
j =1
j =1

(4.15)

dove L la lagrangiana del nostro sistema. Si vede, allora, che lhamiltoniana


una costante del moto se non dipende in modo esplicito dal tempo (o, in maniera
equivalente, se la lagrangiana non dipende esplicitamente dal tempo).

54

4.3 coordinate cicliche e metodo di routh

Abbiamo avuto gi modo di osservare che, se le equazioni di trasformazione che definiscono le coordinate generalizzate non dipendono esplicitamente dal
tempo e se il potenziale dipende solo dalle coordinate generalizzate, allora H coincide con lenergia totale ed una costante del moto. Il fatto che H coincida con
lenergia totale e sia una costante del moto sono due risultati in qualche modo indipendenti. Possono cio verificarsi situazioni in cui lhamiltoniana una costante
del moto ma non uguale allenergia totale, e viceversa.1
Se qn una coordinata ciclica, allora pn = L/q n una costante del moto. In
questo caso lhamiltoniana del sistema sar funzione della costante pn e non, ovviamente, di qn . Ponendo pn = , abbiamo H = H(q1 , . . . , qn1 ; p1 , . . . , pn1 ; ; t),
cio lhamiltoniana di fatto funzione di sole 2(n 1) coordinate, essendo
costante. Possiamo poi studiare levoluzione temporale delle coordinate generalizzate qn attraverso lequazione canonica q n = H/.
Si possono combinare i vantaggi della formulazione hamiltoniana nel trattare le
coordinate cicliche con quelli della formulazione lagrangiana per lo studio delle
coordinate non cicliche con un metodo dovuto a Routh. In sostanza si effettua
una trasformazione di Legendre per passare dal sistema (q, q ) al sistema (q, p)
solo per le coordinate cicliche, ricavando per esse le equazioni del moto in forma hamiltoniana mentre le rimanenti equazioni del moto rimangono espresse in
forma lagrangiana.
Supponiamo che qs+1 , . . . , qn siano coordinate cicliche. Introduciamo la seguente funzione di Routh (o routhiana):
R(q1 , . . . , qn ; q 1 , . . . , q s ; ps+1 , . . . , pn ; t) =

j = s +1

q j p j L(q1 , . . . , qn ; q 1 , . . . , q n ; t) (4.16)

dove L , ovviamente, la lagrangiana del sistema (notare che nella (4.16) non
stata ancora inserita linformazione che qs+1 , . . . , qn sono cicliche). Dalla (4.16)
otteniamo:

n
s 
L
L
dR = (dq j p j + q j dp j )
dq j +
dq j +
q j
q j
j = s +1
j =1
(4.17)

n 
L
L
L

dq j +
dq j .
q j
q j
t
j = s +1
Tenendo presente che per j = s + 1, . . . , n
L
= pj
q j

L
=0
q j

la (4.17) diventa:
dR =

j = s +1

q j dp j

j =1

L
L
dq j +
dq j
q j
q j

L
.
t

(4.18)

1 Per una discussione articolata, arricchita da esempi, rimandiamo alla lettura di Goldstein, Poole e
Safko [4, pagine 328332].

55

4.3 coordinate cicliche e metodo di routh

Dalla (4.18) si deduce che

L
R

q j
q j
per j = 1, . . . , s
R
L

q j
q j

=0

q j
per j = s + 1, . . . , n
R

= q j

p j
Allora le equazioni di Lagrange per j = 1, . . . , s si possono scrivere mediante la
funzione di Routh:


d R
R

= 0.
dt q j
q j
In conclusione la funzione di Routh una funzione di Hamilton in rapporto alle coordinate cicliche qs+1 , . . . , qn e una funzione di Lagrange in rapporto alle
coordinate non cicliche q1 , . . . , qs . Osserviamo ad abundantiam che le coordinate
cicliche non compaiono esplicitamente nella lagrangiana e, quindi, nella funzione
di Routh, cio:
R = R(q1 , . . . , qs ; q 1 , . . . , q s ; ps+1 , . . . , pn ; t)
dove, per j = s + 1, . . . , n, i p j sono integrali primi del moto.
Vediamo un piccolo esempio. Una particella di massa m si muove in un campo
di forze centrali il cui potenziale U = U (r ) con r distanza della particella dal
centro di forza. Sappiamo che il moto avviene in un piano (sempre che il momento
angolare rispetto al centro di forza, che costante, sia diverso da zero). Possiamo
esprimere la lagrangiana della particella in tale piano in coordinate polari. Si ha:
L=

1
m(r 2 + r2 2 ) U (r ).
2

Chiaramente una coordinata ciclica. La funzione di Routh definita nel modo


seguente:
R = p L,
dove p = L/ = mr2 il momento coniugato a . Con semplici calcoli si
ricava che:
R=

1 p2
1
mr 2 + U (r ).
2
2m r
2

Osserviamo che R/ = 0 (e dunque p una costante del moto), mentre


R/p = = p /(mr2 ). Inoltre
d
dt

R
r

R
= 0,
r

56

4.4 principio variazionale di hamilton modificato

cio
mr

p2
+ U 0 (r ) = 0
mr3

(ricordiamo che U 0 (r )r la forza centrale agente sulla particella).


Il metodo di Routh, che, in certi casi, pu tornare utile ai fini del calcolo, non
, in definitiva, altro che un ibrido concettuale tra la formulazione lagrangiana e
quella hamiltoniana, senza nulla aggiungere di sostanziale allanalisi e allo studio
di un sistema meccanico.
4.4

principio variazionale di hamilton modificato

Abbiamo visto che le equazioni di


R tLagrange possono essere ottenute dal principio
di Hamilton imponendo S = t01 L(q, q,
t) dt = 0, richiedendo cio che il moto
reale, fra tutti i moti ammissibili nello spazio delle configurazioni, sia quello che
rende stazionaria lazione. Se vogliamo dedurre le equazioni di Hamilton da un
principio variazionale occorre, in qualche modo, modificare il precedente principio, perch lintegrale possa essere valutato su percorsi del punto rappresentativo
del sistema nello spazio delle fasi. Nellapproccio hamiltoniano le coordinate
canoniche q e p sono considerate indipendenti nello spazio delle fasi; di conseguenza devono essere considerate indipendenti anche le loro variazioni. Lidea
di considerare lazione scritta nel modo seguente:
!
Z
S[q(t), p(t)] =

t1

t0

p j q j H(q, p, t)

j =1

dt

(4.19)

con (q(t0 ) = q0 , p(t0 ) = p0 ) e (q(t1 ) = q1 , p(t1 ) = p1 ). Un moto nello spazio delle


fasi (q (t), p (t)) ammissibile se (q (t0 ) = q0 , p (t0 ) = p0 ) e (q (t1 ) = q1 , p (t1 ) =
p1 ). Il moto reale nello spazio delle fasi quello tra i moti ammissibili che rende
stazionaria lazione (4.19), cio
!
Z
S =

t1

t0

p j q j H(q, p, t)

j =1

dt = 0.

Questo principio variazionale di Hamilton modificato ha esattamente la stessa


forma variazionale tipica in uno spazio delle configurazioni di dimensione 2n.
Ripetendo i ragionamenti fatti nel Capitolo 2, otteniamo 2n equazioni di tipo
Lagrange (o di Eulero-Lagrange), cio
#)
#
(
"
"
n
n
d

p j q j H(q, p, t)

p j q j H(q, p, t) = 0
dt q k j
qk j
=1
=1

p k +

57

H
= 0,
qk

4.5 parentesi di poisson

d
dt

p k

"

p j q j H(q, p, t)

#)

j =1

pk

"

p j q j H(q, p, t)

j =1

q k

= 0

H
=0
pk

che sono nellordine la seconda e la prima equazione di Hamilton. Osserviamo


infine che il principio variazionale di Hamilton modificato formulato in modo
tale che agli estremi per i = 1, . . . , n non solo qi = 0 ma anche pi = 0. Una conseguenza immediata di questa considerazione che, se F (q, p, t) una funzione
di classe opportuna (liscia), allora
n

p j q j H(q, p, t) +

j =1

dF (q, p, t)
dt

(4.20)

d luogo alle stesse equazioni di Hamilton.


4.5

parentesi di poisson

Supponiamo di avere un sistema lagrangiano con n gradi di libert. Indichiamo come al solito con q = (q1 , . . . , qn ) le coordinate generalizzate e con p =
( p1 , . . . , pn ) i momenti coniugati individuando cos il nostro sistema (q, p) di coordinate canoniche. Sia H(q, p, t) lhamiltoniana del sistema. Supponiamo di avere
una funzione f (q, p, t) : F R R di classe opportuna, indicato con F lo spazio
delle fasi. Una funzione siffatta detta anche variabile dinamica. Tenendo conto
delle equazioni di Hamilton si ha:

n 
df
f
f
f
=
q j +
p j +
=
dt
q
p
t
j
j
j =1

n 
f H
f
f
f H

+
= { f , H}q,p +
=
q j p j
p j q j
t
t
j =1
dove

{ f , H}q,p =

j =1

f H
f H

q j p j
p j q j

detta parentesi di Poisson2 di f e H rispetto al sistema di coordinate canoniche


(q, p). Si noti che lordine delle variabili (q, p) non indifferente. Si vede subito
che f una costante del moto se { f , H}q,p + f /t = 0. In particolare se la
variabile dinamica f non dipende esplicitamente dal tempo,
df
= 0 { f , H}q,p = 0.
dt
2 Talvolta per semplicit di notazione quando ci non comporta equivoci il pedice alle parentesi
omesso. Inoltre la parentesi di Poisson talvolta indicata in letteratura con il simbolo [, ] o [, ] PB .

58

4.5 parentesi di poisson

Pi in generale, se abbiamo due variabili dinamiche f (q, p, t) e g(q, p, t), si definisce parentesi di Poisson di f e g rispetto alle coordinate canoniche (q, p) la quantit:

{ f , g} =

j =1


f g
f g

.
q j p j
p j q j

(4.21)

Le parentesi di Poisson godono delle seguenti propriet (siano f , g, f 1 , f 2 , g1 , g2


variabili dinamiche arbitrarie):
1. { f , g} = { g, f }, da cui ovviamente { f , f } = 0;
2. se c costante rispetto alle coordinate canoniche, allora { f , c} = 0;
3. { f 1 + f 2 , g} = { f 1 , g} + { f 2 , g} e { f , g1 + g2 } = { f , g1 } + { f , g2 }, ovvero le
parentesi sono operatori lineari;
4. { f 1 f 2 , g} = f 1 { f 2 , g} + f 2 { f 1 , g};
5. si dimostra la seguente identit, per nulla banale, detta di Jacobi:

{ f , { g, h}} + { g, {h, f }} + {h, { f , g}} = 0


Valgono inoltre le seguenti relazioni:

 


f
g

{ f , g} =
, g + f,
;
t
t
t
{ f , qj } =

f
f
e { f , pj } =
p j
q j

{qi , q j } = 0, { pi , p j } = 0, {qi , p j } = ij (parentesi di Poisson fondamentali).


Notiamo per inciso che le equazioni di Hamilton possono essere scritte anche nel
modo seguente:
H
= { q k , H},
pk
H
p k =
= { p k , H}.
qk
q k =

(4.22)

Osserviamo come lasimmetria delle equazioni di Hamilton scompaia utilizzando le parentesi di Poisson.
Esercizi
1. Dimostrare lidentit di Jacobi nel caso in cui n = 1.
2. Dimostrare che se due variabili dinamiche f e g, che non dipendono esplicitamente dal tempo, sono entrambe integrali primi del moto, allora anche
{ f , g} un integrale primo del moto (Suggerimento: utilizzare lidentit di
Jacobi e il fatto che d f /dt = 0 { f , H} = 0, dove H lhamiltoniana).

59

4.6 trasformazioni canoniche

3. Dimostrare che, se due variabili dinamiche f e g (in generale dipendenti


dal tempo) sono entrambe integrali primi del moto, allora anche { f , g} un
integrale primo del moto (questo il Teorema di Poisson).
4. Sia dato un punto materiale di massa m e sia lhamiltoniana del nostro sistema H( x1 , x2 , x3 , p1 , p2 , p3 , t), in coordinate cartesiane. Dimostrare, utilizzando le parentesi di Poisson fondamentali, che { L j , pk } = e jkl pl , dove e jkl il
simbolo di Levi-Civita, o delle permutazioni di 1,2,3. Ricordiamo che tale
simbolo vale 1 se ( j, k, l ) una permutazione ciclica di (1, 2, 3), 1 se ( j, k, l )
una permutazione ciclica di (2, 1, 3) ed nullo altrimenti (cio almeno due
indici sono uguali). Analogamente si pu vedere che { L j , Lk } = e jkl Ll e
{ L j , L2 } = 0.
5. Supponiamo di avere un punto materiale in un potenziale a simmetria sferica. Si scriva in coordinate sferiche lhamiltoniana e il momento angolare
della particella rispetto al centro della forza. Calcolare { L2 , H}, { L, H}.
4.6

trasformazioni canoniche

Le equazioni differenziali del moto, nel formalismo hamiltoniano, bench del primo ordine, non semplificano, in generale, i calcoli rispetto a quelle del formalismo
lagrangiano. La novit nellapproccio hamiltoniano risiede nel fatto che le coordinate e i momenti coniugati hanno la stessa rilevanza. Esistono casi in cui tutte
le n coordinate generalizzate sono cicliche; in tale circostanza tutti i momenti coniugati sono costanti del moto. Se poniamo per semplicit pi = i (costante) per
i = 1, . . . , n, allora q i = H(1 , . . . , n )/i = i , valore costante, e quindi integrando si ha qi (t) = i t + qi (0). Abbiamo visto come sia possibile, in questo caso,
integrare banalmente le equazioni del moto.
Il fatto rilevante che esistono problemi meccanici (quelli cosiddetti integrabili)
per i quali possibile avere n coordinate generalizzate cicliche. Naturalmente punto fondamentale saper passare da un sistema di coordinate canoniche (q, p) a
un altro sistema di coordinate canoniche ( Q, P ), anche per ricercare, ove esistano,
coordinate generalizzate cicliche.
Un modo, potremmo dire naturale, per ottenere nuove coordinate canoniche relative a un sistema meccanico lagrangiano (e quindi hamiltoniano) di partire da
trasformazioni nello spazio delle configurazioni Q = Q(q, t), esprimere la lagran ottenere i momenti coniugati corrispondenti tramite
giana in termini di Q e Q,

la relazione Pi = L/ Qi e infine riscrivere lhamiltoniana in funzione di ( Q, P ),


nuove coordinate canoniche, ed eventualmente del tempo in modo esplicito. Si
pu avere una trasformazione da un sistema di coordinate canoniche (q, p) a un
altro ( Q, P ) in maniera pi generale, considerando (nello spazio delle fasi) come
indipendenti le coordinate generalizzate e i momenti coniugati (ricordiamo che
questo assunto tipico della formulazione hamiltoniana). Si pu, in altre paro-

60

4.6 trasformazioni canoniche

le, avere nello spazio delle fasi una trasformazione simultanea delle coordinate
generalizzate e dei momenti coniugati, cio:

Q = Q(q, p, t)
(4.23)
P = P (q, p, t)
con (q, p) e ( Q, P ) vecchie e nuove, rispettivamente, coordinate canoniche. Trasformazioni di questo tipo, nello spazio delle fasi, sono dette canoniche e permettono, in termini delle nuove coordinate canoniche ( Q, P ), una nuova descrizione
equivalente della dinamica del nostro sistema meccanico, se, ovviamente, esiste
una nuova hamiltoniana funzione di ( Q, P, t), che dia luogo alle equazioni di
Hamilton. Possiamo in definitiva dare la seguente
Definizione (di trasformazione canonica) - Se (q, p) un sistema di coordinate
canoniche con hamiltoniana H(q, p, t),

Q = Q(q, p, t)
P = P (q, p, t)
una trasformazione canonica se esiste una nuova hamiltoniana K( Q, P, t) che
permette di scrivere le equazioni del moto nella forma

Q i =
Pi
,
K

Pi =
Qi
con i = 1, . . . , n.
Sottolineiamo una propriet rilevante delle trasformazioni canoniche (propriet
che sar evidente in seguito): le trasformazioni canoniche sono indipendenti dal
problema fisico specifico. In altre parole la trasformazione (q, p, t) ( Q, P, t),
se canonica per un particolare sistema meccanico, canonica per tutti i sistemi
meccanici con lo stesso numero di gradi di libert.
Abbiamo visto che le equazioni di Hamilton possono essere ottenute dal principio di Hamilton modificato, cio
!
Z
S =

t1

t0

pi q i H(q, p, t)

i =1

dt = 0.

Analogamente, se Q e P sono le nuove coordinate canoniche e K( Q, P, t) la


nuova hamiltoniana, il principio di Hamilton modificato diventa:
!
Z t1
n
S =
Pi Q i K(Q, P, t) dt = 0.
t0

i =1

Poich le variazioni delle coordinate canoniche (relative a tutti i moti ammissibili


nello spazio delle fasi) devono essere nulle agli estremi, deve valere (si veda la
(4.20)) la seguente relazione (trasformazione canonica):
n

pi q i H(q, p, t) =

i =1

Pi Q i K(Q, P, t) +

i =1

61

dF
dt

(4.24)

4.6 trasformazioni canoniche

dove F (q, p, t), che supponiamo liscia, detta funzione generatrice della trasformazione canonica (4.24). La relazione (4.24) pu essere scritta:
n

i =1

i =1

pi dqi Pi dQi (H K) dt = dF.

(4.25)

La struttura della (4.25) induce a prendere in considerazione la sottoclasse di


trasformazioni in cui possibile scegliere (q, Q) come variabili indipendenti in
p
luogo di (q, p). Richiediamo allora che p = p(q, Q, t) abbia3 det Q 6= 0 e P =
P (q, Q, t). La funzione generatrice detta, in questo caso, di tipo 1. Si ha:
F (q, p, t) = F (q, p(q, Q, t), t) = F1 (q, Q, t).
La relazione (4.25) pu, allora, essere scritta in questo caso:
n

i =1

i =1
n

pi dqi Pi dQi (H K) dt =
=

n
F1
F1
F1
dqi +
dQi +
dt
q
Q
t
i
i
i =1
i =1

Di conseguenza, per i = 1, . . . , n:
F1
qi
F1
Pi =
Qi
F1
.
K = H+
t
pi =

(4.26)
(4.27)
(4.28)

Una volta nota la funzione generatrice di tipo 1, tramite la (4.26) si ottiene


p = p(q, Q, t)

(4.29)

e tramite la (4.28)
P = P (q, Q, t).
Invertendo poi la (4.29), si ottiene Q = Q(q, p, t); si pu pertanto esprimere anche
P in funzione di (q, p, t). Osserviamo che linversione garantita dalla propriet
di non degenerazione
p
2 F1
= det
6= 0.
Q
q Q
Possiamo riassumere il discorso appena fatto nel modo seguente:



3 Ovvero la matrice jacobiana p/Q = pk /Q j assunta non singolare.

62

4.6 trasformazioni canoniche

Per ogni funzione F1 (q, Q, t) liscia, soggetta alle propriet di non


degenerazione, la trasformazione (q, p, t) ( Q, P, t), definita, per i =
1, . . . , n, da

Fi

pi =
qi
F

Pi = i
Qi
e dalla formula inversa Q = Q(q, p, t), canonica; a ogni hamiltoniana
H(q, p, t) corrisponde lhamiltoniana K = H + F1 /t. In particolare,
se F1 /t = 0, K = H.
Vediamo alcuni esempi di trasformazioni di tipo 1 per sistemi a un grado di
libert:
Sia F1 = qQ la funzione generatrice di tipo 1 (n = 1). Allora p = Q e P = q.
Vale a dire, (q, p) ( p, q) una trasformazione canonica. Inoltre K = H.
Notare che la trasformazione canonica indipendente dal sistema fisico in
esame.
p
F1 = q2 Q2 /2. Allora: p = F1 /q = qQ2 = Q =
p/q e P =

2
F1 /Q p= q Q = p = q pq. La trasformazione canonica

(q, p) ( q/p, q qp) con K = H.


F1 = etq Q. Abbiamo: p = F1 /q = tetq Q = Q = etq p/t e P =
F1 /Q = etq = P = etq . La trasformazione canonica (q, p)
(etq p/t, etq ) con K = H + qetq Q.
Pu capitare che non sia possibile avere una funzione generatrice di tipo 1.
Questo accade se p pu essere funzione di (q, P, t) e non di (q, Q, t). Allora si
pu porre:
n

F = F2 (q, P, t) Qi Pi .
i =1

La relazione (4.25) diventa in questo caso


n

i =1

i =1




i =1

i =1




i dQi (H K) dt = dF2 Qi dPi P


i dQi
pi dqi P


ovvero
n

i =1

i =1

pi dqi + Qi dPi (H K) dt = dF2 .

(4.30)

F2 detta funzione generatrice di tipo 2. Dalla (4.30) otteniamo


F2
,
qi
F2
Qi =
,
Pi
pi =

K = H+

(4.31)
(4.32)
F2
t

(i = 1, . . . , n).

63

4.6 trasformazioni canoniche

Notiamo che bisogna imporre la condizione di non degenerazione p/P =


2 F2
det q
P 6 = 0. Invertendo la (4.31) otteniamo P = P ( q, p, t ) e, quindi, nella (4.32)
Q in funzione (q, p, t).
Facciamo ora alcuni esempi per sistemi a un grado di libert:
F2 = qP; allora p = F2 /q = P e Q = F2 /P = q. Otteniamo cio la
trasformazione canonica identica, con K = H.
F2 = (q + P)2 /2, con > 0. Allora p = F2 /q = q + P = P =
( p q)/, mentre Q = F2 /P = (q + P) = (q + p q) = p. La
trasformazione canonica dunque (q, p) (p, ( p q)/), con K = H.
Pu accadere che siano scelte come variabili indipendenti p e Q. In tal caso
q
q = q( p, Q, t), con la condizione det Q 6= 0. Allora
n

F = F3 ( p, Q, t) + qi pi .

(4.33)

i =1

La funzione generatrice si dice in tal caso di tipo 3. La relazione (4.25) diventa per
la (4.33)
n

i =1

i =1

i =1


dq
i dqi Pi dQi (H K) dt = dF3 + qi dpi + p
p
i i



i =1





qi dpi Pi dQi (H K) dt = dF3


i =1

i =1

da cui
F3
,
pi
F3
Pi =
,
Qi
F3
K = H+
t
qi =

(4.34)
(4.35)

(i = 1, . . . , n).
q

La condizione det Q 6= 0 pu pertanto essere scritta, in base alla (4.34) co2

F3
me det p
Q (condizione di non degenerazione). Proponiamo alcuni esempi di
funzioni generatrici siffatte sempre nel caso di sistemi a un grado di libert:

F3 = pQ. Allora q = F3 /p = Q e P = F2 /Q = p. In questo caso


la trasformazione canonica la trasformazione identica, cio (q, p) (q, p),
con K = H.
F3 = e p+Q . Allora q = F3 /p = e p+Q > 0 = Q = ln q p e
P = F2 /Q = e p+Q = qe p e p = q. La trasformazione canonica , allora,
la seguente: (q, p) (ln q p, q), con q > 0 e K = H.

64

4.6 trasformazioni canoniche

Se sono scelte come variabili indipendenti p e P, abbiamo q = q( p, P, t) con la


condizione
det

q
6= 0
P

(4.36)

e
n

i =1

i =1

F = F4 ( p, P, t) + qi pi Qi Pi .

(4.37)

La funzione generatrice detta di tipo 4. La relazione (4.25) diventa per la (4.37):


n



i dqi P
i dQi (H K) dt =
p





i =1


i =
1




= dF4 + qi dpi + p
i dqi Qi dPi P
i dQi =
n

i =1


i =1





i =1

i =
1


qi dpi + Qi dPi (H K) dt = dF4


i =1

i =1

da cui
F4
,
pi
F4
Qi =
,
Pi
F4
K = H+
t
qi =

(4.38)
(4.39)

(i = 1, . . . , n).
2

F4
La condizione det P 6= 0 pu essere scritta in base alla (4.38) come det P
p 6 = 0.
Per esempio, se, per n = 1, F4 = pP, allora q = F4 /p = P P = q
e Q = F4 /P = p. La trasformazione canonica , pertanto, la seguente: (q, p)
( p, q), con K = H.
Osserviamo, infine, che una funzione generatrice non deve essere necessariamente una dei quattro tipi per tutti i gradi di libert. Si pu usare una funzione
generatrice che mescoli i quattro tipi. Cos per n = 2

F = F23 (q1 , p2 ; P1 , Q2 ; t) Q1 P1 + q2 p2
rappresenta una funzione generatrice di tipo 2 per il primo grado di libert e di
tipo 3 per il secondo.
Accenniamo infine (senza dimostrazioni) a una bella propriet riguardante le
parentesi di Poisson e le trasformazioni canoniche.4 Sia data una trasformazione
canonica:

Q = Q(q, p, t)
.
(4.40)
P = P (q, p, t)
4 Per una dimostrazione di questa propriet si veda Landau e Lifits [5, pagina 211].

65

4.6 trasformazioni canoniche

Se f ( Q, P, t) e g( Q, P, t) sono due variabili dinamiche, si pu dimostrare che:

{ f ( Q, P, t), g( Q, P, t)}Q,P =
= { f ( Q(q, p, t), P(q, p, t), t), g( Q(q, p, t), P(q, p, t), t)}q,p ,
ovvero le parentesi di Poisson sono invarianti per trasformazioni canoniche. In particolare abbiamo

{ Q j , Qk }Q,P = { Q j , Qk }q,p = 0

(4.41a)

{ Pj , Pk }Q,P = { Pj , Pk }q,p = 0

(4.41b)

{ Q j , Pk }Q,P = { Q j , Pk }q,p = jk .

(4.41c)

Inoltre si pu far vedere che, se (q, p) sono coordinate canoniche, le trasformazioni (4.40) sono canoniche solo se sono soddisfatte (4.41). In definitiva, assegnate
le trasformazioni, il test basato sulle parentesi di Poisson conclusivo per stabilire se esse sono canoniche senza passare per le funzioni generatrici o precisare
specifici problemi fisici.
Esempi
1. Si consideri un oscillatore armonico monodimensionale. Usando la funzione
generatrice di tipo 1
F1 (q, Q) =

1
mq2 cot Q
2

con m, costanti positive, determinare la trasformazione canonica e integrare le equazioni del moto.
Soluzione. Dalla funzione generatrice abbiamo:
F1
= m cot Q
q
F1
1
1
P=
= mq2 2 .
Q
2
sin Q
p=

Ricaviamo q e p in funzione di Q e P:
r
2P
q=
sin Q
m

p = 2Pm cos Q.
Se k = m 2 la costante elastica, lhamiltoniana rispetto alle usuali coordinate :
H=

1 p2 1
+ m 2 q2 ,
2m
2

66

4.6 trasformazioni canoniche

quindi nelle nuove coordinate:


K( Q, P) = H(q( Q, P), p( Q, P)) =

= P.

1 2Pm
1
2P
cos2 Q + m 2
sin2 Q =
2 m
2
m

Dunque Q una coordinate ciclica e il suo momento coniugato P costante, inoltre lenergia coincide con lhamiltoniana e quindi si conserva.
Dallequazione di Hamilton risulta:
K
Q =
=
P
e lequazione del moto si riduce a
Q = t + Q0 ,
dove Q0 una costante di integrazione da determinare dalle condizioni
iniziali.
2. Data la trasformazione del secondo tipo a un grado di libert

3/2
2
P
F2 (q, P) =
2am
+q
,
3
ma
con m, a costanti positive, determinare le trasformazioni canoniche Q =
Q(q, p), P = P(q, p). Scrivere lhamiltoniana H(q, p) di una particella di
massa m in moto unidimensionale con accelerazione costante a. Effettuare inoltre la trasformazione canonica su questa hamiltoniana: K( Q, P) =
H(q( Q, P), p( Q, P)) e integrare le equazioni del moto.
Soluzione. Dalla trasformazione abbiamo:
1/2
 P
F2
p=
= m 2a
+q
q
ma

1/2
F2
2a
P
Q=
=
+q
.
P
a
ma
Dividendo membro a membro:
Q
1
p
=
= Q =
p
ma
ma
e, dalla prima equazione:
P=

p2
maq.
2m

Nel problema fisico proposto, lhamiltoniana coincide con lenergia totale


del sistema quindi:
H=

1 p2
maq = P.
2m

67

4.6 trasformazioni canoniche

La funzione generatrice della trasformazione non dipende esplicitamente


dal tempo, pertanto K = H = P. Le equazioni di Hamilton sono allora:
K
Q =
=1
P
K
P =
= 0,
Q
cio P costante, quindi anche lenergia del sistema si conserva. Si poteva
giungere a questo risultato anche osservando che la coordinata Q ciclica.
Integrando la prima delle equazioni di Hamilton abbiamo
Q ( t ) = t + Q0 =

p(t)
,
ma

dove Q0 una costante di integrazione. Scegliendo lorigine dei tempi in


modo che risulti Q0 = 0 abbiamo
p(t) = mat.
3. Siano (q, p) le coordinate canoniche. La trasformazione

Q=p
P=q
canonica?
Soluzione. Risulta

{ Q, P}q,p = { p, q}q.p = 1
quindi la trasformazione non canonica.
4. Siano (q, p) le coordinate canoniche. Determinare se la trasformazione
(
Q = 2q + p2
p
P=
2
canonica.
Soluzione. Risulta:

{ Q, P}q,p = {2q + p2 , p/2}q,p = {2q, p/2} + { p2 , p/2} = {2q, p/2} =


2
= {q, p} = 1
2
dunque la trasformazione canonica. Troviamo la funzione generatrice di
tipo 2:

F2

p =
= 2P
q

Q = F2 = 2q + 4P2
P

68

4.6 trasformazioni canoniche

Integrando la prima equazione del sistema abbiamo:


F2 = 2qP + g( P)
dove g( P) una costante di integrazione dipendente da P. Sostituendo nella
seconda equazione ricaviamo:
F2
4
= 2q + g0 ( P) = 2q + 4P2 = g0 ( P) = 4P2 = g( P) = P3 + c,
P
3
in cui c una costante di intrgrazione. Facendo in modo che risulti c = 0, la
funzione generatrice diventa:
4
F2 = 2qP + P3 .
3
5. Data la trasformazione

Q = log p
P = q p
determinare per quali valori delle costanti e canonica. Scrivere inoltre
la funzione generatrice di tipo 1 associata.
Soluzione. Affinch la trasformazione sia canonica deve risultare
1 = { Q, P}q,p = { log p, q p}q,p =

log p (q p) log p (q p)

= q 1 .
q
p
p
q

Poich e sono costanti abbiamo 1 = 0 = = 1 e quindi = 1. La


trasformazione allora:

Q = log p
P = qp
Troviamo la funzione generatrice di tipo 1:

F1

= eQ
p =
q
F1

P =
= qp
Q
Integrando la prima equazione si ottiene:
F2 = qeQ + g( Q)
con g( Q) costante di integrazione dipendente da Q. Sostituendo nella seconda abbiamo:
F1
= qeQ + g0 ( Q)0qeQ = g( Q) = c
Q
dove c una costante di integrazione. Posto c = 0 la funzione generatrice :
F1 = qeQ .

69

4.7 equazioni di hamilton-jacobi

4.7

equazioni di hamilton-jacobi

Abbiamo visto che nellapproccio hamiltoniano il moto di un sistema meccanico


nello spazio delle fasi con n gradi di libert determinato dalla soluzione di 2n
equazioni differenziali ordinarie del primo ordine rispetto al tempo, che coinvolgono 2n variabili dipendenti dal tempo (le coordinate canoniche) e una variabile
indipendente (il tempo appunto).
Vogliamo ora far vedere che lo stesso problema fisico pu essere risolto in
un modo completamente diverso: attraverso la determinazione di una funzione5 S(q1 , . . . , qn ; t) soluzione di unequazione differenziale alle derivate parziali,
contenente n + 1 derivate parziali del primo ordine rispetto a q1 , . . . , qn e a t.
Supposta nota lhamiltoniana del sistema in esame H(q, p, t), con q = (q1 , . . . , qn )
e p = ( p1 , . . . , pn ) coordinate canoniche, assumiamo che esista una trasformazione
canonica Q = Q(q, p, t) e P = P (q, p, t) che dia luogo a una nuova hamiltoniana
K nulla. In questo caso, per i = 1, . . . , n:
K
Q i =
=0
Pi
K
Pi =
=0
Qi
cio Q e P sono costanti nel tempo. Se F la funzione generatrice, abbiamo la
condizione
H(q, p, t) +

F
= 0.
t

(4.42)

Se facciamo lipotesi che la funzione generatrice sia del secondo tipo, abbiamo
che:
pi =

F2 (q, P, t)
qi

(i = 1, . . . , n).

Lequazione (4.42) pu essere pertanto riscritta:




F2
F2
H q,
,t +
= 0.
q
t

(4.43)

La (4.43) nota come equazione di Hamilton-Jacobi ed , per la funzione generatrice, unequazione differenziale alle derivate parziali prime nelle n + 1 variabili
(q1 , . . . , qn , t). F2 , in letteratura, indicata usualmente col simbolo S. La funzione
S detta funzione principale di Hamilton. Supponiamo che esista una soluzione
completa del tipo S = S(q1 , . . . , qn ; 1 , . . . , n+1 ; t) dove 1 , . . . , n+1 sono costanti
di integrazione indipendenti. Lequazione di Hamilton-Jacobi non d informazioni sui nuovi momenti Pi da cui dovrebbe dipendere S. Sappiamo che questi nuovi
momenti sono tutti costanti. Osserviamo che nella (4.43) la funzione S non compare direttamente ma solo mediante le derivate parziali rispetto a qi e a t. Allora,
5 In realt, come vedremo, S dipende in generale anche da n + 1 costanti arbitrarie

70

4.7 equazioni di hamilton-jacobi

se S soluzione dellequazione di Hamilton-Jacobi, anche S+costante soluzione.


Questa propriet implica che una delle n + 1 costanti di integrazione deve comparire come costante additiva. Si pu, allora, scegliere una soluzione completa che
dipende da n costanti indipendenti, cio:
S = S ( q1 , . . . , q n ; 1 , . . . , n ; t ).

(4.44)

Possiamo benissimo scegliere queste costanti esattamente uguali ai nuovi momenti: Pi = i . Questa scelta non contraddice lipotesi iniziale che la funzione generatrice della trasformazione canonica sia di tipo 2 e quindi che p = p(q, P, t). Si
possono scegliere i nuovi momenti, essendo costanti, assegnando al tempo t = 0
q e p. In particolare, sappiamo che
pi =

S
(q; ; t)
qi

(4.45)

con = (1 , . . . , n ); invertendo la (4.45) possiamo ottenere al tempo t = 0 in


funzione di q e p. Le nuove coordinate generalizzate sono date da:
Qi =

S
= i
i

(costanti).

(4.46)

Le costanti i possono essere calcolate conoscendo i valori al tempo t = 0 delle coordinate canoniche. Possiamo poi, invertendo le trasformazione canoniche,
esprimere le vecchie coordinate canoniche (q, p) in funzione delle nuove ( , ):6

q = q( , , t)
(4.47)
p = p( , , t)
Queste relazioni ci dicono che possiamo ottenere, mediante una trasformazione
canonica, le coordinate canoniche (q, p) in funzione del tempo, cio di determinare il moto del sistema nello spazio delle fasi una volta che siano assegnate le
condizioni iniziali. Le relazioni (4.47) ci danno, in altre parole, la soluzione delle
equazioni di Hamilton, noti q(0) e p(0).
Da un punto di vista matematico abbiamo ottenuto unequivalenza tra unequazione differenziale alle derivate parziali in n + 1 variabili del primo ordine e
2n equazioni differenziali ordinarie del primo ordine. Questa equivalenza pu
essere, nel nostro caso, imputata al fatto che sia lequazione di Hamilton-Jacobi
sia le equazioni di Hamilton derivano dal medesimo principio di Hamilton modificato. Possiamo ora cercare di comprendere il significato fisico della funzione
generatrice del secondo tipo S. Osserviamo che, essendo quantit costanti,
dS(q, , t)
=
dt

qi q i +
i

S
.
t

(4.48)

Se teniamo presenti le (4.45), la (4.48) diventa:


dS(q, , t)
=
dt

pi q i +
i

S
=
t

pi q i H
i

6 = ( 1 , . . . , n ), = ( 1 , . . . , n ).

71

(4.49)

4.8 variabili angolo-azione nel caso unidimensionale

dove abbiamo tenuto conto della (4.42). Balza evidente dalla (4.49) e da quanto
detto sul principio di Hamilton modificato che S rappresenti (a meno di costanti
additive) lazione.
Vediamo un caso particolare.7 Supponiamo che H non dipenda esplicitamente
dal tempo. Allora la funzione principale di Hamilton deve avere la seguente
struttura:
S(q, , t) = W (q, ) at

(4.50)

dove W (q, ) detta funzione caratteristica di Hamilton. Osserviamo che


pi =

S
W
=
.
qi
qi

Allora
W
dW
=
q i = pi q i
dt
qi
e quindi
W=

4.8

pi dqi .

variabili angolo-azione nel caso unidimensionale

Sia H(q, p) lhamiltoniana nel nostro sistema a un solo grado di libert, con (q, p)
coordinate canoniche.
Supponiamo che il sistema abbia un moto periodico e che esista una trasformazione canonica (indipendente dal tempo) (q, p) (, J ), indotta da una funzione
generatrice di tipo 1 F1 (q, ) indipendente dal tempo, in modo tale che sia
ciclica.8 Ovviamente il nuovo momento coniugato J una costante del moto e
H = H( J ). Abbiamo, per la prima equazione di Hamilton, = H ( J )/J =
(costante), da cui (t) = t + 0 .
Poich, per ipotesi, il moto periodico, le coordiante canoniche q e p saranno
funzioni periodiche. Avremo come conseguenza che il moto deve essere periodico
in . Assumiamo che il periodo sia 2. La nuova coordinata generalizzata
detta variabile angolo, mentre J detta variabile azione e assume il ruolo di momento
angolare. Per quanto detto, F1 (q, ) deve essere periodica rispetto a di periodo
2:
F1
F1
dF1 =
dq +
d = p dq J d.
q

Dopo un periodo, F1 torna al valore iniziale e consegue una variazione di 2.


0=

dF1 =

p dq J

Z 2
0

d =

p dq 2 J = J =

1
2

p dq.

Questa relazione pu essere presa proprio come definizione della variabile azione.
7 Vi invito a leggere e a studiare anche gli esempi riportati in Goldstein, Poole e Safko [4, pagine 413418].
8 Ricordiamo che lhamiltoniana non cambia, cio K = H.

72

4.8 variabili angolo-azione nel caso unidimensionale

4.8.1 Esempio: loscillatore armonico unidimensionale


Loscillatore armonico unidimensionale ha hamiltoniana
1 2 1 2
p + kq ,
2m
2

H=

dove m la massa della particella e k > 0 una costante. Possiamo porre 2 =


k/m e riscrivere lhamiltoniana:
1 2 1 2 2
p + mq = E.
2m
2

H=

E, lenergia totale, costante e il suo valore fissato dalle condizioni iniziali.


Pertanto:
q
p = 2mE m2 2 q2
F1 (q, ) =

dF1 = p dq J d =
Z q
Z
2
2
2
=
2mE m q dq J d.

Per calcolare I =

Rp

2mE m2 2 q2 dq, poniamo sin =

m/(2E)q. Allora

Z r



Z
m 2 q2
2E
E
sin 2
2
I = 2mE
1
dq =
cos d =
+
,
2E

2
p
dove ovviamente = arcsin( m/(2E)q). Osserviamo che in questi casi abbiamo
J=

1
2

p dq =

1
2

p dq =

E
,

cio
E = J.
In base poi al calcolo di I possiamo scrivere esplicitamente F1 (q, ) in funzione di
e , cio:


E
sin 2
F1 =
+
J.

2
Poich F1 deve essere una funzione periodica, E/ J = J ( ) = 0 cio
= . In base a questultimo risultato,
E
sin cos .

p
Poich sin = sin = m/(2E)q,
F1 =

E=

m 2 q2
sin

73

4.8 variabili angolo-azione nel caso unidimensionale

e, in definitiva,
F1 (q, ) =

1
mq2 cot .
2

Allora
p=

F1
= mq cot
q

J=

F1
1 q2
= m 2

2 sin

1
= mq2 (1 + cot2 )
2
1
1 p2
E
= mq2 +
= .
2
2 m

In conclusione

= arccot

p
mq
2
1

J = mq2 + 1 p
2
2 m

74

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI DELLA PARTE I


[1]

Mauro Anselmino, Sergio Costa e Enrico Predazzi. Origine classica della fisica
moderna. Contiene una trattazione su tutti gli argomenti del corso. Torino:
Levrotto & Bella, 1999.

[2]

Vladimir Igorevic Arnold. Metodi matematici della meccanica classica. Roma:


Editori Riuniti, 2004.

[3]

Antonio Fasano e Stefano Marmi. Meccanica analitica. Torino: Bollati


Boringhieri, 2002.

[4]

Herbert Goldstein, Charles Poole e John Safko. Meccanica Classica. Bologna:


Zanichelli, 2005. (Citato alle pagine 55, 72).

[5]

Lev Davidovic Landau e Evgenij Mikhailovic Lifits. Meccanica. Volume 1. Fisica teorica. Roma: Editori Riuniti university press, 2009. (Citato a
pagina 65).

75

Parte II
RELATIVIT RISTRETTA E INTRODUZIONE ALLA
MECCANICA QUANTISTICA

RELATIVIT SPECIALE
Avvertenza! In questo capitolo indicheremo i tensori in grassetto, v, mentre i vettori saranno
indicati secondo la notazione ~v.

5.1

trasformazioni di lorentz

5.1.1 Premessa
Le equazioni di Maxwell, che hanno permesso di unificare sia i campi elettrici e magnetici sia lottica geometrica, non sono invarianti per trasformazioni di
Galileo. Premettiamo due semplici considerazioni.
Nelle equazioni compare esplicitamente la velocit di propagazione dei se
gnali elettromagnetici: c = 1/ e0 0 . Secondo il principio di relativit di
Galileo passando da un sistema di riferimento inerziale a un altro le velocit
si sommano come vettori, dunque la velocit di un segnale luminoso dipende dal sistema di riferimento inerziale e sar diversa al cambiare del sistema.
La spiegazione che si dette sulla comparsa del modulo della velocit di un
segnale elettromagnetico nelle equazioni si bas sullesistenza di un mezzo
(estremamente rigido e rarefatto) le cui deformazioni dovrebbero corrispondere ai campi elettromagnetici. Il mezzo come sappiamo fu chiamato etere
e si pose il problema di individuare il sistema di riferimento a esso solidale.
Le equazioni di Maxwell, cos come formulate, dovevano essere valide in
tale sistema di riferimento.
La presenza di asimmetrie in alcuni fenomeni elettromagnetici, quando si
passa da un sistema di riferimento inerziale a un altro, non trova una spiegazione nellambito della teoria della relativit di Galileo. Per esempio, una
carica puntiforme q ferma in un sistema di riferimento inerziale genera un
campo elettrostatico, ma la stessa carica per un altro sistema di riferimento
inerziale in moto e genera anche un campo magnetico.
Inoltre lesperimento di Michelson e Morley dimostr, senza ombra di dubbio,
che letere non esiste e che la velocit della luce (nel vuoto) non dipende dalla
velocit della sorgente.
5.1.2 Concetto di evento
Lidea che alla base della teoria della relativit di decomporre tutto ci che
accade in eventi. Un evento rappresenta la minima determinazione possibile, individuata dallassegnazione di tre coordinate spaziali euna temporale. In altre

77

5.1 trasformazioni di lorentz

parole, un evento un qualcosa che accade in un dato punto dello spazio in un


particolare istante di tempo. Se abbiamo un sistema di assi cartesiani Oxyz, un
evento una quaterna di numeri ( x, y, z, t). Tutto ci che accade deve ammettere
una descrizione in termini di relazioni o coincidenze tra eventi. Linsieme degli
eventi costituisce lo spaziotempo.
5.1.3 Principio di inerzia
Postuliamo lesistenza di una particolare classe di sistemi di riferimento, rispetto
a ognuno dei quali tutti i punti materiali isolati o sono fermi o si muovono con
velocit vettoriale costante. Questi sistemi di riferimento sono detti, come ben
sappiamo, inerziali.
Dobbiamo altres assumere (per misurare lunghezze e intervalli di tempo) che
si abbia una classe di regoli rigidi ideali e una classe di orologi ideali. Due regoli
ideali hanno la propriet di essere della medesima lunghezza se sono in quiete,
indipendentemente dalla loro storia passata. Analogamente, due orologi ideali
battono il tempo nello stesso modo se sono in quiete, a prescindere dalla loro
storia passata. Noi supporremo che in ogni luogo di un sistema di riferimento vi
sia un orologio in quiete. Il grosso problema quello di sincronizzare tutti questi
orologi ideali. Un modo per sincronizzare due orologi, uno posto in A e laltro
posto in B 6 A, solidali con il nostro sistema di riferimento inerziale, pu essere
il seguente: lanciamo da A verso B un segnale elettromagnetico (supposta nota la
velocit della luce1 ), sincronizziamo lorologio in B con quello in A tenendo conto
della distanza tra A e B e del tempo impiegato dal segnale a raggiungere B.
Noi affrontiamo lo studio della cosiddetta Relativit Ristretta o Speciale, che si
occupa del rapporto esistente fra la descrizione dei fenomeni fisici compiute da
osservatori solidali con sistemi di riferimento inerziali. La Relativit Generale avr
lo scopo di estendere lo studio a osservatori non inerziali.
5.1.4 Postulati della Relativit Ristretta e trasformazioni di Lorentz
Oltre al principio dinerzia, alla base della relativit ristretta vi sono due postulati:
Primo postulato: principio di relativit - Le leggi della Fisica sono le stesse in
tutti i riferimenti inerziali.
Secondo postulato: costanza della velocit della luce - La velocit della luce
nel vuoto assume lo stesso valore, indipendentemente dalla direzione, in tutti i sistemi di
riferimento inerziali.
Vediamo, ora, come ottenere le trasformazioni di Lorentz utilizzando i postulati
della relativit ristretta, supponendo che il tempo sia omogeneo e che lo spazio sia
omogeneo e isotropo. Supponiamo di avere due sistemi di riferimento inerziali
1 Per misurare la velocit del segnale pu essere usato un solo orologio, sempre che il percorso
seguito dal segnale sia chiuso.

78

5.1 trasformazioni di lorentz


y0

y
S0

~v

O0

x x0

z0

Figura 5.1: Rappresentazione dei sistemi di riferimento in esame.

S(Oxyz) e S0 (O0 x 0 y0 z0 ), il quale si muove rispetto al primo con velocit costante v


diretta lungo la direzione positiva delle x in modo che x x 0 (si veda Figura 5.1).
Un evento caratterizzato in S dalle coordinate spaziotemporali ( x, y, z, t). Lo
stesso evento avr in S0 coordinate spaziotemporali ( x 0 , y0 , z0 , t0 ). Cerchiamo le
relazioni
0
x = x 0 ( x, y, z, t)

0
y = y0 ( x, y, z, t)
(5.1)

z0 = z0 ( x, y, z, t)

0
t = t0 ( x, y, z, t)
sulla base dei due postulati. Supponiamo che si sia proceduto a sincronizzare gli
orologi in ognuno dei due sistemi di riferimento inerziali e che quando O0 O,
t = t0 = 0 ( il modo pi semplice di sincronizzare due orologi,2 uno solidale con
S, laltro solidale con S0 ). Osserviamo che poich lo spazio isotropo abbiamo potuto scegliere, assolutamente in generalit, i due sistemi inerziali come precisato
sopra. Una prima osservazione: lipotesi di omogeneit dello spazio e del tempo
richiede che le (5.1) siano lineari. Altre osservazioni:
1. Poich continuamente lasse x coincide con lasse x 0 , o in modo equivalente

 0
y=0
y =0

,
z=0
z0 = 0
y0 e z0 sono espressi mediante una combinazione lineare di y e z.
2. Il piano x y (caratterizzato dallequazione z = 0) si deve trasformare nel
piano x 0 y0 (cio z0 = 0); analogamente il piano x z (caratterizzato dallequazione y = 0) si deve trasformare nel piano x 0 z0 (cio y0 = 0). Allora y0
devessere proporzionale solo a y e z0 deve essere proporzionale solo a z.
3. Si pu far vedere che unasta posta lungo lasse y solidale con S deve avere
la stessa lunghezza in S0 ; ci comporta che y0 = y. Analogamente si prova
che z0 = z.
2 Non assolutamente detto che due orologi, uno solidale con S e laltro con S0 , battano il tempo allo
stesso modo.

79

5.1 trasformazioni di lorentz

4. Per ragioni di simmetria t0 non pu dipendere linearmente n da y n da z.


Altrimenti, per esempio, due orologi, fermi in S, uno posto sullasse delle y
in y = +1 e laltro posto sullo stesso asse in y = 1, sarebbero in disaccordo
osservati da S0 . Questo fatto sarebbe in contrasto con lipotesi di isotropia
dello spazio.
5. Poich il punto O0 e ogni altro punto del piano y0 z0 ha rispetto a S equazione oraria x = vt, allora x 0 , nella trasformazione cercata, deve essere
proporzionale a x t.
Le considerazioni precedenti portano a dire che le trasformazioni (5.1) devono
essere, in particolare, del tipo:
x 0 = (v)( x vt),

(5.2a)

(5.2b)

(5.2c)

(5.2d)

y = y,
z = z,
t = a(v) x + b(v)t.

Il nostro scopo ora quello di determinare le costanti , a e b utilizzando il secondo postulato della relativit. Supponiamo che, quando O O0 , cio al tempo
t = t0 = 0, unonda elettromagnetica sferica venga emessa da O O0 . In base
al secondo postulato della relativit londa elettromagnetica si propaga in tutte le
direzioni con velocit c (velocit della luce nel vuoto) sia in S sia in S0 . Consideriamo allora un punto del fronte donda ( x, y, z) al tempo t in S. Le coordinate
spaziotemporali ( x, y, z, t), che definiscono levento in S, dovranno soddisfare la
seguente relazione:
x 2 + y2 + z2 = c2 t2 .

(5.3)

Lo stesso evento in S0 avr coordinate spaziotemporali ( x 0 , y0 , z0 , t0 ), che, per quanto detto, dovranno essere legate dalla relazione:
x 02 + y 02 + z 02 = c 2 t 02 .

(5.4)

Ponendo le (5.2) nella (5.4), otteniamo:


2 ( x vt)2 + y2 + z2 = c2 ( ax + bt)2

(2 c2 a2 ) x2 + y2 + z2 2xt(2 v + c2 ab) = (c2 b2 2 v2 )t2 .

(5.5)

La relazione (5.5) deve coincidere con la (5.3) per ogni x, y, z, t. Si ha, allora,
2
2 2
c a = 1
2
(5.6)
v + c2 ab = 0 .
2 2
2
2
2
c b v = c
Tenendo presente che se v = 0, b = 1 dalle (5.6) otteniamo:

1 v2 /c2

v
.
a = 2

b =

80

(5.7)

5.1 trasformazioni di lorentz

In conclusione le trasformazioni di Lorentz sono le seguenti:


x 0 = ( x vt),

(5.8a)

y = y,

(5.8b)

z = z,

(5.8c)

v 
t0 = t 2 x ,
c


(5.8d)

con
=

1
1 v2 /c2

(5.9)

Dalle (5.8) facile ricavare le trasformazioni inverse


x = ( x 0 + vt0 ),

(5.10a)

y=y,

(5.10b)

z = z0 ,

v 
t = t0 + 2 x 0 .
c

(5.10c)
(5.10d)

Notiamo che se v  c, allora 1 e inoltre dalle (5.10) si riottengono le trasformazioni di Galileo. Siano ( x, y, z, t) le coordinate spaziotemporali in S di un
evento e siano ( x 0 , y0 , z0 , t0 ) le coordinate spaziotemporali in S0 dello stesso evento.
Notiamo che:

v 2
c2 t02 x 02 y02 z02 = c2 2 t 2 x 2 ( x vt)2 y2 z2 =
c
2 2
2
= c t x y2 z2 .
Allora c2 t2 x2 y2 z2 (che, come vedremo tra poco, pu essere riguardato
come la distanza al quadrato nello spaziotempo fra il nostro evento e levento
di coordinate (0, 0, 0, 0)) una quantit scalare invariante per trasformazioni di
Lorentz.
Poniamo x0 = ct e sinh = v/c2 2 = , con = v/c. Si ha ovviamente
1v /c
q
2
cosh = 1 + sinh = . Allora le trasformazioni di Lorentz (relativamente
alle due coordinate che cambiano) posson essere scritte anche nel modo seguente:
x00 = cosh x0 sinh x,

(5.11a)

x = cosh x sinh x0 .

(5.11b)

Da queste relazioni si evidenzia una certa analogia con le rotazioni in due dimensioni:
x 0 = cos x sin y,
y0 = sin x + cos y.

81

5.1 trasformazioni di lorentz

Questa analogia si estende al fatto che, mentre le rotazioni conservano le lunghezze x2 + y2 , le (5.11) conservano la quantit x02 x2 , che, come abbiamo accennato,
rappresenta ancora una distanza al quadrato nello spaziotempo. Le trasformazioni di Lorentz, come si evince dalla (5.11), possono allora esere considerate come
rotazioni generalizzate nello spaziotempo. Supponiamo di avere un evento A
definito da ( x A , y A , z A , t A ) e un evento B definito da ( x B , y B , z B , t B ) nel sistema
di riferimento inerziale S. Possiamo definire il quadrato della distanza tra i due
eventi nel modo seguente:
s2 = c2 (t B t A )2 ( x B x A )2 (y B y A )2 (z B z A )2

= c2 t2 x2 y2 z2

(5.12)

dove, ovviamente, t2 rappresenta lintervallo temporale tra i due eventi al quadrato e x2 + y2 + z2 lintervallo spaziale al quadrato. Nel sistema S0 la distanza al quadrato tra i due eventi data da s02 = c2 t02 x 02 y02 z02 , con
t0 = t0B t0A , x 0 = x 0B x 0A , y0 = y0B y0A , z0 = z0B z0A . Si pu agevolmente
dimostrare che s2 = s02 . Possiamo riscrivere la (5.12) in forma differenziale
ds2 = c2 dt2 dx2 dy2 dz2 .
Il fatto che le coordinate spaziali e quelle temporali abbiano segni opposti nella
definizione di distanza al quadrato tra due eventi una caratteristica dello spaziotempo. Osserviamo che per un segnale luminoso ds2 = 0. Se una particella
si muove con velocit inferiore alla velocit della luce, si ha ds2 > 0 e, quindi ds
reale. In tal caso si dice che lintervallo di genere tempo. Se invece ds2 < 0
lintervallo detto di genere spazio. Gli intervalli per i quali ds2 = 0 si dicono di
tipo luce.
Tardioni si dicono i punti materiali che si muovono con velocit inferiore a quella
della luce, tachioni i corpi (immaginari) che si muovono con velocit superiore a
quella della luce. I corpi che si muovono alla velocit della luce si dicono di tipo
luce.
Osserviamo che due eventi separati da un intervallo di tipo tempo non possono
mai essere simultanei, cio non esiste un sistema di riferimento in cui tali eventi
risultino simultanei. Invece possibile trovare un sistema di riferimento in cui
i due eventi si verifichino nello stesso luogo, cio lintervallo spaziale tra i due
eventi sia nullo.
In relazione a un determinato sistema di riferimento inerziale S, possiamo rappresentare gli eventi associando agli assi cartesiani x, y, z un quarto asse, quello
del tempo. Per facilitare la visualizzazione consideriamo un solo asse spaziale,
quello delle x (figura 5.2). Gli assi x e ct sono assunti ortogonali; si tratta di una
scelta di pura convenienza. Fatta questa scelta, in un altro sistema di riferimento inerziale S0 , che si muove rispetto a S con velocit costante diretta lungo la
direzione positiva dellasse x, x 0 e ct0 non sono pi ortogonali. Il punto O rappresenta levento (0, 0). Il moto rettilineo uniforme di una particella con velocit
V < c, passante per x = 0 al tempo t = 0, rappresentato da una retta passante per O e formante con lasse ct un angolo inferiore a /4. Le due rette limite
rappresentano la propagazione di segnali che viaggiano alla velocit della luce.

82

5.1 trasformazioni di lorentz

ct

tempo futuro

Futuro assoluto
Altrove

Altrove

io

osservatore

Passato assoluto
d

spaz

no
iperpeiasente
pr
spa

zio

tempo passato

Figura 5.2: Diagramma di Minkowski: a sinistra considerando una sola dimensione


spaziale, a destra considerate due dimensioni spaziali.

Allinterno della regione (cono) aOc abbiamo c2 t2 x2 > 0, cio lintervallo tra
levento ( x, t) e levento (0, 0) di tipo tempo. In tale regione t > 0, cio ogni
evento ha luogo dopo levento O. Poich due eventi, separati da un intervallo di
tipo tempo, non possono mai essere simultanei in alcun riferimento inerziale, non
possibile scegliere un sistema di riferimento in cui un arbitrario evento, posto
allinterno della regione aOc, abbia luogo prima di O, cio avvenga al tempo t < 0.
Tutti gli eventi allinterno di aOc sono, allora, posteriori a O, fanno cio parte della
regione del futuro assoluto (la quale, nel caso si consideri pi di una dimensione
spaziale, un cono o un ipercono, detto appunto cono del futuro).
Nello stesso modo si pu far vedere che ogni evento posto in dOb avviene prima
dellevento O, e questo vero in qualunque riferimento inerziale. La regione dOb
detta appunto del passato assoluto (cono del passato).
Sottolineiamo che gli eventi posti nel passato e nel futuro possono essere messi
in relazione causale con levento O.
Gli eventi allinterno delle regioni aOd e cOb sono separati dallevento O da un
intervallo di tipo spazio. Se D un evento in tali regioni, si pu sempre trovare
un riferimento inerziale in cui D e O sono simultanei, anche se non possono mai
avvenire nello stesso luogo per alcun riferimento. Esistono sistemi di riferimento
in cui D avviene prima di O e altri in cui avviene dopo. La regione tra il cono del
futuro e il cono del passato indicata come il presente di O (o anche come laltrove
assoluto di O, perch, come abbiamo detto, in nessun sistema di riferimento un
evento, che appartiene a questa regione, e levento O possono verificarsi nello
stesso luogo).
Gli eventi posti lungo le bisettrici appartengono al cono-luce e sono connessi
per lappunto allevento O da segnali luminosi.
Riassumendo in relativit
il futuro individuato dagli eventi che soddisfano la relazione ct > | x |;
il presente individuato dagli eventi che soddisfano la relazione |ct| < | x |;
il passato individuato dagli eventi che soddisfano la relazione ct > | x |.

83

5.2 alcune conseguenze delle trasformazioni di lorentz

Notiamo che nellambito della fisica non relativistica (o newtoniana) rispetto a O


il futuro si ha per t > 0;
il presente si ha per t = 0;
il passato si ha per t < 0.
Infine osserviamo che il ragionamento svolto per levento O si pu ripetere per
ogni altro evento. Questo vuol dire che a ogni evento possiamo associare un cono
del futuro e un cono del passato.
5.2

alcune conseguenze delle trasformazioni di lorentz

5.2.1 Legge di trasformazione delle velocit


Tra le conseguenze principali delle trasformazioni di Lorentz vi una diversa legge di trasformazione della velocit rispetto a quella prevista dalle trasformazioni
galileiane. Dovremo, ovviamente, ritrovare che la velocit della luce (nel vuoto)
un invariante relativistico, cio ha lo stesso valore in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Consideriamo i sistemi di riferimento inerziali S ed S0 gi visti. Le
componenti3 del vettore velocit di una particella rispetto a S sono:
Vx =

dx (t)
dt

Vy =

dy(t)
dt

Vz =

dz(t)
.
dt

Vz0 =

dz0 (t0 )
.
dt0

Le corrispondenti componenti rispetto a S0 saranno


Vx0 =

dx 0 (t0 )
dt0

Vy0 =

dy0 (t0 )
dt0

Dalle trasformazioni di Lorentz si ottiene:


dx = (dx 0 + v dt0 ) = (Vx0 + v) dt0 ,
dy = dy0 = Vy0 dt0 ,

dz = dz0 = Vz0 dt0 ,





v
v 
dt = dt0 + 2 dx 0 = 1 + 2 Vx0 dt0 .
c
c
Da queste relazioni ricaviamo:
Vx =
Vy =
Vz =

dx
V0 + v
= x v 0,
dt
1 + c2 Vx

(5.13a)

Vy0
1
dy
=
,
dt
1 + cv2 Vx0

(5.13b)

dz
1
Vz0
=
.
dt
1 + cv2 Vx0

(5.13c)

3 Supponiamo assegnata in S la legge oraria della particella ( x (t), y(t), z(t)) e la corrispondente legge
oraria in S0 ( x 0 (t0 ), y0 (t0 ), z0 (t0 )).

84

5.2 alcune conseguenze delle trasformazioni di lorentz

8
7
6
5

4
3
2
1
0

0.2

0.4

0.6

0.8

Figura 5.3: Andamento del fattore di Lorentz in funzione di .

Osserviamo che se c +, allora = 1 (o anche se v/c  1, allora 1) e


Vx = Vx0 + v

Vy = Vy0

Vz = Vz0 .

cio otteniamo la trasformazione galileiana della velocit. Facilmente si ottiene


dalle (5.13) la trasformazione inversa:
Vx v
,
1 cv2 Vx
Vy
1
Vy0 =
,
1 cv2 Vx
1
Vz
.
Vz0 =
1 cv2 Vx

Vx0 =

(5.14a)
(5.14b)
(5.14c)

Ricordiamo che = 1/ 1 v2 /c2 = 1/ 1 2 , dove = v/c. Osserviamo che


lim ( ) = 1,

lim ( ) = +.

0+

Se Vy0 = Vz0 = 0 e Vx0 = V 0 , allora dalle (5.13) otteniamo


Vx = V =

V0 + v
,
1 + cv2 V 0

Vy = 0,

Vz = 0.

(5.15)

Se V 0 = c (velocit della luce nel vuoto) allora dalla precedente si ha V = c.


Inoltre sempre dalla precedente se 0 < V 0 < c, allora 0 < V < c (e viceversa).4
Esercizio
2

Dimostrare che, se v0 x + v0 y + v0 z = c2 , allora v2x + v2y + v2z = c2 e viceversa.


4 Noi supponiamo che v (0, c).

85

5.2 alcune conseguenze delle trasformazioni di lorentz

5.2.2 Contrazione delle lunghezze


Si chiama lunghezza propria di unasta la sua lunghezza in un sistema di riferimento in cui in quiete. Supponiamo di avere unasta rigida in quiete in S e posta
lungo lasse x. Se le sue estremit sono nei punti di coordinata x1 e x2 > x1 , la
sua lunghezza propria ovviamente data da:
l0 = x 2 x 1 .
Per misurare la lunghezza dellasta nel sistema di riferimento S0 , che si muove
rispetto a S con una velocit v diretta lungo la direzione positiva dellasse x, basta
avere le coordinate degli estremi dellasta nello stesso istante di tempo e dunque
valutare gli eventi ( x10 , t10 ) e ( x20 , t20 ) con t10 = t20 . I due eventi sono simultanei in
S0 ma non in S. Naturalmente, per misurare la lunghezza propria in S possiamo
determinare gli estremi dellasta in tempi diversi e abitrari. Sappiamo che
x = ( x 0 + vt0 )
e, quindi,
x1 = ( x10 + vt10 )

x2 = ( x20 + vt10 )

x2 x1 = ( x20 x10 ).

Chiamata l = x20 x10 la lunghezza dellasta in S0 , avremo allora


r
v2
l0 = l l = 1 2 l0 < l0 .
c

(5.16)

Il sistema S0 , che in moto rispetto allasta, misura, pertanto, una lunghezza minore della lunghezza propria dellasta. Questo fenomeno noto come contrazione
delle lunghezze.
Esercizio
La lunghezza dellasta rispetto al sistema di riferimento S0 pu essere determinata considerando i suoi estremi nella stessa posizione in tempi diversi? In caso
affermativo, qual la relazione tra questa lunghezza dellasta e la sua lunghezza
a riposo?
5.2.3 Dilatazione dei tempi
La dilatazione dei tempi una delle conseguenze pi straordinarie della relativit
ristretta. Consideriamo due sistemi di riferimento inerziali S e S0 come in figura
5.1 e supponiamo che un orologio, a riposo nel sistema di riferimento inerziale
S0 , misuri in uno stesso punto dello spazio x00 un intervallo temporale tra due
eventi A : ( x00 , t0A ) e B : ( x00 , t0B ), con t0B > t0A . Lintervallo temporale tra i due eventi

86

5.2 alcune conseguenze delle trasformazioni di lorentz

= t0B t0A detto tempo proprio. La loro distanza ovviamente di tipo tempo.
Nel sistema S i due eventi A e B hanno le seguenti coordinate spaziotemporali:
x A = ( x00 + vt0A ),

v 
t A = t0A + 2 x00 ,
c

x B = ( x00 + vt0B ),

v 
t B = t0B + 2 x00 .
c

Allora
t = t B t A = > ,

(5.17)

cio lintervallo di tempo tra i due eventi, misurato in S, risulta maggiore dellintervallo di tempo proprio. Questo risultato ci dice che lorologio mobile rispetto a
S ha una frequenza minore. Possiamo, in altre parole, affermare che la frequenza
di un orologio mobile rallenta rispetto a quella di un orologio fermo. Notiamo
che in S0 i due eventi avvengono nello stesso luogo e il loro intervallo temporale
misurato da un solo orologio posto in quel punto (intervallo di tempo proprio),
mentre nellaltro sistema di riferimento S i due eventi si verificano in punti diversi
dello spazio e occorrono due orologi per misurare il loro intervallo di tempo (non
proprio).
Vediamo di capire meglio con un esempio. Supponiamo che in S0 una sorgente
luminosa posta nellorigine emetta al tempo t0 = 0 un raggio di luce in direzione dellasse y0 e che uno specchio, posto a distanza L, rifletta il raggio di luce
facendolo tornare in O0 (figura a). Ovviamente avremo = 2L/c. Questo il
tempo complessivo che il raggio di luce impiega per tornare in O0 nel sistema
S0 . Lintervallo di tempo trovato , naturalmente, proprio. Vediamo ora quale
ragionamento fa il sistema S, supponendo che al tempo t = t0 = 0 (quando viene
emesso il raggio di luce) O O0 . Lo specchio solidale con S0 che si muove con
velocit v nella direzione positiva dellasse delle x. Il raggio luminoso avr in S
una traiettoria come quella in figura in b. Il sistema S ha bisogno di due orologi,
uno in O laltro in R (ovviamente sincronizzati) per valutare lintervallo temporale

87

5.3 lo spazio di minkowski

t, che il raggio luminoso impiega per tornare sullasse delle x. Tenendo presente
la figura precedente in b si ottiene facilmente:


ct
2

2

vt
2

2

+ L2 ,

c2 t2 = v2 t2 + 4L2 ,
2L/c
t =
= .
1 v2 /c2
Ritroviamo, cio, nellesempio specifico, la formula (5.17) relativa alla dilatazione
dei tempi.
5.3

lo spazio di minkowski

In maniera molto sintetica possiamo dire che lo spazio vettoriale di Minkowski,


M, lo spaziotempo. Un punto di tale spazio , come abbiamo gi avuto modo
di dire, un evento.
Le coordinate di un punto-evento, in un sistema di riferimento S, possono essere definite come ( x0 , x1 , x2 , x3 ) = (ct, x, y, z) (notare che tutte le componenti hanno
le dimensioni di una lunghezza). Le coordinate x ( = 0, 1, 2, 3),5 con la convenzione dellindice in alto, sono dette controvarianti e si trasformano passando da un
sistema S a uno S0 nel solito modo:
x 00 = ( x0 x1 ),
x 01 = ( x1 x0 ),

(5.18)

x 02 = x 2 ,
x 03 = x 3 .

Le precedenti possono essere scritte anche in forma matriciale, adoperando la


notazione di Einstein:

x 0 = x

(5.19)

dove

= ( ) =
0
0
0
0

0
0
1
0

0
0
.
0
1

Il punto evento { x } anche detto quadrivettore controvariante perch obbedisce

alle (5.19). Ricordiamo che in si indica lelemento alla -esima riga e -esima
colonna.
5 Da qui in poi, nello spazio di Minkowski, useremo la convenzione che gli indici greci (, , . . . , ,
, . . . ) assumono valori 0, 1, 2, 3, invece gli indici latini (i, j, k, . . . ) assumeranno i valori 1, 2, 3.

88

5.3 lo spazio di minkowski

Abbiamo gi visto che la distanza al quadrato tra levento { x } e levento


O(0, 0, 0, 0) definita come s2 = ( x0 )2 ( x1 )2 ( x2 )2 ( x3 )2 . Tale quantit, come ben sappiamo, un invariante relativistico: assume lo stesso valore in tutti
i riferimenti inerziali. Se introduciamo la seguente matrice, detta tensore metrico
covariante

1 0
0
0
0 1 0
0

g = ( g ) =
0 0 1 0 .
0

allora s2 = g x x (con la convenzione degli indici ripetuti). Tramite il tensore


metrico g viene introdotta una distanza al quadrato s2 tra levento { x } e levento O(0, 0, 0, 0), la quale una forma quadratica maggiore, uguale o minore di 0.
Lo spazio di Minkowski viene dotato di una metrica pseudoeuclidea. Notiamo che la
quantit g x x pu essere riguardata anche come un prodotto scalare, con lavvertenza che g x x = 0 ; x = 0 per = 0, 1, 2, 3. Il nostro tensore metrico
come si vede lo stesso in ogni punto dello spazio di Minkowski, propriet che non
sar valida in relativit generale. Possiamo introdurre le coordinate covarianti di
un punto evento
x = g x

(5.20)

cio ( x0 , x1 , x2 , x3 ) = ( x0 , x1 , x2 , x3 ). Allora s2 = g x x = x x . Dalle


relazioni (5.18) si ottiene facilmente:
x00 = ( x0 + x1 ),

x10 = ( x1 + x0 ),

(5.21)

x20 = x2 ,

x30 = x3 .

Queste relazioni possono essere scritte in forma matriciale nel modo seguente:
x0 = (1 ) x

(5.22)

dove

0 0
0 0
.
=
0
0 1 0
0
0 0 1

Si dice che { x } un quadrivettore covariante se obbedisce alle (5.22). Il tensore


metrico controvariante definito nel modo seguente: ( g ) = g 1 . Osserviamo che
in M abbiamo g = g 1 . Chiaramente vale la relazione:
g g = .

(simbolo di Kronecker)

89

5.3 lo spazio di minkowski

Se con x indichiamo la variazione tra le coordinate omologhe controvarianti di


due eventi, la distanza al quadrato tra questi due eventi naturalmente data da:
s2 = g x x .
Possiamo dare una versione infinitesima della metrica se prendiamo due eventi
molto vicini tra loro:
ds2 = g dx dx = dx dx .
Questa forma quadratica differenziale d ovviamente la metrica6 di M. Notiamo

che dalla (5.19) dx 0 = dx ed essendo


dx 0 =

x 0
dx
x

si ha:

x 0
.
x

Una quaterna ( A0 , A1 , A2 , A3 ) si dice che un quadrivettore controvariante se


ogni componente A si trasforma per effetto di una trasformazione di Lorentz

x 0 = x nel modo seguente:

A0 = A
cio nello stesso modo delle coordinate controvarianti di un punto evento. Osserviamo che, se A = A ( x),7 allora
A 0 = A 0 ( x 0 ).
Un quadrivettore covariante { A } un insieme di quattro quantit ( A0 , A1 , A2 , A3 )
che, per effetto di una trasformazione di Lorentz, si trasformano come le coordinate covarianti di un punto evento:
A0 = A (1 ) .
Osserviamo che possiamo ottenere A moltiplicando il corrispondente quadrivettore controvariante per il tensore metrico covariante, ovvero:
A = g A .
Inversamente si ha
A = g A ,
dove g il tensore metrico controvariante.
6 Prendendo la forma quadratica differenziale per definire la metrica includiamo anche il caso in cui
il tensore metrico dipende dal punto.
7 Con x intendiamo ( x0 , x1 , x2 , x3 ).

90

5.3 lo spazio di minkowski

Un quadritensore di rango n completamente controvariante ha la forma T 1 ,...,n e si


trasforma nel modo seguente:

T 01 ,...,n = 11 22 nn T 1 ,...,n .
Un quadritensore di rango n completamente covariante ha la forma T1 ,...,n e si trasforma nel modo seguente:
T0 1 ,...,n = T1 ,...,n (1 )11 (1 )22 (1 )nn .
Un quadritensore di rango n p volte controvariante e q volte covariante ha la forma
,...,
T11,...,q p e si trasforma nel modo seguente:
0 ,...,

,...,

p
1
T1 ,...,
= 11 pp (1 )11 (1 )qq T11,...,q p .
q

Osserviamo che:
un quadritensore di rango 1 un quadrivettore;
un quadritensore di rango 0 uno scalare ed invariante per trasformazioni
di Lorentz ( detto anche scalare di Lorentz).
I quadritensori di rango 2, che hanno, ovviamente, 16 componenti, si trasformano
nel modo seguente:

tensori completamente controvarianti: T 0 = T ;

0 = ( 1 ) ( 1 ) T ;
tensori completamente covarianti: T

tensori misti: T = (1 ) T .
In generale si dice che il tensore metrico covariante abbassa gli indici, il tensore metrico controvariante li innalza. Un quadritensore di rango 2 T si dice
simmetrico se T = T ; si dice antisimmetrico se T = T . Un generico
quadritensore pu essere sempre scomposto in una parte simmetrica e una anti
simmetrica. Infatti Ts = ( T + T ) /2 un quadritensore simmetrico, mentre

Ta = ( T T ) /2 antisimmetrico; infine T = Ta + Ts .
Il prodotto scalare tra due quadrivettori A = { A } e B = { B } definito come
A B = g A B = A0 B0 A1 B1 A2 B2 A3 B3 . Un quadrivettore A = { A }
si dice di tipo tempo se A A > 0, di tipo spazio se A A < 0, di tipo luce se
A A = 0.
Esercizi
Dimostrare che, se S( x ) uno scalare di Lorentz ed di classe opportuna, allora S( x )/x un quadrivettore covariante, mentre S( x )/x un
quadrivettore controvariante.

91

5.4 quadrivelocit e quadriaccelerazione


,...,

Dimostrare che, se T11,...,q p ( x ) un tensore p volte controvariante e q volte


,...,
controvariante (di classe opportuna) allora T11,...,q p ( x )/x un tensore p
,...,
volte controvariante e q + 1 volte covariante, mentre T11,...,q p ( x )/x un
tensore p + 1 volte controvariante e q volte covariante.
Dimostrare che g un tensore covariante di rango 2.
Dimostrare che g un tensore controvariante di rango 2.
5.4

quadrivelocit e quadriaccelerazione

Nella meccanica newtoniana se il moto di una particella descritto dalla legge


oraria ~r = ~r (t) (di classe opportuna), la velocit definita come ~v(t) = d~r (t)/dt.
In relativit ristretta il tempo una componente di un quadrivettore e non uno
scalare di Lorentz. Poich utile scrivere le equazioni della fisica in modo tale
che risultino manifestamente valide in ogni sistema di riferimento inerziale (formulazione covariante delle leggi della fisica), conviene parametrizzare il moto
di una particella massiva, nello spazio di Minkowski, rispetto a una grandezza
che sia uno scalare di Lorentz. La scelta naturale linvariante s, definito da
ds2 = g dx dx , che pu essere chiamato cammino proprio. Avremo allora, in M,
la cosiddetta linea duniverso x = x (s), che non altro che una curva (successione di eventi propri della particella in moto). Se, come abbiamo detto, la particella
ha massa, allora ds2 = c2 (1 v2 /c2 ) dt2 > 0 essendo |v(t)| < c la velocit della particella al tempo8 t. Possiamo scrivere, indicato con il tempo proprio e
assumendo la convenzione che s sia crescente al variare del tempo:
r
v2
ds = 1 2 c dt = c d.
c
Il quadrivettore velocit (o semplicemente quadrivelocit) controvariante di una
particella massiva, il cui moto in M descritto dalla linea duniverso x = x (s),
definito come9
u =

dx
dx
dx
=
=
ds
c d
c dt

(5.23)

dove
=

1
1 v2 /c2

il fattore di Lorentz della particella, non di un sistema di riferimento. Chiaramente u = {u } un quadrivettore controvariante perch si trasforma come

u0 = u . Osserviamo che:
8 Nel caso di una particella di massa nulla o di un raggio luminoso, poich ds2 = 0 occorre introdurre
un parametro scalare diverso dal tempo proprio.
9 Alcuni definiscono la quadrivelocit come u = cdx /ds. In tal caso u ha le dimensioni di una
velocit, mentre nel nostro caso adimensionale.

92

5.5 dinamica relativistica

le componenti della quadrivelocit sono


 v
vy vz 
x
u = , , , ;
c
c
c
sussiste la relazione

u u = g u u =

v2
1 2
c

= 1.

(5.24)

Definiamo la quadriaccelerazione controvariante come:


w =

d2 x
du
=
.
ds
ds2

In base alla (5.24) otteniamo


g u

du
= 0 g u w = 0 u w = 0.
ds

Ovvero quadrivelocit e quadriaccelerazione sono ortogonali.


Esercizio
Dimostrare che le componenti della quadriaccelerazione sono
4
~v ~a,
c3


2 i 2
i
i
w = 2 a + 2 (~v ~a)v
c
c

w0 =

con i = 1, 2, 3, ( a1 , a2 , a3 ) = ( a x , ay , az ) e (v1 , v2 , v3 ) = (v x , vy , vz ).
5.5

dinamica relativistica

Si pu facilmente constatare che in relativit ristretta, a causa della legge di composizione delle velocit, se il momento di una particella avente massa a riposo
m0 definito come ~p = m0~v, allora la conservazione del momento di sistemi di
particelle isolati non pi valida in ogni sistema di riferimento inerziale.10 Se richiediamo che la conservazione del momento in sistemi isolati sia una legge della
Fisica, bisogna allora definire in relativit il momento come:

~p =

m0
1 v2 /c2

~v = m(v)~v

(5.25)

= m0

(5.26)

dove
m(v) =

m0
1 v2 /c2

10 Si veda Kittel, Knight e Ruderman [4, pagine 411416].

93

5.5 dinamica relativistica

pu essere riguardata come la massa relativistica della particella. Osserviamo che


se v/c  1, allora m(v) m0 e ~p m0~v, come in meccanica newtoniana.
Studi sperimentali hanno mostrato che la ii legge della dinamica continua
ancora a valere, cio nel caso di una particella:
d~p ~
=F
dt

(5.27)

dove ~p il momento relativistico ed ~F la forza totale agente sulla particella.


La (5.27), in base alla (5.25), pu essere scritta come
dm0 (v)~v ~
= F.
(5.28)
dt
Se v/c  1 si ottiene la relazione non relativistica. Due osservazioni sulla (5.28):
1. se il modulo della velocit della particella aumenta e si approssima a c, il
termine tende a smorzare tale incremento;
2. se richiediamo che la (5.28) sia una legge della Fisica, quando si passa da un
sistema di riferimento inerziale a un altro, a differenza di quanto avviene
nella meccanica newtoniana, la forza ~F deve cambiare esattamente come
cambia dm0 ~v/dt.
Dalla (5.28) otteniamo
m0 ~a + m0

d
~v = ~F
dt

(5.29)

dove ~a = d~v/dt lordinaria accelerazione. Poich d/dt = 3~v ~a/c2 , la (5.29)


diventa
3
(~v ~a)~v = ~F.
c2
Moltiplicando scalarmente per ~v ambo i membri della precedente si ha:
m0 ~a + m0

(5.30)

3
m0 ~v ~a + m0 2 v2 (~v ~a) = ~F ~v
c


2
m0 (~v ~a) 1 + 2 v2 = ~F ~v
c
3
m0 ~v ~a = ~F ~v

(5.31)

essendo 1 + 2 v2 /c2 = 2 . Inserendo la (5.31) nella (5.30) otteniamo:

~v
= ~F
c2
!
~F ~v
~F
~v .
c2

m0 ~a + (~F ~v)
m0~a =

(5.32)

Notiamo che se ~F, ~v,~a sono vettori paralleli, allora la (5.32) diventa
m0 3~a = ~F
(basta tener conto che in questo caso ~F (~F ~v)~v/c2 = ~F/2 ).

94

5.6 energia cinetica e momenti

5.6

energia cinetica e momenti

Sia ~F la forza totale agente su una particella di massa a riposo m0 . Vogliamo ora
vedere come determinare lenergia cinetica della particella. Lidea di partire, in
analogia a quanto avviene in meccanica newtoniana, dalla relazione dT = ~F d~r,
cio la variazione infinitesima di energia cinetica, dT, supposta uguale al lavoro
elementare della forza totale. Teniamo presente che ~F d~r = ~F ~v dt = m0 3~v ~a dt
in base alla (5.31). Possiamo pertanto scrivere
dT = m0 3~v ~a dt = m0 3~v d~v =
Poich

1
2

R v2
0

T=

1
m0 3 dv2 .
2

3 (v0 ) dv02 = c2 c2 , abbiamo


m0 c2
1 v2 /c2

m0 c2

(5.33)

(notare che nel ricavare la precedente abbiamo supposto nulla la velocit iniziale).
Per v/c  1, allora
T=

1
m0 v2 + O(v4 ),
2

cio ritroviamo, al primo ordine, il valore non relativistico dellenergia cinetica.


Dalle (5.33) si deduce che lenergia non proporzionale a v2 (come nel caso
non relativistico) e inoltre che limvc T = +. Si definisce energia totale della
particella la quantit:
E = T + m0 c2 = m0 c2 .
Il termine m0 c2 detto energia a riposo della particella (cio, se v = 0, E = m0 c2 )
e rappresenta una novit sorprendente ed eccezionale rispetto al caso non relativistico. Esso, in qualche modo, stabilisce unequivalenza tra massa ed energia
e asserisce che la massa pu essere convertita in energia e viceversa lenergia in
massa. Questa equivalenza non ha riscontro alcuno nella fisica newtoniana. Osserviamo che in relativit non vale la conservazione della massa. In un processo
fisico, cui prendono parte diverse particelle, ci che si conserva non la massa
totale ma lenergia totale. Notiamo per inciso che dE/dt = ~F ~v. Poich m0 c2 ha
le dimensioni di unenergia, la massa a riposo pu essere misurata in eV/c2 .
Tra lenergia e il momento di una particella libera esiste una relazione particolare. Infatti
m20 c4 2
E2
2

p
=
m20 v2 2 = m20 c2 .
c2
c2

(5.34)

Questa relazione pu essere riscritta come


E2 = p2 c2 + m20 c4

(5.35)

95

5.7 quadrimomento, tensore momento angolare

da cui11
E=

p2 c2 + m20 c4 .

(5.36)

Osserviamo che la (5.36) prende il posto della relazione non relativistica E =


p2 /(2m0 ) (intendendo qui con E lenergia cinetica della particella libera). La (5.35)
ha enorme importanza in quanto, come vedremo fra poco, la quantit E2 c2 p2
un invariante relativistico (scalare di Lorentz). Dalla (5.34) si vede subito che il
momento pu essere misurato in eV/c e suoi multipli.
Una particolarit notevole della relativit la possibilit di considerare particelle con massa nulla. Infatti dalla (5.35) deduciamo che se m0 = 0
E = pc.

(5.37)

Ovviamente le espressioni E = m0 c2 e ~p = m0~v in cui compare la massa perdono di significato per una particella di massa nulla. Se m0 = 0 lenergia rimane
finita senza annullarsi, in quanto v = c. Notiamo che bisogna fare il doppio limite
m0 0+ e v c : ci rende finita e non nulla lenergia.
Stesso discorso vale per il momento. Sottolineiamo che, nel caso di particelle
con massa nulla, vale certamente la (5.37), che stabilisce un preciso legame tra
energia e momento. In natura esistono, effettivamente, particelle di massa nulla,
come per esempio i fotoni. In base alla relazione di Planck-Einstein, lenergia di
un fotone di frequenza data da
E = h

(5.38)

dove h = 6.626 1034 J s la costante di Planck e ha le dimensioni di unazione.


Se indichiamo con = 2 la pulsazione della radiazione, la (5.38) pu scriversi
come E = h/(2 ) = }. Allora il momento di un fotone di frequenza dato
da
p=

E
h
h

=
= = } = }k
c
c

dove la lunghezza donda della radiazione e k = /c il numero donda.


5.7

quadrimomento, tensore momento angolare

La relazione (5.35) ci induce a pensare che energia e momento di una particella


possano essere componenti di uno stesso quadrivettore. Effettivamente cos;
infatti il quadrivettore (controvariante)
p = m0 cu

(5.39)

11 Nello scrivere la (5.36) abbiamo considerato solo la soluzione positiva e scartato quella negativa. Si
pu far vedere nellambito della fisica classica che non vi sono motivi per ammettere stati di energia
negativi. Discorso diverso va fatto per la meccanica quantistica, dove non possibile ignorare, a
priori, stati di energia negativa.

96

5.8 equazioni del moto

dove m0 la massa a riposo della particella e u la sua quadrivelocit, ha come


componenti
E
,
c
p2 = m0 vy py ,
p0 = m0 c

p1 = m0 v x p x ,
p3 = m0 vz pz .

Il quadrivettore definito dalla (5.39) , allora, detto quadrimomento. Si ha come


conseguenza che g p p = E2 /c2 p2 = m20 c2 certamente un invariante relativistico, come avevamo annunciato. Inoltre passando dal sistema di riferimento
inerziale S al sistema S0 le componenti del quadrimomento si trasformano nel
modo seguente:
00
p = ( p0 p1 )

01
p = ( p1 p0 )
.
(5.40)

p 02 = p 2

03
p = p3
Le precedenti possono essere scritte in termini di E, p x , py , pz come:


0
E
E

p
x


c

E
0
px = px
.
c

p0 = py

y0
pz = pz
Nel caso in cui m0 = 0 (particella di massa nulla) si ha g p p = 0: il quadrimomento ovviamente di tipo luce. Possiamo definire il tensore del momento
angolare (controvariante di rango 2 e antisimmetrico) come
L = x p x p .

(5.41)

Notiamo che L0 = x 0 p0 x 0 p0 = ( x p x p ) = L . Si verifica


facilmente che, detto ~L = ~r ~p lordinario vettore momento angolare rispetto
allorigine degli assi cartesiani ortogonali, L12 = Lz , L31 = Ly , L23 = L x .
5.8

equazioni del moto

Nel caso di una particella libera di massa m0 sappiamo che d~p/dt = 0 e dE/dt =
0, dove ~p = m0 ~v e E = m0 c2 . Poich le componenti del quadrimomento sono
date da p = ( E/c, ~p) evidente che le precedenti equivalgono alla condizione
dp
= 0.
(5.42)
ds
La (5.42) costituisce, allora, lequazione covariante del moto di una particella libera e pu essere anche scritta, tenendo presente che p = m0 cu = m0 cdx /ds
come
d2 x
= 0.
ds2

97

5.9 meccanica analitica relativistica (cenni)

Questa la forma covariante dellequazione di una particella libera e corrisponde


allespressione non covariante d2~r/dt2 = 0. Se la particella non libera, ma soggetta a interazioni, la derivata rispetto a s del quadrimomento diversa da zero,
in generale. Possiamo definire come quadriforza il quadrivettore controvariante:
F=

dp
.
ds

(5.43)

La (5.43) pu essere scritta in modo equivalente:


m0 c

du
= m0 cw = F.
ds

Questa equazione, detta di Minkowski, rappresenta lequazione del moto della


particella in forma covariante. Le componenti della quadriforza F sono


dE d~p
F=
,
.
c2 dt c dt
Dal momento che ~F = d~p/dt e dE/dt = ~F ~v, le componenti della quadriforza
possono essere scritte anche come:


F = 2 ~F ~v, ~F .
c
c
Come conseguenza dellortogonalit tra quadrivelocit e quadriaccelerazione abbiamo che la quadrivelocit ortogonale alla quadriforza, cio F u = 0. Possiamo
anche definire il momento relativistico della quadriforza come il tensore controvariante di rango 2 antisimmetrico N = x F x F . Si verifica immediatamente
che
dL
= N .
ds
5.9

meccanica analitica relativistica (cenni)

Si pu enunciare anche in meccanica relativistica il principio variazionale di Hamilton, dal quale poi ricavare le equazioni del moto delle particelle materiali.
Consideriamo, prima, il caso di una particella materiale libera. Come possiamo
esprimere lazione? Ovviamente dobbiamo richiedere che lintegrale, che esprime
lazione, sia invariante per trasformazioni di Lorentz e, quindi, sia uno scalare di
Lorentz. Per una particella libera viene naturale pensare, come scalare di Lorentz, allintervallo infinitesimo ds o pi in generale ad ds con costante. Lidea,
allora, di considerare lazione data da:
S=

Z b
a

ds

(5.44)

dove a e b rappresentano due punti eventi dello spazio di Minkowski M. Come


gi sappiamo, devono essere considerati tutti i moti ammissibili (linee duniverso) che partono dallevento a e giungono allevento b. Il moto reale ottenuto

98

5.9 meccanica analitica relativistica (cenni)

imponendo S = 0 fra tutte le linee duniverso ammissibili. Per determinare, poi,


la costante dobbiamo richiedere che nellapprossimazione non relativistica la
(5.44) diventi, a meno di costanti additive, uguale allazione di una particella non
relativistica libera di massa nota.

Se ora teniamo conto che per una particella materiale ds = c 1 v2 /c2 dt, la
(5.44) pu essere scritta
Z t1 r
v2
1 2 dt ,
(5.45)
S[ x (t), y(t), z(t)] = c
c
t0
dove v2 (t) = x 2 (t) + y 2 (t) + z 2 (t). Dalla (5.45) si deduce che la lagrangiana data
da:
r
v2
L = c 1 2 .
(5.46)
c
Se procediamo esattamente come nel caso non relativistico, per il principio variazionale di Hamilton abbiamo:
d L ~
=0
dt ~v

(5.47)

perch L non dipende esplicitamente da ~x. Dalle relazioni (5.46) e (5.47) si ottiene:
c
L
vx
=
= costante
2
2
v x
1 v /c c2
vy
L
c
=
= costante
vy
1 v2 /c2 c2
c
vz
L
=
= costante
vz
1 v2 /c2 c2
quindi

2
2


v2
~v
=
= costante
c 1 v2 /c2
c2 1 v2 /c2
da cui discende che v2 una quantit costante. Inoltre dalla (5.47) abbiamo anche


~v
d L
d

=

= ~0
dt ~v
d
c 1 v2 /c2
quindi
d~v ~
= 0 ~v(t) = costante,
dt
cio il moto della particella libera che rende stazionaria lazione quello rettilineo
uniforme.
Sia m0 la massa a riposo della particella. La sua lagrangiana data dalla (5.46).
Per v/c  1 questa diventa:
 4
1 v2
v
L = c c 2 + O
,
2 c
c4

99

5.9 meccanica analitica relativistica (cenni)

dove c una costante che non influenza le equazioni del moto. Nel caso non
relativistico invece (a meno di costanti additive):
L=

1
m0 v2 .
2

Per il principio di corrispondenza queste due espressioni devono essere uguali,


quindi trascurando i termini di ordine superiore a v4 /c4 e la costante additiva c
abbiamo = m0 c. In conclusione la lagrangiana della particella relativistica di
massa m0 data da:
r
v2
2
L = m0 c 1 2 .
c
Il momento della particella definito come

~p =

L
m0~v
=
~v
1 v2 /c2

(esattamente il valore che, come abbiamo detto, permette che la conservazione del
momento di sistemi isolati sia una legge della Fisica). Notiamo, solo per inciso,
che nel caso esaminato (particella libera) d~p/dt = 0. Possiamo chiamare energia
la quantit:
E = ~p ~v L =

m0 c2
1 v2 /c2

= m0 c2

(esattamente il valore ottenuto per altra via). Poich L non dipende esplicitamente
dal tempo, lenergia una costante del moto (vedi (5.47)). Osserviamo che ~p =
E~v/c2 e che E2 p2 c2 = m20 c4 . Lhamiltoniana data da
q
H = c p2 + m20 c2 .
Se v/c  1, H m0 c2 + p2 /(2m0 ). Possiamo anche enunciare il principio
variazionale con il formalismo quadridimensionale
S = m0 c

Z b
a

ds = m0 c

Z bq
a

dx

dx = m0 c

Z bq
a

g dx dx .

In maniera analoga a quanto fatto nel Capitolo 2, poniamo


x (e) = x + e
e
S[ x (e)] = m0 c

Z bq
a

g dx (e) dx (e).

Per una particella libera:


Z b q

q

S[ x (e)] S[ x ] = m0 c
g dx (e) dx (e) g dx dx
a
Z b q
q
 (5.48)

= m0 c
g (dx + e d )(dx + e d ) g dx dx .

100

5.9 meccanica analitica relativistica (cenni)

Sviluppando la funzione integranda in serie di potenze di e intorno a 0 il primo


termine nullo, per il secondo risulta:


q

=
g (dx + e d )(dx + e d )
e
e =0

+ e d ) d + g (dx + e d ) d
g
(
dx
1


q
=
=

2

g (dx + e d )(dx + e d )
e =0



g dx d
g (dx + e d ) d

p
=
=
= q

g dx dx
g (dx + e d )(dx + e d )
e =0

dx d
=
.
ds
Dalla (5.23) abbiamo dx = u ds, quindi
u ds d
dx d
=
= u d .
ds
ds
Allora la (5.48) diventa

S = S[ x (e)] S[ x ] =

Z b

q

= m0 ce
g (dx + e d )(dx + e d )
+ O(e2 ) =
a e
e =0

= m0 ce

Z b
a

u d

con la condizione | a = |b = 0 affinch il moto sia ammissibile. Poich,


integrando per parti
Z b
a

u d =

Z b
a

d( u )

Z b
a

du =

Z b
a

du =

Z b
du
a

ds

ds

risulta
S = m0 ce

Z b
du
a

ds

ds .

Ponendo e = x lequazione precedente pu essere scritta nella forma


S = m0 c

Z b
du
a

ds

x ds

e dalla condizione S = 0 deriva che du /ds = 0 (forma covariante del moto di


una particella), cio la quadriaccelerazione nulla.
5.9.1 Carica in moto in un campo elettromagnetico
Vogliamo ora scrivere, sempre con il formalismo quadridimensionale, lazione di
una particella di massa m0 e carica q in un campo elettromagnetico. Abbiamo

101

5.9 meccanica analitica relativistica (cenni)

visto a suo tempo che il potenziale generalizzato del campo elettromagnetico


dato da
q~
V = q A
~v
c

~ Ora
noti il potenziale scalare e il potenziale vettore A.
V dt =

q~
q
q
(c dt) A
d~r = A dx
c
c
c

~ ) ipotizzadove x la coordinata covariante di un punto evento e A = ( , A


to essere un quadrivettore controvariante, il quadripotenziale. Assumiamo che la
carica sia uno scalare di Lorentz. Allora
Z b


q
m0 c ds + A dx ,
c
a

S = S[ x (e)] S[ x ] =
Z b
q
q

=
m0 c dx (e) dx (e) m0 c dx dx +
S=

Z
q b

(5.49)

(5.50)


A ( x (e)) dx (e) A ( x ) dx .

Il primo integrale si calcola come visto nel caso della particella libera, per il
secondo integrale abbiamo, sviluppando in serie di potenze di e:
A ( x (e)) dx (e) A ( x ) dx = A ( x + e ) d( x + e ) A ( x ) dx =



A

= e A ( x ) d +
dx + O e2 .
x
Inoltre, con la solita condizione | a = |b = 0 risulta:

Z b
A

e
dx =
A ( x ) d +
x
a

Z b
A

=e
d( A ( x ) ) dA ( x ) +
dx =
x
a

Z b
A

dA ( x ) +
=e
dx =
x
a

Z b
A
A
dx +
dx =
=e

x
x
a

Z b
A
A
=e

dx +
dx .
x
x
a

102

5.9 meccanica analitica relativistica (cenni)

Nellultima uguaglianza abbiamo potuto invertire gli indici e del primo termine poich si tratta di una somma su e . Dunque, ponendo e = x , la (5.50)
diventa

Z b
q A
q A
du
dsx +
x dx
x dx =
S =
m0 c
ds
c x
c x
a



Z b
du
q A
A dx
=
m0 c

dsx =
ds
c x
x
ds
a

 
Z b
q A
A
du

=
m0 c
u dsx .
ds
c x
x
a
In definitiva abbiamo
du
q
S = 0 = m0 c
=
ds
c

A
A

x
x

u =

q
F u .
c

(5.51)

dove F = A /x A /x , detto tensore elettromagnetico, un quadritensore controvariante di rango 2 antisimmetrico.


La (5.51) rappresenta la forma controvariante della equazione del moto di una
particella di massa m0 e carica q in un campo elettromagnetico. Esplicitando si
vede che

0 Ex Ey Ez
Ex
0
Bz By
.
F =
Ey Bz
0
Bx
Ez

By

Bx

Si pu dimostrare che E2 B2 e ~E ~B sono invarianti per trasformazioni di Lorentz.


Si pu altres far vedere che F invariante per trasformazioni di gauge. La gauge
di Lorentz
A
= 0.
x
Lazione (5.49) pu essere scritta nel formalismo ordinario:
!
r
Z b
2
v
q
~ ~v dt.
S=
m0 c2 1 2 q + A
c
c
a
La funzione sotto il segno di integrale , naturalmente, la lagrangiana:
r
v2
q~
~v.
L = m0 c2 1 2 q + A
c
c
Il momento generalizzato ~
P dato da
q~
~P = L = m0~v
+ A
= ~p +
~v
c
1 v2 /c2

q~
A
c

103

(5.52)

(5.53)

5.10 *linterferometro di michelson e morley

~
da cui ~p = ~
P q A/c.
Ora
H = ~v


q ~ 2
L
m0 c2
L=
+ q = (H q)2 = m20 c4 + c2 ~P A
~v
c
1 v2 /c2

da cui
r
H=


q ~ 2
P A
m20 c4 + c2 ~
+ q
c

che lhamiltoniana di una particella con massa a riposo m0 e carica q in un


~
campo elettromagnetico con potenziale scalare e potenziale vettore A.
5.10

*linterferometro di michelson e morley

Lelettromagnetismo prerelativistico superava in modo piuttosto goffo la presenza della costante c nelle equazioni dei campi elettrico e magnetico ipotizzando
lesistenza di un mezzo, letere, che permeasse lintero universo e rispetto al quale
la luce si muoveva appunto con velocit c. Letere era pensato come un mezzo del
tutto singolare, sottile e capace di permeare completamente il cosmo, dotato dellunica propriet di essere il mezzo attraverso il quale la radiazione si propagava.
Per avere una qualche stima della velocit della Terra rispetto a tale mezzo Albert
Abraham Michelson, singolarmente nel 1881 e poi assieme a Edward Morley nel
1887, mise a punto un esperimento in cui si intendeva rilevare il vento detere
mediante tecniche interferometriche. Il dispositivo messo a punto dai due sperimentatori schematizzato in Figura 5.4 ed era montato su una lastra di pietra
fatta galleggiare su mercurio liquido: questo permetteva di mantenere la lastra
orizzontale e di farla girare attorno a un perno centrale.
Supponiamo ora che la Terra si muova rispetto alletere con velocit v. Il fascio
luminoso che parte dalla sorgente S viene scomposto dallo specchio semiargentato in due raggi normali tra loro; il raggio 1 si propaga verso lo specchio R1 ,
viene da questo riflesso, subisce una deviazione di /2 a causa dello specchio
semiargentato e perviene al cannocchiale C; il raggio 2 invece si dirige verso lo
specchio R2 e dopo la riflesione attraversa pressocch indisturbato lo specchietto
semiargentato per poi giungere anchesso nel cannocchiale. Ci che si dovrebbe
osservare nel cannocchiale una serie di frange di interferenza dovute al fatto che
il tratto AR1 dovrebbe essere percorso dalla luce in un arco di tempo diverso rispetto al tratto AR2 , a causa della composizione delle velocit che consegue dalla
presenza del mezzo luminifero. La differenza di fase tra i due raggi nel momento
in cui si ricongiungono in A genera linterferenza.
Il tempo impiegato dal raggio 1 per percorrere AR1 (andata e ritorno)
T1 =

L1
L
2L
1
+ 1 = 1
.
c+v cv
c 1 v2 /c2

(5.54)

Per il raggio 2 bisogner tener conto del fatto che, nel sistema delletere, la luce si
propaga sempre e comunque a velocit c. Dunque la velocit vy con cui viene per-

104

5.10 *linterferometro di michelson e morley

corsa la distanza deve soddisfare la relazione c2 = v2y + v2 , ovvero vy =


Di conseguenza
T2 = 2

L2
1
L2
=2
.
vy
c 1 v2 /c2

c2 v2 .

(5.55)

La differenza tra i tempi dunque




L2
L1
2

.
T = T2 T1 =
c
1 v2 /c2 1 v2 /c2

(5.56)

Se ora ruotiamo di /2 lintero apparato, la relazione che si trova (essendo i bracci


invertiti)


2
L2
L1
0
T =

.
(5.57)
c 1 v2 /c2
1 v2 /c2
Perci
L1 + L2
T T = 2
c
0

1 v2 /c2 1 v2 /c2

(5.58)

Sviluppando in potenze di v/c e ignorando termini di ordine superiore al secondo,


otteniamo che
T 0 T v2

L1 + L2
.
c3

(5.59)

Dunque ruotando lo strumento dovrebbe osservarsi uno spostamento di n =


v2 c L1 c+3 L2 frange attraverso il centro del cannocchiale. Il dispositivo di Michelson
e Morley aveva L1 = L2 = 11 m, mentre la lunghezza donda della luce usata
era = 5.5 107 m. Allepoca dellesperimento si riteneva che il Sole fosse essenzialmente solidale con il riferimento delletere, mentre la Terra orbitava con
una velocit di v = 30 000 m/s (che dunque era in modulo proprio la v dellesperimento esaminato). Si disponeva inoltre di varie stime della velocit della luce
e tutte suggerivano che la luce avesse una velocit c 3 108 m/s. Dunque si
ricava v/c 104 . Da questi dati si ricava uno spostamento teorico di n = 0.4
frange. Nel secondo esperimento Michelson e Morley riuscirono a rendere lo strumento sensibile a uno spostamento di appena 0.01 frange. Lesperimento, nato
per dare una stima di v, fu un fallimento, in quanto non venne osservato alcuno spostamento dellentit prevista e dunque il vento detere non fu rilevato.
Ovviamente, alla luce dei risultati di Einstein, questo risultato si spiega immediatamente, poich la velocit della luce la medesima in tutte le direzioni in ogni
sistema di riferimento. Lo sfasamento, assunta vera questa ipotesi, non poteva
che essere nullo.
Lesperimento ebbe, soprattutto negli anni seguenti, grande risonanza tra i fisici
in quanto fu una delle prove sperimentali pi lucide dellinfondatezza della teoria
delletere, perlomeno come elaborata nel secolo XIX. Tuttavia occorre sottolineare
che lesperimento non di per s una prova della teoria di Einstein; in effetti,
come poi si vide con esperimenti analoghi eseguiti con interferometri a bracci

105

5.10 *linterferometro di michelson e morley

Figura 5.4: Schema dellinterferometro di Michelson e Morley.

disuguali, lesperimento permetteva di concludere semplicemente che la velocit


della luce lungo percorsi diversi non dipende dalla velocita del sistema inerziale
in esame rispetto a un qualsiasi altro sistema inerziale, e dunque non vi erano
sistemi di riferimento privilegiati. La costanza della velocit della luce di per s
non un risultato dellesperimento in quanto non abbiamo informazioni sulla
differenza di velocit della radiazione tra andata e ritorno. Basti pensare che
si possono ricavare trasformazioni differenti da quelle di Lorentz che spieghino
correttamente lesperimento.12 Lipotesi che lesperimento abbia spinto Einstein a
formulare i suoi postulati nella precisa forma in cui li conosciamo sembra dunque
infondata sia da un punto di vista logico che storico.13 Semmai essa manifest in
modo quanto mai palese che occorreva necessariamente andare oltre il modello
delletere.

12 Si veda a proposito Barone [1, pagine 103105].


13 Si ricordi il pensiero di Einstein a riguardo:
Lesito dellesperimento di Michelson non ebbe una grande influenza sullevoluzione delle mie idee [...]. La spiegazione di ci sta nel fatto che ero, per ragioni di carattere generale, fermamente convinto che non esista il moto assoluto, e
il mio unico problema era come ci potesse conciliarsi con quello che sapevamo
dellelettrodinamica.

106

INTRODUZIONE ALLA MECCANICA QUANTISTICA

6.1

*il corpo nero

Un corpo nero un oggetto che assorbe tutta la radiazione elettromagnetica incidente (e quindi non ne riflette). Se introduciamo il concetto di potere assorbente
come la frazione di energia raggiante incidente che viene assorbita dal corpo, si
conclude che un corpo nero un oggetto che ha potere assorbente 1. Kirchhoff
riuscito a dimostrare nel 1859 che il potere assorbente di un corpo dipende solo
dalla temperatura del corpo e non dalla sua natura. Kirchhoff stesso, per esempio,
ha provato che un ottimo esempio di corpo nero un contenitore a temperatura
costante sulle cui pareti praticato un piccolissimo foro, di modo che la radiazione che entra attraverso di esso abbia probabilit praticamente nulla di uscirvi e
venga assorbita dal corpo in seguito alle numerose riflessioni interne.
Sia dunque u la densit di energia allinterno del contenitore e indichiamo con
u d la densit di energia delle componenti che cadono nellintervallo (, + d).
Il risultato di Kirchhoff cui si accennato pu esprimersi nel seguente modo:
fissata , u = u ( T ). Stefan aveva dimostrato che
U=

Z +
0

u d = T 4

(Legge di Stefan)

dove = 5.67 108 W/(m2 K4 ) la costante di Stefan-Boltzmann. Ricordando


che la pressione esercitata sulle pareti del corpo data da p = u/3, consideriamo
una trasformazione termodinamica infinitesima:
Q = T dS = dU + p dV =
1
4
= V du + u dV + u dV = V du + u dV
3
3
V du
4u
dS =
dT +
dV.
T dT
3T
Ovvero
S
4u
=
V
3T
S
V du
=
.
T
T dT
Imponendo luguaglianza delle derivate miste si ottiene


4 1 du
u
1 du
du
u
2 =

=4 .
3 T dT
T
T dT
dT
T

(6.1)
(6.2)

Integrando lequazione differenziale si ottiene che u = T 4 , con costante di


integrazione, ovvero
U = T 4 .

(Legge di Stefan-Boltzmann)

107

6.1 *il corpo nero

Nel 1893 Wien dimostr che



u = 3 F
T

(Legge dello spostamento)

che contiene la legge di Stefan. Infatti


U=

Z +
0

Z +
0

= T4

3 F

d =

pongo =


T

T 3 3 F () T d =

Z +
0



3 F () d.

La relazione di Wien si pu anche esprimere in funzione delle lunghezze donda


; infatti, indicata con u la densit di energia nellintervallo di lunghezza donda,
richiediamo che u d = u d. Da = c, differenziando si ha

|d|
|d|

=
|d| = d.

Perci

u d = u d = u |d|

da cui
u =

c4  c 
F
.
5
T

Per trovare tali massimi come solito


 c 
du
c 0 c 
+ 5F
= 0.
= 0
F
d
T
T
T
Poich F una funzione universale, detta la soluzione, dalla forma dellequazione abbiamo che
= costante = b.
T
Pertanto = b/T, ovvero allaumentare della temperatura, il massimo della
funzione si sposta verso lunghezze donda pi piccole (legge dello spostamento di
Wien).1

Nel 1896 Wien stesso propone una forma possibile di F: F ( T ) = a1 ea2 T .


Si mostra mediante analisi di Fourier che il campo elettromagnetico si comporta
come se fosse generato da molti oscillatori armonici indipendenti. Noto il numero
N di oscillatori di una determinata frequenza si pu ricavare u ; si prova che la
densit di oscillatori armonici fra e + d :
dN ()
8
= 3 2 d.
V
c
1 La costante b = 2.897 768 5 103 m K prende il nome di costante dello spostamento di Wien.

108

6.1 *il corpo nero

0.6
5000 K

0.5

Teoria classica (5000 K)

u (MJ/m4 )

0.4
0.3
0.2

4000 K

0.1
0

3000 K

0.5

1.5

2.5

(m)
Figura 6.1: Curve di Planck per diversi valori della temperatura a confronto con i risultati
previsti dalla teoria classica di Rayleigh-Jeans. Sulle ordinate riportata la
densit di energia per unit di volume per unit di lunghezza donda, quindi
lintegrale delle curve rappresenta la densit volumetrica di energia.

allora u d = u dN ()/V.
Nota lenergia media dei detti oscillatori u,
Poich vale il principio di equipartizione dellenergia e per ogni oscillatore,
avendo esso due modi possibili, u = 2(k B T/2) = k B T, ricorrendo alla distribuzione di Boltzmann si ha:
P(u) = ce

k uT
B

= R +
0

k uT

k uT
B

du

R + u
dove c = 1/ 0 e k B T du una costante che soddisfa la condizione di norR +
malizzazione 0 P(u) du = 1. Pertanto il valore medio pu essere ottenuto
da
R + u
Z +
ue k B T du
u =
uP(u) du = R0 + u
= k B T.
0
e k B T du
0
Perci
u ( T ) d = u

dN ()
8
= k B T 3 2 d.
V
c

(Relazione di Rayleigh-Jeans)

Si vede subito che integrando tra 0 e + lintegrale diverge (poich tale fatto
legato al contributo delle alte frequenze si parla di catastrofe ultravioletta o catastrofe
di Rayleigh-Jeans). La relazione ottenuta ammettendo che gli scambi energetici
avvengano con continuit.

109

6.2 leffetto fotoelettrico

Nel 1901 Planck propose invece che lenergia potesse essere scambiata solo secondo quantit multiple di h. In questo caso, detto un = nh lenergia scambiata,
P(un ) = ce

knhT
B

knhT

n =0 e

n khT
B

= (1 e

khT
B

)e

n khT
B

dove c = 1 e k B T una costante che soddisfa la condizione di normalizzazione


0+ P(un ) = 1. Dunque
u =

un P(un ) = h(1 e

khT

n =0

ne

n =0

n khT
B

h
e

h
kB T

ovvero
u =

h
8 3
h
.
3
c
e kB T 1

(Legge della radiazione di Planck)

La legge di Planck perfettamente in accordo con i dati sperimentali, elimina


il problema della catastrofe ultravioletta e restituisce la legge di Rayleigh-Jeans
come primo termine dello sviluppo in serie (si veda la Figura 6.1).
6.2

leffetto fotoelettrico

Lesperienza mostra che, in certe condizioni, un metallo colpito da un fascio di


luce monocromatica emette elettroni. Lapparato sperimentale pu essere, grosso
modo, schematizzato come segue: allinterno di un involucro trasparente, in cui
praticato il vuoto, posto un catodo su cui fatta incidere radiazione elettromagnetica monocromatica (nello spettro del visibile o superiore) e un anodo che
raccoglie i fotoelettroni emessi dal catodo. Lanodo si trova, rispetto al catodo,
a un potenziale inferiore, il cui valore pu essere variato mediante un potenziometro (si veda Figura 6.2). Gli aspetti rilevanti delleffetto fotoelettrico possono
essere cos riassunti:

Figura 6.2: Apparato per la rivelazione delleffetto fotoelettrico.

110

6.2 leffetto fotoelettrico

1. esiste, in funzione del tipo di metallo di cui costituito il catodo, una frequenza di soglia 0 della radiazione incidente, al di sotto della quale non
si verifica nessuna emissione di fotoelettroni, qualunque sia lintensit della
radiazione;
2. esiste un potenziale darresto V0 , indipendente dallintensit della radiazione incidente, in corrispondenza del quale nessun elettrone raggiunge lanodo; questa propriet sta a significare che lenergia cinetica massima dei
fotoelettroni appena emessi dal catodo verifica lequazione Tmax = eV0 dove
e la carica dellelettrone in modulo;
3. lemissione dei fotoelettroni istantanea qualunque sia lintensit della radiazione, purch > 0 ;
4. la corrente fotoelettrica i, ovvero il numero di elettroni emessi nellunit di
tempo, dipende dallintensit I della radiazione incidente.
La teoria classica della radiazione prevede
a. lesistenza di una intensit di radiazione di soglia I0 al di sotto della quale
leffetto non avviene, in contrasto col punto 1;
b. la dipendenza di Tmax , e quindi del potenziale darresto V0 , dallintensit
della radiazione I in contrasto col punto 2;
c. che lemissione debba avvenire dopo che un elettrone ha assorbito, a spese
della radiazione incidente, abbastanza energia da superare il potenziale, detto di estrazione, che, in condizioni normali impedisce allelettrone di uscire
dal metallo: per tale ragione lemissione pu verificarsi solo dopo un certo
intervallo di tempo dallarrivo della radiazione incidente, intervallo ovviamente tanto maggiore quanto pi bassa lintensit I, in contrasto col punto
3;
d. che la corrente, dovuta ai fotoelettroni, debba aumentare al crescere di I, in
accordo col punto 4 (sempre che > 0 ).
Allora, almeno tre delle caratteristiche principali delleffetto fotoelettrico non sono
spiegabili mediante la teoria classica della radiazione. Nel 1905 Einstein propose una spiegazione delleffetto assumendo che la radiazione fosse costituita da
pacchetti, o quanti di energia, detti fotoni: una radiazione elettromagnetica monocromatica di frequenza consiste di fotoni di energia h, dove h = 6.6 1034 J s
la costante di Planck. Abbiamo visto che, per spiegare lemissione del corpo
nero, Planck aveva ipotizzato un simile comportamento per lenergia della radiazione elettromagnetica allinterno di una cavit. Vediamo ora come, con lipotesi
di Einstein, possibile fornire una spiegazione esauriente delleffetto.
Possiamo assumere, per semplicit, che lelettrone sia a riposo allinterno del
metallo.2 Un elettrone, dopo aver assorbito un fotone di energia h, emesso
2 Osserviamo che lenergia termica circa 102 eV mentre i fotoni, nel visibile e nellultravioletto,
hanno unenergia di circa 1 10 eV.

111

6.3 effetto compton

Figura 6.3: Effetto Compton

dal catodo con unenergia cinetica T = h W, dove W il lavoro di estrazione


dal metallo. Se W0 il lavoro minimo di estrazione caratteristico del metallo
(per esempio: per il sodio 2.7 eV, per il ferro 3.2 eV), lenergia cinetica massima
dellelettrone (quando questo emesso dal catodo) data da Tmax = h W0 .
Esiste di conseguenza una frequenza di soglia 0 = W0 /h tale che, se < 0 ,
leffetto non ha luogo. Vi altres un valore V0 del potenziale in corrispondenza
del quale anche gli elettroni pi veloci non sono in grado di raggiungere lanodo.
Abbiamo in particolare V0 = (h W0 )/e. Dopo che un elettrone ha acquistato,
mediante assorbimento di un fotone, energia pari ad h, la sua emissione dal
metallo, se > 0 , immediata (il ritardo inferiore a 109 s) e non dipende
dallintensit della radiazione. Se leffetto ha luogo, allaumentare dellintensit di
radiazione cresce anche il numero di fotoelettroni e quindi la corrente nel circuito.
In conclusione, possiamo dire che leffetto fotoelettrico, al pari della radiazione
del corpo nero, fornisce una prova che la radiazione elettromagnetica di frequenza
costituita da fotoni di frequenza h.
Esercizio
Dimostrare che un elettrone libero non pu assorbire un fotone di energia h in
base alla conservazione del quadrimomento.
6.3

effetto compton

Se facciamo incidere un fascio di raggi X con 0 = 0.7 ( = h0 = hc/0 =


18 keV) su una sostanza (come per esempio il molibdeno) si osserva, sperimentalmente, che i raggi X diffusi a un angolo rispetto alla direzione della radiazione
incidente hanno lunghezza donda lievemente maggiore di 0 ; in particolare si
trova
=

h
(1 cos )
me c

dove me la massa a riposo dellelettrone.3 La grandezza h/(me c) ha (ovviamente)


le dimensioni di una lunghezza e vale 0.024 : detta lunghezza donda Compton
3 Ricordiamo che la massa a riposo di un elettrone pari a me = 9.11 1031 kg = 0.511 MeV/c2

112

6.4 onde di materia di de broglie

dellelettrone. Questo effetto (di diffusione), detto Compton, pu essere spiegato


come un urto tra un fotone di energia h0 e momento h0 /c e un elettrone libero,
che possiamo considerare fermo (notiamo che lenergia di legame degli elettroni
periferici di qualche eV, mentre lenergia dei fotoni molto maggiore). Nellurto
fotone-elettrone si conserva il quadrimomento. Chiamiamo ~p0 e ~p i momenti
fotonici prima e dopo lurto e ~pe il momento dellelettrone dopo lurto; ricordiamo
che, prima dellurto, lelettrone fermo. Dalla conservazione dellenergia:
q
me c2 + cp0 = m2e c4 + c2 p2e + cp.
(6.3)
Dalla conservazione del momento:

~p0 = ~p + ~pe ~pe = ~p0 ~p p2e = p20 + p2 2p0 p cos .

(6.4)

La (6.3) pu anche scriversi come:

(me c2 + cp0 cp)2 = m2e c4 + c2 p2e

4
4
m2e
c
+ c2 p20 + c2 p2 + 2me c3 ( p0 p) 2c2 pp0 = 
m2e
c
+ c2 p2e .


(6.5)

Sostituendo nella (6.5) la (6.4) otteniamo:


c2 p20 + c2 p2 + 2me c3 ( p0 p) 2c2 p0 p = c2 p20 + c2 p2 2c2 p0 p cos =
me c( p0 p) = p0 p(1 cos ).

(6.6)

Ora, p0 = h0 /c = h/0 , mentre p = h/c = h/, perci la precedente diventa




1
h2
1

=
(1 cos ) =
me ch
0

0
h
0 =
(1 cos ).
(6.7)
me c
In conclusione, nelleffetto Compton i fotoni si comportano proprio come dei corpuscoli cui compete energia h e momento h/c. La diffusione Compton pu
essere considerata come un assorbimento di radiazione elettromagnetica seguito
da emissione, mentre leffetto fotoelettrico un assorbimento puro e semplice.
6.4

onde di materia di de broglie

La radiazione elettromagnetica ha manifestazioni ondulatorie e presenta, nel contempo, comportamenti corpuscolari come nella radiazione del corpo nero, nelleffetto fotoelettrico e nelleffetto Compton. Il legame tra questi due aspetti
rappresentato dalla costante di Planck h. Sappiamo infatti che, se la frequenza
di unonda elettromagnetica monocromatica, questa pu essere pensata in certi contesti come formata da quanti, fotoni (particelle di massa nulla), a ognuno
dei quali compete unenergia h e un momento h/c. Poich h interviene anche nella condizione di quantizzazione di Bohr-Sommerfeld, Louis de Broglie nel
1923 si chiese se non fosse possibile, per cos dire, un percorso inverso, cio che

113

6.4 onde di materia di de broglie

oggetti (come gli elettroni) pensati sempre come particelle potessero presentare,
in particolari situazioni, un comportamento ondulatorio. Consideriamo nel modello atomico di Bohr un elettrone in orbita attorno al nucleo; la condizione di
quantizzazione la seguente:
I

p dq = nh

n N.

Ora, se l la lunghezza dellorbita, la precedente relazione pu anche essere


scritta:
l p = nh l =

nh
.
p

Qui il termine h/p ricorda la lunghezza donda di un fotone. Questa analogia


ha suggerito a de Broglie la seguente ipotesi: a ogni particella, avente massa a riposo
non nulla, associata unonda, la cui lunghezza donda, noto il momento p, data da
= h/p.
Alla luce di questa ipotesi, le orbite permesse nella teoria di Bohr sono quelle
che contengono un numero intero di lunghezze donda. Vediamo con quali lunghezze donda abbiamo a che fare nello schema di de Broglie. Prendiamo delle
particelle libere (non relativistiche):
=

h
h
=
.
p
2mE

(6.8)

Questa la lunghezza donda di de Broglie di una particella di massa m avente


unenergia cinetica E.
Nel caso di un elettrone, se E = 1 eV,
=

h
2mE

6.626
2 9.11 1031

1.6 1019

m = 1.24 109 m = 12.4

(come nei raggi X), pari alle dimensioni atomiche. Per un oggetto di 1 kg ed energia di 1 J gli effetti quantistici si avrebbero a distanze pari a 1034 m, del tutto
trascurabili rispetto alle oscillazioni termiche degli atomi. Notiamo che, mentre
per i fotoni inversamente proporzionale
a E, per le particelle (non relativisti
che) inversamente proporzionale a E. Inoltre maggiore la massa, minore ,
a parit di energia, la lunghezza donda. Nel 1927 Davisson e Germer hanno provato che gli elettroni presentano effettivamente un comportamento ondulatorio e
sono caratterizzati da una lunghezza donda data proprio dalla (6.8). Analoghi
comportamenti ondulatori sono, poi, stati provati per protoni, neutroni, atomi di
He, ecc. Stabilito il carattere ondulatorio delle particelle materiali, bisogna vedere
a quale grandezza fisica si riferisce il fenomeno, cio quale sia il significato fisico
della grandezza o delle grandezze oscillanti che chiamiamo funzioni donda e per
la quale ipotizziamo unequazione lineare in analogia con le onde meccaniche e
quelle elettromagnetiche.
Normalmente quando si in presenza di una propagazione ondulatoria, si
pone il problema di quale sia il mezzo che porta londa e quale la grandezza

114

6.4 onde di materia di de broglie

che ne misuri lampiezza. Nel caso elettromagnetico alla prima domanda non
c risposta, o meglio il vuoto, mentre le grandezze che misurano lampiezza
sono il campo elettrico e il campo magnetico. Ci chiediamo nel caso delle onde di
materia di de Broglie chi sostituisce questi campi (assodato che esse si propagano
nel vuoto). Lesperimento di Davisson e Germer fornisce una risposta a questo
quesito. Nellesperimento, mediante rivelatori, viene testata la presenza o meno
di elettroni a un particolare angolo. Alla fine, pensando di ripetere pi volte
le misure, ogni volta con un solo elettrone nel fascio, viene di fatto misurata
la frequenza con cui lelettrone rivelato ai diversi angoli, cio misurata una
probabilit di presenza dellelettrone.
Le idee di de Broglie sulle onde di materia avranno uno sviluppo fondamentale
con la Meccanica Ondulatoria di Schrdinger.

115

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI DELLA PARTE II


[1]

Vincenzo Barone. Relativit. Principi e applicazioni. Torino: Bollati Boringhieri,


2007. (Citato a pagina 106).

[2]

Max Born. Fisica atomica. Torino: Bollati Boringhieri, 1976.

[3]

David Halliday, Robert Resnick e Jearl Walker. Fondamenti di fisica. Fisica


moderna. Milano: CEA, 2002.

[4]

Charles Kittel, Walter D. Knight e Malvin A. Ruderman. Meccanica. Volume 1.


La fisica di Berkley. Bologna: Zanichelli, 1970. (Citato a pagina 93).

[5]

Kenneth S. Krane. Modern Physics. John Wiley & Sons, 1995.

[6]

Lev Davidovic Landau e Evgenij Mikhailovic Lifits. Teoria dei campi.


Volume 2. Fisica teorica. Roma: Editori Riuniti, 2004.

[7]

Luigi Picasso. Lezioni di meccanica quantistica. Pisa: Edizioni ETS, 2000.

[8]

Robert Resnick. Introduzione alla relativit ristretta. Milano: Casa Editrice


Ambrosiana, 1996.

[9]

Eyvind H. Wichmann. Fisica quantistica. Volume 4. La fisica di Berkley.


Bologna: Zanichelli, 1973.

116

Parte III
APPENDICI

LA TRASFORMATA DI LEGENDRE

a.1

definizione

Sia data una funzione f : R R, liscia e convessa ( f 00 ( x ) > 0 x R). La sua


trasformata di Legendre una funzione g di una nuova variabile p data da
g( p) = max{ px f ( x )}.

(A.1)

Il significato geometrico della trasformata pu essere inteso nel modo seguente.


Consideriamo nel piano xy il grafico della funzione f ( x ) e sia data la retta y = px
passante per lorigine con p inteso fissato. Allora possibile individuare un punto
x = x ( p) tale che px f ( x ) = F ( p, x ) sia massima. La trasformata di Legendre
dunque F ( p, x ( p)) = g( p). Se esiste, il punto x ( p) univocamente determinato,
essendo individuato dalla condizione F/x = p f 0 ( x ) = 0 (grazie al teorema
del Dini possibile esprimere x in funzione di p), cio
f 0 ( x ) = p.

(A.2)

Questa condizione ha senso solo se p appartiene al codominio della derivata di


f ( x ). Il punto stazionario cos trovato un massimo in quanto per ipotesi

2 F ( x, p)
= f 00 ( x ) < 0.
x2 x= x
y
y = f (x)
y = px

g( p)

x
x ( p)

Figura A.1: Trasformata di Legendre.

118

A.1 definizione

In base a quanto visto finora la (A.1) pu essere anche scritta nel seguente modo:
g( p) = x ( p) p f ( x ( p)).
La trasformata di Legendre gode di una propriet molto importante: essa involutiva, ovvero se g( p) la trasformata di Legendre di f ( x ), allora la trasformata
di Legendre di g( p) ancora f ( x ). Le due funzioni f e g si dicono dunque duali
secondo Young. Inoltre essendo per definizione px f ( x ) g( p) allora vale la
cosiddetta disuguaglianza di Young:
px f ( x ) + g( p).

(A.3)

Le precedenti considerazioni si generalizzano facilmente al caso di funzioni a


pi variabili. Sia f : Rn R una funzione liscia e x, p Rn . Anche in questo
 caso

la funzione deve essere convessa, cio si richiede che la matrice hessiana
sia definita positiva. La trasformata di Legendre

2 f
xi x j

g( p) = max{( p, x) f ( x)},
x

dove

( p, x) =

pi xi .

i =1

Allora deve risultare


f
( x ) = pi
xi

i = 1, . . . , n

(A.4)

o, equivalentemente,

f ( x) = p.
Quindi
x = x ( p)
e la trasformata si pu anche scrivere come
g( p) =

xi ( p) pi f (x ( p)).

(A.5)

i =1

Come abbiamo visto,1 la trasformazione di Legendre permette di passare dalla lagrangiana L(q, q,
t) (intesa come funzione delle variabili q)
allhamiltoniana
1 Si veda pagina 47. Nel caso dellapplicazione della trasformazione di Legendre alla fuzione L le
ipotesi di convessit sono in genere soddisfatte. La lagrangiana di un sistema fisico ha infatti
solitamente la forma L = 21 i mi q 2i V (q): evidentemente la matrice
!
2 L
= (mi ij )
q i q j
definita positiva.

119

A.1 definizione

H(q, p, t). La trasformazione di Legendre trova applicazione in svariati ambiti


della Fisica (per esempio, in termodinamica la funzione entalpia definita come
trasformata di Legendre della funzione energia rispetto al volume).
La trasformazione di Legendre non un semplice cambiamento di variabili:
essa consente di passare da funzioni definite su uno spazio lineare a funzioni
definite sul corrispondente spazio duale.
Esercizi
1. Si consideri la funzione f : R R definita da f ( x ) = x2 . Determinare la
trasformata di Legendre della funzione.
Soluzione. Osserviamo che f 00 ( x ) = 2 > 0
ne (A.2):
f 0 ( x ) = p = 2x = p = x =

x R. Imponiamo la condizio-

p
,
2

p R.

La trasformata dunque:
g( p) = x ( p) p f ( x ( p)) =

p2
p2
p2

= .
2
4
4

2. Calcolare la trasformata di Legendre della funzione f : R R definita da


f ( x ) = x2 /4.
Soluzione. Abbiamo f 00 ( x ) = 1/2 > 0
(A.2) abbiamo:
f 0 (x) =

x R. Imponendo la condizione

x
= p = x ( p) = 2p
2

da cui otteniamo che la trasformata di Legendre della funzione


g( p) = x ( p) p f ( x ( p)) = 2p2 p2 = p2 .
In questi due esercizi possiamo ossservare la propriet di involuzione della
trasformazione di Legendre: la trasformata della trasformata della funzione
f ( x ) = x2 proprio la funzione stessa.
3. Sia f : R+ R+ la funzione definita da f ( x ) = x /, con > 1 ( f 00 ( x ) > 0).
Trovare la trasformata di Legendre di f ( x ).
Soluzione. Dalla (A.2) abbiamo:
1

f 0 ( x ) = p x 1 = p x = p 1 .
Allora
1

g( p) = x ( p) p f ( x ( p)) = p 1 p

120

p 1
1
=
p 1 .

A.1 definizione

tradizione porre

1
1
1
1
=
=
+ = 1
1


per cui
g( p) =

p
.

In questo caso la disuguaglianza di Young


xp

x
p
+ .

4. Data la funzione f : R R definita da f ( x ) = ex calcolarne la trasformata


di Legendre.
Soluzione. La funzione convessa. Come al solito imponiamo la condizione
(A.2):
f 0 ( x ) = p ex = p x ( p) = ln p

p R+ .

Quindi la trasformata di Legendre della funzione


g( p) = x ( p) p f ( x ( p)) = p ln p p.
Notiamo che
g0 ( p) = ln p = x ( p)
1
g00 ( p) = = x 0 ( p) > 0.
p
Questo un risultato di carattere generale: la trasformata di Legendre
trasforma funzioni convesse in funzioni convesse.
5. Si consideri la funzione f : R2 R definita da f ( x1 , x2 ) = 2x12 2x1 x2 +
x2 = x12 + ( x1 x2 )2 . Determinare la trasformata di Legendre di f ( x1 , x2 ).
Soluzione. Dalla (A.4) abbiamo:

x = 4x1 2x2 = p1
1

= 2x2 2x1 = p2
x2

p1 + p2

x1 ( p1 , p2 ) =
2
.

p
+
2p2
1

x2 ( p1 , p2 ) =
2

Allora per la (A.5) la trasformata di Legendre di f ( x1 , x2 )


g( p) = x1 ( p1 , p2 ) p1 + x2 ( p1 , p2 ) p2 f ( x1 ( p1 , p2 ), x2 ( p1 , p2 )) =



p1 + p2
p1 + 2p2
p1 + p2 2
p1 + p2
=
p1 +
p2

+
2
2
2
2
2
p2 + 2p1 p2 + 2p22
p1 + 2p2

= 1
.
2
4

121

LA SUCCESSIONE DI FIBONACCI
La successione di Fibonacci (sequenza A000045 della On-Line Encyclopedia of Integer Sequences), descritta dal matematico pisano Leonardo Fibonacci (1170 - 1250)
nellopera Liber abaci del 1202, una successione di numeri interi definita per
ricorrenza da

Fn = Fn1 + Fn2
F =0
0
F1 = 1
Oltrech per ricorrenza, la successione di Fibonacci pu essere espressa in forma
chiusa, cio con una formula che, dato n, fornisca il valore di Fn senza dover
calcolare tutti i precedenti n 1 numeri della successione. Per determinare tale
formula bisogna risolvere un problema alle differenze finite. Si cercano soluzioni
del tipo Fn = n , con 6= 0. Dalla definizione della successione abbiamo:
n = n1 + n2 2 = + 1
da cui si ricava
1,2

1 5
=
.
2

La soluzione sar una combinazione lineare delle due radici:


Fn = a1 + b2 .

(B.1)

Imponendo le condizioni iniziali si ha:




a = b

a+b = 0

b =
a1 + b2 = 1

1
2 1

a =
5

b =
5

Sostituendo nella (B.1) otteniamo


!n
!n !
1
1+ 5
1 5
Fn =

.
2
2
5
La relazione trovata nota con il nome di formula di Binet.

122

NOTE SULLE UNIT DI MISURA


Nel sistema internazionale (SI) lunit di misura dellenergia il joule (simbolo J):
1 J = 1 kg m2 /s2 .
Nel sistema di Gauss (SG o CGS) lunit di misura lerg:
1 erg = 1 g cm2 /s2 .
Ovviamente 1 J = 107 erg.
Altra unit di misura, usata in chimica e in termodinamica, la caloria (cal),
insieme al suo multiplo, la chilocaloria (kcal):
1 kcal = 4.184 103 J.
In diversi settori della Fisica lunit di misura usata lelettronvolt (eV); ricordiamo che 1 eV lenergia di un elettrone sottoposto a una differenza di potenziale
di 1 V. Dunque, con riferimento alla tabella seguente:
1 eV = 1.6 1019 J = 1.6 1012 erg
e inversamente
1 J = 0.625 1019 eV.
Multipli dellelettronvolt sono:
1 keV = 103 eV

1 MeV = 106 eV

1 GeV = 109 eV

1 TeV = 1012 eV.

Poich m0 c2 ha le dimensioni di unenergia, la massa a riposo pu essere misurata


in eV/c2 . In Fisica atomica si usa spesso come unit di massa lunit di massa
atomica (uma), definita come la dodicesima parte della massa del 12 C:
1 uma = 1.661 1027 kg = 931.5 MeV/c2 .

123

COSTANTI FISICHE FONDAMENTALI


Riportiamo di seguito alcune costanti fisiche fondamentali, alcune delle quali sono
di interesse per la trattazione corrente. Le grandezze sono riportate in unit SI.
Nome della costante
Velocit della luce (valore esatto)
Costante di Planck
Costante di Boltzmann
Costante di Stefan-Boltzmann
Costante di gravitazione universale
Carica dellelettrone
Massa a riposo dellelettrone
Massa a riposo del protone
Massa a riposo del neutrone
Massa a riposo del muone
Raggio di Bohr
Costante di Rydberg
Permeabilit del vuoto
Permittivit del vuoto
Magnetone di Bohr
Costante di struttura fine
Costante di Avagadro
Costante di Faraday
Costante molare dei gas

Simbolo
c
h
kB
2 5 k4B
=
15h3 c2
G
e
me
mp
mn
m
4e0 h 2
a0 =
m e e2
m e e4
R= 2 3
8e0 h c
0
e0
e}
B =
2me
e2
=
4e0 }c
NA
F = eNA
R = k B NA

124

Valore
299 792 458 m/s
6.626 089 6 1034 J s
1.380 650 5 1023 J/K
5.670 40 108 W/(m2 K4 )
6.674 1023 m3 /(kg s)
1.602 176 487 1019 C
9.11 1031 kg = 0.511 MeV/c2
1.672 1027 kg = 938.3 MeV/c2
1.675 1027 kg = 939.6 MeV/c2
107 MeV/c2
5.292 1011 m
1.0974 107 /m
1.256 637 061 44 106 N/A2
8.854 187 817 1012 F/m
9.274 015 4 1024 J/T
7.297 353 1 103
6.022 136 7 1023 /mol
96 485 C/mol
8.314 51 J/(K mol)

INDICE ANALITICO

calcolo delle variazioni, 15


applicazioni del, 19
equazioni di Eulero-Lagrange, 18
lemma fondamentale del, 18
canonica, trasformazione, 61
canoniche
equazioni di Hamilton, 48
variabili, 47
catastrofe ultravioletta, 109
centro
di forza, 29, 30
di massa, ix, 28, 29
ciclica
coordinata, 25
problema di Keplero, 30
cinetica, energia
classica
di un sistema di particelle, x
di una particella, vi
relativistica, 95
teorema della, x
Compton, effetto, 113
configurazioni, spazio delle, 15
trasformazioni puntuali, 60
cono luce, 83
cono del futuro, 83
cono del passato, 83
conservazione
del momento angolare, vi
dellenergia meccanica, xi
della quantit di moto
relativistica, 100
leggi di, 24
controvariante, 88
coordinate
canoniche, 48
cicliche, 24
controvarianti, 88
covarianti, 89
lagrangiane, 3

angolare, momento
conservazione, vi, 25
meccanico, vi
parentesi di Poisson, 60
problema delle forze centrali, 29
relativistico, 97
simmetria sferica, 29
tensore, 97
totale, x
variabile azione, 72
velocit areolare, 30
angolo
variabile, 72
anolonomo, vincolo, 2
areolare, velocit, 30
attrito
vincoli scabri, 3
autovalori
di una matrice rispetto a unaltra,
39
piccole oscillazioni, 39, 43
azione
e reazione
forma debole, ix, 28
forma forte, x, 28
funzionale, 16
integrale sullorbita, 72
oscillatore armonico unidimensionale, 73
variabile, 72
Bertrand, teorema di, 32
Bohr
atomo di, 114
condizione di quantizzazione di
Bohr-Sommerfeld, 113
Boltzmann
costante di Stefan-Boltzmann, 107
distribuzione di, 109
legge di Stefan-Boltzmann, 108
brachistocrona, 21

125

Indice analitico

equivalenza massa-energia, 95
conservazione, vi
forze centrali, 30
densit di, 107
funzione, 26
conservazione, 26
in un campo centrale, 30
meccanica, principio di conservazione, xi
potenziale, vi
principio di equipartizione, 109
relativistica, 95, 100
relazione di Planck-Einstein, 96
equazione del moto
di Minkowski, 98
particella carica in campo elettromagnetico, 103
equilibrio, 4
forze generalizzate, 5
instabile, 37
piccole oscillazioni, 37
stabile, 37
etere, 77, 104
eV, definizione, 123
evento, 77

normali, 41
polari, 29
principali, 41
corpo nero, 107
legge dello spostamento di Wien,
108
legge di Planck, 110
legge di Stefan-Boltzmann, 108
relazione di Rayleigh-Jeans, 109
Coulomb
gauge di, 26
covariante
equazione, 97
formulazione, 92
hamiltoniana, 100
quadrivettore, 89
dAlembert, principio di, 5
Davisson e Germer, esperimento di,
115
de Broglie, 113
onde di materia di, 115
relazione di, 114
diagonalizzazione, 39
diffusione
Compton, 113
dilatazione dei tempi, 86
dissipazione, funzione di
di Rayleigh, 11

forza, v
attiva, 5
centrale, vi, 29
centro di, 29
conservativa, vi
di Lorentz, 9
generalizzata, 4
legge dellinverso del quadrato, 32
lineare di richiamo, 32
momento di una, vi
non derivabile da un potenziale,
10
vincolare, 2
fotoelettrico, effetto, 110
fotone, 96
frequenza
di soglia, 111
modo normale, 41
funzione

Einstein, 105, 106


notazione di, 88
relazione di, 96
elettromagnetico
campo
lagrangiana, 10
lagrangiana covariante, 100
tensore, 103
ellisse
eccentricit della, 34
equazione in coordinate polari della, 34
parametro della, 34
energia
a riposo, 95

126

Indice analitico

per traslazioni, 25

caratteristica di Hamilton, 72
generatrice, 62
funzione principale di Hamilton, 70
mista, 65
parentesi di Poisson, 66
variabili angolo-azione, 72

Jacobi, identit di, 59


Keplero
prima legge di, 36
problema di, 33
seconda legge di, 30
terza legge di, 36
Kirchhoff, 107

Galileo
principio di, 77
trasformazioni di, 77, 81, 85
gauge
di Coulomb, 26
di Lorentz, 103
trasformazioni di, 12
generalizzata
coordinata, 3
forza, 4
generalizzato
potenziale, 9
gradi di libert, 3, 11
N particelle, 3
piccole oscillazioni, 37

Lagrange
equazioni di, 6
derivazione dal principio di Hamilton, 17
forze non derivabili da un potenziale, 11
lagrangiana, 6
campo elettromagnetico, 12
potenziali generalizzati, 7
Laplace-Runge-Lenz, vettore di, 33
Legendre, trasformazione di, 47, 118
Levi-Civita, eijk simbolo di, 60
liscio, vincolo, 3
Lorentz
forza di, 9
gauge di, 103
scalare di, 91
trasformazioni di, 78, 81
lunghezza propria, 86

Hamilton
equazioni di, 48
notazione simplettica, 54
funzione caratteristica di, 72
funzione principale di, 70
principio variazionale di, 16
principio variazionale modificato,
57
Hamilton-Jacobi, equazione di, 70
hamiltoniana
covariante, 100
notazione simplettica, 53
particella carica in campo elettromagnetico, 104
Hooke, legge di, 32

massa ridotta, 28
matrice
autovalori, 39
definita positiva, 38
diagonale, 40
identit, 39
ortogonale, 40
piccole oscillazioni
energia cinetica, 38
energia potenziale, 38
simmetrica, 38
simplettica standard, 54
Maxwell, equazioni di, 77
Michelson e Morley, esperimento di,
77, 105

identica, trasformazione, 64
inerzia, principio di, 78
invarianza
di Lorentz, 81, 84, 98
parentesi di Poisson, 66
per rotazioni, 25

127

Indice analitico

di estrazione, 111
energia, 6
generalizzato, 7, 9
elettromagnetico, 9
scalare , 9
vettoriale A, 9
potere assorbente, 107
prodotto scalare
nello spazio di Minkowski, 89, 91
punto materiale, v

minima azione
principio di, 18
Minkowski
diagramma di, 83
equazione di, 98
spazio di, 88
modo normale, 41
momento
angolare, vi
totale, x
canonico, o coniugato, 24
generalizzato, 25
torcente, vi
monogenico, sistema, 15

quadritensore
p volte controvariante e q volte
covariante, 91
completamente controvariante, 91
completamente covariante, 91
elettromagnetico, 103
quadrivettore
controvariante, 88
covariante, 89
quadriaccelerazione, 93
quadriforza, 98
quadrimomento, 97
quadrivelocit, 92
quantit di moto
conservazione della, v
di un sistema di particelle, ix
di una particella, v

olonomo, vincolo, 2
omogenea, funzione
energia cinetica, 26, 30, 38
orbita
chiusa, 31
circolare, 32
ellittica, 32
iperbolica, 32
limitata, 31
piano dellorbita, 29
oscillatore armonico, 66, 73
corpo nero, 108
oscillatori accoppiati, 42
piccole oscillazioni, 37

Rayleigh, funzione di dissipazione di,


11
Rayleigh-Jeans
catastrofe di, 109
relazione di, 109
relativit
galileiana, 77
ristretta, 78
postulati, 78
quadrivettore, 88
tensore metrico, 89
reonomo, vincolo, 2
Routh
funzione di, 55
Routh, metodo di, 55

particella carica in campo elettromagnetico, 9, 103


pendolo piano, vi, 3, 7, 8
Planck, 110
legge di, 110
Poisson
parentesi di, 58
equazioni di Hamilton, 59
fondamentali, 59
propriet, 59
teorema di, 60
potenziale
centrale, 28, 29
efficace, 31
darresto, 111

scabro, vincolo, 3

128

Indice analitico

scleronomo, 2
virtuali
principio dei lavori, 4
spostamenti, 3
viscosa, forza, 10

scleronomo, vincolo, 2
simmetria sferica, 29
simplettica, notazione, 53
spazio
delle configurazioni, 15
delle fasi, 47
spaziotempo, 78
spostamento
legge dello, 108
Stefan
costante di Stefan-Boltzmann, 107
legge di Stefan-Boltzmann, 108
successione di Fibonacci, 122

Wien, 108
costante di, 108
legge dello spostamento di, 108

tachione, 82
tardione, 82
tempo proprio, 87
tensore metrico
controvariante, 89
covariante, 89
tipo luce, 82
trasformazione
canonica, 61
funzione generatrice, 62
identica, 64
parentesi di Poisson, 65
di Galileo, 81
di gauge, 12
di Legendre, 47, 118
di Lorentz, 81
variabili
canoniche, 47
dinamiche, 58
variazionale
principio di Hamilton, 16
principio di Hamilton modificato, 57
vincolo
anolomono, 2
liscio, 3
olonomo, 2
corpo rigido, 2
reonomo, 2
scabro, 3

129

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